“È impossibile definire un risparmio uniforme dall’utilizzo di viti resistenti, ma se prendiamo la zona del Nord-Est dell’Italia, abbiamo valutato un risparmio di 1.100 euro per ettaro per anno. Significa che un’azienda di 30 ettari in 10 anni avrebbe una riduzione dei costi di 330.000 euro”. Usa la matematica Eugenio Sartori, direttore generale dei Vivai Cooperativi Rauscedo, per rafforzare la richiesta di accelerare sulle “Opportunità da scoprire per le varietà di vite da vino resistenti”, titolo del convegno e della tavola rotonda organizzato a Veronafiere dall’Informatore Agrario, in collaborazione con Vinitaly, Crea ed Ersa.
La ricerca genetica applicata alla vite si pone l’obiettivo di creare piante più resistenti a fitopatologie, alla siccità, alle malattie, ma anche per avere una maggiore sostenibilità ambientale e, come si è visto, economica. Sostenibilità che è stato il filo conduttore di Enolitech, Salone Internazionale delle Tecniche per la Viticoltura, l’Enologia e delle Tecnologie Olivicole ed Olearie, andato in scena a Veronafiere, in contemporanea alla 50ª edizione di Vinitaly.
“Ci troviamo di fronte a normative diverse tra diversi paesi – prosegue Eugenio Sartori -. A livello europeo abbiamo ottenuto l’approvazione dalla Germania e dalla Repubblica Ceca per vini da tavola Igt, mentre in Friuli Venezia Giulia, dopo test durati 10 anni, siamo ancora fermi. La legislazione dovrebbe essere al passo con il mercato, altrimenti rischiamo di perdere terreno prezioso”. Resta da risolvere – non solo per la registrazione delle nuove varietà (o cloni) – il nodo della legislazione anche per la mera fase della ricerca, i cui ambiti non sempre sono regolati dalle normative, lasciando dei vuoti entro i quali diventa complicato orientarsi.
Dal ministero delle Politiche agricole dovrebbero a breve dare indicazioni sul piano di investimenti per un progetto triennale di ricerca sulle viti resistenti, attingendo dal fondo di 21 milioni di euro finalizzati anche alle biotecnologie, come anticipato a margine dell’incontro dalla professoressa Alessandra Gentile, commissario delegato del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia agraria. Fra i centri più attivi sul fronte scientifico, l’Università di Udine, che “dal 1998 – ricorda il professor Raffaele Terstolin – ha registrato, in seguito alla ricerca, 10 varietà, metà a bacca bianca e metà a bacca rossa: da Sauvignon a Cabernet Sauvignon a Merlot a Tocai friulano”.
Il mondo della produzione è favorevole all’innovazione. Lo riconosce Christian Scrinzi, direttore di produzione del Giv (Gruppo italiano vini) che sul tema riconosce come ci sia “richiesta di prodotti biologici e biodinamici” e che “le viti resistenti si inseriscano proprio in questo filone sempre più richiesto dai consumatori”. Per il professor Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura dell’Università di Milano, “finora le varietà di vigneti resistenti hanno finora incontrato la resistenza dei viticoltori dell’Europa meridionale, perché si tratta di viti che sopportano il freddo, elemento visto come una possibilità per sfondare nei paesi nordici. Credo che, quando nel 2017 la Francia registrerà nuovi vitigni resistenti, allora forse i produttori prenderanno in maggiore considerazione l’opportunità offerta dalla ricerca”.
Bilancio positivo per i seminari di alta formazione sul vino promossi dalla Fondazione Edmund Mach a cui hanno partecipato nei giorni scorsi illustri esperti e consulenti del settore di fama nazionale e mondiale: il sociologo Gianmarco Navarini, autore per “Il Mulino” del libro “I mondi del vino”, l’esperto e consulente di vino Robert Joseph, autore di Marketin Wine Toolkit e il noto importatore di vino statunitense, Jim Lo Duca. Numerosi operatori, appassionati, ma anche studenti del corso di laurea e del master Wem hanno seguito con attenzione i seminari “Extra Program” dell’Executive Master in Wine Export Management, trasmessi anche in diretta streaming su live.fmach.it e organizzati dal Dipartimento istruzione post secondaria e universitaria del Centro Istruzione e Formazione. Gianmarco Navarini insegna Sociologia della cultura ed Etnografia all’Università di Milano-Bicocca ed è autore per “Il Mulino” del libro “I mondi del vino”. Ha analizzato gli elementi che compongono la fenomenologia sociale del mercato, dai processi culturali di differenziazione dei mondi del consumo e della produzione allo sviluppo dei legami tra i sistemi di classificazione del vino come prodotto e le classificazioni sociali dei consumatori.
Robert Joseph, acuto osservatore del mondo del vino e giornalista del magazine di economia vitivinicola Meininger’s Wine Business, è visiting professor della Burgundy Business School. Autore di Marketin Wine Toolkit, Master of Wine, è fondatore del Wine Challenge di Londra, concorso enologico internazionale con la partecipazione di oltre 10.000 vini. Il seminario di Joseph è partito da una domanda fondamentale e per certi aspetti didattica: “Come scegli una bottiglia di vino quando non c’è un nome di un produttore di vino o di un’azienda che riconosci? Il dibattito che è ne scaturito è stato appassionante ed a tratti “illuminante”. Jim Lo Duca ha evidenziato il punto di vista dell’importatore USA, illustrando le problematiche che quotidianamente si trova a dover risolvere. Conoscerle e saperle affrontare è indispensabile per creare un rapporto fiduciario. Secondo Lo Duca, il vino può anche essere buonissimo, ma per sfondare con gli importatori americani serve una adeguata comunicazione professionale.
Realizzare prodotti di cosmesi grazie all’utilizzo di scarti di produzione delle aziende vitivinicole. Questo l’obiettivo del progetto “Cosmesi Kmzero”, a cura dell’Istituto Spallanzani di Rivolta d’Adda, Cremona, e dell’azienda vitivinicola biologica Barone Pizzini di Provaglio d’Iseo. I dettagli sono stati presentati la scorsa settimana a Verona, in occasione di Vinitaly.
“Stiamo assistendo a un dialogo virtuoso tra due filiere molto diverse – commenta Ettore Prandini presidente dell’Istituto Spallanzani -. Arrivare infatti alla realizzazione di prodotti cosmetici grazie all’utilizzo di sottoprodotti dell’attività vitivinicola significa fare grandi passi avanti nel settore della ricerca, determinante per lo sviluppo del nostro Paese”. Il progetto prevede l’estrazione dei principi attivi di vinacce, raspi e foglie di vite. “Il tutto grazie a un nuovo sistema – spiega Marina Montedoro, direttore dell’istituto Spallanzani.
“Siamo pronti a proseguire in questo percorso di ricerca e sperimentazione – aggiunge Silvano Brescianini dell’azienda agricola bresciana Barone Pizzini -. In questa prima fase abbiamo fornito ai ricercatori la materia prima che ha dato ottime risposte per la futura realizzazione di un prodotto cosmetico biologico di alte prestazioni. Per il futuro e in attesa di attori interessati alla realizzazione sarà importante il coinvolgimento anche di altre realtà vitivinicole bresciane”.
