È sempre più Prosecco mania nel Regno Unito. Da solo vende più di tutti i vini fermi italiani messi insieme, guidando la corsa degli spumanti Made in Italy nei primi tre mercati al mondo. Il dato riguarda il primo quadrimestre 2022, secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv.
Sotto la lente di ingrandimento i ri-export sul prodotto in transito soprattutto dal Belgio, senza precedenti. La crescita, rispetto al primo quadrimestre dello scorso anno, è pari al 127% a valore e al 74% a volume. Il Prosecco vale ormai oltre i 2/3 dei volumi di spumanti importati in Uk da tutto il mondo.
L’analisi di Unione italiana vini su base dogane, compiuta sulle importazioni di vino imbottigliato dei top 3 mercati mondiali (Usa, Germania e Uk) restituisce tuttavia un quadro a luci e ombre. E molte incognite sul futuro.
Il primo quadrimestre, complice una significativa battuta di arresto nel mese di aprile, si chiude con -1% generale in valore (dati armonizzati al dollaro, pari a 1,3 miliardi). A volume, il segno vira ancor più in negativo: -4,1%, a 2,5 milioni di ettolitri.
Sono le due facce della stessa medaglia. Da una parte la tipologia dei vini fermi, con i volumi importati in caduta del -10% e i valori a -9%; dall’altra gli spumanti che volano a +17% a volume e a +30% a valore, guidati proprio dalla Prosecco mania nel Regno Unito.
FRESCOBALDI: «NECESSARI NUOVI PROGETTI PER L’EXPORT»
Tra i Paesi considerati, negli Usa i volumi imbottigliati registrano un decremento tendenziale di oltre il 2% per i fermi e un nuovo balzo degli sparkling (+12%). Luce rossa in Germania per entrambe le tipologie, rispettivamente a -18% e -12% -. L’import tricolore nel Regno Unito è protagonista in negativo con i fermi (-8%) e in positivo per gli spumanti (+35%).
«Riteniamo improbabile replicare le performance del 2021 – rileva il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – un anno eccezionale che ha registrato crescite da aprile a settembre di quasi il 30%. Questo sarebbe un anno normale, se non fosse per un conflitto che ha acuito la tensione sui costi energetici e su quelli delle materie prime secche».
Una congiuntura a cui si aggiunge l’inflazione, che impatta mediamente sulle imprese italiane per il 20-30% in più, sul costo del prodotto finito. «Per questo – conclude Frescobaldi – sarà opportuno considerare con le istituzioni delle azioni straordinarie di strutturazione del settore in difesa di fattori esogeni sempre più frequenti e in favore di nuovi progetti di internazionalizzazione».
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