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Flipper tour del vino ungherese: da Tokaj a Villány in 4 giorni (con tappe intermedie)

Si può fare. Partire con un pranzo veloce ma raffinato in uno dei nuovi templi dell’enogastronomia di Budapest – il Fiaker Cafe Wines Bistrot – proseguire per Miskolc – la città delle grotte preistoriche trasformate in cantine – far tappa tra Tokaj e Mád e concludere il viaggio dall’altra parte dell’Ungheria, a Villány, dopo una sosta ristoratrice al Baracsi Halászcsárda: il luogo perfetto per degustare la tradizionale zuppa di pesce del posto (Bajai halászlé) condita da fiumi di Kadarka di Szekszárd.

Poco meno di otto ore di viaggio in auto, spalmate su 4 giorni, utili a percorrere circa 700 chilometri, quasi tutti in autostrada. Un vero e proprio “flipper tour“, per chi ha poco tempo a disposizione e vuole scoprire in un batter di ciglio tutto (o quasi) del vino ungherese.

L’atmosfera rilassata del Fiaker Budapest è ciò serve per cominciare il viaggio col piede giusto. András Kálmán, fresco del premio Wine Spectator Reveals Restaurant 2020, ha messo su una parete degna di uno scalatore di calici.

Il concept è rivoluzionario. Una lista di 260 etichette ridisegna i confini del Paese, tratteggiando a suon di bianchi, rossi e spumanti (dall’ottimo rapporto qualità-prezzo) la carta geografica del Regno d’Ungheria, pre Trianon di Versailles (1920).

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Ecco dunque, una vicina all’altra, le chicche dell’ex Impero Austro Ungarico provenienti dalle attuali Romania, Slovacchia, Austria, Croazia, Serbia e Slovenia. Spazio anche per l’Alto Adige – unica regione d’Italia, ancora per poco – rappresentata da Alois Lageder. L’altra particolarità?

Al Fiaker Budapest – spiega a WineMag.it András Kálmán – sappiamo che per gustare un buon vino, spesso bisogna attendere. Per questo siamo in grado di offrire ai nostri clienti verticali di oltre 10 anni, per molte delle etichette presenti in carta”.

All’enoteca-bistrot di via Imre Madách 11, nel cuore del centralissimo Distretto V, si può degustare in serie tre bianchi da altrettante varietà, rappresentativi dei rispettivi terroir (ungherese, austriaco e sloveno).

  • Badacsonyi Olaszrizling 2019, Éliás Pince. Vino proveniente dall’areale vulcanico a nord del lago Balaton. Al naso è tipico, nel gioco tra note agrumate e mineralità. Al palato una bella pienezza conferita dai ricordi di frutta matura, in perfetto equilibrio con le note vulcaniche. Sorso agile ed elegante, di buona lunghezza. Insomma, tutto ciò che deve avere un buon “Riesling italico”, varietà molto diffusa in Ungheria.
  • Grüner Veltliner Smaragd Ried Achleiten 2017, Domäne Wachau. Solo una delle etichette che Fiaker è in grado di offrire ai propri clienti in verticale, indietro sino agli anni 90. Nel calice, il vino austriaco sfoggia un giallo paglierino acceso, luminoso. Lo stile, al naso e al palato, è quello di un nettare con l’armatura perfetta per affrontare la sfida col tempo. Alla larghezza delle note fruttate mature abbina una freschezza invidiabile. Vino al momento sull’altalena, in preda all’esuberanza dei suoi 14.5% d’alcol in volume.
  • Sauvignon Blanc 2018, Dveri Pax. La moderna cantina slovena ha una storia lunga 800 anni, legata ai monaci benedettini. La zona è perfetta per una varietà internazionale come il Sauvignon, tipico sin dalla sua veste paglierina, dai riflessi verdolini. Note tropicali, naso-bocca. Un accenno verde (buccia di pompelmo) e floreale (sambuco) gioca col succo e con la polpa. Al palato agrume e mineralità e un finale asciutto. Un vino semplice, perfetto per l’aperitivo e per l’estate, dall’allungo amaricante che invoglia al sorso successivo.
photo credit miskolcadhatott.blog.hu

Tre vini, tre cantine, tre storie, che paiono mescolarsi e confondersi nel balzo spazio-temporale dal Fiaker di Budapest, minimalista ed elegante, ai grovigli post industriali della città di Miskolc.

Il cielo minaccia pioggia. Ma a impressionare, all’orizzonte dell’autostrada M3 e della sua direttrice E79, è la vista dei palazzoni grigi, conficcati come denti consumati di un gigante, nella parte alta della quarta città d’Ungheria.

Sono i casermoni degli ex operai dell’industria pesante, fiorente durante la Seconda Guerra Mondiale e caduta in disgrazia negli anni Novanta, a ricordare che il verde della sconfinata pianura ungherese è ormai alle spalle.

Di fronte agli occhi, i rimasugli di una città che sta provando a lasciarsi alle spalle le scorie post socialiste. A suon di cultura, turismo e polizia, ma pur sempre tra un club striptease e l’altro. Il centro della città, oggi sede del governo della Provincia di Borsod-Abaúj-Zemplén e di un’Università, pullula di giovani diretti in discoteca.

È l’immagine dissacrante di un sabato sera d’agosto (2020, mica un anno a caso) di una nazione che, chiudendosi in se stessa, è riuscita a mettere la museruola al Covid-19, ma che ora ha voglia di tornare a vivere. Specie a Miskolc, dove il rumore delle industrie dell’acciaio si è spento da un pezzo. E la musica è cambiata, anche grazie alle nuove generazioni.

Ne sa qualcosa Roland Borbély, uno dei pochi ex meccanici del mondo che può dire di aver lasciato il “garage” due volte: la prima dopo aver mollato il lavoro in officina, per aprire la sua cantina; la seconda per essersi concesso una cantina vera, dopo i primi esperimenti enologici nel box di papà.

Gallay Kézműves Pince e il suo quartier generale nel villaggio di Nyékládháza, sono questo: un sogno divenuto realtà, nel segno della rivalsa di un intero territorio. La cantina di Borbély, di fatto, è una stella luminosa di appena 11 ettari, nel cielo spento della viticoltura di Miskolc.

La città è nota a livello turistico per la presenza di centinaia di grotte preistoriche, una accanto all’altra, lungo la matassa di viuzze che si accalcano ai piedi del monte Avas. Un tempo, questo era il crocevia del mercato del vino tra Budapest, Eger e Tokaj: il vino si respirava nell’aria.

Oggi, pochi ma strenui viticoltori vogliono riportare in auge una zona che, negli due ultimi secoli, ha visto più fumo librarsi dalle ciminiere che grappoli appendersi alle viti. Nulla è impossibile. E Roland Borbély lo sa.

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  • Gallay Genus 2019. Uno dei focus è sull’uva autoctona Zenit, presente in questo blend accanto a Chardonnay e Olaszrizling. Bel naso ampio, tocco minerale, nocciola. Agrumi, tra polpa e buccia. Uno sbuffo di spezia tiene sull’attenti la pesca matura. In bocca corpo leggero, ma bell’allungo fresco e agrumato.
  • Gallay Kabar 2019. Kabar è il nome della varietà ottenuta dall’incrocio tra Hárslevelű e Bouvier, inserita nel 2006 nel registro nazionale ungherese. Ancora una volta gli agrumi a fare da sfondo, al naso. Tocco di zenzero riconoscibile nella componente vegetale-speziata. La morbidezza in ingresso di palato precede una netta freschezza: il sorso è verticale, minerale. Preciso e di buona lunghezza.
  • Gallay Nyékládháza 2016. Zenit in purezza. Bel naso, minerale-pietroso più che salino, a stuzzicare note cremose di limone. Tocco leggero di spezia. In bocca conserva la nota minerale asciutta, abbinata magistralmente alla succosità del frutto: pesca a polpa gialla, ma anche agrumi.
  • Gallay Blanc 2012. Vino dal taglio internazionale, pur essendo ottenuto al 50% da Zenit, accanto al Pinot Bianco. Il primo naso è sulla suadenza e rotondità dei terziari del legno. L’ossigenazione libera una nota leggera di idrocarburo, oltre a un tocco di radice di liquirizia. Bel palato fresco e fruttato, per un vino di grande gastronomicità.
  • Rozé 2019. Colore carico, certo più vicino al saignée che alla Provenza, ma luminoso. Zweigelt in purezza, in quantità limitatissima: solo 700 bottiglie. Il naso è intenso nel bouquet di marasca e piccoli frutti rossi. Al palato la freschezza accompagna un corpo medio, in un sorso fruttato che chiama l’estate tanto quanto il piatto.
  • Miskolc 2015 “Bistronauta”. Ancora una volta Zweigelt in purezza. Colore e naso che ricordano il Pinot nero, affinato in legno. Ingresso di bocca su note tostate e di brace, ben abbinate ai sentori di piccoli frutti rossi. Bella freschezza per un nettare piacevole ma non piacione, che chiude su un accenno di spezia.
  • Turán 2017. Dalla varietà autoctona ungherese, Roland Borbély trae un vino dagli aromi unici nel suo genere, anche grazie all’ausilio di due tipi di legni. Il primo naso vira netto sull’origano. Lo si ritrova anche al palato, assieme alla nota di caramella mou. La nota vegetale e speziata fa da contraltare a un frutto succoso. Ne risulta un vino dalla beva instancabile, unico nel suo genere.

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Passato, presente e futuro dell’Ungheria si incrociano anche una cinquantina di chilometri a ovest di Miskolc, per l’esattezza a Mád, uno dei comuni più noti per la produzione dei vini di Tokaj-Hegyalja. La storia dell’Öreg Király dülő, letteralmente “Vigna del vecchio re” (The Old King’s Vineyard) è stata riscritta più volte.

Se oggi la collina fa parlare di sé, oltre ad offrire una vista mozzafiato, dai suoi 343 metri sul livello del mare, è grazie alla famiglia Barta, che l’ha acquistata nel 2003. Iniziando a reimpiantarla progressivamente sin dall’anno successivo, nel 2004. Un investimento ingente, a livello finanziario, quello della piccola cantina di Mád.

La Öreg Király dülő – spiega a WineMag.it Vivien Ujvári, giovane enologa di Barta Pince – era vitata sin dal 1200. A cavallo tra il 1600 e il 1700 rientrava tra i possedimenti della nobile famiglia Rákóczi, che guidò l’insurrezione del popolo magiaro contro gli Asburgo. Fu poi rasa al suolo dai russi, nella seconda metà degli anni Novanta”.

La ragione è semplice. In quegli anni, l’Ungheria era uno dei serbatoi del vino di bassa qualità destinato a Mosca. Le difficili condizioni di lavoro (63% di pendenza) e le rese basse della “Vigna del re”, segnarono la sentenza di condanna per questo pezzo di storia della viticoltura magiara, completamente estirpato.

La famiglia Barta è riuscita a riportare in vita la Old King’s Vineyard, proponendo un modello di viticoltura biologica che valorizza le terre rosse della collina, ricche di precipitazioni di ferro, nonché di minerali come la riolite e la zeolite vulcanica. Il risultato, nel calice di Barta Pince, lascia il segno.

  • Öreg Király dülő Mád Furmint 2016. Giallo paglierino. Tanto fiore, un profilo fruttato su cui spicca la pesca perfettamente matura. Il sorso è minerale e al contempo rotondo, grazie al residuo di 8,9 g/l. La chiusura, asciutta, sottolinea il concetto di un vino che vive su un equilibrio perfetto.
  • Öreg Király dülő Mád Furmint 2018. Giallo paglierino. Tocco di arancia più marcato rispetto all’assaggio precedente (cambia la vendemmia, non la vigna), sia al naso che al palato. Anche il sorso è più asciutto del precedente, a dimostrazione di una gestione ottimale dell’annata calda, a livello agronomico ed enologico. Conservate appieno, di fatto, le caratteristiche varietali. Un vino elegante, lungo negli aromi, giovanissimo.
  • Öreg Király dülő Mád Hárslevelű 2019. Un vero e proprio manifesto al vitigno, con le sue note tropicali spinte e il tocco del legno a giocare con la mineralità.

  • Öreg Király dülő Tokaji Szamarodni 2015. Naso ampio, sui fiori bianchi e sulla cera d’api, ancor più del miele. Seguono in successione e in crescendo l’albicocca e la pesca sotto sciroppo, oltre a un tocco di agrume rosa. In bocca perfettamente corrispondente. Vino che chiama il piatto e l’abbinamento con la cucina, specie quella asiatica e speziata.
  • Öreg Király dülő Tokaji Aszú 6 puttonyos 2016. Solo 768 bottiglie per questa chicca che svela un naso splendido, tinto di un colore giallo oro luminoso. Un tocco verde che ricorda la buccia di lime, difficile da trovare solitamente nella tipologia, spunta in mezzo alle note di agrume e zenzero candito. In bocca un’eccellente freschezza e lunghezza, su ritorni d’agrume che “tengono” per le briglie il sorso (e il residuo), prima di una chiusura cremosa, deliziosa, su note di frutta tropicale. Vino di prospettiva assoluta.
  • Öreg Király dülő Eszencia 2013. L’apoteosi dei vini di Tokaj, in una delle più giovani interpretazioni di Barta Pince, ancora in affinamento: basti pensare che, al momento, l’annata in commercio è la 2008. Un nettare che si attacca con le unghie alle pareti del calice, denso, tingendolo di un giallo dorato luminoso. Al naso è largo e profondo. Le note di frutta candita sono ultra concentrate; quelle di mentuccia e d’agrumi rinfrescano il giusto, attenuando la percezione dolce. La persistenza è infinita.

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È una storia di passione e tradizione anche quella di Patricius Borház, la tenuta di 85 ettari che sorge a Bodrogkisfalud, a pochi metri dalle rive del fiume Bodrog. A Dezső Kékessy e alla figlia Katinka l’onere e l’onore di portare avanti una tradizione pluricentenaria, che affonda le radici nel 1800.

La cantina, perfettamente integrata tra le vigne, vanta le più moderne tecnologie e un sistema di vinificazione incentrato sulla forza di gravità: le sale dove avviene la vinificazione sono invisibili, interrate sotto ai vigneti che circondano l’elegante estate.

“La nostra vera ricchezza – commenta a WineMag.it Péter Molnár, general manager di Patricius Borház e presidente del Tokaj Council – è l’estrema variabilità dei terreni, che cerchiamo di preservare nelle migliori annate con vini provenienti da cru o armonizzare negli assemblaggi delle uve di più vigneti, presenti con diversi cloni”.

  • Tokaj Green Furmint 2017. L’etichetta d’ingresso nel mondo di Patricius non poteva che essere un Furmint ottenuto da uve biologiche. Il naso è ricco, floreale e fruttato, mentre il palato è decisamente incentrato sulla mineralità. Un calice spensierato, testimone del terroir vulcanico.
  • Pezsgó-Sparkling Méthode traditionelle Brut 2015. Hárslevelű, Furmint e Sárgamuskotály si dividono una cuvée che ha riposato 3 anni e mezzo sui lieviti. Il risultato è un Metodo classico che riflette le caratteristiche delle tre uve simbolo di Tokaj: la frutta esotica dell’Hárslevelű, la freschezza del Furmint e l’aromaticità armoniosa del Sárgamuskotály. Bollicina cremosa in un sorso agile ma non banale.
  • Tokaji Furmint Selection 2018. Frutto, cremosità e mineralità, nonché una perfetta integrazione tra le note morbide, derivanti dall’affinamento in legno, e gli sbuffi di spezia. Un vino elegante e moderno, fresco e fruttato, che rappresenta appieno l’idea del Dry Furmint di Patricius, nella sua dimensione gastronomica.
  • Noble Late harvest 2017 “Katinka”. Furmint, Sárgamuskotály e Kövérszőlő per questa vendemmia tardiva che mira a mostrare al grande pubblico il potenziale della “muffa nobile”, la Botrytis cinerea, oltre alle capacità di conservare la freschezza da parte delle uve tradizionali di Tokaj, da “appassite”. Nonostante i 129 g/l di residuo zuccherino, il nettare si rivela infatti perfettamente equilibrato e per nulla stucchevole.
  • Tokaji Aszú 6 puttonyos 2016. Primo naso su ricordi di terra bagnata e di fungo, poi esce un frutto tutto da respirare, di albicocca e pesca sotto sciroppo. Miele, cioccolato, tabacco. Note che si ritrovano anche al palato, lungo e profondo, largo e verticale.

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Assaggi, quelli da Patricius Winery, che anticipano la “traversata d’Ungheria”. Già, perché se la parte settentrionale del Paese è perlopiù appannaggio delle varietà a bacca bianca, è il sud che si è affermato per la produzione dei vini rossi, anche a livello internazionale.

L’ultima tappa del “flipper tour” del vino ungherese è la Bordeaux d’Ungheria: Villány, a pochi chilometri dal confine con la Croazia e con la Serbia. Le 5 ore abbondanti necessarie a raggiungerla da Tokaj, sono un’ottima scusa per una sosta al Baracsi Halászcsárda, una taverna con pensione ai margini del villaggio di Baracs, lungo le rive del Danubio.

Siamo nell’altra patria del vino rosso ungherese, Szekszárd, a circa tre quarti del cammino verso Villány. Ad accompagnare la zuppa di pesce del Baracsi Halászcsárda, la tradizionalissima Bajai halászlé, sono due vini di Vesztergombi Pince.

Le redini della cantina sono oggi saldamente in mano a Csaba Vesztergombi, capace di raccogliere l’eredità del padre Ferenc (enologo ungherese dell’anno nel 1993) e della madre Piroska, dopo aver fatto esperienza all’estero. Il focus della produzione, tuttavia, è su diversi cloni del vitigno autoctono Kadarka.

I vini ottenuti da questa varietà presentano colore e sentori simili al Pinot Nero. Come il Noir risultano eleganti, caratteristici e straordinariamente longevi. Nell’interpretazione di Vesztergombi Pince, la Kadarka 2017 e la 2018 riflettono l’annata e la percentuale di uve botritizzate concesse dal meteo, in occasione della vendemmia.

Quel che è certo, è che la varietà consente la produzione di vini terribilmente moderni – nell’accezione positiva dell’avverbio – in grado di incontrare il gusto internazionale di tutte le età. Lo dimostra il pairing con il pesce, letteralmente azzeccato.