“Valorizzare in termini economici lo scarto aziendale – prosegue il presidente Prandini – è importante, soprattutto se legato all’ambito del biologico che viene apprezzato molto dai consumatori e rappresenta un valore aggiunto importante”. Il progetto è finanziato da Regione Lombardia ed è il risultato dell’alta professionalità dei ricercatori dell’istituito Spallanzani. “A loro va il mio ringraziamento – conclude Ettore Prandini – e mi auguro di poter arrivare velocemente alla realizzazione delle creme cosmetiche biologiche a chilometro zero”.
E’ il vino biologico Aliotto Toscana Rosso Igt 2013 Tenute Lunelli, ottenuto dalla vinificazione delle uve della Tenuta Podernovo, nel cuore delle colline pisane.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, Aliotto si presenta di un rosso rubino intenso con sfumature violacee. Al naso, anch’esso intenso, sprigiona note di frutti rossi (marasca) e frutta sotto spirito. Non manca una venatura minerale e vegetale, che ricorda il rosmarino.
Al palato, Aliotto Toscana Rosso Igt 2013 delle Tenute Lunelli si conferma vino caldo, di corpo, secco, ma anche rotondo e fresco. Giustamente tannico, regala piacevoli note sapide, che conferiscono alla beva ulteriore scorrevolezza.
Un vino equilibrato, che in bocca gioca come al naso con le note di frutta rossa, rivelandosi più “piacione” delle attese. Buono anche il risvolto retro olfattivo, intenso, mediamente fine e sufficientemente persistente.
Da considerarsi pronta la vendemmia 2013, che mostra qualche margine di ulteriore miglioramento in bottiglia. Questo rosso toscano si abbina alla perfezione con piatti di carne, dai ragù dei primi sino ai secondi.
LA VINIFICAZIONE
Aliotto nasce da una attenta selezione delle uve provenienti dai vigneti della Tenuta Podernovo, splendido poggio vitato nel Comune di Terricciola, all’interno della pregiata ed emergente zona vinicola delle Colline Pisane.
I vigneti affondano le radici in terreni dotati di una tessitura di medio impasto, franco-sabbioso-argilloso, ricchi di conchiglie fossili, con una esposizione che va da Ovest a Est passando per il Sud, a un’altitudine di 137 metri sul livello del mare. Il sistema di allevamento è il cordone speronato, con una densità d’impianto di 5680 ceppi per ettaro e una resa di 60 ettolitri di vino per ettaro.
La vinificazione prevede la fermentazione a 28 gradi, in tini di acciaio. Il periodo di macerazione si protrae tra i 10 e i 15 giorni. Dodici i mesi di maturazione in barrique, con affinamento in bottiglia minimo di 4 mesi, prima della commercializzazione. Aliotto viene prodotto sin da 2004.
La famiglia Lunelli ha voluto, a partire dagli anni Ottanta, affiancare al noto marchio di spumante Ferrari “altre produzioni che ne condividessero i valori di fondo, ovvero altissima qualità, ricercatezza e forte legame con il proprio territorio”.
Ecco dunque al fianco del Metodo Classico Ferrari un’acqua come Surgiva, un marchio storico della grappa come Segnana, i vini trentini Lunelli, i toscani della Tenuta Podernovo e gli umbri della Tenuta Castelbuono e locanda Margon.
Prezzo pieno: 7,20 euro
Acquistato presso: Il Gigante
Sotto la lente di ingrandimento “Al Ladar“, Bonarda Colli Piacentini Doc Riserva Bosco del Sole dell’Azienda Agricola Montesissa Francesco di Carpaneto Piacentino (Pc). Un rosso non filtrato, vendemmia 2009. Nel calice si presenta di un rosso rubino intenso, impenetrabile, con unghia violacea. Scorre denso, tingendo il bordo di ‘lacrime’ fitte. Al naso libera sentori intensi di viola, prugna, frutta sotto spirito.
Non mancano le note vegetali aromatiche, di rosmarino, salvia e menta. Al palato, Al Ladar Bonarda Riserva Bosco del Sole 2009 Montesissa sfodera un tannino ancora vivo, che fa presagire – assieme a un’acidità e a una sapidità suadente – ancora ottime doti di affinamento in bottiglia. In bocca sembra di poter mordere le note fruttate di prugna matura e piccoli frutti di bosco.
Grande morbidezza, per un vino di 15 gradi di percentuale d’alcol in volume, tutt’altro che fastidiosi. Strepitoso anche il retro olfattivo, intenso, avvolgente, capace di chiudersi su persistenti note balsamiche di menta. Perfetto l’abbinamento con i primi al ragù e i secondi a base di carne, dai bolliti alla cacciagione, oltre ai formaggi stagionati. Per morbidezza accompagna bene anche il cotechino. Da provare come vino da meditazione.
LA VINIFICAZIONE
I vigneti che danno vita al 100% Bonarda Al Ladar Montesissa si trovano a Bacedasco, in provincia di Piacenza. Il vitigno viene allevato a Guyot, con una densità di 4.200 piante per ettaro. Le uve vengono vendemmiate nei primi giorni del mese di settembre. Vengono sottoposte a una fermentazione in acciaio, per 12 giorni circa.
La maturazione avviene invece in barrique per 12 mesi. Altri 6 mesi di affinamento in bottiglia precedono la commercializzazione. La vendemmia 2009 ha consentito la produzione di 1770 bottiglie. Qui il nostro reportage direttamente dall’azienda agricola Francesco Montesissa di Carpaneto Piacentino.
L’età di riferimento varia a seconda della legal drinking age: 18 anni in Cina e 21 anni negli Usa. Si parte dai consumi, che rappresentano la differenza principale: solo il 12% dei Millennials cinesi ha bevuto vino negli ultimi 12 mesi, contro il 62% dei coetanei americani.
Sul fronte delle preferenze il vino italiano si posiziona ai primi posti, sono il 22% infatti i giovani consumatori cinesi che ritengono che il vino italiano abbia qualità superiore a quello francese, e sale al 35% la percentuale dei sostenitori del vino italiano tra i 21 e 35 anni negli Stati Uniti.
Solo il 10% in Cina e il 4% negli Usa pensa che il vino italiano sia mediamente di qualità inferiore a quello francese. Per il 32% dei Millennials cinesi è il vino il prodotto bandiera del made in Italy, scelto dal 32% degli intervistati e seguito da moda (28%), arredamento e design (12%) e prodotti alimentari (9%). Eleganza (29%), qualità (24%) e tradizione (16%) sono le prime associazioni di idee che il vino suscita.
Una brand reputation che fa ben sperare per il futuro ma a cui non corrisponde un adeguato valore delle vendite del nostro vino nel Paese del Dragone. Degli oltre 1,8mld di vino importato dalla Cina quello made in Italy rappresenta solo una piccola fetta (4,9%), con un valore di poco superiore ai 90mln di euro.
