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Mundus Vini Summer Tasting 2024: più giovani degustatori, più giudizi moderni

Mundus Vini Summer Tasting 2024: più giovani degustatori, più giudizi moderni. Photo Credit: AD LUMINA

EDITORIALE – Chiude con un successo forse mai così fragoroso Mundus Vini Summer Tasting 2024, edizione estiva del concorso enologico internazionale organizzato dalla casa editrice Meininger Verlag, a Neustadt an der Weinstrasse, in Germania (29 agosto-1 settembre, qui i risultati dell’Italia). “Fragoroso” perché il quartetto composto da Ulrich Fischer, Robert Joseph, Christian Wolf e Kirk Bauer, insieme con Andrea Meininger-Apfel e Christoph Meininger, è riuscito ad andare ben oltre la degustazione di 3.914 vini da 39 Paesi (in testa l’Italia con 1.130 vini) da parte di 119 giudici internazionali di 32 diverse nazionalità. Dalla Germania arriva infatti più di un messaggio forte e chiaro all’intero settore. Il primo, scusate la franchezza, è la necessità di “sfoltimento” generazionale della critica enologica internazionale. Ma si è anche discusso, senza giri di parole, delle derive allarmistiche sull’alcol e dei nuovi trend di consumo. Vediamo i temi, punto per punto.

GIUDICI PIÙ GIOVANI A MUNDUS VINI: COSA CAMBIA?

Circa una ventina di giudici di età avanzata (uguale o maggiore a 70 anni) sono stati sostituiti da esperti del settore più giovani, al Mundus Vini Summer Tasting 2024. Si tratta per lo più di professionisti europei, di età compresa fra i 30 e i 40 anni. Nella commissione che ho avuto l’onore di presiedere quest’anno, ben due giovani membri hanno fatto il loro esordio assoluto al concorso (peraltro due donne, dettaglio rilevante in termini di “quote rosa”). L’età media del mio tavolo è così scesa a circa 40 anni (quattro membri su 5 sotto i 40 anni, uno di 65 anni), in perfetta armonia con il vento di ringiovanimento deciso dal board di Meininger Verlag e in controtendenza con le edizioni passate. I “giudici senior” rimasti a casa erano stati premiati sul palco di Mundus Vini in occasione della Spring Edition dello scorso febbraio, per il loro impegno sin dagli esordi del concorso.

Ma cosa è cambiato, a livello pratico? Secondo il mio personale avviso, il concorso ha fatto un passo da gigante quest’anno, soprattutto nella corretta valutazione di vini più freschi, dotati di acidità vibranti e di un profilo meno condizionato da sovra concentrazioni, alcol ed utilizzo di barrique nuove o chips. Una riprova? Lo straordinario flight di Chianti Classico che ha visto premiate – almeno al nostro tavolo – espressioni tanto tipiche quanto “verticali” della denominazione, che come altre si sta orientando verso un profilo che premia la bevibilità, senza per questo rinunciare a tipicità, carattere e capacità di affinamento. Stessa storia per i Nebbiolo da Barolo o, restando in Piemonte, per alcune Barbera d’Asti e Barbera d’Alba. Da innamorarsi, a maggioranza assoluta, certi Ciliegiolo della Toscana, in compagnia di varietà autoctone in ascesa come il Pugnitello.

L’OTTIMA PERFORMANCE DEI VINI… “MODERNI”

L’Italia si è comportata molto bene anche con il Prosecco Rosé, mai così “croccante” (!) e leggibile sui descrittori floreali e fruttati del Pinot Nero, nel matrimonio sensoriale con la Glera. Impressionante, peraltro, l’uniformità tra i diversi campioni di Prosecco Doc “in rosa” (ho scritto “uniformità”, non “standardizzazione”). È il segnale di una base produttiva che sa dove andare, in locomotiva, alla conquista dei mercati internazionali (alzi la mano, a proposito, chi non ha ancora compreso le ragioni pratiche del successo del Prosecco, a livello intergalattico; sì, proprio così: probabilmente gli extraterrestri non vivono d’acqua, ma un giorno ritroveremo tra le mani di ET una bottiglia di spumante Made in Veneto, o Friuli…).

Non hanno fatto “paura”, ai giudici, Fiano e Falanghina tesi e salini, minerali e bilanciati nella componente alcolica. Così come hanno convinto, e parecchio, alcuni splendidi “Super Romanian” base Feteasca Neagra, capaci di abbinare frutto, corpo, beva e capacità di invecchiamento. O i Cabernet Sauvignon dell’Australia, senza sovra estrazioni ormai da qualche annetto senza risultare affatto “vuoti”, al pari degli uvaggi Tempranillo-Garnacha-varietà bordolesi dalla Cariñena (Spagna), piacevolmente freschi e liberati dalle intemperanze della loro tradizionale robustezza alcolico-estrattiva. D’altro canto, nessuna paura per le interpretazioni innovative di una varietà molto tannica, come il Saperavi della Georgia, altra grande, positiva sorpresa dell’edizione estiva di Mundus Vini.

Il gruppo di giovani produttori tedeschi del Palatinato, Die Junge Pfalz, al Mundus Vini Summer Tasting 2024. Sotto: Lukas Hammelmann e lo spumante senz’alcol “Freepearl” di Weingut Holz-Weisbrodt

PIÙ GIOVANI… CON I GIOVANI DI DIE JUNGE PFALZ

Esempi, questi, utili a comprendere come sia utile «andare avanti ed evolversi» – queste le parole utilizzate da Christian Wolf per spiegare il ricambio generazionale in corso a Mundus Vini – anche tra chi giudica i vini alla cieca ad un concorso. Perché nel calice di ogni giurato si possono trovare descrittori capaci di richiamare viaggi, scoperte ed assaggi quotidiani recenti, aggiornati; oppure frontiere stilistiche internazionali che faranno la storia del settore e determineranno il successo (e la sopravvivenza) di determinate regioni vinicole, sconosciute a palati stagni e a gambe ormai stanche di essere curiose.

A completare la “vista sul futuro” del Summer Tasting 2024, il pomeriggio di assaggi dei vini di Die Junge Pfalz, il gruppo dei giovani produttori del Palatinato (vedi le foto sopra), con un vino più buono dell’altro (su tutti, segnatevi Riesling Zeiskamer Klostergarten trocken, Chardonnay Hochstadt Roter Berg trocken e Spätburgunder Hochstadt Roter Berg trocken del giovanissimo Lukas Hammelmann, distribuito in Italia da Ca’ di Rajo Group e presente in città come Milano da Cantine Isola). Per il board di Mundus Vini, in definitiva, solo applausi. Un esempio da seguire, in ogni angolo del pianeta (Italia compresa).

LE DERIVE ALLARMISTICHE SUL CONSUMO DI ALCOLICI

Secondo e ultimo tema “extra degustazione” del Mundus Vini Summer Tasting 2024 è stato la presa di posizione decisa e ferma del gruppo editoriale tedesco Meininger e del board del concorso contro le derive allarmistiche sul consumo di alcolici. Christoph Meininger e Christian Wolf si sono scagliati senza mezze parole contro il fronte anti-vino «che non distingue tra il consumo responsabile e l’abuso di alcolici». Da qui l’invito a tutti i giudici presenti a farsi «ambasciatori della cultura del vino, settore dal quale dipendono le sorti di centinaia di migliaia di lavoratori, nonché dell’intero indotto».

Parole ferme, pronunciate sia sul palco di Mundus Vini, prima dell’avvio dei lavori, sia nel pomeriggio alla Weingut Holz-Weisbrodt, cantina di Weisenheim am Berg che interpreta in maniera eccellente uno dei trend del 2024 del vino internazionale: la produzione di vini dealcolati. Lo spumante senza alcol “Freepearl” ricorda la mela verde e gli agrumi, su sottofondo esotico sferzato da un perlage piuttosto elegante per la categoria, ed è stato premiato in precedenti edizioni di Mundus Vini con la medaglia d’argento. Una buona alternativa al vino. Se proprio ce ne fosse bisogno.

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Vini dealcolati: ProWein ZERO a Prowein 2025 raddoppia superficie no/low alcohol wines

Grazie a un accordo con l’editore Meininger Verlag, che a Neustadt an der Weinstraße organizza Mundus Vini, l’area ProWein ZERO a Prowein 2025 non solo è confermata. Ma sarà ampliata. Gli spazi completeranno l’ampia area espositiva di ProWein ZERO 2025, che sarà quindi ancora più grande. Nella zona di degustazione della ProWein ZERO, i visitatori potranno nuovamente assaggiare l’intera varietà di no/low alcohol wines.

CRESCE LA DOMANDA DI VINI DEALCOLATI / NO-LOW ALCOHOL WINES

Gli espositori interessati potranno iscriversi alla zona di degustazione ProWein ZERO a partire da metà ottobre 2024. «La domanda di vini e liquori analcolici e a basso contenuto alcolico è enorme – spiegano i referenti di Prowein a Messe Dusseldorf – e per questo motivo stiamo ampliando l’area ProWein Zero per la ProWein 2025 di almeno il 50%. Il nostro modulo di richiesta per questa area speciale 2025 è ora online e stiamo già contattando tutti gli espositori esistenti e altri interessati che purtroppo abbiamo dovuto rimandare l’anno scorso».

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Resa Champagne 2024 a 100 quintali per ettaro


I presidenti del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, David Chatillon e Maxime Toubart, hanno firmato la delibera annuale sulle rese e sulla riserva vendemmiale dello Champagne, in occasione della vendemmia 2024. «Per garantire un approvvigionamento sicuro e stabile del settore – si legge nella nota diffusa oggi, 19 luglio, da Epernay – i quantitativi immessi sul mercato durante la campagna 2024-2025 sono fissati a 10.000 chilogrammi (100 quintali, ndr) di uva per ettaro di superficie in produzione».

10.000 KG/ETTARO: È LA RESA DELLO CHAMPAGNE NEL 2024

«I quantitativi raccolti in eccesso rispetto a questo volume vengono messi in riserva entro il limite della resa annua massima autorizzata, fissata individualmente alla resa obiettivo per ettaro di superficie in produzione e, dall’altra parte, al massimale di riserva». Si tratta di una flessione rispetto alla resa dello Champagne della vendemmia 2023. Lo scorso anno, infatti, il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne aveva fissato il limite a 11.400 chilogrammi per ettaro, ovvero a 114 quintali per ettaro.

CONTESTO ECONOMICO DEBOLE

Le spedizioni di champagne nella prima metà del 2024 rappresentano 106,7 milioni di bottiglie, ovvero -15,2% rispetto allo stesso periodo del 2023 che fu un semestre record (escluso il 2022). Le spedizioni tornano a un livello vicino a quello del 2019. «La cupa situazione geopolitica ed economica mondiale e l’inflazione generalizzata – spiegato David Chatillon – pesano sui consumi delle famiglie. Anche lo champagne continua a subire le conseguenze di un eccesso di scorte da parte dei distributori nel 2021 e nel 2022. Restiamo comunque fiduciosi nei valori della loro denominazione».

LA VENDEMMIA 2024 IN CHAMPAGNE

Dall’inizio dell’anno il vigneto della Champagne viene definito dai produttori locali come «particolarmente umido». A causa della mancanza di soleggiamento e di un inizio vegetativo caratterizzato dal fresco, l’intero vigneto è soggetto ad una «forte ma controllata pressione dell’oidio». Le gelate primaverili e la grandine hanno avuto «un impatto moderato» sul potenziale di raccolto (circa il 10%). La vite presenta un ritardo di sviluppo di 5-6 giorni rispetto alla media decennale. L’inizio della raccolta è previsto mediamente intorno al 10-12 settembre.

«Dopo un’annata 2023 particolarmente calda e secca –  ha dichiarato Maxime Toubart – l’annata 2024 è stata eccezionalmente piovosa, il che ha complicato il lavoro in vigna. La pressione delle muffe è forte ma rimane generalmente controllata a costo di un lavoro significativo. Le condizioni meteorologiche da qui alla vendemmia saranno decisive per garantire un buon raccolto».

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Les Grands Chais de France raddoppia le vendite di Crémant in Italia

Molto più di un’alternativa allo Champagne. Con 200 mila bottiglie di Crémant vendute in Italia nei primi 6 mesi del 2024, il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, Les Grands Chais de France consolida il suo ruolo tra i leader di mercato in Italia, forte di una produzione di 19 milioni di bottiglie all’anno. Si tratta dell’unica azienda a realizzare questa tipologia di spumanti in tutte le otto regioni Aop della Francia, primo produttore francese di metodo classico al di fuori della Champagne.

L’esportazione di Crémant in Italia ha generato un giro d’affari pari a circa 1 milione e 200 mila euro nei primi 6 mesi di quest’anno. «Abbiamo registrato una crescita di interesse nei confronti dei Crémant prodotti nelle diverse regioni francesi – spiega l’export manager Romina Romano – dall’Alsazia alla Borgogna, senza dimenticare i Crémant du Jura. Raddoppiare nei primi sei mesi del 2024 le vendite ottenute nello stesso periodo dello scorso anno è indice di un trend inequivocabile. L’Italia vanta una tradizione enologica e una cultura del vino notevole e il consumatore italiano è attento alle produzioni di qualità che il nostro gruppo può offrire nelle otto diverse denominazioni di Crémant».

LES GRANDS CHAIS DE FRANCE: NON SOLO CRÉMANT

Si rivela così ancora più decisiva la decisione di Les Grands Chais de France di aprire le porte del mercato italiano anche agli spumanti metodo classico che produce nel resto del mondo. È il caso del Cap Classique di Villiera, l’ultima acquisizione del gruppo in Sudafrica e uno dei principali produttori del Paese di questa tipologia. La “bollicina” dominante resta comunque quella francese. GCF Group produce infatti il 38% di tutti i Crémant de Bordeaux, il 34% dei Crémant de Loire, il 32% dei Crémant de Jura, il 31% dei Crémant de Die e il 20% dei Crémant d’Alsace

Per Famille Helfrich e per la country manager emiliana Romina Romano si tratta di un nuovo record in un Paese, l’Italia, che vanta una lunga tradizione spumantistica. Un trend che conferma la sua continua ascesa in Horeca e grande distribuzione organizzata (Gdo). Nel 2023 il giro d’affari complessivo in Italia ha superato i 7 milioni e 800 mila euro, contro i 5,6 milioni di euro del 2021. Segnando, così, un +17,82% rispetto al 2022. Crescono anche i volumi: oltre 1,3 milioni di bottiglie vendute nel 2023, con un + 7,83% rispetto all’anno precedente.

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Il vino spagnolo supera quello italiano in Germania

FOTONOTIZIA – Il vino spagnolo supera il vino italiano come vino più importato in Germania ed è anche quello che registra la crescita maggiore. Lo rende noto l’Observatorio español del mercado del vino, l’Osservatorio spagnolo del mercato del vino. Se è vero che la Germania ha ridotto le sue importazioni di vino del 4,1% in volume e del 14,4% in valore nel primo trimestre del 2024 – passando a 307,8 milioni di litri e 562,3 milioni di euro a un prezzo medio inferiore del 10,7% – la Spagna è stata senza dubbio il Paese fornitore più performante della top 10. Battuta così l’Italia, che perde il ruolo di primo esportatore in volume. Terzo posto, ma con largo distacco, per la Francia, che anticipa l’Austria, unico Paese, insieme a Spagna e alla sorprendente Ungheria, capace di crescere nel primo trimestre 2024 sul mercato tedesco.

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Vendemmia 2024 in Australia: crollo Shiraz, crescono uve bianche

Secondo il National Vintage Report 2024 di Wine Australia, nel 2024 la produzione di uva da vino australiana è aumentata del 9% rispetto all’anno precedente, raggiungendo una stima di 1,43 milioni di tonnellate. Con una sorpresa: per la prima volta dal 2014, le uve bianche superano quelle rosse in occasione della vendemmia 2024 in Australia, seppur di pochissimo (51% vs 49%). Determinante il crollo del Shiraz, compensato dalla crescita dello Chardonnay (+31%). L’annata 2024 fa seguito al minimo storico di 23 anni registrato nel 2023. Nonostante la crescita, la produzione di quest’anno è ancora ben al di sotto della media decennale di 1,73 milioni di tonnellate.

«Questa è la terza annata delle ultime cinque che è stata al di sotto della media decennale – sottolinea Peter Bailey, responsabile del settore Market Insights di Wine Australia. Negli ultimi anni si è infatti registrata una tendenza alla diminuzione della produzione di uva da vino australiana. Negli ultimi due anni, la media quinquennale è diminuita di oltre 100 mila tonnellate. «Tuttavia – continua Bailey – la riduzione della produzione non riflette necessariamente una diminuzione dell’offerta. Non ci sono indicazioni che la superficie viticola sia diminuita in modo significativo; quindi, il potenziale per un raccolto abbondante esiste ancora senza una gestione attiva delle rese”.