Alla stregua – per trovare un altro parallelismo con l’Italia – di una Schiava (a Caldaro, in Alto Adige), di un Bardolino (sul Lago di Garda) oppure, spostandosi in Meridione, di un Cerasuolo di Vittoria (unica Docg della Sicilia).

  • Kadarka 2018, Vesztergombi Pince. Colore tipico, rosso rubino luminoso, mediamente trasparente. Bel naso su fiori freschi, lamponi, fragolina di bosco. Vino dalla pienezza leggera e leggiadra, non ingombrante, ma totalmente riempitiva. Elegantissimo, pur trovandosi nel pieno della sua fase giovanile. Beva instancabile.
  • Kadarka 2017, Vesztergombi Pince. Il tono rubino è leggermente più carico, primo segnale (poi confermato al naso e al palato) di un vino dalla maggiore concentrazione, dettata anche dalla presenza di un 5% di uve botritizzate. Un rosso che rispecchia maggiormente le caratteristiche del vitigno “tesoro di Szekszárd”. Sorso fresco, eppure al contempo morbido e avvolgente. Eleganza da vendere, così come capacità di affrontare la sfida col tempo.

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Proseguendo verso sud, lungo la strada che da Szekszárd conduce a Villány, si trova Lajvér Borbirtok. La grande attenzione per i dettagli architettonici della cantina di Szálka, realizzata al centro di un anfiteatro di vigneti a terrazze circondati da boschi, rivela la matrice internazionale dell’azienda, sotto la guida enologica di Attila Nagy e del suo staff. Un aspetto confermato dagli assaggi.

  • Lajvér “Incognito” 2019. Una delle rare interpretazioni “in bianco” del Kékfrankos, versione esclusa dai disciplinari locali che ne giustifica il nome misterioso. Se chiudi gli occhi, di fatto, pare di avere nel calice un rosé. Ed è proprio questa la forza dell’etichetta: un bianco di carattere, dal sorso minerale e fruttato, che si divide tra l’esotico e i piccoli frutti a bacca rossa. Finale asciutto e di buona persistenza.
  • Lajvér Szekszárd Pinot noir 2017 Limited edition. Circa 2 mila bottiglie complessive per questo Pinot Nero affinato in legno, dopo una vinificazione attenta a preservarne i primari. Naso elegante, tra piccoli frutti di bosco, arancia sanguinella, spezia e macchia mediterranea, su un sottofondo di caramella mou, fondo di caffè e cioccolato. Bella presenza al palato, dopo l’ingresso sul frutto. Vino che chiama il piatto.
  • Lajvér Kékfrankos 2015 Limited edition. Solo 696 bottiglie per quest’altra edizione limitata ottenuta da un clone austriaco di Blaufränkisch. Dal bel rosso rubino si liberano note giocose di frutti rossi e spezia. L’affinamento in barrique ungheresi, protrattosi per 12 mesi, è tutt’altro che invasivo anche al palato. Il sorso è elegante, preciso, croccante, giustamente arrotondato dalla botte. Versione non banale di un vino che regge bene l’abbinamento, mostrando l’altro volto di un vitigno corposo.
  • Lajvér Szekszárd Merlot 2015 Selection. Piena maturità del frutto, nel segno di un’ottima gestione del varietale (dei primari, nello specifico). Al naso caratteristico fa eco un sorso agile ma consistente, anche grazie a un tannino piuttosto rotondo. I terziari sono tutti sulla liquirizia. Altro vino dall’alto gradiente di gastronomicità.

Vini, quelli di Lajvér, che fungono da “antipasto” all’ultima tappa. Già, perché ad attenderci a Villány c’è József Bock (nella foto, sopra). E non solo. Il 72enne, che accosta la direzione della propria cantina alla presidenza del Villányi Borvidék Hegyközségi Tanácsa – il Consorzio vitivinicolo regionale – ha chiamato a coorte altri 3 produttori della zona, per mostrare le potenzialità di un territorio che fonda tutto su un disciplinare di produzione rigorosissimo.

I vini che soddisfano i requisiti del Comitato di valutazione – spiega József Bock a WineMag.it – rientrano nelle categorie ‘Villányi classicus‘, ‘Villányi premium‘ o ‘Villányi super premium‘, sulla base delle rese, che variano da 35 a 90 quintali per ettaro, e dei parametri di qualità delle uve.

Nel 2014, per valorizzare ulteriormente i vini ottenuti da Cabernet Franc in purezza, abbiamo introdotto il marchio ‘Villányi Franc’ per le sole categorie ‘Premium’ e ‘Super Premium’. Quest’ultima contempla già di per l’esclusivo utilizzo del Cabernet Franc”.

Sono circa 10 milioni le bottiglie prodotte annualmente a Villányi. La storia di József Bock, che con la sua famiglia possedeva solo un paio di ettari di vigne negli anni Ottanta, somiglia tanto a quella di altre aziende cresciute a livello esponenziale nell’ultimo trentennio, se non altro dal punto di vista del riconoscimento internazionale.

I calici del gruppo di produttori locali chiamati a raccolta nel tempio del vino di Bock dimostrano la bontà del progetto vitivinicolo di Villányi, oltre alla linea comune intrapresa dai produttori, nel segno della qualità.

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  • Villányi Kadarka 2017, Gere Tamás és Zsolt Pincészete. Vino che lascia il segno per le sue caratteristiche uniche. Il carattere speziato è tipico del clone scelto per questa etichetta, che al naso abbina sinuosamente note di origano, piccoli frutti rossi e agrumi (ricordi di bergamotto). In bocca, la perfetta corrispondenza si misura con una facilità di beva strabordante, considerata la varietà dei sentori. Finale lungo, su ritorni di frutta rossa e rinvigorenti sbuffi speziati-vegetali.
  • Fekete Járdovány 2018, Gere Attila Pincészete. Una varietà molto diffusa in Romania, su cui la cantina punta molto, per le sue particolari caratteristiche. Corretto, trattandosi di una varietà rara mappata anche in Ungheria, cercare di semplificarne la comprensione inserendola – a livello degustativo – nel triangolo compreso tra Kékfrankos, Pinot Noir e Kadarka. E in Italia? Pare sensato il parallelismo col Grignolino del Piemonte. Sia al naso che al palato, il Fekete Járdovány 2018 di Gere mostra un equilibrio strepitoso tra spezia e frutto. Sfodera un tannino elegante e di prospettiva che si aggrappa al succo, rivelando tutto il potenziale futuro del nettare.
  • Villányi Franc 2016, Vylyan. Un vino catalogato nella tipologia “Villányi Premium” che bilancia bene le anime del Cabernet Franc, con particolare attenzione a pulizia e precisione del frutto.
  • Villányi Franc 2016, Gere Tamás & Zsolt Pincészet. Altra etichetta catalogata come “Villányi Premium”, ottenuto dalla singola vigna “Várerdő-dűlő”. Bellissimo rosso rubino, profondo ma luminoso. Primo naso sul lampone e su un tocco selvatico in cui spuntano note pregevoli di radice di liquirizia e mentuccia. Il palato è corrispondente e svela un apprezzabile accenno salino. Vino complesso, giovanissimo. In commercio la 2012.
  • Villányi Cuvée 2015 “Libra”, Bock. Uvaggio di Cabernet Franc (50%), Cabernet Sauvignon (25%) e Merlot (25%). Vino che fa della concentrazione e della rotondità il suo piatto forte. Al frutto tendente alla confettura abbina terziari di fondo di caffè e tabacco.
  • Villányi Kopár Cuvée 2017, Gere Attila Pincészete. Da poco sul mercato la nuova annata di uno dei vini simbolo della cantina. Compongono l’uvaggio Cabernet Franc (50%), Merlot (40%) e Cabernet Sauvignon (10%). Oltre all’evidentissima “gioventù”, il vino racconta una gran prospettiva. Un’etichetta destinata a diventare, nei prossimi anni, uno dei simboli dell’eleganza di Villàny. Con Bordeaux sullo sfondo.
  • Villányi Franc 2012 “Mandolas”, Vylyan. Solo barriques nuove, solo ungheresi. Scelta dei legni decisiva per questo Cabernet Franc in purezza molto condizionato dai terziari. Naso ammaliante, giocato sulle tostature e sulla spezia calda: ricordi di zafferano, fondo di caffé, terra bagnata. In bocca una struttura corpulenta. Il frutto è piano, il tannino – al momento – un po’ troppo esuberante.
  • Villányi Capella Cuvée 2009, Bock. Cabernet Franc (60%), Cabernet Sauvignon (30%) e Merlot (10%) da quelle che József Bock considera “le vigne più belle di Villány”: Ördögárok dűlőből (“Vigna del diavolo”) e Jammertál dűlőről. Un nettare che riposa 24 mesi in botti di rovere ungherese e viene prodotto solo nelle annate eccezionali, in quantità limitata (8.590 bottiglie nel 2009, in degustazione la 730). Siamo di fronte ancora una volta a un vino largo, il più concentrato e profondo della batteria, giocato su note di confettura, cioccolato, spezia calda (tra cui spicca la liquirizia) e macchia mediterranea (origano, mentuccia). Il tannino, conferito in parte dall’uva e in parte dal legno, asciuga il succo e il sorso. La freschezza è riequilibrante e il finale lungo e deciso. Un vino che ha ancora molta vita davanti.

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Ma il legame tra Villány e la viticoltura internazionale va ben oltre il calice. Il borgo di 2.500 abitanti della provincia di Baranya è noto per aver dato i natali a Zsigmond Teleki, nel 1854. A lui si devono importanti studi sulla fillossera. Ancora oggi, diverse aziende utilizzano portinnesti “resistenti” che portano il suo nome.

A Teleki, vera e propria figura mitologica del vino ungherese, è dedicata l’omonima gamma di vini di Csanyi Pincészet, una delle maggiori cantine d’Ungheria coi suoi 2 milioni di bottiglie prodotte, grazie a 370 ettari di vigneti (numero che sale a 450 ettari, considerando i vigneti di recente acquisizione e impianto).

A raccogliere l’eredità di Chateau Teleki, la cantina fondata dallo stesso Zsigmond Teleki nel 1881, è stato nel 2000 il secondo uomo più ricco d’Ungheria, Sándor Csányi, amministratore delegato del colosso bancario ungherese Otp Bank Group.

Csányi, titolare di numerose altre aziende del settore dell’agricoltura e dell’allevamento (Bonafarm Group), nonché presidente della gloriosa Federcalcio magiara (la Magyar Labdarúgó-szövetség), ha voluto realizzare una cantina con i migliori standard tecnologici, preservando il nucleo originario di Chateau Teleki.

Al suo fianco, dal 2016, un manager affermato come László Romsics e un enologo prelevato dal “vivaio” della stessa cantina, Zoltán Szakál, ormai ex allievo del veterano Antal Bakonyi. Gli assaggi dei vini di Teleki dimostrano come quantità e qualità possano fare rima, anche in Ungheria.

  • Csányi Teleki Villány RedY 2019. Lo scopo di questo blend di uve locali, alla base del brand “Redy”, è mostrare le peculiarità più fresche delle uve tipiche di Villány, dando vita a vini da bere a pochi mesi dalla vendemmia, che non necessitino dei lunghi affinamenti tipici delle varietà bordolesi. Una porta d’ingresso, insomma, al mondo dei vini rossi ungheresi. Nello specifico, l’uvaggio si compone di Blauburger, Kékfrankos e Portugieser, vinificati in acciao. Un vino che adempie appieno la sua funzione spensierata e quotidiana, nel gioco gioioso tra il frutto e la spezia. Da rivedere (ma vale per l’intera tipologia RedY di Villány) i massimali dell’alcol: 13% in volume risultano la ciliegina mancata in termini di “leggerezza”, su una torta perfetta.
  • Teleki Selection Villányi Kékfrankos 2017. Il vero vino spensierato, eppure concreto, dinamico e croccante, della cantina di Villány. Tutto frutto e spezia, per una beva dirompente e instancabile.
  • Château Teleki Villány Merlot 2015. In bottiglia da 10 mesi, dimostra di avere tutte le caratteristiche per un bell’allungo, in prospettiva. Al momento il naso è più ordinato del palato. Trait d’union i frutti rossi, col tannino a ringhiare sul succo.
  • Château Teleki Villány Franc 2017. Un Cabernet Franc letteralmente esaltato da un utilizzo del legno più che mai discreto. Ne risulta un vino dominato dal frutto, con richiami intensi a quelli di bosco e ricordi d’agrumi. Il tocco di spezia verde vivacizza, quello della liquirizia rende il quadro armonico. Bella prova, anche in prospettiva.

  • KőVilla Válogatás Villányi Franc 2015. Vino giocato sull’armonia e sull’eleganza, senza rinunciare alla struttura e al corpo. Gran gastronomicità: chiama il piatto.
  • Villányi Franc Super Premium 2015 Teleki Tradíció 1881. Un Franc al momento troppo condizionato dal legno a danno del varietale e, soprattutto, del frutto. Vaniglia e cioccolato un po’ troppo invadenti sulle note pepate e fruttate, pur presenti e distinguibili. Vino da aspettare: la stoffa c’è tutta. Il mercato non può aspettare, ma i consumatori attenti sì.
  • KőVilla Válogatás Villányi Cabernet Sauvignon Kopá 2017. In bottiglia da due mesi, rivela già un frutto pieno, succoso, oltre a un tannino a sua volta elegante. Chiusura su terziari di cacao, per un altro vino di prospettiva.
  • Villányi Cabernet Franc 2002. Vino tuttora sulla cresta dell’onda – e lo sarà ancora almeno per i prossimi 3 anni, ad alti livelli – a dimostrazione di quanto Villányi sia la patria del Cabernet Franc ungherese, ben prima della valorizzazione “ufficiale” del 2014. Colpiscono la freschezza e la succosità, ancora vive e armoniche sui terziari di cioccolato, tabacco e fondo di caffé.
  • Villányi Pinot Noir Rosé Brut 2016 Teleki Tradíció 1881. Sette grammi di residuo zuccherino per un Brut Metodo classico giocato sulla croccantezza del frutto di bosco e la vivacità e freschezza degli agrumi, più che sui sentori di lisi. Un’ottima “prima prova”, in attesa del bis della vendemmia 2018, in uscita a fine 2020.
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Sudafrica, lockdown costa 340 milioni a industria vino. Vinpro: “Danno irreparabile”

L’industria del vino del Sudafrica ha perso 7 miliardi di Rand, oltre 340 milioni di euro, dall’introduzione delle restrizioni alle vendite iniziate a marzo 2020, tra le misure anti Covid-19 previste nell’ambito del lockdown.

Il governo di Pretoria, come annunciato dal presidente Ramaphosa, ha deciso di eliminare il divieto di vendita e distribuzione di vino e alcolici a partire da domani, il 17 agosto 2020. Ma per Vinpro, la maggiore associazione di categoria dei produttori di vino sudafricano, è ormai troppo tardi.

Il livello di allerta, sceso da 3 a 2, non consente alle cantine e alle aziende della filiera di tornare alla normalità, ormai perduta. Vinpro stima che più di 80 cantine e 350 produttori di uva da vino rischiano di cessare la propria attività nei prossimi 18 mesi. Con una potenziale perdita di oltre 21 mila posti di lavoro.

“Sebbene siamo felici della riapertura del mercato nei negozi fisici e online, siamo sgomenti per l’entità dei danni causati al nostro settore durante il divieto temporaneo di esportazione e le restrizioni estese sulle vendite locali”, afferma Rico Basson, amministratore delegato del settore del vino organizzazione Vinpro.

“Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi. Molte aziende vinicole hanno già chiuso e per l’intero settore si attende una lunga strada per la ripresa”.

Vinpro ha lavorato a stretto contatto con i partner del settore su un piano di salvataggio, allo scopo di affrontare l’urgente necessità di stabilizzare il settore, compresa l’estensione di ulteriori sgravi dalle accise per l’anno in corso, nonché per il 2021. Si calcola che il surplus di vino attuale sia di circa 300 milioni di litri.

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Approvata dall’Ue la distillazione di crisi per 3,3 milioni di ettolitri di vino francese

La Commissione europea ha autorizzato la Francia a fornire ulteriore sostegno ai produttori di vino, attraverso la distillazione di crisi. Il provvedimento, secondo le stime transalpine, dovrebbe interessare un totale di 3,3 milioni di ettolitri di vino, che saranno tolti dal mercato francese.

“Questa misura mira a ridurre le scorte di vino, liberare capacità di stoccaggio e ripristinare l’equilibrio tra domanda e offerta sul mercato vinicolo nazionale, colpito dalla crisi del Coronavirus“, giustifica l’Ue.

La Francia ha introdotto la distillazione del vino in caso di crisi nel suo programma nazionale di sostegno al settore vitivinicolo per il 2020. Tuttavia, la riduzione della produzione di un milione di ettolitri è stata insufficiente. Grazie alla decisione odierna, i sussidi nazionali copriranno i costi del volume aggiuntivo per la distillazione di crisi.

La consegna del vino alle distillerie sarà comunque volontaria. Il vino sarà distillato in alcool utilizzato per scopi industriali, compresa la disinfezione, o per scopi farmaceutici o energetici. Il pagamento, secondo indiscrezioni, dovrebbe essere fissato a 83 euro per ettolitro di vino a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta.

Saranno riconosciuti invece 63 euro per ettolitro di vino senza denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta. Questa decisione si aggiunge a una serie di misure di sostegno eccezionali per il settore vitivinicolo adottate dalla Commissione europea il 7 luglio 2020.

In quella data, la Commissione ha autorizzato gli Stati membri a versare anticipi agli operatori, che possono coprire fino al 100% dei costi e consentiranno agli Stati membri di utilizzare appieno i fondi del Programma nazionale di sostegno relativo al 2020.

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Covid-19, Sudafrica: industria del vino sul piede di guerra per divieto vendita alcolici

Continua il braccio di ferro tra l’industria del vino e il governo del Sudafrica. Per limitare l’abuso e il consumo di alcol, considerato d’ostacolo alle cure contro Covid-19, il presidente Cyril Ramaphosa ha introdotto alla fine di marzo 2020 il divieto di vendita di bevande alcoliche in tutto il Paese. Nel mirino anche la vendemmia 2020 e le esportazioni, poi riattivate da Pretoria su pressione delle associazioni di categoria.

“L’industria del vino sudafricana, incluso il turismo del vino, è in uno stato di disastro – denuncia Rico Basson (nella foto, sotto) amministratore delegato dell’ente dell’industria vinicola Vinpro – è necessario un intervento urgente, altrimenti una delle industrie agricole più antiche del paese non sopravviverà”.