Per Silvana Ballotta, ceo di Business Strategies: “L’indagine dimostra come sia differente l’approccio al vino tra i giovani americani e quelli cinesi, ma più sul fronte dei volumi consumati che sugli atteggiamenti e sulle leve di acquisto del prodotto. In questi casi anche i Millennials cinesi che bevono vino sembrano avere le idee chiare e dimostrano di poter spendere più dei loro pari età americani.
Un dettaglio da non trascurare, visto che, secondo il nostro Osservatorio Paesi terzi il prezzo medio del nostro vino in Cina continua a essere troppo basso (3,1 euro al litro), contro quello francese, che vale circa il 50% in più del nostro prodotto ed ha segnato una crescita del 23% nell’ultimo anno”.
I PAESI DI ORIGINE DEL VINO
Nella classifica cinese per provenienza dei vini, l’Italia si classifica al secondo posto con il 14% delle preferenze, staccata dalla Francia che raccoglie invece il consenso del 30% del campione. Il 37% delle preferenze dei giovani americani valgono invece ai vini italiani il primo posto (37%), subito dopo quelli californiani (49%) e un passo avanti a quelli francesi (32%).
Sul fronte regionale, entrano nella top15 cinese anche Sicilia e Piemonte, rispettivamente al 12° e 13° posto nel Paese del Dragone e al 12° e 15° posto negli Usa, dove la Toscana è la prima regione estera di provenienza, scelta dal 15%.
Nella scelta del vino i più inediti giovani consumatori cinesi non si fanno influenzare dal prezzo e dalle promozioni: solo il 6% ha dichiarato di scegliere il vino in base alle promozioni o a considerazioni di portafoglio, in netta controtendenza rispetto agli orientamenti dei Millennials americani che indicano il prezzo e le promozioni come il primo criterio di scelta (22%).
I Millennials che bevono vino in Cina sono infatti mediamente più ricchi rispetto ai coetanei americani, e con potere di acquisto superiore alla media. Circa 1 su 3 dei wine consumers nel Paese del Dragone appartiene alle due fasce di reddito più elevate, mentre questo è vero solo per il 15% degli americani.
In entrambi i Paesi si dà molta rilevanza all’importanza del brand dell’azienda produttrice, che rappresenta il primo criterio di scelta per i cinesi (indicato dal 22%) e il terzo per gli americani (16%). Si allineano anche sull’importanza del consiglio di amici/negozianti, che è ritenuto rilevante dal 16% dei cinesi e dal 17% degli americani (rispettivamente al terzo e secondo posto).
Mentre il Paese di origine del vino è molto importante per i Millennials cinesi (sono il 17% quelli che lo utilizzano come criterio di scelta), è solo al 5 posto nella lista delle considerazioni dei giovani americani (6%). Scende il livello di attenzione in entrambi i Paesi rispetto ad indicazioni più specifiche sull’origine geografica del prodotto (come la regione di provenienza e il vitigno) e alla pubblicità, sia in tv, riviste ma anche su internet e i social network.
Durante la sua visita al Vinitaly, Matteo Renzi ha dichiarato che il vino italiano è migliore di quello francese, scatenando le ire dei media d’oltralpe. ”The Local” quotidiano online francese, si è subito divertito a pubblicare
un articolo sull’argomento ritenendo Renzi ”alticcio da Chianti” con tanto di foto e commenti satirici. Non è la prima volta che Matteo Renzi si esprime sull’argomento. Qualcosa di simile lo aveva già detto al Presidente François Hollande durante un meeting. Hollande aveva replicato con un semplice ”ma il nostro è più costoso”. In termini di popolarità, secondo la rivista, Matteo Renzi potrebbe avere ragione, dopo tutto lo scorso anno l’Italia ha sorpassato la Francia in termini di esportazioni. Ma quale vino è effettivamente migliore? La rivista si interroga, snocciola diverse teorie e chiede pareri illustri. Se si chiedesse al noto critico americano Robert Parker, famoso per il suo naso da un milione di dollari, quale è il vino migliore probabilmente si schiererebbe dalla parte dei francesi. Dopo tutto, tra i 300 vini che l’americano ha classificato come perfetti, secondo il suo metodo a punti, 204 sono francesi. E se la qualità effettivamente si riflette dal prezzo, il premier italiano ai francesi è sembrato nuovamente in torto. Secondo Wine Searcher, su 50 dei vini più costosi al mondo 38 sono francesi, di italiani nemmeno uno e per la cronaca, il primo posto è andato al Romanée-Conti Romanée-Conti Grand Cru, Cote de Nuits, che vende ad un prezzo medio di $ 13.166. Per ”The local” Renzi è stato stupido a confrontare i due vini. Per Bert Celce, un blogger che scrive di vini e degustazioni il vino non può essere misurato in base al paese. ”E’ difficile comparare vini simili di nazioni diverse, perché ogni vino ha una storia diversa quando lo si beve”. Bert Celce peraltro non si dichiara a favore dei vini francesi: ”Se anche un ministro francese avesse detto che i vini francesi sono migliori lo avrei trovato stupido visto che la produzione di vino in Francia è un miscuglio, ci sono un sacco di vini di poco interesse accanto ad altri che sono grandi prodotti. La stessa cosa potrebbe valere per il panorama enologico italiano che non conosco” ha dichiarato.
Infine, secondo il blogger, la maggior parte, se non tutti, dei politici francesi quando parlano di vini non capiscono le differenza di qualità al di là della AOC (l’origine), ma si riferiscono di più al branding. Rosemary George, altro esperto che scrive regolarmente sul vino francese, interrogato sulla questione non ha mezze misure. La reputazione della Francia la dice lunga. “La Francia ha fissato gli standard internazionali – chi fa spumante nel Nuovo Mondo, prende come esempio lo champagne, chi coltiva il Pinot Nero ha la Borgogna come punto di riferimento, e così via”, ha detto a The Local. Rosemary George all’Italia riconosce solo ricchezza di vitigni sconosciuti e oscuri, ma con pochi riconoscimenti internazionali. Chrissie M, che gestisce il blog ”Riviera Grapevine” concorda sul fatto che sia quasi impossibile confrontare i vini delle due nazioni. Il vino italiano è affascinante per la sua diversità, per i vitigni che non si possono trovare altrove, ma il vino francese è un classico e per il blogger è ancora il punto di riferimento per la qualità. I produttori di vino degli altri paesi cercano di emulare da sempre i francesi, lo champagne è l’esempio più calzante. Da un lato l’Italia con alcune produzioni tallona il Bordeaux, anche in termini di prezzo, ma dall’altro non può competere con un rosato Côtes de Provence, nessuno lo fa come i francesi dichiara il blogger tantomeno gli italiani. Ma è inutile fare confronti, quando si può godere di entrambi conclude. Insomma anche il vino, elemento conviviale da sempre, non mette d’accordo Italia e Francia, da secoli nemiche-amiche. L’incidente diplomatico non c’è stato, forse sarebbe stato peggio se il Matteo nazionale avesse citato la partita Italia-Francia del 2006, poteva finire a ”testate”, o peggio a ”bottigliate”.
