Ha pubblicato di recente il suo primo libro e ha scelto di mettersi in copertina, per metà. Lo ha intitolato “Il vino dalla parte del cuore“: la sinistra, su cui poggia un elegante calice di vino rosso. Il sogno del sommelier Fis Raffaele Fischetti è quello di mostrare «il lato più nascosto del degustatore, alimentato dalla scintilla della passione». Ma non solo.
L’autore del libro, pugliese di Mattinata (Gargano) da vent’anni in Alto Adige, dove ha iniziato da giovanissimo la carriera negli Alberghi Bolzanini, spera ancor più in un mondo della sommellerie italiana diverso. Unito.
«È una gara di appartenenza a questa o quella associazione ed ogni volta si arriva a discorsi beceri ed inutili per cui la gente, piuttosto che avvicinarsi al mondo del vino, scappa. Anche in privato o a degustazioni miste ho assistito a scene che, credetemi, mi facevano venire il latte alle ginocchia», ha scritto non troppo tempo fa su Facebook.
Raffale Fischetti, prima di entrare “a gamba tesa” nell’argomento, sdrammatizziamo come piace a te (e a noi di WineMag.it): cosa ci fa un pugliese a Bolzano, da vent’anni?
Sono sommelier professionista dal 2006 e dal 2015 ricopro il ruolo di presidente per Fondazione italiana Sommelier Trentino Alto Adige – Bibenda, con immenso orgoglio. Sono docente per i corsi sia del vino che dell’olio, altra mia immensa passione.
Siamo riusciti in questi anni a far partire 5 corsi professionali per la figura del sommelier del vino e uno meraviglioso per diventare sommelier dell’olio: il primo in Trentino Alto Adige oltre a tante altre meravigliose attività. Mi occupo inoltre di Marketing, consulenza e formazione aziendale. Insomma non mi annoio!
Con immenso orgoglio ho compiuto tutta la gavetta negli Alberghi Bolzanini, fino ad arrivare a ricoprire il ruolo di Maitre in locali importanti e la figura di sommelier anche in locali stellati. Faccio il buyer a tempo pieno e per alcuni anni ho selezionato solo vini certificati Bio per i mercati Europei.
Affronti in maniera molto diretta ma oggettiva quella che potrebbe essere chiamata “la guerra” tra associazioni della sommellerie italiana. La gara al “senso di appartenenza” a cui fai accenno, di per sé, dovrebbe essere un valore aggiunto in ogni settore. Perché, a tuo avviso, diventa invece un fattore limitante tra professionisti del vino?
Cerco di rispondere alla tua domanda in punta di fioretto, proprio come ho fatto sulla pagina Facebook “Sommelier: Appunti di degustazione”. La pagina nasce tanti anni fa, proprio per consentire agli appassionati di poter scrivere in maniera libera le loro degustazioni.
Da altre parti e su altre pagine si creavano alcuni attriti quando scriveva qualcuno che non era di una determinata associazione. Nel nucleo principale della nostra pagina figuravano e figurano invece amministratori e moderatori di quasi tutte le associazioni più grandi.
Ad ogni post di qualche iscritto che recitava più o meno così: “Ciao a tutti, sono Raffaele e vorrei iscrivermi ad un corso da sommelier, cosa mi consigliate?”, sembrava di stare allo stadio, ad assistere ad una partita che, come minimo, decideva le sorti del campionato. Si cercava ogni volta di moderare al massimo la conversazione tra gli utenti, ma spesso si finiva in malo modo con toni alticci e altisonanti per restare eleganti.
La goccia da cui è scaturita quella mia frase è stato un messaggio privato dell’ennesimo utente: non capiva il perché di tutte quelle risposte poco eleganti e sosteneva di aver deciso di non approfondire più le sue conoscenze e la sua passione attraverso un corso professionale, proprio per quello. Io vivo di passioni ed emozioni per carattere. Vedere svanito il sogno di alcuni utenti mi ha fatto molto riflettere.
Il mio, insomma, voleva essere un grido accorato e di speranza a tutti quegli appassionati che vogliono curare un seme e farlo diventare una splendida rosa. Continuo a credere fermamente in questo: tutti devono essere liberi di frequentare il corso che reputano più opportuno, a loro deve interessare la rosa che nasce.
