Nove calici. Cinque piccoli produttori. Un arco di tempo di 22 anni (34 se contiamo dal 2018). Questo lo scenario della degustazione organizzata da Bollicine Mon Amour lo scorso 11 giugno da Carlo e Camilla in Segheria, a Milano.
L’ennesima riprova che le bollicine che nascono in quel fazzoletto di terra gessosa possono sfidare i decenni. La dimostrazione che non solo le grandi maison sanno produrre vini longevi, ma anche piccoli produttori attenti ed appassionati. Nove millesimi (rarità in Champagne) in grado di farci riflettere tanto sulle annate quanto sui produttori.
LA DEGUSTAZIONE Collard-Chardelle 1985. Maison fondata nel 1974 nella Valée de la Marne. 40% Chardonnay, 40% Meunier, 20% Pinot noir. Sei mesi in botte grande prima dell’imbottigliamento. Dégorgement nel 1990, 3g/l il dosaggio.
Figlio di un’annata che ha donato grandi millesimi anche in Italia si presenta di colore dorato con perlage fine, ancora ben presente e cremoso in bocca. Leggera nota ossidativa al naso, non fastidiosa ma che anzi completa ed integra i profumi di marmellata di mela cotogna e crema pasticcera.
Una leggera nota di torrefazione accompagna i sentori di frutta secca. L’acidità è ancora molto via e supporta bene il sorso, sorso ricco della pienezza del frutto, pienezza probabilmente dovuta alla grande presenza di bacca rossa nella cuvée.
Chiude su note di miele e di erbe aromatiche. Uno Champagne in grado di stupire e coinvolgere col suo alternarsi di note tipiche dell’invecchiamento e freschezza di beva.
Champagne de la Renaissance 1989. Siamo ad Oger, Cotes de Blancs. 100% Chardonnay di Oger. Nessun utilizzo di legno. Sboccatura e dosaggio non conosciuti.
Nettamente più verticale del precedente. Evidente il lisato che anche qui si declina in tostatura e note di pasticceria. Leggero sentore balsamico che ricorda la mostarda. Teso in bocca.
Seppur meno acido del precedente regala tutta l’eleganza e l’irruenza di un Blanc de blancs nettamente più giovane. Chiude morbido e mediamente persistente sui sentori fini ed eleganti tipici dello Chardonnay.
Champagne de la Reinassance 1993. 100% Chardonnay di Oger. Nessun utilizzo di legno. Sboccatura 2013. Dosaggio non conosciuto.
Profumi netti. Inconfondibilmente blanc de blanc da chardonnay. Sentori di banana e frutta a polpa bianca matura. In bocca grande acidità e mineralità. “Dritto” come si suol dire. Il tostato si percepisce solo in retro olfattivo sulla persistenza, accompagnato da una piacevole sensazione di caramella d’orzo.
Collard-Chardelle 1993. 50% chardonnay, 25% meunier, 25% pinto noir. Sei mesi in botte grande prima dell’imbottigliamento. Dégorgement nel 2001, 3g/l il dosaggio.
Al primo naso sembra più giovane del suo coetaneo precedente. Poi ecco sentori di fungo e sottobosco, crema e pane appena sfornato che riportano alla complessità del prodotto. perlage ed acidità supportano molto bene il sorso.
Dopo 4 assaggi una cosa appare chiara: più che il millesimo (1993 o 1985-89) il fil rouge è da ricercarsi nella mano del produttore. Evidente infatti il legame 1985-1933 Collard-Chardelle e 1989-1933 La Reinassance più che quello fra i due ’93.
Gustave Goussard 1995. Les Riceys, Cotes de Bar. 60% chardonnay, 40% pinot noir. Dégorgement 2008. 10 g/l. Naso fresco. Frutta ed erbe aromatiche. Prevale la parte “blanc”, il Pinot noir emerge solo quando il calice si scalda un poco.
In bocca entra morbido e morbido sta, si sente il maggior dosaggio. In bocca è pieno, ricorda il precedente 1985 ma con meno note aromatiche. Buona la persistenza.
Guy de Forez 1996. Les Riceys, Cotes de Bar. 100% pinot noir. Sboccatura 2000. 8 g/l. Stesso terroir, millesimi prossimi, dosaggi simili. il Gustave Goussard 1995 e Guy de Forez 1996 sono diversi e rivali.