LA DEGUSTAZIONE
LA VINIFICAZIONE
Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Simply Market
Nomi affermati della viticoltura italiana, presenti o meno in Gdo, accanto a piccoli produttori per lo più sconosciuti al “grande pubblico”. Abbiamo affrontato così, ovvero “decidendo di non decidere” in anticipo le cantine a cui far visita, l’edizione 2016 di Vinitaly, andata in scena a Veroa dal 10 al 13 aprile scorsi. Una scelta da curiosi (ma ipercritici) turisti del vino, quella che abbiamo compiuto quest’anno. Con risultati davvero sbalorditivi. Citeremo di seguito le cantine e i prodotti che ci hanno lasciato qualcosa: un ricordo, un’emozione, una storia da raccontare. Il tour inizia dalla Lombardia. Tradotto: alle 9.15, il calice si tinge già del rosso intenso e impenetrabile delle Bonarda dei Fratelli Agnes. Una piccola realtà di Rovescala (Pavia) che in Gdo (Esselunga e Carrefour) distribuisce alcune (ottime) varianti del rosso più bevuto dai pavesi. Centotrentamila bottiglie l’anno per 21 ettari vitati esclusivamente a bacca rossa, allevati con rese che vanno dai 45 ai 70 quintali ettaro. Ci guida nella degustazione Sergio Agnes, appassionato e colto viticoltore, titolare assieme al fratello della cantina oltrepadana. Cresta del Ghiffi, vendemmia 2015, è un Bonarda frizzante, profumato e persistente, caldo e beverino. Sale l’asticella della qualità con il Bonarda fermo La Possessione del Console, cru 2013. Ottenuto da viti di 65 anni, risulta meno profumato ma di grande corpo, struttura e persistenza. Da provare anche Millennium 2009, un 100% Croatina che sull’etichetta ripercorre la storia millenaria della viticoltura a Rovescala, citando i passi salienti di un contratto di mutuo di epoca medioevale (anno 1192), saldato in vino piuttosto che in denaro: “Un attestato di qualità e vocazione alla produzione del vino a Rovescala”, commenta Sergio Agnes, uomo tanto colto e schivo quanto appassionato della sua terra. Un prodotto, Millennium 2009,affinato in barrique da 15 ettolitri, che regala un’ottima fotografia della longevità del vitigno autoctono pavese Croatina. Ancora vivo il tannino, fresca l’acidità, per un prodotto che sarà in grado di mostrare i denti ancora un paio d’anni, conferendo al contempo una grande centralità al frutto. Solo legno nuovo, invece, per Poculum 2011. Un vino 100% Croatina destinato principalmente al mercato estero, ma che piace anche in Italia. Loghetto 2013, ottenuto da una vigna che quest’anno compie i suoi 110 anni, subisce una macerazione di 60 giorni a freddo su lieviti autoctoni, prima della svinatura. Le vigne antiche pescano sino a 30 metri le sostanze nutritive, regalando al calice di questa Croatina una complessità aromatica e una mineralità notevole. Si parte invece dalle bollicine con il vicino Fiamberti, notissimo produttore dell’Oltrepò Pavese. Cruasè (24 mesi sui lieviti) e Brut (30 mesi) Metodo Classico convincono tutti, ma il dialogo si concentra sul rapporto con la grande distribuzione organizzata. “Siamo presenti in Esselunga, Carrefour, Iper e, solo in Umbria e nelle Marche, con Famila e A&O – commenta un raggiante Giulio Fiamberti – e devo ammettere che sono molto soddisfatto dal rapporto con questi gruppi. Abbiamo avuto la grande fortuna di entrare in questo mondo dalla porta principale, in due sensi: il primo è che non ci siamo proposti noi ma siamo stati avvicinati dai buyer, il secondo è che la prima catena che ci ha contattato è stata Esselunga, non appena aperto il suo punto vendita di Broni. Caprotti era alla ricerca di un produttore che gli garantisse tutta la gamma dell’Oltrepò e la cosa ci ha allettato, avendo queste caratteristiche. Per di più, Esselunga è una catena che premia e ricerca produttori più che semplici imbottigliatori. E dunque capisce cosa sta dietro alla singola bottiglia: ovvero il lavoro di chi produce vino, a cui sa dare il giusto valore. Quello ragionevole, pur trattandosi di Gdo”.
Pochi passi ed eccoci da un altro “mostro sacro” dell’Oltrepò Pavese. Fabiano Giorgi, il titolare, ed Enrico Rezzani, responsabile vendite della F.lli Giorgi di Canneto Pavese, ci guidano nell’assaggio di Cruasé, Crudoo e Giorgi 1870, annata 2011. Lascia il segno, in particolare, quest’ultimo: una bollicina tecnicamente perfetta, che non a caso fa incetta di premi: da 7 anni consecutivi “tre bicchieri” Gambero Rosso, da 4 anni “cinque grappoli” Ais, per citarne solo alcuni. Un Pinot Nero Metodo Classico che custodisce la memoria storica dell’azienda pavese, che conta su 75 ettari vitati nei terroir tra i più vocati dell’Oltrepò orientale. Ci spostiamo dunque in Valtellina, per l’esattezza a Castione Andevenno, Sondrio. Incontriamo ‘qui’ Walter Menegola, che ci fa assaggiare il suo Sforzato Riserva 2011. Dodici mesi di barrique “non sempre nuove”, più dodici mesi in botte grande. Milletrecento bottiglie totali per uno Sforzato che alza in cielo la bandiera dell’alta qualità e del rispetto dell’ambiente in Valtellina. “La nostra zona – evidenzia Menegola – merita solo e soltanto questo: qualità. In particolare lo Sforzato Riserva, nel nostro piccolo, ci sta dando grandi soddisfazioni, essendo di recente finito addirittura nell’enoteca di un ristorante stellato. Trattiamo il Nebbiolo come un bambino, che necessita di tempo per iniziare a parlare. Lo aspettiamo, fino a che esprime tutto il suo potenziale, senza commercializzare nemmeno una bottiglia prima che non sia come la vogliamo”. Alti standard qualitativi, grande rispetto per il vitigno. E un occhio di riguardo anche all’uso dei solfiti: “I nostri vini – dichiara ancora Menegola – registrano 24 milligrammi per litro di solforosa. Potremmo certificarci Bio, ma non lo facciamo perché questo è semplicemente il nostro modo di lavorare e di rispettare chi apprezza la pulizia dei nostri vini”. Accanto a Menegola troviamo Marco Triacca dell’azienda La Perla di Tresenda di Teglio, Sondrio. Ottimo anche il suo Sforzato Quattro Soli, in cui le note fruttate fresche costituiscono la peculiarità. “La filosofia – spiega il viticoltore – è quella di favorire l’impatto aromatico con il lavoro agronomico in vigna. A discapito di un po’ di struttura, caratteristica di tutti gli Sforzati, cerco di fare un vino che piaccia innanzitutto a me, dove la frutta sia messa al centro, oltre la botte”. Marco Triacca è modesto, struttura e complessità sono ben presenti, così come corpo e persistenza retro olfattiva. “Cerco di vinificare il prima possibile – precisa il viticoltore – per limitare il tasso alcolico e dare vita a un vino più fresco, di facile beva, che non stanchi dopo pochi sorsi”. Missione compiuta, grazie a una vinificazione che prevede 2 anni in botte grande e 12 mesi di affinamento in bottiglia.
