“Non si vive nemmeno più alla giornata. Si vive all’ora. Con questa sorta di nuovo lockdown anti Covid-19 si ricomincerà a fare quel poco di delivery, ma con una condizione molto diversa da marzo. Perché se allora un po’ di fieno in cascina magari c’era, adesso non ce n’è più. Il delivery sono briciole, ci copri un po’ i costi vivi ma non ci ripaghi gli investimenti“.
A parlare a Giancarlo ‘Giamma’ Longhi, mastro birraio del giovane micro birrificio Beer Farm Hoppy Hobby di Legnano, tra Milano e Varese. In un’intervista rilasciata a WineMag.it, denuncia la situazione in cui versa il settore della Birra Artigianale a fronte dell’ultimo Dpcm.
Confermando, di fatto, quanto sottolineato da tante sigle Horeca come Italgrob, Assobibe e Assobirra, oltre a Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e Gh: le misure hanno quasi azzerato il mercato. Nelle parole di Longhi, tutto lo sconforto di una categoria che si sente “dimenticata dalle istituzioni”.
Eravamo in piazza a Milano con Fipe mercoledì scorso (28 ottobre) quando sono arrivate le prime notizie ufficiali sul DL Ristori con le indicazioni dei codici Ateco. Fra questi non figuravano i produttori di birra o di vino.
Ma come? Chiudi pub e birrerie perché lavorano la sera dopo le ore 18, limiti tantissimo ristoranti ed enoteche, chiudi definitivamente le tap room e non contempli negli aiuti i maggiori fornitori di queste categorie?.
Vi è un bonus di Regione Lombardia, una sorta di ticket di 150 euro, di cui possono usufruire i ristoratori per l’acquisto di vini della regione. Un aiuto nato per supportare i produttori di vino. E i produttori di birra? Niente“.
Uno scenario pesante quello descritto dal mastro birraio Giancarlo Longhi. Dopo un settembre in cui si avvertiva una cauta ripresa, con i clienti che avevano iniziato ad avanzare ordini interessanti, anche in vista di un presunto trend di crescita autunnale, ecco arrivare il nuovo improvviso giro di vite. Un Dpcm che ha bloccato la ristorazione, canale di vendita prevalente della Birra Artigianale.
Col primo lockdown ho perso circa il 20% dei clienti – sottolinea il titolare del birrificio milanese – adesso quanti ne perderò? Ma non penso solo a me, la situazione è analoga per i miei colleghi.
Per esempio Orso Verde di Busto Arsizio (VA) ha una produzione molto grossa e due tap room, una a Milano e l’altra a Varese. Loro fanno infustamento isobarico ed avevano in affinamento circa 5 mila litri di birra già pronti: adesso che fanno? I fusti a chi li vendono? Li tengono fermi per mesi?”.
Analoga situazione per il Birrifico War di Cassina de’ Pecchi (MI), che “ha messo in cassa integrazione i birrai dipendenti proprio perché sanno che non venderanno nulla, da qui a chissà quanto”, riferisce ‘Giamma’ Longhi.
“La Birra Artigianale – evidenzia ancora – è un prodotto fresco: puoi tenerne alcune tipologie in cella, per un po’ di mesi, ma non si va molto lontano. Birrificio Italiano alla sua Tipopils (storia ed icona della birra artigianale italiana nel mondo, ndr) dà 6 mesi di scadenza proprio per avere un prodotto perfetto”.
“Stiamo parlando di prodotti di eccellenza, per i quali la freschezza viene prima di tutto. Se blocchi questo processo uccidi la qualità del prodotto ed il concetto stesso di artigianalità. I pub, ora, dovranno svuotarle i loro fusti e buttare le birre. Piange il cuore a pensare a tutto questo. C’è sconforto. C’è tanto sconforto“.
Nelle parole di Longhi si ritrova anche l’incertezza di chi è impossibilitato a pianificare il proprio lavoro, alle porte di un Natale 2020 che si preannuncia in sordina, dal punto di vista commerciale: “Basti pensare all’organizzazione prenatalizia. Ho dei clienti che ogni anno fanno le cassette personalizzate per i loro clienti”.
“Quest’anno, se chiudono tutto, le cassettine le regaleranno lo stesso? Forse no. Però io le devo preparare in anticipo, le devo preparare adesso. Cosa faccio? compro le cassette, compro le bottiglie, faccio le cotte personalizzate per poi magari sentirmi dire ‘Giancarlo mi dispiace, è tutto chiuso l’ordine non mi serve più’?”.
Siamo nel periodo in cui, dopo la crisi del 2008, ci si stava risollevando proprio grazie allo spirito artigianale. L’Italia è stata resa grande dagli artigiani. Senza andare troppo lontano da Legnano e da Milano, pensiamo a Parabiago ‘Città della calzatura’. Cambiamo regione, andiamo in Piemonte: lì ‘Ferrero’ ti inventa la ‘Nutella’. Senza citare poi tutte le eccellenze nel caffè e nell’enogastronomia”.
Pensiamo a tutti questi grandi artigiani che sono diventati specialisti nella propria nicchia, o grandissimi nomi del proprio settore. Se ammazzi questa gente, cosa trovi poi? Cosa ti resta?
Sono anni in cui sono nate tante nuove cose bellissime: birre, agricoltura di precisione, amari, distillati e via dicendo. Giovani ragazzi che hanno iniziato ed investito, credendo in un progetto che è anche culturale: tutte persone che, adesso, sono seriamente in pericolo”.
Non meno importante, la paura di perdere non solo gli “artigiani del gusto” ma anche il consumatore. Quel consumatore sempre più attento che è stato, ed è, motore del mercato artigianale. Lo stesso che ora, a fronte delle restrizioni e delle difficoltà finanziarie, rischia di “regredire” e interrompere il proprio percorso di crescita. L’orizzonte è oscuro, insomma. Da una parte e dell’altra del boccale.
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