EDITORIALE – In un mondo in cui il Barolo si propone sui mercati in versioni sempre più pronte e godibili senza troppe attese, una dozzina di aziende del Monferrato Casalese (una sola dell’Astigiano) si aggroviglia attorno a un «progetto territoriale» denominato Monferace. Ovvero su un vino che nasce da uve 100% Grignolino affinate per almeno 40 mesi, di cui 24 in botti di legno. Fra le 30 e le 40 mila bottiglie complessive, a distanza di 8 anni dalla prima vendemmia, la 2015 (oggi in vendita c’è la 2018).
Un nuovo vino per le colline Unesco del Monferrato, insomma. Legato, tuttavia, al «metodo tradizionale di vinificazione del Grignolino», vitigno che più di tutti rappresenta questa fetta del territorio del Piemonte.
«Affinava in legno quando, in occasione delle Esposizioni Universali della Belle Époque, costava più del Barolo», ha ricordato il presidente dell’Associazione produttori Monferace, l’avvocato Guido Carlo Alleva. Intanto, l’Italia e il mondo intero vanno da un’altra parte.
TUTTI IN UN’ALTRA DIREZIONE
I vignaioli della Valpolicella – altra zona che lavora al riconoscimento Unesco – lavorano al futuro dell’Amarone premiando freschezza e agilità di beva, riducendo concentrazione ed esuberanza alcolica, soprattutto attraverso accorgimenti in vigna.
Più a sud, in Umbria, i tannini del Sagrantino di Montefalco sono al giro di boa, ormai da qualche vendemmia. Il cambio di rotta del mondo del vino e dei suoi nuovi consumatori internazionali, convince i produttori a premiare versioni più immediate, che non perdano comunque di vista la rustica eleganza del grandioso vitigno autoctono perugino.
Da queste parti c’è chi, addirittura, propone di introdurre nel disciplinare l’anfora, come «contenitore alternativo al legno» per l’affinamento del Sagrantino di Montefalco Docg. Le (rare) versioni già prodotte in terracotta, di fatto, danno risultati eccellenti ed esaltano la varietà.
Cambiamo zona ed emisfero: Australia. Qui lo Chardonnay ha ormai perso la dipendenza stilistica dalla barrique francese. E così sta succedendo per il Syrah. Persino negli Usa, per l’esattezza in Napa Valley, l’uso del legno è sempre meno invasivo sul Cabernet Sauvignon, consentendo a microzone come Stag’s Leap di emergere dall’uniformizzazione del gusto, esaltando i suoli di origine vulcanica.
Tutti sicuri, dunque, che il Grignolino abbia bisogno del legno per rilanciarsi sul mercato e, soprattutto, raccontare la vera peculiarità degli antichissimi suoli di limo, calcare e marne del Monferrato? Il sogno (vero) è tornare alla tradizione o avere in casa un (wannabe) Barolo “su misura”?
TRA I MONFERACE SPICCA ACCORNERO
All’evento per la presentazione en-primeur della vendemmia 2018 del Monferace, andato in scena ieri al Castello di Ponzano Monferrato, i campioni (della vendemmia 2018, per l’appunto) erano solo 6, sulla dozzina di aziende che aderiscono all’Associazione.
E a convincere, su tutti (ma proprio tutti, compresi un Monferace 2016, due 2017 e 3 2020 da vasca) è il vino di chi, il Grignolino, lo ha sempre trattato in legno. Ovvero la cantina Accornero, col suo Grignolino del Monferrato Casalese Doc 2018 Monferace (3.861 bottiglie complessive, più 208 magnum), figlio di quel “Bricco del Bosco Vigne Vecchie” prodotto sin dal 2006.
Sulla buona strada anche Angelini Paolo (con il Grignolino del Monferrato Casalese 2018 Monferace Golden Arbian) e Vicara (Grignolino del Monferrato Casalese Doc 2018 Monferace Uccelletta), cantine che – forse non a caso – hanno scelto di rinunciare alla barrique per investire nell’affinamento in tonneau da 500 litri.
Se legno dev’essere, insomma, che sia grande. Per il Monferace. E soprattutto per non scordarsi, a colpi di vaniglia, tostature e fondi di caffè, di essere in Monferrarto. Con in bocca del Grignolino. L’alternativa è riscrivere la storia, senza ricorrere alle botti.
Puntando tutto su Grignolini di grande qualità, che valorizzino – dalla vigna alla cantina – i bei primari del vitigno. Un po’ come la Campania sta facendo col Piedirosso, o la Loira con i Cabernet Franc légere. Ma questa è tutta un’altra storia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.