Naso generoso, profondo, balsamico. Frutti rossi, crema pasticcera, erbe aromatiche. Croccante in bocca, molto sapido. Uno champagne austero, quasi tannico, figlio di un’annata perfetta. Un vino che ha ancora molto da dare e raccontare, da dimenticare in cantina ancora per chissà quanto.
Meno articolato del 1995. Più teso. Grande freschezza tanto al naso quanto in bocca. Molto fruttato con leggera nota di miele d’acacia. Bella sapidità. Non esageratamente persistente.
Fresnet-Juillet 2000. Verzy, Montagne de Reims. 60% chardonnay, 40% pinot noir. Dégorgement 2004. 10 g/l. Frutta matura e miele al naso, quasi dolce. Evidente la complessità post sboccatura che lo pone in netta contrapposizione al Gustave Goussard 1998. Sottobosco e nocciola che si rincorrono anche nel retro olfattivo e nella discreta persistenza.
Guy de Forez 2006. 100% pinot noir. Sboccatura 2012. 10 g/l. Immediato il confronto col suo omologo millesimo 1996.
Qui il calice è ancora più austero, ancora più chiuso. Appare evidente come questi vini andrebbero aspettati per essere goduti a pieno. Qui ancor più del ’96. Il 2006 è uno champagne che appare semplice ed immediato ma che scalcia sotto la superficie. Ottimo questo paragone a 10 anni di distanza.
Quanto tempo sarà passato dall’inizio della degustazione? Spiacenti, non abbiamo guardato l’orologio, troppo coinvolgenti i vini. Una cosa però è certa: tutti i bicchieri si sono scaldati e nessuno degli champagne si è scomposto. Ottimo indizio di grande qualità ed attenzione produttiva.
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BARD – Il concorso enologico “Mondial des Vins Extremes” è giunto quest’anno alla 25esima edizione. Per la seconda volta la sede della premiazione, avvenuta domenica 26 novembre, è stata il Forte di Bard, in Valle d’Aosta.
La manifestazione è stata caratterizzata da diverse forme di eroismo: l’eroismo dei produttori che, lavorando in condizioni estreme (altezze proibitive, grandi pendenze, terrazze o gradoni, piccole isole con difficoltà logistiche), dimostrano più di altri quanto contino passione e sacrificio nel duro mestiere del viticoltore.
Spiace notare che come ulteriore prova di eroismo i viticoltori presenti siano stati costretti a sopportare due giorni di freddo intenso, sotto a una struttura temporanea allestita al centro di uno spazio aperto, in balia del vento gelido. La temperatura da vin brulè non facilitava purtroppo gli assaggi di vini che normalmente richiedono almeno 10 gradi. In compenso, bianchi e spumanti non avevano nessun bisogno di glacette.
Davanti al banco di assaggio di un vino Palestinese, i cui vigneti sorgono a 5 Km da Betlemme, abbiamo avuto l’occasione di porre la questione all’assessore all’agricoltura e risorse naturali della regione Valle d’Aosta Alessandro Nogara.
“La viticoltura eroica – ha evidenziato – storicamente non ha mai avuto momenti di valorizzazione così importanti come in questi ultimi anni e che ulteriori sforzi saranno fatti per crescere ancora”. La richiesta che più spesso gli arriva dai produttori valdaostani è “il miglioramento della viabilità, visto che in molti casi l’unico modo per raggiungere i terrazzamenti è a piedi”.
LA DEGUSTAZIONE “ESTREMA”
Gli oltre 200 vini premiati erano tutti degustabili in due banconi, uno per i bianchi e uno per i rossi, all’interno di una chiesa del forte, le cui pareti candide si sono rivelate ottime alleate per la valutazione dei colori. Grazie anche alla prontezza dei Sommelier Ais che hanno servito i vini, non si sono registrati particolari problemi logistici durante le due giornate-
Ma la degustazione meriterebbe spazi più ampi, augurandosi che il numero dei visitatori cresca sempre di più. Molto apprezzabile l’idea della guida ai vini premiati, distribuita gratuitamente ai visitatori. Peccato che non contenga note di vinificazione che avrebbero reso la degustazione più completa e che la “navigazione” non sia semplicissima.
