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Gdo, La Scolca ed Esselunga: da Gavi parte la rivoluzione “Cortese” del vino al supermercato

Nella sala del biliardo trasformato in tavolo per gli incontri formali, si respira aria di cinema e teatralità. Una serie di lastre di vetro consentono di poggiare registratore, taccuino e penna a pochi centimetri dal tappeto verde. Oggetti che paiono così come sospesi. In una stanza che trasuda storia, dignità, orgoglio. Corrado Cavallo, direttore dell’azienda agricola La Scolca, ci accoglie volentieri, senza appuntamento. E non si risparmia, in una chiacchierata in cui i minuti scorrono e scorrono le ore. Senza che neppure ci si accorga. Siamo a Gavi, in provincia di Alessandria, Piemonte. Negli uffici di un’azienda che dell’omonimo vino bianco, il Gavi Docg, ottenuto dall’autoctono vitigno Cortese, è stata ed è portabandiera nel mondo. Un riferimento globale di un uvaggio sottovalutato, bistrattato e poco conosciuto – almeno dal grande pubblico – in Italia. Ma che nel mondo gode di grande considerazione. Quarantasei ettari di vigneti per La Scolca, che salgono a 52 totali, se si considerano quelli dei fornitori d’uva esterni. Sempre gli stessi, da quattro generazioni. E una Tenuta dominata da una Torre antica, che ricorda a tutti il significato del toponimo Sfurca: “Guardare lontano”. Su quella che un tempo era la collocazione ideale per una vedetta militare, in cima a una collinetta che domina una vallata in cui l’orizzonte è dipinto ad olio dai vigneti, tra il 1917 e il 1919 Giovambattista Parodi pose le basi dell’azienda agricola attuale, oggi guidata da Giorgio Soldati, dalla moglie Luisa e dalla figlia Chiara. Parenti lontani del grande scrittore, regista e giornalista piemontese Mario Soldati, che ancora oggi dimostrano al mondo come il nome La Scolca fu più che mai azzeccato.

Tra un calice di fresco Gavi di Gavi 2015 e un maestoso Soldati La Scolca d’Antan, Brut millesimato 2003, il direttore Corrado Cavallo disegna il profilo di un’azienda dinamica, al passo coi tempi, eppure così profondamente e inscindibilmente legata al territorio d’origine. Una produzione media annuale che si aggira attorno alle 520 mila bottiglie, di cui 8 mila (ed è proprio su queste che si concentra la nostra attenzione) finiscono sugli scaffali della grande distribuzione organizzata italiana. Fieramente. Già, perché in questo regno del vino di qualità le parole “supermercato” e “Gdo” non fanno paura. Anzi. “Siamo presenti dal 2008 costantemente in Esselunga – evidenzia Corrado Cavallo – all’interno dei punti vendita che hanno una cantina con vetrina per i vini di fascia superiore. Collaboriamo anche con l’Iper locale e con altre catene come Unes e Il Gigante”. Con la Gdo, in particolare, La Scolca sta lavorando a un progetto di valorizzazione del proprio marchio all’interno del reparto vini. “Nella maggior parte dei supermercati – spiega Cavallo – gli angoli riservati all’enoteca sono un po’ trascurati. Ma ultimamente sembra accresciuta la sensibilità nei confronti delle aree vini ‘premium’, dove vengono esposti vini di qualità superiore: zone dedicate in cui viene gestita con attenzione l’offerta al pubblico ma anche la rotazione dei prodotti, che non vengono più dimenticati lì, come abbandonati. E’ nel nostro interesse consentire alle catene della Gdo, come per esempio Esselunga, con la quale stiamo affrontando seriamente il discorso, il reso di questi prodotti eventualmente rimasti invenduti e ormai ‘vecchi’: siamo noi i primi a cui importa offrire il vino migliore ai clienti, più che la catena stessa. E’ dunque interesse mio portare via dallo scaffale un vino invenduto, fermo lì, continuamente esposto alla luce. Per la Gdo invece è una rogna organizzare il reso. Ma vista la sensibilità dimostrata, certamente arriveremo a un compromesso che vede al centro dell’interesse comune il cliente finale”. Il progetto che La Scolca sta elaborando con la catena di Caprotti ha tutte le caratteristiche per costituire una rivoluzione nell’intero segmento. Oggi il reso del vino al produttore da parte della Gdo non è contemplato nel 90 per cento dei casi, a meno che non si verifichino problemi legati alla qualità. Il vino “vecchio”, come è sotto agli occhi dei più esperti, viene posto in promozione a prezzi stracciati. L’ultimo esempio? Nelle scorse settimane, nel milanese, un noto gruppo della grande distribuzione ha stracciato il prezzo di un Vermentino (annata 2013) già di per sé di bassa qualità, sino a portarlo a un costo finale di 1,99 euro al consumatore.

E L’HORECA?
Ma il supermercato non finisce per svalutare il nome del produttore? E’ un’idea sbagliata ormai, al giorno d’oggi ancora troppo diffusa: horeca prodotti di qualità, Gdo prodotti ‘industriali’. Un assioma più che mai superato. “Il problema è la comunicazione esatta del posizionamento del prodotto – dichiara deciso il direttore Corrado Cavallo – e va detto che, sull’altro fronte, l’Horeca non aiuta certo noi produttori ad arrivare vicino al consumatore. Il nostro interesse è il consumatore, ricordiamolo! Alcuni vini di nicchia, paradossalmente, riscontrano sul mercato maggiore difficoltà rispetto a quelli di largo consumo. Il Gavi dei Gavi etichetta nera, prodotto simbolo de La Scolca, in realtà è sufficientemente diffuso in tutte le enoteche di medio alto livello. I nostri Riserva D’Antan, in un posizionamento del Metodo Classico che si assesta sui 35-40 euro a bottiglia, soffrono da un lato la limitatezza intrinseca della tiratura e, dall’altro, il fatto che per ovvi motivi sono destinati a un pubblico non vasto”. Ecco dunque la Gdo. E il suo ruolo centrale anche per i produttori di grandi vini. “Abbiamo consumatori in tutta Italia – evidenzia Cavallo – che avrebbero piacere di comprarsi una o due bottiglie di prodotti come i D’Antan. Ma la spedizione ha un costo non irrilevante. E allora perché non venire incontro al consumatore, mettendo a disposizione tali etichette nei supermercati, che hanno una grande capillarità sul territorio? Il canale Horeca deve farsene una ragione: la verità sta in mezzo, i produttori sostengono dei costi e tenere la merce ferma in magazzino costa”. Corrado Cavallo è un vulcano sull’argomento. E va ben oltre. “La Gdo – afferma – sarà il veicolo migliore per distribuire i vini anche alla ristorazione. La vera sfida per i produttori di vino sarà quella di dare valore al proprio prodotto, lavorando assieme alla grande distribuzione affinché la comunicazione del posizionamento sia corretta”.

LA SCOLCA, IN ITALIA E NEL MONDO
idee chiare, dunque, per questa cantina piemontese che esporta qualità Made in Italy nel mondo. Si parla di cifre importanti, come il milione di euro di giro d’affari nei soli Stati Uniti d’America, il mercato più forte per La Scolca. “Il più disposto a comprare vini importanti”, per dirla con le parole del direttore Corrado Cavallo. Seguono la Germania, “Paese con un ottimo livello di cultura del vino”, poi Russia, Inghilterra e Ucraina. E a catena un’altra quarantina di nazioni, in cui La Scolca si presenta sempre con una personalizzazione diversa, curata da Chiara Soldati. E in Italia? “In Italia fatichiamo più che all’estero – spiega Cavallo – perché siamo più costosi. Il 70% della nostra produzione finisce fuori dai confini nazionali, dove siamo molto valorizzati. A listino, il Gavi di Gavi si posiziona sui 15,10 euro e interessa il 25% totale delle nostre vendite. Ma all’estero una bottiglia viene venduta tra i 30 e i 40 euro”. Un successo che si raggiunge solo grazie a solide basi. “Dire che è più importante la vigna che la cantina – sostiene il direttore Cavallo – sembra una frase fatta, ma è tuttavia il nostro credo. Un credo che ha dei costi. L’autodeterminazione è fondamentale per noi: essere cioè sia produttori sia vinificatori ci offre un vantaggio in partenza, in termini soprattutto di qualità”. Le uve, provenienti dai vigneti di proprietà de La Scolca, vengono raccolte in cassoni della capacità di 15 quintali e trasportate da mezzi agricoli che compiono viaggi ripetuti dai terreni vitati alla cantina. I grappoli provenienti da diversi appezzamenti non vengono vinificati tutti assieme. Si cerca la perfezione e l’uniformità del prodotto finale, suddividendo il raccolto in differenti vasche. “Questo perché il vino è come i bambini – commenta Cavallo -. Non tutti crescono allo stesso ritmo. Ci sono bambini molto più alti di altri all’asilo, ma da adulti, poi, finiscono per essere grandi uguali. Le dinamiche di crescita dell’uva sono concettualmente le stesse e tendono a uniformarsi nel vino col passare del tempo. Pertanto lavoriamo innanzitutto sull’epoca di vendemmia delle varie vigne, cercando l’uniformità nella maturazione. E, in cantina, dopo l’assaggio, gli assegniamo delle etichette differenti”. Un principio, questo, che è insito nella filosofia degli avi de La Scolca. Lo stesso Mario Soldati, sulle pagine di Vino al Vino, scriveva che “il fascino del vino” sta “nella sua vitalità irrazionale e sempre mutevole, non troppo diversa da quella di un organismo umano”.

LA COMUNICAZIONE CORTESE
Nella chiacchierata fiume con il direttore Corrado Cavallo, non poteva mancare un focus sul vitigno Cortese. Un autoctono poco valorizzato nel Belpaese, forse anche per l’impostazione di una comunicazione del vino che, in Italia, è sempre più affidata a organismi quali i Consorzi. “Crediamo molto nel consumo privato del vino – dichiara Cavallo – che non sempre si riesce a spingere e favorire in maniera efficace. In Italia oggi assistiamo al fallimento del tentativo di creare domanda collettiva attraverso l’offerta. E’ questo quello che stanno facendo i vari Consorzi: organizzare grandi eventi, in cui viene offerta una vasta gamma di prodotti. Così facendo non si stimola alcuna domanda e le varie manifestazioni organizzate rischiano di diventare fini a se stesse. Se i fondi necessari alla promozione del territorio fossero elargiti direttamente ai produttori – continua Cavallo – certamente assisteremmo al meccanismo inverso, ovvero a quello più diretto ed efficace per creare benessere sul territorio: la libertà d’iniziativa di cui godrebbe ogni singolo produttore porterebbe certamente a centrare l’obiettivo, ovvero il raggiungimento del consumatore finale, stimolando direttamente la domanda, senza più ricorrere a una sterile offerta collettiva”. Ma non è tutto. “In questo Paese – conclude Cavallo – occorre ridare centralità al ruolo del contadino. Finché nella filiera che va dal produttore al consumatore gli sforzi e le rinunce saranno sempre e solo del contadino, che vede anno dopo anno risicato il proprio guadagno, il sistema sarà sempre squilibrato. E a perderci sarà sempre e solo la qualità finale del prodotto, in un pericoloso gioco al ribasso che, alla fine, non gioverà a nessuno”.

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A Roma torna Enotica: vino ed Eros dal 18 al 20 marzo

Tutto pronto a Roma per la VI edizione del Festival del Vino e della Sensualità, ”Enotica”, evento dedicato al connubio immortale tra Vino ed Eros. Un percorso sensoriale alla scoperta del piacere della condivisione di un bicchiere di vino che si articolerà tra le Centocelle del Forte Prenestino, centro sociale occupato ed autogestito dal 1986. La manifestazione, organizzata
dall’enoteca del centro sociale nata nel 2008, prosegue il percorso avviato nel 2004 con l’organizzazione della prima edizione di Terra e Libertà Critical Wine, figlia dell’incontro tra Luigi Veronelli enologo anarchico e i movimenti da sempre sensibili ai problemi della terra, dell’agricoltura e dell’ambiente. L’appuntamento è dal 18 al 20 marzo. Non un vino qualunque e commerciale, ma il vino critico degli artigiani del vino. Produttori di vino naturale, biologico o biodinamico, non filtrato, frutto di colture virtuose. Realtà agricole che hanno scelto di operare con logiche distanti da quelle delle produzioni agricole di massa. Un’occasione, quella di Enotica, non solo per i consumatori più avvezzi o gli habitué, ma anche per i più scettici per avvicinarsi a questa tipologia di vino che va spiegato per essere compreso ed eventualmente apprezzato.  Non aspettatevi sommelier in livrea con taste de vin, ma solo contadini genuini portavoce di questo ”sovversivo” nettare. Oltre al vino, cibi biologici e biodinamici prodotti della stessa filosofia e tanto divertimento con proiezioni cinematografiche, concerti, dj set, spettacoli di cabaret e mostre, solo per chi è disposto a lasciarsi andare.
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Vini al supermercato

Rosso Igt Veneto Antale, Natale Verga

(3,5 / 5) E’ ottenuto da uve lasciate appassire leggermente il Rosso Igt Veneto Antale Natale Verga. Stiamo parlando della linea top di gamma della casa vinicola di Cermenate (Como), denominata appunto Antale: quella che racchiude i vini destinati “ai palati più esigenti”, da abbinare alle portate più complesse della tavola. E in estrema sintesi non possiamo che definire Rosso Igt Veneto Antale di Natale Verga un ottimo prodotto per qualità prezzo, in linea con le politiche aziendali di questo colosso italiano della vinificazione. Passiamo dunque il vino sotto la nostra lente di ingrandimento. Nel calice si presenta di un rosso rubino intenso, poco trasparente. Al naso è intenso, schietto, fine. Sottile, fa registrare note pressoché fruttate mature, tendenti alla confettura: prugna, ciliegia, in un sottofondo di vaniglia. Al palato troviamo rispondenza delle note fruttate, con una più accentuata vena austera ed elegante che ricorda il caffè e il cacao amaro, oltre alla vaniglia. Il Rosso Igt Veneto Antale Natale Verga è vino di corpo in quanto a struttura, di alcolicità calda (14%) ma non per questo fastidiosa, di rotonda morbidezza. Secco, fresco e sapido, si presenta giustamente tannico e decisamente equilibrato. Una volta deglutito si mostra intenso, mediamente fine e sufficientemente persistente: un buon quadro retro olfattivo, insomma. Perfetto l’abbinamento con primi, secondi e formaggi saporiti, anche se offre il meglio di sé con la carne, specie se alla griglia o in arrosto.

