Dino Taschetta, Colomba Bianca: «La Sicilia può diventare salotto buono del vino italiano»

Intervista esclusiva al presidente della cooperativa che sta tentando il salvataggio della vendemmia 2024 di Cantine Europa: «Altro che ponte sullo stretto. Servono un piano idrico per irrigare i vigneti, più manager e capitalizzazione nelle cooperative»

Dino Taschetta, Colomba Bianca: «La Sicilia può diventare salotto buono del vino italiano». Intervista esclusiva al presidente della cooperativa che sta tentando il salvataggio della vendemmia 2024 di Cantine Europa: «Altro che ponte sullo stretto. Servono un piano idrico per irrigare i vigneti, più manager e capitalizzazione nelle cooperative»
Un’estate diversa, col fiato sospeso. È alle prese con il tentativo di salvataggio di Cantine Europa, il presidente di Colomba Bianca, Dino Taschetta. I risultati della vendemmia 2024, che si prevede molto scarsa in Sicilia per via della siccità, sarà determinante per le sorti della cooperativa di Petrosino (Trapani), a cui ha teso la mano una realtà – per l’appunto Colomba Bianca – che, invece, macina successi sui mercati ed è arrivata ad assestarsi ai primi posti in Italia per crescita della quota export. All’orizzonte, anche una possibile fusione tra le due cooperative siciliane. L’intervista al presidente di Colomba Bianca, Dino Taschetta.

Presidente Taschetta, da quanto si sta occupando del caso Cantine Europa?

La cantina sta attraversando un periodo complicato perché i soci devono ancora ricevere i pagamenti del 2022. Un gruppo di questi soci ha raccolto le firme e ha sfiduciato il consiglio d’amministrazione, eleggendone uno nuovo che si è ritrovato di fronte una situazione complicata. Quindi sono venuti a cercarmi. So che hanno parlato anche con altri. La proposta di Cantine Europa era quella di fare una fusione con noi, dunque con Colomba Bianca.

La fusione tra Cantine Europa e Colomba Bianca sarebbe stata un’operazione sostenibile?

Per una fusione ci vogliono i dati, ci vuole tempo. Bisogna studiare le carte. Non si inizia un percorso se non si sa dove andare a parare. Quindi, siccome considero il problema grosso, ho proposto di iniziare dividendolo a “pezzetti”. Il primo pezzetto è la salvaguardata della produzione, dando così una sicurezza ai soci che rischiavano di fuggire tutti.

Da qui l’idea di salvare in primis la vendemmia 2024 di Cantine Europa, corretto?

Esattamente. Abbiamo proposto ai loro soci di diventare, per ora temporaneamente, anche nostri soci. Facciamo la vendemmia e gli garantiamo sia l’anticipo, sia il pagamento delle uve, come Colomba Bianca. Nel frattempo, per cercare di dare continuità all’azienda, abbiamo deciso di condurre le operazioni di raccolta nel loro stabilimento.

Ma di che quantità parliamo, presumibilmente?

Tenga conto che Cantina Europa, fino a 7-8 anni fa, era la cantina siciliana più grande, lavorando oltre 600 mila quintali di uva. Numeri enormi. Avevano 5 mila ettari prima che alcuni soci li abbandonassero. Quelli che hanno già aderito alla nostra proposta lavorano circa 2 mila ettari e non so fino a che cifre arriveremo. Noi faremo la vendemmia, pagando il conto lavorazione. E, nel frattempo, c’è da indire un tavolo tecnico per capire come affrontare il futuro. Lì ognuno deve fare la propria parte, oltre a capire se si vuole arrivare al salvataggio di Cantine Europa nella sua autonomia, o in eventuale fusione con noi.

Colomba Bianca e i suoi soci gradirebbero la fusione con Cantine Europa?

Bisogna stare molto attenti. Colomba Bianca è in una situazione equilibratissima. Ma, da presidente, ho il dovere di stare coi piedi per terra, dunque vedremo. A mio parere bisognerà attivare sicuramente un po’ di ammortizzatori sociali. Cantine Europa ha 25 dipendenti che noi non possiamo assorbire e assumere. Ma la cosa principale è capire quanta uva porteranno i loro soci in questa vendemmia 2024.

Qual è la soglia che garantirebbe una certa sostenibilità all’azienda?

Con 150 mila quintali potremmo cominciare a progettare qualcosa. Se ne portano meno, tutto diventa più complicato e sarà un problema. Ma per la Sicilia, la vendemmia 2024, è forse la peggiore della storia.

La quantità che sarà conferita dipende quindi più dalle condizioni climatiche o dai soci?

Dipenderà più dalle condizioni della vendemmia 2024, siamo alle prese con la siccità. Secondo me, poi, loro hanno perso troppo tempo. I soci non si sentivano sicuri e hanno iniziato tempo fa a cercare altri lidi. Alcuni erano già venuti da noi, altri si sono mossi in altre cantine. Ognuno, quando inizia a perdere produzione, cerca di aiutarsi in tutti i modi.