Molte aziende vinicole hanno già chiuso a causa delle restrizioni commerciali precedenti e attuali, e il resto del settore semplicemente non sopravviverà al prolungarsi del divieto di alcol, lasciando decine di migliaia di dipendenti senza alcun reddito, possibilità o speranza”.

L’industria del vino sudafricano è favore “a riaprire il commercio interno e la distribuzione con tutte le norme di salute e sicurezza necessarie, concentrandosi sul cambiamento dei comportamenti in merito alla produzione, promozione, commercio e consumo responsabili”.

Una posizione che trova d’accordo, a livello istituzionale, il governo del Western Cape, il Capo Occidentale del Sudafrica, che ha chiesto “la riapertura sicura di tutte le attività commerciali e la vendita interna di alcolici, insieme a interventi mirati”.

Il premier locale, Alan Winde, è convinto che questa sia una soluzione ottimale: “Fintanto che il Western Cape può garantire l’accesso alle strutture sanitarie per tutti i pazienti con Covid-19, il divieto temporaneo di vendita di alcol dovrebbe essere revocato immediatamente, in concomitanza con l’implementazione di interventi intelligenti per frenare gli impatti negativi dell’alcol nel medio-lungo termine”.

Vinpro prosegue dunque le trattative con il governo centrale avviate sin da marzo 2020: in discussione, all’inizio del lockdown, erano state messe anche le operazioni legate alla vendemmia, ormai alle porte.

“Da quando è stato annunciato lo stato di crisi e l’intero Paese è stato completamente bloccato – sottolinea ancora Rico Basson di Vinpro – abbiamo negoziato con il governo per consentire all’industria del vino di completare la vendemmia 2020 e quindi di consentire le esportazioni e il commercio interno”.

Comprendiamo la gravità della situazione allora e adesso e abbiamo sostenuto e ancora sosteniamo gli sforzi del governo per salvare vite umane. Ci impegniamo al contempo a garantire che l’industria del vino aderisca a tutte le normative, con le informazioni e i protocolli di sicurezza necessari”.

“Salvare vite umane, tuttavia – continua Basson – deve essere in attento equilibrio con il salvataggio dei mezzi di sussistenza delle persone. Il vino è un prodotto agricolo, è stagionale, il che significa che le viti non aspettano che vengano tolte le restrizioni commerciali prima di produrre uva”.

In Sudafrica risultano quasi 300 milioni di litri di vino in eccedenza, in giacenza della cantina. “Molti potrebbero non avere spazio per il nuovo raccolto. La situazione è disastrosa”, denuncia Basson.

“Anche per questo motivo Vinpro, insieme al resto della filiera – annuncia l’ad dell’associazione di categoria sudafricana – ha lavorato per stabilire un nuovo patto sociale che perfezioni soluzioni a breve, medio e lungo termine e interventi mirati alle sfide sociali legate all’abuso di alcol e al suo impatto nel settore sanitario”.

“In qualità di custodi dell’industria vinicola sudafricana, ci sforziamo di garantire il futuro della nostra industria per le generazioni a venire. Scegliamo quindi di lavorare con il governo su soluzioni che stabilizzeranno il settore in questo momento, lo ricostruiranno a medio termine e faranno crescere il settore a lungo termine”.

L’industria del vino del Paese africano ha richiesto e analizzato i dati empirici su cui è stata formulata la decisione di divieto di vendita del vino e delle altre bevande alcoliche.

Vinpro ha proposto e accettato una serie di condizioni che sarebbero servite come prerequisiti per revocare il divieto, inclusi impegni su progetti di sostegno del sistema sanitario, azioni di marketing e promozione sulle conseguenze dell’abuso di alcol, nonché la creazione di un “pool” che sorvegli sull’attuazione delle norme a breve, medio e lungo termine.

“Un patto sociale è un accordo tra varie parti, non una decisione unilaterale. È un dare e avere. Al momento siamo frustrati dalla mancanza di impegno da parte del governo sui prossimi passi d’azione”, denuncia Rico Basson.

Nuove decisioni del governo sono attese dal 15 agosto, una data che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti future dell’industria del vino del Sudafrica. Secondo stime di Vinpro, il divieto iniziale di nove settimane sulle vendite locali e il divieto di cinque settimane sulle esportazioni comporteranno il fallimento di oltre 80 aziende vinicole e 350 produttori di uva da vino.

Una tragedia che si ripercuote sull’occupazione, con la potenziale perdita di oltre 21 mila posti di lavoro in tutta la filiera. Cifre che potrebbero salire drasticamente nei prossimi 18 mesi, qualora il divieto di consumo di vino e bevande alcoliche non fosse eliminato in Sudafrica.

Come sottolinea il presidente di Vinpro, Anton Smuts, l’industria del vino sudafricano è dominata da piccole imprese – il 40% degli agricoltori produce meno di 100 tonnellate di uva e un ulteriore 36% meno di 500 tonnellate – di cui la maggioranza “non dispone di finanziamenti temporanei sufficienti per ovviare alle mancate vendite e all’attuale siccità finanziaria”.

“La viticoltura – continua Smuts – è una delle industrie agricole più antiche del Sudafrica, le nostre uve sono coltivate da 2873 agricoltori e dai loro 40 mila dipendenti e i nostri vini sono prodotti da enologi esperti e dai loro assistenti nelle nostre 533 cantine, con molti più fornitori di input e fornitori di servizi nel la catena del valore dipende dalla riapertura del mercato”.

Per ogni posto di lavoro in un’azienda agricola, vengono creati altri 10 posti di lavoro nel resto della catena del valore. Siamo stufi della situazione. Il divieto è servito allo scopo e dovrebbe essere revocato immediatamente”. 

L’ad Basson ricorda inoltre che “l’industria del vino comprende che la situazione attuale rimane estremamente complessa, ma a causa del calo del tasso di contagi nel Western Cape e in altre province, l’aumento della capacità negli ospedali e le proposte concordate, non c’è assolutamente alcun motivo per mantenere l’attuale divieto di vendita di vino in atto”.

Quando è troppo è troppo – conclude – anche perché, pensandoci razionalmente, il divieto non ha più senso. Abbiamo fatto del nostro meglio per salvare vite umane. Ora è giunto il momento di salvare i mezzi di sussistenza delle persone che lavorano e dipendono dall’industria del vino sudafricana”.

 

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Portogallo, i vini dell’Algarve sfidano i tempi moderni: nuovo nome e tipologia spumante

Minerali, più che salini, i vini bianchi. Gastronomici e freschi i vini rosati, che spaziano dal tipico rosé provenzale al rosa più marcato. Caldi e importanti i vini rossi, con qualche rara – moderna e apprezzabile – eccezione. Il nuovo Eldorado dei vini del Portogallo è l’Algarve, intenzionata a conquistare un posto d’onore accanto a Porto, DouroMadeira e Alentejo, sfidando i “tempi moderni” con un nuovo nome e una nuova tipologia certificata, molto in voga tra i consumatori internazionali: lo spumante.

Il primo scoglio da circumnavigare non è da poco. Con la dicitura “Vinho Regional Algarve” si intende infatti attualmente l’Indicazione geografica protetta (Igp) dei vini prodotti nell’intero areale, che non potrà dunque essere utilizzato per la nuova Denominazione di origine protetta (Dop) a cui sta pensando la Comissão Vitivinícola do Algarve (Cva) presieduta dall’aprile 2019 da Sara Silva (nella foto, sotto).

Il disciplinare in vigore per l’Igp, peraltro, è a maglie piuttosto larghe: i vitigni internazionali (Syrah, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot, Chardonnay, Viognier e Sauvignon Blanc) possono essere utilizzati assieme alle varietà autoctone come Negra Mole, Castelão (Periquita), Trincadeira, Crato Branco (Síria), Arinto e Moscatel.

La nuova era dei vini dell’Algarve passerà dunque dal concetto di “semplificazione”. Al momento sono infatti addirittura 4 le Denominacões de origem, equivalenti alle Doc/Dop italiane, presenti all’interno della regione (da ovest a est Lagos, 45 ettari; Portimão, 15 ettari, Lagoa, 183 ettari e Tavira, 14 ettari), baciate da 3 mila ore di sole all’anno, circa 400 in più di Sicilia e Sardegna.

Le differenziazioni di terroir e microclima non sono sostanziali da est (Barlavento) a ovest (Sotavento). La vera differenza consiste nella maggiore o minore vicinanza al mare. Da sud a nord, si passa infatti dai 155 chilometri di costa, il Litoral, alla zona intermedia del Barrocal, sino alla Serra, ovvero il confine settentrionale con l’Alentejo.

La maggior parte della superficie vitata, circa 1.400 ettari complessivi, di cui 257 registrati a Dop e 329 a Igp (ben 150 gli ettari impiantati nel 2019) si trova nella fascia nord e centrale, con terreni poveri in cui si registra la presenza di scisto e calcare, a differenza della zona sabbiosa del litoranea.

E non è un caso se l’80% dell’1,2 milioni di bottiglie prodotte nella regione siano a indicazione geografica. La maggior parte dei produttori locali – circa 45 cantine, di cui 30 molto attive sul mercato, specie dopo il boom del turismo registrato negli ultimi 10 anni – privilegia l’utilizzo dell’Igp sulle proprie etichette, rispetto alle quattro Dop.

Il nome “Algarve”, del resto, soffia vento in poppa alle vendite, in quanto brand già noto a livello internazionale, legato appunto alla nuova meta del turismo portoghese. Sarà difficile slegarsene del tutto, in futuro.

Quello del nome – sottolinea a WineMag.it la presidente del Consorzio Vini Algarve, Sara Silva – è un procedimento che intentiamo portare a termine nei prossimi due anni, anche per dare una spinta all’export, che al momento si assesta attorno al 10%. L’altra sfida è quello dello spumante.

Al momento si può trovare senza certificazione, come vino generico. L’idea è quella di dare ulteriore importanza alle nostre uve autoctone, come per esempio la versatile Negra Mole, attraverso un disciplinare legato al Metodo classico con affinamento minimo sui lieviti di 9 mesi“.

Si tratta della stessa crianza minima prevista nel disciplinare del Cava, lo Champenoise prodotto in Spagna, nazione che confina a est col Portogallo e con la stessa Algarve. Quel che è certo è che la battaglia tra i cugini iberici non si giocherà sui numeri, o sui prezzi stracciati.

“In generale – sottolinea Sara Silva – il posizionamento del marchio dovrà riflettere tutti gli sforzi compiuti dai produttori nel loro impegno per la qualità, specie attraverso la valorizzazione e riscoperta della varietà autoctone”.

VINI DELL’ALGARVE: DEGUSTAZIONE E RATING

  • Vinho regional Algarve 2019 Sauvignon Blanc “Dom Vicente”, Artemis – Monte da Ria (13%): 87/100
    Giallo paglierino, riflessi verdolini. Naso suadente, fiore fresco, agrumi, il tocco verde dosato, tipico del vitigno. Ingresso teso, minerale, centro bocca fresco e chiusura altrettanto fresca, con assaggio di spezia. In particolare, il finale è asciutto, lungo.
  • Vinho regional Algarve 2019 Sauvignon Blanc, Villa Alvor – Aveleda (12%): 86/100
    Giallo paglierino, riflessi verdolini. Molto più salino e ‘verde’ del precedente, anche al palato. Struttura esile per il perfetto vino ‘da spiaggia’, da aperitivo, senza impegno, tipicità in salsa ‘light’. Altra piacevole chiusura asciutta.
  • Vinho regional Algarve 2018, Quinta Do Francês (12,5%): 88/100
    Prodotto in quella che viene definita qui la ‘Douro Valley’ dell’Algarve, per le caratteristiche pedoclimatiche. Giallo che tende al dorato. Vino che ha una matrice diversa, internazionale, con un tocco di legno. Camomilla in filtro e fiori secchi al naso, tocco di arancia ed agrume che accompagna anche un sorso molto gastronomico, equilibrato, fresco, con finale sulla frutta matura.
  • Vinho regional Algarve 2017 Verdelho “Onda nova”, Vida Nova – Adega do Cantor (14%): 89/100
    Giallo paglierino luminoso. Naso di agrumi perfettamente maturi, bel tocco di pesca, esotico, fiore fresco. Ingresso e sorso con buon equilibrio tra morbidezze e freschezza, chiusura su tocco mielato. Incredibile come i 14% siano perfettamente integrati nel sorso, grazie a una gran bella freschezza e a una vena minerale ‘pietrosa’.
  • Vinho regional Algarve Encruzado 2019 Dom Vicente, Artemis – Monte da Ria (13%): 87/100
    Encruzado in purezza, tra le varietà predilette della cantina. Giallo paglierino. La varietà, dalle tinte aromatiche delicate, si esprime sulla spinta della frutta matura (tropicale), accanto al fiore secco. Un bel gioco. Sorso semplice, di sufficiente freschezza, chiude asciutto, su ritorni di frutta esotica matura (mango, melone bianco) e un accenno di nocciola.
  • Vinho regional Algarve Branco “Estate Blend” 2019 Dom Vicente, Artemis – Monte da Ria (12,5): 86/100
    Giallo paglierino. Tanto agrume al naso, prettamente connotato dalla frutta esotica matura. Eppure, al palato, il vino si rivela più teso del previsto, semplice da bere. Sorso fruttato e minerale, giusta freschezza. Ancora una volta il melone bianco, la pesca, l’esotico a guidare il sorso, sino alla chiusura, sufficientemente persistente.
  • Vinho regional Algarve Branco Reserva 2019, Herdade Barranco do Vale (13%): 90/100
    Giallo paglierino luminoso, riflessi dorati. Agrume, ma anche tocco, evidentissimo, di radice di liquirizia, che si ritrova anche in chiusura, assieme a un accenno di miele e a una mineralità spinta, che asciuga il sorso. Apprezzabilissima la lunghezza, su ritorni di agrumi. Vino molto interessante, da valutare anche nel tempo, viste le premesse di una buona evoluzione. Una prova positiva per una cantina all’esordio.
  • Vinho regional Algarve 2018 “Domus Branco”, Villa Alvor – Aveleda (12,5%): 88/100
    Verdello e Sauvignon Blanc le varietà che compongono l’uvaggio. Giallo paglierino, riflessi verdolini alla vista. Naso dai profumi delicati ma ampi, che spaziano dal verde tipico del Sauvignon a sentori di fiori macerati, con un tocco di radice di liquirizia. In evidenza anche gli agrumi, nel consueto quadro esotico. Si ritrova tutto al palato, in un sorso che chiude su una vena minerale per la prima volta spiccatamente iodica, che fa salivare e invita al sorso successivo. Vino con durezze perfettamente integrate, molto ben fatto.
  • Vinho regional Algarve Rosé 2019 Al-Ria, Casa Santos Lima (13%): 87/100
    Rosato carico. Naso intenso, frutto e fiore, lampone, fragola. In bocca si conferma super fruttato, fresco, di buona concretezza e tensione. Bel vino concreto, ‘da abbinamento’, elegante, minerale, asciutto, che riempie la bocca senza stancare mai.
  • Vinho regional Algarve Rosé 2018, Quinta Do Francês (12%): 88/100
    Rosa provenzale. Naso delicato, sorso su radice di liquirizia e frutto, tocco mielato, dattero e fico in grande evidenza. Tutti sentori di frutti stramaturi. Molto gastronomico. Vino che merita l’assaggio e un posto a tavola.
  • Vinho regional Algarve Rosé 2019, Vida Nova – Adega do Cantor (12,5%): 89/100
    Vino in commercio tra poche settimane, che si presenta di un rosa provenzale. Gran vena minerale, sia al naso sia al palato, su esuberanti note di agrumate. Il naso evidenzia una pregevole componente floreale. Vino lungo, sulle note fruttate già avvertite e sulla bella vena minerale. Tra i migliori rosati d’Algarve.
  • Vinho regional Algarve Rosé 2019 “Estate Blend” Dom Vicente, Artemis – Monte da Ria (12,5%): 86/100
    Rosa provenzale. Bel naso, delicato ma intenso, su frutto e fiore di rosa, agrumi. Sorso facile, sul frutto, piuttosto rotondo e morbido. Vino piuttosto commerciale, perfetto per un consumo spensierato.
  • Vinho regional Algarve Rosé 2019, Villa Alvor – Aveleda (12%): 87/100
    Moscatel Galego Roxo in purezza. Rosa provenzale, scarico, tocco aranciato. Naso aromatico. Bocca precisa, quasi austera, timida, giocata sulla verticalità e su un frutto al braccio di ferro con la mineralità. Vino non di gran ampiezza o complessità, ma perfetto per l’estate. Può essere esaltato dal corretto abbinamento a tavola, specie per la nota minerale, pietrosa.
  • Vinho regional Algarve Rosé Reserva 2019, Herdade Barranco do Vale (12,5%): 90/100
    Rosa provenzale scarico, tocco aranciato. Mono varietà, 100% Negra Mole, la regina autoctona della regione. Il naso è pieno, ricco di frutta perfettamente matura: si avvertono perfettamente gli agrumi, il lampone, un tocco di fragola, ma anche l’agrume, tra la buccia e il succo. In bocca una gran presenza di frutto, esuberante, piena, ricordi addirittura di anguria matura, unita a fragolina, ribes e lampone. Il tutto su una vena minerale-salina. Altro vino di questa cantina che merita di essere aspettato, atteso, scoperto nei prossimi mesi.
  • Vinho regional Algarve Tinto 2019, Casa Santos Lima (14,5%): 86/100

    Touriga Nacional, Syrah e Tinta Roriz. Rosso impenetrabile. Vino dalla beva larga ma agile, grazie a una gradazione alcolica alta ma non disturbante. Le note di frutta tendono alla confettura, ma sono ben sostenute dalla freschezza. I terziari del legno (nello specifico la vaniglia) sono ben amalgamati nel corredo.