LA VINIFICAZIONE

Il Rosso Igt Veneto Antale Natale Verga, come detto, ha il suo segreto nella raccolta leggermente tardiva delle uve Corvina, base tra l’altro di grandi vini rossi veneti come l’Amarone della Valpolicella, anch’esso ottenuto mediante preventivo appassimento degli acini. La fermentazione, indotta da lieviti selezionati, avviene a cappello emerso in vasche d’acciaio e si esaurisce in 14-15 giorni. Il processo si conclude con una macerazione che dura dai 10 ai 15 giorni. A dicembre il vino viene sottoposto alla fermentazione malolattica e trasferito in tonneaux di rovere francese, ove resta a maturare per 3 mesi. Dopo più di un secolo di attività, oggi alla quarta generazione, la casa vinicola Natale Verga Spa è una delle più presenti nella grande distribuzione organizzata italiana, con una vasta gamma di prodotti a marchi propri e private labels.

Prezzo pieno: 5,69

Acquistato presso: Il Gigante
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Nobile di Montepulciano, nuovo logo in passerella al Prowein di Dusseldorf

Tutti pazzi per il nuovo brand del Consorzio del Vino Nobile. Il restyling del grifo è piaciuto anche al mercato tedesco, ma non solo, che in questi giorni alla Prowein di Dusseldorf ha avuto il piacere in anteprima di vedere il nuovo logo campeggiare sullo stand consortile di una delle fiere di riferimento in Europa anche per il vino italiano. “Possiamo dirci più che soddisfatti di questa prima uscita fieristica dell’anno – commenta Andrea Natalini, presidente del Consorzio del Vino Nobile – per un mercato, quello tedesco che già nel 2015 è tornato a crescere, ma che per l’anno in corso sta già dando degli ottimi risultati già a partire da questo primo trimestre”. A Dusseldorf il Consorzio è stato presente anche quest’anno con uno stand che ha raccolto alcune aziende in forma diretta e la denominazione al completo presso il banco d’assaggio preso letteralmente d’assalto da operatori principalmente del mercato Mitteleuropeo, ma non solo dal momento che la Prowein è storicamente una fiera aperta al trading internazionale. Tre giorni di grande lavoro con centinaia di contatti diretti pronti a scoprire le ultime annate in commercio da poco presentate all’Anteprima del Vino Nobile, il Nobile 2013 e la Riserva 2012.

IL NUOVO LOGO

E in attesa di sfoggiare nell’appuntamento italiano dell’anno, il Vinitaly di Verona, a Dusseldorf il Consorzio del Vino Nobile si è presentato con il nuovo brand, derivato dal lungo processo di “restyling”. Il nuovo “sigillo” che accompagnerà i prossimi anni l’immagine coordinata del Vino Nobile è ancora il simbolo di Montepulciano, il grifo, proposto sotto un altro aspetto, ovvero seduto sopra la città, Montepulciano, a salvaguardia di questa, ma con le ali spiegate, pronto a spiccare il volo, così come ha fatto negli ultimi anni il suo vino. Proprio quello tedesco è il mercato dove il grifo, il Vino Nobile, è volato più in alto nel corso del 2015. La Germania infatti torna a crescere del 3 per cento con il 46% per cento del totale della quota esportazioni e resta il primo paese per le vendite del Nobile. Strepitosa performance anche per la Svizzera (+7%) che con il 17 per cento rappresenta un importante sbocco. Il dato più significativo arriva ancora una volta dagli Stati Uniti che segnano un + 10% nel 2015 arrivando a rappresentare il 20 per cento dell’export del Nobile. Successo anche per i mercati asiatici ed extra Ue con oltre il 7 per cento delle esportazioni. In linea con gli ultimi anni dunque anche il 2015 si conferma anno dell’export con una quota destinata all’estero pari all’80 per cento di prodotto, mentre il restante 20% viene commercializzato in Italia. A proposito di mercato nazionale le principali vendite sono registrate in Toscana per il 47%, dato al quale si aggiunge il 19 per cento delle vendite al Centro. Al Nord è stato venduto il 16% del totale, mentre è cresciuta del 4% toccando quota 17 per cento, la vendita diretta in azienda.

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Caramelle al Prosecco: la bufala del sequestro di Scotland Yard

Non si arresta la vendita delle Prosecco Gummies, nonostante le rassicurazioni del Consorzio Prosecco Doc. Le caramelle a forma di orsetto al gusto Prosecco sono tuttora in vendita nel Regno Unito, in una catena di grandi magazzini con base a Londra. Ma c’è di più. La casa produttrice, il negozio di dolciumi londinese SugarSin, letteralmente “Peccato di zucchero”, assicura che “entro primavera sarà in grado di spedirle in tutta Europa”. Per far luce sull’ennesimo scandalo che riguarda le bollicine venete è bastata un’email, inviata da vinialsupermercato.it a SugarSin, fingendoci un ingenuo cliente interessato all’acquisto delle Prosecco Gummies (vedi foto sotto). “Buongiorno – scriviamo – vorremmo sapere quanto Prosecco c’è nelle vostre caramelle? E’ il vero Prosecco italiano o è inglese? Perché le caramelle non sono alcoliche, se contengono Prosecco? Grazie molte”. Sugar Sin abbocca all’amo. E ci risponde così, pochi minuti fa: “Ciao Davide, grazie per l’email. Le caramelle sono fatte con vero Prosecco italiano, però l’alcol evapora durante la fase di produzione. Produciamo queste caramelle in Germania. Cordiali saluti, Josefin”. Le caramelle in questione risultano tuttavia attualmente out of stock, ovvero terminate, sul sito Internet SugarSin. Un effetto del sequestro effettuato da parte di Scotland Yard? Forse. Le forze dell’ordine inglesi si sarebbero mosse, secondo quanto riferisce l’ufficio stampa del Consorzio Prosecco Doc, già sul finire dello scorso anno, “in seguito alla segnalazione dei tre consorzi del Prosecco, in concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico italiano, Interpol, Europol e Agenzia Internazionale delle Dogane”. Eppure, la risposta di SugarSin è di tutt’altro tenore. “We are aiming to have new stock – assicura sempre la diligente Josefin – in within the next two weeks”. Ovvero: “La merce sarà nuovamente a disposizione entro le prossime due settimane”. “At the moment we only ship within the Uk but are hoping to include the rest of Europe later this spring. Would you like me to email you once this is in place?”. Tradotto: “Al momento le spediamo solo nel Regno Unito, ma speriamo di includere il resto dell’Europa entro la prossima primavera”. Che dire? Il mercato del Made in Italy tarocco, funziona. Eccome. A suon di 6,50 sterline a pacchetto. Spedizione esclusa.
 
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Vini al supermercato, crescono le vendite nella Gdo italiana: Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano al top

Torna a crescere il volume e il valore delle vendite di vino nei supermercati italiani. Aumentano anche i prezzi medi, mentre la pressione promozionale rimane invariata. Sono queste le prime anticipazioni dell’istituto di ricerca Iri, in vista di Vinitaly 2016. Tra i vini più venduti d’Italia crescono Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano. Passerina, Valpolicella Ripasso e Nebbiolo sono gli outsider. Bene anche gli spumanti e il vino biologico. Dopo anni di stasi, insomma, si registra una crescita più decisa
delle vendite di vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (Gdo), sia in volume che a valore. In attesa della 50° edizione di Vinitaly, che si terrà a Verona dal 10 al 13 aprile, Iri ha elaborato in esclusiva per Veronafiere i dati sull’andamento di mercato nel 2015. Le vendite delle bottiglie da 75cl aumentano del 2,8% a volume rispetto al 2014, e le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg, Igt) del 1,9%. Rispettivamente le vendite a valore crescono del 4,0% e del 3,8%. “Una crescita doppiamente positiva – ha commentato Virgilio Romano, Client Solutions Director di Iri – perché non è stata stimolata né dalla crescita promozionale né da prezzi in calo. La pressione promozionale, infatti, rimane su livelli alti ma inalterati rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi sono in aumento: i vini a denominazione di origine, ad esempio, hanno prezzi medi in crescita dell’1,9%. Dopo un lustro di assenza, la crescita contemporanea di volumi e valori ci lascia ben sperare per gli anni futuri”. Risultati positivi anche per gli spumanti venduti in Gdo: + 7,8% a volume e +7,5% a valore, anche se il prezzo medio è leggermente ridimensionato rispetto al 2014. I vini biologici crescono a volume del 13,2% (a valore del 23%), ma i litri venduti sono ancora limitati: un milione e 630 mila.

“IL CONSUMATORE E’ PIU’ MATURO”
“A poco più di un mese dal via del 50° Vinitaly  – spiega Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere – si tratta di anticipazioni che fanno ben sperare in una crescita più strutturale del mercato interno del vino. Da sottolineare il continuo aumento delle vendite a valore, segno che il consumatore è più maturo: ricerca e sceglie la qualità. Si tratta di una strada che con Vinitaly abbiamo sempre sostenuto e promosso a livello commerciale e culturale, nelle nostre iniziative e negli incontri b2b tra Gdo, aziende e buyer”. Il vino più venduto in assoluto nei supermercati italiani rimane il Lambrusco con 12 milioni e 771 mila litri venduti, sempre tallonato dal Chianti, che vince però la classifica a valore. Al terzo posto sale lo Chardonnay, un bianco di vitigno internazionale, che cresce del 9% a volume. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (+4,6%), del Vermentino che cresce dell’8,5% e del Trebbiano (+5,6%). Tra i vini “emergenti”, cioè quelli che hanno fatto registrare nel 2015 un maggior tasso di crescita, il primo posto va alla Passerina marchigiana, con una progressione del 34,2% che va a bissare il successo registrato negli anni scorsi dal Pecorino (Marche e Abruzzo), classificatosi stavolta 3°. Due bianchi con prezzi medi a bottiglia di circa 4 euro. Da notare la seconda posizione del veneto Valpolicella Ripasso e la quarta posizione del piemontese Nebbiolo, che costano mediamente 7,69 euro il primo e 5,91 euro il secondo, a conferma che le crescite si leggono anche su vini importanti in termini di prezzo e di complessità. La ricerca completa verrà presentata nel corso della tavola rotonda su vino e grande distribuzione che si terrà a Vinitaly lunedì 11 aprile, alle ore 10.30 nella sala Vivaldi del PalaExpo, con la partecipazione di produttori e distributori.