Ci sono altri episodi che ti hanno convinto a impegnarti ancora di più per questo obiettivo?
In genere una gara, in termini di “senso di appartenenza”, dovrebbe generare la voglia e l’esigenza di “spingere l’asticella sempre più in alto”, per offrire a tutti i corsisti il massimo, migliorando sempre più la didattica e portandola al passo con i tempi, preparando sempre più i docenti con corsi di approfondimento, scegliendo i vini più rappresentativi per ogni lezione. Questa è la gara 3.0 a cui vorrei assistere, sana, costruttiva.
Il bicchiere, al momento, è “mezzo pieno” o “mezzo vuoto”?
Siamo una nazione dove, di fatto, non esiste un’associazione unita, anzi più si va avanti più se ne creano. Da questo però io vedo anche il “bicchiere mezzo pieno”, da buon sommelier. Le differenze portano ricchezza e la ricchezza è un dono. La soluzione non è dietro l’angolo ma credo che il momento di riflessione sia già in atto da parte di molti.
Al di là dell’aspetto etico e delle scelte compiute per promuovere l’iniziativa, la recente polemica sul “Corso online” della Scuola italiana sommelier rivela come ci siano diversi “nodi scoperti” nel settore: uno di questi è l’impossibilità di passare direttamente da un’associazione all’altra.
Pensi possa essere utile, nonché un segnale di “distensione” tra le varie compagini, l’eliminazione di questo vincolo, oppure le didattiche sono talmente diverse da giustificare le attuali misure?
Non entro in merito alla questione ma dirò in maniera esplicita come la penso. Personalmente non riesco a concepire un corso del vino online senza quella parte emozionale e di racconto che solo durante un corso si può trasmettere. Non credo e non voglio credere che il futuro sia questo.
Per me non ha senso per un corso professionale, sono troppe le variabili che non possono essere controllate. Ricordo sempre le facce delle persone che finiscono il corso e ti guardano come per dirti: “E adesso il martedì sera cosa faccio?”.
Si instaura un rapporto particolare con tutti i corsisti che, per 52 incontri, ti porta a sapere che quel giorno, in quel posto e in quell’orario hai un appuntamento fisso che è stato scelto da loro, fortemente. Molti, alla fine, ne sentono la mancanza.
Fai parte di Fis, una realtà per certi versi “simbolo” delle divisioni e delle lotte, a tratti intestine, tra associazioni della sommellerie.
La storia del settore è costellata da scissioni che hanno portato alla nascita di una costellazione di realtà che promuovono la cultura del vino.
Una promiscuità utile alla causa, oppure il primo dei grandi motivi di quei “discorsi beceri ed inutili per cui la gente piuttosto che avvicinarsi al mondo del vino, scappa”?
Fondazione Italiana Sommelier, per me come per tutto lo staff regionale, è stata un’opportunità, un modo unico per poter esprimere noi stessi, far conoscere a chi ci avrebbe scelto la nostra passione e il nostro entusiasmo. Abbiamo avuto l’onore di avere ospiti meravigliose cantine da tutta Italia e siamo riusciti a portare in giro per il Paese le nostre eccellenze.
Tengo a precisare che tutti i sommelier e tutto lo staff regionale hanno un lavoro fisso e vive di altro. Finiamo di lavorare e ricominciamo a farlo per organizzare le attività che si svolgeranno in regione, sottraendo una marea di tempo ai nostri familiari. Corsi e degustazioni sono tutt’altro che una cosa semplice.
Nessuno, da solo, riuscirebbe a fare tutto questo. La mia fortuna più grande è stata proprio quella di avere un gruppo solido e affidabile, che sostiene tutte le attività e i corsi. La passione è il motore che ci spinge a saltare l’ostacolo. Abbiamo intrapreso la strada giusta, diamo sempre il massimo di noi stessi e sappiamo che dobbiamo ancora migliorare. Per dirla in breve, noi non ci sentiamo proprio arrivati.