Per le cooperative, il vero patrimonio non sono i beni, ma i soci e le uve che vengono conferite. Tutte le attrezzature, i macchinari e gli immobili hanno valore sulla base delle uve che lavorano. Se non arriva uva, tutto perde di valore. Il vero problema di Cantine Europa è che è venuta a mancare, negli anni, la base sociale. La struttura era progettata per fare determinati volumi, molto, molto ingenti, che sono venuti a mancare.

Mi sembra di poter dire che Cantine Europa è solo una delle punte dell’iceberg di una cooperazione vinicola italiana in crisi. Cosa ne pensa?

Di fatto, è un po’ una situazione generalizzata. Se la politica non si rende conto di cosa può fare per il futuro, sarà un disastro. Vede, qui da noi si riempiono tutti la bocca di parole come turismo, questo e quell’altro. Ma se l’agricoltura non funziona, tutto il sistema rischia di andare in crisi. Al posto di fare ricerche di mercato e di sviluppo del settore, sembra si voglia trasformare la Sicilia in una centrale elettrica a cielo aperto. Pare che la gente non veda l’ora di togliere la vigna e mettere pannelli fotovoltaici e pale eoliche. Questo è un problema serio, altro che ponte sullo stretto. Qua ci vorrebbe un Piano Marshall per rendere irrigabile una buona parte dei terreni.

La siccità rischia di dare una stangata mortale alla viticoltura in Sicilia?

Non è possibile che abbiamo le rese più basse, in alcuni casi, di tutta Italia, e che ci ritroviamo però a competere sui mercati con chi fa 400 quintali ad ettaro. Tenga conto, così per darle a un numero, che quest’anno la Sicilia rischia di avere rese di 40 quintali all’ettaro. Una cifra assolutamente insostenibile. Si sta perdendo gran parte della produzione perché non abbiamo l’acqua per irrigare.

In altre parti del mondo, i deserti si fanno diventare giardini: noi, i giardini, li stiamo facendo diventare deserti. È un meccanismo che chiede vendetta. Il 2024 è un anno con piovosità esageratamente basse. Ma solitamente, la Sicilia, è un territorio dove piove, d’inverno. Se costruissimo le infrastrutture, ovvero le dighe e le linee di distribuzione dell’acqua, rendendo irrigabili gran parte dei terreni, la Sicilia potrebbe davvero fare delle cose strepitose. Un tempo la Sicilia vendeva quantità. Oggi vende qualità.

Eppure le dighe, in Sicilia, ci sono

Su 52 dighe ce ne sono forse 45 che non possono riempirsi al massimo o perché non sono collaudate, o perché necessitano di manutenzione. È come se uno ha una Ferrari in mano, senza sterzo. Non si può gestire un’azienda mettendo il santino e sperando che Dio ci aiuti, facendo arrivare l’acqua al momento giusto. Bisogna che qualcuno capisca che ci vogliono progetti a lungo termine, seri, che salvaguardino la possibilità di arrivare alla soluzione.

La scarsa produzione, del resto, è una minaccia per l’esistenza delle cantine, soprattutto quelle di grandi dimensioni e le cooperative. Come vi state organizzando?

Normalmente facciamo rese medie di 70 quintali all’ettaro. Quest’anno ne faremo 40, ma si potrebbero fare benissimo 100 o anche 120 q/h, irrigando i vigneti, senza intaccare la quantità. La Sicilia ha perso 40 mila ettari di vigneto negli ultimi 30 anni. Se ne perde altri 30 nei prossimi 5 anni, è chiaro che tutto il sistema va in crisi. Mi vanto di dirigere una delle cooperative più solide che ci sono in Sicilia. Ma se manca la base sociale, perché i soci non ce la fanno più a campare con 40 quintali all’ettaro, pur pagati a cifre astronomiche, l’azienda perde la sua sostenibilità. È chiaro che, prima o dopo, si estirperà la vigna. Per mantenere il sistema, occorrono una serie di azioni che non possono essere demandate alle singole aziende: spettano alla politica.

Eppure la priorità della politica per la Sicilia sembra il ponte sullo stretto di Messina

Tutti quanti dicono che vogliono fare il ponte. Ma al 90% dei siciliani non frega niente del ponte! Chiaramente io non sono contro a quest’opera, attenzione. Per me lo possono anche fare. Ma ci sono delle priorità, perché i siciliani che devono andare a prendere quel ponte dal loro paese, possono impiegare anche 4 ore di macchina, con 25-30 interruzioni sul tragitto! E se invece, prima, si potenziassero viabilità e porti? Noi abbiamo bisogno di porti, di aeroporti, di infrastrutture e collegamenti che funzionano per portare i nostri prodotti nel mondo.

Nonostante ciò, ci sono esempi “virtuosi” come quello della sua cooperativa, Colomba Bianca. Qual è il segreto?

