Si scrive mangalica. Si legge mangaliza. È la razza di maiale ungherese che dà vita ad eccezionali salumi e ad una delle carni bianche più pregiate al mondo. Amata dagli chef internazionali e sempre più costosa. Capace, come se non bastasse, di superare quasi indenne la pandemia. Il prezzo è raddoppiato, anzi, per via della domanda crescente, da ogni angolo del pianeta. Non fa eccezione l’Italia, in cui la cosiddetta “kobe” o “wagyū dei maiali”, viene scelta come razza per l’allevamento e per la trasformazione.
Gongola, non a caso, nel suo ufficio in centro a Debrecen, Péter Tóth. La seconda città dell’Ungheria, al confine orientale con Romania e Ucraina, ospita la sede della Moe, Mangalicatenyésztők Országos Egyesülete. L’Associazione nazionale Allevatori Mangalica, di cui è presidente.
Le pareti dello studio, costellate di cartine geografiche, puntellate da segnaposto che indicano i Paesi conquistati dall’export di mangalica, raccontano da sole almeno metà della storia. Il resto lo fanno le decine di maiali in miniatura – di porcellana, plastica e addirittura peluche – che Péter Tóth colleziona gelosamente.
«Questo arriva dall’Australia», mostra fiero il presidente degli allevatori ungheresi, indicando l’etichetta, intonsa, di un maiale mangalica che pare quasi vero, tanto è curata la riproduzione del pelo lungo come quello di una pecora, tipico della razza.
«”Item number 88674″ – insiste, scrutando il cimelio -. E c’è scritto pure “Hungarian pig“. Lo sanno tutti, ormai, che il mangalica è il nostro maiale, ed è fatto così. Anche in Austrialia, si figuri». Miniature che sono piccoli, grandi trofei.
Se oggi Péter Tóth può permettersi di collezionare maialini sulle mensole del proprio ufficio di Debrecen, lo deve alla lungimiranza e alla perseveranza dimostrata all’inizio degli anni Novanta.
L’attuale presidente degli allevatori ungheresi può essere infatti considerato l’uomo che ha salvato la razza magalica dall’estinzione. Trasformandola, negli anni, in un motore dell’economia ungherese. Nonché in monumento nazionale alla biodiversità.
STORIA DELLA MANGALICA, IL MAIALE UNGHERESE SALVATO DALL’ESTINZIONE
A fare da sfondo alla storia di successo del mangalica c’è l’Ungheria degli anni Novanta. Un Paese ridotto alla fame. Liberatosi da poco dalla dominazione sovietica e dal blocco comunista, al pari di altre nazioni del famigerato Patto di Varsavia.
È l’epoca del “Pacchetto democratico”. Una ventata di liberalizzazioni che aprì le porte di Budapest – non ancora quelle del countryside, ben più arretrato – all’Occidente. In quegli anni, non a caso, McDonald’s mise piede nel cuore della capitale magiara, aprendo il primo fast food a Vörösmarty tér.
È arrivata dall’altra parte del Continente anche la lettera che ha cambiato per sempre la storia del maiale di razza ungherese. «Nel 1991 – spiega a winemag.it Péter Tóth – fui contattato da Juan Vicente Olmos, ancora oggi direttore di una delle più prestigiose aziende di produzione di Jamón Serrano, la Monte Nevado. Era alla ricerca di materia prima di assoluta qualità. Mi venne subito in mente il mangalica».
L’alto contenuto di grasso intramuscolare è ciò che rende speciale questi maiali. Una caratteristica rara, perfetta per la produzione di salumi stagionati, come il Serrano. La richiesta spagnola fu la chiave di volta per la storia moderna del maiale ungherese.
Misi degli annunci sui giornali – spiega Péter Tóth – e ricevetti decine e decine di lettere, in poche settimane. La maggior parte dei mangalica rimasti erano di proprietà di privati. Arrivato sul posto per ritirare l’animale, il più delle volte scoprivo che non c’era più. La famiglia se l’era già mangiato nel frattempo, in quanto costituiva l’unica fonte di sostentamento».