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Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj 2015, Le Carline

(3 / 5) Vino ”eticamente corretto” il Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj prodotto dall’azienda agricola Le Carline di Pramaggiore presente con due rossi e due bianchi sullo scaffale del supermercato. Biologico, vegano e senza solfiti il tris di aggettivi a corredo del prodotto.
Tipologia di vino che risponde ad una richiesta di mercato, che seppur ancora di nicchia, si sta facendo sempre più strada nella nostra cultura e nella grande distribuzione. La menzione “vegano”, non passa inosservata in un supermercato ”generico” e non specializzato, ragion per cui finisce sotto la nostra lente di ingrandimento.
LA DEGUSTAZIONE
Appena aperto sembra avere un sentore acre,  quasi ”acetico”, che sparisce con una adeguata ossigenazione. Dopo un’oretta dall’apertura, il Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj prodotto dall’azienda agricola Le Carline prende vita e si rivela un vino totalmente diverso. Finalmente lo spettro olfattivo si delinea anche se resta pressoché semplice: vinoso con leggeri sentori fruttati ed erbacei.
Al gusto è di corpo medio, caldo ”meno”: sembra leggermente vivace, rotondo e secco. Un vino fresco, leggermente sapido e giustamente tannico. Leggero con una gradazione del 12% di alcol in volume è un vino tranquillo da tutto pasto che si fa bere comunque con piacevolezza. Impiega un po’ a carburare il che potrebbe essere di difficile interpretazione per i consumatori più impazienti.  Non è il classico vino chiavi in mano o da ”colpo di fulmine”, richiede una “conoscenza” primaria minima prima di rendersi più interessante.
Sicuramente di ottimo rapporto qualità prezzo in un segmento di mercato che risulta quasi sempre poco accessibile è adatto ad arrosti, fritti ed umidi, carni bianche e rosse oppure da abbinare a salumi e da giovanissimo anche alla frittura di pesce, per buona pace dei vegani.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Merlot nella zona Lison Pramaggiore secondo le regole del reg.UE 203/2012 per il vino biologico e con il disciplinare per la certificazione dei prodotti destinati ai consumatori vegetariani e vegani. Il prodotto è quindi frutto della sola fermentazione del succo di uva senza aggiunta di alcun additivo. Dopo il raccolto le uve vengono pulite e raffreddate e le bucce macerate in via dinamica con follatura tradizionale. La fermentazione avviene a temperatura controllata. Dopo la malolattica e il contatto per alcuni mesi con la propria feccia fine, il vino viene illimpidito e conservato a temperatura controllata in acciao prima di essere imbottigliato.
La linea di prodotti a marchio ”Tenuta del Giaj” raggruppa i vini destinati ai negozi della Grande Distribuzione Organizzata. Giai è una frazione di Annone Veneto, una delle Città del Vino facenti parte dell’area Doc Lison Pramaggiore insieme alla stessa Pramaggiore, San Stino di Livenza e Portogruaro, dalla quale provengono  parte delle uve biologiche utilizzate. Dal 1988 l’azienda agricola Le Carline di Pramaggiore produce vini biologici e dal 2010, per seguire la crescente richiesta  di consumo di alimenti senza sostanze chimiche, ha investito anche nella linea senza solfiti aggiunti.
Prezzo pieno: 5.90 euro
Acquistato presso: U2/Unes
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Fiera Pessima 2016 ospita Bruno Vespa vignaiolo e ”quasi cittadino” di Manduria

C’era anche Bruno Vespa , ospite ed interlocutore al convegno sul vino di venerdì alla ”Fiera pessima” 2016 di Manduria. Dal 2014 infatti il noto giornalista è entrato a far parte della categoria dei vignaioli con la sua azienda Futura 14 e il suo marchio ”Vespa Vignaioli per passione”. Nel luglio del 2015 ha acquistato la masseria Li Reni a Manduria, tenuta nella quale saranno impiantati 12 ettari di Primitivo. Nonostante le origini abruzzesi e le pressioni del governatore della Regione Abruzzo, Bruno Vespa ha scelto per la seconda volta la Puglia. Un amore nato già tempo fa: il giornalista era infatti socio, con altre tre persone della masseria Cuturi, società che ha abbandonato in seguito a scontri di visione sulle strategie. La migliore società è fatta da un numero di soci dispari e il numero deve essere minore di tre si usa dire: questa volta il giornalista ha scelto di correre quasi in solitaria, condividendo solo con i due figli l’enoica impresa. ”Coltiverò solo vitigni autoctoni” ha dichiarato il giornalista che ha anche annunciato il lancio di un vino rosato che denominerà ”FlaRo”, in onore delle due tenniste pugliesi Flavia Pennetta e Roberta Vinci.

Non c’è tempo da perdere per Bruno Vespa: ”Girando fra gli stand della Fiera, ho appreso che a Manduria si è iniziato ad imbottigliare il vino nel 1970. Nel 1975 è stata creata la denominazione ad origine controllata. Poi tutto è caduto nel dimenticatoio sino al 1998. Pensate a quanto tempo si è perso. Ma gli errori del passato ora diventano opportunità del futuro”. Negli anni 80 infatti anche un’azienda di Manduria era stata coinvolta nello scandalo del metanolo, ma è proprio dalla presa di coscienza che ne è seguita che è nato un grande vino, il Primitivo di Manduria e in generale il vino italiano ha raggiunto livelli di eccellenza. ”Avrei potuto fare il commerciante dei vini: li avrei acquistati, avrei apposto il mio nome e li avrei immessi nel circuito commerciale, invece ho scelto di produrli, con la speranza di raccontare il mio vino nel mondo” ha affermato Vespa. A Fiera Pessima 2016 nessun plastico, fortunatamente, della tenuta che diventerà anche relais vista vigne, solo tanta gioia da parte del giornalista per l’ottenimento dei permessi edilizi e per la promessa della cittadinanza onoraria.

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Damarino Sicilia Doc Bianco 2014, Donnafugata

(3,5 / 5) E’ solo uno dei tanti “volti del vino” che la casa vitivinicola siciliana Donnafugata cerca di conferire ai suoi prodotti. Damarino, ovvero la fusione tra un tralcio di vite, il suo grappolo, e il viso di una donna. La prosperità della natura e la grazia della femminilità. E di fatto Damarino Sicilia Doc Bianco 2014 Donnafugata è un vino ammiccante. Semplice, pur nella sua profonda essenza. Nel calice l’uvaggio Ansonica (Inzolia), in blend con una piccola percentuale di vitigni autoctoni, si presenta di un giallo paglierino intenso. Al naso è ricco e avvolgente: la frutta a polpa bianca (pera, pesca) si fonde con note agrumate più austere, mitigate da sentori floreali di zagara e vegetali di macchia mediterranea, che ricordano la fresca salvia. Al palato la freschezza la fa appunto da padrona, nel ripetuto rincorrersi tra le note fruttate, agrumate e vegetali già percepite all’olfatto. Di buon corpo, nonostante la leggera alcolicità, Damarino Sicilia Doc Bianco 2014 Donnafugata si rivela rotondo, secco ed equilibrato. Intenso, mediamente fine e sufficientemente persistente, ha uno stato evolutivo maturo e si presta a una consumazione entro i tre anni dalla vendemmia. Ottimo come leggero aperitivo, Damarino si abbina a piatti non troppo elaborati di pesce, per esempio bollito.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Ansonica, conosciute anche con il nome di Inzolia, costituiscono la base prevalente del blend, profondamente legato al territorio siciliano. Le viti crescono nei vigneti Donnafugata situati nella Sicilia sud-occidentale, più precisamente alla Tenuta di Contessa Entellina e nei territori limitrofi, a un’altitudine che varia tra i 200 e i 600 metri sul livello del mare. I suoli sono di tipo franco-argilloso, ricchi in elementi nutritivi come potassio, magnesio, calcio, ferro, manganese, zinco. La vite viene allevata col sistema della controspalliera, con pali in legno e fili in acciaio e potatura a cordone speronato, lasciando da 6 a 10 gemme per ogni pianta. La densità varia dalle 4.500 alle 6 mila piante per ettaro, con rese di circa 85 quintali (1,7 kg per pianta). L’Inzolia, in occasione della vendemmia 2014, è stata raccolta nella seconda decade di settembre. La fermentazione è avvenuta in acciaio, alla temperatura di 14-16 gradi. Il vino è poi affinato in vasche d’acciaio e in bottiglia per almeno due mesi, prima di essere commercializzato.

Prezzo pieno: 7,40
Acquistato presso: Carrefour

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Vini al supermercato

Gavi Docg Maddalena Massone 2015, Stefano Massone

(4 / 5) Prodotto e imbottigliato a Capriata d’Orba dall’azienda agricola Stefano Massone, il Gavi Docg Maddalena Massone è uno dei migliori prodotti ad uva Cortese per fascia prezzo nella grande distribuzione organizzata. In vendita esclusivamente nei supermercati della catena Il Gigante, arriva a costare poco più di 3,50 euro in promozione: un affare per quello che è in grado di offrire. La nostra degustazione è relativa alla freschissima vendemmia 2015. Di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, si offre spavaldo e complesso al naso, con sentori floreali e fruttati freschi (pesca, mela) e addirittura esotici (banana). Sullo sfondo richiami eleganti di mandorla amara. E una vena vagamente speziata, aristocratica, che ricorda la noce moscata. Al palato, il Gavi Docg Maddalena Massone denota corrispondenza gusto-olfattiva: ecco nuovamente la frutta (pesca e mela) ma soprattutto la speziatura di noce moscata. Vino secco di buon corpo, piacevolmente rotondo, fresco e sapido, raggiungerebbe la perfezione se fosse in grado di esprimere un pizzico di alcolicità maggiore, a far da contraltare alle note speziate. Ma l’equilibro è comunque raggiunto. Perfetto come fresco aperitivo, il Gavi Docg Maddalena Massone può essere abbinato a primi a base di verdure, frittate, secondi di pesce (dal carpaccio di spada al branzino), ma anche a formaggi non stagionati, alla pizza Margherita o al sushi giapponese.

LA VINIFICAZIONE

Per l’ottenimento di questo vino vengono utilizzate uve Cortese in purezza, provenienti dai 50 ettari di vigneti dell’azienda agricola Stefano Massone, dislocati nei Comuni di Carpiata d’Orba, Francavilla Bisio e Gavi, tutti in provincia di Alessandria, vero e proprio crocevia del triangolo Torino-Milano-Genova. I vigneti, allevati a Guyot, sono esposti a Sud-Ovest-Est a un’altitudine compresa tra i 240 e i 320 metri sul livello del mare. Le radici affondano in terreni compatti, argilloso marnosi. Quattromiladuecento le viti per ettaro, in grado di rendere 6.500 litri di vino per ettaro. Le uve vengono raccolte durante il mese di settembre, in parte meccanicamente e in parte manualmente. Vengono quindi sottoposte a una pressatura soffice e il mosto travasato in vasche termo condizionate con inoculo di lieviti selezionati. Terminata la fermentazione a temperatura controllata, il vino ottenuto viene travasato e lasciato ad affinarsi naturalmente. Dopo la precipitazione dei tartrati, che avviene in maniera naturale a freddo, il vino viene imbottigliato e lasciato a riposare per un breve periodo, prima della commercializzazione.
Prezzo pieno: 6,15 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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Concorso “Miglior sommelier d’Italia”, accordo triennale Ais – Trentodoc

Si apre con l’edizione 2016 la collaborazione tra Trentodoc e Ais Associazione italiana sommelier per il Concorso che tradizionalmente assegna il titolo di miglior sommelier italiano e candida il vincitore alle finali mondiali. L’accordo, già approvato ufficialmente dai rispettivi vertici, prevede un impegno triennale che sarà siglato congiuntamente al prossimo Vinitaly tra i presidenti Antonello Maietta per Ais ed Enrico Zanoni per Trentodoc. Nelle prossime tre edizioni l’annuale competizione assumerà la denominazione Concorso Miglior Sommelier d’Italia – Premio Trentodoc. Il Concorso rappresenta la vetrina più prestigiosa nell’ambito della sommellerie italiana e ha come obiettivo la promozione della cultura vitivinicola nazionale attraverso la figura professionale del sommelier. I candidati, superate le selezioni per il titolo regionale, devono affrontare una serie di impegnative prove scritte e pratiche, che assegneranno al più preparato comunicatore del vino il titolo di Campione e il Premio Trentodoc. “È per noi motivo di orgoglio – dichiara il Presidente Ais Antonello Maietta – poter avere al nostro fianco un organismo che fin dalla sua fondazione, nel 1984, ha fatto della tutela del territorio e della valorizzazione della qualità il suo vessillo”. L’Istituto promuove il marchio territoriale Trentodoc, che identifica la produzione spumantistica di Metodo Classico trentina. “Siamo molto felici della collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier – evidenzia Enrico Zanoni, presidente dell’Istituto Trentodoc – organizzazione di assoluto valore, così come della partnership relativa al concorso miglior sommelier d’Italia. Si tratta di un passo fondamentale per affermare la qualità e l’unicità di Trentodoc, bollicine di montagna, rappresentato oggi da 43 case spumantistiche trentine”. La sintonia di intenti volta alla qualificazione di una figura professionale di crescente importanza nel panorama della promozione delle eccellenze italiane è il miglior auspicio per il rinnovato successo dell’evento targato Ais, dove un partner quale l’Istituto Trento Doc rappresenta “il suo ideale completamento”.
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Prosecco Gummies, il Regno Unito della contraffazione Made in Italy

La contraffazione del Made in Italy trova terreno fertile su Internet. A finire nella “rete” del tarocco, ancora una volta, è il Prosecco Doc. Le bollicine più famose d’Italia, oggetto di un vero e proprio boom di consumi a livello internazionale, diventano così l’ingrediente di una caramella gommosa. Avete presente gli orsetti Haribo? Un negozio di dolciumi di Londra, SugarSin, letteralmente “Peccato di zucchero”, ha copiato la forma e iniziato a commercializzare le Prosecco Gummies. “A unique tasting, fruity gummy bears
– si può leggere nella scheda prodotto sul sito dello store inglese – with a delicious taste of sparkling prosecco. These indulgent fruity sweets are beautifully presented in a SugarSin signature large glass jar. It is an exciting gift for any occasion as well as a tasty treat for yourself. A teddy for grown ups“. Ce lo ha segnalato un attento lettore di vinialsupermercato.it, facendo scattare la nostra indagine. L’ufficio stampa del Prosecco Doc assicura che le caramelle in questione “sono già state ritirate dal mercato”. Sul finire del 2015, i tre consorzi del Prosecco (Doc e Conegliano e Asolo Docg) hanno contattato le forze dell’ordine inglese. Scotland Yard, in concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico italiano, Interpol, Europol e Agenzia Internazionale delle Dogane avrebbe dunque “proceduto al sequestro delle caramelle col marchio Prosecco contraffatto”.