  • Vinho regional Algarve Reserva Tinto 2017 (14,5) Al-Ria, Casa Santos Lima: 87/100
    Touriga Nacional, Tinta Roriz e Syrah a comporre l’uvaggio di un altro rosso importante, dalle spalle larghe. Primo naso sul legno, ma anche sulla macchia mediterranea e sulla spezia. Bella freschezza al palato, con la mentuccia che accompagna bene il fico maturo, la mora, il dattero e la spezia che tiene vivo il sorso. Tannino levigato, che lavora ancora bene sulla parte glicerica. Vino pronto da bere, a 3 anni dalla vendemmia.
  • Vinho regional Algarve Tinto Reserva 2015, Vida Nova – Adega do Cantor (14,5%): 88/100
    Syrah e Alicante Bousquez. La spezia del Syrah irrigidisce il sorso, sulla frutta piena dell’Alicante. Tocco selvatico leggero sulla mora, il ribes nero, ma soprattutto fico e dattero. Ritorni di spezia e tannino presente, ma perfettamente integrato. Vino di gran piacevolezza e gastronomicità.
  • Vinho regional Algarve Tinto Reserva 2018 “Rabo de Galo”, Casa Santos Lima (14,5%): 88/100
    Etichetta che colpisce a scaffale, con la raffigurazione di un gallo. Uve Touriga Nacional, Alicante Bouschet ed Aragonez. Naso non super espressivo ma elegante, su frutto perfettamente maturo e su tocco di radice di liquirizia, carruba. Vino fruttato, il più delicato al sorso e meno opulento della batteria dei rossi, da servire fresco e godere anche nelle giornate di caldo, grazie a un alcol molto ben controllato. Tannino presente, ma non disturbante.
  • Dop Lagoa Negra Mole “Signature”, Única – Adega Cooperativa do Algarve (13%): 87/100
    Negra Mole 100%. Vino della cooperativa locale, che negli ultimi anni ha svoltato sul fronte della qualità. Ricorda per il colore e per la componente floreale e fruttata il Grignolino ancor più del Pinot Nero, evidenziando tuttavia tannini più setosi. Nella fattispecie, “Signature” ha un naso sanguigno, ferroso, delicato, floreale di violetta. È un vino di buona presenza al palato, pur semplice e beverino, fresco per la buona componente acida (la nota di limone in prima fila). Rivela anche una buona componente minerale, figlia del terroir, assieme a un tocco goudron. Vino perfetto in abbinamento con portate di pesce.
  • Vinho regional Algarve Tinto 2017, Quinta Do Francês (14,5%): 91/100
    Uvaggio di Aragonêz, Cabernet Sauvignon, Syrah e Trincadeira, uva autoctona del Portogallo. Come gli altri, colore molto profondo, naso ampio, tra fiore di violetta, tocco selvatico, frutto rosso e mora e un rinvigorente tratto verde, molto ben dosato. Vino ancora giovane e di prospettiva. Il miglior assaggio tra i vini rossi dell’Algarve, per eleganza, precisione del frutto, piacevolezza attuale e capacità di ulteriore affinamento.
  • Vinho regional Algarve Tinto Reserva 2018, Herdade Barranco do Vale (14,5%): 89/100
    Aragonêz in purezza. Colore rubino impenetrabile. Tanto frutto di bosco a bacca rossa e nera, tra cui merita una menzione la carruba, accanto alla mora e al lampone. In bocca si mostra caldo, morbido, su note di prugna e dattero, ancor più che di fico. Il tannino ci lavora bene sopra, con eleganza ed efficacia. Vino con buone prospettive di ulteriore affinamento, già dotato di un ottimo grado di gastronomicità e piacevolezza del sorso.
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Château Cheval Blanc per la prima volta in Italia con Fis: degustazione di 7 etichette

ROMA – Non poteva che tenersi su una delle più suggestive terrazze della Capitale la degustazione dei vini del mitico Château Cheval Blanc di Bordeaux, con la presenza di Pierre-Olivier Clouet, ingegnere agronomo, enologo, direttore tecnico dell’azienda dal 2004.

L’appuntamento è dalle ore 17 alle ore 20 di lunedì 14 dicembre 2020 presso la Sede di Fondazione Italiana Sommelier, all’Hotel Rome Cavalieri di via Cadlolo, 101 (iscrizioni sul sito Bibenda).

A portare a Roma il noto brand è appunto Fis, che propone un tasting di 7 etichette per gli iscritti, al costo di 250 euro. In degustazione Le Petit Cheval Blanc 2015, Château Quinault L’Enclos 2014, Le Petit Cheval 2012, Château Cheval Blanc 2012, Château Cheval Blanc 2009, Château Cheval Blanc 2006 e Cheval des Andes 2016.

La degustazione si svolgerà in lingua francese e sarà tradotta in simultanea per le lingue italiano e francese. Le origini del prestigioso Château risalgono al IV secolo d.C. , per iniziativa di un poeta-winemaker nonché console romano.

Così come molte altre tenute di Pomerol, i terreni di Cheval Blanc sono di diversa composizione e non comprendono calcare. Sono unici e differenti al tempo stesso per la proporzione di ghiaia e argilla.

Una storia che dura da secoli e un successo affermato fin dal 1862 quando Cheval Blanc vinse la sua prima medaglia alla mostra universale di Londra. Da allora fino un’irresistibile catena di successi, ottenendo la classificazione di Premier Grand Cru Classé “A” nel 1954.

La tenuta situata nel comune di Saint-Emilion, ma confinante con Pomerol, è composta di 39 ettari suddivisi in 45 vigneti. Ciascuno di questi viene trattato come vigneto a sé, per rispettare la differenza di età delle viti, la varietà delle uve, la tipologia del suolo.

Ogni vite ha la sua personale identità, catalogata in base al numero del filare e alla sua posizione nel filare stessa. Questo per ciascuna delle 237.288 viti. Attualmente le proporzioni dei vitigni vedono al 52% il Cabernet Franc, seguito da un 43% Merlot e da un 5% Cabernet Sauvignon.

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Il primo distributore di vino in Francia investe sull’Italia: polo logistico in Piemonte

Bordeaux e Borgogna, ma anche Rodano, Provenza, Linguadoca e Alsazia. Eppure sembra stare stretta, la Francia, al primo distributore di vino d’Oltralpe. La famiglia Helfrich e il Gruppo Les Grands Chais de France hanno infatti deciso di investire sull’Italia. Grazie alla partnership con Deluxe Wine, siglato alla fine di febbraio, è stato avviato un centro logistico in Piemonte, presso la dogana di Torino.

Un investimento significativo, che sottolinea la volontà di crescita del gruppo francese nel mercato italiano, sia sul fronte Horeca sia nell’online. Deluxe Wine, distributore “mono-etichetta” Grands Chais de France, conta ad oggi 130 referenze in catalogo e a settembre 2020 verrà offerta una selezione ancor più ampia di etichette, che vedrà protagonisti i Domaine e Chateaux della famiglia Helfrich.

Si tratta di Arthur Metz, Blanc Foussy, Calvet, Carod, Chateau De La Tuilerie, Domaine De La Baume, Dulong, François Martenot, Maison Du Vigneron, Klipfel e Moillard.

Grande soddisfazione per Romina Romano, Country Manager GCF per l’Italia che afferma: “Anche in questo momento di difficoltà per tutto il comparto vino, gli investimenti sul territorio italiano proseguono”.

La nostra volontà è di offrire al mondo Ho.Re.Ca italiano la possibilità di approvvigionarsi a prezzi vantaggiosi effettuando anche piccoli ordinativi. La collaborazione con Deluxe Wine ci permette di sviluppare una rete commerciale capillare su tutto il territorio, venendo incontro in modo puntuale alle esigenze di ristoratori, enotecari e albergatori italiani”.

Le fa eco Andrea Forestiero, fondatore di Deluxe Wine che aggiunge: “Siamo uniti commercialmente da un obiettivo comune, crescere e radicarci sempre più nel territorio italiano”.

I vini della Famiglia francese sono estremamente apprezzati qui in Italia, in particolare le bollicine, così come i Domaine di Borgogna riscuotono grande successo. Il centro logistico consente grande semplicità nell’effettuare ordini e competitività nel prezzo, proiettandoci verso un importante obiettivo di crescita nel 2021″.

Per quanto riguarda lo sviluppo nell’e-commerce, il Gruppo ha stretto accordi commerciali con Tannico, la più grande enoteca online, Xtrawine, il secondo migliore sito e-commerce italiano nel 2019 e Vino75, proponendo una selezione di vini provenienti dalle diverse proprietà dell’azienda francese.

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Vino, tappi naturali sicuri al 99,85%: dal Portogallo la novità Innocork di Cork Supply

Prima il controllo di un naso umano ipersensibile. Poi il check definitivo, grazie all’utilizzo di macchinari super sofisticati. La novità arriva dal Portogallo ed è firmata Cork Supply. Il produttore promette “un livello di sicurezza record” su sentore di tappo e affini, pari al 99,85% sui tappi naturali per vino prodotti con l’innovativo sistema Innocork. E si spinge oltre.

DS100 e DS100+ sono i nomi coi quali Cork Supply identifica il sistema ormai brevettato. Ogni singolo sughero viene testato e analizzato per il Tca da professionisti “annusatori”, nel caso di DS100, e mediante un programma computerizzato altamente sensibile nel caso di DS100+. C’è di più.

Dopo aver completato queste procedure, Cork Supply rilascia la “Garanzia di riacquisto della bottiglia“. Se viene scoperto un tappo di sughero difettoso, l’azienda portoghese si impegna a riacquistare la bottiglia, pagando il prezzo al dettaglio.

Una svolta dovuta allo spirito instancabile di ricerca e sviluppo del tedesco Jochen Michalski, patron e fondatore di Cork Supply negli Usa, nel 1981. Un uomo che ha dedicato la sua vita professionale “alla purezza del vino“.

Ad assicurare che i tappi di sughero naturali del produttore portoghese non ospitino più alcun componente di Tca – responsabile del classico aroma dei vini “tappati” – sono in primis due processi tecnici sequenziali e complessi.

  1. PureCork. Innanzitutto i tappi vengono riscaldati a 85°, in un ciclo di ventiquattro ore. La distillazione a vapore rimuove Tca e altri aromi sgraditi
  1. InnoCork. Quindi, in un ciclo di un’ora, i tappi vengono nuovamente riscaldati a 65°, usando vapore e un distillato di etanolo, rimuovendo così eventuali particelle residue

Prima che un sughero subisca il nuovo processo InnoCork, deve superare una serie di ostacoli. Proprio come per il vino buono, “fatto in vigna” e non in cantina, la qualità del sughero inizia all’aperto e si perfeziona in laboratorio.

“Il monitoraggio costante delle querce da sughero – spiega Jochen Michalski – assieme a un’intensa collaborazione e consulenza con le aziende partner e a una meticolosa selezione delle singole querce, sono alla base della nostra mission”.

Per fare questo occorre camminare per miglia attraverso le foreste di sughero, dove vengono prelevati numerosi campioni. Le analisi vengono eseguite ben prima che la corteccia di sughero arrivi al sito produttivo.

“Dalla foresta al prodotto finito – sottolinea ancora Michalski – questi tappi sono sottoposti a più test analitici, sensoriali e visivi. In totale, Cork Supply conduce oltre mezzo milione di test e ispezioni ogni anno, ben al di sopra della media del settore.

Dopo che il sughero ha attraversato il circuito di InnoCork con i due processi tecnologici InnoCork e PureCork, i sugheri hanno dimostrato di essere privi del Tca e degli aromi sgraditi sino a livelli di sicurezza pari al 99,85%.

“Questa – garantisce il patron del sugherificio portoghese – è una cifra che non è mai stata raggiunta in nessun’altra parte del mondo! Tutti i tappi di sughero naturale di Cork Supply sono attualmente sottoposti a entrambi i processi tecnologici, senza costi aggiuntivi per il cliente”.

Trentanove anni dopo la fondazione di Cork Supply, l’azienda conta oltre 500 dipendenti in diversi Paesi vocati alla viticoltura come Australia, Sudafrica, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Italia, Francia, Cina e Argentina.

E alla mission principale di produrre e distribuire sugheri si sono affiancati negli anni altri campi d’azione. Cork Supply ha aperto la società di etichette Studio Labels in Australia nel 2007 e, dal 2008, il gruppo guidato da Jochen Michalski produce botti di rovere con Tonnellerie Ô, negli Stati Uniti.

Ognuna delle tre società ha una propria identità distinta, ma dall’inizio del 2020 i tre pilastri – chiusure, contenitori per l’affinamento in legno ed etichette – sono uniti dal nome di Harv81, fedeli al motto: “Eccellenza a tutti i livelli”.

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Industria vinicola sudafricana in lutto per la scomparsa di Pieter Hugo

Industria vinicola sudafricana in lutto per la scomparsa di una delle sue figure più iconiche, Pieter Hugo, noto produttore della valle di Slanghoek. Ne ha dato notizia la famiglia, alle prime ore del mattino del 10 luglio 2020. Hugo, stroncato da una fibrosi polmonare, era tra i membri fondatori di Vinpro, una delle più partecipate associazioni di categoria in Sudafrica.

“Pieter è stato uno dei produttori più rispettati del settore, che con il suo acuto senso degli affari, ha dato l’esempio non solo parlando, ma camminando sul discorso. Lascia una grande eredità come leader visionario, mentore e amico – afferma il presidente della Vinpro, Anton Smuts – le nostre più sentite condoglianze alla sua famiglia, agli amici e ai colleghi del settore”.

Dopo aver conseguito la laurea in Agricoltura presso la Stellenbosch University, Hugo è tornato nella fattoria di famiglia nella valle di Slanghoek, dove è cresciuto professionalmente sotto la guida di suo padre, l’ex presidente della KWV, Pietman Hugo.

Negli anni ’80 si trasferì nella vecchia fattoria di famiglia Hugoskraal, allargando i possedimenti ad altre imprese della valle Breedekloof, oggi guidate da quattro dei suoi cinque figli. Nei suoi oltre 40 anni di militanza nel settore vitivinicolo, Pieter ha assunto diversi incarichi, tra cui quelli da Breëriver Bottling Company, KWV, Arbelos Wines e nelle cantine Botha e Slanghoek.

La sua visione si riflette nel coinvolgimento nei consigli di amministrazione e nei consigli delle organizzazioni agricole sudafricane, nei comitati provinciali e nazionali per gli affari idrici e nell’ex comitato delle cantine vitivinicole.

In Sudafrica, Pieter Hugo ha svolto un ruolo pionieristico nella storia di Vinpro, come parte del comitato consultivo incaricato nel 2002 di fondare l’associazione. In seguito al suo pensionamento come membro del consiglio di amministrazione e dal comitato finanziario di Vinpro, avvenuto nel 2014, è stato insignito dell’onorificenza di “membro onorario” di Vinpro “per il suo significativo contributo all’industria vinicola sudafricana”.

“Pieter – prosegue il presidente della Vinpro, Anton Smuts – conosceva e comprendeva le complessità dell’industria vinicola e poneva sempre al primo posto le esigenze del produttore. Era un uomo di poche parole, che dapprima ascoltava tutti gli argomenti e dava importanza a tutte le opinioni, poi dava il suo contributo ben ponderato, lasciando sempre un segno importante. Ci mancherà davvero”.

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Vacanze 2020 in vigna: la Germania s’inventa la mappa delle cantine camper friendly

[Weingut Gehring Nierstein]
Vacanze 2020? Dove, se non in vigna? L’idea arriva dalla Germania. Il German Wine Institute (Dwi) ha pensato di mettere a punto una mappa delle cantine camper friendly, ovvero che hanno la possibilità di ospitare i camper. Un progetto che interessa tutte e 13 le regioni vinicole tedesche, senza eccezioni.

Secondo un primo sondaggio effettuato del German Wine Institute tra i produttori di vino tedeschi, sono 35 le cantine già in grado di offrire ai viaggiatori almeno una piazzola per camper. “Pensiamo che ci siano molte più aziende che offrono questo servizio, ma non tutti hanno partecipato al nostro sondaggio”, ammette Frank Schulz dal quartier generale di Wines of Germany.

Per un numero minimo di tre piazzole, alle cantine basterà richiedere un “permesso di costruzione” alle autorità tedesche per realizzare un’area di sosta per camper, realizzabile già in vista delle vacanze 2020.

Generalmente viene garantita una connessione elettrica e idrica. Una soluzione che, grazie all’iniziativa del Dwi, è destinata a diventare sempre più popolare in Germania. Non solo tra i winelovers tedeschi.

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Chablis 1er Cru “Vaillons” 2003, Domaine Jean Collet & Fils

Figlio di terreni calcarei ricchi di fossili marini, in particolare di Exogyra virgula, una piccola ostrica tipica di quelle zone, lo Chablis 1er CruVaillons” di Domaine Jean Collet & Fils è uno Chardonnay in purezza, da piante di età media di 30 anni. Dal vigneto “Vaillons”, con esposizione a sud, situato sulla riva sinistra del fiume Serein, questo Chablis a 17 anni dalla vendemmia si mostra in tutto il suo splendore.

LA DEGUSTAZIONE
Di colore giallo dorato antico presenta un naso evoluto, maturo, ma senza la minima nota ossidativa. La parte floreale lascia poi spazio ad aromi di frutta candita e miele che anticipano accenni sulfurei, di pietra focaia, e note di piccola pasticceria in continua evoluzione.

Nonostante un’annata torrida, “Vaillons” 2003 non delude al palato in termini di freschezza. Il sorso è pieno e burroso, di estrema finezza ed eleganza. Il finale è lunghissimo. Un vino bianco francese che si sposa perfettamente con l’uovo pochè, accompagnato da asparagi alla griglia.

LA VINIFICAZIONE
Come anticipato, Chardonnay in purezza per il Chablis 1er Cru “Vaillons” coltivato dal Domaine Jean Collet & Fils con densità di impianto di circa 6 mila ceppi per ettaro e rese di 55 ettolitri per ettaro.

Dopo la pressatura viene effettuata una decantazione statica a freddo per eliminare le fecce più grandi prima della fermentazione in acciaio inox. Affinamento successivo in botti di rovere da 80hL per 10-12 mesi prima dell’imbottigliamento.

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Covid-19, “vittime” a lungo termine in Sud Africa: Cape Wine 2021 rimandato al 2022

La fiera triennale del vino sudafricano, CapeWine – South African Trade Show, in programma a Cape Town a settembre 2021, è stata rimandata al 5-7 ottobre 2022. Si tratta dell’ennesima “vittima” di Covid-19, tra le fiere del vino internazionale. L’epidemia, secondo di organizzatori di Wines of South Africa, “ha un impatto sulla pianificazione dell’evento, che di solito inizia 18 mesi prima della data stabilita”.