Il primo vino degustato non poteva che essere quello ritenuto il migliore in assoluto degli oltre 740 presentati al concorso: il Tornicher Ritsch Riesling Beerenauslese 2006 di Weingut Geiben. Si tratta di un vino dolce botritizzato proveniente dalla zona della Mosella tedesca (premiata con ben 23 vini).
Il bel giallo dorato parla di muffa nobile, di lunga evoluzione e di grande consistenza, ma la brillantezza è quella di un ragazzino scalpitante, davvero notevole. Il naso è un tripudio di opulenza: pesca gialla, ananas, bergamotto, e poi miele, zafferano, spezie dolci, fiori.
L’ingresso in bocca è straordinariamente equilibrato, la sensazione è più di aromaticità che di stucchevole dolcezza, la spalla acida fa il suo dovere rendendo questo vino scorrevole dal primo all’ultimo sorso. Il finale è lunghissimo, di mandorla e spezie. Sconsigliatissima la mezza bottiglia, anche se si è da soli.
Per la prima volta quest’anno è stato istituito il premio Cervim Originale al miglior vino a piede franco. Il riconoscimento è andato alla Falanghina del Sannio Vendemmia Tardiva “Donnalaura” 2016 di Masseria Frattasi (Montesarchio, Campania), segnalata proprio da vinialsuper, tra i migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017.
Dopo l’opulenza del muffato tedesco occorre qualche minuto di piacevoli chiacchiere per poter apprezzare il bouquet di questa Falanghina, che di certo non ha nell’intensità olfattiva il suo principale pregio. Profuma delicatamente di mela e pera mature, di fiori gialli, di miele e di buccia d’uva.
L’ingresso in bocca è caldo, la freschezza giunge poco dopo in allungo. È sapido e minerale, lungo ed equilibrato, e conferma il Sannio come culla di grandi bianchi italiani!
Santo Wines, cantina dell’isola greca di Santorini piazza ben 4 medaglie d’oro con tutta la gamma di Assirtiko: base, reserve e grand reserve, e con il “Nykteri”, blend di Assirtiko, Athiri e Aidani. Ci dicono i colleghi sommelier che i vini greci siano anche particolarmente richiesti dal pubblico.
È un crescendo, dalla versione base dell’Assirtiko, fresco, agrumato, semplice e minerale (l’unico vinificato completamente in acciaio), al reserve, nel quale inizia a fare capolino una leggera nota vanigliata, molto sullo sfondo, fino al grand reserve, che sosta 12 mesi in barriques francesi e altri 12 riposa in bottiglia.
Quest’ultimo è ovviamente il più complesso: alle note fresche agrumate e floreali di tutte e tre le versioni, qui sono evidenti le tracce di miele, tè e vaniglia. Il bocca è caldo e morbido, ma il legno, pur evidente, è sempre ben integrato e sostenuto dalla buona sapidità e dalla freschezza citrina. Una bella scoperta!
Il blending conferisce al Nykteri un pizzico di struttura e complessità olfattiva in più. Alla frutta gialla croccante si aggiungono sentori vegetali mediterranei e un pizzico di vaniglia. Buon equilibrio e acidità sempre piacevole.
Siamo in Val d’Aosta, i sommelier sono di qui, e così ci facciamo raccontare Nathan, un Blanc de Morgex et la Salle del 2014 che Ermes Pavese ha dedicato al figlio e che ha conquistato la medaglia d’oro nella categoria dei vini bianchi tranquilli di vendemmia 2014 o precedenti.
Da vigneti di Priè Blanc a piede franco vecchi 60 anni che arrivano a 1200 metri di altitudine, questo vino matura in barrique di primo, secondo e terzo passaggio per un anno, e poi viene assemblato con il 30% di fermentato in acciaio.
Giallo paglierino luminoso è tutto giocato sulla finezza: la mela matura, la mineralità dell’ardesia, il legno appena accennato e le nota di frutta secca sono tutte sussurrate.
In bocca è morbido nonostante il legno sia appena accennato, ha grande equilibrio e buona struttura, e dona una sensazione leggermente astringente che ricorda il tè. Probabilmente il posto ideale dove degustarlo è nella sua vigna, a 1200 metri, dove c’è pace e silenzio.