Un tema che non lascia insensibile il governo australiano, che ha di recente annunciato un pacchetto di sostegno alla redditività a lungo termine del settore vitivinicolo, che prevede tra l’altro lo sviluppo di un catasto nazionale dei vigneti. L’obiettivo è aiutare i viticoltori ad avere un quadro più chiaro della reale offerta a livello nazionale.

AUSTRALIA: CRESCE LA PRODUZIONE DI UVE BIANCHE

L’aumento complessivo della raccolta rispetto all’anno precedente è stato di 112 mila tonnellate e interamente determinato dalle varietà di uve bianche, che sono aumentate di 117 mila tonnellate (19%), raggiungendo le 722 mila tonnellate. Nonostante ciò, la quantità delle varietà bianche è rimasta del 10% inferiore rispetto alla media decennale, classificandosi come la seconda più scarsa degli ultimi 17 anni. La vendemmia delle uve rosse è diminuita di poco meno di 5 mila tonnellate (1%), attestandosi a 705 mila tonnellate, la più bassa dall’annata 2007, colpita dalla siccità, e il 40% in meno rispetto al picco di 1,2 milioni di tonnellate raggiunto nel 2021. La quota complessiva di uva bianca è aumentata al 51% e, per la prima volta dal 2014, la è stata superiore a quella rossa.

«La riduzione complessiva delle uve rosse in occasione della vendemmia 2024 in Australia – spiega ancora Bailey – è dovuta interamente allo Shiraz, che è diminuito di quasi 48 mila tonnellate, mentre la maggior parte delle altre varietà rosse è aumentata. Questa diminuzione non è stata causata solo dalle regioni interne, con le valli di Barossa e Clare che hanno rappresentato un terzo della riduzione. Più in generale, i fattori stagionali hanno contribuito a far sì che il 2024 sia un’altra annata scarsa. Tuttavia, l’ulteriore e significativa riduzione della produzione di vino rosso può essere in gran parte attribuita alle decisioni prese dai viticoltori e dalle aziende vinicole di ridurre la produzione. Queste decisioni sono dettate dai bassi prezzi dell’uva, dal notevole eccesso di scorte di vino rosso e dalla riduzione della domanda globale di vino».

PREZZI DELLE UVE E INCOGNITE DEL VINO AUSTRALIANO NEL 2024

Lo Chardonnay è aumentato del 31%, raggiungendo le 333 mila tonnellate, superando lo Shiraz e riprendendo il titolo di varietà regina in occasione della vendemmia 2024, detenuto l’ultima volta nel 2013. Lo Shiraz è diminuito del 14%, passando a 298 mila tonnellate, la cifra più piccola dal 2007. Il South Australia ha rappresentato la quota maggiore della raccolta (49%), ma è diminuito del 4% e ha perso 6 punti percentuali rispetto agli altri Stati. Tutti gli altri Stati, ad eccezione dell’Australia Occidentale, hanno incrementato le loro rese rispetto al 2023, con la Tasmania che ha registrato un aumento del 42%, raggiungendo una resa record di 16.702 tonnellate.

Il valore della vendemmia 2024 in Australia è stimato in 1,01 miliardi di dollari, con un aumento del 2% rispetto all’anno precedente. L’aumento del 9 % del quantitativo è stato compensato da una diminuzione complessiva del valore medio, passato da 642 dollari per tonnellata a 613 dollari per tonnellata. Nelle regioni calde dell’entroterra, sia i rossi che i bianchi hanno subito un calo del valore medio del 5%, mentre nelle regioni fredde e temperate si è registrato un piccolo aumento (3%) dei bianchi, mentre il valore medio dei rossi è rimasto invariato. Bailey afferma che il calo complessivo del valore medio è stato determinato principalmente dalla diminuzione dei prezzi medi pagati per le uve rosse e bianche provenienti dalle regioni calde dell’entroterra e dall’aumento della quota di tonnellate provenienti da queste regioni.

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Al di là del Collio: la Vipava Valley svolta su Riesling Italico e Piwi con Burja e Marlon Batič

Anche la Slovenia svolta sul Riesling italico e sui vitigni resistenti Piwi. All’inizio del prossimo anno, Burja – tra le cantine icona della Vipava Valley,  poco lontano dal confine con l’Italia – immetterà sul mercato il primo vino che menziona l’Italico con il nome tradizionale Grašica, al posto del più comune Laški rizling (Riesling italico, per l’appunto). Il nome di fantasia richiama in realtà la tradizione e si avvicina al termine Graševina utilizzato in Croazia e, ancor più, al termine Grašac, declinazione di “Riesling italico” in Serbia.

È una rivoluzione silenziosa per la Slovenia quella che Burja ha deciso di avviare, che farà la storia della viticoltura e dell’enologia nel paese e che potrebbe avere risvolti anche in Italia, qualora l’Oltrepò pavese seguisse l’esempio e decidesse di dare il via a un percorso per l’individuazione di un sinonimo utile a costruire un marketing efficace sui vini prodotti con l’Italico. Nel Pavese sono infatti presenti oltre 1200 ettari di Riesling italico, varietà neppure menzionabile in etichetta e spesso, erroneamente, confusa con il Riesling Renano, con cui l’Italico non ha nulla a che fare dal punto di vista ampelografico.

IL GRAŠICA 2023 BATIČ E LA CUVÉ PIWI DI MARLON BATIČ

Un’altra notizia arriva dalla Slovenia e, in particolare, dalla Vipava Valley. Riguarda il Piwi prodotto da Miha Batič (Marlon Batič), in vendita a circa 50 euro. Un prezzo che dice molto sull’interesse per il movimento che riguarda i “vitigni resistenti” e il loro lento ma progressivo posizionamento accanto ai vini da varietà tradizionali, anche nel segmento top di gamma.

I due vini – Grašica 2023 di Burja e Kakovostno Vino Belo Suho Zgp Vipava di Batič, ottenuta da una “cuvée segreta” di Piwi – costituiscono un ottimo esempio della vitalità enologica della Vipava Valley (in italiano Valle di Vipacco), regione vinicola slovena che brilla per un utilizzo sapientemente dosato della macerazione, al punto da elevare all’ennesima potenza le caratteristiche primarie delle varietà locali, internazionali e dei vitigni resistenti alle malattie fungine.

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50 anni di VDP.Weinbörse: l’evoluzione del vino tedesco dallo sfuso ai Grosses Gewächs


VDP.Weinbörse
compie 50 anni. L’evento dell’anno per il settore del vino in Germania è stato celebrato domenica 28 e lunedì 29 maggio presso la Rheingoldhalle di Mainz, moderno padiglione fieristico che si affaccia sulle sponde del fiume Reno. Protagonisti assoluti i 200 produttori aderenti all’associazione di vini di qualità più antica del mondo, provenienti dalle regioni
Ahr, Baden, Franken, Mittelrhein, Mosel-Saar-Ruwer, Nahe, Pfalz, Rheingau / Hessische Bergstrasse, Rheinhessen, Saale-Unstrut, Sachsen e Württemberg. Un’occasione imperdibile per importatori e rappresentanti della stampa tedesca ed internazionale, invitati a degustare in anteprima l’annata 2023. Festeggiamenti in parte rovinati dalle gelate che hanno interessato diverse regioni vinicole tedesche, con danni ingenti, tra il 70 e il 100%, in particolare sul Riesling in Mosella.

ANTEPRIMA VENDEMMIA 2023 IN GERMANIA: PAROLA D’ORDINE LONGEVITÀ

La speranza, ritenuta vana da molti osservatori, è quella di un secondo germogliamento che possa salvare almeno in parte la vendemmia 2024, che si preannuncia molto scarsa in termini quantitativi in Germania. Nel frattempo, sul mercato iniziano ad essere disponibili diversi vini della vendemmia 2023. Le centinaia di assaggi effettuati durante i cinque giorni di programma di celebrazioni dei 50 anni della VDP.Weinbörse di Mainz consentono di tratteggiare le caratteristiche di una grande annata per i vini tedeschi. Ottimi soprattutto i bianchi, caratterizzati da acidità affilate e grande potenziale in termini di longevità.

Un millesimo dalle caratteristiche climatiche tutt’altro che semplici, con i vignaioli della Vdp costretti a un grande lavoro di selezione, che molti calici hanno saputo evidenziare e premiare. In assaggio anche parecchi vini delle due vendemmie precedenti: la 2022 risulta più “pronta” e dall’acidità più bilanciata, ovviamente con i dovuti distinguo tra i produttori – sempre di più – che privilegiano freschezza e bassi tenori alcolici.

Un’annata definita da diversi produttori «esemplare» per la mancanza di ostacoli evidenti nel portare in cantina uve sane. Diverso il discorso per la vendemmia 2021, ancora una volta all’insegna di un’acidità spiccata – ben oltre la 2023 – e da un equilibrio non sempre ottimale con le altre componenti. Insomma, vista la probabile carenza di vino della vendemmia 2024, fare scorte dei vini targati 2023 è più di un consiglio (seguirà nei prossimi giorni un report sui migliori assaggi, incentrati sulla Mosella).

I 50 ANNI DELLA VDP.WEINBÖRSE DI MAINZ

Molto più di una passerella dei migliori vini tedeschi. I 50 anni della VDP.Weinbörse di Mainz si sono confermati l’occasione perfetta per ribadire i successi di mezzo secolo di anticipazioni di trend e dibattito essenziale per il mondo del vino tedesco. La “Borsa del Vino” delle 200 cantine aderenti alla VDP è termometro e cartina tornasole dello stato di salute del settore, capace di offrire una fotografia esaustiva del segmento dei fine wines in Germania. A sottolinearlo sono stati anche i numerosi relatori intervenuti in occasione della cerimonia di apertura al Rheingoldhalle di Mainz.

«Gli scopi della VDP.Weinbörse di Mainz sono cambiati negli anni – ha evidenziato Steffen Christmann, presidente dell’associazione VDP (nella foto) – ma sono sempre stati nobili, sin dalla prima Weinbörse del 1974. Oggi i vini presentati dalle cantine VDP alla Weinborse di Mainz sono venduti in buona parte in assegnazione, specie quando ci si riferisce ai Grosses Gewächs (GG) e siamo lontani dai tempi in cui costavano meno di una “birra calda”. Nuove regioni si sono affacciate a grandi livelli sul panorama internazionale e non riesco a immaginare come questo sarebbe potuto accadere senza la Borsa del Vino di Mainz, divenuta un punto di riferimento, di scambio e dialogo non solo tra cantine produttori, ma anche tra produttori».   

«Non c’è altro evento in Germania che rifletta cambiamenti e trend del vino tedesco come la VDP.Weinborse di Mainz», ha ricordato Daniel Deckers dell’Università di Geisenheim. «Quanto arrivai a Castell nel 1980 – ha aggiunto Michael Prinz zu Salm-Salm, presidente VDP dal 1990 al 2007 e fondatore nel 1989 di Salm-Salm & Partner – la cosa che mi soprese di più fu scoprire che “export” significava “fuori dai confini di Franken o della Bavaria”. In altre parole, le vendite erano concentrate fortemente sul mercato locale. Capii subito che c’era bisogno di portare Franken nel resto della Germania e quindi dell’Europa. Quale occasione migliore della Weinborse?».

DAL CALICE CONDIVISO AI 5O ANNI VDP.WEINBÖRSE NEL 2024

Tanti gli aneddoti raccolti durante le celebrazioni dei 50 anni della VDP.Weinbörse di Mainz. Negli anni Settanta, ad attendere gli ospiti della Borsa del vino organizzata sulle sponde del Reno c’era una lunga fila di tavoli. Da una parte i rappresentanti delle cantine e, dall’altra, gli agenti e i buyer in fila, in attesa di poter assaggiare i vini proposti. I vini venivano riposti in contenitori di polistirolo, capaci di conservare in modo “artigianale” la temperatura dei vini bianchi. Non c’erano vini rossi all’epoca: si contavano sulle dita di una mano.

Il tasting era focalizzato su bianchi semidolci e dolci, ottenuti anche da uve botritizzate. Una situazione che non cambiò fino agli anni Novanta. I buyer avevano a disposizione un solo bicchiere, un vecchio “Knopfkelch”, da cui tutti assaggiavano il vino. Quando il bicchiere era vuoto, veniva riempito nuovamente, dando il via al walzer degli assaggi condivisi. C’era un ufficio amministrativo che gestiva tutti gli ordini dei buyer.

Per VDP, l’appuntamento di Mainz è divenuto in poco tempo un modo per mostrarsi (e promuoversi a livello internazionale) come Davide contro Golia, proponendo scelte controcorrente sia sulle pratiche viticole che enologiche, come la valorizzazione dei vini espressione delle singole vigne e il no netto alla pratica dello zuccheraggio.

DALLO SFUSO AI “GG”: IL VINO TEDESCO FOTOGRAFATO DALLA VDP.WEINBÖRSE

«C’era un volume impressionante di vini di scarsissimo livello – ha ricordato Joachim Ress, agente di commercio presente sin dagli esordi alla Borsa del Vino di Mainz  – ai prezzi più bassi immaginabili, che nessuno voleva bere. I prezzi dello sfuso, negli anni Settanta, erano così bassi che i produttori non potevano vivere solo di quello. Aumentò così il vino in bottiglia, ma non tutte le cantine erano pronte per questo passo».

«Non avevano gli strumenti necessari per la vendita – ha aggiunto Ress – come negozi o sale degustazioni. Il ruolo di “direttore marketing” ancora non esisteva, almeno come lo conosciamo oggi. Molte etichette furono un flop. E un’altra cosa che era assolutamente impossibile da reperire erano i buoni vini rossi: oh, come sono cambiati oggi i tempi! Quanto ai Riesling, erano quasi tutti dolci o con botrite. Le cose sono nettamente cambiate negli anni e, con esse, la qualità dei vini presentati alla Weinborse».

Tanto che oggi sono i vini rossi tedeschi, soprattutto ottenuti da Pinot Nero, a contendersi in molte regioni lo scettro con i territori internazionalmente più vocati, come la Borgogna. La promessa di una nuova era per i 200 produttori aderenti alla VDP, il cui modello rischia di essere replicato su scala nazionale da una nuova, contestata legge sul vino in corso di approvazione da parte del governo.

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I produttori di Wachau ottengono la certificazione “Sustainable Austria”


Dopo una fase di conversione durata tre anni, circa 1.300 ettari di vigneti della Wachau sono stati certificati con “Sustainable Austria“. Si tratta delle parcelle coltivate dai membri dell’associazione Vinea Wachau, alcune delle quali possono vantare una pendenza a dir poco eroica. 
Più di 150 aziende vinicole contribuiscono così a consolidare il primato assoluto della notorietà della regione vinicola. Oltre alla certificazione “Austria sostenibile”, Vinea Wachau ha intenzione di attivare una serie di iniziative innovative per la biodiversità.

Tra queste, l’uso di diffusori di feromoni sintetizzati per confondere la tignola dell’acino d’uva (confusione sessuale), l’allestimento di posatoi per rapaci e cassette di nidificazione per specie rare di uccelli e un progetto di piantumazione sotto ai filari della vite. La certificazione “Sustainable Austria” potrà essere apposta alle bottiglie di Wachau delle categorie Steinfeder, Federspiel e Smaragd, a partire dall’annata 2023.

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In Armenia la Conferenza mondiale sul turismo del vino 2024


Sarà l’Armenia ad ospitare la prossima Conferenza mondiale sul turismo del vino 2024, che si svolgerà dall’11 al 13 settembre. Ad annunciarlo è UN Tourism, l’organizzazione del Turismo delle Nazioni Unite. Rinomata per le sue ricche e antiche tradizioni vinicole, l’Armenia, come paese ospitante, offre uno sfondo ideale per il meeting internazionale.
L’ottava edizione della conferenza rappresenta un’opportunità unica per gli operatori turistici di individuare tendenze emergenti e opportunità di sviluppo. L’evento riunirà una variegata gamma di partecipanti internazionali, tra cui rappresentanti di enti pubblici, organizzazioni per la gestione delle destinazioni (Dmo), organismi globali e intergovernativi, rinomati esperti del settore vinicolo e vari altri attori chiave.

L’Armenia del vino è risorta: fotografia dalla periferia del mondo

Si tratta di un forum innovativo per collaborare e ideare soluzioni concrete e una risorsa inestimabile per l’industria internazionale del turismo enogastronomico. L’Armenia, con il suo mix di antiche tradizioni vinicole, varietà di uve autoctone, terroir diversificati e un profondo legame culturale con il vino, è l’host ideale per la conferenza del 2024. Tra le molte esperienze emozionanti che attendono i partecipanti di questa conferenza, ci sarà l’opportunità di esplorare la caverna di Areni-1, dove è stata ritrovata la più antica cantina al mondo, risalente a 6.100 anni fa.

«La conferenza, destinata ad attirare appassionati e professionisti del vino a livello mondiale, promette di essere una pietra miliare per il settore. Non vediamo l’ora di dare il benvenuto a tutti in Armenia, dove i nostri paesaggi risuonano con le storie dei nostri vigneti e lo spirito dell’ospitalità scorre generosamente come i nostri migliori vini», dichiara Sisian Boghossian, a capo della Commissione Turismo del Ministero dell’economia della Repubblica d’Armenia.