Sono presidente di Colomba Bianca da 27 anni. Come tutti, in Sicilia, abbiamo assistito a una diminuzione degli ettari a disposizione. Ma abbiamo sopperito inglobando altre aziende. Noi abbiamo cinque cantine e questo comporta una serie di costi importanti. Quindi bisogna ottimizzare. Tenga conto che, in un’annata normale, dovremmo pigiare almeno 500 mila quintali di uva. Senza considerare il lavoro che stiamo facendo con Cantine Europa e con altre realtà più piccoline, in occasione della vendemmia 2024 ne lavoreremo forse 300 mila. Ce la faremo, perché noi siamo strutturati, siamo riusciti a dare valore aggiunto, ci siamo posizionati su una fascia di prodotti più di fascia alta, quindi riusciamo a intercettare un mercato che, grazie ai ricavi, ci permette recuperare gli aumenti dei costi di produzione.

Dunque il segreto, utilizzando un termine un po’ abusato, è la famosa premiumizzazione? Quali sono le quote Gdo-Horeca di cantina Colomba Bianca?

Il 35-40% del nostro imbottigliato è destinato all’Horeca. La gran parte della prodizione Gdo è destinata all’estero. Siamo stati una delle aziende più performanti in Italia per incremento della quota estero, al settimo posto come performance. Vendiamo in tutto il mondo, in 40 Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina, sia bottiglie che sfuso e Bag in Box. Voglio essere prudente: se ognuno facesse davvero la sua parte, la Sicilia, nel giro di 10 anni, potrebbe diventare il salotto buono del vino italiano.

Invece, l’iniziativa è lasciata alla singola azienda, che da sola non può smuovere le montagne. Tutti noi dobbiamo fare di più, dobbiamo fare meglio, dobbiamo innescare circoli virtuosi per creare più ricchezza. Le storie di successo di diversi territori nel mondo sono sempre animate da visionari. Il Prosecco, 25 anni fa, era un vino che nessuno voleva, non lo conosceva nessuno. In Veneto hanno fatto dei bei progetti. Il governatore Luca Zaia è lontano mille miglia dal mio modo di concepire la politica: ma se l’avessimo avuto in Sicilia, forse avremmo avuto una situazione diversa.

Resta dunque una certa preoccupazione

Sono parecchio preoccupato per il breve termine. Ovviamente non per Colomba Bianca, che è un’azienda che sta crescendo. A me non piace essere il primo fra gli ultimi. Preferirei invece che tutto il sistema vino siciliano facesse di più e fosse guidato virtuosamente dalla politica, per trovare una strada di successo importante. Non è bello che ci siano poche aziende che vanno bene. È bello quando tutto il sistema vino va bene. Per far sì che questa situazione si avveri, occorrono una serie di condizioni.

Qual è la sua ricetta per il sistema vino siciliano?

Sono anni che dico che il mondo cooperativo è sottocapitalizzato. Quando ho iniziato il processo di capitalizzazione di Colomba Bianca mi sono messo contro centinaia di soci. Una volta nominato presidente, 27 anni fa, in occasione della seconda assemblea ho chiesto ai soci un miliardo di lire di aumento di capitale sociale. Avevo dei progetti e, per realizzarli, avevo bisogno dell’aumento. Mi sono dovuto imporre, dicendo che avrei rassegnato le dimissioni la mattina dopo, qualora il provvedimento non fosse stato votato.

Per fortuna ho avuto la meglio e devo dire che quella è stata la nostra fortuna, perché l’aumento di capitale sociale ci ha permesso di partecipare a bandi e di sistemare l’azienda, mettendola a norma anche sul fronte della sicurezza. Abbiamo potuto acquistare il primo frigorifero, e non mi riferisco a quello della cucina. Provate oggi a vendere nel mondo un vino prodotto senza la gestione del freddo. Certi percorsi, insomma, vanno incentivati e inseriti all’interno di una visione più lunga.

Quale futuro, dunque, per la cooperazione vinicola siciliana e nazionale?

Il futuro è managerializzare sempre più le aziende. Non riesco a capire perché se dobbiamo andare da un medico cerchiamo il luminare; se dobbiamo andare da un avvocato cerchiamo quello che ha fatto più cause di successo; ma se dobbiamo gestire una cooperativa prendiamo un piccolo pallino qualunque e lo mettiamo là a gestire la cooperativa. Capisce che non può funzionare? Bisogna incentivare la managerializzazione delle aziende e trovare il sistema per favorire anche dei progetti di fusione, per andare nel mondo come colossi.

“Piccolo” non sempre è “bello”: va bene l’azienda di famiglia, ma la cooperativa deve avere le spalle grosse. Inoltre, come detto, andrebbe incentivata la capitalizzazione. E bisognerebbe cercare di studiare dei meccanismi per andare nel mondo assieme, creando sinergie anche con altre regioni. Dobbiamo capire che i nostri competitor sono nel mondo, non tra i vicini di casa o in altre regioni italiane.

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