Il viaggio il Lombardia fa tappa nella micro Doc Botticino, Comune della Provincia di Brescia noto al mondo per i suoi marmi più che per i suoi vini. Prendete nota, dunque. E andate a trovare i coniugi Cristian e Alessandra Noventa, che producono assieme ai suoceri (di lui) Pierangelo e Serena, degli interessantissimi blend costituiti almeno al 50% da Barbera, con Marzemino, Sangiovese e Schiava a fare da cornice. Certificata Bio dalla vendemmia 2014, anche se dagli anni 70 non utilizza diserbi, la Noventa Bioviticoltori in Alta Collina fa rimanere sbalorditi con Privilegio 50, ottenuto da vigne di 70-80 anni, affinato in botte vecchia per 50 mesi. La raccolta delle uve a fine ottobre e la lunga macerazione regalano uno straordinario rosso a una provincia, quella di Brescia, nota soprattutto per le bollicine Franciacorta. “Lavoriamo in una piccola zona vocata alla produzione dei vini rossi – evidenzia Cristian Noventa – e abbiamo la grande fortuna di poter coltivare una terra ricca di ‘marna’, ovvero calcare disgregato. Col marmo di Botticino, per intenderci, è stato realizzato l’Altare della Patria di Roma e la Casa Bianca negli Stati Uniti. Questo calcare, la nostra esposizione a sud, un anfiteatro di montagne, l’altitudine dei terreni tra i 300 e i 500 metri sul livello del mare, le rese basse di queste terre, tra i 30 e i 60 quintali per ettaro, oltre alla mano dell’uomo, eseguendo in campo potature verdi per tenere basse le rese e ottenere uve sane, sono gli elementi alla base dei nostri vini, che sono grandi vini. Tutti da scoprire”. Come dare torto a Cristian Noventa? Pià della Tesa e Privilegio 50 sono da assaggiare almeno una volta nella vita. Dieci ettari totali per l’azienda agricola Noventa Pierangelo, per 30 mila bottiglie annue totali. E una grande sfida per il futuro. “I margini di miglioramento sono ancora moltissimi – ammette il viticoltore – ma oltre a confermarci sul mercato con i nostri storici Botticino, abbiamo la grande ambizione di produrre una Barbera in purezza, a cui conferire assieme la morbidezza e l’eleganza del nostro terroir. Ma, soprattutto, intendiamo introdurre il Nebbiolo. Ho la sensazione netta che questo vitigno possa adattarsi alla grande alla nostra zona”. Piemontesi, siete avvisati.
Chi invece non ha bisogno di annunci è la casa vinicola Silvestroni di Camerata Picena (Ancona), che si è presentata a Vinitaly 2016 forte di un nuovo ingresso nella famiglia fashion della “Linea Travenasca”: dopo la Passerina “50 Sfumature”, ecco due splendide ragazze davanti allo stand della casa vinicola, a lanciare la new entry, ovvero il Pecorino “50 sfumature”. “Abbiamo avuto sin da subito un ottimo riscontro – evidenzia Francesco Patrignani, responsabile vendite della Silvestroni – anche grazie alla spinta delle nostre promoter”. Due catwoman in tuta “mimetica” nera, attillata, non potevano certo passare inosservate all’assetato pubblico del Vinitaly. E il vino in sé merita un assaggio: come aperitivo, in ogni occasione di convivialità, ma anche in abbinamento a piatti leggeri di pesce. Più strutturati i vini degustati da Masciarelli Tenute Agricole Srl, nota casa vinicola di San Martino Sulla Marrucina, Chieti, che a Vinitaly 2016 condivide un ampio spazio espositivo con Marina Cvetic, moglie del grande Gianni Masciarelli. Sono di Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, i vigneti da cui si ottiene un buon Montepulciano d’Abruzzo a marchio Masciarelli (vendemmia 2014): vinificazione tradizionale in rosso, con temperature iniziali di fermentazione di 20 gradi, che salgono poi a 28, per conservarne la freschezza. Prima dell’affinamento in acciaio per un periodo di 10 mesi, il vino subisce la fermentazione malolattica. Passiamo dunque a due prodotti realizzati dall’azienda Luigi Valori (Sant’Omero, Teramo), di cui Masciarelli è distributore. Il Montepulciano biologico si fa apprezzare per la grande pulizia e le note spiccatamente fruttate. E anche Inchiostro, un Merlot 2010, prodotto in vigneti attualmente in conversione bio, è da provare: caldo e persistente, dotato di un tannino elegante e ancora “frizzante”. Passiamo dunque al padiglione dedicato ai vini pugliesi, dritti al banco del Consorzio Tutela Vini Dop Salice Salentino. Degustiamo qui il Selvarossa Riserva 2012 Due Palme, vino introdotto da qualche mese dalla catena Esselunga nei suoi store più prestigiosi. Naso fruttato caratteristico dei vini di Puglia, intenso, esprime anche al palato la gran carica fruttata di lamponi e fragole, in un concerto spiccatamente speziato, molto caldo, rotondo. Anche il retro olfattivo gioca tutto sulle note speziate. Buon vino, che per la sua sostanza risulta tuttavia difficile da bere se non accompagnato dal giusto abbinamento culinario. Così come risulta un po’ troppo caldo, a livello di alcolicità, Metiusco Salento Igp Rosso dell’azienda vinicola Palamà Srl di Cutrofiano, Lecce.