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Lo Champagne nel 2024? Sostenibilità, Piwi e nuovi Bureau nei Paesi chiave


Negli ultimi 15 anni, la filiera dello Champagne
ha ridotto le emissioni di CO2 per singola bottiglia del 20% e del 50% l’impiego di fitosanitari. La denominazione spumantistica francese tratta e recupera ad oggi – dati aggiornati a novembre 2023 – il 90% dei rifiuti industriali e riutilizza il 100% di effluenti del vino e di sottoprodotti vinicoli. Il tutto avendo raddoppiato le superfici inerbite – il 70% delle superfici della denominazione è in fase di certificazione ambientale – e, in cantina, a partire dal 2010, ha alleggerito il peso della bottiglia del 7%, (da 900 a 835 grammi). L’effetto su imballaggi e trasporti ha permesso una riduzione delle emissioni pari a 17 mila tonnellate di CO2 all’anno.

«La Champagne è dunque una regione pioniera nello sviluppo sostenibile», sintetizza Gaëlle Jacquet, direttrice Protezione e Valorizzazione della denominazione Champagne, che ieri sera ha incontrato a Milano un gruppo ristretto di giornalisti, in occasione di una cena organizzata al ristorante Innocenti Evasioni dal Bureau du Champagne Italia, rappresentato per l’occasione dal direttore Domenico Avolio. Nel 2003, la Champagne è stata la prima filiera viticola al mondo a calcolare la sua impronta carbonica e ha scritto la storia, in Francia, come prima zona viticola nazionale ad avere attuato in vigna la pratica della “confusione sessuale”, con conseguente eliminazione quasi totale dei trattamenti insetticidi.

Altro primato riguarda l’utilizzo di un parco di trattori elettrici. Linea green anche con l’apertura della prima rotta merci transatlantica “oil-free”. Nel 2017, la goletta Avontuur è partita con un carico di Champagn dal porto francese di La Rochelle per arrivare nel porto di Montreal, in Canada. Questo primo viaggio ha aperto una possibile rotta marina verde tra l’Europa e l’America del Nord, che potrebbe diventare la prima linea commerciale transatlantica senza petrolio. Sul fronte viticolo, sono infine in corso sperimentazioni con la varietà Piwi Voltis, inserita nel disciplinare a titolo sperimentale per un massimo del 10%.

IL LANCIO DI CHAMPAGNE EDUCATION

Dati e curiosità snocciolate dalla direttrice Gaëlle Jacquet in occasione di una cena che ha avuto anche scopo ludico ed educativo, che ha visto l’abbinamento – talvolta ardito – di 6 Champagne con le creazioni dello chef di Innocenti Evasioni, Tommaso Arrigoni: Bruno Paillard Rosé Prèmiere Cuvée, Duval Leroy Rosé Prestige Premier Cru, Laurent-Perrier Blanc de Blancs Brut Nature, Michel Nicaise Brut Tradition, Pommery Apanage Blanc de Noirs e Roger Coulon Heri Hodie. Un format che sarà riproposto in occasione di Champagne Education, il primo programma completo di formazione creato dal Comité Champagne, l’ente che riunisce tutte le Maison e tutti i viticoltori della regione viticola, con l’obiettivo di formare i professionisti del vino e di rafforzare le loro competenze nel dialogo con i consumatori.

Disponibile in cinque lingue, inclusa la versione in italiano, Champagne Education è accessibile al link www.champagne.education/it ed è un progetto interattivo che consente di seguire un percorso di formazione completo a partire dal proprio livello di conoscenze. Dai quiz per testare le proprie competenze iniziali fino alla formazione certificata, il portale è strutturato in cinque aree. Per conoscere al meglio il re dei vini, il passaggio iniziale è Champagne MOOC, il primo strumento di formazione online sullo Champagne. Il corso ha una durata di circa cinque ore, è accessibile 24 ore su 24 e sette giorni su sette ed è articolato in 54 video divisi in quattro aree tematiche: “Diversità e degustazione”, “L’elaborazione dello Champagne”, “Il Terroir Champenois” e “Storia ed Economia dello Champagne”.

LA NUOVA FIGURA DELLO CHAMPAGNE SPECIALIST

Al termine di ogni sezione è previsto un test per verificare i progressi e misurare il grado di apprendimento. L’area quiz e giochi è pensata per testare le conoscenze sullo Champagne e imparare in modo divertente e interattivo. Per mettersi alla prova basta sceglie un argomento tra vinificazione, viticoltura, Champagne nel mondo, turismo in Champagne, storia e gastronomia e rispondere a un set di 10 domande con diversi livelli di difficoltà. “A Champagne Story” è invece un “serious game” che consente ai partecipanti di simulare un anno di attività in Champagne nei panni del personaggio Julie che, insieme ai suoi fratelli, rileva la tenuta dei genitori per rilanciare il marchio di famiglia. Dalla vendemmia all’assemblaggio, i giocatori si cimenteranno in diverse attività.

Il portale www.champagne.education/it presenta anche un’ampia sezione di risorse per la didattica da scaricare gratuitamente. Dalle schede tematiche che vanno dalla storia allo sviluppo sostenibile fino ai video didattici e alle mappe della regione. Il portale è inoltre il punto di partenza per le attività di formazione in presenza. “Champagne Specialist” è il corso che consente di ricevere una certificazione rilasciata dal Comité Champagne attraverso la rete di centri partner selezionati in tutto il mondo e la formazione personalizzata. Con questa modalità distributori, enoteche, catene di hotel e ristoratori, così come insegnanti di scuole alberghiere, potranno mettersi in contatto con il Bureau in Italia per accedere alle attività programmate dal Bureau in Italia.

CHAMPAGNE: NUOVE TENDENZE E MERCATI EMERGENTI

Sempre in occasione della cena con la stampa a Milano, Gaëlle Jacquet ha passato in rassegna le ultime tendenze di mercato dello Champagne. «I consumi e i mercati – ha spiegato – si stanno evolvendo. Da sottolineare il forte aumento degli Champagne rosé, che sono cresciuti di 5 volte negli ultimi 20 anni. Nel 2002 rappresentavano solo il 4% delle vendite all’esportazione, nel 2022 rappresenteranno più del 10% con 20 milioni di bottiglie. In fortissima crescita sono anche gli Champagne a basso dosaggio (Extra Brut e non dosati), il cui volume è aumentato di quasi 70 volte nello stesso periodo, per raggiungere 6,4 milioni di bottiglie nel 2022. Con 171,7 milioni di bottiglie, le esportazioni rappresentano oggi quasi il 60% delle vendite totali, rispetto al 45% di dieci anni fa. Oggi, comunque, l’80% dello Champagne è ancora venduto in otto Paesi».

Canada, Messico e Corea del Sud sono tra i Paesi che stanno dimostrando un forte interesse verso lo Champagne, con una notevole crescita negli ultimi 10 anni. Rispetto al 2022, in Canada, il consumo è raddoppiato per raggiungere i 3,5 milioni. In Messico, l’aumento è stato ancora più sorprendente, triplicando i volumi e raggiungendo i 2,3 milioni di bottiglie. Anche in Corea del Sud la crescita è stata esemplare, aumentando di 4,5 volte e toccando i 2,3 milioni di bottiglie.

NUOVI “BUREAU CHAMPAGNE” IN CANADA E SVEZIA

«A dimostrazione del dinamismo di alcuni mercati – continua la direttrice Gaëlle Jacquet – stiamo estendendo la nostra rete dei Bureau, che potremmo definire le “ambasciate dello Champagne”. Stiamo aprendo un nuovo ufficio a Stoccolma, in Svezia, che lavorerà sui paesi scandinavi (Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca). L’apertura di questo ufficio è fondamentale per il nostro sviluppo futuro, poiché nei Paesi nordici il settore ha grandi ambizioni. Gli scandinavi sono amanti del vino e dello Champagne, come dimostra la crescente domanda di informazioni e, soprattutto, l’eccezionale crescita dei consumi: +67% in 10 anni».

Nonostante i dati 2023 delle spedizioni non del tutto confortanti, per certi versi segnale della congiuntura internazionale, lo Champagne rimane dunque «un punto di riferimento per i consumatori». «Ciò emerge anche dallo studio qualitativo realizzato nel 2023 da un istituto di ricerca indipendente come Ipsos – sottolinea Jacquet – che conferma l’immagine eccezionale dello Champagne e la sua posizione di leader indiscusso del lusso e del prestigio. I consumatori, insieme alla qualità, riconoscono allo Champagne il ruolo simbolico di prodotto iconico e la sua forte carica emozionale».

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Sul Cava Meeting 2023 e su quanto siamo lontani da chi beve vino (Prosecco incluso)


EDITORIALE –
C’era da aspettarselo, o forse no. Il Cava Meeting 2023, l’evento dell’anno per la denominazione spumantistica spagnola che nel 2022 ha venduto 249,135 milioni di bottiglie (+ 4.58% rispetto al 2021) esportandone il 69%, avrebbe potuto trasformarsi nell’esercizio di autocelebrazione ormai così consueto nel settore da rischiare di passare inosservato, al giudizio dei più. È andata, invece, pressoché all’opposto, tra inutili criticismi e punti rimasti oscuri sul futuro. Nella tre giorni di Barcellona del 26, 27 e 28 novembre, c’è chi è riuscito a massacrare (a parole, s’intende) il vino simbolo di una nazione intera, con il pressapochismo e lo snobismo tipico di chi è abituato ad analizzare il vino in giacca e cravatta; senza calarsi mai (m-a-i) tra la gente, o immaginarsi seduto a una tavola diversa da quella di un ristorante stellato, in compagnia di persone appartenenti al proprio “rango”. Magari dopo il tè delle 5.

Non farò i nomi perché, questa volta, contano poco alla fine dei conti. A preoccuparmi, tout court, è il messaggio che arriva dal settore e da alcuni dei suoi “specialisti”. In un periodo in cui ci si interroga su come coinvolgere le nuove generazioni nella cultura del bere e in cui si è costretti a spiegare la differenza tra “consumo” e “abuso” di alcolici, c’è ancora troppa gente a cui viene dato un microfono per parlarsi addosso, in sostanza per dire (o provare a suggerire) “quanti euro/dollari/sterline” dovrebbe costare una “buona bottiglia” (guarda caso sempre tanto), senza concentrarsi, invece, sul “dove, quando, cosa, chi, perché”.

Il risultato? Sempre più consumatori si allontano dal vino, spaventati dal costo minimo (presunto) di una “bottiglia buona” e – ancor più – dalla retorica dell’artigianalità e “dell’integralmente prodotto” come sinonimo di qualità assoluta e garantita: la Docg delle dimensioni che contano, a livello inversamente proporzionale. La più grande panzana del marketing enoico dei giorni nostri diventa regola d’oro per approfittare di un palco. Ergersi a paladini del “vino per pochi”. E sostenere, tronfi, “costa tanto, dunque è buono, questa è la strada, ergo sum“.

FANTASIE SNOB: «MENO CAVA E SOLO PER L’ALTA GASTRONOMIA»

Al Cava Meeting 2023 ho sentito chiaramente dire che, «per aumentare la redditività del prodotto bisognerebbe produrne di meno». Facile, no? Soluzioni dal sala del tè delle 5, snocciolate “aggratis” dal palco di uno degli eventi mondiali dell’anno. In realtà, per chiunque abbia un minimo di contatto con la realtà quotidiana del settore, l’idea che il Cava, per risollevare le proprie sorti – o, meglio, la propria immagine logorata dagli entry level venduti nel mondo a prezzi da discount per un Metodo classico – debba seguire l’esempio di Bordeaux (650 milioni di bottiglie commercializzate all’anno, 5 mila chateau, 52 cooperative e 125 mila ettari complessivi, contro i 38.274 della DO spagnola) è aberrante. Se in Francia ci si può permettere di espiantare “per decreto” 9.500 ettari, in Spagna una decisione simile scatenerebbe (giustamente) la rivoluzione.

E se è davvero questa la panacea prospettata degli “esperti del settore”, allora servirebbe anche il coraggio di finire la frase: chiedendo pubblicamente ad aziende come Freixenet, Codorniù, Garcia-Carrion o Vallformosa – che da sole o, meglio, grazie a migliaia di soci viticoltori, producono oltre il 70% delle bottiglie del Cava – di abbandonare il Consejo Regulador, spianando la strada ai soli Elaborador integral, i “piccoli” produttori di filiera (il che sarebbe l’ennesima follia). Altro capitolo, quello del target del Cava: a chi dovrebbe rivolgersi lo spumante spagnolo per accrescere la propria reputazione? Secondo alcuni degli esperti intervenuti al Meeting 2023, «dovrebbe concentrarsi solo sull’alta ristorazione, per riposizionarsi ad alti livelli d’immagine, soprattutto all’estero e in Uk».

Peccato che la quota relativa all’apice della piramide produttiva (Cava de Superior Reserva, Cava de Superior Gran Reserva e, ancor più, Cava de Superior Paratge Qualificat – a proposito: qualcuno si è chiesto quanto sono difficili da memorizzare questi nomi all’estero?!) riguardi una minuscola percentuale del totale della produzione, incapace al momento di fare massa critica. Abbandonare il target “festeggiamenti” / “celebrazioni”, in cui si inseriscono i “base” con affinamento di 9 mesi – segmento fortemente presidiato nelle politiche di marketing nazionali e globali delle grandi case spumantistiche spagnole – sarebbe un po’ come rinnegare l’origine stessa del Cava, in voga dal 1872 come “bollicina” delle feste, da preferire allo Champagne francese.

IL CAVA E LE SUE 4 “SOTTOZONE”: VALORE OPPURE OSTACOLO?

Dubbi, da parte di qualche relatore, anche sulle potenzialità della valorizzazione dell’origine e delle sottozone (Comtats de Barcelona, Valle del Ebro, Viñedos de Almendralejo e “Zona de Levante“). In Spagna – a differenza di quanto sta cercando di fare faticosamente il Consejo Regulador guidato da Javier Pagés , uscito fieramente a testa alta dal Cava Meeting 2023 proprio grazie alla mancanza di soluzioni logiche a problemi reali come la redditività e la ridistribuzione di un valore uniforme su tutta la base consortile – c’è chi è convinto che questa non sia la strada da seguire: «Troppo difficile, il mercato non riconoscerebbe le sottozone e i consumatori si confonderebbero».

Oibò: qualcosa non torna (ancora una volta, e non è la prima) perché l’origine dei vini è da sempre – e lo è oggi, a maggior ragione – una peculiarità nelle carte dei vini dell’alta ristorazione e nella differenziazione dei vini di qualità. Che fare, allora? Piangersi un po’ addosso, di sicuro. Già, perché nella retorica spagnola – molto più comunemente di quanto si possa immaginare – competitor diretti come gli italiani sono semplicemente considerati «migliori venditori», al di là del prodotto. E sarebbe questa la principale ragione del successo dei nostri (e di altri) vini (Prosecco in primis). «Noi spagnoli siamo così incapaci di “venderci” – ha dichiarato uno dei relatori del Cava Meeting 2023 – che altri hanno prodotti peggiori, ma li vendono meglio».

Il tutto, a seguito di una delle frasi più scioccanti (in termini di banalità del concetto) arrivate dal palco del convegno: «Il Prosecco è fatto da una macchina, il Cava è molto più difficile da produrre, essendo un Metodo classico». Eppure è proprio una scelta degli spagnoli quella di continuare ad accostare il Cava al Prosecco (chiaramente per via dello scarso posizionamento prezzo medio del Metodo classico Made in Spain, misconoscendo – tra gli altri aspetti – la costante progressione del valore del Conegliano Valdobbiadene). Pagés, stuzzicato sull’argomento dal sottoscritto, ammette in maniera molto onesta che «il continuo accostamento del Cava al Prosecco è un errore».

CAVA CHIAMA PIANETA TERRA: GLI INTERVENTI REALISTICI DI MESTRES E FREIXENET

Della stessa opinione sembrano essere anche altri interpreti di grande visione come Jaume Vial, direttore vendite di Mestres, e Pedro Ferrer, vicepresidente di Henkell Freixenet Group (che in Italia produce Prosecco con Mionetto), secondo i quali servirebbe un cambio di passo nella forma-mentis dei viticoltori locali. «Un Cava di 9 mesi è uguale a uno di 18, 24 o 36? Certo che no. Ma possono coesistere e, per ognuno, bisogna creare una linea di comunicazione differente, capace di raggiungere il determinato target di consumatori, senza esclusioni. Spesso, nel mondo del vino, ci parliamo addosso senza capire chi abbiamo di fronte», ha chiosato coraggiosamente Vial, confermandosi profondo conoscitore delle (reali) dinamiche del mercato internazionale, ben al di là delle sale da tè e dei salotti “bene”.