GOOD SAVE PROSECCO
Le Prosecco Gummies risultano di fatto ancora in bella vista sul sito web SugarSin, ma risultano “out of stock”: non disponibili. Chi invece continua a dichiarare di averne in magazzino è il department store John Lewis, una catena di grandi magazzini di vendita al dettaglio che può contare su una rete ben consolidata nel Regno Unito. Da Glasgow a Manchester, da Newcastle a Cambridge, senza dimenticare Cardiff, Birmingham e i tre megastore di Londra. Sul sito web della John Lewis ne risultano “more than 10 in stock“. Proviamo allora a procede all’acquisto online, al prezzo di 6,50 sterline, lo stesso precedentemente praticato dalla SugarSin per un barattolo da 250 grammi di Prosecco Gummies. La consegna all’estero non è prevista e proviamo dunque a richiedere il ritiro in uno degli store della catena. Basta inserire l’indirizzo e il gioco è fatto. Alla modica cifra aggiuntiva di 2 sterline. Le caramelle taroccate al Prosecco ci sarebbero così costate 8,50 sterline. Quasi 11 euro, insomma, per 250 grammi di orsetti dal “delizioso sapore di frizzante/scintillante prosecco”. Un affare, no?

 
 

 
 

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Vini al supermercato

Barbera d’Alba Doc 2012 Egidio, Bosio Vini

(4 / 5) E’ un vino che cambia e si evolve col passare dei minuti nel calice il Barbera d’Alba Doc 2012 Egidio dell’azienda agricola Bosio. Nome importante per questo vino fermo, che richiama il fondatore Egidio Bosio, padre dell’attuale conduttore dell’impresa di Santo Stefano Belbo, Valter Bosio. Lo notiamo a prezzo stracciato in un ipermercato Finiper (Iper la Grande I) e fiutiamo l’affare: trattasi, come spiega un commesso, di una “promozione smaltimento”. Tutta la giacenza al 50%, per intenderci. Lo conserviamo qualche giorno in cantina, prima di dedicarci alla degustazione. La capsula si presenta in ottimo stato e dal collo della bottiglia comincia già a sprigionarsi una ventata di frutta.

Lo versiamo. Il calice si tinge di un rosso rubino intenso, con riflessi granati: limpido, poco trasparente, indice di ottima presenza polifenolica. L’unghia granata è la firma degli anni ormai trascorsi dalla vendemmia 2012, ma anche la conferma che il vino è stato affinato a lungo in barrique, come indica la scritta sotto al nome stilizzato “Egidio”. Al naso si libera la frutta rossa già percepita pochi secondi prima: ribes, lampone. Ma ecco anche percezioni speziate, di cuoio, liquirizia, tabacco e vaniglia. Un olfatto decisamente complesso. Al palato, il Barbera d’Alba Egidio Bosio si conferma vino di corpo, di alcolicità calda, ben calibrata con una sapidità non certo consueta, che sorprende a differenza di un’acidità che si conferma fresca, come richiede qualsiasi buon Barbera. I frutti rossi, come evidenzia la stessa etichetta descrittiva, “danzano” veramente in bocca assieme alle spezie e a chiari sentori di tostatura conferiti dal legno delle barriques. Poggiamo il calice, soddisfatti. E quando lo rialziamo per un altro sorso, ecco che ci troviamo al cospetto di nuove evoluzioni olfattive. Quelle vegetali. Al naso giungono sentori di alloro e rosmarino che si aggiungono a quelli fruttati e speziati già evidenziati in precedenza. Anche il palato si evolve e dà vita a una l’eccezione Intensa, tattile, di zafferano. L’ossigenazione, insomma, corona il buon affare compiuto da Iper. E il retro olfattivo intenso, mediamente fine e decisamente persistente dimostra ancora una volta (ce n’è davvero ancora bisogno?) che bere bene al supermercato si può, senza spendere cifre da capogiro. Il Barbera d’Alba Egidio Bosio si sposa alla perfezione col brasato, con formaggi a pasta molle (da provare con la Toma), ma anche con primi grassi ed elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Si tratta non a caso del vino “top di gamma” dell’azienda agricola Bosio. Dalle vigne, tutte situate nell’area di Alba, giungono in cantina solo i migliori grappoli. Dopo la pigiatura e la prima fermentazione, il mosto viene sottoposto a fermentazione malolattica, in modo da ingentilire le spigolosità del vitigno favorendo la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino riposa dunque in barriques di rovere francese per 18 mesi. Un anno e mezzo, dunque, prima di finire in commercio. Per acidità e tannino, il Barbera d’Alba Bosio si presta a un buon invecchiamento, anche se riteniamo vada consumato entro 4-5 anni dall’anno di vendemmia. Bosio Vini è una realtà ben consolidata del panorama piemontese, che dal suo quartier generale della frazione Valdivilla, strada Borelli 10, a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, distribuisce il proprio nettare in Europa e nel mondo, dal Canada all’Asia.

Prezzo pieno: 9,40 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I (Finiper)

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Un successo Live Wine 2016 a Milano

Quasi 5 mila visitatori in tre giornate, 146 espositori, 700 vini in assaggio, 17 banchi dedicati al cibo di qualità artigianale e 250 tra giornalisti e blogger accreditati. Sono i numeri che sanciscono lo straordinario successo dell’edizione 2016 di Live Wine, la “seconda volta” del Salone Internazionale del Vino Artigianale al Palazzo del Ghiaccio di Milano, il 5-6-7 marzo scorsi. Un sensibile incremento delle presenze in tutte e tre le giornate tra appassionati, operatori di ristoranti ed enoteche, sommelier professionisti e distribuzioni internazionali. Tutti accorsi a degustare i prodotti di 141 cantine, di cui 28 estere. “Con l’edizione 2016 – dichiarano in una nota gli organizzatori Christine Marzani e Lorenzo de’ Grassi – abbiamo avuto la conferma che un numero sempre maggiore di persone, ben 4.800 quest’anno, hanno piacere a bere un vino più vivo e più naturale. Avere la possibilità di conoscere questi vini e i viticoltori che li producono è un’esperienza straordinaria e emozionante che in molti casi induce i nuovi visitatori a un cambiamento radicale nel modo di intendere il vino e la qualità del bere”. Il Palazzo del Ghiaccio si è riconfermata la location perfetta per il suo fascino estetico, la luminosità e l’acustica ideale, e per contenere il vasto pubblico della manifestazione proveniente da tutta Italia e dall’estero. Molto apprezzata l’area tematica che si è tenuta nella Sala Piranesi, lo spazio insonorizzato con vista sull’intero Salone. Le quattro degustazioni speciali condotte da Samuel Cogliati hanno avuto un grande seguito, in particolare quella intitolata “Laguna nel bicchiere” con i rarissimi vini prodotti a Venezia e nelle isole circostanti. Registrato il tutto esaurito per la degustazione delle birre belghe Lambic condotta da Patrick Böttcher. A coronamento dell’evento, anche quest’anno le serate Live Wine Night, organizzate in diversi ristoranti e enoteche della città, che hanno permesso a produttori e consumatori di incontrarsi in un ambiente conviviale e di avere un confronto più ravvicinato e diretto. Grande partecipazione al Live Wine Night Party, organizzato dagli ideatori del Salone, che si è tenuto nella centralissima Cascina Cuccagna, dove era possibile degustare i vini dei produttori presenti in fiera in un’atmosfera carica di ritmo e vivacità.
 
 
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Vinitaly 2016, la Federazione italiana Vignaioli Indipendenti raddoppia le presenze

La Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, torna a Vinitaly con una presenza più che raddoppiata. Quest’anno i vignaioli indipendenti saranno 116 in un’area espositiva dedicata di 640 metri quadri. Lo scorso anno erano 53 produttori in 288 metri. Come nella passata edizione, lo spazio Fivi si trova
all’interno del Padiglione 8, che quest’anno ospita anche le aree VinitalyBio e ViViT creando un percorso tra produttori che condividono valori di trasparenza, autenticità e individualità. “Nuovi vignaioli – dichiara Leonildo Pieropan, vicepresidente Fivi – hanno sentito la necessità di essere presenti insieme a noi quest’anno a Vinitaly per dare un segnale forte di associazione. Noi vignaioli rivendichiamo un ruolo importante nel territorio di appartenenza e garantiamo l’autenticità dei vini, in quanto frutto del nostro lavoro che seguiamo dalla vigna alla bottiglia. Vinitaly a Verona è un’occasione per farci conoscere dagli operatori del settore ma anche per raccontare in prima persona, con il cuore, il nostro vino”. Oltre alle 116 aziende, provenienti da tutte le regioni italiane, nell’area FIVI sarà presente un banco informativo dell’associazione dove essere aggiornati sulle tante iniziative portate avanti dalla federazione. Altre aziende associate saranno presenti in fiera con un proprio stand espositivo indipendente, nelle posizioni consuete. Inoltre, i vini di alcuni produttori FIVI saranno i protagonisti di una degustazione sui vini artigianali organizzata da Ian D’Agata lunedì 11 aprile dalle ore 15 alle 17 in sala Argento di Palaexpo. L’hashtag ufficiale è #siamoFIVI. Lo stesso utilizzato l’anno scorso quando fu uno dei top trend di Vinitaly 2015 sui social. L’Area FIVI è al Padiglione 8, stand B8-B9, C8-C9, D8- D9, E8-E9.
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Greco, Fiano e Taurasi: le docg irpine debuttano al Prowein

Sarà Alessandro Scorsone, uno tra i più noti sommelier italiani, volto televisivo e curatore di guide, a fare da padrino ai vini irpini che per la prima volta sbarcheranno al Prowein di Düsseldorf. La partecipazione alla fiera, considerata da molti operatori di settore quella con il più alto tasso di professionalità è stata fortemente voluta dalla Camera di Commercio di Avellino, da sempre attenta alla promozione dei vini irpini che già detengono una quota export del 15% verso la Germania per un valore di 2.4 milioni di euro. In programma presso lo stand De.s.a. (Deutschland Sommelier Association) nel padiglione Italia, da sempre uno dei più frequentati, wine tasting delle tre Docg Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi, uno al giorno. ”Tre degustazioni da non perdere per approfondire la conoscenza con tre vini che raccontano un sud Italia sorprendente, diverso, tutto da scoprire”, ha dichiarato Sofia Biancolin, presidente De.s.a.  Tre vini di grande valore prodotti in pochi chilometri quadrati secondo Scorsone che li fa rientrare di diritto nel gotha della produzione enoica mondiale, con delle etichette in grado di stupire anche gli esperti più smaliziati.

Le tre Docg irpine rappresentano il 75% delle Docg Campane. Curioso che sul sito del Consorzio di Tutela dei Vini Irpini, che sembra quasi abbandonato, non si faccia menzione dell’evento e che sia stata proprio la Camera di Commercio a farsi carico del “battesimo” di questi grandi vini al Prowein. Il Consorzio di Tutela dei Vini Irpini durante il recente convegno ”L’Irpinia del Vino tra mercato locale e mercato globale”, tenutosi lo scorso 25 Febbraio ad Avellino è stato fortemente attaccato. Ritenuto inefficace ed inesistente, sono state richieste richieste le dimissioni della Presidentessa Milena Pepe, colpevole di non aver saputo rivoluzionare quest’organismo che in questi anni non ha fatto nulla per le aziende del territorio, a causa soprattutto dell’egocentrismo di molte cantine troppo concentrate a far crescere il loro di brand e senza rendersi conto che l’unico modo di affacciarsi al mercato sia quello di fare strategie comuni. Modalità operative ben distanti dal vincente Consorzio dei Vini Sannio, che sarà comunque presente al Prowein o da realtà come quelle della Toscana che ha addirittura dato luce ad A.vi.to proprio per intraprendere azioni coese sui nuovi mercati.

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Vini al supermercato

Trento Doc Brut Cantine Atesine sboccatura 2014

(5 / 5) ”Le cose migliori arrivano quando meno te lo aspetti”. Nel caso specifico la cosa inaspettata è la finezza dello spumante metodo classico Trento Doc Brut prodotto dalle Cantine Atesine di Trento. Nulla da invidiare a nomi altisonanti, cosiddetti leader di prodotto, che si possono trovare in gdo e non solo. Uno spumante classico, il Trento Doc delle Cantine Atesine che, visto così con un’etichetta di poco appeal, passa un po’ inosservato. L’apparenza però spesso inganna, infatti una volta stappato si è rivelato uno spumante di grande personalità. Va detto che le produzioni del Trentino, anche per la gdo, si distinguono sempre. Con le cantine trentine si casca sempre bene.