Le associazioni sono fatte di uomini e, per questo, ogni delegazione di ogni singola associazione meriterebbe un discorso a sé. Siamo tuttavia a conoscenza di casi in cui le associazioni sembrano voler accentrare sempre più “potere”, giocando sulle sorti degli iscritti e impedendo, di fatto, il processo di “amalgama” tanto auspicato. Che fare?
Le associazioni sono fatte di uomini e sono gli uomini che fanno la differenza, lo dico da sempre. Ho amici e colleghi in tutte le associazioni preparatissimi e seri professionisti che fanno la differenza dove sono.
Per quanto riguarda le iscrizioni da altri corsi, posso dirti che Fis accetta tutti gli iscritti che vogliono finire un percorso. In Alto Adige ho avuto alcuni iscritti che hanno terminato il percorso da noi entusiasti.
Per le altre associazioni non posso esprimermi, non conoscendo a fondo la scelta che ha portato a non far partecipare e terminare i corsi a chi magari, per essersi trasferito, non ha potuto chiudere le sessioni dove le ha iniziate.
Altro tema centrale sollevato dalla Scuola italiana sommelier sono i costi dei corsi delle realtà più accreditate (Ais, Fisar, oltre alla stessa Fis): credi che la critica sia giustificabile?
Anche in questo caso preferisco parlare delle cose che faccio io. Per garantire lo standard che attuiamo in Trentino Alto Adige il corso è al minimo della spesa. Le spese che affrontiamo sui vini (in degustazione i corsisti degustano, tra gli altri, Sassicaia, San Leonardo, Gaja), oltre alla sala, i kit di alta qualità, le tovaglie, i sommelier di servizio e i docenti che arrivano da tutta Italia, giustificano al minimo la somma richiesta. Ovvio che spostando tutto online avrai altre spese. Si eliminano ingenti costi fissi.
La didattica della sommellerie italiana è al passo coi tempi o risponde a logiche che meriterebbero di essere rivoluzionate? Mi spiego: ha ancora senso parlare di “giallo paglierino tenue”?
La didattica deve evolversi ed essere al passo con i tempi. Deve migliorare sempre. In Fondazione ho la fortuna di avere i responsabili alla didattica che stanno lavorando per modificare proprio le lezioni, che in questi ultimi anni sono cambiate in sequenze e fatti, avendo anche un taglio più moderno e attuale. Un punto di forza sicuramente.
Sempre sul fronte della didattica, i corsi sono strutturati in modo da formare allievi in grado di determinare le differenze tra le varie denominazioni più sulla base delle caratteristiche dettate dai disciplinari che sull’assaggio di una moltitudine di vini di “terroir”, in grado di rappresentare i vini prodotti in una determinata zona in tutte le sue più profonde e variegate sfaccettature.
Questo certamente perché il corso da sommelier è solo un punto di partenza, ma non tutti gli allievi hanno “voglia” di andare “oltre” al diploma e di approfondire le proprie conoscenze.
D’altro canto, sempre più produttori che non si riconoscono nei “meccanismi industriali” e “consortili” stanno proponendo sul mercato vini validissimi, interpreti autentici dei territori e dei vitigni.
Non sarebbe il caso che anche la didattica della sommellerie si “distraesse” un poco dai disciplinari (ormai superati) avvicinandosi a forme di viticoltura alternative e fornendo strumenti di comprensione e lettura delle espressioni meno “convenzionali”?
Risposta molto complessa, a cui cerco di rispondere per sommi capi. In primis, il corso da sommelier è un punto di partenza non un punto di arrivo. Credo serva per avere anche a chi lo frequenta “un linguaggio comune tra colleghi”. In genere, in una lezione ci sono tre vini in degustazione che devono “raccontare con il calice la lezione”.
Si cerca quindi di prendere in considerazione vini che raccontano la tipicità di un vitigno, legato anche a sfaccettature particolari di un determinato territorio. Un lavoro certosino che mi è capitato di affrontare ultimamente anche per la carta nazionale dei vini di Fondazione italiana sommelier, per un progetto che partirà presto.
Nella nostra didattica abbiamo aperto anche alle “viticulture alternative”, dando risalto in una lezione specifica ai cosiddetti “vini naturali”, biologici, biodinamici eccetera. Un piccolo passo che verrà seguito sicuramente da altri in seguito.