LA SORPRESA PORTOGHESE Il vino che ha impressionato maggiormente è stato tuttavia il portoghese Douro Doc Busto Reserva Branco, 2016 dell’azienda Quinta da Barca, premiato con la gran medaglia d’oro nella categoria dei vini bianchi tranquilli del 2016.
La valle del Douro, coltivata a terrazzamenti con muretti a secco e dal terreno scistoso ci regala un grandissimo vino, giallo paglierino tenue, di grande finezza.
Il naso ha note di frutta matura, erbe aromatiche e una balsamicità ben percepibile e dal grande fascino. In bocca è fresco e aromatico, per via retronasale torna la sensazione balsamica di aghi di pino. Lungo, fine ed equilibrato. Grandissima sorpresa, bravi!
Concludiamo l’assaggio dei vini bianchi con una bollicina che viene dalla liguria. Medaglia d’oro nella categoria dei vini spumanti, il “Bàsura Riunda” dell’Azienda Agricola Durin, di Ortovero (Savona) è un metodo classico 100% Pigato.
Particolarità di questo vino (oltre al vitigno inusuale per uno spumante, anche se Durin non è l’unico a usarlo, come abbiamo evidenziato di recente tra i migliori assaggi al Mercato Fivi) è il fatto che la sosta sui lieviti che dura fino a 60 mesi avviene all’interno delle grotte di Toirano.
Il Bàsura (“strega” in dialetto ligure, da non confondersi con “la basura”, spazzatura in spagnolo) è un vino leggero, spigliato, verticale. Le note di evoluzione, crosta di pane e frutta secca, sono appena accennate, e fanno da sfondo alle erbe aromatiche e alla croccantezza fruttata. In bocca è fresco, dritto, equilibrato, abbastanza persistente e si fa bere a grandi sorsi. Leggiadro.
IL GEORGIANO Per quanto riguarda i vini rossi l’attenzione generale è stata catalizzata dal georgiano Saperavi Reserve 2010 di Badagoni, gran medaglia d’oro per la categoria dei vini rossi tranquilli con vendemmia 2014 o precedenti.
La zona è il Kakheti, parte orientale della Georgia confinante con l’Azerbaijan, circondata dal Caucaso, con terreni vitati che arrivano ai 1000 metri sul livello del mare. Una zona che noi di vinialsuper abbiamo visitato e che vi racconteremo nel dettaglio, quanto prima.
In questi territori (nei quali si coltivava la vite già nel IV millennio a.C.) sono ancora presenti esemplari di Vitis Vinifera Silvestris, capostipite di tutte le varietà di vite.
Opera del pluri premiato enologo monferrino Donato Lanati, questo Saperavi (dal nome del vitigno, uno degli oltre 500 autoctoni georgiani) ha un colore rosso rubino ancora giovane sebbene un poco spento.
Il naso è abbastanza intenso, vegetale (ricorda vagamente il Cabernet Sauvignon) e di piccoli frutti rossi, pepe e fiori. In bocca il frutto è ancora croccante, il tannino vispo e un poco verde, e i 3 anni di legno dichiarati dal produttore stentano a sentirsi.
Premio Cervim Bio per l’Aoc Collioure “Terre des Oms” 2015, di Terres des Templiers. Si tratta di un blend di Grenache noir, Carignan e Mourvèdre che arriva dalla zona di Banlyus, nel sud della Francia al confine con la Spagna, caratterizzata da 6000 km di muretti a secco a incorniciare i vigneti.
Rosso granato profondo, al naso è intenso, di frutti rossi sotto spirito, pepe, chiodo di garofano e sottofondo vegetale. Ha grande struttura, è caldo e morbido, con un tannino ben integrato, più sapido che fresco, e con un finale lungo nel quale la frutta sparisce quasi completamente per lasciar comparire note scure di cioccolato. Gli manca un pizzico di freschezza per essere un gran vino, soprattutto in prospettiva.