LA DEGUSTAZIONE
Per quanto riguarda l’analisi organolettica, il Trento Doc Brut Cantine Atesine, nel calice si presenta di un bel giallo paglierino dorato con un perlage mediamente fine ed estremamente persistente, anche se diffuso su più di una catenella. Un naso di grande freschezza, elegante,  con dolci note fruttate di mela e agrumi, fiori delicati, accenni di lieviti e crosta di pane a completare un quadro invitante. Al palato una bollicina incisiva al punto giusto, un buon corpo accompagnato da una vivace vena acidità, sapidità e mineralità per un sorso armonioso. Un finale persistente e retrogusto con sfumature agrumate. Una di quelle bottiglie che con i suoi 12,5% di gradazione, alla giusta temperatura di servizio, si svuota rapidamente. Ma noi di vinialsupermercato, anche se farà inorridire qualcuno, abbiamo conservato (bene) un bicchiere per il giorno successivo, proprio per testarne la tenuta. Ebbene, al secondo giorno sembrava appena stappato e altrettanto gradevole. Lo spumante Trento Doc Brut, ha un residuo zuccherino di 4 g/l. E’ ideale come aperitivo, con pietanze a base di pesce, ma anche a tutto pasto, addirittura con la pizza e la piadina, come viene proposto nei brunch after ski.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Chardonnay da vigneti di accertata vocazionalità situati a nord est di Trento che godono di ottima esposizione. La denominazione di origine controllata ”Trento” identifica il Trentino vitivinicolo ed impone la spumantizzazione secondo il metodo classico di rifermentazione in bottiglia. Le uve sono raccolte a mano. Dopo la diraspatura segue una macerazione sulle bucce di 10/12 ore, illimpidimento naturale del mosto, aggiunta di lieviti selezionati, fermentazione e sosta di 3/4 mesi sui lieviti prima del tiraggio. In primavera viene fatta la cuvée e preparato il vino base che viene posto a rifermentare in bottiglia. per un periodo di sosta minimo sui lieviti di 15 mesi. Lo spumante Trento Doc prodotto da Cantine Atesine riporta in contro etichetta la data di sboccatura 2014, come previsto dal disciplinare. Le produzioni che hanno una sosta sui lieviti inferiore a 24 mesi non possono indicare l’annata, ma devono indicare la sboccatura appunto. Le Cantine Atesine, si trovano a Casteller in provincia di Trento e sono specializzate nella produzione e ingrosso di vini e spumanti.
Prezzo pieno: 6.99
Acquistato presso: Penny Market
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The Wine Advocate 2016: cartellino rosso per i Sauvignon friulani

La tutela del giudizio ed il rispetto per i consumatori americani sopra ogni cosa. Questa la ragione che ha spinto Monica Larner, ad escludere i produttori di Sauvignon friulano dalle recensioni 2016 della nota rivista americana The Wine Advocate. Nel corso del mese di settembre 2015, tra Udine e Gorizia erano stati sequestrati in 17 cantine, una serie di campioni di mosto, contenenti un preparato innocuo dal punto di vista della salute, ma non previsto dal disciplinare di produzione. Il preparato, riconducibile al consulente Ramon Persello, collaboratore di numerose cantine friulane e non solo, indicato come ”genio della chimica” sarebbe stato in grado di esaltare i profumi del vino rendendoli concorrenziali anche nelle annate peggiori. Le lunghe tempistiche della nostra giustizia ,che non si sono smentite nemmeno per la Sauvignon Connection, non hanno aiutato la responsabile italiana della rivista, che ha atteso fino all’ultimo notizie certe dalla magistratura. ”Proprio per riuscire ad avere più certezze sulla vicenda ho fatto slittare il capitolo della rivista dedicato ai vini friulani ad aprile, quando tradizionalmente esce quattro mesi prima, tra novembre e dicembre. Ma ormai non possiamo più aspettare, perchè la vendemmia 2015 è praticamente già in commercio”. La rivista non è nuova a queste decisioni, aveva destinato la stessa sorte nel 2008 al Brunello di Montalcino, per lo scandalo Brunellopoli. Uno stop cautelativo dunque, per queste etichette che sono molto apprezzate dai consumatori americani e che hanno un grosso riscontro in termini economici per i produttori, considerato che il prezzo al dettaglio negli States si aggira intorno alla media dei 100 dollari. In attesa dei risultati delle analisi della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento), guidate dal dottor Mario Malacarne e di ulteriori sviluppi sull’inchiesta, Monica Larner parlerà comunque dell’accaduto durante la presentazione dell’annata vinicola friulana, senza entrare però nei particolari di quello che è uno scenario davvero dalle tinte fosche.”Può darsi che sia scaturito tutto da qualche invidia tra vignaioli, non mi stupirei e non sarebbe una caratteristica solo dei friulani, funziona così un po’ in tutta Italia, basti pensare che a Montalcino, dove si produce il Brunello, arrivano persino a rigare le auto dei concorrenti” ha osservato la curatrice.

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Intreccio Chardonnay Blanc de Blancs spumante Brut, Cavit

(4 / 5)Novità in assortimento da Esselunga e non manchiamo l’appuntamento con la degustazione. Siamo nel mondo delle bollicine trentine Charmat con Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay vino spumante Brut della nota casa vinicola Cavit Trento. Uno sparkling wine ottenuto dunque mediante rifermentazione in autoclave (Metodo Martinotti) sulla base della tradizionale esperienza spumantistica di Cavit, che differisce dal Metodo Classico o Champenoise del disciplinare Trento Doc. Passiamo dunque al profilo organolettico. Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay vino spumante Brut Cavit si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdolini. La grana del perlage è mediamente fine e persistente. All’olfatto è intenso, fine e di complessità sottile: ai freschi sentori di mela Golden fa eco una crosta di pane fragrante. Stesse percezioni al palato, che si fa apprezzare per freschezza e corpo. Buona l’alcolicità (12%), morbidezza rotonda, indistinguibile la presenza di zuccheri residui, come vuole un buon Brut. Leggermente sapido, Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay Cavit risulta dunque un vino spumante ben equilibrato, che punta tutto sulla freschezza della beva. Aspetto che ritroviamo anche in un retro olfattivo intenso, fine, sufficientemente persistente. Il compagno giusto, insomma, per un aperitivo informale. Può accompagnare anche il pesce, le carni bianche e i formaggi non stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Chardonnay utilizzate per dare vita a Intreccio Blanc de Blancs provengono dalle colline vitate della Vallagarina, in Trentino. Un’area che, dal punto di vista climatico, è caratterizzata da estati calde e buone escursioni termiche nel periodo di maturazione delle uve. Il vitigno Chardonnay, originario della Borgogna e coltivato in Trentino da oltre cent’anni, ha trovato in questa zona un ambiente particolarmente favorevole per esprimere tutto il suo potenziale qualitativo. La complessa gamma aromatica di questa varietà associata ad un buon tenore acidico la rende ideale per l’elaborazione di vini spumanti. Le uve, accuratamente scelte, vengono raccolte esclusivamente a mano. La preparazione del vino di base viene realizzata mediante vinificazione in bianco in piccoli contenitori in acciaio inox a temperatura controllata. Una fase, questa, in cui gli enologi di casa Cavit Trento assicurano di prestare “particolare cura”. Il vino-base ottenuto riposa per alcuni mesi in cantina e viene dunque sottoposto a rifermentazione in autoclave, seguita da un affinamento sui lieviti di sei mesi, prima dell’imbottigliamento. Cavit (Cantina Viticoltori del Trentino) è una cooperativa che riunisce undici cantine sociali trentine, con 4500 viticoltori associati, dalla Valle dell’Adige (Roverè della Luna) alla Vallagarina (Avio).Prezzo pieno: 7,19 euro
Acquistato presso: Esselunga
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Il team working del vino toscano si chiama A.vi.to


Un giro di affari di 1,1 milardi di euro realizzati per il 70% oltre confine nazionale e 5100 imprese coinvolte: questi i numeri della nascente associazione A.Vi.To mega consorzio Toscano di cui faranno parte 21 delle 28 realtà di tutela dei vini Doc e Docg. A farne parte tra gli altri, il consorzio del Brunello di Montalcino, del Nobile di Montepulciano, del Chianti Classico e del Chianti Docg, ma anche consorzi di tutela
di vini doc, come quello di Bolgheri, dei vini di Maremma o del Montecucco. Padre putativo dell’iniziativa il Consorzio del Chianti Classico che lanciò la proposta durante le difficili fasi di approvazione del Piano Integrato territoriale della Toscana del 2014. A.vi.to sarà un’associazione ”itinerante”. La sede dell’associazione sarà infatti quella del Presidente pro tempore che sarà in carica solo per un anno, pronto a lasciare il testimone, come in una staffetta, al  successore. A rompere il ghiaccio sarà Fabrizio Bindocci, attuale Presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino che, per il suo anno di presidenza, sarà affiancato da Luca Sanjust della Doc Valdarno di Sopra suo vice. ”Con il nuovo consorzio dei consorzi vogliamo riproporre un’azione unitaria per affrontare le nuove sfide sul territorio, a cominciare dalla nuova legge regionale sugli ungulati (ovvero caprioli e cinghiali, che devastano i nostri vigneti) che, approvata nelle scorse settimane, dovrà ora essere tradotta in decreti applicativi, ma soprattutto con la nuova associazione contiamo di promuovere un approccio congiunto e tutto made in Tuscany ai nuovi mercati” ha dichiarato Giuseppe Liberatore, capo del Consorzio del Chianti Classico. Il neo presidente di A.vi.to ha accettato di buon grado la sfida, convinto che l’associazione potrà recitare un ruolo determinante nell’affrontare i nuovi mercati, tra cui la difficile Cina. Per farlo si renderà necessario anche un cambio generazionale ai vertici delle aziende, del quale sono allo studio le modalità. ”I giovani, a differenza di chi li ha preceduti, sono ”nativi internazionali”, ovvero, hanno la giusta spinta ai mercati esteri. Proprio ciò che serve per dare un futuro ai nostri prodotti” ha detto Fabrizio Bindocci.
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Vini al supermercato

Cool Wine, da Penny Market e Coop la Puglia fa tendenza con i vini del Tacco

(4 / 5) Una fila di etichette colorate, grintose ed accattivanti. Ogni colore un vino diverso, ogni etichetta l’iniziale di una parola identificativa. Fino a comporre la scritta “Tacco”, che identifica la forma della Puglia. Ovvero l’acronimo di Terra, Amore, Coraggio, Creatività, Orgoglio. Facile essere audaci, perché la catena di “discount di qualità” Penny Market, ci ha spesso sorpreso, in positivo. E lo fa anche stavolta, con una linea di prodotti delle Cantine Teanum di San Severo (Foggia), mai recensite prima su vinialsupermercato.it, ma a noi ben note. In una sorta di degustazione “verticale”, anzi “alfabetica”, partiamo dalla lettera “T”: ovvero dal blend tra uve Bombino e Fiano. Un mix ben riuscito, con percentuali che si assestano al 70% per il primo uvaggio autoctono dell’Alto Tavoliere delle Puglie, e 30% per il secondo. Un vino che si presenta denso nel calice, dove scorre mostrando un giallo paglierino carico. Al naso evidenti richiami di frutta a polpa gialla matura, sciroppata: pera, albicocca, amarena. E una speziatura che ricorda vagamente la noce moscata. Ottime premesse.

TERRA

Al palato, “Terra” Bombino – Fiano 2014 richiama nuovamente tinte fruttate, ben calibrate con toni più austeri, erbacei, tendenti all’amarognolo. E’ così che si evidenzia la buona alcolicità del prodotto (13%) che non infastidisce: dona bensì piacevolezza alla beva, fresca e sapida. Un vino equilibrato e sufficientemente persistente, da abbinare ad antipasti leggeri, risotti e primi a base di pesce. Le uve Bombino e Fiano crescono a un’altitudine di 150-200 metri sul livello del mare e vengono allevate a spalliera, con un resa di 100 quintali per ettaro. La raccolta avviene in maniera manuale, con successiva spremitura soffice e fermentazione in acciaio, a una temperatura controllata di 14 gradi. Sempre in acciaio avviene la maturazione, mentre l’affinamento è affidato alla bottiglia, prima della commercializzazione.

