Il Verdicchio dei Castelli di Jesi, ovvero la versatilità fatta vino

Iniziato ieri con il “re” dei vini delle Marche il ciclo di incontri dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini

Sei vini, sei sfumature, sei diverse interpretazioni di un unico vitigno. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi è il primo solista ad esibirsi sul palco dei dodici digital tasting organizzati dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Imt). Lo ha fatto, ieri pomeriggio, come meglio non poteva: ovvero mostrando, a chi avesse ancora dubbi, la sua innata versatilità.

Un vitigno capace di rimanere se stesso, perfettamente riconoscibile nel calice, anche a fronte di raccolta tardive o “muffate”, altimetrie dei vigneti più elevate rispetto alla media o utilizzo del legno come contenitore per l’affinamento.

Che si svegli tardi, si metta in mostra in “montagna” o si copra il viso con la sciarpa della botte grande, il Verdicchio dei Castelli di Jesi è insomma in grado di palesare la propria voce in maniera nitida, come pochi vitigni sanno fare a livello internazionale.

Missione compiuta, insomma, per la prima diretta streaming voluta con la stampa di settore dal direttore dell’Imt, Alberto Mazzoni, collegato dallo Studio Marche di Palazzo Baleani di Jesi. Un ciclo di incontri utile a tenere alta l’attenzione sulle denominazioni del vino delle Marche, in realtà tra le meno penalizzate dall’emergenza Covid-19.

A confermarlo è lo stesso Mazzoni, che indica proprio nella versatilità del Verdicchio dei Castelli di Jesi la ragione della tenuta della Denominazione, nell’annus horribilis segnato da una pandemia che lascerà strascichi pesanti all’intero settore.

Merito di oltre 15 anni di lavoro verso la “qualità totale” e di una forte comunione d’intenti tra grandi e piccole aziende. «Solo per il Verdicchio dei Castelli di Jesi – conferma il direttore dell’Istituto Marchigiano Vini – negli ultimi dieci anni è stata contingentata la produzione, triplicata la superficie media di ettari vitati per azienda e rinnovato oltre un quarto del vigneto complessivo, mentre l’imbottigliamento fuori zona è calato del 75%».

«Si è scelto di scommettere sulle peculiarità del vitigno – continua Mazzoni – andando oltre l’immagine del vino beverino che lo aveva reso famoso, valorizzando quindi tutti i suoi punti di forza, a partire dalla grande personalità, per produrre un vino unico e inimitabile tra i grandi bianchi italiani: un “rosso vestito di bianco”, di grande struttura e mineralità, con una forte capacità di invecchiamento ma allo stesso tempo versatile, con le sue infinite varianti, dalle bollicine al passito».

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Scelte, queste, che stanno pagato sul piano dell’affermazione qualitativa multicanale del prodotto, capace di reggere all’urto delle chiusure dell’Horeca anche grazie alla sua buona nomea e riconoscibilità nella Grande distribuzione organizzata.

Il tutto all’ombra di un Istituto Marchigiano di tutela vini che gioca il ruolo di guardiano, nel segno di un «impegno anche sul fronte del valore e sull’aspetto commerciale e di marketing, in Italia come all’estero».

Non sarà un caso, infatti, se il 2021 costituirà l’anno dell’adeguamento del disciplinare di produzione alle nuove esigenze di mercato, ben al di là dell’affermazione delle versioni di Verdicchio dei Castelli di Jesi con tappo a vite (Stelvin), utili a penetrare mercati maturi e meno schizzinosi rispetto a quello italiano, riguardo a questa tipologia di tappatura.

Ecco convivere così, quasi all’unisono, sul palco del Verdicchio dei Castelli di Jesi (Doc classico Superiore, per l’esattezza) allestito dall’Imt, la sapiente combinazione early, mediumlate harvest del “Bacareto” 2019 di Piersanti, con la freschezza e le note d’anice e finocchietto selvatico – da vero vino di montagna – di “Misco” 2019 di Tenuta di Tavignano.

O, ancora, la coscienziosa combinazione delle “Tre Ripe” 2019 di Pievalta (nient’altro che tre vigneti), con l’interpretazione che esalta salinità e floreale del “Ghiffa” 2018 di Cantina Colognola – Tenuta Musone.

Infine, la bellezza unica e inimitabile del “Vecchie Vigne” 2018 di Umani Ronchi – vino teso sulla salinità come una corda di violino, addolcito dalla pienezza e persistenza aromatica delle note fruttate – col gioco prezioso tra note primarie e terziarie del “Grancasale” 2018, targato Casalfarneto.

Sei vini, sei sfumature, sei diverse interpretazioni di un unico vitigno che sembra parlare la lingua, anzi “le” lingue, del pubblico e dire: “Se non ami il Verdicchio, è un problema. Tuo”.

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