«Come si fa ad alzare il prezzo del Cava? Il valore di una bottiglia risiede spesso nel brand. E il Cava ha molti brand di valore. Non si può pensare di incrementare il valore riducendo semplicemente la produzione. Al contrario, le produzioni al vertice della piramide qualitativa devono spingere verso l’alto quelle alla base della piramide qualitativa, per generare maggiore redditività lungo tutta la catena. Ascoltare i consumatori deve essere una priorità: nel mondo del Cava possono coesistere diverse anime e interpretazioni», ha fatto eco Ferrer.

Nel frattempo, tanto tra le giovani generazioni di produttori spagnoli quanto tra le aziende che godono di una certa storicità nel mondo Cava, si fa avanti lo “spettro” del Pét-Nat. Vini più esili, immediati e meno costosi da produrre, che piacciono ai giovani di mezzo mondo e sono in grado di catturare facilmente l’attenzione per la loro attitudine spensierata e funky, proponendosi come alternativa di qualità alla birra. La formula vale per i “big” tanto quanto per aziende più di nicchia e certificate biologiche come Alta Alella, passate da 2 a 15 mila bottiglie di Pét-Nat in 6 anni, pur continuando a credere (fortemente e con ottimi risultati) nei Cava da lungo affinamento. E se il segreto del successo del Cava fosse un passo indietro, per farne 10 in avanti?

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Liv-ex Power 100 2023: Bordeaux porto sicuro, Italia in bianco e nero


Bordeaux
è emerso come vincitore naturale nella classifica Liv-ex Power 100 2023. Bordeaux si conferma così porto sicuro per collezionisti di vini pregiati. È il mercato meno rischioso che esista, il meglio compreso; i collezionisti sanno cosa aspettarsi da questi vini, ovvero qualità a un certo prezzo e relativa liquidità. Lo dice chiaro l’
ultimo rapporto del London International Vintner’s Exchange (Liv-ex). Nello stesso anno, per l’Italia, perde 33 posizioni il brand Masseto. Il Bel Paese se la cava meglio sul fronte del numero di vini commercializzati, specie tra i produttori del Piemonte.

Roagna, Rinaldi, Vietti e Gaja vedono un elevato numero di etichette, alcune delle quali offrono un buon punto di prezzo rispetto a Conterno e Bartolo, attirando gli acquirenti di valore. Vietti si è piazzato al 21° posto per numero di vini commercializzati e Roagna al 38°, aumentando la sua posizione complessiva dal 158° posto del 2022 al 46° del 2023. Anche Giuseppe Rinaldi figura nella lista dei maggiori incrementi complessivi, passando dall’85° al 15° posto.

Più in generale, l’Italia ha guadagnato un marchio con Vietti, che ha registrato una performance particolarmente positiva per quanto riguarda il numero di vini scambiati. Dominio de Pingus ha raggiunto Vega Sicilia come secondo marchio spagnolo nella Liv-ex Power 100 2023, grazie a una performance positiva dei prezzi e al valore e ai volumi scambiati in borsa, in particolare delle etichette PSI e Flor de Pingus. Anche un marchio svizzero è entrato in classifica, Gantenbein, che ha brillato per la sua performance di prezzo del 10,8%.

PERCHÈ BORDEAUX SBARAGLIA LA LIV-EX POWER 100 2023

«La debolezza del mercato – commenta Justin Gibbs, vicepresidente e direttore di Liv-ex – rende la classifica 2023 particolarmente interessante. I marchi che hanno guidato il mercato fino al suo picco dell’ottobre 2022 stanno ora risentendo maggiormente della correzione. Gli acquirenti hanno affinato la loro attenzione per riflettere una maggiore avversione al rischio: sono alla ricerca di marchi stabili e liquidi, che offrano un valore relativo e che favoriscano il Bordeaux rispetto alla Borgogna e alla California».

La Power 100 è un’istantanea del panorama in continua evoluzione del mercato secondario e la lista di quest’anno ha colto il mercato in piena correzione dei prezzi. Il numero di marchi che si sono qualificati per l’inclusione nella Power 100 è diminuito del 2,1% nel 2023. Il motivo? I collezionisti hanno ristretto la loro attenzione ai vini di qualità più elevata.

Nonostante la quota commerciale della California sia rimasta relativamente stabile, la regione ha perso cinque vini nella Liv-ex Power 100 2023 rispetto all’anno precedente. L’avversione generale al rischio e gli aumenti dei prezzi registrati in Borgogna hanno fatto sì che alcuni dei marchi più “recenti” della regione, che erano entrati nella Power 100 nel 2022, siano usciti dalla classifica, in quanto i collezionisti cercano sicurezza (e profitti) nelle etichette blue chip.

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Vendemmia 2023 in California: un’annata eccezionale su 250 mila ettari


La vendemmia 2023 in California? «Eccezionale» secondo i viticoltori che aderiscono al California Wine Institute, l’ente fondato nel
1934 che raggruppa oltre mille cantine californiane e imprese del settore. Le abbondanti piogge invernali hanno rivitalizzato i terreni e favorito lo sviluppo della vite. Le temperature fresche in tutta la California, in primavera ed estate, hanno permesso all’uva di svilupparsi gradualmente, godendo di tempi di maturazione extra. Con i primi mosti in cantina, molti viticoltori prevedono che la vendemmia 2023 in sarà «una delle più belle degli ultimi anni, producendo vini con profili organolettici meravigliosi, acidità vibrante e notevole equilibrio».

La raccolta è iniziata tardi in tutta la California, con un ritardo da due settimane a un mese intero rispetto alla media. Molte varietà hanno raggiunto la maturità simultaneamente, determinando un raccolto compresso. Alcuni viticoltori prevedevano di continuare a raccogliere l’uva fino alla fine di novembre. La California produce circa l’80% del vino nazionale, rendendola la quarta regione produttrice di vino al mondo.

Oltre l’80% del vino californiano viene prodotto da aziende certificate sostenibili della California. Oltre la metà dei circa 615.000 acri di vigneti, pari a 248.881 ettari, sono certificati secondo uno dei programmi di sostenibilità della California (Certified California Sustainable Winegrowing, Fish Friendly Farming, Lodi Rules, Napa Green e SIP Certificato). Nel 2022, lo stato ha prodotto 599,557,535 degli 752,077,206 galloni degli Usa, pari appunto a circa l’80% della produzione complessiva (22 dei 28 milioni di ettolitri).

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Morto Antoni Mata, presidente di Recaredo


Lutto nel mondo del vino spagnolo per la comparsa a 81 anni di Antoni Mata, uomo immagine e presidente della nota casa spumantistica Recaredo, ai massimi livelli nella produzione del Corpinnat.
Nato il 28 aprile 1942 a Can Credo, casa della famiglia Recaredo a Sant Sadurní d’Anoia, ha portato avanti il progetto familiare con una visione globale totale e rivoluzionaria. Ad Antoni Mata si deve l’innovativa produzione di spumanti di terroir, capaci di esprimere l’identità più autentica del Penedès e di competere in prestigio e qualità con gli spumanti internazionali.

«Proveniamo da una famiglia di ceramisti – amava ricordare – e abbiamo iniziato a produrre i nostri spumanti con le uve provenienti dai vigneti dei nostri nonni materni. Più vedevamo il grande legame tra la coltivazione della vite e i Brut Nature e i Cava di lungo invecchiamento che ci piacevano, più eravamo incoraggiati a cercare le migliori tenute del Penedès». Ed è così che la sua “ossessione” di diventare un vero viticoltore lo ha portato a guidare l’ulteriore acquisizione di vigneti per la cantina di famiglia Recaredo.

Aperto all’evoluzione e ai continui cambiamenti, Antoni Mata ha privilegiato la fedeltà all’uso del tappo di sughero naturale come garante di un lungo invecchiamento in bottiglia, in un contesto storico in cui l’industrializzazione del settore ha comportato l’introduzione dei tappi a corona per lo spumante. Questa singolarità, unita al fermo impegno di creare spumanti senza liqueur, ha forgiato lo stile di un metodo classico gastronomico e soprattutto fedele al suolo, lontano da mode o correnti. «Antoni Mata – ricorda la famiglia – appartiene a una generazione educata all’austerità del tempo in cui ha vissuto. Una generazione che ha lavorato senza guardare l’orologio e con l’impegno, sempre, dell’eccellenza e del lavoro ben fatto».

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Wine Vision by Open Balkan: Veronafiere a Belgrado con 50 cantine


Come anticipato il 27 giugno scorso da winemag.it, fa rotta sui Balcani la missione di promozione del vino italiano di Vinitaly e ICE Agenzia, che da giovedì 16 a domenica 19 novembre 2023 approda a Belgrado (Serbia) per la seconda edizione di Wine Vision by Open Balkan, prima e più grande fiera enologica nel sud est Europa che lo scorso anno ha ospitato 350 cantine provenienti da 20 Paesi e più di 30mila visitatori da 40 nazioni. Qui l’«Area Italia» conterà più di 1000 metri quadrati riservati al tricolore (la richiesta iniziale era pure superiore). Diventerà il punto di ritrovo per buyer, professionisti e opinion maker di settore, interessati a conoscere e approfondire non solo le proposte delle 50 aziende della collettiva italiana, ma anche contatti, strategie e opportunità commerciali per il vino made in Italy.

Una fiera, Wine Vision Open Balkan, che assume un ruolo sempre più centrale nel panorama degli eventi europei ed internazionali del settore. Basti pensare che, secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, nei primi 6 mesi 2023 le vendite di vino italiano nell’area dell’Est Europa (Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia Del Nord, Moldavia, Montenegro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Turchia) con l’Austria hanno registrato un aumento del 16,5%, per un controvalore nel semestre di 243 milioni di euro. Una crescita in controtendenza rispetto alle performance globali del settore nella prima metà dell’anno (-0,4%) che conferma la leadership italiana nell’area considerata.

WINE VISION BY OPEN BALKAN SEMPRE PIÙ CENTRALE

«Dopo il successo della partecipazione della delegazione Open Balkan allo scorso Vinitaly – commenta l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese – vogliamo continuare a presidiare e sviluppare il business del vino nei Balcani e nell’Est Europa, un mercato dove il vino italiano è riuscito lo scorso anno a sorpassare la Francia in quantità e valori, divenendo il principale fornitore Ue. Un primo risultato importante e da capitalizzare attraverso un’azione mirata sia di posizionamento e penetrazione, ma anche attivando il reclutamento e lavorando sugli incoming in vista di Vinitaly 2024».

«La partecipazione dell’Italia a Wine Vision – ricorda l’Ambasciatore d’Italia in Serbia, Luca Gori – si inserisce nel quadro della Settimana della Cucina italiana nel Mondo, l’iniziativa della Farnesina che promuove le eccellenze della nostra tradizione culinaria. A questo riguardo, il vino resta uno dei prodotti più apprezzati anche all’estero come dimostra il valore delle sue esportazioni che nel primo semestre del 2023 ha raggiunto i 3,7 miliardi di euro».

«I Balcani – aggiunge il presidente di ICE, Matteo Zoppas – con questa iniziativa sono al centro dell’attenzione della cabina di regia del nostro governo e la nostra agenzia punta molto su quest’area. Sono paesi ancora a forte sviluppo, dove l’attenzione per l’Italia sta crescendo, il made in Italy è molto apprezzato ed il vino è uno dei prodotti strategici. Non c’è un ristorante internazionale di livello che non abbia una importante carta dei vini italiani e ciò testimonia come l’Italia anche su questo sia un riferimento nel mondo».

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Cosa succede al vino australiano? Export a picco nel 2023


Le esportazioni di vino australiano sono diminuite dell’11% in valore (a 1,79 miliardi di dollari) e del 4% in volume (a 604 milioni di litri) nell’anno conclusosi a settembre 2023, secondo l’ultimo Rapporto sulle esportazioni di Wine Australia. Buone notizie arrivano però dalla Cina, che ha accettato di intraprendere una «revisione accelerata» dei dazi sulle importazioni di vino australiano. Un passo molto gradito dai viticoltori e produttori di vino di tutto il Paese, con Wine Australia che continuerà a lavorare a stretto contatto con il governo australiano e con Australian Grape & Wine «per sostenere questo processo in ogni modo possibile».

Nell’isola ci ci interroga tuttavia sulle cause del crollo dell’export di vino australiano, ben al di sotto delle medie di lungo periodo. Le cause vengono innanzitutto addebitate al «calo globale del consumo di vino in molti mercati maturi, dove viene venduta la maggior parte dei volumi di esportazione australiani, soprattutto i vini “commerciali” da meno di 10 dollari a bottiglia». Le pressioni sul costo della vita stanno inoltre rallentando la tendenza a lungo termine della premiumisation globale. «Alcuni consumatori – spiega Wine Australia nel commentare i dati disastrosi del 2023 – stanno moderando il consumo di alcolici come strategia di risparmio».

Entrando nel dettaglio dell’analisi, Regno Unito, Canada e Usa sono stati i principali responsabili del calo dei volumi nell’ultimo trimestre. Questa performance riflette le «ampie sfide economiche» per le vendite di vino nell’Uk, come l’inflazione e l’aumento delle tasse e delle imposte sugli alcolici. Allo stesso modo, i livelli elevati di spedizioni di vino non confezionato in Canada stanno mostrando segni di stabilizzazione, mentre i volumi di vino confezionato hanno continuato a diminuire. Un dato che, per certi versi, accomuna l’Australia all’Italia e ai 12 Paesi Top Exporter internazionali.

CRESCE IL NUMERO DI IMPORTATORI DI VINO AUSTRALIANO

«Negli ultimi 12 mesi – spiega Peter Bailey, responsabile dei Market Insights di Wine Australia – il valore totale delle esportazioni ha avuto una traiettoria discendente dopo il picco di 3,1 miliardi di dollari raggiunto nei 12 mesi terminati a ottobre 2020. Gli Usa sono stati i principali responsabili del calo complessivo del valore, insieme al Canada e al Regno Unito. La crescita verso Hong Kong ha compensato parte di questo calo. Tuttavia, nonostante il calo dell’anno scorso, nell’ultimo trimestre si sono registrati alcuni segnali positivi negli Stati Uniti, con una crescita delle esportazioni dell’8% in valore rispetto allo stesso trimestre del 2022.

Anche il numero di esportatori di vino australiano è aumentato a 1.247 nell’anno conclusosi a settembre 2023, con 98 aziende esportatrici in più rispetto all’anno precedente. Il mercato che ha registrato la maggiore crescita del numero di esportatori tra i mercati principali è stato Hong Kong, seguito da Thailandia e Vietnam».

EXPORT VINO AUSTRALIANO: CALA ANCHE SINGAPORE

In Asia si sono registrati risultati contrastanti, tra cui un calo delle esportazioni verso Singapore e un aumento delle esportazioni verso Hong Kong. Due hub commerciali chiave della regione, che riflettono le attuali condizioni volatili del mercato. I mercati emergenti chiave, come la Thailandia e le Filippine, sono cresciuti in valore durante questo periodo.

I primi cinque mercati per valore (annualità chiusa a settembre 2023)

Stati Uniti (in calo dell’11% a 366 milioni di dollari: quota del 20% del valore totale delle esportazioni)
Regno Unito (-10% a 354 milioni di dollari: quota del 20% del valore totale delle esportazioni)
Hong Kong (+26% a 205 milioni di dollari: quota dell’11% del valore totale delle esportazioni)
Canada (in calo del 22% a 148 milioni di dollari: quota dell’8% sul valore totale delle esportazioni)
Singapore (-12% a 117 milioni di dollari: quota del 7% del valore totale delle esportazioni)

I primi cinque mercati per volume

Regno Unito (-3% a 215 milioni di litri: 36% del volume totale delle esportazioni)
Stati Uniti (-4%, 134 milioni di litri: 22% del volume totale delle esportazioni)
Canada (+20% a 74 milioni di litri: quota del 12% del volume totale delle esportazioni)
Nuova Zelanda (-3% a 31 milioni di litri: 5% del volume totale delle esportazioni)
Germania (-9% a 28 milioni di litri: 5% del volume totale delle esportazioni)

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L’Armenia del vino è risorta: fotografia dalla periferia del mondo


«Vedi l’asfalto nuovo di zecca? Lo hanno appena steso, in tutto il quartiere. Ho vissuto qui più di 30 anni e c’è sempre stata la polvere…». Si avverte ancora l’odore del catrame davanti alla casa in cui Aram Machanyan è cresciuto e ha visto trasformarsi in realtà il sogno di diventare produttore di vino in Armenia. Inizia a imbrunire nella periferia della capitale Yerevan. I profumi che si mescolano nell’aria, ancora calda, sembrano un tuffo nelle tazze di tè locali.

La luce dei lampioni illumina quattro ragazzini che hanno trasformato la via in un campo di pallavolo, tirando una corda bianca da una parte all’altra della strada, a un metro e mezzo d’altezza. Ora che c’è l’asfalto è più semplice mantenere l’equilibrio ed evitare di sbucciarsi le ginocchia. L’Armenia del vino, nel 2023, assomiglia tutta al frammento di una storia di periferia catturata per caso, più con l’anima che con gli occhi. A metà ottobre.