Sempre in Puglia, ci facciamo ospitare da Giacomo Di Feo, direttore commerciale delle Cantine Due Palme – Viticoltori del Salento (Cellino San Marco, Brindisi), per una dichiarazione sul rapporto con la Gdo. “Come cooperativa e azienda ormai di dimensioni medio grandi – evidenzia Di Feo – siamo in grado di produrre circa 10 milioni di bottiglie l’anno e, dunque, di avere rapporti con la grande distribuzione. Avendo però noi un orientamento fortissimo al marchio, attualmente privilegiamo nel rapporto con la Gdo la produzione di etichette dedicate e linee di private label. I prodotti principali vengono dunque destinati al mercato d’elezione, che è quello della ristorazione, mentre con prodotti specifici o creati ad hoc ci affacciamo alla grande distribuzione. Cosa che tra l’altro in questo momento è molto richiesta, soprattutto per un discorso di margine. Per il futuro, la cosa da migliorare è il controllo del prezzo. Una tematica che all’estero è molto più sentita rispetto all’Italia. Quasi mai, fuori dai nostri confini nazionali, un vino viene utilizzato come specchietto per le allodole, attirando i consumatori con prezzi stracciati, in maniera così sistematica. E la pressione sul promozionale, quando esiste, è molto limitata nel tempo, all’estero. In Italia, invece, registra anche punte del 90%: vuol dire che su 10 bottiglie vendute in Gdo, 9 sono in promo. In Paesi come la Svizzera, le vendite promozionali riguardano solo il 10% delle vendite. Ciò contribuisce ad alzare il livello di consapevolezza del consumatore, che paga il vino quanto vale davvero. Riducendo i prezzi con le promozioni, invece, avremo sempre da un lato una catena Gdo scontenta, perché non marginalizza abbastanza, e dall’altro un produttore soffocato dalla richiesta del prezzo”. Cantina Due Palme lavora con Esselunga, Il Gigante (Selex), Carrefour, Auchan, Sma: tutti player di livello nel panorama italiano. E del prezzo di vendita corretto fa una questione di orgoglio. Non a caso Selvarossa Riserva 2012 si sta riposizionando su cifre che si aggirano attorno ai 14,50 euro – destinate a crescere ancora – a fronte di un iniziale sell out di 13 euro. Sempre non a caso, il 90% del fatturato della cantina su questo prodotto va fatto risalire al canale Horeca. “Una catena che ben lo espone – ammette il direttore commerciale Di Feo – non può che essere per noi un valore aggiunto”. Tra i prodotti di punta della cantina brindisina c’è anche il Susumaniello Serre, premiato tra l’altro a Vinitaly 2014. Ma a proposito di quest’uvaggio autoctono non potevamo mancare una sorta di “verticale” da chi, il Susumaniello, lo ha fatto riscoprire al grande pubblico di appassionati del vino.
Il nostro Vinitaly 2016 si chiude dunque in bellezza, con la scoperta dell’Azienda Agricola Ricci di Costa Vescovato (Alessandria). Qui, Carlo Daniele Ricci, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso eccezionale. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio a bacca bianca autoctono piemontese inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato molto caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacia. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere tanto risulta morbido e rotondo, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Uno spirito battagliero che Vinitaly 2016 ha saputo valorizzare.
Ecco la classifica dei primi dieci vini in termini di incremento vendite 2015, come illustrato da Coldiretti durante il Vinitaly che si è appena concluso. Un dato che parla chiaro, gli italiani nel 2015 hanno dirottato i loro acquisti su prodotti locali e vitigni autoctoni. Il primo vitigno internazionale, per crescita si posiziona solo in fondo
a questa speciale classifica. “Il futuro dell’agricoltura italiana ed europea dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività territoriali che sono state la chiave del successo nel settore del vino dove hanno trovato la massima esaltazione”, ha affermato Roberto Moncalvo presidente della Coldiretti. La maggior parte di questi vini, versione gdo sono stati recensiti dalla nostra pagina, anche di diverse cantine o catene di supermercati, se non li avete mai letti o volete rileggerli il link Vi porterà alla recensione che abbiamo abbinato. Quanto al Marzemino, presto online.
1 Passerina (Marche)
2 Valpolicella Ripasso (Veneto)
3 Pecorino (Abruzzo/Marche)
4 Nebbiolo (Piemonte)
5 Marzemino (Trentino A.A.)
6 Traminer (Trentino A.A.)
7 Negroamaro (Puglia)
8 Custoza (Veneto)
9 Vernaccia di S.Gimignano (Toscana)
10 Syrah (Internazionale)
Nella grande distribuzione cresce la vendita di vini italiani
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Dal 13 al 15 Maggio, al Pala Banco di Brescia si terrà il primo evento locale dedicato al mondo della birra artigianale. L’idea è nata proprio osservando il quadro produttivo del bresciano, uno tra i più importanti a livello nazionale per volumi di produzione e qualità di birra prodotta con una ventina circa di produttori per una produzione complessiva di circa 2,5 milioni di litri annui.
Beer in Brescia, questo è il nome scelto per la manifestazione nasce dalla collaborazione tra Giuseppe Vitrano (organizzatore) e l’associazione ”Officina Futuro”. Officina futuro opera da anni sul territorio bresciano in ambito organizzazione eventi ed è nota per la ”Maratona fotografica Brescia”. Per l’evento saranno selezione 12 micro birrifici bresciani che offriranno agli appassionati oltre 70 tipi di birra in degustazione.
Apre a Bari il primo museo della birra
Sarà a Bari il primo museo della birra. Una struttura pensata per fare formazione, essere birrificio, ma anche museo. L’idea è di mondobirra, presieduta da Piero Conversano che ha immaginato un luogo dove si potrà degustare la birra, diventare mastri birrai o beer sommelier. Il tutto in un contesto istituzionale che avrà anche il patrocinio della Regione, del Comune di Bari e della Camera di Commercio. La sede sarà all’interno del padiglione della fiera del Levante a partire da Settembre 2016.
”Verrà dato maggiore spazio alle birre pugliesi, oltre ad altre italiane comprese quelle commercializzate all’estero” ha spiegato Paola Sorrentino, biologa, napoletana di nascita e barese di adozione del birrificio Bari.
Il museo della birra sarà anche un occasione per creare occupazione in una regione come la Puglia che vive da sempre un grande disagio. Il primo museo pubblico della birra italiano sarà sempre aperto per tutti coloro i quali sono incuriositi da uno dei processi produttivi più affascinanti e magici di sempre, acqua, malto, lievito e luppolo gli ingredienti della bevanda fermentata più antica del mondo.