Il lockdown in corso in questi mesi ha avuto un impatto notevole sull’industria vinicola sudafricana, con le esportazioni vietate per un periodo di cinque settimane e le vendite di vino sul mercato interno riprese solo il 1° giugno, con l’ingresso del Paese africano nella “Fase 3”.

Le esportazioni risultano tuttora a rilento: il porto di Città del Capo fatica a far fronte alla domanda, secondo le autorità locali. “Ciò ha avuto un impatto enorme sul reddito di Wines of South Africa – evidenziano gli organizzatori – direttamente collegato alle esportazioni, e anche sulla situazione finanziaria di molti produttori”.

“La combinazione di questi due fattori, oltre a non essere in grado di garantire uno sponsor principale per l’evento, ha spinto la decisione di spostare indietro lo spettacolo di un anno”, riferiscono ancora dal Sud Africa.

Con così tanta incertezza sul futuro – commenta Siobhan Thompson, Ceo di Wines of South Africa Sudafrica – abbiamo preso la difficile decisione di spostare lo CapeWine al 2022. La pressione sulle nostre finanze e la mancanza di certezza internazionale sui viaggi a lungo termine, hanno reso impossibile pianificare l’evento in questo momento”.

“Sappiamo che CapeWine è un evento molto amato e vogliamo assicurarci che il prossimo sia più grande e il migliore si sempre. Con questi obiettivi ben saldi in mente – ha concluso Thompson- è ragionevole rimandare al 2022, quando speriamo di avere una visione più chiara del mercato del vino e un quadro più stabile delle risorse. Non vediamo l’ora di dare il bentornato al commercio internazionale del vino nei nostri splendidi vigneti”.

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Covid, Borgogna: momento d’oro etichette qualità prezzo. Prezzi Bordeaux giù del 30%

Sono le etichette dall’ottimo rapporto qualità prezzo a trainare le vendite dei vini della Borgogna, ai tempi del Covid-19. A sottolinearlo è Louis-Fabrice Latour, presidente del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (Bivb). A Bordeaux, altra zona di produzione dei grandi vini rossi francesi, si assiste invece a un calo del 30% del prezzo dei vini delle primeurs 2019, rispetto all’anno precedente.

“Fino ad ora – commenta Louis-Fabrice Latour – la Borgogna ha resistito all’urto di Covid-19 grazie all’eterogeneità dei suoi player, dei suoi vini e dei suoi mercati. In particolare, abbiamo riscontrato una maggiore domanda di vini con un buon rapporto qualità prezzo per Aoc Bourgogne, Mâcon, Bourgogne Aligoté, Crémant de Bourgogne e Villages. Ci aspettano tempi più difficili sino alla completa riapertura di hotel, enoteche e ristoranti”.

I risultati delle esportazioni del vino della Borgogna nel primo trimestre 2019 sono “buoni, dato il contesto globale, anche se il calo è più marcato di quanto suggeriscano i numeri”, avverte il Bureau. Dopo i primi due mesi del 2020 molto positivi, marzo è finito sull’altalena. I volumi sono diminuiti del 2,6% – aumentando, però, rispetto al 2018 – mentre il fatturato è calato dell’8,2%.

A subire il crollo più marcato sono le vendite negli Stati Uniti. Le esportazioni sono state fortemente influenzate dai dazi al 25% ad valorem sul vino francese, in particolare per le denominazioni più note e apprezzate: -11,6% in volume e ben -30,1% in valore.

Il Regno Unito, dopo un buon 2019, risulta di nuovo in calo: -14,1% in volume e -13,4% in valore.  Il Giappone, terzo mercato d’interesse dell’export per i vini della Borgogna, è la nota positiva: +16,3% in volume e +20,4% in valore. I prossimi mesi dovrebbero tendenzialmente confermare il trend, secondo le proiezioni del Bivb.

Non abbiamo ancora i dati per aprile, ma è certo che prevediamo un forte calo delle esportazioni – anticipa il presidente Louis-Fabrice Latour – alcuni mercati funzionano bene, soprattutto grazie al retail. Questo è particolarmente confermato in Gran Bretagna e negli shop dei monopoli canadesi e scandinavi. L’Asia è in controtendenza, anche se non abbiamo ancora recuperato la nostra velocità di crociera”.

Complicata anche la situazione sotto la Tour Eiffel. “La Borgogna – spiega il numero uno dell’Interprofessionnel des Vins de Bourgogne – è una delle zone vitivinicole francesi più strettamente legate al settore alberghiero e della ristorazione”.

In Francia, l’Horeca costituisce un pilastro e nel mondo rappresenta circa il 50% delle sue vendite. Per dimostrare la vicinanza al mondo della ristorazione, abbiamo deciso infatti che fino a quando non riapriranno, alcuni dei nostri vini rimarranno nelle nostre cantine”.

La grande distribuzione, come avviene del resto in Italia, non compensa le perdite causate dal lockdown. Un discorso che vale anche per l’online, ancora poco sviluppato in Francia. Curiosi anche i movimenti dei colossi di Bordeaux.

I prezzi dei vini en primeur della vendemmia 2019 risultano in calo a doppia cifra, come hanno confermato alcuni nomi prestigiosi: -31% per Pontet-Canet, -30% per Cheval Blanc, -16% per Lafite-Rothschild, -9% per Château Angélus.

Significative le dichiarazioni rilasciate al quotidiano online francese Vitisphere da Philippe Blanc, amministratore delegato di Château Beychevelle: “È indispensabile abbassare i prezzi per tenere a bada la situazione”.

Blanc va oltre, sottolineando come per i vini di Bordeaux non sia necessariamente la qualità della vendemmia a giocare il ruolo più importante nella determinazione del prezzo finale della bottiglia.

La vendemmia 2019 è un’annata molto bella per Bordeaux, ma non è questo il criterio più correlato al prezzo di un grande vino, bensì la sua sostenibilità: i clienti professionali devono poterlo vendere e guadagnandosi da vivere e i consumatori devono trovare qualità nel proprio bicchiere, commisurata a quanto hanno pagato”.

La “regola empirica” dell’ad Philippe Blanc e di Château Beychevelle la dice lunga: “Il prezzo premium è sempre il prezzo più economico dei nostri vini. Ma è importante per tutti, a Bordeaux, che nell’arco del prossimo anno i prezzi tornino a salire. Questo è fondamentale, altrimenti non ha più senso“. Ipse dixit.

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Francia: distillazione per 200 milioni di litri di vino, Champagne compreso

Via libera alla distillazione del vino in Francia, Champagne compreso: 200 milioni di litri invenduti diventeranno gel disinfettante o bioetanolo. Un’operazione che sta comunque generando polemiche, con i distillatori che chiedono pagamenti in tempi stretti da parte di FranceAgriMer, il Ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione francese. Denaro da girare poi ai viticoltori. Ma gli aiuti del governo, secondo rumors, non arriveranno prima della metà di ottobre 2020.

Significative, in particolare, le conseguenze di Covid-19 per il mondo dello Champagne. Le prospettive economiche vengono definite “estremamente degradate per l’anno 2020”, con un calo dei volumi dell’export stimato in circa 100 milioni di bottiglie e una possibile perdita di oltre 1,7 miliardi di euro di fatturato per le aziende. Nel 2019 sono state esportate 297 milioni di bottiglie, per la cifra record di 5,05 miliardi di euro.

“È molto probabile che questa crisi avrà effetti sullo Champagne per diversi anni – denuncia il Bureau – e per questo la situazione richiede l’adozione di misure eccezionali per preservare il tessuto economico di un’industria d’eccellenza francese che non può essere esternalizzata, che rappresenta 30 mila posti di lavoro e fino a 120 mila posti di lavoro stagionali durante la vendemmia, eseguita esclusivamente a mano”.

Tra le misure eccezionali, proprio la distillazione. “Un intervento finanziato dall’Unione Europea – commenta Coldiretti – per fronteggiare da un lato la carenza di alcool e dall’altro la profonda crisi del vino che ha toccato anche la Francia, con vendite praticamente dimezzate durante il lockdown per il Coronavirus“.

Se i viticoltori francesi potranno destinare alla distillazione sia vini comuni che quelli per le denominazioni di origine come lo Champagne, in Italia il provvedimento riguarda solo i vini comuni e viene accompagnato da interventi previsti dal Dl rilancio, come la vendemmia verde.

“Interventi importanti – denuncia la Coldiretti – sui quali si registra un pesante ritardo nell’attuazione a quasi due mesi dall’inizio della vendemmia quando sarà necessario aver già liberato posto per il vino nuovo nelle cantine”.

Quasi 4 cantine italiane su 10 (39%) registrano un deciso calo dell’attività con un pericoloso allarme liquidità che mette a rischio il futuro del vino italiano dal quale nascono opportunità di occupazione per 1,3 milioni di persone, dalla vigna al bicchiere secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’.

“A pesare – sottolinea la Coldiretti – è stata la chiusura forzata della ristorazione avvenuta in Italia e all’estero con un forte calo delle esportazioni dopo il record di 6,4 miliardi di euro nel 2019, il massimo di sempre, pari al 58% del fatturato totale. Ad essere colpita è stata soprattutto la vendita di vini di alta qualità che trova un mercato privilegiato di sbocco in alberghi e ristoranti in tutto il mondo”.

In questo contesto, dopo le sollecitazioni della Coldiretti va rilevato il recente ’impegno assunto dal commissario Europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski in una riunione dei coordinatori dei gruppi politici della Commissione agricoltura dell’Europarlamento per mettere a punto misure di emergenza supplementari per i produttori di vino.

L’Italia con 46 milioni di ettolitri si classifica davanti la Francia come il principale produttore mondiale con circa il 70% della produzione destinato a vini Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) e il restante 30% per i vini da tavola.

Sul territorio nazionale ci sono 567 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità su cui può contare l’Italia che vanta lungo tutta la Penisola la possibilità di offrire vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria.

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Juhfark, il vitigno vulcanico dell’Ungheria: degustazione di 26 etichette con punteggi

Se c’è un vino e vitigno dell’Ungheria pressoché sconosciuto, quello è lo Juhfark. La traduzione letterale, dalla complicata lingua ungherese, aiuta a comprendere solo le caratteristiche del grappolo, a forma di “Coda di pecora“: “juh” significa “pecora” e “fark” – contrazione di “farok” – è appunto la “coda”.

Lo Juhfark, finito sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it attraverso una rara degustazione di 26 etichette, trova la sua zona più vocata nei terreni vulcanici di Nagy-Somló. Siamo nella parte nord occidentale dell’Ungheria,  su un’area di appena 768 ettari.

Un numero che tiene conto dei 326 ettari della “sottozona” di Somló, la denominazione più piccola del Paese (Tokaij, per restare in Ungheria, conta ben 5.100 ettari). Gli sconfinamenti dello Juhafark a est, nell’Etyek-Buda, regalano vini con caratteristiche meno interessanti.

All’analisi del calice, lo Juhfark colpisce per l’eccezionale capacità di farsi portavoce del terroir vulcanico di Somló. Una carta unica a disposizione di questo autoctono ungherese, per imporsi sempre più nel panorama internazionale.

Oltre alle caratteristiche pedologiche e microclimatiche, il “Coda di Pecora” risente molto dell’andamento meteorologico dell’annata. Al netto delle scelte dei singoli viticoltori, non è difficile trovare – una accanto all’altra -etichette diverse tra loro, a partire da una percentuale d’alcol in volume che può variare dai 10,5 ai 15%.

Lo Juhfark si prende tutto il tempo necessario per esprimere al meglio le peculiarità del terreno vulcanico. Lo fa in vigna, germogliando precocemente, ma maturando relativamente tardi. E lo fa in bottiglia, regalando vini capaci di diventare sempre più complessi col passare degli anni, più che mai degni dei lunghi affinamenti.

Pgi Dunántúli Juhfark 2019, Szent István Korona (11,5%): 82/100
Giallo paglierino limpido, luminoso. Al naso fiori bianchi e frutta matura, esotica: pesca gialla, banana. Un tocco minerale, ma è il frutto il vero marcatore. In bocca buona corrispondenza. Ingresso morbido e allungo fresco, ma soprattutto salino. Poi torna la frutta. Un vino dignitoso per il prezzo contenuto, tuttavia non del tutto capace di esprimere al meglio le caratteristiche uniche della varietà. 82/100

Etyek-Budai Pdo Juhfark 2018, Szent István Korona (11%): 80/100
Bel giallo paglierino. Naso meno esplosivo del precedente. Oltre alla frutta, un tocco vegetale e una percezione iodica, minerale, più in evidenza rispetto all’altro campione della stessa cantina. In bocca il vino risulta però squilibrato sulla salinità, in mancanza del frutto. Un nettare pensato per un consumo che non vada oltre all’anno successivo alla vendemmia.

Nagy-Somlói Juhfark 2017, Kreinbacher (12,5%): 87/100
Bel giallo paglierino, riflessi dorati. Naso ampio, elegante. Fiori bianchi e frutta esotica matura, ananas, papaja, polpa di mandarino. Ma anche una parte minerale importante (pietra bagnata) con rintocchi di buccia d’arancio e un leggero apporto di spezia. In bocca il vino presenta una certa struttura e complessità.

L’ingresso è sul frutto e sul sale, pronti ad allargare la platea a una freschezza dilagante, che anticipa una chiusura minerale. Sorso molto invitante ed equilibrato, tra i ritorni di frutta esotica matura e lo iodio. Un vino con potenziale ulteriore di affinamento in bottiglia.

Somlói Juhfark Selection 2017, Kreinbacher (13%): 89/100
Alla vista giallo paglierino con riflessi dorati e una densità maggiore rispetto al precedente. Al naso una mineralità ancora più accennata (iodio, pietra focaia) accostata a un frutto di gran precisione: pesca gialla, albicocca. Una componente fruttata che fa perfettamente da spalla alla matrice vulcanica del nettare.

Il sorso rispecchia le anticipazioni olfattive: a una gran mineralità risponde un frutto pieno, materico. Durezze e morbidezze risultano in grande equilibrio, in un gioco prezioso ai fini dell’abbinamento a tavola. Purché si faccia grande attenzione al finale, con la chiusura assoluta di sipario su un agrume tendenzialmente amaricante.

Nagy-Somlói Juhfark 2015, Kancellár birtok (13,5%): 88/100
Bel giallo dorato. Naso timido ma prezioso, pronto ad esprimersi grazie all’ossigenazione. Ancora una volta mineralità in gran evidenza e una componente di frutta esotica, pienamente matura. La parte minerale si fa polvere da sparo, su note di fiori gialli, pesca a polpa gialla e melone.

Leggera percezione alcolica sin dal naso, che poi si tramuta in una “potente” avvolgenza al palato. In bocca il nettare entra morbido e poi si irrigidisce sulla freschezza e la sapidità, in un sorso che guadagna – rispetto al naso – le note agrumate. Buona gastronomicità. Vino che si trasforma nelle ore successive all’apertura, migliorando ancora.

Nagy-Somlói Juhfark Selection 2017, Csordás Fodor Pincészet (12%): 87/100
Giallo paglierino luminoso. Frutta matura, esotica. Accenno aromatico che ricorda il litchi del Gewurztraminer. Albicocca sotto sciroppo, ananas. Si concede con semplicità, su queste note, unite a una vena minerale.

Al palato tornano le note mature, ma con una spinta salina e fresca capace di riequilibrarle. Vino che chiude su una nota vagamente amarognola e speziata, accostata a una buona freschezza. Persistenza sufficiente.

Nagy-Somlói Prémium Juhfark 2019, Tornai Pincészet (13%): 90/100
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Gran precisione e intensità del frutto, pesca a polpa bianca e gialla, richiami esotici perfettamente maturi, mentuccia freschissima e ricordi (vaghi) di liquirizia. Più lo lasci nel calice più si apre, splendidamente. Note di limone, agrumi, verbena. Fiori di glicine e un accento speziato.

In bocca mostra invece tutta la sua gioventù, su una freschezza dirompente, tirata come una corda di violino su note (rieccole qui) di agrumi e limone. Accentuata anche la vena minerale e salina, preponderante. Un’etichetta bambina, pronta a esplodere e diventare grande, longeva, di carattere. Tipica.

Nagy-Somlói Juhfark 2018, Csetvei Pincészet (11%): 85/100
Giallo paglierino. Vino piuttosto esile, connotato da una beva agilissima. Ha bisogno di aprirsi per raccontare la vena minerale, che domina il frutto. Pesca e ricordi di pera matura. Poi accenti d’agrume e di fiori, un tocco di cipria. Corpo leggero, sulla scorta dei pochi gradi. Solo note agrumate e un allungo salino. Chiude leggermente astringente.

Nagy-Somlói Juhfark 2017, Csetvei Pincészet (12%): 88/100
Giallo paglierino. Naso intenso, su fiori freschi bianchi, mineralità particolarmente accentuata, assieme a una vena talcata e agrumata e a ricordi di foglie di te grigio. Perfetta corrispondenza col palato. Struttura non particolarmente esibita, ma una certa eleganza al sorso.

La venatura minerale fa da spina dorsale assieme alla freschezza, prima di una chiusura fruttata, agrumata e in grado di riflettere la matrice vulcanica del terreno, con la pietra focaia. Un giovanotto, cui farà benissimo qualche anno di evoluzione.

Nagy-Somlói Juhfark 2017, Szalai Antal Pince (13,5%): 89/100
Giallo paglierino tendente al bianco carta. Naso timido all’inizio, si apre poi su note di fiori freschi, frutta esotica matura, zucchero filato, mentuccia e mineralità tipica del vulcano. Un accento speziato arriva con l’ossigenazione, in un olfatto che guadagna precise note agrumate.

In bocca gran pienezza e buona struttura, sorso fresco e largo al contempo. Pure salino. Non manca nulla, insomma. Persistenza molto più che sufficiente, per un vino che mostra un’ottima gastronomicità, giocata sull’equilibrio tra durezze e morbidezze.

Nagy-Somlói Juhfark 2017, Apátsági Pince (11%): 93/100
Giallo dorato. Gran naso, largo, frutta esotica matura, al limite del candito, agrumi, ananas in grandissima evidenza, fiori di campo, tra il secco e il fresco. Non manca la venatura minerale, vulcanica. Al palato è morbido e al contempo teso, in un gioco d’equilibrio che invoglia la beva. Esempio fulgido delle punte di qualità raggiungibili dal vitigno.