Per Tóth fu un’impresa riuscire a raccogliere circa 200 capi. Un lavoro minuzioso, paziente. Eroico. Che durò fino al 1994. Anno in cui, assieme ad un manipolo di “illuminati”, tra imprenditori locali e studiosi universitari, fondò a Hortobágy – nel cuore della regione di Hajdú-Bihar, a una quarantina di chilometri da Debrecen – il primo centro di allevamento del mangalica.
MANGALICA LA RAZZA DI “MAIALE PECORA” UNGHERESE
Il gruppo capitanato da Péter Tóth catturò ben presto l’attenzione del governo ungherese. A cavallo tra il mandato lampo di Péter Boross e quello, più duraturo, del primo ministro Gyula Horn (1994-1998), l’Ungheria si rese conto di avere in casa una carta d’oro, chiamata mangalica.
Ma è con Viktor Orbán, nel 2004, che il “suino-pecora” viene ufficialmente riconosciuto come razza “patrimonio nazionale della biodiversità”. Dall’Unione europea iniziano così ad arrivare ingenti contributi per la preservazione della specie. A mediare è proprio la Mangalicatenyésztők Országos Egyesülete, l’Associazione nazionale allevatori mangalica che oggi raggruppa 110 aziende.
L’articolo del New York Times del 2009, che titola “The next Big Pig” a proposito del mangalica, aiuta le piccole farm ungheresi ad espandere il business con l’export. La razza diventa richiestissima non solo negli Usa, ma anche in Oriente. Ne vanno ghiotti i giapponesi, tra i popoli che meglio hanno compreso la somiglianza del maiale ungherese a carni di bovino pregiate, come kobe e wagyū.
Oggi – evidenzia Péter Tóth – è difficile trovare un Paese in cui non sia ancora arrivata la carne di mangalica. Un successo che ne ha fatto lievitare il costo, anche in periodo di pandemia.
Nel 2021, la mangalica ha raddoppiato il proprio prezzo al chilo. Ed è ormai diventata, a detta di molti, la carne di maiale più pregiata al mondo. Scelta dagli chef e da molte celebrità, nazionali e internazionali».
CARNE E SALUMI DI MANGALICA: L’ITALIA NON STA A GUARDARE
Il lavoro avviato da Péter Tóth all’inizio degli anni Novanta, partendo da appena 200 capi, ha dato ben più dei frutti sperati. Oltre al prestigio nazionale e internazionale, le 110 aziende che fanno parte dell’Associazione nazionale allevatori mangalica controllano un patrimonio – prima di tutto genetico – di circa 9.500 mila femmine.
La produzione annuale viene garantita da circa 15 mila fatteners, destinati alla macellazione. Animali che da vivi costano un terzo rispetto alle suine da riproduzione: 500 euro, rispetto ai 1.500 euro di una femmina.
«Il giro d’affari – spiega Tóth – è del 2% rispetto a quello della carne di maiale comune, in Ungheria. Quello che ci rende speciali, oltre alla qualità, è la dimensione artigianale delle aziende. Siamo la Rolex, la Bentley o la Lamborghini del settore!
E non vogliamo crescere più di tanto. Nei prossimi 10 anni, secondo le previsioni più floride, potremmo raddoppiare il numero degli animali. Rimanendo comunque ben lontani dalle proporzioni industriali che caratterizzano l’allevamento di suini internazionale».
Storia, fascino, rivincita e, soprattutto, futuro, che interessa – eccome – anche l’Italia. Chiedere per credere a Carlo Dall’Ava, titolare del Prosciuttificio Dok Dall’Ava di San Daniele del Friuli, cittadina nota in tutto il mondo per la produzione dell’omonimo prosciutto crudo Dop.
L’ultimo progetto dell’azienda parla ungherese e si chiama, non a caso, Hundok. Un salume nato da cosce di maiale suino mangalica. «Una razza pura dal 1700 – sottolinea l’imprenditore a winemag.it – allevata nelle pianure magiare per circa 16 mesi».