CORAGGIO
Passiamo poi al Nero di Troia-Negroamaro Igt “Coraggio” 2014. Il calice si tinge di un profondo colore rosso scuro. Al naso sprigiona un intenso spettro di sentori: il vinoso iniziale lascia spazio alla frutta, ciliegia, ribers nero, ma anche prugna secca. Effluvi di pepe e anche una piccola percezione di vaniglia. Una complessità olfattiva sorprendente. Al palato è molto caldo, il gusto pieno e rotondo. Sul fronte delle componenti dure è accompagnato da un’acidità fresco viva, sapidità, un tannino equilibrato. Chiude fruttato e persistente, lasciando anche un leggero retrogusto amarognolo a completare una buona beva. La gradazione alcolica, con i suoi 13%, è assolutamente tollerabile. Si abbina a carni arrosto, selvaggina e tagliate di manzo. Prodotto con uve 70% Nero di Troia e 30% Negroamaro. I vigneti, allevati a spalliera ed alberello si trovano a 200 mt sul livello del mare. Le bucce vengono lasciate a macerare per 22 giorni in acciaio. Successivamente il vino viene affinato in botti di legno francese ed americano e in bottiglia. L’uva Nero di Troia è la bacca di un vitigno autoctono pugliese, il nome deriva proprio dalla carica polifenolica che tende a dare al vino una colorazione molto scura che ricorda il nero. Il vitigno è stato per lungo tempo destinato a rafforzare vini deboli di corpo attualmente viene vinificato anche in purezza.

CREATIVITA’

Ecco dunque l’ultimo dei nostri prodotti della linea Cool Wine degustati: ovvero la seconda “C” di “Tacco”, “Creatività”. Si tratta anche in questo caso di un blend tra gli uvaggi Nero di Troia (70%) e Aglianico (30%) salentino. Ritroviamo il rosso impenetrabile, con unghia tendente al granato, del precedente vino degustato. Al naso è profondo, con intense percezioni di confettura di frutti rossa e spezie come la liquirizia, nonché sentori di cuoio. Un vino che pare già caldo al naso, con i suoi 13,5 gradi di alcol in volume. E si riconferma tale al palato, dove rispecchia l’analisi olfattiva: ecco nuovamente la frutta, ben sostenuta da una freschezza e da una sapidità viva, in un finale persistente che tende al rabarbaro. Le vigne che danno vita a questo blend crescono a un’altitudine di 150 metri sul livello del mare, allevate a spalliera. La produzione per ettaro si assesta sui 90 quintali. Anche in questo caso la raccolta delle uve avviene manualmente. La vinificazione prevede 24 giorni di macerazione in contenitori d’acciaio. Segue poi la maturazione in botti di legno francese e in vasche di acciaio, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia.

LA CANTINA TEANUM
Il vini “Tacco” fanno parte della linea Cool Wine, per la quale la cantina Teanum ha creato un sito Internet dedicato. La sintesi di questi prodotti è “emozioni per tutte le occasioni” e la riprova è proprio la qualità di questo vino quotidiano, che con una trama semplice riesce a regalare un’emozione a tavola. Le Cantine Teanum sono un’azienda giovane, innovativa, ma con una pluriennale esperienza enologica. La mission prevede la produzione di vini di alto profilo qualitativo ad un prezzo competitivo. Obiettivo raggiunto, vista la serie di riconoscimenti sin ora collezionati. Alcuni vini sono menzionati sulla guida de L’Espresso. “Con la linea Tacco – evidenzia Elisabetta Capobianco dell’Ufficio Commerciale Italia Cantine Teanum – siamo presenti presso Coop  e Penny Market, oltre che in piccoli supermercati indipendenti, ormai da circa 3 anni. I risultati sono buoni. Il mercato, del resto, apprezza la qualità di tali prodotti e il packaging accattivante”. (di Viviana Borriello e Davide Bortone)
Prezzo pieno: 2,99 euro
Acquistato presso : Penny Market – Coop
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Brut fermentazione in bottiglia, Catturich Ducco

(4,5 / 5)Nasce dall’assemblaggio dei vini provenienti dai 28 cru di proprietà della Catturich Ducco lo spumante Brut fermentato in bottiglia.

Presente in diverse catene della gdo, come Ipercoop e Il Gigante, è il frutto dell’assemblaggio dello Chardonnay allevato nei comuni di Passirano, Monticelli Brusati e Provaglio d’Iseo, nel cuore della Franciacorta bresciana. Sotto esame la sboccatura 2015.

Già in bottiglia, completamente trasparente, si rivela di colore giallo paglierino. Una volta versato sfoggia un perlage mediamente fine e persistente.

La carica olfattiva è intensa, di sottile complessità. Si evidenziano note floreali fresche e fruttate di mela, pera e pesca, oltre a sentori di burro e latte di mandorle.

Una percezione, quella che richiama il latte, che si ripresenta al palato: marcatamente burroso e vellutato, con note persistenti di crosta di pane tipiche dei lieviti della zona. Di buon corpo e calda alcolicità, il Catturich Ducco Brut fermentazione in bottiglia si scopre piacevolmente rotondo, secco e fresco. Sapido ed equilibrato.

Buona anche l’intensità retro olfattiva, di qualità fine e persistenza sufficiente, sui sentori della crosta di pane. Decisamente matura la sboccatura 2015, nella sua fase migliore per essere consumata come aperitivo o con antipasti a base di pesce.

LA VINIFICAZIONE
L’allevamento dello Chardonnay viene condotto a cordone speronato, con una resa media di 100 quintali per ettaro. La raccolta viene effettuata nelle vigne Catturich Ducco in maniera manuale, con successiva pressatura soffice delle uve intere. Il mosto fermenta in vasche di acciaio inox.

L’assemblaggio avviene in primavera e, dopo il tiraggio, si lascia spazio a una rifermentazione in bottiglia a sovrapressione ridotta di un’atomosfera. Un’elaborazione di 9 mesi per questo Brut di casa Ducco, che procede alla sboccatura su piccole quantità, in base alle ordinazioni richieste.

Prezzo pieno: 6,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop / Il Gigante

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Natale Verga entra nel mercato del vino biologico. In Nord Europa è già un successo

Un Nero D’Avola-Cabernet e un Grillo-Cataratto. Il colosso Natale Verga sceglie l’Indicazione geografica tipica Sicilia per sfondare nel mercato del vino biologico. Un bianco e un rosso allo stesso prezzo, inferiore ai 6 euro, che costituiscono assieme una vera e propria entrata a gamba tesa in un segmento che si assesta sui 7-8 euro, nella maggior parte delle catene “di peso” della grande distribuzione organizzata italiana. Del resto, la politica dell’azienda di via Europa Unita 13 a Cermenate, è chiara: offrire ai consumatori un vino buono, sano. E a prezzo contenuto. “Per me il vino non è uno status symbol –  spiega Natale Verga dal suo quartier generale comense – va venduto a un prezzo corretto. Noi, chiaramente, facendo prodotti di largo consumo, abbiamo bisogno di venire incontro al portafoglio di tutti. Una politica, questa, che abbiamo deciso di adottare anche per la nostra nuova linea di vini biologici. Siamo riusciti a contenere il prezzo applicando gli stessi costi di imbottigliamento che registra il resto della produzione: il segmento più basso. Anche perché il concetto di base è che imbottigliare vino da 5 o da 10 euro costa uguale: a fare la differenza è il prodotto, non il contenitore”. Limitando i costi di imbottigliamento, Natale Verga riesce a presentare sul mercato “un vino biologico a un prezzo alla portata di tutti i consumatori interessati a questa tipologia”.

LA BUROCRAZIA
“Un prezzo molto accattivante per un prodotto buono – continua – che va a coprire un segmento sin ora rimasto scoperto”. Del resto, all’estero Natale Verga ha già avuto riscontri molto importanti sulla linea di vini bio. Il sell out del biologico è infatti iniziato a gennaio, fuori dai confini nazionali italiani. “Abbiamo cominciato con i Paesi del Nord Europa – spiega Verga – dove stiamo andando decisamente bene. E di recente abbiamo trovato un accordo con una catena americana che tratta solo prodotti bio. L’unico problema è la certificazione”. Già, la burocrazia. Quel mostro che schiaccia il mondo del vino italiano. Dai piccoli produttori, che attraverso la Fivi si stanno battendo in sede europea per un e-commerce più agile e snello, ai giganti come la Casa Vinicola Verga. “In America – spiega Natale Verga – ci sono problemi per la certificazione di un vino prodotto mediante il blend di uvaggi differenti. E anche sul discorso ‘bio’ loro sono un po’ più restrittivi”. Avesse scritto “ogm” al posto che “bio”, scherziamo noi, Natale Verga sarebbe già su tutti gli scaffali dei mall a stelle e strisce. Per quanto riguarda l’Italia, la prima catena dove abbiamo scovato i vini bio di Verga è Il Gigante, diffusa soprattutto in Lombardia, ma anche in Piemonte ed Emilia Romagna.

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Enovitis in Campo, tutto pronto per la “prima” in Puglia

Procede a pieno ritmo l’organizzazione della prossima edizione di Enovitis in Campo che, dopo il successo dello scorso anno in Sicilia, ritorna il 17 e 18 giugno con una “prima” assoluta in Puglia, al centro di un vasto comprensorio viticolo che farà convergere a Corato, Bari, presso l’azienda Torrevento gli operatori professionali di Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata e Calabria. Oltre all’intera regione ospite. L’edizione 2016 della manifestazione targata Unione Italiana Vini e Veronafiere, dedicata alla promozione delle tecnologie per la viticoltura, ha ricevuto il patrocinio della Regione Puglia e di FederUnacoma. Saranno i filari dell’azienda vitivinicola Torrevento, 250 ettari nella Murgia Settentrionale, ad accogliere la “due giorni” di prove in campo dinamiche, che vedrà al lavoro in vigneto macchine e attrezzature per ogni fase di lavorazione della vite e l’allestimento di aree tematiche dedicate ad argomenti specifici: viticoltura di precisione, olivicoltura ed energie alternative. Particolarmente ricco si annuncia poi il programma collaterale, con una forte connotazione formativa nei riguardi degli operatori della filiera, che sarà sviluppato attraverso visite guidate e seminari e workshop multidisciplinari dedicati alle nuove frontiere dell’innovazione in viticoltura, con particolare attenzione alla viticoltura di precisione, alla realtà del vigneto Puglia nelle due aree del Nord e del Sud della regione, alla coltivazione biologica, alla gestione suolo nell’interfila e nel sottofila, alla meccanizzazione dell’olivicoltura. Protagonisti a Enovitis in Campo 2016 saranno poi l’Innovation Challenge, la cui dead line di partecipazione è fissata per il prossimo 25 marzo, il premio assegnato da un Comitato scientifico alle migliori innovazioni tecnologiche presentate in fiera, e il Concorso Vota il trattore, organizzato in collaborazione con Unima e il portale della meccanizzazione agricola Macgest, grazie al quale sarà eletta la macchina più votata tra quelle esposte e provate in fiera, nelle categorie gommati, cingolati e semi-cingolati e isodiametrici.

Spazio anche a momenti più ludici e conviviali, infine, con Enovitis in Campo Junior, iniziativa realizzata in collaborazione con i più importanti brand della trattoristica, che consentirà ai più piccoli di guidare in tutta sicurezza dei trattori “a misura” di bambino. E, non poteva mancare, l’appuntamento con la partita Italia-Svezia, che sarà possibile seguire in diretta su maxi schermo il 17 giugno. “La viticoltura  – dichiara Massimo Goldoni, presidente FederUnacoma – è un’eccellenza dell’agricoltura italiana e anche della meccanica Made in Italy. Le industrie del nostro Paese sono infatti all’avanguardia nella realizzazione di trattori specializzati, attrezzature per i trattamenti e per ogni operazione colturale, sistemi per la raccolta del prodotto che consentono di realizzare una viticoltura di altissima qualità. Caratteristiche territoriali, tecniche colturali, tecnologie meccaniche – continua Goldoni – sono elementi inscindibili nel settore della viticoltura, ed è proprio per sottolineare questa stretta integrazione che la Federazione italiana dei costruttori di macchine agricole FederUnacoma ha voluto aderire all’evento di Enovitis in Campo. La viticoltura è insieme passione e tecnologia e questo è il messaggio di Enovitis”.

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Nuove frontiere anti ossidazione del vino: addio ai solfiti?