È il frutto di visone, investimenti. Attaccamento alla vita e voglia di riscatto. È coraggio ed è follia. Come quella volta in cui Aram e i fratelli Samvel e Hrachya hanno preso l’auto e si sono diretti in Turchia, per cercare il vigneto appartenuto al capostipite Gevorg Machanyan, superstite del genocidio del 1915 che lo costrinse ad abbandonare la terra natia (da profugo). E ricominciare da capo, nell’attuale capitale armena.

Da quelle barbatelle, rinvenute tra rocce e sterpaglie, è nato un nuovo, micro vigneto. Pochi filari, al centro del cortile della casa di Yerevan che è stata teatro dei primi esperimenti di vinificazione “garagista” dei fratelli Machanyan, oggi sul mercato con il prestigioso brand di vini naturali Alluria Wines. L’ultima creazione è “The Beast“, “La Bestia”. Un vino “fortificato” di cui poco si sa. E poco, in fondo, serve sapere: «Deve stupire chi ha il coraggio di avvicinarcisi, superato il Rubicone del pregiudizio», taglia corto Samvel.

IL RINASCIMENTO DEL VINO ARMENO

È un Rinascimento silenzioso ma fiero, quello del vino armeno. Nelle cantine del Paese, piene zeppe di macchinari italiani – dalle vasche d’acciaio alle presse, passando per i filtri e le diraspatrici di un noto brand del Veneto – nonché di consulenti agronomi ed enologi provenienti dal Bel Paese, si respira l’aria rarefatta di una bolla appannata, in cui si corre con fiducia verso il traguardo, pur non smettendo mai di guardarsi le spalle. Entusiasmo e timore si mescolano a fronte dei numerosi riconoscimenti internazionali conquistati dalle cantine armene nell’ultimo decennio, soffocati dall’instabilità di una nazione sovrana costantemente sotto attacco. Su più fronti.

Ad Est, la superiorità militare dell’Azerbaijan e il silenzio immobile di Europa e Stati Uniti di fronte alla vergogna della pulizia etnica, è costata l’abbandono forzato della regione del Nagorno-Karabakh a 100 mila armeni, sul finire di settembre 2023. L’enorme schiera di profughi lasciati senza casa, cibo e vestiti da Baku e dal suo presidente Ilham Aliyev è il volto più tragico dell’ennesimo conflitto che obbliga il Paese a rimboccarsi le maniche. Senza piangersi addosso. E a farne le spese è anche il settore del vino, già alle prese con la ricerca di nuovi sbocchi di mercato, vista l’ormai scarsa affidabilità del partner principale (la Russia).

Dall’occupato Nagorno-Karabakh, noto anche col nome di Artsakh, proviene gran parte del legno utilizzato per la produzione di barrique e tonneau armene, capaci di sposare alla perfezione i caratteri di vitigni autoctoni a bacca rossa come Haghtanak e Sev Areni; oltre a conferire grassezza e stratificazione ad uve bianche autoctone come Kangoun e Voskehat. Proprio dai territori annessi dall’Azerbaijan nel silenzio complice della comunità internazionale proviene un imprenditore vitivinicolo che è considerato un eroe, in Armenia: Grigori Avetissyan.

L’ABBANDONO FORZATO DEI VIGNETI IN ARTSAKH (NAGORNO-KARABAKH)

Costretto a lasciare la propria cantina in Artsakh nel 2020, dopo aver combattuto in prima linea contro l’avanzamento delle truppe azere nel villaggio di Togh, questo partigiano-vignaiolo ha trasferito l’attività produttiva del suo Domaine Avetissyan e del brand Kataro Wines nel Vayots Dzor, per l’esattezza ad Areni. Qui, in una cantina moderna, sotto la supervisione del talentuoso enologo Andrànik Manvelyan, vengono prodotti alcuni tra i migliori vini armeni dalle varietà locali.

In commercio c’è anche l’ultima annata dei vini prodotti con le uve provenienti dall’Artsakh. Dei vigneti e della cantina originaria non resta più nulla. I militari azeri hanno recapitato a Grigori Avetissyan i video dello sversamento delle vasche e delle botti di legno, «nel nome di Allah». Uno sgarro alla prima nazione al mondo ad adottare il Cristianesimo (ancora oggi il 95% della popolazione armena, pari a 2,3 milioni di persone, è cristiana). Una ferita aperta nel cuore del produttore, che non smette di credere di poter tornare, un giorno, a coltivare i suoi vigneti nelle terre occupate.

LA FORZA DELLE DONNE ARMENE NEL SETTORE DEL VINO

Nel frattempo, i vignaioli armeni si fanno forza l’un l’altro, uniti sotto al “cappello” della Vine and Wine Foundation of Armenia, la Fondazione della Vite e del Vino armeno che coopera con GizDeutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit, principale agenzia di sviluppo tedesca nel campo della cooperazione internazionale. A guidare l’organismo governativo interprofessionale è Zaruhi Muradyan, donna che ha segnato il cammino di molte produttrici nel Paese del Caucaso meridionale. La sua Zara Wines è diventata un caso all’ingresso sul mercato in Armenia, nel 2012. Da allora, nel settore, l’imprenditoria femminile è esplosa.

Ed oggi non è affatto difficile scoprire che, dietro ai migliori vini armeni, ci sia il tocco di una donna. Su tutte è il caso di Alina Mkrtchyan, co-fondatrice di Voskeni Wines nell’Ararat Valley, che firma un Areni Riserva da favola. Ma anche quello di Arusyak Tadevosyan, winemaker del colosso del brandy Manukyan che, dal 2016, è sotto i riflettori internazionali con i suoi tagli tra le varietà locali e quelle internazionali, in pieno stile bordolese. Oltre a coordinare l’export, cresciuto del 50% tra il 2021 e il 2022, le attività della Vine and Wine Foundation of Armenia si spingono sin dentro il tessuto sociale, con risvolti positivi sui consumatori.

I CONSUMI DI VINO E IL PRIMO WINE BAR DELL’ARMENIA: INVINO


A dispetto dei trend internazionali, i consumi di vino nel Paese stanno vivendo un momento d’oro. Negli ultimi 7 anni sono passati da 2 a circa 4,5 litri pro capite. Lo sa bene Mariam Saghatelyan, che nel dicembre 2012 ha fondato a Yerevan il primo wine-bar dell’Armenia: InVino. L’ennesima donna di successo sulla scena del vino armeno. «La scelta di aprire un’enoteca con mescita – spiega Mariam, che all’epoca aveva solo 19 anni – è stata rivoluzionaria. Martiros Saryan Street, in cui ci troviamo, era la “via della tecnologia” della capitale; quella in cui comprare computer e affini. Ci abbiamo messo 3 anni a convincere la gente ad entrare, a suon di wine tasting con i migliori produttori e tanta tenacia. Io studiavo di giorno e lavoravo di sera, fino a tardi».

Il locale è cresciuto insieme al livello dei vini armeni. «All’inizio – ammette Mariam Saghatelyan, fresca del titolo di Miglior Sommelier dell’Armenia – avevamo solo 10 vini armeni che consideravamo “bevibili”. Oggi ne abbiamo circa 350 a scaffale. Il problema era la costanza qualitativa tra bottiglie, troppo disomogenea. Difetti ormai risolti, grazie agli investimenti in tecnologia delle nostre cantine. Oltre all’interesse nei confronti dei vini nazionali, noto ora una crescente curiosità per i vini esteri, in particolare orange wine, spumanti, Champagne e vini naturali. Quello che conforta è che in Armenia la gente sta bevendo sempre più vino, in generale. E sta iniziando adesso a familiarizzare con il food pairing».

IL VINO ARMENO CON GLI OCCHI DEGLI INVESTITORI ESTERI

Se è vero che il fermento del vino armeno ha radici profonde come la storia della viticoltura mondiale – la “cantina” più antica del mondo si trova proprio in Armenia, presso il complesso di grotte note col nome di Areni Cave-1, 111 chilometri a sud della capitale Yerevan: tappa obbligata per chiunque voglia toccare con mano la storia del vino e dell’umanità (nella foto in basso) – il Rinascimento dell’enologia armena è dovuto anche agli ingenti investimenti giunti dall’estero. Tra i più illuminati imprenditori stranieri attivi nel Paese c’è lo svizzero Jakob Schuler, volto noto in Italia per le quote di maggioranza di Castello di Meleto a Gaiole in Chianti, in Toscana, nonché per Maison Gilliard a Sion, nella sua Svizzera.

«Ho scoperto l’Armenia dopo la grande delusione avuta in Georgia con il Saperavi – spiega l’imprenditore dal quartier generale della sua Noa Wine, nella regione vinicola di Vayots Dzor – e sono rimasto sorpreso dal lavoro di aziende come Armas, Armenia Wine CompanyVedi-Alco, per le loro dimensioni ragguardevoli e per la modernità delle loro tecnologie. Ma i vini erano prodotti con varietà internazionali. Nel Vayots Dzor ho assaggiato per la prima volta l’Areni, varietà autoctona a bacca rossa che mi ha fatto perdere la testa e per la quale ho deciso di investire in Armenia. Ho iniziato a importare in Svizzera questi vini, per poi convincermi ad acquistare delle terre e stabilire qui una nuova cantina». Noa Wines è l’unica realtà armena che, grazie alla consulenza di professionisti italiani come Valentino Ciarla e Giacomo Sensi, può contare su una vera e propria zonazione dei vigneti.

VARIETÀ AUTOCTONE VS INTERNAZIONALI

Una trentina gli ettari a disposizione, per una produzione che ha lo scopo (ben riuscito) di esaltare al massimo le potenzialità delle varietà autoctone armene – e in particolare dell’Areni – anche grazie al contributo del giovane e promettente winemaker Pavel Vartanyan. Lo spazio per le nuove generazioni di enologi non manca in Armenia. E anche un “mostro sacro” come Karas Wines non fa eccezione. Qui si incontra Gabriel Rogel, argentino, classe 1985, con le idee molto chiare su come dare seguito alle volontà del fondatore Eduardo Eurnekian – imprenditore vitivinicolo di origini armene residente in Argentina – e della nipote Juliana Del Aguila Eurnekian. Il tutto sotto la supervisione di un enologo di fama internazionale: Michel Rolland.

Il progetto enologico di 400 ettari in Armenia, incentrato agli esordi (ben vent’anni fa) più sulle varietà internazionali che su quelle autoctone (le cose, oggi, sono cambiate) è quello che ha aperto la strada al vino armeno in tutto il mondo. Eurnekian punta su un nome, “Karas“, che richiama le tradizionali anfore con le quali viene prodotta una parte del vino in Armenia. Contenitori di terracotta interrati per il 70%, in cui avviene generalmente la fermentazione e, in alcuni casi, l’affinamento. La cantina si trova in un ecosistema unico, circondata da vigneti che affondano le radici in suoli vulcanici. La vista sul monte Ararat, qui, nella regione di Armavir, è mozzafiato.

L’ARMENIA DEL VINO: REGIONI VINICOLE E VARIETÀ


Del resto, il 70% del territorio armeno è costituito da montagne. Ed è piuttosto comune trovare intere regioni con terreni di matrice vulcanica, nonché vecchie viti a piede franco di età superiore ai 100 anni,
ad altitudini proibitive molto simili a quelle del Sud America. L’altitudine media del vigneto armeno è di 1.200 metri sul livello del mare, con impianti che si spingono anche sopra i 1.800 metri.

Le regioni principali sono cinque: Armavir (900-1100 m), Ararat (800-1000 m), Aragatsotn (900-1.400 m), Tavoush (400-1000 m) e Vayots Dzor (1000-1800 m), per un totale di 13 mila ettari vitati in Armenia. Alla conta andrebbe aggiunta anche la regione vinicola di Syunik, al centro degli interessi dell’Azerbaijan e della Turchia per la creazione del cosiddetto “corridoio Zangezur”.

Viticoltura fiorente anche attorno alla capitale Yerevan, considerabile un areale a sé stante e un vero e proprio laboratorio per le nuove cantine, grazie all’attività contoterzista di cantine urbane-incubatore come Wine Works Company. Il ruolo di questa firma, fondata dall’illuminato imprenditore armeno Vahe Keushguerian, è centrale anche sul fronte agronomico, per la gestione di due vigneti sperimentali – ad Astghadzor e Khramort – utili alla salvaguardia e allo sviluppo dello straordinario patrimonio ampelografico armeno.

DALLA POLVERE AL CEMENTO: IN ARMENIA 350 VARIETÀ DI VITE AUTOCTONE

Già perché sono circa 350 le varietà autoctone armene oggi identificate, di cui 55 ampiamente coltivate (30 bianche, 25 rosse). Trentuno vengono utilizzate per la vinificazione, 21 per la produzione di uva da tavola e 3 per quella dell’uva passa. Le più note sono Sev Areni, Voskehat, Kangoun, Haghtanak, Milagh, Lalvari, Khatoun Kharji e Khndoghni (Sireni). Splendida, in particolare, la versatilità dell’Areni. Un’uva in grado di dare vini rossi freschi e beverini, tanto quanto rossi strutturati e corposi – pur elegantissimi – grazie alla vinificazione in legno. Una varietà che ricorda, per certi versi, il Frappato siciliano. Senza dimenticare che l’Areni risulta straordinario anche nella produzione dei vini rosati.

Il suo contraltare è il Voskehat (“Acino d’oro”), uva a bacca bianca capace di vini freschi e verticali, agrumati e tesi. Piuttosto comuni anche l’Haghtanak (incrocio tra Sorok Let Oktyabrya e Saperavi, con la prima varietà che, a sua volta è ottenuta dal crossing di Kopchak e Alicante Anri Buch) e il Khndoghni (Sireni). Nel calice li accomuna un frutto scuro ancor più che rosso, tannini pronunciati, ottima struttura, spezia (pepe) e un gran potenziale in termini di affinamento.

Frammenti macroscopici del puzzle infinito che è l’Armenia del vino, nel 2023. Polvere divenuta asfalto, come davanti alla casa in cui è cresciuto Aram Machanyan. Estrosa come quel campo di pallavolo improvvisato con un filo bianco, a un metro e mezzo d’altezza, in mezzo alla via; nella periferia di una Yerevan che, oggi, è anche un po’ la periferia del mondo. Così lontana, eppure sempre più vicina al centro, purché ce ne si accorga. Quasi un dovere, adesso che è più difficile sbucciarsi le ginocchia. Kenats.

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I viticoltori francesi dell’Aude dichiarano guerra al vino spagnolo: «Concorrenza sleale»


Scene da guerriglia al confine tra Francia e Spagna. Nelle ultime ore, i viticoltori francesi aderenti al Syndicat des Vignerons de l’Aude hanno sversato a terra migliaia di litri di vino spagnolo (Cava e rosato) e dato fuoco a decine di pneumatici a Boulou, città di confine tra i due Paesi. Circa 500 i vignaioli scesi in strada per bloccare le autobotti spagnole e protestare contro quella che definiscono «concorrenza sleale».
Il vino spagnolo importato in Francia costerebbe attorno ai 40 euro all’ettolitro, mentre quello francese costa circa 80 euro.

Il sindacato di viticoltori dell’Aude, presieduto da Frederic Rouanet, avrebbe trovato l’appoggio di Alain Ginies, numero uno del Département de l’Aude, il Consiglio regionale da sempre schierato con i suoi vignerons. La protesta si sposta così dalle strade a Parigi, nonché a Madrid. Il tutto avviene in una delle zone vinicole più produttive della Francia, nel territorio dell’Aude Igp, in cui vengono prodotte anche le Aop Corbières, Minervois e Limoux.

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Sorpresa (anzi no): l’Alsazia punta sul Pinot Noir


Secondo le più recenti statistiche, il Pinot Noir occupa il 12% della superficie vitata in Alsazia. È in crescita di 3 punti negli ultimi 10 anni. Vent’anni fa, la quota del Pinot Nero si fermava al 7%. Una lievitazione lenta, ma costante. «Non è un caso, non è una moda, non è frutto del desiderio dei consumatori di bere più vini rossi in stile Borgogna, ma uno dei volti della rinascita dell’Alsazia». Lo assicura Foulques Aulagnon, Export Marketing Manager del Civa, il Comité Interprofessionnel des Vins d’Alsace. Non sorprende, allora, la scelta dei francesi di presentarsi lunedì 16 ottobre a Milano – per la masterclass di Alsace Rocks! – con più vini rossi (quattro) che bianchi (due), senza considerare la coppia di Crémant d’Alsace.

I 4 Pinot Noir dei produttori Allimant Laugner, Domaine Butterlin (in cerca di un importatore in Italia), Domaine Frey-Sohler e Paul Blanck, presenti nel capoluogo lombardo per raccontare in prima persona i loro vini delle vendemmie 2022, 2021, 2019 e 2017, non hanno sfigurato. Piuttosto, hanno “costretto” la sala di giornalisti e operatori Horeca (enotecari e ristoratori milanesi) ad astrarsi dalla banale equazione “Pinot nero francese = Bourgogne”. A collocare subito sul corretto piano la degustazione è stato lo stesso Aulagnon (nella foto, a destra), che col Civa porta avanti ormai da anni l’idea del Pinot nero alsaziano.

