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Oltrepò, senti il sommelier stellato: «Vini top ma listini troppo bassi. Serve più squadra»

Oltrepò pavese senti il sommelier stellato Vini top ma listini troppo bassi. Fate più squadra Luca Giuliano Salvigni villa naj stradella
Classe 1989. Romagnolo d’origine. In giro per lo stivale ormai da 6 anni. Luca Giuliano Salvigni è il sommelier dell’unico ristorante stellato dell’Oltrepò pavese, nonché uno dei due stellati dell’intera provincia di Pavia: il Villa Naj di Stradella. Numeri da capogiro per la carta vini: circa 400 etichette, che la “Rossa” sintetizza come «un’approfondita selezione di bollicine locali e francesi e un’ottima scelta di Marsala». «
Vengo da una famiglia di ristoratori, mamma e babbo sono entrambi chef», racconta Salvigni a Winemag. Un’intervista esclusiva che abbraccia la sfera professionale del 35enne sommelier, ma soprattutto riguarda il futuro del vino dell’Oltrepò pavese.

Luca Giuliano Salvigni, sommelier dello stellato Villa Naj. Quali sono le tappe che ti hanno portato in Oltrepò pavese?

Sostanzialmente ho seguito le orme dei miei genitori, innamorandomi della sala. Tant’è che il primo piatto in sala l’ho portato a 4 anni, durante la cena per la comunione di mia sorella. Nonostante gli studi informatici, sentivo che comunque la mia strada era nei ristoranti. Così, tra le stagioni estive – che in Romagna vogliono dire o bagnino al mare o ristorazione – durante gli studi e le esperienze nei locali come primi lavori, ho preso in gestione il mio primo ristorante nel 2012, con mia sorella. Ristorante che abbiamo tenuto fino al 2018, quando mi sono trasferito a Milano, chiamato da Felix Lo Basso per gestire la sala del suo ristorante stellato, in Duomo.

Terminata quell’esperienza, ho fatto consulenze un anno in Piemonte, durante la pandemia, per poi approdare a maggio 2021 a Stradella, chiamato da Lella e Marco Viglini per seguire la Cantina del loro ristorante e mia attuale casa, Villa Naj. Negli anni ho seguito il percorso Ais e Wset. Sono sempre stato curioso nella vita e nelle due formazioni ho trovato metodo ed ispirazione per le mie ricerche e l’accrescimento culturale. Non mi sento mai arrivato e son sempre alla ricerca di qualcosa che non conosco.

Chi sono, oggi, i clienti di Villa Naj?

Non essendo in una località turistica, lavoriamo quasi esclusivamente con clientela nazionale. Qualche tavolo estero al mese c’è, con Svizzera e Francia in testa sul fronte della provenienza. Abbiamo tanta clientela lombarda, ma la cosa che ci rende molto orgogliosi è vedere sempre più clienti che si fanno anche due ore di viaggio per venirci a trovare. L’altra cosa che notiamo è tanta clientela “fidelizzata”. Clienti che tornano più volte durante l’anno, tanto da considerarli ormai amici, più che clienti. L’età media, ultimamente, si sta abbassando tanto. Vediamo tanti giovani e giovanissimi approcciarsi al fine dining, che è una notizia bellissima per la ristorazione “gourmet”. Vuol dire che c’è voglia di scoprire, di fare un’esperienza. Voglia di conoscenza.

Con quanta probabilità i clienti chiedono una bottiglia di vino, un calice o un percorso di abbinamento cibo-vino a Villa Naj?

Quello che ho notato in questi tre anni e mezzo a Villa Naj è che nella clientela cresce sempre più la voglia e la curiosità del menù degustazione (90% della scelta) e di affidarsi a me nel percorso di abbinamento cibo-vino, che oramai copre il 60% delle comande. In ogni caso, la parte restante, difficilmente guarda la carta dei vini. Si affida piuttosto a me per la scelta della bottiglia.

Parliamo appunto della carta vini di Villa Naj: quali sono le linee guida?

La mia carta è molto variabile. Attualmente ho circa 400 etichette divise fra locale (Oltrepò pavese), nazionale ed estero. Ho cercato di aver zone più “classiche”, ma anche zone in Italia e nel mondo più particolari, sconosciute, per far divertire ed emozionare i clienti, con vini che meriterebbero più visibilità per qualità e territorialità. Quello che cerco in un vino è il suo carattere. Il calice mi deve raccontare chi è, il territorio, mi deve raccontare dell’amore e dei sogni di chi quel vino l’ha prodotto. Amo la storytelling e, tendenzialmente, ho conosciuto di persona tutti i produttori dei vini che ho in carta. Amo raccontare proprio quello, il “backstage” del vino.