LA SARDEGNA EROICA
Purtroppo solo al freddo del padiglione esterno abbiamo assaggiato Kent’annos, della Cantina del Mandrolisai, 2013. Le condizioni non ottimali per la degustazione sono state ampiamente compensate dalla disponibilità e dalla simpatia dei rappresentanti della cooperativa, che ci raccontano come l’uomo più vecchio d’Italia, morto qualche anno fa a 113 anni, era originario proprio di queste zone.
Kent’annos è un blend di cannonau, bovale sardo e monica che matura quasi 3 anni in botti di rovere e barrique. Bocca e naso mostrano uguale intensità. È complesso e strutturato, morbido, speziato e particolarmente lungo. Per spiegare dove si trova la cantina ci dicono di tracciare una “X” sulla Sardegna, all’incrocio ci sono loro, nell’esatto centro. Pare che il mare non sia l’unica attrazione della Sardegna.
Dal parcheggio, la salita fino alla cima del Forte di Bard richiede quasi 10 minuti e il cambio di 4 ascensori. L’uomo moderno percorre questo dislivello con disinvoltura. E quasi maledice i brevi spostamenti a piedi da un ascensore all’altro.
Ma per un viticoltore eroico, di quelli che vendemmiano sdraiati sotto pergole alte pochi centimetri, o che trasportano gerle cariche d’uva per mulattiere impervie, o che usano solo mani dove altri possono usare trattori, probabilmente è solo una passeggiata.
Sono uomini e donne che dovrebbero insegnare all’uomo moderno il valore della fatica, del sacrificio, dell’amore per la propria terra e per il proprio lavoro. Per questo ci auguriamo che iniziative come questa continuino e crescano sempre di più. Anche perché, dettaglio tutt’altro che trascurabile, producono molti vini dannatamente buoni. Chapeau!
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Un ingresso in bocca elegante, col vino che scivola sul palato in maniera suadente, senza spigoli. Il primo bacio con il Brunello di Montalcino Docg 2006 di Pian dell’Orino è dritto, morbido.
Una leggera sensazione calda accarezza il palato. Tannino vellutato, sensazioni di frutta cotta ben bilanciata tra acidità e zucchero. Chiude come un grande Sangiovese deve fare dopo 11 anni: nelle morbidezze.
Il retro olfattivo è invece incentrato sulla spezia, a completare il quadro di un grande Brunello.
LA VINIFICAZIONE
Il Brunello di Montalcino si ottiene da un unico vitigno, il Sangiovese grosso. Le uve per questo vino vengono dai vigneti “Pian Bassolino” e “Cancello Rosso”, a Castelnuovo dell’Abate, frazione di Montalcino. Prima della vendemmia l’uva viene controllata direttamente sul tralcio per raccogliere un prodotto perfettamente integro e un livello ottimale di maturazione.
Le uve subiscono una seconda selezione manuale prima della diraspatura. Il processo di vinificazione avviene in tini d’acciaio inox dotati di un sistema di controllo della temperatura. A una prima fase di macerazione prefermentativa a freddo segue la fermentazione alcolica con fermenti indigeni a temperatura controllata non superiore a 34°C.
La macerazione postfermantativa, della durata di 2-3 settimane, conferisce al vino le caratteristiche strutturali idonee ad un lungo invecchiamento. Terminata la fermentazione il vino viene travasato in botti di rovere da 25 hl, dove avviene la fermentazione malolattica.
Dopo la permanenza in botte, per un periodo di 2-3 anni, quando il vino ha raggiunto un buon livello di affinamento, viene imbottigliato senza essere filtrato. Il Brunello rimane in bottiglia ancora un anno prima di essere etichettato e commercializzato.
PIAN DELL’ORINO
Sono circa 6 gli ettari su cui può contare Pian dell’Orino. La cantina si trova a pochi metri dalla Tenuta Greppo di Biondi Santi, proprio in località Piandellorino, a Montalcino. Un’azienda agricola fondata su un profondo studio della natura dei terreni e delle loro caratteristiche.
L’obiettivo, più che centrato, è quello di produrre vini di Toscana “dalla personalità molto spiccata, che riflettono il carattere di ogni vigneto in modo netto e riconoscibile”.
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(5 / 5) E’ uno dei prodotti top di gamma di Villa Poggio Salvi, secondo solo al Brunello di Montalcino Docg Cru “Pomona”. E, in effetti, il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 va annoverato tra i migliori vini rossi toscani da invecchiamento presenti nel panorama nazionale della grande distribuzione italiana.