Restano sempre nozioni da approfondire. Non si può pensare che in due ore si possa dare tutto, ma di certo spingere i corsisti alla curiosità è un primo passo per approfondire in seguito l’argomento. In questa lezione ovviamente si degustano vini di questa tipologia, ricercati per la specificità dell’argomento.
Cosa deve aspettarsi chi si approccia alla lettura del tuo libro “Il vino dalla parte del cuore“, in cui appari in copertina solo per metà? La metà di quello che pensi e vivi, o la parte che conta di più di Raffaele Fischetti?
Per quanto possa sembrare strano per chi mi conosce personalmente, resto nel mio intimo un uomo molto timido. La copertina nasce dall’esigenza specifica di non voler apparire protagonista, ma appunto lasciare in primo piano il vino e la “poesia liquida” che ne scaturisce: il pensiero e le parole che si generano senza vincoli specifici, semplicemente degustando un vino in un determinato momento, in uno specifico posto con determinate persone.
Un contesto che non sarà più perfettamente replicabile in seguito. Questa è la magia anche del vino, per chi sa sognare e guarda al futuro con ottimismo e positività. In tanti lo chiamano “libro”, io lo chiamo “sogno realizzato”, per chi quel sogno lo ha alimentato nel tempo: gli amici, i miei genitori e la mia famiglia che hanno collaborato alla stesura del libro, compresi i miei due figli, con un loro disegno!
Volevo catturare per un attimo, in un’istantanea, queste schegge sparse, ma allo stesso modo lasciarle libere. Mi piace immaginare chi leggerà questo libro cimentarsi a modo suo, con parole e qualsiasi forma di comunicazione, con un calice di vino in mano e non prendendosi troppo sul serio, comunicando emozioni enoiche.
In questo libro racconto il Raffaele più nascosto, quello non impegnato a degustare per lavoro: lì scattano altri bisogni e specifiche. Il degustatore alimentato dalla scintilla della passione.
Mettere il “vino dalla parte del cuore” significa solo in apparenza “leggerlo” in maniera soggettiva. Si può essere sommelier ed esperti di vino mettendo l’emozione in primo piano, oppure la tecnica (la parte destra del tuo corpo, celata in copertina?) deve rimanere sempre il cardine fondamentale nell’assaggio?
Quesito interessante. Tecnicamente nel libro parlo di “degustazione emozionale”. Un racconto per ricordi ed immagini di un determinato assaggio. Una strada da percorrere particolare.
Una degustazione che si scosta completamente da quella fredda del secco-caldo-morbido. Credo che per raccontare un vino in questo modo bisogna padroneggiare le tecniche di degustazione classiche, per poi scegliere una strada tutta propria, che il cuore e la passione ci indica.
Sostieni che “non è importante aver bevuto milioni di calici, è più importate averne bevuti il giusto”. Qual è “il giusto”?
Credo nei casi, in quei momenti scritti da altri che accadono per un motivo particolare. Mi è capitato spesso di capire l’importanza del momento senza riuscire a metterla a fuoco subito. Senti dentro però che è importante, anche in quel momento. Il “giusto” è un concetto personale, diverso per ogni persona.
Il mio “giusto”, nello specifico, in questo momento è approfondire quello che mi incuriosisce e quello che il cuore e la passione mi spingono a fare, anche attraverso nuove sfide e passioni scaturite in un determinato periodo. Proprio strani sti sommelier vero?.
I tre (o più, o meno) vini “avvicinati al cuore” che ti hanno sorpreso di più?
Ci sono dei vini che mi hanno veramente emozionato e che mi hanno colpito in maniera particolare, mi capita spesso soprattutto da vini che non ti aspetti a volte ma che riescono a scuoterti in maniera particolare. Le emozioni forti le ho ricevute sia da vini blasonati sia da vini poco conosciuti.
Tutti quelli presenti nel libro mi hanno donato tanto e alcuni sono stati veramente eccezionali. Sono certo però che quello che ancora mi farà rimanere a bocca aperta e senza parole deve ancora arrivare nel mio calice. In fondo sono un’inguaribile sognatore.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.