«Questo maiale, tanto peloso da assomigliare ad una pecora obesa – continua Dall’Ava – ha contenuti di acido oleico talmente alti da poter essere paragonato allo spagnolo. Il Prosciutto ottenuto da questa carne è veramente incredibile. Si scioglie letteralmente in bocca, dando un senso di dolcezza unico. Del resto il mangalica è il papà dei maiali europei. Gli ungheresi erano i norcini dell’impero romano»
Se allevati bene, 6/10 maiali per ettaro non fanno odore e tengono pure i boschi in ordine. Lo ho scoperto grazie al mio amico Antal Baumgartner, padre del primo pilota ungherese di Formula 1, Zsolt Baumgartner.
Me lo fece assaggiare lui per la prima volta e me ne innamorai subito. Così ho iniziato ad importalo, creando il prosciutto che celebra questa razza straordinaria. È un animale per chi capisce di salumi, ovvero per chi ama il grasso!».
MANGALICA IN ITALIA: AD ASTI IL PROGETTO DI FATTORIA DEL PALUCCO
Tra gli allevatori di maiali mangalica da cui si rifornisce Dok Dall’Ava c’è la Rodaro Paolo Winery di Spessa (UD). Una “moda” che sembra contagiare le più vocate terre del vino italiano, come dimostra il neonato progetto di Assunta Maraventano, ad Asti. Si chiama Fattoria del Palucco e prende il nome dalla località del noto comune a vocazione vitivinicola del Piemonte.
«Il taglio del nastro – spiega la titolare – è recentissimo, essendo avvenuto l’11 gennaio 2022. L’azienda nasce dalla passione per il buon cibo: qualcosa di strettamente legato alla qualità delle materie prime. Non ultima la carne». Ben dodici gli ettari a disposizione della nuova azienda agricola, interamente dedicata al maiale di razza mangalica.
Per dare avvio al progetto – spiega Assunta Maraventano – abbiamo acquistato due verri e quattro scrofe, in grado di generare 5 o 6 cuccioli per figliata. L’idea iniziale è quella di incrementare il numero di animali, procedere alla selezione e vendere carne, salumi ed insaccati».
I fortunati esemplari di “mangalica piemontese” vivono in stato semibrado, tra doppie recinzioni e una fascia elettrificata che impedisce l’ingresso e il contatto con la fauna selvatica. Si cibano di ghiande, castagne e nocciole, naturalmente presenti nella tenuta.
«Non sarà mai un allevamento intensivo – annuncia la titolare – e mai utilizzeremo mangimi non naturali. Oltre a cercarsi da soli il cibo nei boschi, integriamo l’alimentazione nei mesi freddi dell’anno, con frutta e verdura fresca di stagione e cereali. Sono maiali stupendi, mansueti, con cui i bambini possono addirittura giocare».
KÖVÉR TANYÁ, L’ALLEVAMENTO MODELLO IN UNGHERIA
Mentre l’Italia sembra avviarsi verso un modello di open-farm, con i maiali razza mangalica protagonisti visibili (e tangibili) di un progetto che abbraccia storytelling e “gastroturismo esperienziale”, in Ungheria non è poi così scontato trovare aziende che aprano le proprie porte ai visitatori. Ancor meno alla stampa.
Non è certo il caso di Kövér Tanya, allevamento a conduzione famigliare pluripremiata a livello nazionale ed internazionale per la qualità premium delle proprie carni. A fare gli onori di casa, senza alcun indugio, è il patron Zoltán Kövér, classe 1959 oggi affiancato in azienda dalla moglie Rózsa, dalla figlia Kriszta e dal figlio Zoltán Jr.
Quella che gestisce a Tetétlen, villaggio di mille anime a una cinquantina di chilometri a sud-ovest di Debrecen, è una delle aziende simbolo del “miracolo ungherese” chiamato mangalica. «Nella vita – racconta Zoltán Kövér a winemag.it, davanti a un piatto di succulenti salumi – ho fatto tanti lavori. Nel frattempo ingrassavo e vendevo ai macelli circa 200 maiali l’anno. Nel 2005 ho deciso di mettermi in proprio».