LE NUOVE FRONTIERE DEL PINOT NERO IN ALSAZIA

Un vino pensato per l’abbinamento con il cibo. Da consumare – a seconda dell’interpretazione del produttore – tanto con spensieratezza, quanto al cospetto di portate più strutturate. Concetti già rimarcati durante le edizioni 2021 e 2022 di Millésimes Alsace Digitasting®, il grande evento digitale del Civa che – parentesi – non sarà più riproposto in futuro, su decisione del board di Avenue de la Foire aux Vins, Colmar. Ribaditi e confermati a Milano anche da un produttore “navigato” come Philippe Blanck (nella foto, a sinistra), che invita gli italiani a «sondare la versatilità dei Pinot Noir alsaziani nel pairing con i piatti della grande tradizione gastronomica del Belpaese».

La superficie vitata complessiva dell’Alsazia – fa eco Foulques Aulagnon – è stata per circa 1.500 anni di 30 mila ettari, il doppio rispetto a quella attuale. La metà dei vigneti era a bacca rossa. Durante il Medioevo, quando l’Alsazia faceva parte del Sacro Romano Impero germanico, eravamo conosciuti per i nostri bianchi, ma anche per i nostri vini rossi. Ormai da tre generazioni, in Alsazia, abbiamo nuovi produttori formatisi all’estero, o in Borgogna, che hanno ripreso l’allevamento del Pinot Nero, riportandolo in auge accanto a varietà come Riesling, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Gewürztraminer».

IL PINOT NOIR D’ALSAZIA GRAND CRU: KIRCHBERG DE BARR E HENGST

E a partire dalla vendemmia 2022, il Pinot Noir d’Alsazia ha visto una duplice promozione a Grand Cru. La varietà a bacca rossa è stata autorizzata nella Aoc Alsace su 2 particolari terroir: il Grand Cru Kirchberg de Barr (a Barr, nel Basso Reno) e l’Hengst (a Wintzenheim nell’Haut-Rhin). Si tratta dell’ennesima conferma della volontà dei produttori alsaziani di farsi conoscere per i loro Pinot Nero nel mondo, con prodotti di altissima qualità, nel solco della grande attenzione all’incredibile variabilità dei suoli che è il punto forte dell’Alsazia del vino.

Il decreto del 9 maggio sulla Gazzetta Ufficiale del 13 maggio ritocca la fisionomia dei Grand Cru locali a distanza di quasi 20 anni dall’ultima modifica, che ha consentito a Kaefferkopf di entrare nella cerchia dei 51 “vigneti d’eccezione” dell’Alsace, nel lontano 2007.

Nel calice, i Pinot Noir Grand Cru Kirchberg de Barr riflettono le caratteristiche dei terreni marno-calcarei, che regalano vini dalla struttura potente ma raffinata. Il colore è scuro e profondo. Il naso è complesso con note di frutti neri e spezie. Al palato una viva acidità e un ottimo volume, ma nel complesso una grande finezza, sottolineata anche dal finale lungo e salino. Grande potenziale di invecchiamento.

I Pinot Noir Grand Cru Hengst – ovvero “Etalon”, “Stallone” – sono il frutto di suoli di marna, calcare e arenaria che nel calice si tramutano in vivacità ed energia. I vini sono potenti, profondi e si conservano a lungo. Di un bel colore rosso rubino, si distinguono per la loro complessità al naso con note di frutta rossa e spezie. Al palato, la loro struttura è ricca ed elegante, con tannini setosi. Finale lungo e grande potenziale in termini di affinamento.

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Cava Meeting 2023: a Barcellona si discute il futuro del Metodo classico spagnolo


Oltre 38 mila ettari di vigneti, più di 6.200 viticoltori e 349 cantine associate. Sono i numeri del Consejo Regulador de la Denominación de Origen Cava, che con
oltre il 70% delle vendite internazionali è la Denominazione di Origine (DO) spagnola che vanta i maggiori livelli di export, con spedizioni in oltre 100 Paesi. E sarà proprio l’internazionalità dello spumante Metodo classico spagnolo il fil-rouge del Cava Meeting 2023, che vedrà alcuni dei più influenti opinion leader del mondo del vino impegnati a Barcellona il 27 e 28 novembre prossimi. Winemag.it sarà presente con il direttore Davide Bortone.

«Il Forum – annuncia il Consorzio spagnolo – combinerà degustazioni di Cava della migliore qualità, presentazioni di alto livello e visite alle principali cantine. Si tratta di un “esame dell’eccellenza del Cava”. Un comitato di specialisti formato dai Master of Wine Sarah Jane Evans e Pedro Ballesteros, dal sommelier Ferran Centelles e dal giornalista specializzato, sommelier e formatore di Cava Ramon Francàs, sta lavorando da mesi alla sua progettazione e organizzazione. Sono attesi un centinaio di ospiti provenienti da diversi mercati: Giappone, Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Svizzera e Spagna».

L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSEJO REGULADOR DO CAVA

La conferenza del Cava Meeting 2023, prodotta da Mahala Wine & di Esther del Pozo e Carlos Pérez, sarà condotta da Yolanda Ortiz de Arri e Ruth Troyano e si aprirà con un discorso di benvenuto del presidente del Consiglio Regolatore della D.O. Cava, Javier Pagés, che illustrerà la situazione attuale e il futuro della denominazione. Gli interventi e le degustazioni saranno guidati dal Master of Wine Pedro Ballesteros, che introdurrà i partecipanti al mondo dei Cava de elaboradores integrales, il “Cava dei Vignaioli integrali”, con l’obiettivo di comunicarne i valori. Prodotti selezionati da Agustí Torelló Mata, Alta Alella, Cava Avinyó, Blancher, Bodegas Escudero, Can Suriol, Celler Carles Andreu, Cava Gatell, Giró del Gorner, Juvé & Camps, Parató Vinícola, Parés Baltà, Torné & Bel, Vins el Cep e Vins Familia Ferrer (Can Sala) promettono il successo dell’evento nel calice.

Questa degustazione sarà seguita da un altro dei momenti salienti del Cava Meeting. Josep Roca, sommelier e maître del ristorante tre stelle Michelin El Celler de Can Roca, presenterà un menu studiato per armonizzarsi con il Cava, con l’obiettivo di «esemplificare la grande versatilità gastronomica del vino più esportato in Spagna». Dopo la presentazione del sommelier di Girona, il sommelier Jordi Paronella Vidal del gruppo di ristoranti dello chef José Andrés, e Ramon Francàs Martorell, sommelier e giornalista specializzato del quotidiano La Vanguardia, presenteranno i Cava de Paraje Calificado, quelli a lunghissimo invecchiamento, che si spingeranno il Cava Meeting 2023 verso un’ulteriore dimensione: la cosiddetta “Terza Crianza”. Questa degustazione di lusso includerà i Cava iconici di Alta Alella, Blancher, Codorníu, Juvé & Camps, Mestres, Pere Ventura, Vins el Cep e Vins Família Ferrer (Can Sala).

IL VALORE DEL CAVA NEL MONDO

Il giorno dell’inaugurazione si terrà anche una tavola rotonda con i media internazionali, in cui si analizzerà il peso e l’importanza del Cava nei principali media specializzati nazionali e internazionali. Le sessioni di martedì 28 novembre inizieranno con una tavola rotonda su come creare maggior valore nel settore del Cava. L’internazionalizzazione dello spumante spagnolo per eccellenza e il modo in cui costruire o aggiungere valore al marchio Cava in tutto il mondo saranno discussi in occasione del Cava Meeting 2023 in un intervento moderato da Sarah Jane Evans MW.

Parteciperanno Pedro Ferrer, vicepresidente e amministratore delegato del Gruppo Freixenet; Meritxell Juvé, amministratore delegato e quarta generazione di Juvé & Camps; Jaume Vial, direttore commerciale di Mestres; Marc Morillas, specialista in design e brand building; e Juan Manuel Bellver, direttore di Lavinia Spain. Seguirà un’altra interessante presentazione moderata dal sommelier Ferran Centelles, in cui Carme Ruscalleda, Jordi Paronella, Nieves Barragán e Agustín Trapero parleranno di Cava e gastronomia.

LE SFIDE DEL CAVA: DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI AL SUGHERO

A seguire, una presentazione sulle sfide scientifiche del Cava comprenderà un’analisi della viticoltura del XXI secolo e dei futuri sistemi avanzati di coltivazione e raccolta dell’uva di fronte ai cambiamenti climatici da parte di Marco Simonit, del metodo di potatura Simonit & Sirch. Il ruolo delle fecce e dei tappi di sughero sarà discusso anche dall’enologo, ricercatore e professore presso la Facoltà di Enologia dell’Università Rovira i Virgili di Tarragona, Joan Miquel Canals.

Martedì 28, il Cava Meeting 2023 approfondirà anche la degustazione delle molteplici origini del Cava, passando in rassegna la diversità e le caratteristiche della zonazione della DO Cava attraverso vari spumanti rappresentativi delle diverse zone di produzione. I relatori saranno Pedro Ballesteros MW, Ferran Centelles e Pepe Hidalgo, direttore tecnico di Bodegas Vicente Gandía. Ferran Centelles, accompagnato da Julie Dupouy, Quim Limonero e Guilherme Mantovani, parlerà di come servire un Cavacomme il faut“. A mezzogiorno toccherà al presidente della D.O. CAVA concludere la conferenza.

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Viaggio tra i vini qualità prezzo della Borgogna con Gabriele Gorelli MW


È una delle zone vinicole più rinomate a livello internazionale. Tra le più quotate dai collezionisti e tra le più battute dalle case d’asta mondiali. Ma la Borgogna è anche una regione di cui si conosce poco sul fronte del “rapporto qualità prezzo“. Poche, inoltre, le garanzie di continuità della disponibilità delle bottiglie, specie nelle ultime annate. Dell’intera produzione – circa 150-200 milioni di bottiglie annue – solo il 2% è classificata Grand Cru (con 33 Aoc) e il 10% Première Cru (su 570 “Climats”). Ed è proprio il vertice della piramide qualitativa che rende speciale la Borgogna, riflettendosi come un volano sui suoi 29.500 ettari complessivi. La masterclass tenuta ieri all’Excelsior Hotel Gallia di Milano da Gabriele Gorelli MW ha avuto lo scopo di sondare «La Borgogna che non ti aspetti».

La Bourgogne moins connue, per dirla in francese. Un viaggio calice alla mano reso possibile da Les Grands Chais de France, il gruppo fondato e gestito dalla famiglia Helfrich che da tre anni collabora con il primo Master of Wine italiano. Tra le firme borgognotte di GCF Group – colosso che, solo in Francia, controlla 3.471 ettari in 10 regioni – figurano Chartron et Trébuchet, Maison François Martenot e Moillard.

PINOT NOIR E CHARDONNAY: I VINI QUALITÀ PREZZO DELLA BORGOGNA

«Le difficoltà di trovare e acquistare vini della Borgogna “a prezzi umani” – ha sottolineato Gabriele Gorelli MW – è ormai evidente. Se l’impennata dei prezzi verificatasi nel 2022 per via della scarsa quantità della vendemmia 2021 era giustificabile, il ripresentarsi della medesima dinamica l’anno successivo è da derubricare al posizionamento ormai consolidato dei vini della denominazione. Grazie ai cambiamenti climatici stanno però emergendo diverse zone della Borgogna che, altrimenti, sarebbero rimaste all’ombra. I prezzi sono più abbordabili, tra i 15 e i 45 euro circa, e la qualità dei vini offre valide alternative».

Ecco dunque appellazioni come Santenay, LadoixCote de Nuits Villages, Chorey-les-beaunes, Savigny Les Beaunes, ma anche Beaujolais Blanc, Saint-Veran, Rully, Ladoix BlancMontagny. Si tratta, ça va sans dire, di Pinot Noir e Chardonnay che rispondono alle caratteristiche della «Borgogna che non ti aspetti»: quella «a prezzi umani, dall’ottimo rapporto qualità-prezzo e reperibile con continuità». Gabriele Gorelli cita peraltro anche il Gamay come alternativa al Pinot nero. LO fa ricorrendo a due dei dieci Crus del Beaujolais, ovvero Fleurie e Moulin-a-vent, all’incrocio delle coordinate della Borgogna e del Rodano.

Del resto, a confermare le difficoltà di approvvigionamento dei vini provenienti dai Cru e dalle zone della Bourgogne più note è anche l’alta ristorazione milanese. «È vero che i prezzi sono arrivati alle stelle – spiega a winemag.it Marco Spini (nella foto sopra, a destra), head-sommelier di uno dei templi milanesi della cucina cinese, Ba Restaurant di via Raffaello Sanzio 22 – ed è per questo che, personalmente, da anni batto le strade meno conosciute. La richiesta c’è, il prodotto sempre meno. Ben venga, dunque, che ai colleghi venga raccontato che esiste un’altra Borgogna, alternativa al Grand Cru».

«LA BORGOGNA A PREZZI UMANI» DI GORELLI E GCF: DUE VINI DA PROVARE

Tra i quattordici vini proposti in degustazione a una platea affollata da una decina di giornalisti di settore e da numerosi sommelier, ristoratori ed enotecari operanti a Milano, sono due quelli che convincono più di tutti. Si tratta dell’Aop Rully 2020 di Domaine Rolan Sounit e dell’Aop Chorey-les-Beaunes 2020Vieilles Vignes Rouge” di Moillard. Uno Chardonnay e un Pinot Noir, senza ricorso all’alternativa del Gamay proposta da Gorelli (su questo fronte, meglio il Moulin-a-vent Rouge 2022 del Fleurie Rouge 2022 targati Domaine du Chapitre).

  • Aop Rully 2020, Domaine Roland Sounit
    (prezzo in Italia: circa 30 euro)
    Siamo nel cuore della Côte Chalonnaise, a sud della Côte d’Or per uno Chardonnay in purezza da terreni rocciosi-rossastri, ricchi di marna. Raccolta meccanica e vinificazione tradizionale. Le uve vengono pigiate immediatamente all’arrivo in cantina tramite presse pneumatiche. Fermentazione alcolica in botti di rovere e affinamento per 8-10 mesi in botti di rovere, con travasi regolari. Vino che presenta un’ottima stratificazione, sin dal naso. Alle note di frutta tropicale a polpa bianca e gialla si accosta un bel pompelmo rosa, oltre a una netta matrice minerale, calcarea. Al palato svela un utilizzo del legno composto e raffinato, tale da contribuire alla complessità, senza appesantire affatto il sorso. Chiude su burro salato e si allunga deciso, in persistenza, su ricordi di nocciola e cereali. Vino giovane, con ottime prospettive in termini di ulteriore affinamento.

  • Aop Chorey-Les-Beaune 2020 “Vieilles Vignes Rouge”, Moillard
    (prezzo in Italia: circa 30 euro)
    Eccoci in Côte de Beaune per questo Pinot Noir in purezza che prende vita da un suolo calcareo, molto duro e sassoso, con pendenza regolare e dolce. Alla base della collina il terreno diventa di colore bruno, ricoperto di limo. Vinificazione tradizionale in tini di acciaio inox termoregolati per un periodo di 3 settimane. Macerazione prefermentativa a freddo, intorno ad 8°. Rimontaggi frequenti al fine di estrarre colore e struttura e fermentazione con temperatura di punta intorno ai 30°. Seguono macerazione post-fermentativa a 25° e affinamento in barriques di rovere per il 20-30% nuove da 8 a 16 mesi. Malolattica svolta.
     

    Colore piuttosto carico ma luminoso per questo Chorey-Les-Beaune da vigne vecchie. Primo naso su tinte terrose che si accostano a un frutto di piena maturità, a polpa rossa e nera. Ci si aspetta di trovare lo stesso al palato, che invece si rivela teso, sapido, con la frutta che si svolge su profilo finemente tannico. Un Pinot Noir goloso ma tutt’altro che semplice e stringato, capace anzi di sintetizzare morbidezze e durezze in maniera ineccepibile e di farsi trovare prontissimo all’appuntamento con il calice e con l’abbinamento.

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ProWein 2024, edizione dei 30 anni: a Düsseldorf 50 mila addetti del settore


Fervono i preparativi per ProWein 2024, edizione in cui la kermesse compie 30 anni. A Düsseldorf, dal 10 al 12 marzo 2024, sono attesi oltre 50 mila professionisti del vino e degli spirits provenienti da tutto il mondo. Già 5.700 gli espositori provenienti da oltre 60 Paesi che si sono registrati per partecipare all’evento numero uno del settore. «Nessun’altra fiera, né in Europa né all’estero – riassume Peter Schmitz, direttore della ProWein – offre un portafoglio prodotti così completo. A Düsseldorf, la capitale del vino e degli alcolici, si presenteranno ancora una volta i leader del mercato mondiale, ma anche piccole aziende selezionate e nuovi operatori emergenti».