Solfiti sì, solfiti no. Solfiti meno. Sono loro i principali attori contro uno dei nemici numero uno del vino: l’ossidazione. Ma oggi un gruppo di ricerca collaborativo formato da Cantine MezzaCorona, Fondazione Edmund Mach Centro Ricerca ed Innovazione e Nomacorc, uno dei produttori
leader di sistemi di chiusura per vino al mondo, ha scoperto nuove reazioni chimiche che permettono una migliore comprensione del destino dei composti antiossidanti del vino, come anidride solforosa e glutatione, in presenza di ossigeno. Un risultato ottenuto mettendo sotto la lente di ingrandimento i meccanismi di ossidazione del vino in bottiglia. “Lo scopo del progetto – spiega Maurizio Ugliano dell’Università di Verona, ex responsabile della ricerca enologica presso Nomacorc – era di ottenere una migliore conoscenza delle reazioni chimiche che occorrono nel vino dopo l’aggiunta di una piccola quantità di ossigeno all’imbottigliamento o successivamente, attraverso la chiusura”. “Abbiamo scelto un approccio metabolomico, che prevede di effettuare un’analisi globale dei composti del vino”, spiega Fulvio Mattivi, ricercatore alla Fondazione Edmund Mach in Italia. Lo studio è stato effettuato su 12 vini bianchi, prodotti da sei differenti varietà di uva. Tutti erano stati imbottigliati dalle Cantine MezzaCorona con arricchimento dell’ossigeno controllato a mezzo di un analizzatore di ossigeno NomaSense, sotto la supervisione del responsabile del controllo qualità Paolo Pangrazzi. Sono state analizzate un totale di 216 bottiglie di vino. È stato possibile separare nel campione fino a 8 mila composti, generando oltre 1,7 milioni di dati. “Questo tipo di analisi globale – aggiunge Mattivi – è diventato il metodo ideale per svelare nuove reazioni chimiche nel vino, dal momento che può misurare la presenza di diverse centinaia di composti, inclusi quelli sconosciuti. L’analisi statistica dei dati raccolti permette di identificare i composti la cui concentrazione è più influenzata dall’ossigeno. Come risultato, abbiamo evidenziato 35 composti in cui la concentrazione è stata fortemente influenzata dall’ossigeno e per 20 di essi è stata identificata una struttura chimica”.
Sono state scoperte così nuove reazioni chimiche che coinvolgono l’anidride solforosa. “La SO2 reagisce con altri antiossidanti presenti nel vino come il glutatione – spiega Panagiotis Arapitsas, ricercatore alla Fondazione Edmund Mach – riducendo la loro capacità antiossidante complessiva. Invece di avere un effetto additivo hanno cioè reagito tra di loro, eliminandosi a vicenda, lasciando il vino meno protetto! La SO2 reagisce anche con alcuni derivati degli amminoacidi e delle vitamine, attraverso almeno due nuovi percorsi di reazione. In tutti i casi queste reazioni sono favorite dalla presenza di ossigeno”. Queste scoperte saranno utili per il settore enologico, in particolar modo per sostenere un uso più intelligente dell’anidride solforosa. Infatti una misurazione abituale dei composti capaci di reagire con i solfiti potrebbe contribuire a valutare la concentrazione di solfito appropriata per la protezione ottimale del vino. E, in prospettiva, per diminuire la quantità aggiunta di SO2. “Questi risultati consentono anche di ottenere nuovi indicatori per comprendere meglio la capacità di ciascun vino di resistere all’ossidazione – fa notare Stéphane Vidal, vice-presidente di Enology and Wine Quality Solutions a Vinventions – e quindi una migliore gestione dell’ingresso dell’ossigeno durante e dopo l’imbottigliamento”. Per esempio, nel caso della necessità di un’elevata protezione, un controllo specifico dell’ossigeno all’imbottigliamento, associato alla scelta di un sistema di chiusura adatto, assicurerà che il vino sia protetto dall’ossidazione durante il suo invecchiamento in bottiglia.
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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Antichi Vigneti di Cantalupo, il Nebbiolo alla “novarese”. Alla scoperta del regno di Alberto Arlunno

Umiltà e semplicità. Sono le caratteristiche con le quali Alberto Arlunno dirige una delle più importanti cantine di Ghemme. Siamo in Piemonte, poco al di là del confine con la Lombardia, in provincia di Novara. Terra dove l’uva Nebbiolo viene trasformata pazientemente in vino dai viticoltori locali.

Il signor Alberto ci accoglie con un sorriso che metterebbe a proprio agio anche il più timido dei visitatori. Il sorriso di chi ti apre le porte del suo mondo. Di casa sua. Perché è qui che abita il cuore di quest’uomo: alla cantina Antichi Vigneti di Cantalupo. Tutt’attorno, le “figlie” putative di Alberto Arlunno: le vigne.

“Andiamo in vigna, che preferisco”, dice appunto. Ci accompagna, sulla collina che sovrasta la collina, a bordo della sua Fiat Multipla che segna inesorabili 376.000 chilometri di fatiche. Il vignaiolo accosta su un crostone di terreno. ‘Va che bello! Prima fotografate la terra”, esordisce. Gli occhi brillano, come se fosse per lui la prima volta. Poi prosegue: ”Questa è una collina fluvio glaciale creata dai detriti accumulati dallo scioglimento di un ghiacciaio ed in parte trasportati dal fiume Sesia. Non è il mio vigneto di punta, ma è sicuramente tra i migliori”.

La nostra intervista non poteva sperare in teatro migliore. Una camminata tra i filari, allevati a Guyot. Alberto passeggia, ogni tanto si ferma ad ammirare una legatura, a controllare un palo, si stupisce di fronte ai rami di vite che gli sembrano uno stemma araldico. Guarda la sua vigna, con l’espressione di chi non smette di sorprendersi, centimetro dopo centimetro, di qualcosa che in fondo conosce come le sue tasche.

”Quante volte passa di qui il sottoscritto? Ogni volta – ammette – c’è un particolare nuovo che mi affascina”. ”Guarda che bello qui, con il prato appena tagliato. Sembra una vigna inglese”. E fa una fotografia. ”…Poi quando intorno è spenta ogni altra face, e tutto l’altro tace, odi il martel picchiare”, non manca neppure una citazione leopardiana dal Sabato del villaggio.

LA STORIA

Antichi Vigneti di Cantalupo è un’azienda vinicola di 35 ettari, ”tutto Nebbiolo al 105%”, scherza Alberto, fissandoti col piglio di chi s’aspetta che quella battuta, studiata e ripetuta chissà quante volte, faccia ridere di volta in volta nuovi interlocutori. E così succede.

”Cantalupo – spiega – è una trasformazione di un’azienda di famiglia. Quando è arrivata la Doc Ghemme si è pensato di rinnovare i vigneti, di ampliarli, di rifare la cantina nuova. chiamandola con quello che era il nome di un vigneto, il Cantalupo”.

Antichi Vigneti di Cantalupo nasce nel 1977, ma la famiglia Arlunno è a Ghemme dalla notte dei tempi. I nuovi impianti sono del 1970, il primo vino a “marchio” Cantalupo invece è del 1974.

Oggi l’azienda produce circa 180.000 bottiglie. Tre impiegati lavorano quotidianamente tra vigna e cantina, con picchi che raggiungono la ventina di persone, durante potatura e vendemmia. A proposito di potatura: essendo sul finire di febbraio, chiediamo ad Alberto come procedono i lavori. Ci risponde, in piemontese, che da quelle parti si dice ”chi ha la vigna sua va a potarla al mese di marzo”.

Ma loro, con i 35 ettari vitati, se andassero al mese di marzo “dovrebbero spararsi”! Noi che arriviamo dalla grande città proviamo a volte invidia per chi ha la possibilità di lavorare in mezzo alla natura. ”C’è un grande lavoro?” chiediamo ad Alberto. ”Abbastanza… Sufficiente…”, ride. Poi prosegue: ”Ogni tanto viene voglia di scappare!”. Ma Alberto, anzi, resta. E inizia a raccontarci del vitigno.

”Il Nebbiolo è importante ed è interessante anche per il fatto che puoi fare di tutto – spiega – anche la bollicina con un metodo Charmat, senza andare troppo lontano. Abbiamo fatto una prova di Metodo Classico, è lì dal 2002 che dorme: due esperimenti, uno in rosato e una prova di bianco, poca roba, ma non so dirvi com’è, non l’ho ancora assaggiata”.

Di fronte al vigneto c’è una collina dalla forma particolare, è l’occasione per Alberto di farci una vera e propria lezione di geologia sulla Valsesia. ”Quella montagna che sembra un panettone Galup, è la reliquia dell’oceano: la Tetide era l’oceano che divideva l’Africa dall’Europa. Quando, per effetto dei movimenti della crosta terrestre, l’Africa ha perso l’America Meridionale, si è creato un baratro enorme”.

L’Africa si è scontrata con l’Europa, la famosa deriva dei continenti. A partire da 60 milioni di anni fa è cominciato il processo che ha dato origine tra le varie cose alla catena delle Alpi”.

In corrispondenza di questa zona, c’è stato un rovesciamento a 90 gradi della crosta terrestre, “un ricciolo di burro” lo definisce Alberto, che ha fatto riemergere un vulcano fossile  scoppiato ai tempi della Pangea.

”Il Monte Rosa – continua Alberto Arlunno – fa parte della zolla europea. In Valsesia, dopo Varallo c’è Balmuccia, praticamente l’ultimo paese ‘africano’. Scopa invece è il primo paese ‘europeo’. Si passa anche senza passaporto”. Alberto non perde occasione di scherzare.

UN TERROIR UNICO

L’area di Ghemme, fa parte di quello che oggi è un geo parco Unesco. Il Super Vulcano è una scoperta relativamente recente, frutto di un lavoro di 36 anni del professore Sinigoi dell’Università di Trieste, con la collaborazione di un luminare dell’Università di Dallas.

Per Alberto, è una grande fortuna avere qui questo vulcano fossile che in termini di terroir ha creato una varietà incredibile. ”Gattinara – commenta il vignaiolo – ha i vigneti sulle colline, sulla parte vulcanica riemersa. Boca ha una zona vulcanica, mentre una parte del territorio è alluvionale, dovrebbe avere un’altra Doc. La collina di Ghemme è il compendio delle mineralità della Valsesia, qui c’è la macedonia Valsesiana, la sommatoria di tutto quello che si trova in Valsesia”.

Stesso vitigno, su terreni diversi anche a poca distanza, che dà frutto a vini completamente diversi. Mentre torniamo verso la cantina cambiamo discorso, parliamo della zona dal punto di vista turistico e del mercato. Questa è un’area poco valorizzata, ma Alberto dice di aver letto su una rivista di settore che “nell’Ottocento Ghemme e Gattinara erano l’epicentro qualitativo dei vini piemontesi”.

Poi sono successe molte cose, le due guerre, le leggi sulle denominazioni, le mode dei vitigni alloctoni, dei Merlot e dei Supertuscan. Mentre loro andavano avanti a Nebbiolo, “nel quale la gente non trovava il colore impenetrabile”. Poi un’inversione di tendenza: in Italia si sono accorti delle potenzialità dei vitigni autoctoni.

Barolo e Barbaresco nelle Langhe, dove si beveva solo Dolcetto, hanno saputo prendere un treno che invece questa zona ha perso. Slow Wine e il Gambero Rosso gli hanno dato una bella mano. I turisti in zona sono sempre venuti, molti dall’estero: Europa, anche dall’Est, Belgio, Germania altalenante.

Quando i tedeschi avevano il Marco – spiega Alberto Arlunno – prendevano i vini più importanti, poi con la crisi hanno tirato un po’ i remi in barca, preferendo poche bottiglie di alta gamma e acquistandone molte di fascia media”.

E poi molti svizzeri, qualche francese, giapponesi e norvegesi. Con la Cina un principio di business dieci anni fa, ma poi non ci sono stati sviluppi. La sorpresa maggiore è quella dei turisti provenienti dalla Norvegia, così com’è norvegese la proprietà di un’altra cantina della zona.

Antichi Vigneti di Cantalupo dal 92 produce un vino che va alla grande in Norvegia, un rosato (ebbene sì) differente da quelli che forse abbiamo nel retro cranio. Un rosato di Nebbiolo che ha la struttura di un rosso. ”C’è gente che non vuole saperne di rosato e poi tra le varie cose lo assaggia in cantina e lo porta a casa”, commenta Alberto Arlunno.

LA CANTINA, LA DEGUSTAZIONE

Le pareti esterne della cantina sono un museo a cielo aperto, numerosi fonti storiche sono in bella mostra. Ghemme, ma anche i vigneti di Cantalupo hanno uno stretto legame con i monaci cluniacensi dell’Abbazia di Cluny.

I monaci hanno saputo mantenere viva la viticultura anche in periodi difficili come il Medioevo, epoca di carestie, guerre, invasioni, calamità naturali. Nel 1600 erano proprio loro con le Colline Novaresi a fornire una buona parte del vino al Ducato Milanese che aveva mantenuto stretti legami con l’Abbazia di Cluny.

Il vigneto di Cantalupo è intitolato proprio ad uno degli abati di Cluny più importanti, San Maiolo. E Ghemme fa parte dei siti cluniacensi di un grande itinerario culturale, al quale Alberto Arlunno ha dedicato addirittura un vino Colline Novaresi, l’Abate di Cluny. Alberto Arlunno è davvero un’enciclopedia vivente, un motore di ricerca sul qualche si può ricercare qualsiasi informazione.

Un uomo di una cultura sopraffina in tante materie. Scienze, geografia, storia, geologia, ma anche arte. Arte, quella che si respira nella cantina che sembra un teatro, un anfiteatro fatto di gradoni che si sviluppano sulla collina, sui quali riposano botti di diverse dimensioni. Uno spettacolo che lascia senza fiato.

Poi la chicca. Una porticina che sembra la cella di un monastero ci conduce in un corridoio sul quale affacciano altrettante piccole celle, dove possono riposare fino a 5000 bottiglie a regime. Ogni cella è un cru. Le bottiglie restano lì per almeno un anno. Tutte dormono su drappi di velluto rosso. Questo angolo della cantina rappresenta un infernot moderno.