Juhfark 2018, Tornai Pincészet (11,5%): 87/100
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Frutto in evidenza al naso, di perfetta maturità: pesca a polpa bianca, esotico, nespola, un tocco d’agrume, fiori bianchi freschi. La mineralità c’è, ma è più in evidenza al palato. Salinità su cui gioca un frutto elegante, prima di una chiusura tra la mandorla e l’agrume. Vino lineare, piuttosto semplice ma molto ben realizzato e rispettoso del vitigno.

Juhfark 2018, Canter Borház (10,5%): 84/100
Giallo dorato. Naso particolarmente intenso, su note di agrumi canditi, zenzero, erbe di campo, filtro di camomilla. La nota vulcanica è a metà tra la polvere da sparo e lo iodio e fa da compagna a una vena ossidativa. La nota erbacea, sulla buccia d’agrume, invece, è la prima che si ripresenta anche al palato.

Il sorso è leggero e leggiadro, ben equilibrato tra salinità e un frutto di bella presenza, giocato tra gli agrumi e la nota principale di ritorno, quella della camomilla (riecco l’ossidazione). Complessità non eccelsa del retro olfattivo, che piuttosto sorprende per la lunghezza e la freschezza, con una chiusura di sipario leggermente speziata.

Juhfark 2018, Zsirai Pincészet (12,5%): 89/100
Giallo paglierino. Il naso, riconoscibile tra mille, dello Juhafark di Somló: sbuffi talcati e minerali sul frutto pieno, maturo, a polpa bianca (pesca). La nota erbacea (stecco di liquirizia) a fare da contorno, impreziosendo un quadro già di per sé ammaliante.

Il tocco del legno vira sulla vaniglia bourbon e sulla leggera caramella mou, ad amalgamare e incomplessire. Il sorso è pieno, rotondo, morbido, col legno qui ancor più in evidenza, pur senza rischiare di soffocare il varietale. Uno Juhfark con le radici ben salde a Somlo e l’occhio strizzato all’internazionalità. Interessante in prospettiva.

Juhfark 2018, Kis Tamás Somlói Vándor Pince (12%): 92/100
Giallo paglierino, riflessi dorati. Frutta piena (pesca a polpa bianca, agrumi), giustamente matura, tocco di legno (mou, un tocco prezioso di fumè). Al palato – in ingresso – una gran pienezza, avvolgenza, senza rinunciare alla tipica verticalità e salinità dei vini di Somló, che vien fuori nel centro bocca e accompagna fino alla chiusura, lunghissima.

Materia, polpa. Poi il sale. Un altro vino di gran carattere e gastronomicità, che sfodera una struttura e un “peso” non comune, al palato. La chiusura è elegante, sapida, fresca, con un tocco fumè che invita al sorso successivo. Giovane, già ottimo, ma perfetto per una lunga conservazione. Ancora un esempio di tipicità e internazionalità coniugate divinamente.

Juhfark 2018 Teraszok, Kis Tamás Somlói Vándor Pince (11%): 90/100
Sorprende la pesantezza della bottiglia, in contrapposizione – a livello puramente estetico e concettuale – alla “leggerezza” della percentuale d’alcol in volume (appena 11%). Colore giallo paglierino con bei riflessi dorati.

Al naso complesso, col frutto sotto la coltre di un fumè spinto, di una roccia vulcanica e di richiami agrumati ed erbacei, uniti a rintocchi freschi, talcati. Non manca l’apporto del legno: mou, vaniglia bourbon. Il sorso è teso in ingresso, fresco e salino, prima di allargarsi sul frutto in centro bocca.

Torna poi nuovamente su un invitante venatura di iodio finale, arrotondata dal legno. Vino che rivela la sua estrema gioventù soprattutto nel retrolfattivo, su note di pietra bagnata, fumè e, nuovamente, vaniglia bourbon. Un nettare da aspettare, non certo nella sua fase di piena compiutezza.

Juhfark 2018, Apátsági Pince: 94/100
Colore bellissimo, un giallo paglierino pieno, con intensi riflessi dorati. Naso straordinariamente espressivo. Il frutto è pieno, di gran maturità, polposo. Pesca gialla più che bianca, esotico che ricorda la papaja e l’ananas, un accento di zenzero candito e di fico maturo.

Tocco del legno evidente, così come evidenti sono (ancor più) i richiami floreali freschi e quelli di buccia d’agrume, per una componente “verde” che incomplessisce il quadro (verbena, liquirizia, zenzero).

Al palato la consueta pienezza ed espressività di uno Juhfark unico: alla morbidezza delle note fruttate mature (ancora una volta esotico, agrume) abbina una freschezza dirompente, con le durezze tipiche dei vini vulcanici a fare loro da spina dorsale. Da bere oggi e conservare in cantina per un futuro luminoso.

Dunántúli Juhfark 2019, Törley  (11%): 82/100
Giallo paglierino acceso. Bel giallo paglierino. Naso ampio, fruttato, agrumato, tocco talcato, vegetale con nuance da macchia mediterranea. In bocca più verticale del previsto, tutto giocato sugli agrumi. Un vino semplice, corretto, ben fatto.

Grófi Juhfark 2017 “Top Selection”, Tornai Pincészet (15%): 93/100
Qui lo Juhafark perde un po’ della sua proverbiale leggerezza e mineralità, per diventare grazie all’apporto del legno un vino di struttura (senza rinunciare all’eleganza), capace di accompagnare anche piatti importanti, a base di carne. Alla vista si presenta di un giallo dorato invitante, luminosissimo.

Idrocarburo netto al naso, assieme alla mentuccia elle note di frutta secca. Seguono a ruota accenni di macchia mediterranea, finocchietto, anice, in un sottofondo conferito dal legno: si vira dunque sul fondo di caffè e la caramellina mou.

Ingresso di bocca fruttato, sulla pesca disidratata. Sul pentagramma, tra la chiave di violino e l’ultima nota, una freschezza dirompente, giocata su note di mandorla amara, agrumi, frutta esotica (albicocca, papaja, ananas) accenti iodici caratteristici della zona e vaniglia.

Vino come pochi altri di caratura internazionale, dotato di gastronomicità assoluta, tenendo però conto della chiusura sulla mandorla amara. Un nettare peraltro ancora giovane, all’inizio di un lungo percorso.

Somló Juhfark 2017 Barrel Selection, Barcza Bálint (13,5%): 92/100
Solo 1.333 bottiglie per questa etichetta di vino naturale ungherese. Giallo paglierino pieno, di buona luminosità. Naso che si stacca completamente da molti altri assaggi, con i suoi ricordi di pera, pesca bianca matura e mentuccia.

L’apporto del legno è evidente, ma non disturba il varietale. Anzi, lo impreziosisce e incomplessisce. In bocca una freschezza straordinaria, ben bilanciata dalle note fruttate. Ben chiara e scandita anche la vena minerale, che assieme all’acidità costituisce la spina dorsale dell’etichetta.

La frutta matura e la vena glicerica si scoprono non solo ben integrate, ma anche necessarie a sostenere mineralità e freschezza. La precisione del sorso è esemplare, soprattutto per concentrazione del frutto ed equilibrio con le durezze. Un vino naturale coi fiocchi, tra i migliori assaggi assoluti della vendemmia 2017.

Nagy Somlói Juhfark 2017, Spiegelberg (12,5%): 90/100
Giallo dorato pieno. Naso lineare, pulito, frutta matura tipica del vitigno e venatura minerale, su note di zenzero candito. Non mancano gli agrumi e un ricordo di vaniglia, molto delicato. Molto più netto lo “spirito” del vulcano, sulla polvere da sparo.

Il sorso è elegante, verticale, sapido e preciso, pur senza rinunciare a una certa “materia” e “polposità”, nella componente fruttata. Chiusura altrettanto precisa ed equilibrata. Vino che non primeggia in complessità, ma che può dare immense soddisfazioni a tavola e nell’ulteriore affinamento in bottiglia: il tempo non potrà che fargli bene.

Juhfark 2011, Royal Somló Vineyards (Prolingo Bt): 92/100
Bel giallo dorato, luminoso. Naso fresco e iodico, con componente frutatta perfettamente matura. Venatura mentolata e talcata, netta. Vino che ha bisogno di tempo per aprirsi, su note che virano anche su una speziatura delicata (pepe bianco, cumino). Non manca una componente vegetale, sulla verbena e l’alloro, ma anche sulla radice di liquirizia.

Netto il ricordo della cera d’api, che sarà poi presente nel retro olfattivo. In bocca svela una freschezza dirompente, riequilibrata da note mielose e di frutta matura. Componente “dura” costituita anche da una salinità ben scandita, che marca il territorio di appartenenza del nettare. In chiusura riecco la nota mielata. Quasi 10 anni e non sentirli: bingo.

Juhfark bio 2016, Dobosi (13,5%): 89/100
Bel giallo paglierino, riflessi dorati. Al naso camomilla, scorza d’agrumi, pesca bianca molto matura. Il tutto ammantato da un bella vena iodica (molto diversa da quella di Somlo). Ingresso verticale e sapido, strepitosamente affilato, col sorso che piano piano si allarga sulla frutta matura, pur conservando la vena salina. Chiusura sull’agrume, piacevole, lunga. Bel vino con una sua linearità, ancora più che mai in piedi e in grado di regalare emozioni. 90/100

24) Juhfark bio 2017, Dobosi (13,5%): 90/100
Bel giallo paglierino carico, riflessi dorati. Naso più timido del precedente, ma molto elegante e preciso. Frutta matura più in vista del precedente, più matura. Siamo sulla pesca, netta. Non manca l’agrume, in scorza, oltre a una punta di spezia bianca, leggerissima. In bocca la frutta si trova a battersi con sale, l’agrume amaro e una percezione dell’alcol non perfettamente integrata. Bella freschezza. Vino certamente non seduto, un puledro da allungo. 91/100

25) Juhfark bio 2018, Dobosi (14%): 88/100
Giallo dorato luminoso. Bel frutto maturo, pieno, molto preciso, che tende al sovramaturo. Palato pieno, rotondo, ravvivato da una bella freschezza. Accenno di tostatura al naso, di frutta secca, che poi si troverà anche al palato. Vino che rispetto agli altri ha una marcia in meno, in termini di allungo, pienezza e, forse, capacità di raccontarsi nel tempo, in futuro.

26) Juhfark bio 2019, Dobosi (13,5%): 89/100 (anteprima / preview)
Il giovanotto. Giallo paglierino non particolarmente carico, ma limpido e luminoso. Frutta perfettamente matura, pesca, albicocca, fiori freschi, nota talcata. Sorso tutto giocato sul frutto e sulla freschezza, che si scapigliano a vicenda, ricordando a tutti quanto bene farebbe aspettare ancora un po’ per godersi il nettare. Invitante la chiusura, ancora una volta sulla buccia agrume e su un accenno di spezia bianca, oltre all’accenno salino. Aspettami che arrivo.

*photo credits dei paesaggi: Somlo Wine Shop, dove sono reperibili gran parte delle etichette degustate

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Canterbury “tales” 2.0. Giudici Biwa contro Luca Gardini: “Dacci i nostri 4 mila euro”

Geoffrey Chaucer 2.0: ovvero come si passa dalle “tales”, alla brutta figura via social. In un post pubblicato ieri su Instragram, la Master of Wine americana Christy Canterbury denuncia di non aver ancora ricevuto, assieme al resto dei giudici internazionali, il compenso di 4 mila euro per aver preso parte al Comitato tecnico di Biwa – Best Italian Wine Awards, nell’estate 2019. Taggandosi a Milano, dove è stata stilata la classifica dei 50 migliori vini italiani dell’anno, Canterbury si rivolge in particolare a Luca Gardini, ideatore del premio.

Ciao, @gardiniluca! We are wondering when you or your business partner will pay us for last summer’s work @biwawards. We have waited 10 months. We international judges (@timatkinmw @spanishwinelover @kenichi_ohashi @yang.lu_ms) will miss #BIWA this year & wish the best to all Italian wine producers recovering from the difficult start to 2020″, recita il post Instagram della Master americana.

I colleghi giudici citati da Canterbury sono Kenichi Ohashi, unico Master of Wine giapponese, la giornalista spagnola Amaya Cervera, il Mw britannico Tim Atkin e il master sommelier cinese Yang Lu.

Nei commenti al post, è Cervera a rincarare la dose: “These are difficult times but our work was completed on September last year, long before the crisis broke” (“Sono tempi difficili, ma il nostro lavoro è stato completato a settembre dello scorso anno, molto prima dell’inizio della crisi” – ndr Coronavirus).

Sul piatto ci sarebbe un cachet di 4 mila euro, più volte richiesto a Luca Gardini dal team di esperti internazionali. Lo confermerebbe il commento di Tim Atkin: “We were promised by Luca that we would be paid promptly. So we’ve been waiting for ten months. For € 4000, which is a lot of money. Especially now” (“Luca ci ha promesso che ci avrebbe pagato tempestivamente. Abbiamo invece atteso 10 mesi. Per 4 mila euro, che sono un sacco di soldi. Specialmente oggi”).

Un gesto esemplare ed estremo, quello della denuncia social, che Atkin giustifica così: “We were left with no choice. We’ve been sending emails for month. In the end, calling people out publicly is the best way to make your point“. In sintesi, dopo mesi di email senza risposta, il gruppo di giudici ha deciso di lavare i panni sporchi in piazza. Pubblicamente.

La classifica Biwa è nata nel 2012 da un’idea di Luca Gardini e Andrea Grignaffini. Si legge sul sito web dell’evento che “negli anni ha saputo dare grande visibilità alle eccellenze vinicole del Paese sul panorama internazionale, approdando anche a Città del Messico, Londra, Hong Kong e Bordeaux”. Da ieri, prepotentemente, anche su Instagram.

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Follia in Sudafrica: da 7 settimane vietato consumo, produzione ed export di vino

Tra le misure del lockdown pensate per arginare Coronavirus, il governo del Sudafrica ha inserito il divieto di consumo, produzione ed export di vino. L’industria vitivinicola del Paese africano, già provata dal blocco della vendemmia revocato nel giro di 48 ore, è messa in ginocchio da un provvedimento che dura ormai da 7 settimane. Dovevano essere tre, stando ai primi proclami di Pretoria.

Secondo le stime dell’organizzazione locale Vinpro, un numero compreso tra 60 e 80 cantine – per la maggior parte a conduzione famigliare – rischiano la chiusura. Quattordicimila le persone che potrebbero perdere il lavoro. Una follia “proibizionista” che coinvolge grandi e piccole aziende del Sudafrica, Paese che esporta annualmente il 50% del vino prodotto.

Le misure del governo alimentano peraltro il contrabbando di alcolici in Sudafrica. E il blocco dell’export, oltre a costituire un unicum tra le misure messe in campo per contrastare Coronavirus a livello internazionale, fa perdere ai produttori gli spazi sugli scaffali delle distribuzioni internazionali, in favore di altri Paesi. Difficoltà che si riverberano anche sugli importatori italiani.

È il caso di Fabio Albani (nella foto) che dal quartier generale di Muggiò, a pochi chilometri da Milano, vende ogni anno in Italia circa 75 mila bottiglie di vino sudafricano. Una passione, quella per il Sudafrica, nata da una semplice vacanza, nel 2003. Afri Wines e l’e-commerce ViniSudafrica.it vengono fondati 6 anni più tardi, nel 2009.

Trenta aziende a catalogo, per un totale di oltre 200 etichette, destinate principalmente all’Horeca. “Le misure messe in atto dal Governo in Sudafrica – commenta Albani a WineMag.it – segnano non poco anche il nostro business e ci fanno rimanere con gli occhi aperti, aspettando che la situazione migliori”.

Se il blocco totale delle attività lavorative, in una fase cruciale per la vendemmia in Sudafrica come il mese di marzo, si è protratto solo per 2 giorni, dura invece da 7 settimane il divieto per le aziende di imbottigliare ed esportare le nuove annate, proprio quando sarebbe stata ora di presentarle.

Tutto è legato al fatto che l’ente certificatore dei vini del Sudafrica, Sawis, è chiuso e dunque i vini non possono essere sottoposti ai controlli previsti dalle normative internazionali in materia di origine, salubrità e analisi organolettica”.

 

La situazione, per Fabio Albani, è surreale. “Stiamo cercando di capire quanta merce è disponibile – spiega l’importatore a WineMag.it – per chiudere l’ordine di un container. Le vendite perdute ammontano a circa 5-6 mila bottiglie. Alla situazione in Sudafrica si è infatti aggiunta quella in Italia, con un ordine rimasto bloccato un mese al porto di Genova per carenza di personale deputato ai controlli, dirottato su altri tipologie di merce”.

Nel mese di aprile, Albani ha registrato gli stessi volumi degli anni scorsi. “Il fatto di esserci strutturati sin dagli albori con un e-commerce – spiega l’importatore – ci sta aiutando non poco, nonostante l’Horeca sia ferma. Stiamo anzi assistendo a un exploit in termini di valore, data la marginalità superiore che ha l’online”.

Il timore è che il Governo di Pretoria non faccia presto marcia indietro. “L’autunno in Sudafrica è ormai arrivato – conclude Fabio Albani – e secondo i virologi il freddo favorisce la proliferazione di Coronavirus. La curva dei contagi, di fatto, si sta pericolosamente alzando”. Meglio affrettarsi, dunque, per assaggiare un vino sudafricano.

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ProWine China 2020, preparativi a pieno ritmo a Shanghai: “Sarà un successo”

Sono in pieno svolgimento i preparativi per ProWine China 2020, che andrà in scena a Shanghai dal 10 al 12 novembre 2020. L’ottava edizione della fiera si terrà presso il New International Expo Center (SNIEC) di Shanghai, parallelamente al Food & Hotel China (FHC). “Al momento tutto fa pensare che ProWine China sarà ben accolta dal settore e che riscuoterà successo”, assicurano gli organizzatori tedeschi.

La ProWine China, seguendo l’esempio della più sorella maggiore ProWein Düsseldorf, offre un panorama dell’offerta internazionale di vini e spirits di alto livello. Sono attesi oltre 800 produttori vinicoli e fornitori di bevande alcoliche da tutto il mondo.

Inoltre la Japan Sake e la Shochu Makers Association, la Korea Traditional Liquor Association, la Korea Winery Association e la Development Agency of Serbia hanno confermato la loro partecipazione con uno stand collettivo.