«Inoltre, chi è interessato alle tendenze di domani dovrebbe visitare ProWein 2024. Qui le tendenze attuali del settore vengono colte nei Trendshow, nelle Mostre Speciali o nei Forum. Questo è di fondamentale importanza per gli acquirenti del commercio al dettaglio, dell’ospitalità e della ristorazione». ProWein, nel 2024, aggiungerà un nuovo capitolo alla sua storia, ormai trentennale.

30 ANNI DI PROWEIN NEL 2024

«Siamo orgogliosi e felici che la ProWein si sia trasformata nella più importante fiera specializzata del vino a livello internazionale – sottolinea il direttore generale dell’Istituto Tedesco del Vino (DWI), Monika Reule – Rendendo la Germania, Paese produttore di vino, il centro dell’universo degli esperti internazionali di vino per tre giorni all’anno. Anche dopo 30 anni, la ProWein riesce a entusiasmare gli esperti di vino con argomenti sempre nuovi e avvincenti». Uno dei segreti del successo della ProWein, oltre al suo costante orientamento verso i visitatori professionali, è la sua lungimiranza e lo sviluppo proattivo di format orientati al mercato.

«Ci siamo sempre considerati un partner del settore del vino e degli alcolici – aggiunge Peter Schmitz – e abbiamo colto le esigenze del mercato, come abbiamo fatto con la nostra mostra speciale a tema ‘no-and-low’ che ha debuttato all’ultima ProWein. La ProWein 2023 è stata la prima fiera europea a dare a questa tendenza attuale un palcoscenico dedicato. Nel 2024, la ProWein farà seguito a questo debutto. Con il motto “ProWein Zero“, un’area speciale nel padiglione 1 sarà dedicata al “no-and-low”, integrata da una corrispondente zona di degustazione organizzata da Meininger».

TEMI E TENDENZE A PROWEIN 2024

Uno dei punti salienti della ProWein, presente già da sei anni, è il Trendshow “Same but different“, rivolto in particolare alla comunità dei bar e dei servizi alimentari alla moda. Anche nel 2024, circa 120 espositori internazionali presenteranno nel padiglione 7 un’offerta di distillati, birre artigianali e sidro. La ProWein 2024 diventerà sempre più il punto di riferimento per gli alcolici internazionali. Il padiglione 5, proprio accanto al Trendshow “Same but different”, diventerà la nuova casa di oltre 300 fornitori internazionali di alcolici sotto il motto “ProSpirits“. «Con questo riflettiamo un’importante tendenza del mercato», ribadisce Peter Schmitz.

Altro tema centrale della scorsa ProWein – non ultimo a causa della crisi energetica e della maggiore consapevolezza ambientale – è stato quello degli imballaggi alternativi alle bottiglie di vetro, che vanno dal bag-in-box e ai fusti in acciaio inossidabile, alle lattine di alluminio riciclabili e alle bottiglie in PET. Anche alla prossima ProWein non mancheranno le novità: sia nella mostra speciale Packaging & Design (padiglione 9) sia in numerosi stand, questo aspetto avrà un ruolo sempre più importante.

Il programma dell’edizione dei 30 anni prevede ancora una volta la Champagne Lounge nel padiglione 9, il punto focale delle gamme rappresentative e complete di champagne alla ProWein 2024. Un appuntamento fisso alla ProWein sono i vini biologici, che oggi contano circa 300 espositori internazionali. Senza dimenticare la mostra speciale su questo tema, il Mondo Biologico nel padiglione 4.

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Austria modello Francia con vigneti Premier e Grand Cru (Erste e Grosse Lage)

D’ora in poi, tutte le regioni vinicole dell’Austria potranno classificare i propri vigneti (in austriaco “Ried”). Dopo la nomina da parte di un Comitato Regionale del Vino (RWK) e la conferma da parte del Comitato Nazionale del Vino (NWK), i migliori vigneti potranno essere designati come Erste Lage (Premier Cru) o Grosse Lage (Grand Cru) utilizzando un processo di classificazione standardizzato. Una firma storica quella avvenuta nelle scorse ore da parte del Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, che avvicina l’Austria al modella della Francia.

Si tratta di una pietra miliare per il gruppo di “Cantine austriache di alta qualità”, ÖTWÖsterreichische Traditionsweingüter, fondato nel 1991 con l’obiettivo primario di classificare i migliori vigneti del paese. «Siamo orgogliosi del nostro importante contributo all’industria vinicola austriaca, nonostante a volte sia una battaglia in salita», afferma Michael Moosbrugger, presidente nazionale dell’ÖTW.

UN RISULTATO STORICO PER L’AUSTRIA E PER L’ÖTW

La decisione del legislatore non è arrivata all’improvviso. È stata preceduta da una lunga discussione con il gruppo delle 77 aziende vinicole austriache aderenti all’ÖTW. Alla base del suo lavoro, c’è «la convinzione di lunga data che l’origine e la sua comunicazione comune siano il modo migliore e più trasparente per commercializzare il vino». «Da un lato – aggiungono i promotori – garantisce ai consumatori denominazioni affidabili sulle etichette e, dall’altro, fornisce ai produttori una piattaforma affidabile per la comunicazione comune». Tuttavia, le denominazioni di origine possono generare confusione.

In Austria esistono 18 denominazioni o regioni DAC, relativamente facili da ricordare. Ma per i vini locali il numero sale a 900. Se si utilizzano i singoli vigneti (Rieden) come denominazioni di origine sulle etichette, ci sono circa 4.300 nomi di vigneti che possono essere utilizzati solo in Austria. Persino gli esperti austriaci faticano a tenerne traccia, per non parlare dei professionisti del vino e dei consumatori internazionali. È qui che l’importanza delle classificazioni diventa evidente: «Aiuta sia i consumatori che gli esperti a comprendere più facilmente il significato e la composizione dei vigneti austriaci e del vino da essi prodotto».

95 VIGNETI GIÀ CLASSIFICATI IN AUSTRIA (ÖTW ERSTE LAGEN)

«Per una classificazione solida – evidenzia Michael Moosbrugger – non sono solo i viticoltori stessi a decidere quale sia un sito viticolo d’eccellenza, ma piuttosto un approccio sfaccettato all’importanza di un sito nel contesto della sua zona e dei suoi viticoltori». Al momento sono 95 i vigneti classificati ÖTW Erste Lagen da Traisental, Kremstal, Kamptal, Wagram, Vienna, Carnuntum e Thermenregion. La classificazione dei siti Grosse Lagen (Grand Cru) deve ancora essere completata.

I punti cardine della nuova legge sulla classificazione dei siti in Austria:

  • Solo le denominazioni o le aree DAC (ovvero a denominazione di origine controllata) che hanno implementato una struttura di origine a tre livelli (vino regionale – Gebietswein, vino di villaggio – Ortswein, vino da vigneto singolo – Riedenwein), possono richiedere un’ulteriore classificazione del sito.
  • Valutazione approfondita della rilevanza di un sito nel contesto della sua zona, dei suoi viticoltori e dei suoi vini.
  • Vendemmia manuale obbligatoria.
  • Ogni sito classificato non può avere una superficie superiore a 35 ettari.
  • I vini provenienti da siti classificati possono essere venduti non prima di un anno dalla vendemmia.
  • I comitati vitivinicoli regionali (RWK) devono ancora definire le norme esatte relative ai vini, alla vinificazione e alla gestione dei vigneti (disciplinari con resa massima per ettaro, ecc.).
  • Come per la ÖTW, solo dopo un minimo di cinque anni di classificazione come Erste Lage, un vigneto può essere classificato come Grosse Lage.
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Ricerca e sviluppo in viticoltura ed enologia: Oiv chiama, Masi Agricola risponde


L’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV) ha incluso Masi Agricola nel suo “
Consortium”, il Consorzio che già comprende altre cinque realtà vitivinicole internazionali di prim’ordine come Viña Concha y Toro (Cile), Moët Hennessy (Francia), Sogrape (Portogallo), Familia Torres (Spagna) e Yalumba Family Winemakers (Australia). L’organismo intergovernativo al quale aderiscono ben 49 Paesi produttori e consumatori nel mondo beneficia del Consortium per sostenerne progetti di ricerca e sviluppo in viticoltura ed enologia.

Le cantine aderenti si impegnano a contribuire alla ricerca tecnica e scientifica nel settore della vite e del vino e alla sua diffusione tramite la stessa OIV. «Avere Masi nel Consortium – commenta il Direttore generale Pau Roca – arricchisce la qualità della ricerca e amplia l’obiettivo internazionale dell’OIV. Il gruppo non era completo fino all’ingresso di un’azienda italiana così importante: l’Italia è una delle pietre miliari del vino e doveva essere rappresentata. Noi tutti potremo condividere le sue conoscenze e la sua esperienza».

«Le aziende strutturate internamente per la ricerca e sviluppo in vigneto e cantina – dichiara Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola – non sono molte in Italia e sono poche anche a livello globale. Masi, il cui Gruppo Tecnico ha all’attivo quattro decenni di impegno, si sente onorata di far parte di questo prestigioso e ristretto gruppo ed è orgogliosa di rappresentarne l’Italia, portandone le istanze: il patrimonio di biodiversità nelle varietà delle uve che non ha pari, la ricchezza di territori e le conseguenti espressioni enologiche».

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Alcohol Duty, aumento tasse sugli alcolici in UK: al pub costano meno del supermercato

Aumenti record delle accise sugli alcolici nel Regno Unito, con l’eccezione di spumanti e bevande low-alcohol. La misura varata dal governo guidato dal primo ministro Rishi Sunak, annunciata già a primavera, è entrata in vigore ieri, 1 agosto 2023. Gli aumenti – pari in media al 10% e da considerarsi i più consistenti degli ultimi 100 anni – interessano tutti gli alcolici prodotti o importati in UK. Attraverso l’Alcohol Duty, letteralmente imposta sull’alcol, Downing Street si pone l’obiettivo di «sostenere l’industria dell’ospitalità e riconoscere il ruolo vitale che i pub svolgono nelle comunità». E «riconoscere che i pub sono ambienti sorvegliati e meno associati ai danni dell’alcol». Di fatto, la birra alla spina non subirà aumenti. La stangata delle nuove accise non riguarda l’on-trade (pub, bar, ristoranti) ma solo l’off-trade: supermercati e negozi dediti alla vendita di alcolici.

L’aliquota non cambia per le birre con un tenore alcolico (ABV) inferiore all’8,5%, confezionate in contenitori di almeno 20 litri (i fusti). Nell’off-trade l’accisa passerà invece dal dal 5% al 9,2% per birra e sidro e dal 20% al 23% per il vino, gli altri prodotti fermentati – precedentemente vinificati – e i liquori. Una svolta che può dirsi epocale. Le aliquote dell’Alcohol Duty erano rimaste invariate in UK sino al 2020. Il 19 dicembre 2022, il governo ha prorogato l’attuale congelamento dell’Alcohol Duty di 6 mesi, dal 1° febbraio al 1° agosto 2023, «per dare certezza alle imprese». E ieri è arrivato il momento della resa dei conti.

SVOLTA EPOCALE PER LE ACCISE SUGLI ALCOLICI IN UK

Portafogli alla mano, l’accisa su tutti i prodotti alcolici inferiori al 3,5% di alcol in volume (ABV) salirà a 9,27 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto. L’accisa sul sidro fermo con almeno 3,5% e meno dell’8,5% in volume di £ 9,67 per litro di alcol. Il sidro frizzante con un minimo di 3,5% e un massimo di 5,5% di ABV costerà £ 9,67 per litro di alcol nel prodotto. E ancora: £ 21,01/litro sulla birra con almeno il 3,5% e meno dell’8,5%; £ 24,77/litro su su alcolici, vino e altri prodotti fermentati con un minimo di 3,5% e un massimo di 8,5% ABV; £ 24,77 sul sidro spumante con titolo alcolometrico superiore al 5,5% ma inferiore all’8,5%.

L’accisa su tutti i prodotti alcolici con un tenore di ABV non inferiore all’8,5% e non superiore al 22% sarà di £ 28,50 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 31,64/litro per tutti i prodotti alcolici che superano il 22% di ABV. I vini con un ABV compreso tra 11,5% e 14,5%, dunque una buona fetta dei vini italiani, saranno trattati come se avessero 12,5% vol, sino al 1° febbraio 2025. Ecco quindi il capitolo degli sgravi. Il nuovo Draught Relief, previsto tra le norme dell’Alcohol Duty, prevede una riduzione dell’imposta sui “prodotti alla spina qualificati”.

ALCOHOL DUTY: SGRAVI PER I PUB IN UK CON IL DRAUGHT RELIEF

L‘aliquota dell’accisa è stata ridotta su tutti i prodotti alcolici alla spina con meno di 3,5% ABV: costa 8,42 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto; il sidro alla spina con almeno il 3,5% ma meno dell’8,5% di ABV si assesta su 8,78 sterline. Lo stesso vale per il sidro spumante alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e un titolo alcolometrico massimo del 5,5%. Aliquota ridotta anche su birra, liquori, vino e altri prodotti fermentati alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e inferiore all’8,5%: £ 19,08 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 19,08 per litro.

Nelle stime del governo, la misura avrà un effetto diretto sull’indice dei prezzi al consumo (IPC). Nell’Economic and Fiscal Outlook (EFO) del marzo 2023, l’Office for Budget Responsibility (OBR) ha stimato una riduzione marginale del tasso di inflazione dell’IPC nel 2023-2024, che si annullerà parzialmente nel 2024 e nel 2025. «I consumatori di prodotti alcolici più forti – ammette Downing Street – pagheranno di più a causa della nuova struttura dell’accisa. Chi consuma prodotti alla spina nei locali “on-trade”, come i pub, pagherà meno tasse rispetto all’equivalente prodotto non alla spina nei locali “off-trade” (come i supermercati)».

ASPRE CRITICHE DALLA WINE AND SPIRIT TRADE ASSOCIATION

Sempre secondo il governo, si prevede che la misura avrà «un impatto trascurabile su un massimo di 10 mila imprese che producono alcolici nel Regno Unito, importano alcolici nel Regno Unito o sono coinvolte nel deposito di alcolici in regime di sospensione del dazio». Quello che il premier Rishi Sunak considera «un costo una tantum trascurabile» viene però duramente criticato dalla Wine and Spirit Trade Association che si dice «profondamente delusa dal fatto che il cancelliere abbia scelto di soffocare le imprese britanniche del Regno Unito, aumentando in modo significativo le imposte sul vino e sugli alcolici». Molto criticato, in particolare, l’approccio al vino.

«L’accisa su una bottiglia di vino fermo – calcola la WSTA – aumenta di 44 pence. Per i vini liquorosi gli aumenti saranno ancora maggiori: il Porto aumenterà di 1,30 sterline a bottiglia e una bottiglia di vodka di 76 pence. I bevitori di vino subiranno il più grande aumento singolo in quasi 50 anni». Ancor più duro Miles Beale, direttore generale della Wine and Spirit Trade Association: «La decisione del governo di punire le aziende e i consumatori di vino e alcolici con un aumento del 10% per gli alcolici e del 20% per il vino, a partire dal 1° agosto, è sconcertante. Si tratta del più grande aumento delle imposte sul vino dal 1975».

WSTA ALL’ATTACCO: «GRAVE DANNO ALLE CANTINE BRITANNICHE»

Questo bilancio contraddice direttamente ciò che il governo sostiene di voler affrontare. Alimenterà ulteriormente l’inflazione. Farà ricadere ulteriori sofferenze sui consumatori. E danneggerà le imprese britanniche, soprattutto quelle della filiera dell’ospitalità, che stanno ancora cercando di riprendersi dalla pandemia. Il doppio aumento delle tasse sul vino è un colpo particolarmente amaro per le aziende vinicole britanniche ricche di PMI. Ci si chiede, ancora una volta, che cosa abbia il governo contro chi sceglie di produrre e bere vino».

Sempre secondo i vertici della Wine and Spirit Trade Association, gli aumenti fiscali inflazionistici si aggiungeranno agli «aumenti furtivi delle tasse» per alcuni prodotti alcolici, che il governo ha inserito nel passaggio alla tassazione degli alcolici in base al titolo alcolometrico. «Dopo tutti gli sforzi per rilanciare le catene di distribuzione dell’ospitalità nel 2022 – attacca la WSTA – il governo non offre alcun aiuto nel 2023 per il commercio del vino e degli alcolici. E, in particolare, per i 33 milioni di bevitori di vino del Regno Unito che vedranno la loro bevanda preferita, e quella della nazione, colpita da un aumento nel bel mezzo di una crisi del costo della vita».