Dei vini di Antichi Vigneti di Cantalupo che abbiamo degustato non vogliamo parlare, vi basti sapere che è davvero imbarazzante decidere quali bottiglie portare a casa. Sarebbe troppo banale celebrare le qualità di ognuna, dalla base fino a quello che potremmo definire “top di gamma”. Di certo sono tutte produzioni che, pur mostrando grande carattere già ai nostri giorni, rendono merito alla grandezza del Nebbiolo come vitigno da “invecchiamento”.

La vera sfida, infatti, sarà degustare anche tra 10 anni le bottiglie che oggi potreste assaggiare, guidati dal titolare di questa splendida realtà vitivinicola novarese. Andare a conoscere Alberto Arlunno e visitare gli Antichi Vigneti di Cantalupo vuol dire arricchirsi d’una bellissima esperienza. Nozioni, emozioni indelebili.

Gli Antichi Vigneti di Cantalupo oltre che sui libri del mondo del vino dovrebbero essere riportati anche sulle mappe turistiche, sui luoghi assolutamente da visitare anche da non eno appassionati. Addirittura da chi si trova in zona perché attirato esclusivamente dal “Super Vulcano”.

Anzi, diciamola tutta: il vero Super Vulcano della Valsesia è Alberto Arlunno. Un vulcano effusivo in continuo fermento. La sua cultura, le sue vaste conoscenze sono tutte lì nella camera magmatica della cantina Antichi Vigneti di Cantalupo. Pronte a risalire lungo il ‘camino’.

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L’eroico rosso replica a settembre: in scena lo Sforzato

Pare prematuro, ma in Valtellina, a Tirano, hanno già bloccato l’agenda per il weekend del 17-18 Settembre 2016. Protagonista di quel fine settimana sarà il vino più celebre della Valtellina, lo Sfursat. Primo rosso passito secco che si è fregiato della Docg nel 2003, lo Sforzato è frutto di un’attenta selezione di uve nebbiolo appassite sui graticci e di un lungo affinamento in legno e in bottiglia. “Eroico rosso Sforzato wine festival” il nome della manifestazione dedicata al prodotto più rappresentativo del territorio. L’evento sarà promosso già al Vinitaly 2016. Il consorzio turistico ha infatti preparato un pieghevole da distribuire a Verona durante quella che è l’ideale vetrina mondiale per fare promozione. “Per non arrivare ad organizzare all’ultimo momento, questo rappresenta un piccolo primo passo per dire che già ci siamo” ha dichiarato Nino Negri, presidente del consorzio turistico.
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Tecnicismi o racconti emozionali? Le degustazioni si sfidano ad Orcia

Cosa preferiranno i wine lovers alla prossima edizione dell’Orcia Wine Festival di San Quirico d’Orcia? La degustazione tecnica del vino o la degustazione accompagnata dalle narrazioni dei vignaioli sul loro vissuto di vita in cantina e in vigna? Questa è la sfida organizzata dal Comune
di San Quirico d’Orcia, dal Consorzio del vino di Orcia e da Onav per la manifestazione che si terrà tra il 23 e il 25 Aprile 2016. ”Il vino Orcia, – ha spiegato Donatella Cinelli Colombini, presidente del Consorzio del vino Orcia – che nasce in una quarantina di piccole cantine dove quasi tutto è ancora fatto a mano, spesso dal produttore in persona, è il più adatto per giocare fra la novità e la tradizione dello storytelling, una tecnica di comunicazione attualissima eppure molto antica”. Durante le tre giornate della kermesse, come ogni festival che si rispetti, banchi di assaggio, degustazioni guidate, wine class, laboratori, possibilità di acquistare il vino, ma soprattutto da domenica pomeriggio alle 16 il contest tra queste due tipologie di approccio al vino.

Gli organizzatori inoltre, hanno pensato ad altre opportunità per gli eno appassionati. Accanto alle consolidate visite in cantina gli Orcia wine tour, Orcia wine walking e Orcia wine bike. Ognuno potrà scegliere il mezzo per visitare il territorio lungo la strada del vino d’Orcia. ”Il vino più bello del mondo unito al paesaggio più bello offrono un’esperienza totale unica e indimenticabile da vivere nel cuore della Val d’Orcia” parola del sindaco di San Quirico d’ Orcia Valeria Agnelli. La Val d’Orcia è una regione in parte patrimonio Unesco, i suoi vini hanno la denominazione Doc dal 2000. Prodotti con uve Sangiovese e Orcia Sangiovese  vinificate in bianco, rosso, rosato e vin santo. L’Orcia Wine Festival è una buona occasione per visitare il territorio, conoscere questo vino e partecipare alla sfida sull’analisi organolettica del vino tra tecnicismi ed emozioni.

 
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Liberalizzazioni Ue sui nomi dei vitigni: Italia contro Spagna e Portogallo

Durante la tavola rotonda avente oggetto le liberalizzazioni Ue in materia di nomi dei vitigni, tenutasi stamattina a TipicitàPaolo De Castro, coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale dell’Europarlamento, intervenuto in video conferenza ha dichiarato: ”Non c’è alcuna spinta da parte dell’Unione Europea a ridurre le tutele del nostro vino, anzi, con il Pacchetto qualità le garanzie si sono rafforzate. Il problema legato alla cosiddetta semplificazione in materia di vitigni identitari è invece commerciale e di interpretazione del regolamento sul legame dei vitigni con il territorio”. ”L’Ue – ha aggiunto De Castro – non sta assolutamente cambiando direzione, il problema è di natura legata a logiche commerciali che vedono da una parte l’Italia e la Francia reclamare lo status quo, dall’altra Paesi come la Spagna e il Portogallo, che già producono vini identitari come ad esempio il Lambrusco, ma che in virtù di questa norma non possono dare il nome del vitigno. La promessa di ritiro dell’atto delegato da parte del Dg Agricoltura, Joost Korte – ha concluso – significa aver vinto una battaglia ma non la guerra”. Alberto Mazzoni, direttore dell’IMT il consorzio che tutela 16 denominazioni marchigiane promotore della tavola rotonda, non esclude, qualora si dovesse perdere questa battaglia la possibilità di identificare una doc ”Marche” proprio per non buttare all’aria un lavoro di promozione e valorizzazione dei vini fatto dalla Regione Marche e dal loro Istituto negli ultimi 15 anni. La coordinatrice del settore vitivinicolo dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Ruenza Santandrea che sta preparando la prossima riunione dell’Intergruppo vino con il commissario Hogan  a Strasburgo dell’ 8 Marzo p.v ha dichiarato: ”La nostra è una battaglia senza se e senza ma. La partita delle liberalizzazioni non è ancora vinta ma ci conforta constatare che se un tempo l’Italia andava in ordine sparso oggi ci siamo compattati, sia in ambito istituzionale che di filiera. Ed è importante, perché le lobby si trovano a tutti i livelli, anche in Europa”. Sul tema è intervenuto anche Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc: ”Oggi per le nostre denominazioni è in corso una battaglia epocale a Bruxelles. Occorre far capire all’Europa che per l’Italia ci sono delle esigenze e delle storie di cui tener conto. Gli stessi accordi bilaterali con gli Stati Uniti hanno mostrato dei meccanismi difficili. Oggi la regola del trade mark non è la soluzione a cui puntiamo, miriamo piuttosto al riconoscimento pubblico della denominazione e non alla registrazione privata”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Cagiano de Azevedo, direttore generale di Federvini che sostiene che non sia creando nuove indicazioni geografiche che aumenti la tutela. La via dei marchi è costosissima, occorre cominciare a ragionare sull’identità del vino italiano e sulla cultura dei nostri territori. La difesa del made in Italy, anche nel settore del vino riveste una importanza fondamentale anche per Domenico Mastrogiovanni, funzionario del Dipartimento Sviluppo agroalimentare e territorio della Confederazione italiana agricoltori. ”Dobbiamo recuperare la capacità di fare lobby dentro il sistema della Commissione Ue per rappresentare le nostre istanze”. Per Giulio Somma invece, responsabile comunicazione Unione Italiana Vini ci sono anche altri problemi: ”Nel documento sulle liberalizzazioni, oltre al tema dei vitigni, c’è un passaggio ancora più insidioso che non è stato evidenziato. Mi riferisco al ”marketing standard” che avrebbe voluto far passare in nome della semplificazione e della normalizzazione lo smembramento del regolamento sull’etichettatura del vino e uniformarlo a quello degli altri settori agricoli. Un’ipotesi devastante per il nostro settore. Da due anni stiamo lavorando sul Testo Unico del vino per aiutare i produttori a ritrovare in un unico corpus giuridico tutte le norme che riguardano il settore, e mentre noi semplifichiamo, Bruxelles complica”. Anna Casini, vicepresidente e assessore all’Agricoltura della Regione Marche, va ben oltre il concetto di vitigno. La proposta di liberalizzazione rappresenta una vera e propria minaccia commerciale e culturale: ”Forse dovremmo cominciare a pensare a un paniere di vini marchigiani che possa essere riconosciuto come unico e particolare”.
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Vini al supermercato

Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc, Viticoltori Alto Adige

(4,5 / 5) Neppure 6 euro per il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc della cantina Viticoltori Alto Adige. E’ la sorprendente promozione messa in atto dalla catena Ipercoop, per smaltire quelli che – evidentemente – erano dei “fondi” di magazzino dell’annata 2012.

Attualmente in commercio in Gdo, come spiega Stefan Unterhauser, Sales Assistant Germania e Unione Europea della cantina di Appiano, Bolzano, c’è già la vendemmia 2015, mentre la 2013 non è stata prodotta.

Ne approfittiamo per proporvi l’esito di una degustazione sorprendente, che dimostra come l’evoluzione in bottiglia di un bianco di tendenza come il Gewurztraminer, solitamente reperibile in pronta beva sugli scaffali dei supermercati italiani – dunque con annate più recenti, come la 2014 o, ormai, la 2015 – regali invece emozioni inaspettate, almeno ai più.

LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo dorato acceso con riflessi verdolini, il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc dei Viticoltori Alto Adige mostra già di aver passato indenne gli anni nei magazzini e sugli scaffali del supermercato. Al naso, alcun segno di appassimento sgradito.

Anzi: è spiccatamente fruttato, aromatico per la precisione: a note ancora fresche di litchi e pesca fanno eco quelle più strutturate dal tempo, di albicocca sciroppata e pera matura. Ecco poi le spezie: chiodi di garofano, zenzero, una punta di cannella, in piacevole contrasto con la freschezza conferita dai sentori di mentuccia.

Un naso davvero complesso. Che, solo per intenderci, avvicina questo Gewurztraminer alle percezioni olfattive di certi passiti. Al palato, poi, risulta rotondo, grazie evidentemente al buon apporto della glicerina, sostanza che conferisce morbidezza alla beva.

A dominare sono nuovamente le sensazioni fruttate e speziate già ritrovate al naso, in perfetta armonia tra loro. Un Gewurztraminer che, giunto a questa fase di maturazione ottimale, possiamo definire strutturato, molto caldo in termini di alcolicità, ma anche fresco (acidità) e sapido. Tutti elementi in perfetto equilibrio tra loro.

Ottimo anche il quadro retro olfattivo: molto intenso, spiccato e penetrante, fine e persistente. L’abbinamento perfetto è quello con il sushi. Ma restando in Italia, è ottimo non solo come aperitivo, ma anche per accompagnare secondi a base di pesce, crostacei o pietanze molto saporite e piccanti. Importante servire a una temperatura di 10-12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Ci ha sorpreso constatare, visto l’esito della degustazione, che la cantina Viticoltori Alto Adige consigli di consumare questo prodotto entro 2-3 anni dalla data di vendemmia: noi di vinialsupermercato.it ci sentiamo di regalare a questo prodotto almeno altri 12 mesi di “vita”, certo consapevoli che la bottiglia diventi appannaggio di bevitori più esperti e consapevoli delle potenzialità del vitigno.

E a proposito, parliamo di un vitigno aromatico, autoctono del Sudtirol, come tiene a specificare la cantina sociale bolzanina, che raggruppa “circa 2.000 piccoli produttori locali, per lo più aziende agricole a conduzione familiare da tante generazioni che sono associate alle diverse cantine di spicco della Regione”.

La vite viene allevata col sistema della controspalliera, nei terreni compatti e ad alto contenuto di materiali calcarei e argillosi dell’Oltradige. La pigiatura avviene in maniera delicata, per non disperdere gli aromi. La decantazione è statica, con fermentazione a temperatura controllata. Il vino matura dunque 6 mesi in vasche di acciaio, prima di essere commercializzato.

Cosa ci insegna il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc 2012? Che non tutti i bianchi “invecchiano” male. Anzi: se il supermercato vuole liberarsi degli avanzi con promozioni come questa (45% di sconto sul prezzo pieno) è bene approfittarne. Purché si sappia distinguere il “pacco” dall’affare. E anche per questo ci siamo noi ad aiutarvi.

Prezzo pieno: 10,90 euro
Acquistato presso: Ipercoop

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