Quest’anno saranno presenti allo stand di UP-Chinese Wine numerosi produttori delle regioni vinicole della Cina e sono inoltre attese ulteriori registrazioni di partecipazioni collettive. Ad oggi si contano più adesioni rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Fino alla fine di maggio, ProWine China offrire a tutti gli espositori interessati un prezzo di partecipazione speciale. Non solo una fiera per espositori ed addetti del settore. ProWine China, durante i tre giorni della manifestazione, concede a tutti i visitatori molte opportunità di scambio di esperienze e percorsi di formazione.

Tramite corsi di perfezionamento, seminari e degustazioni i 20 mila visitatori previsti riceveranno uno spaccato sulle mutevoli esigenze poste dal settore del vino e degli spirits.

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I tedeschi si bevono la Germania: vendite di vino locale in crescita nel 2020

Nel primo trimestre del 2020, i tedeschi si sono sempre più affidati ai vini prodotti in Germania. Le vendite di vini tedeschi sono aumentate del 4% e il fatturato del 2% rispetto allo stesso trimestre del 2019. Lo rivela un’indagine dell’istituto Nielsen, commissionato dal German Wine Institute (Dwi) per monitorare i consumi di vino in Germania.

Le restrizioni legate a Coronavirus, nel solo mese di marzo, hanno contribuito a un aumento di circa il 9,5% in in volume e valore, rispetto allo scorso anno. Il prezzo medio dei vini stranieri è risultato di 3,48 euro al litro, con una flessione dell’1% rispetto allo stesso trimestre del 2019. La cifra sale a 3,64 euro al litro per i vini delle regioni tedesche, in questo caso in flessione del 2%.

L’indagine trimestrale sull’industria vinicola tedesca, condotta dall’Università Geisenheim su un campione di 844 aziende di varie dimensioni, ha dimostrato che durante il lockdown da Coronavirus le vendite di vino sono passate dall’Horeca alla Grande distribuzione organizzata (Gdo).

Rispetto all’anno precedente, le cantine che operano al di fuori del circuito dei supermercati hanno perso il 50% delle vendite nella ristorazione e il 23% nel sistema delle enoteche. La portata globale della crisi ha condizionato anche le esportazioni di vino, diminuite del 33% in Germania.

Al contempo, le vendite online sono balzate al +42%, pur compensando solo una piccola parte delle perdite.

“A causa delle continue restrizioni alla vita pubblica di aprile e maggio – evidenzia il German Wine Institute – si prevede che le cantine e le cooperative subiranno perdite significativamente più elevate, mentre i produttori più grandi dovrebbero continuare a beneficiare della crescita nella Grande distribuzione”.

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Wine Bond: Tibor Gál Jr è tra i primi a lanciarli in Europa da Eger, in Ungheria

Bond. Wine Bond. Poco o nulla in comune col più famoso James – il personaggio nato dall’immaginazione di Ian Fleming e divenuto un cult internazionale – se non la capacità di rendere possibile un’impresa. Nello specifico, i Wine Bond consentono a chiunque di investire denaro in una cantina, vedendo crescere un tasso di interesse riscattabile in bottiglie di vino, tour guidati o degustazioni. Tra i primi a crederci in Europa, per l’esattezza in Ungheria, è Tibor Gál Jr, figlio del noto enologo magiaro che ha affiancato gli Antinori nella creazione del mito dell’Ornellaia.

Così come ha fatto il padre, nella Toscana anni Novanta, Gál Junior sta provando a illuminare la strada a tanti colleghi costretti a fare i conti con il lockdown da Coronavirus. Riadattando in chiave “enologica” il sistema dei Dining Bond, vero e proprio fenomeno negli Usa, scelto da molti ristoranti anche in Italia, negli ultimi mesi.

La cantina di Eger mette a disposizione tre diversi pacchetti con la formula dei Wine Bond. Fino al 31 maggio, per esempio, con 100 mila fiorini ungheresi (282,09 euro) è possibile acquistare un “bond” a un tasso di interesse di 20 mila fiorini per un anno (56,42 euro) e di 50 mila fiorini per 2 anni (141,04 euro).

Una volta scaduto, il “buono” può essere utilizzato per una cena per due persone al Gál Tibor Fúzió, il ristorante e winebar aperto nel centro della cittadina famosa per la produzione dell’Egri Bikavér, il “Sangue di toro” di Eger. Il denaro maturato dall’acquisto del wine bond può essere riscattato anche in vino, comprese le vecchie annate.

“Riteniamo che questo non sia solo un buon investimento per i clienti – commenta Tibor Gál a WineMag.it – ma anche un serio contributo alla conservazione di una cantina che può vantare 27 annate alle proprie spalle”.

“Come è ormai chiaro a molti –  precisa il vignaiolo ungherese – stiamo attraversando una strada sconnessa e la vendemmia 2020 promette di essere una grande sfida. A causa del Coronavirus, tutti i nostri canali di vendita, ovvero ristoranti, enoteche e wine bar, sono stati chiusi”.

Ma la vita in vigna non si è fermata. È arrivata la primavera, le viti si sono risvegliate e abbiamo i germogli. Per portare a termine l’annata 2020, i lavoratori devono essere pagati. Abbiamo bisogno di risorse per finanziare il lavoro e raccogliere il futuro, superando questo periodo di transizione”.

“Con questo spirito – conclude Gál – abbiamo dato vita ai Tibor Gál Wine Bond: una sorta di prefinanziamento per un servizio futuro. Un ‘buono’, da redimere in vino o nell’esperienza diretta nella nostra cantina di Eger”. Qualcosa di unico in Europa, che anche l’Italia prova a imitare.

A fine aprile, infatti, la Strada del Sagrantino ha dato vita alla “Sagrantino Experience – Holidaybond“. Lo scopo è quello di promuovere cantine, aziende agricole, frantoi, alberghi e ristoranti associati, in cui sarà possibile recarsi al termine dell’emergenza Covid-19. La gift-card è acquistabile fino al 31 agosto 2020 sul sito web delle aziende aderenti (elenco completo sul portale della Strada) e sarà spendibile entro un anno.

“Ci siamo domandati a lungo come sarà il futuro per il nostro comparto agricolo e turistico e quali sono le modalità con cui potremo tornare a parlare di enoturismo – spiega Serena Marinelli, presidente della Strada del Sagrantino – e non avendo una risposta immediata e plausibile crediamo sia importante continuare a dare segnali positivi e attivi, per prospettare una ripresa”.

“L’Umbria è una regione ricca di emozioni, fatta di piccoli borghi caratteristici e di eccellenze agroalimentari – aggiunge Marinelli – ideali per un turismo lento, di qualità e non di massa, attento alla natura. Nelle prossime fasi quando, con le dovute cautele, si cercherà di dare spazio a un turismo di prossimità, vogliamo far conoscere sì al turista lontano, ma oggi ancor di più al turista vicino, all’umbro il nostro distretto del buon vivere”.

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Close the Glass Loop: industria del vino e del vetro alleate per la sostenibilità

Il settore vitivinicolo collaborerà con i produttori di bottiglie di vetro per raccogliere il 90% di tutti gli imballaggi immessi sul mercato dell’Ue, nell’ambito della piattaforma europea Close the Glass Loop. L’obiettivo è raggiungere il completo riciclaggio a circuito chiuso entro il 2030. Lo annuncia il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), dopo l’avallo delle 23 associazioni nazionali che ne fanno parte in 12 Paesi membri dell’Unione europea.

Il progetto vede in prima linea Feve, la Federazione dei produttori europei di contenitori in vetro per alimenti e bevande e flaconi per profumeria, cosmetici e prodotti farmaceutici. I suoi membri producono oltre 80 miliardi di contenitori di vetro all’anno, in 150 stabilimenti produttivi dislocati in 23 stati europei.

“Close the Glass Loop – commenta Ignacio Sánchez Recarte, Segretario Generale Ceev – è un segnale che, nonostante questi tempi particolarmente difficili a causa della crisi Covid-19, l’economia circolare rimane una priorità fondamentale per il settore vitivinicolo”.

“Il vino – continua l’esponente del Comité – non è un prodotto ordinario e rappresenta un simbolo culturale in cui il packaging riveste un ruolo fondamentale. Con oltre il 90% dei vini europei confezionati in vetro, è chiaro che questa industria è parte integrante del nostro modello di business. Aiutando la catena di imballaggi in vetro a migliorare il livello di sostenibilità, miglioriamo direttamente il nostro”.

“Il settore vitivinicolo – conferma Adeline Farrelly, segretario generale Feve – è uno dei nostri principali segmenti di mercato con una crescita costante registrata negli ultimi anni. È fondamentale poter collaborare e sostenerci a vicenda nei nostri sforzi verso la sostenibilità. La piattaforma Close the Glass Loop è un modo per farlo insieme. Più vetro riciclato possiamo reinserire nel nostro ciclo produttivo, minore sarà l’impatto ambientale delle nostre bottiglie”.

Secondo un recente sondaggio tra i consumatori pubblicato dalla piattaforma dei consumatori Friends of glass, il vetro è il materiale da imballaggio preferito per la maggior parte dei prodotti alimentari e delle bevande, con ben 8 europei su 10 che optano per questo materiale nella scelta di vino e alcolici. La crescita nel gradimento è evidente: il 51% dei consumatori, sempre secondo l’indagine, acquista più prodotti in vetro rispetto a tre anni fa.

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Vignaioli europei, Cevi contro le misure Ue: “Uno sputo nell’occhio dei viticoltori”

“Le misure dell’Ue per arginare la crisi Covid-19? Uno sputo nell’occhio dei viticoltori“. Non usa giri di parole il presidente della Cevi, Thomas Montagne, nel commentare le mosse dell’Unione europea a protezione della viticoltura. Il numero uno della Confédération Européenne des Vignerons Indépendants è critico per la “mancanza di misure a sostegno della promozione del vino e di fondi ad hoc da reperire nel bilancio Ue”, attivabili dagli Stati membri attraverso i rispettivi parlamenti.

“Giovedi ’30 – commenta Thomas Montagne – la Commissione europea ha inviato al Consiglio e al Parlamento l’ultima versione dell’atto contenente le misure ritenute necessarie per rispondere alla drammatica crisi del mercato ortofrutticolo e vitivinicolo, a causa della pandemia di Covid-19″.

Secondo la procedura di emergenza prevista dall’Art 28 del regolamento 1308/2013, questo atto entra immediatamente in vigore. Il testo autorizza gli Stati membri ad attuare, nell’ambito dei loro parlamenti, una distillazione di crisi (art. 3) e un supporto all’ammasso privato (art. 4), finanziandoli sia tramite lo Stato di appartenenza che tramite i fondi Ue”.

“Altri punti dell’atto – continua il presidente dei Vignerons Indépendants europei – autorizzano la vendemmia verde, misura secondo noi non sufficiente insieme all’implementazione di alcuni aiuti all’interno degli Stati nazionali. Non viene proposto nulla per facilitare le misure di promozione, né l’autorizzazione a utilizzare fondi all’interno dell’Ue, che ci consentirebbero di promuovere i nostri vini in Europa e non solo all’estero”.

“Tutte queste misure, peraltro – attacca Thomas Montagne – devono essere valide solo durante l’esercizio 2020. Se si può apprezzare la velocità e l’impegno col quale ha reagito la Commissione Agricoltura, non possiamo essere soddisfatti dell’assenza di finanziamenti al di fuori dei bilanci nazionali, che sono già stati quasi completamente utilizzati“.

“La distanza tra l’analisi della situazione e la debolezza della risposta è incredibile! Potrebbe l’Europa rinunciare al suo viticoltura? Questo sarebbe come uno sputo nell’occhio per le decine di migliaia dei viticoltori europei, ma anche per i territori rurali che supportano. Gli Stati membri devono ora dare un vero e proprio impulso politico“.

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degustati da noi Esteri - News & Wine news news ed eventi vini#02 visite in cantina

“Piacere Italia, sono Mr Heimann e produco Sagrantino a Szekszárd, in Ungheria”

Szekszárd, Ungheria meridionale: 160 chilometri a sud di Budapest, giù in linea retta. Meno di un’ora di strada dal confine con Serbia e Croazia. È qui che Zoltán Heimann ha deciso di piantare un ettaro di Sagrantino. L’uva che ha reso noto in tutto il mondo il borgo medievale umbro di Montefalco si è adattata bene al microclima e al terreno ricco di loess della regione vitivinicola ungherese di Tolna, di cui Szekszárd è capoluogo.

Un groviglio di valli soleggiate, che si distende a mano aperta lungo il 46° parallelo. Lo stesso di Egna e Montagna, in Alto Adige. Della Borgogna, in Francia. O della Willamette Valley, nell’Oregon. Una delle zone più vocate alla produzione dei vini rossi ungheresi, che qui risultano eleganti, speziati, generalmente agili e “pronti”.


Il tannino del Sagrantino, unito alla sua capacità di dare vita a vini da lungo affinamento, fa da spalla alle varietà Cabernet Franc e Kékfrankos in “Franciscus” e in “Grand“, due delle etichette top di gamma di Heimann Családi Birtok.

Ma si trova anche in “Sxrd“, vino fresco e moderno che suggella il cambio generazionale in corso tra i coniugi fondatori della cantina, Zoltán e Ágnes, e il figlio enologo Zoltán Jr, artefice della nuova e accattivante linea “Heimann & Fiai” (vini in vendita anche in Italia dal 2021, sull’e-commerce vinoungherese.it, di cui WineMag.it è Media partner).

Il tutto grazie al consiglio del consulente francese della cantina ungherese, che agli esordi del progetto – nel 1998 – suggerì a Zoltán Heimann di piantare a Szekszárd anche mezzo ettaro del vitigno tipico dell’Umbria, oltre a qualche filare di Tannat.


A distanza di 18 anni dal primo impianto, avvenuto nel 2002 grazie alle barbatelle giunte dall’Alto Adige tramite i vivai ungheresi Teleki-Kober, entrerà in produzione un altro mezzo ettaro di Sagrantino, che andrà addirittura a sostituire una porzione di Syrah.

“Ho imparato a conoscere nel tempo questa varietà – racconta Mr. Heimann a WineMag.it – e l’occasione di assaggiare per la prima volta il vino di Montefalco è capitata a Lucca, all’inizio del Duemila. Entrai in una wine boutique del centro e chiesi una bottiglia di Sagrantino. Ricordo ancora lo stupore dell’uomo che si trovava dall’altra parte del bancone. Faticò non poco a trovare una, ma alla fine riuscì a soddisfarmi”.

Nel 2012, dopo aver prodotto diverse edizioni di “Franciscus” e la prima di “Grand”, Zoltán Heimann torna in Italia e fa tappa in Umbria. Sempre a caccia di nuovi assaggi di Sagrantino, sceglie due cantine dalle filosofie diametralmente opposte.


“La Arnaldo Caprai – spiega il produttore ungherese – dall’impronta moderna e internazionale, e quella più artigianale di Paolo Bea. Mi trovai molto più a mio agio con la versione meno opulenta del Sagrantino di Bea, che ancora oggi cerchiamo di proporre a Szekszárd, nell’uvaggio con Cabernet Franc e Kékfrankos. Con Marco Caprai ho avuto modo di confrontarmi ancora a ProWein, negli anni scorsi”.

Assaggi che hanno aiutato a trovare ben presto la quadra per la vinificazione del Sagrantino alla Heimann Családi Birtok. La raccolta avviene generalmente a metà ottobre. La fermentazione avviene senza raspi, in acciaio. I rimontaggi, due volte al giorno, aiutano l’estrazione ottimale dei polifenoli.

Il mosto riposa a contatto con le bucce per un periodo compreso fra 20 e 30 giorni. La malolattica, svolta in acciaio, anticipa il trasferimento in botti da 1000 litri. Dopo un anno di riposo viene effettuato il taglio con Cabernet Franc e Kékfrankos. Il nettare, dopo un ulteriore affinamento in legno di circa un anno, viene imbottigliato e messo in commercio.

LA DEGUSTAZIONE

Védett eredetű száraz vörösbor Szekszárd Pdo 2017 “Franciscus”: 92/100
Etichetta che sarà in commercio a partire dalla fine del 2020. Siamo di fronte alla migliore espressione assoluta di Sagrantino di Heimann Winery, in attesa di un’ancor più promettente vendemmia 2018 (94/100) e da una buona 2019 (entrambe degustate da botte, la prima a taglio già effettuato).

Il vino si presenta di un rosso rubino carico, luminoso. Prezioso il gioco tra fiori, frutto e spezia, al naso. Le note fruttate, molto precise e scandite, risultano ben amalgamate ai ricordi vegetali del Franc, con virata netta sullo stecco di liquirizia.

Il tannino del Sagrantino è vivo, ma elegante e integrato, pronto evidentemente ad addolcirsi ulteriormente, negli anni. Un bel modo di raccontare il terroir di Szekszárd tra potenza, eleganza e attitudine al lungo affinamento.

Védett eredetű száraz vörösbor Szekszárd Pdo 2016 “Franciscus” (13,5%): 88/100
Un rosso che abbina potenza e morbidezza, rispecchiando perfettamente il carattere di una vendemmia caratterizzata dalla pioggia, nel periodo della raccolta delle uve.

Manca un po’ di struttura e un po’ di materia nella componente fruttata, come rivelano i richiami verdi leggermente preponderanti del Franc. Nel complesso, un vino che si fa bere con sufficiente agilità, orfano del nerbo riscontrabile nelle altre annate.

Oltalom allat álló eredetmegjelölésű száraz vörösbor Szekszárdi Borvidék 2012 “Grand” (15%): 90/100
Nel 2012, l’uvaggio di “Franciscus” entra nel progetto di costruzione di un’etichetta in collaborazione con altri quattro produttori della zona: un blend in grado di elevare l’immagine dei rossi di Szekszárd. Il risultato è eccellente.

Un vino ungherese dall’anima internazionale, con la potenza del Sagrantino che si fonde con le note profonde del Cabernet Franc e il frutto elegante, preciso e croccante del Kékfrankos.

Oltalom allat álló eredet-megjelölésű vörösbor Szekszárdi Borvidék 2008 “Franciscus” (14,5%): 91/100
È la prova del nove per il Sagrantino di Szekszárd: quella della longevità. Il vitigno umbro dà carattere a un vino che risulta perfettamente intatto, uscito vittorioso dalla battaglia con le lancette, sin dal colore. Il risvolto più “selvatico” del Sagrantino fa capolino per la prima volta al naso, contribuendo ad allargare lo spettro di sensazioni.