Lo distribuisce, sui propri scaffali, la catena milanese di grandi magazzini e supermercati Il Gigante. Certo, a giocare a favore dell’esito di questa degustazione di vinialsuper c’è la straordinaria annata di questo vino.
Un 2006 che resterà tra le vendemmie da ricordare per il Sangiovese atto alla produzione del Brunello di Montalcino. Per favorire l’apertura degli aromi utilizziamo un decanter. dove il nettare riposa per quasi un’ora.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi si presenta di un rosso rubino ancora intenso, con riflessi granati: il primo “sintomo” di un vino ancora vivo, con ampi margini di miglioramento in bottiglia negli anni, anzi nei decenni.
Al naso si svela pieno, ampio, complesso: note di frutta a bacca rossa, a metà tra la confettura e lo spirito, dominano la scena. Non manca uno spunto floreale di viola. Ma sono ben percettibili, come dalla attese, i richiami terziari (ovvero il bouquet conferito dal periodo di affinamento in legno) a caffé tostato, liquirizia e cacao dolce.
Profumi che evolveranno ulteriormente, col passare dei minuti, per effetto dell’ossigenazione nel calice. Al palato, grande freschezza unita a una sapidità invidiabile: due elementi che, uniti assieme, si mostrano in perfetto equilibrio con le note fruttate di sottobosco. Completa il quadro un tannino elegante, tutt’altro che pungente.
Grande persistenza per il Brunello di Montalcino Docg Riserva 2006 di Villa Poggio dei Salvi, tutta giocata sulle note fruttate, sull’acidità e sulla sapidità. Un quadro davvero perfetto, che può essere reso paradisiaco dal corretto abbinamento in cucina.
Un vino importante, questa riserva toscana, da accostare dunque a piatti dello stesso “peso”: dai primi a base di ragù di selvaggina (cinghiale, per esempio), ai secondi di carne grigliata o a base di cacciagione e selvaggina. Senza dimenticare i formaggi stagionati e il tartufo.
LA VINIFICAZIONE
“Vini tradizionali prodotti con sistemi moderni”: questa la filosofia di Villa Poggio Salvi, azienda agricola che nell’omonima località del Comune di Montalcino, in provincia di Siena, conta 21 ettari di vigneti, tutti impiantati con cloni di Sangiovese Grosso. L’età dei vigneti atti alla produzione del Brunello di Montalcino Riserva varia dai 15 ai 20 anni, situati tra i 300 e i 520 metri sul livello del mare.
L’esposizione è a Sud-Ovest e il terreno è ricco di galestro a larga tessitura. La forma di allevamento è quella del cordone speronato, con una densità di impianto di 5 mila piante per ettaro. La vendemmia avviene sul finire del mese di settembre, a mano, in piccole cassette.
La vinificazione in acciaio, in vasche a temperatura controllata tra i 28 e i 30 gradi, per un periodo che varia fra i 12 e i 14 giorni. Le follature del cappello sono automatizzate, con sistema a pistoni. Fondamentale, poi, la fase di maturazione in legno per il Brunello, come da disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita.
Quaranta mesi in botti di rovere di Slavonia da 50 a 100 ettolitri. Il vino affina poi in bottiglia per un minimo di 6 mesi, prima dell’immissione in commercio. La vendemmia 2006 ha dato vita a circa 7 mila bottiglia di Brunello Riserva.
Villa Poggio Salvi deve il suo nome alla felice posizione sul versante Sud di Montalcino che guarda il mare Tirreno. L’aria pulita, i profumi che arrivano dai folti boschi di lecci che circondano l’Azienda e dalla macchia mediterranea, hanno attirato qui, fin dall’antichità le genti che provenivano dalla Maremma.
Poggio Salvi, appunto, il “Poggio della Salute” in quanto considerato da sempre zona salubre e pura, dove già nei secoli scorsi la gente trovava rifugio per allontanarsi dalle zone più insalubri infestate da malattie. Villa Poggio Salvi per struttura e modernità è un’azienda che guarda al futuro condotta con passione e competenza da Pierluigi Tagliabue e dal nipote Enologo Luca Belingardi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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