E’ il prodotto di un vitigno autoctono oggi presente soprattutto nella zona delle Marche, in provincia di Ancona. Un nome particolare, Lacrima, perché, a maturazione, spesso la buccia si rompe lasciando fuoriuscire gocce di succo simili ad una lacrima. Non fatevi ingannare dal nome al cui interno c’è la parola Alba, perchè non siamo in Piemonte, a Cuneo, ma proprio nelle Marche, con un vino che si preannuncia particolare già dal nome. Lacrima di Morro d’Alba Superiore Doc Arciere, vendemmia 2013, finito oggi nel nostro calice. Di colore rosso rubino carico, tendente al violaceo e poco trasparente sul bicchiere rilascia tanti archetti stretti che colano densi. Dal punto di vista dell’olfatto è molto profumato. Inizialmente è l’alcolicità a prevalere, sono 13% i gradi di questa versione superiore. Le note vinose poi, lasciano spazio a piccoli frutti a bacca rossa, che si arricchiscono di un mazzolino di rose e di violette. Lo spettro olfattivo viene completato anche da una leggera speziatura e da note balsamiche. Di corpo medio, è un vino caldo e fermo che si fa apprezzare per il gusto rotondo e fruttato, ma soprattutto per il retrogusto quasi ”liquoroso”.Chiude infatti su note di ginepro in un finale elegante e persistente. Non è il classico vino ”piacione’ alla toscana, ma ha un sapore asciutto e gradevole e per la sua particolare aromaticità viene considerato anche un vino da meditazione. Oppure, a tavola, la Lacrima di Morro d’Alba Superiore Doc Arciere è un vino che si abbina a primi piatti saporiti, pietanze tartufate o a base di carne rossa. Si accosta molto bene al filetto di manzo accompagnato con crema di funghi e condito con olio al tartufo, ma anche a prodotti tipici della cucina marchigiana come il salame lardellato di Fabriano o il ciauscolo. Va servito a 18-20 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Sappiamo dal sito internet della Cantina Marconi che il Lacrima di Morro d’Alba Superiore è prodotto con uve Lacrima 100% da vigneti che si trovano nella zona di produzione di S.Marcello in provincia di Ancona vendemmiate al massimo della maturazione zuccherina per dare colore e aromaticità al prodotto. La resa è di 1,5 kg per pianta. La Denominazione di origine controllata del vino Lacrima di Morro d’Alba, per essere tale, deve essere composta dal vitigno Lacrima per almeno l’85% con l’aggiunta di Montepulciano e/o Verdicchio nella misura del 15% massimo. Della Lacrima di Morro d’Alba esiste anche una particolare versione passita. Non abbiamo ulteriori informazioni riguardo la vinificazione, le nostre richieste sono state disattese, anche se ci sarebbe piaciuto scoprire qualcosa di più sul nome di fantasia Arciere e sulla particolare etichetta ”vini d’arte”. La Cantina Marconi si trova a S. Marcello in provincia di Ancona, ha un’estensione di 42 ettari nelle colline marchigiane vocate alla coltivazione del Verdicchio e della Lacrima. Da tre generazioni produce vino con la filosofia di fare bene per il piacere di tutti come se si facesse per se stessi cercando di portare nella bottiglia la massima espressione del territorio. Per il loro Verdicchio di Jesi hanno ricevuto una serie di riconoscimenti e menzioni.
Prezzo pieno: 8,99 euro
LA VINIFICAZIONE
Producendo per altro odori o deviazioni che espongono il prodotto tanto al rischio di essere gettato via, quanto a risultare eccellente. “Come tutte le cose buone – commenta Luigi Bagnoli – la componente rischio è fondamentale e a noi piace metterci in gioco. Il ‘paziente’ potrebbe decedere durante l’intervento, insomma”. Ecco dunque l’importanza, ancora una volta, di portare in vinificazione “solo uve sanissime”.
“La vigna è il fulcro di tutto – spiega il produttore pavese – sarei falso se vi dicessi che i risultati sono dovuti solo alla mia bravura. Il segreto di un’azienda che lavora bene, non solo in Oltrepò ma in tutto il mondo, è avere terreni e vigneti buoni o eccellenti: grazie a mio padre e ai miei nonni, tutto questo è possibile nella nostra azienda”.
Le uve Pinot Nero sono state monitorate accuratamente sin dall’inizio della maturazione e raccolte – ecco un’altra particolarità – a un grado di maturazione perfetto. Per gli spumanti convenzionali, invece, si preferisce vinificare uve non ancora perfettamente mature, sfruttandone l’acidità.
“Siccome non sono un grande amante degli spumanti – dichiara Luigi Bagnoli – quando a luglio dello scorso anno abbiamo deciso finalmente di produrne uno nostro, ci siamo anche detti che sarebbe stato differente dagli altri. Un prodotto che piacesse a me, innanzitutto: fruibile e bevibile senza avere mal di testa o bruciori di stomaco, anche esagerando con un paio di bicchieri in più”.
Altra scelta, quella di non aggiungere zuccheri o aromi. Un Brut metodo Charmat di gradazione complessiva 12,40%. “Abbiamo così prodotto uno spumante vicino alla nostra idea di azienda vitivinicola – commenta Fausto Bagnoli – da bere a tutto pasto, dall’aperitivo agli antipasti, dai primi di pesce, molluschi e crostacei sino alla carne. Una bollicina tutt’altro che ‘pasticciata’, che ha nella facilità di beva e nella grande pulizia i suoi valori aggiunti”.
L’OLTREPO’ VISTO DAI FRATELLI BAGNOLI
Un prodotto, lo spumante Atmosfera, differente da molte bollicine dell’Oltrepò Pavese. Una realtà che, a detta dei fratelli Bagnoli, “penalizza” spesso i produttori. “Fare i numeri è un po’ il marchio di fabbrica di questa zona vitivinicola – dichiara Fausto Bagnoli – che spesso si dimentica della qualità. Noi stessi paghiamo lo scotto di produrre in quest’area sferzata negli anni da tanti, troppi scandali. Fortunatamente noi siamo riusciti a farci un nome. Ma se mi metto nei panni di un giovane che intenda accostarsi oggi, nel 2016, al panorama vitivinicolo con l’intenzione di fare qualità, non posso che prevedere per lui una strada in salita”.
Per la Bagnoli, il passaparola tra i clienti che hanno toccato con mano la qualità e la salubrità dei prodotti è un motivo di vanto. “Ma anche noi siamo penalizzati – aggiunge Luigi Bagnoli – dal momento che fuori dalla zona, al di là del passaparola, veniamo penalizzati dalla nomea dell’Oltrepò, senza che neppure i nostri prodotti vengano assaggiati. Questo è ovviamente un limite dell’interlocutore, ma speriamo che le cose cambino non solo per noi, ma per l’intero Oltrepò”.
Tutti in fila nello stand della Sardegna alla 50ma edizione del Vinitaly per farsi cingere il collo dalle medaglie vinte all’ultima edizione del ”Grenaches du monde”, la più importante manifestazione mondiale dedicata al vitigno Cannonau che si è tenuta a Saragozza lo scorso febbraio. Sono ben 13, tra ori, argenti e bronzi, con buona pace per gli scaramantici, i vini sardi che sono stati premiati a
Verona dall’assessore dell’Agricoltura Elisabetta Falchi, e dai rappresentanti di Civr, organizzatore del concorso. “Queste medaglie sanciscono una volta di più la qualità del nostro Cannonau, una delle autentiche eccellenze del nostro agroalimentare”, ha detto l’esponente della giunta Pigliaru. “È per noi un onore l’organizzazione della 5a edizione del Grenaches du monde, che si terrà in Sardegna dall’8 all’11 febbraio 2017, rappresenta un’occasione importante per far conoscere a un pubblico internazionale i nostri territori, le loro produzioni e far crescere tutta la Sardegna. Vogliamo che questi eventi non siano sporadici, perché sono importanti occasioni di promozione e ribalta per l’Isola: siamo al lavoro per candidarci e ospitare con regolarità importanti concorsi internazionali nei prossimi anni” ha aggiunto. “Il Cannonau si conferma cavallo vincente della nostra produzione enologica e siamo al lavoro per rafforzare la sua presenza sul mercato e intercettare l’interesse dei consumatori nei paesi con una marginalità di prezzo alta”, ha affermato Elisabetta Falchi. “Come i premi del Grenaches du monde confermano, la Sardegna sa produrre qualità quando punta sulle sue filiere e sulla rete organizzata dei produttori: questa è la direzione giusta che la Regione intende potenziare” ha aggiunto. ”In questi giorni, proprio qui al Vinitaly, abbiamo discusso i dettagli operativi coi delegati di Civr. Nel 2016 hanno partecipato aziende da Australia, Brasile, Francia, Italia, Repubblica di Macedonia, Spagna e Sudafrica: una vetrina planetaria per i vini sardi ma anche per i territori. Siamo già al lavoro per presentare al meglio la Sardegna: già dopo l’estate c’è l’ospitata di una delegazione di giornalisti specializzati per il primo dei press tour coi quali scandiremo l’avvicinamento all’edizione 2017 del Grenaches du monde” ha concluso la Falchi.
