Rischio estinzione per la birra trappista

L’assenza di vocazioni ne mette a repentaglio la produzione

Dopo il caso Achel, che ha recentemente perso lo status di birra trappista, anche le altre abbazie appartenenti all’ordine dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza, noti semplicemente come Trappisti, iniziano a subire lo stesso problema: l’assenza di vocazioni.

Rischia così di venir meno uno dei tre criteri basilari per definire “trappista” un birrificio ovvero la diretta supervisione della produzione da parte dei monaci trappisti, requisito fondamentale per poter apporre in etichetta il famoso logo esagonale “Authentic Trappist Product“.

«Il nostro abate scherza sul fatto che una volta c’erano 15 monaci, abbastanza per una squadra di rugby, mentre ora ce ne sono solo 12, buoni una squadra di calcio più una riserva» racconta Fabrice Bordon, brand ambassador di Chimay, intervistato dal Wall Street Journal.

Il mancato ricambio generazionale nei monasteri trappisti ha le stesse cause del clero e degli altri ordini monastici, ovvero l’assenza di vocazione da parte dei giovani in un mondo sempre più secolarizzato. In una realtà dominata dai social network e dalla continua ricerca di visibilità una vita fatta di fede, rinunce e silenzio attrare ormai sempre meno persone.

Nel tentativo di interfacciarsi con un mondo che va in direzione opposta rispetto alla rigida regola dell’ordine Cistercense della Stretta Osservanza alcune abbazie hanno parzialmente evoluto il loro approccio alla comunicazione ed alla commercializzazione.

L’abbazia di Saint Joseph in Massachusetts ha iniziato a promuovere i propri prodotti si Facebook ed Instagram, quella di Saint Sixtus ha attivato un’e-commerce, mentre i fratelli di Westvleteren, la cui birra è nota per poter essere acquistata solo presso il monastero, hanno introdotto un servizio di consegna a domicilio.

Allo stesso modo Notre-Dame de Scourmont, dove da 160 anni si produce Chimay, ha destinato alcune celle ad uso dei turisti che cercano pace, silenzio e tranquillità anche se «non è un hotel e bisogna comunque rispettare le regole», ha specificato Fabrice Bordon.

Iniziative volte a migliorare l’attrattività dei prodotti trappisti mantenendone la propria identità senza snaturarli anche se non sembrano risolvere il problema. Secondo Manu Pawels, responsabile vendite del monastero belga di Westmalle, «I monaci credono in Dio, e sono sicuri che sarà Lui a risolvere il problema». Buona a sapersi.

Fondata nel 1997 da otto abbazie per tutelarsi dai continui tentativi di imitazione l’International Trappist Association conta oggi undici produttori di birra trappista: La Trappe e Zundert nei Paesi Bassi, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren in Belgio, Spencer negli Usa, Engelszell in Austria, Tynt Meadow in Inghilterra e Tre Fontane in Italia.

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