Un anno che non è casuale, visto il riconoscimento del mangalica a “patrimonio nazionale”, avvenuto nel 2004. Kövér Tanya è diventata ben presto un fiore all’occhiello dell’Associazione allevatori ungheresi presieduta da Péter Tóth. Oggi conta 21 ettari di pascolo in cui i maiali possono razzolare liberamente. E un patrimonio di scrofe bionde razza mangalica arrivato ormai a 60 esemplari, rispetto alle 20 iniziali.
«Ciò che ci contraddistingue – commenta fiero Zoltán “Zoli” Kövér – è l’artigianalità della produzione. Siamo un’azienda dotata dei migliori accorgimenti tecnologici. Ma ciò che più ci sta a cuore è il benessere dei nostri animali e la conservazione dei sapori autentici della carne e degli insaccati mangalica, senza alcun additivo dannoso per la salute. Il mercato ci conosce e apprezza per questo».
L’APPUNTAMENTO ANNUALE CON MAGALICA FESTIVAL
Se c’è un appuntamento speciale per conoscere le tante sfumature della razza mangalica, quello è il Mangalica Festival. L’evento si svolge annualmente a Debrecen e a Budapest, le due città simbolo della rinascita e riscoperta del maiale ungherese.
La XI edizione si svolgerà da domani, 25 febbraio, a Debrecen, con ingresso gratuito da piazza Kossuth. Ricchissimo il calendario di appuntamenti, che si snodano dalle 10 alle 22, fino al giorno di chiusura della manifestazione, il 27 febbraio.
C’è più tempo, invece, per organizzarsi per il XV Budapesti Mangalica Fesztivál, in programma nella capitale magiara dal 18 al 20 marzo 2022. Anche in questo caso l’ingresso sarà libero, da piazza Szabadság. Ma il maiale ungherese è protagonista assoluto anche dei piatti serviti da molti ristoranti delle due città magiare.
L’ultimo ad aggiungersi alla lista – ha aperto da meno di un anno – è DG Italiano Debrecen, ristorante pizzeria nato dall’iniziativa di Mario De Stefani, ristoratore originario di Bari, assieme alla moglie ungherese Zsuzsa Szanka.
«Vivo da 15 anni in Ungheria – spiega a winemag.it – e conosco bene il maiale mangalica. Dà una carne molto tenera e dal sapore delicato, più dolce di quella del maiale comune. Piace molto al palato ungherese e sta benissimo nel nostro menu italiano».
La serviamo in due versioni: una con l’osso, per la classica costata, ottenuta con la tecnica del Sous Vide e impreziosita da una salsa ai funghi. Il filetto è reso ancora più goloso da una salsa di gorgonzola, che sta riscuotendo un gran successo».
DEBRECEN E BUDAPEST: I RISTORANTI IN CUI INNAMORARSI DEL MANGALICA
Per una lettura magiara della carne di mangalica, il luogo di culto è invece Ikon Restaurant and Lounge Debrecen. Si tratta del ristorante più “chic” della città. Una location di tendenza, che non sfigurerebbe in una capitale internazionale del food come Londra, Parigi o Milano, senza scomodare mete più lontane.
Ikon è la casa di uno degli chef ungheresi più giovani e promettenti, Adam Thür (nella foto, sopra). La filosofia del ristorante è la «valorizzazione dei piccoli produttori locali e degli ingredienti di qualità», tra cui non puoi mancare la mangalica. Da provare, su tutti, il piatto “Mangalica Brassói” di Ikon.
Non mancano occasioni anche nella capitale. A Budapest i templi della mangalica non si contano più. E spaziano dall’interpretazione più local a quella fusion, frutto di contaminazioni tutt’altro che scontate.
Da non perdere le letture della mangalica di ristoranti come Gundel (friabili costine di mangalica con purè di patate e ragù di scalogno) o Tiago & Éva Essencia (mangalica, coriandolo, “açorda”, vongole, nel segno di un curioso matrimonio ungaro-portoghese).
O, ancora, quella di Larus (Trilogia Mangalica, cavolfiore arrosto, salsefrica nera, barbabietole) o del nuovissimo Umo Restaurant & Bar Budapest, dove la carne del maiale di razza ungherese è frutto del concept dallo chef colombiano José Guerrero (“Mexican Mangalica” è una braciola alla griglia con salsa messicana e ananas piccante). Buon appetito.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.