Si passa dalla viola appassita a un frutto di bosco di gran precisione, attraverso preziosi richiami di liquirizia e accenti goudron. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva. Tannino perfettamente integrato e sorso piuttosto agile, ma tutt’altro che banale. Buono anche l’allungo, su una preziosa venatura salina che chiama il sorso successivo.

Cuvée 2017 “Sxrd” (13%): 85/100
Il Sagrantino figura in piccola misura nell’uvaggio di “sXRd”, modernissimo vino rosso ottenuto in prevalenza da Cabernet Franc, Merlot e Kékfrankos . Un “moderno”, anello di congiunzione tra lo stile tradizionale di Zoltán senior e consorte e quello nuovo di Zoltán Jr.

Siamo di fronte al classico rosso “da frigo”, di quelli da bere anche d’estate. A canna. È in questa dimensione che dà il meglio di sé, anche a tavola. Un vino che fa facilità di beva uno stile, a prescindere dal vitigno e dalla zona di produzione.

Etichette come questa, capaci come poche di incontrare il gusto dei Millennials internazionali e di introdurli piacevolmente al complesso mondo del vino, meriterebbero una “categoria” a sé, a livello internazionale.

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Vignerons indépendant, tutta un’altra storia: e-commerce, Gdo e sindacato

Un sito e-commerce (o, meglio, un “market place“, un “mercato” per la “vente directe“, la “vendita diretta”) a cui aderiscono 500 vignaioli, capaci di fatturare un milione di euro all’anno. Poi, un’apertura ben consolidata verso la Grande distribuzione (il mondo dei supermercati) alle “regole” dei vignaioli, utilissima ai tempi di dazi e lockdown. Così la Vignerons indépendant, omologa della Federazione italiana indipendenti Fivi, sta arginando le conseguenze di Covid-19 in Francia.

Presidente Jean-Marie Fabre, quali sono i numeri della Vigneron Independant?

I viticoltori indipendenti della Francia rappresentano il modello leader della produzione vinicola nel nostro paese, il 56%. Oggi la nostra organizzazione conta 7 mila aziende, che rappresentano il 65% dei player.

In che modo Covid-19 influenza l’attività dei vigneron in Francia?

Covid 19 ha iniziato a influenzare le nostre vendite a gennaio, in Asia, con un rallentamento e quindi una cessazione totale delle nostre vendite in questa area commerciale. Le nostre aziende esportano in media il 68% della loro produzione e l’80% in altri Paesi, su prodotti di grande valore.

Il confinamento dei paesi dell’Ue ha interrotto le nostre vendite con questi Paesi e il confinamento in Francia ha fermato i nostri settori più importanti e specializzati: bar, hotel e ristoranti, nonché le vendite nelle fiere del vino, che interessano sia agli appassionati sia ai professionisti.

L’attività di vendita diretta nelle cantine è diminuita di oltre il 90%, principalmente a causa della mancata circolazione delle persone in Francia. Si è inoltre arrestata la visita delle cantine del nostro Paese da parte degli stranieri.

A differenza della Fivi, i Vignerons indépendants hanno un e-commerce. Può fornirci qualche dettaglio?

L’e-commerce è un settore che si è sviluppato anche in Francia, anche se è ancora debole in proporzione agli altri settori di distribuzione. Sappiamo che circa un terzo dei nostri soci ha un e-commerce integrato al sito web della propria cantina e la maggior parte di essi vende anche a negozi specializzati, online.

Il nostro portale è più un “mercato” che un “e-shop”. È stato fondato nel 2015 e conta quasi 500 viticoltori. Non tutti i nostri viticoltori aderiscono, dal momento che dipende molto dalla loro politica commerciale. Le nostre vendite annuali superano il milione di euro.

Quali sono i numeri del vostro “mercato online”, da quanto imperversa Covid-19?

Dall’inizio del lockdown abbiamo assistito a un aumento del 200% delle vendite, con la lievitazione del 30% del paniere medio.

A differenza di Fivi, la Vignerons indépendant dialoga da anni con la Grande distribuzione organizzata (Gdo). Con quali risultati?

I vignaioli indipendenti della Francia vendono anche nei supermercati e, a seconda dell’azienda, ciò rappresenta percentuali diverse rispetto al totale della produzione. Ognuno ha la propria strategia commerciale. Ma i viticoltori indipendenti che vendono in questo settore molto spesso lo fanno su prodotti che sono ben valutati!

Oggi questo tipo di vendita al dettaglio cerca sempre più le etichette di vino di viticoltori indipendenti e con la menzione visibile del logo di appartenenza! Il logo della Vignerons indépensant è diventato una vera garanzia per il consumatore: indica un vino artigianale di qualità e rispettoso dell’ambiente.

Le insegne della grande distribuzione, in Francia, sono molto interessate ad avere in assortimento nuove cantine che fanno parte della nostra federazione. In questo quadro imponiamo i nostri prezzi: non ci sono politiche di negoziazione dei prezzi al ribasso, perché siamo molto richiesti e i consumatori sanno bene cosa significhi essere “Vignerons indépendant”.

E-commerce e grande distribuzione stanno dunque aiutando le vendite in questo periodo, con il blocco dell’Horeca?

Sì, è sicuramente un aiuto. E la consegna a domicilio fa il resto della differenza.

Quali sono le proposte di Vigneron Indipendente per i prossimi mesi?

La nostra organizzazione ha presentato immediatamente proposte da adottare nell’ambito del Piano di sostegno economico del Governo. Siamo stati i primi a muoverci, seguiti poi dagli altri attori della filiera del vino francese, su alcuni temi centrali.

Abbiamo chiesto un’assistenza bancaria su misura per le nostre imprese, un anno di sospensione di tutti gli importi dovuti e sugli interessi dei prestiti, assistenza fiscale e sociale ai datori di lavoro. Inoltre: l’attivazione del meccanismo europeo di crisi, con aiuti allo stoccaggio e alla distillazione di crisi, il tutto con voci da reperire nel bilancio dell’Ue.

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Francia, Italia e Spagna: le cooperative del vino chiedono la distillazione di crisi

“L’apertura immediata di una distillazione di crisi europea di 10 milioni di ettolitri con un budget europeo specifico di 350 milioni di euro, per fornire risposte immediate e concrete a un settore fortemente colpito e da cui dipende l’economia di intere regioni”. È questa una delle richieste avanzate dalle organizzazioni cooperative vitivinicole di Francia, Italia e Spagna, i tre paesi principali produttori dell’Europa e del mondo, in una lettera che è stata inviata alle principali istituzioni comunitarie.

La misura della distillazione “deve essere europea e prevedere un tasso di 35 euro a ettolitri e prevedere anche la possibilità che gli Stati membri aumentino la quota comunitaria per raggiungere prezzi specifici nei diversi paesi produttori dell’Unione europea”.

Le tre organizzazioni cooperative chiedono inoltre di prevedere una misura di ammasso privato per i vini di fascia alta, la cui commercializzazione può essere posticipata. Per le cooperative vitivinicole francesi, italiane e spagnole, “queste misure devono essere finanziate da un bilancio europeo e non dai bilanci del programma nazionale di supporto al settore vitivinicolo”.

Per quale motivo? “Da un lato – spiegano le coop – perché le azioni previste dai Pns sono quasi tutte in fase di realizzazione o in pagamento; dall’altro lato, perché tali misure per essere efficaci, devono essere attivate e finanziate da un bilancio specifico comunitario e non dipendere dalla sussidiarietà concessa a ciascuno Stato membro”.

Infine, il settore cooperativo vitivinicolo europeo ha accolto positivamente l’annuncio della Commissione di rendere più flessibili i termini dei programmi nazionali di sostegno per il settore vitivinicolo, per consentire agli Stati membri di adattarli alle reali esigenze dei produttori e di rispondere efficacemente a questa crisi.

“Dall’inizio della crisi il settore vitivinicolo è stato particolarmente colpito – si legge ancora nella lettera – per via del rallentamento delle esportazioni, della chiusura di bar, hotel e ristoranti e del congelamento delle attività turistiche”.

“Il settore vitivinicolo europeo ha già subito una notevole crisi del mercato a causa dei dazi del 25% imposte a determinati vini europei nell’ottobre 2019 e la futura recessione economica ridurrà ulteriormente il consumo di un prodotto come il vino. I volumi non venduti in questi mesi potrebbero pesare sul prossimo raccolto a causa della mancanza di capacità di stoccaggio nelle cantine”, si legge infine sulla lettera.

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Campari tratta l’acquisto di Champagne Lallier con Francis Tribaut

Tempo di annunci per il Gruppo Campari, che da oggi tratta con Francis Tribaut l’acquisto di Champagne Lallier. La notizia è stata diramata dalla stessa azienda, che nei giorni scorsi ha comunicato il trasferimento della sede sociale in Olanda.

In particolare, il Gruppo Campari tratta con French Sarl Ficoma, holding di famiglia di Francis Tribaut, per acquisire una partecipazione dell’80%. E, a medio termine, l’intero capitale azionario di Sarl Champagne Lallier e di altre società del gruppo.

CAMPARI SU CHAMPAGNE LALLIER

La società possiede il marchio Champagne “Lallier”, creato nel 1906 ad Aÿ, uno dei villaggi “Grand Cru” della regione della Champagne, a testimonianza della qualità del prodotto. La società ha venduto circa 1 milione di bottiglie di Champagne nel 2019, tra cui quasi 700 mila bottiglie di Lallier.

L’ambito della transazione proposta comprende il marchio, le corrispondenti scorte liquide, i beni immobili, compresi i vigneti di proprietà e gestiti, oltre ai siti di produzione.

GRUPPO CAMPARI: MASSA CRITICA SUL MERCATO FRANCESE

Con questa acquisizione, Campari Group mira ad aggiungere il marchio storico e premium di Champagne Lallier al suo portafoglio premium, in un canale chiave per le attività di costruzione del marchio come l’Horeca.

Inoltre rafforzerebbe la sua massa critica sull’importante mercato francese, in cui il Gruppo Campari ora commercializza il proprio portafoglio attraverso la sussidiaria.

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Vino, Covid-19: Ceev presenta all’Ue il “Wine package”. Iva ridotta e sblocco dei fondi

Il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), organismo di rappresentanza di 23 associazioni di produttori di vino di 12 Stati europei – più Svizzera ed Ucraina – ha messo a punto il “Wine package“. Si tratta di un “pacchetto” di misure richieste a Bruxelles – tra cui figura innanzitutto la proposta di Iva agevolata e la richiesta di sblocco dei fondi Ue – per affrontare e superare l’emergenza Covid-19.

“Al fine di mitigare gli effetti devastanti, presenti e futuri, del Coronavirus sul settore vitivinicolo – spiega Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale della Ceev – abbiamo messo insieme un ‘pacchetto Covid-19’, suggerendo sia misure di emergenza che misure di recupero”.

Le misure di emergenza dovrebbero concentrarsi sulla sopravvivenza delle aziende vinicole e la conservazione delle loro finanze, mentre le misure di recupero sono incentrate sulla ricostruzione dei mercati del vino e sul recupero delle quote di mercato a livello globale. Questo pacchetto vino sarà condiviso con le autorità europee e nazionali”.

“Come prima misura – precisa Sánchez Recarte – sarà fondamentale che la Commissione autorizzi a congelare le risorse economiche non utilizzate nell’ambito dei programmi di sostegno nazionali per il vino per l’esercizio 2019/2020, al fine di renderle disponibili per gli Stati membri fino all’esercizio finanziario 2022/2023 per aiutare il settore a riprendersi”.

“Per sostenere il recupero dei mercati del vino, chiediamo ulteriore flessibilità per i programmi di promozione, un’Iva ridotta temporanea per i prodotti vitivinicoli e l’adozione di un quadro moderno per la vendita a distanza”, prosegue il segretario generale Ceev.

Per rivitalizzare il settore, sono necessari adattamenti legali per dinamizzare la categoria dei prodotti vitivinicoli aromatizzati e la creazione delle categorie di vini analcolici e non alcolici”.

Nel “Wine Package” si parla anche di dazi. “È fondamentale – continua Ignacio Sánchez Recarte – che il settore vitivinicolo si riprenda sui mercati di esportazione. Per questo, sono necessari una rapida risoluzione della controversia commerciale con gli Stati Uniti e ulteriori sforzi per ottenere l’accesso ad altri mercati “.

“A breve termine, dobbiamo considerare che le ridotte vendite di vino e l’alto livello delle scorte di vino possono provocare problemi nel normale equilibrio del mercato del vino”, precisa il presidente del Comité Européen des Entreprises Vins, Jean Marie Barillère.

L’equilibrio del mercato del vino dovrebbe essere recuperato promuovendo il sostegno del mercato dell’Ue e dei mercati di esportazione e utilizzando gli strumenti di gestione della produzione inclusi nella legislazione dell’Ue”.

Solo se necessario per affrontare gli squilibri rimanenti, l’Ue dovrebbe essere in grado di effettuare pagamenti volontari eccezionali per la distillazione di crisi. “Il bilancio utilizzato per questi pagamenti deve essere diverso dai fondi dell’Unione assegnati agli Stati membri nel quadro dei programmi nazionali di sostegno al vino”, sottolinea il presidente Ceev.

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Vini a denominazione, lettera di Efow all’Ue: “Situazione drammatica”

L’European Federation of Origin Wines (Efow, Federazione europea dei vini d’origine) ha scritto al commissario per l’Agricoltura dell’Ue Janusz Wojciechowski per denunciare la “drammatica situazione delle denominazioni vinicole in seguito allo scoppio della crisi Covid-19“.

L’esortazione alla Commissione europea è quella di “agire rapidamente attraverso misure normative e di mercato concrete per aiutare gli operatori a navigare in queste acque agitate”. Un invito simile è stato mosso nei giorni scorsi dalla Confédération européenne des vignerons indépendants (Cevi), che riunisce i vignaioli europei.

“L’emergenza Coronavirus – spiega presidente di Efow, Bernard Farges – si aggiunge alle altre crisi in atto che il settore vitivinicolo deve affrontare nei mercati di esportazione, in particolare il 25% dei dazi statunitensi ad valorem e le difficoltà incontrate nei paesi asiatici”.

Si è già verificata una significativa perdita di vendite e ed entrate causata dalla chiusura di Horeca e di altri canali di distribuzione. Gli unici canali ancora attivi nella maggior parte degli Stati membri sono i rivenditori all’ingrosso e il commercio elettronico”.

“Tuttavia – prosegue Farges – molti operatori di denominazione del vino non sono presenti nei supermercati e il canale di e-commerce è ancora molto sottosviluppato nel nostro settore. Molti operatori di vini a indicazione geografica stanno a malapena movimentando la merce, tranne per operazioni di esportazione occasionali”.

“La crisi – precisa il presidente European Federation of Origin Wines – ha anche un impatto devastante sui mercati di esportazione del vino, sulle attività dei produttori di vino e sul settore enoturistico”.

I membri di Efow desiderano che vengano implementate rapidamente una serie di misure normative, per aiutare gli operatori ad adattarsi a questa nuova realtà. Inoltre, invitano la Commissione europea a “fornire agli Stati membri piena flessibilità riguardo all’uso degli strumenti e del bilancio disponibili nei programmi di sostegno nazionali per il vino”.

Considerando l’enorme impatto della crisi, Efow sottolinea anche la necessità di un sostegno finanziario specifico per attuare misure di mercato. “Devono essere immediatamente adottate misure rapide e coraggiose per evitare il peggior scenario possibile per molti operatori del settore vitivinicolo”, afferma Bernard Farges.

“I responsabili politici dell’Ue devono tenere presente che ci sono molte zone rurali dell’Ue in cui non esiste alternativa alla produzione di vino. Gli operatori hanno bisogno di un sostegno immediato per sopravvivere a questa crisi”.

“Gli strumenti – evidenzia il presidente di Efow – sono disponibili nel regolamento dell’organizzazione comune dei mercati, quindi speriamo che la Commissione europea ne faccia pieno uso senza indugio. Il futuro del nostro settore dipende da questo”.

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Covid-19 in Ungheria: i viticoltori donano 12 mila bottiglie di vino a medici e infermieri

I 34 viticoltori della Pannon Bormíves Céh, una delle più autorevoli associazioni del settore in Ungheria, hanno donato 12 mila bottiglie di vino a medici e infermieri del Paese. L’iniziativa coinvolge gli operatori di 30 ospedali, alle prese con la gestione dell’emergenza Covid-19 anche durante le festività della Pasqua.

“Mentre la Festa si avvicina – spiegano i viticoltori della Pannon Bormíves Céh – dal nostro canto possiamo fare una sola cosa per esprimere il nostro amore e apprezzamento per medici e infermieri, al fine di donare loro un momento che li riporti anche solo per un istante a una vita più normale, fuori dall’emergenza: è donare a tutti loro una bottiglia di vino per le festività di Pasqua”.

“Tratteniamo il fiato con voi – scrivono ancora le 34 cantine – e siamo al vostro fianco mentre lottate per far tornare l’Ungheria alla normalità. Grazie per quello che stanno facendo per la gente, per il Paese e per tutti noi. Vogliamo così augurare buona Pasqua ai medici, agli infermieri e alle loro famiglie”.

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degustati da noi Esteri - News & Wine vini#02

Champagne Brut Réserve, Boizel

Prodotto “base” della Maison Boizel il Brut Rèserve è uno Champagne ricco e cremoso che ben si sposa con la tavola. Brut Sans Année di cui degustiamo la sboccatura dell’Aprile 2018.

LA DEGUSTAZIONE
Dorato e luminoso, presenta un perlage fine, lento e persistente. Naso raffinato che apre subito su note agrumate e di pasticceria. Seguono sentori floreali e note di frutta bianca, in prevalenza pesca.

Rotondo in bocca seppur molto fresco. Mediamente persistente risulta equilibrato per tutto il sorso. Il dosaggio zuccherino (8 g/l dichiarati dalla Maison) si sente ma non disturba la bevuta donando quel tocco in più di morbidezza.

LA VINIFICAZIONE
Una cuvée pensata in modo preciso. 55% Pinot Noir ,30% Chardonnay, 15% Meunier. La struttura del Pinot Nero e la finezza dello Chardonnay unite al Meunier per donare contemporaneamente spinta e morbidezza.

Le uve provengono da trenta diversi cru dell’azienda. Champagne che matura sui lieviti per almeno tre anni. Il 30% di vini di riserva ed un minino di 3 anni sui lieviti completano la produzione di questo Champagne a cui giova anche il tempo trascorso dopo la sboccatura.

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