E restringendo il campo all’Oltrepò pavese?

Per quanto riguarda  l’Oltrepò pavese, ho scelto una settantina di referenze tra bolle, bianche e rossi. Sono le etichette che ritengo dare una grande espressione del territorio. Oltre a questo, sono tutti produttori che in qualche modo sono legati alla mia “storia” nella sommellerie. Non ho comunque limiti, se mi innamoro di un prodotto, di uno stile o di una storia, se supportati dalla qualità, lo spazio in carta c’è sempre.

Come è cambiata negli anni, se è cambiata, la tua selezione Oltrepò? Su che direttive ti sei mosso?

Quando sono arrivato da Villa Naj c’era una carta veramente ampia dell’Oltrepò. Negli anni ammetto di averla ridotta. Non per una questione di qualità, ma per una questione di feeling con stili e idee.

Proporre vini dell’Oltrepò pavese alla clientela di Villa Naj è complicato?

Nessun problema nel proporre il nostro territorio, anzi. Parto sempre consigliando un “tour” locale. Avendo tanta clientela che viene da fuori, credo sia parte del mio ruolo quello di far conoscere un territorio che non ha da invidiare niente a nessuno. Mettendoci la faccia in prima persona, anche i clienti più diffidenti alla fine rimangono colpiti. Poi, certo, se un cliente mi chiede di muoversi dall’Oltrepò, allora andiamo insieme ad esplorare altre zone.

La clientela conosce i vini dell’Oltrepò?

La clientela è sempre più informata e sempre più curiosa. Quindi sì, conosce già qualcosa in Oltrepò, cosa che ritengo essere sempre positiva. Magari conoscono le etichette più famose o più presenti nel territorio nazionale, ma le persone stanno iniziando a capire che non solo in Oltrepò si fa vino, ma che si fa anche vino di alta qualità.

Qual è la tua opinione sulla zona? Punti di forza, debolezze?

La zona non avrebbe da invidiare niente alle zone più blasonate. Ha colline splendide, scorci bellissimi, ha varietà di climi e terreni, ha tanti produttori con una gran mano. Quello che manca, forse, è un’idea comune per venire fuori, per farsi conoscere veramente per quello che questo territorio è. Manca una rete vera e delle strutture per l’hospitality, per fare arrivare gli enoturisti e far loro conoscere questo territorio. E far conoscere questa zona al di fuori, per la qualità che ha.

Qual è la tua opinione sulla qualità media dei vini dell’Oltrepò pavese?

Ogni anno che passa la qualità media migliora. Anche quest’anno ho assaggiato calici ai vertici dell’enologia nazionale. Hanno tanta potenzialità non ancora sfruttata al massimo. E questo è un segnale forte di dove possono arrivare i vini.

Quali sono le tipologie che, a tuo avviso, possono aiutare il territorio ad affermarsi?

L’Oltrepò pavese è la terza zona al mondo per produzione di Pinot Nero di qualità. Questo basta, secondo me, per capire quale sia la cosa su cui puntare per farsi conoscere al mondo. Ritengo che l’Oltrepò meriti di essere considerata la “Bollicina d’Italia”. Non che le altre zone spumantistiche italiane non meritino, o non abbiano la qualità. Ma qui c’è qualcosa in più, oltre al fatto che il Pinot Nero vinificato in rosso incontra molto i gusti dei consumatori attuali, nelle tavole di casa e nei locali. C’è questa fortuna di avere questo vitigno e di saperlo lavorare. Bisogna continuare su questa strada.

Il vino dell’Oltrepò molto “battuto” anche dalla Grande distribuzione organizzata: qual è la tua opinione a riguardo?

La Gdo ha fatto fortune con territori come l’Oltrepò, perché ci sono esigenze diverse di clienti diversi. Il problema è che se non hai un territorio forte nel comunicare che in zona si fanno sì vini da 3 o 4 euro a scaffale, ma soprattutto una viticoltura di altissima qualità, ti trovi ad essere considerato una grande vasca da sfuso. E non passa quello che sei, in realtà Ti ritrovi ad essere la zona dei vini da tavola dove si spende poco.

Con estrema franchezza, come piace a me: i listini delle cantine oltrepadane da te selezionate sono conformi alla qualità del prodotto, o il “rapporto qualità prezzo” è sbilanciato anche nell’Horeca?

Questo è un problema enorme in Oltrepò, ne parlo spesso con le cantine quando ci incrociamo. I listini delle cantine sono troppo bassi. Ho trovato prodotti pazzeschi sotto i 7 euro ivati. Vini che, in altre zone, sarebbero venduti ad almeno il doppio. Secondo me, facendo così, si svaluta il proprio lavoro e la propria qualità. Ma capisco anche che si venga da un passato in cui c’era la guerra del prezzo. E ci vuol tempo ad invertire la rotta.