dal Vermentino (76%) dalla Vernaccia (67%), dal Tocai Friulano (66%) e dalla Falanghina (62%). Una vittoria, frutto anche dell’importanza della territorialità nei criteri di scelta del vino. Il 36% dei consumatori si orienta nell’acquisto principalmente in base alla provenienza dei vini, prestando attenzione alla specifica regione di produzione (26%) e alla nazionalità (10%). Solo 1 italiano su 5 si dichiara disposto a provare nuovi vini di territori meno conosciuti soprattutto se oggetto di promozioni interessanti, ma il passaparola rimane la migliore pubblicità. Per essere aiutati nell’acquisto, il 34% del campione chiede il consiglio di amici e familiari, il sommelier convince sempre (7%), ma anche i media specializzati (9%), che registrano il netto sorpasso del web sul cartaceo (rispettivamente 6% e 3%). Emerge l’importanza dell’opinione raccontata direttamente attraverso degustazioni al ristorante (13%) o eventi fieristici dedicati (7%). Nel 2015, 44 milioni di persone (l’80% dei 18-65enni) hanno consumato vino in Italia: il 50% lo beve almeno 2-3 volte a settimana e il 65% ne assume più di 2 bicchieri ogni 7 giorni. Il consumo è direttamente proporzionale all’età, con il 64% dei ‘Baby boomers’ (51-69 anni) che beve regolarmente più volte alla settimana, contro il 50% della ‘Generazione X’ (36-50enni) e appena il 38% dei più giovani ‘Millennials’, che però risultano essere i maggiori consumatori di vino frizzante. Il consumo avviene principalmente tra le mura domestiche (64%) e al ristorante (17%). Importante il connubio cibo/vino, il 20% degli intervistati suggerisce di puntare maggiormente sugli abbinamenti. Nel futuro si prevede l’acquisto di più vini bio (20%), vini carbon neutral (9%), vini con packaging eco-sostenibili (5%) e anche vini vegani (4%).
In occasione dell’incontro odierno tra il Premier Renzi e Jack Ma, fondatore di Alibaba Group, Denis Pantini Responsabile di Nomisma Wine Monitor sottolinea ”la Cina corre e noi rincorriamo, ecco perché è utile l’incontro odierno con Alibaba Group.
Nel 2015 la crescita del vino in Cina è stata tumultuosa; il dragone lo scorso è diventato il quarto mercato mondiale per importazione di vini (1840 mln di Euro) surclassando il Canada (1.618 mld di Euro).
La Francia resta padrone incontrastato tra i vini importati in Cina (+44%), e sempre nel 2015, crescono in particolare Australia (+22%) e Sud Africa (+2%). Nel primo bimestre 2016 secondo i dati Wine Monitor Nomisma l’onda lunga della crescita cinese continua imperterrita segnando un +59% di import in valore Euro.
Tra i principali paesi dove la Cina continua ad importare di più spicca l’Australia (+108%), mentre l’Italia conferma il ritmo del 2015 (+15%). Nell’orizzonte della tumultuosa crescita cinese, l’Italia sta giocando un ruolo marginale da cenerentola, e i margini per crescere sono elevati”.
Lombardia – Le aziende uniscono tradizione e innovazione per garantire prodotti sempre più al passo coi tempi e apprezzati dai consumatori in Italia e all’estero”. Grazie alle nuove tecnologie – spiega Coldiretti Lombardia – la tracciabilità è assicurata. È il caso ad esempio del vino con la carta d’identità 2.0 di Stefano Ravizza, imprenditore pavese di 31 anni che sulle colline tra Stradella e Zenevredo coltiva 12 ettari di vigneti: per scoprire come nascono le sue bottiglie e gelatine di vino basta avvicinare lo smartphone e fotografare il codice a barre sulla confezione. Protagonista di un vero e proprio boom è invece il vino ecosostenibile, custode della biodiversità naturale: dal 2008 a oggi – afferma la Coldiretti regionale – la superficie coltivata con metodo biologico in Lombardia è più che raddoppiata, superando i duemila ettari. E sempre a proposito di sostenibilità, c’è chi riesce a coltivare vino anche in territori ostili come Maurizio Herman, 45 anni, che dal 2015 lavora un appezzamento di circa un ettaro a 600 metri sul livello del mare tra il Comune di Chiavenna e quello di Piuro: un caso di viticoltura eroica, praticata in ambienti con una pendenza accentuata e con l’utilizzo di murature di sostegno. I terrazzamenti caratterizzano anche l’attività di Claudia Crippa, che gestisce un’azienda a La Valletta Brianza in provincia di Lecco. ”Abbiamo scelto di unire l’attività di coltivazione e vinificazione a quella agrituristica – spiega Claudia Crippa – perché crediamo nella forza dei prodotti e del territorio” La strada verso l’eccellenza passa anche attraverso la tradizione: Manuele Biava in provincia di Bergamo produce il Moscato di Scanzo, un vino da record perché è la più piccola Docg d’Italia ottenuta dall’omonimo vitigno autoctono, coltivato esclusivamente nel Comune di Scanzorosciate. Si rivolge invece a consumatori più esigenti e amanti delle particolarità il luxury wine dell’azienda agricola La Rocchetta di Villongo (Bg), arricchito con vera polvere d’oro alimentare di 24 carati. Un capitolo a parte è rappresentato dalla nascita e diffusione del wine beauty – conclude Coldiretti Lombardia – che oggi riguarda dalla crema antietà allo spumante allo shampoo al vino rosato, fino allo stick labbra agli estratti di foglie di vite. ”Abbiamo deciso di far nascere dalle nostre uve alcuni prodotti per cosmesi a base di Barbera – spiega Paolo Goggi, titolare dell’azienda agricola Gravanago a Fortunago (Pv) – E’ ricco di antiossidanti e polifenoli naturali che prevengono l’invecchiamento della pelle: nelle nostre creme c’è il 5% di vino mentre nelle saponette utilizziamo le bucce, profumate e antiallergiche”.