È affidato ai social lo sfogo del vignaiolo siciliano Paolo Calì, in merito al ricorso al Tar che ha visto trionfare Duca di Salaparuta sulla questione Nero d’Avola e Grillo Igt. “Speriamo che sia stata posta la parola fine ad una delle pagine più sconcertanti della viticoltura siciliana degli ultimi anni, anche se visti gli interessi in gioco ne dubito fortemente”.
“Un ricorso giusto e un epilogo ovvio – scrive Calì su Facebook – per 3 anni due dei vini maggiormente rappresentativi della Sicilia sono stati ostaggio di logiche meramente economico-commerciali. A dirlo oggi non è più solo uno sparuto gruppo di aziende ma il Tar del Lazio”.
È stato riconosciuto come il Consorzio Doc Sicilia persegua logiche esclusivamente commerciali e a questi scopi sono state pensate e realizzate le modifiche ai disciplinari dell’Igt Terre Siciliane e della Doc Sicilia e il conseguente divieto di indicare in etichetta i nomi dei due vitigni per le Igt Terre Siciliane”.
“Totalmente estranea all’operazione è invece l’interesse, che dovrebbe essere prevalente, alla valorizzazione della qualità del prodotto finale a vantaggio, in primis dei consumatori e, permettetemi, di tutti i produttori che fanno della qualità il loro mantra“.
A riprova di ciò, sempre secondo il Tar, vi è l’innalzamento delle rese di produzione per la Doc Sicilia al livello di quelle previste per l’Igt. Il Tar lo definisce sviamento di potere, io lo definisco t….. ai danni dei consumatori“, accusa senza mezzi termini Paolo Calì.
“Anche senza la pronuncia del Tar, però – conclude il vignaiolo siciliano – era ovvio che un Consorzio unico, che ricomprenda e assoggetti alle stesse regole le produzioni di vigneti sparsi nella regione italiana più grande, con i territori più diversi al suo interno, con condizioni micro-climatiche variegate, non possa perseguire finalità di tutela della qualità”.
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