Il nodo dei listini e dei prezzi è centrale, a mio avviso. Mi risulta che ci siano diverse cantine oltrepadane che vendono vini a prezzi molto aggressivi. E non mi riferisco agli imbottigliatori e alle cooperative, ma soprattutto a cantine medio-piccole. Perché, a tuo avviso, l’Oltrepò pavese non riesce ad affermarsi e a costruire vero “valore comune” attorno alle proprie produzioni, preferendo troppo spesso “svendere” a “vendere”? Di chi è la responsabilità? Come risolvere questo problema, che interessa in maniera preoccupante anche le nuove generazioni di produttori pavesi?

Come dicevo prima, se tu costruisci negli anni (involontariamente) la tua immagine come “la terra dei vini da poco” non è semplice cambiare il percepito. La responsabilità è di tutti, dai produttori di uva all’ultimo dei sommelier e dei vari comunicatori di vino. Non è giusto attribuirle le colpe a qualcuno in particolare. La colpa è comune. Bisogna invece cercare il modo per invertire questo trend. E lo si inverte facendo rete, facendo squadra in maniera seria, vera e collaborativa. E facendolo su tutta la linea. Ognuno deve fare il proprio. Ci vorranno anni, ma son sicuro che prima o poi, e spero molto “prima”, il mondo capirà quale tesoro vitivinicolo c’è qui.

Vedi dunque un futuro roseo per l’Oltrepò pavese del vino, della ristorazione e dell’alta ristorazione?

Ogni giorno che passa l’Oltrepò cresce. E credo che lo farà per tanto. Poi, per quanto in alto arriverà, bisognerà vedere quanta squadra sarà in grado di fare.

Per costruire un’identità di territorio occorrono una base solida e idee chiare. Se potessi costruire una ideale “piramide della qualità” del vino dell’Oltrepò, quali tipologie di vino inseriresti dai vertici alla base? Punteresti più sul nome delle varietà o su quello del territorio?

Io sono sempre dell’idea che sia il territorio che deve venire fuori, non la varietà. Guardiamo le zone più importanti d’Italia: leggi Barolo e sai che è Nebbiolo; leggi Brunello e sai che è Sangiovese. Anche al sud è cosi. Bisogna arrivare a leggere Oltrepò e sapere che è Pinot Nero, sia che parliamo di bollicine, sia che parliamo di rosso, senza scriverlo in etichetta. Se parlassimo di bianco, vorrei leggere Oltrepò e che tutti sapessero che si parla di Riesling. Penso che prima di parlare di “piramidi di qualità” bisognerebbe insegnare al mondo questo. Le piramidi vengono di conseguenza.

Domanda da grande appassionato di Riesling italico internazionale: cosa pensi dell’espressione di questa varietà in Oltrepò pavese? Non pensi che sia arrivato il momento di fare chiarezza, nei disciplinari, tra “Riesling italico” e “Riesling renano”, dal momento che la maggior parte degli ettari presenti in Oltrepò sono  di “Italico” (oltre 1.200) e che la quota di “Renano” è pari a circa a un terzo?

Penso che il Riesling sia il grande bianco in Oltrepò e ci sono espressioni splendide. Andrebbero valorizzate le due varietà per quello che sono, valorizzandone la vigna e la tipicità nel territorio, senza confronti d’Oltralpe. Dei Renani dell’Oltrepò, quello che amo è la capacita di beva e di essere immediato. Amo la nota agrumata e piacevole dei renani giovani e la sapidità dei Renani pi evoluti fatti, soprattutto, ad Oliva Gessi. Trovo il Renano oltrepadano estremamente sottile. Mentre dell’Italico amo la freschezza, che mantiene per tanti anni. L’Italico meriterebbe più spazio. Da qualche tempo ho in mente un’idea, ma per ora non posso svelare nulla!

Abbiamo dimenticato qualche tematica a te cara?

Abbiamo parlato di Pinot nero, di Renano ed Italico. Ma vorrei ricordare a tutti un altro vino enorme dell’Oltrepò: non dimentichiamoci mai del Buttafuoco! Negli anni, i produttori, soprattutto sullo storico, hanno portato tanta eleganza e tanta modernità su un vino enorme come struttura e potenza. Questo è il vino che l’Oltrepò non deve mai dimenticare, perché è una chicca che abbiamo in Italia e di cui dobbiamo sempre parlare.

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Di Davide Bortone

Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell'informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all'estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la "Guida Top 100 Migliori vini italiani" e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell'Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.

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