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Comité Champagne verso l’aumento della riserva vendemmiale 2023


Vigneron
e Maison della Champagne si sono riuniti in queste ore a Epernay, presso il Comité Champagne, per definire le condizioni della vendemmia 2023.
La resa commerciabile per il 2023 è stata fissata a 11.400 kg/ha. Il provvedimento più atteso, ora all’esame delle istituzioni nazionali francesi, è l’aumento della riserva vendemmiale da 8 a 10 mila chilogrammi per ettaro. Ad oggi, lo stato di salute dei vigneti è «buono e molto omogeneo da una zona all’altra». Pochi i danni causati da gelo (1,5% del vigneto) e grandine (0,3%). Peronospora e oidio contenuti, a differenza di quanto sta avvenendo in Italia. Solo le riserve di acqua dei suoli destano preoccupazione in Champagne. I grappoli sono ben formati e la «promettente vendemmia» dovrebbe iniziare nella prima decade di settembre.

Le incognite del clima, il deperimento della vite causato dalle malattie e l’invecchiamento dei vigneti hanno un impatto sulle rese della zona, diminuite del 26% in dodici anni. In questa situazione, si è scelto di sfruttare al massimo le annate favorevoli, quando si presentano, al fine di «migliorare ulteriormente la resilienza della filiera». «L’anno scorso – ricorda Maxime Toubart, presidente dei Vigneron – la Champagne ha applicato il sistema dello sblocco differito della riserva. Quest’anno è stato individuato il plafond della riserva individuale, per portare a 10 mila kg/ha invece degli 8 mila kg/ha previsti finora. L’INAO ha accettato di esaminare la misura con urgenza, per consentire ai viticoltori di mettere a riserva la bella vendemmia che si annuncia».

L’obiettivo è quello di «assicurare ogni anno gli strumenti per raggiungere la resa commerciabile fissata dall’Interprofessione per garantire l’equilibrio dei mercati». «Per determinare la resa commerciabile dell’anno – commenta David Chatillon, presidente delle Maison – i Vigneron e le Maison si sono accordati sulle previsioni delle spedizioni dei prossimi quattro anni. Insieme alla fiducia nella denominazione, le previsioni hanno tenuto conto al tempo stesso di una certa cautela rispetto alla congiuntura economica globale e agli effetti dell’inflazione».

Nel 2023 le spedizioni dovrebbe raggiungere i 314 milioni di bottiglie. Nel primo semestre del 2023 le spedizioni di Champagne (Francia inclusa) sono state pari a 125,8 milioni di bottiglie, in calo del 4,7% rispetto allo stesso periodo del 2022. L’export con 77,7 milioni di bottiglie, è in calo del 3,7%, mentre la Francia è in calo del 6,3% con 48,1 milioni di bottiglie. Questi risultati vanno visti nel contesto di un 2022 straordinario (nello stesso periodo dell’anno scorso le vendite erano aumentate di quasi il 14%).

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La “fresca” vendemmia 2023 del Sudafrica: quantità a picco, qualità eccellente

La vendemmia 2023 in Sudafrica sarà ricordata come una delle più scarse dell’ultimo decennio, ma solo in termini di quantità. Il calo dell’uva raccolta, dovuta soprattutto a una stagione più fresca della media, consentirà comunque di produrre vini di qualità eccellente. È quanto emerge dal rapporto annuale di Sawis e Vinpro, le due più importanti società del settore nel Paese africano. Nel dettaglio, il raccolto di uva da vino per il 2023 è stimato in 1.180.093 tonnellate. Si tratta di una quantità inferiore del 14,2% rispetto alla vendemmia 2022. Come già anticipato da winemag.it a marzo, a pesare sul calo finale è anche la crisi energetica registrata in Sudafrica nel corso della stagione di maturazione delle uve, a cavallo tra il 2022 e il 2023.

«Rispetto ad altre stagioni – sottolinea Conrad Schutte, responsabile dei servizi di consulenza di Vinpro – il raccolto del 2023 è molto simile alle precedenti stagioni più fresche, come il 2014, il 2015, il 2018, il 2019 e il 2021. In particolare, assomiglia alla combinazione di freddo e umidità del 2014 e del 2019. In termini di volume, il 2023 potrebbe essere una delle vendemmie più scarse degli ultimi 10 anni».

Lo snodo fondamentale della vendemmia 2023 in Sudafrica si è registrato a nella seconda settimana di dicembre. Le forti piogge hanno portato sollievo alle piante, sino ad allora alle prese con condizioni estreme di calore e aridità. Si è così alleggerita la pressione sulla programmazione dell’irrigazione, in un momento in cui i livelli delle falde acquifere erano inferiori alla norma e le interruzioni della rete nazionale erano all’ordine del giorno. Oltre alle piogge, si sono verificati danni da grandine a Paarl, Worcester e Robertson, pur in modo sporadico e limitato. Il timore di malattie fungine della vite, in particolare oidio e la peronospora, è tuttavia aumentato a causa delle condizioni umide.

UNA VENDEMMIA SFIDANTE PER LE CANTINE SUDAFRICANE

Germogliamento e allegagione sono arrivate in anticipo rispetto alla stagione precedente. Le condizioni più fresche hanno tuttavia ritardato la maturazione delle uve e la vendemmia è iniziata come di consueto all’inizio di febbraio 2023. Sempre secondo quanto riferisce Vinpro, i produttori sono rimasti «impressionati dalle analisi dell’uva, che hanno mostrato livelli di pH, acidi e zuccheri ideali». Le condizioni di siccità hanno in sostanza condizionato le dimensioni degli acini, più piccoli rispetto alla norma, a vantaggio della qualità dell’uva. Sono stati osservati eccellenti profili cromatici e organolettici dei mosti.

«Nonostante quella che è stata a tutti gli effetti una vendemmia difficile per i nostri viticoltori – afferma Siobhan Thompson, Ceo di Wines of South Africa (WoSA) – siamo convinti di poter contare su superbi vini dell’annata 2023 da condividere con i nostri consumatori in tutto il mondo. Abbiamo visto crescere la domanda di vini sudafricani e prevediamo che i nostri vini continueranno a fornire l’eccellente qualità per cui stiamo diventando famosi». Nel dettaglio, il Sudafrica è il nono produttore di vino al mondo con il 4% del vino mondiale.

L’industria vinicola contribuisce al Pil del Paese per oltre 55 miliardi di Rand (1 rand equivale a 0,050 euro) e impiega 269.069 persone lungo tutta la filiera, di cui 80.173 lavorano nelle aziende agricole e nelle cantine. Buone anche le condizioni degli stoccaggi. «I livelli delle scorte dell’industria vinicola sudafricana – evidenzia Rico Basson di Vinpro – sono attualmente in equilibrio, a differenza di quanto avvenne durante la pandemia di Covid-19, quando l’industria vinicola non fu autorizzata a commerciare per 200 giorni e i livelli delle scorte erano pari a 650 milioni di litri».

VENDEMMIA 2023 SUDAFRICA: IL DETTAGLIO DELLE REGIONI VINICOLE
Breedekloof

L’annata sarà ricordata per una vendemmia pressoché dimezzata, per le piccole dimensioni degli acini e per i problemi legati alla riduzione delle rese di molte aziende e cantine.

Cape South Coast

I vini di inizio stagione riflettono un’annata eccellente, mentre i vini di fine stagione, che interessano le varietà più tardive, mettono in mostra l’esperienza e il savoir-faire dei winemakers.

Cape Town

La vendemmia 2023 è stata caratterizzata da vini freschi e da volumi inferiori, a causa dei fattori naturali che hanno preceduto la vendemmia.

Klein Karoo

Un’annata precoce, con una buona qualità delle uve e precipitazioni estive eccezionalmente elevate.

Cape North

Una stagione difficile per le uve ha dato luogo a un raccolto notevolmente ridotto, con un aumento della concentrazione di aromi e della qualità del vino. Le prospettive del Colombar sembrano particolarmente buone.

Olifants River

La vendemmia 2023 in questa regione vinicola del Sudafrica sarà ricordata per le temperature fresche e per il tempo umido e afoso, da dicembre in poi. La sicurezza idrica e la buona disponibilità di energia per l’irrigazione determinano in larga misura il raccolto di uva da vino della regione.

Paarl

Condizioni climatiche ideali e assenza di gravi ondate di calore. La qualità dell’uva è stata eccellente.

Robertson

La produzione è stata inferiore alla media. Condizioni ideali hanno prevalso fino alle prime piogge importanti di marzo, durante le quali è stata osservata una qualità dell’uva tra le migliori degli ultimi decenni.

Stellenbosch

Un periodo di maturazione più fresco ha garantito vini di alta qualità con le cultivar precoci. Le varietà tardive sono state più impegnative, ma le buone pratiche di gestione hanno prodotto uve di alta qualità.

Swartland

La vendemmia 2023 è stata caratterizzata da condizioni climatiche ideali durante la prima parte della vendemmia, con cultivar precoci e di mezza stagione che hanno raggiunto una maturazione ottimale e completa, con zuccheri più bassi della media.

Worcester

Un inverno e un’estate relativamente secchi e una stagione di crescita più calda hanno portato a una riduzione delle dimensioni degli acini in tutte le varietà di uva. Un fattore determinante per il minore raccolto della regione.

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La “nuova” Transilvania, ultima frontiera dei vini rossi della Romania


I tetti delle case disegnano il profilo delle colline, tutt’attorno all’aeroporto di Cluj-Napoca. La seconda città per numero di abitanti della Romania accoglie i viaggiatori mescolando colori e forme. Confondendo terra e cielo. Un goloso antipasto della meta: quella Transilvania che è villaggi appoggiati di schiena a boschi selvaggi e distese di prati verdi su cui galleggiano cavalli, greggi di pecore, bovini e cicogne, planate a terra dai nidi arroccati sui pali della rete elettrica. Per finire risucchiati dal fascino della natura incontaminata transilvana basta superare i sobborghi che abbracciano il secondo aeroporto nazionale rumeno, indimenticabili per l’ostinata spavalderia delle architetture civili: case trifamiliari che paiono riproduzioni miniaturizzate del castello di Dracula, tra merletti, torrette e piani poggiati uno sull’altro come strati croccanti di una torta millefoglie, a segnare il passo delle nuove generazioni. Ad appena due ore di distanza da Cluj, tutto cambia. E a fare rumore è il silenzio dei vigneti battuti da una brezza fresca, instancabile.

Mentre il sole chiude gli occhi sul mondo, colorando di rosa le chiome degli alberi, Miron Radić svela i segreti di una terra che chiede spazio sulla cartina geografica del vino internazionale. «La nostra etichetta più esportata – spiega il general manager della cantina Liliac di Batoş – è un ice wine (a commercializzarlo è l’italiana Gaja Distribuzione, ndr) ma è con il rosato che stiamo conquistando sempre più fette di mercato, anno dopo anno. C’è una larga parte di consumatori che si approccia al vino scegliendo questo colore; e non mi riferisco solo alle donne, ma anche agli uomini. In Romania, il rosato è diventato la prima scelta di chi ha voglia di avvicinarsi al vino». In un Paese in cui quattro cantine detengono l’80% della produzione, le boutique wineries come Liliac viaggiano al ritmo di 450 mila bottiglie annuali. Formiche tra elefanti. Operose e con le idee piuttosto chiare.

Nell’ottica di incrementare l’export e conquistare nuove fette di mercato nazionali, gran parte delle “piccole” cantine della Transilvania (in romeno “cantina” si dice “crama“) stanno virando dalla produzione di vini con residui zuccherini medio-alti – facili da reperire a basso costo nell’intera Romania – a vini con una maggiore espressione territoriale e varietale. Una ricetta che passa dalla cura agronomica ottimale del vigneto, dalla raccolta manuale e dalla cernita dei grappoli e dall’innalzamento qualitativo della tecnologia in cantina, grazie ai cospicui sussidi europei. «Vogliamo portare nel calice le specificità della nostra terra – afferma Paula Alexandra Bota, enologa di Liliac – e la voce più autentica delle varietà autoctone e internazionali che si possono trovare anche in altre regioni, ma che in Transilvania hanno espressioni diverse, particolari».

FETEASCĂ NEAGRĂ E PINOT NERO, IL NUOVO VOLTO ROSSISTA DELLA ROMANIA


Emblematico il caso del Fetească neagră, vitigno autoctono romeno a bacca rossa che ha chance incredibili di trasformarsi nel cavallo di Troia dei produttori della Transilvania, sui mercati internazionali. A differenza di altre zone della Romania, qui il vitigno esprime tratti di croccantezza unici che lo avvicinano al gusto dei consumatori moderni, a caccia di rossi agili, freschi, di gran beva e che non presentino eccessive concentrazioni. Il merito è del clima temperato, con escursioni termiche importanti e notti fresche, che contribuiscono ad elevare il quadro aromatico delle uve. Alla vista, la Fetească neagră di Liliac si presenta di un rubino splendido. Al naso abbina frutti rossi perfettamente maturi a una speziatura corroborante. Uno stile simile a quello del Piedirosso, nuovo asso nella manica dei produttori della Campania nei mercati globali. Per certi versi, la “Fanciulla nera” (questa la traduzione letterale del nome della varietà) ricorda anche i succosi Cabernet Franc della Loira, in particolare i “vin léger” di Saumur.

Ancora più elegante Titan, altro vino di Liliac ottenuto da Fetească neagră in purezza, questa volta però con un passaggio di 24 mesi in botti di rovere della Transilvania (usate in maniera ineccepibile). Il vino, di maggiore concentrazione ma raffinatissimo, presenta note di piccoli frutti a bacca nera, oltre che rossi, ed è nato da un’intuizione di Miron Radić. Bottiglia pesante (unica pecca), packaging che non passa inosservato (ogni bottiglia bordolese ha un’etichetta in vera pelle realizzata a mano da un legatore austriaco e lettere forgiate in platino) e prezzo non alla portata di tutti: 130 euro. Titan, prodotto solo nelle migliori annate, in edizione limitata, è da segnalare fra i vini romeni da assaggiare almeno una volta nella vita. Almeno per due ragioni: comprendere le punte di qualità della Fetească neagră; e toccare con mano gli ormai elevatissimi standard raggiunti da alcuni winemaker romeni.

Ovidiu Maxim è un altro fulgido membro di questo gotha di professionisti. A lui è affidata la direzione enologica di Crama La Salina Winery. Siamo a Turda, 40 chilometri a sud di Cluj-Napoca. Una località nota a livello internazionale per la presenza della Salina Turda, una tra le più grandi miniere di sale al mondo, visitata da circa 600 mila persone all’anno. La cantina e i suoi vigneti si trovano a pochi passi dall’ingresso del groviglio di cunicoli sotterranei della miniera, su ampi terrazzamenti che sovrastano impianti a corpo unico. Ancora una volta a convincere più di tutti è un vino rosso, ottenuto – nel caso di Crama La Salina – da una varietà internazionale. Si tratta del Pinot Noir “Issa”, edizione limitata della vendemmia 2020. Un nettare che ha tutto per competere con le migliori espressioni del vitigno a livello internazionale, senza scomodare per forza la Borgogna.

CLIMA ED ENOTURISMO: COME CAMBIA LA TRANSILVANIA DEL VINO


Fetească neagră
e Pinot noir invitano a riflettere su come i cambiamenti climatici stiano trasformando la Transilvania da “terra di vini bianchi” a nuova frontiera dei vini rossi della Romania. Una regione vinicola in cui trovare nettari freschi, dai toni tipicamente varietali, di grande eleganza e dal carattere non indifferente, nonché di gran longevità. Vini che riflettono clima, suolo e parcelle, proprio come nel caso del Pinot Noir “Issa”, frutto di una porzione di vigneto a 470 metri sul livello del mare.
Ma la Transilvania è in rampa di lancio anche sul fronte dell’enoturismo.

Lo dimostra il progetto a tutto tondo di Crama La Salina Winery, che può contare anche su un ristorante da 250 coperti, “Sarea-n bucate“, su un albergo foresteria con 13 bungalow molto ben attrezzati, un’area esterna con due piscine e una palazzina ancora in fase di costruzione, che ospiterà altre stanze. Fondi europei investiti in maniera ben oculata anche a 150 chilometri di distanza da Turda, per l’esattezza a Satu Nou, da parte di Crama Jelna Resort & Spa.

Anche in questo caso la cantina è affiancata da un moderno hotel-pensione con Spa, oltre al ristorante che serve piatti della tradizione rumena rivisitati in chiave moderna. Tra i vini di Jelna, curati dall’enologo Darius Pripon, interessante – dal punto di vista del packaging innovativo – il Blanc perlant, ovvero il bianco frizzante in bottiglia da 33 cl. «Un’alternativa alla birra», disponibile anche in versione rosé. L’ennesima riprova di quanto sia moderna e scoppiettante la scena enologica rumena. Al passo coi tempi e pronta a conquistare anche i mercati più evoluti, con vini di qualità assoluta e intuizioni di marketing futuristiche. Prosit.

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Vini rossi “leggeri”, grandi bianchi e spumanti: è ora di (ri)scoprire la Loira


EDITORIALE –
Mentre i fondi europei stanno dando una nuova centralità enologica (non del tutto ancora meritata) a Paesi dei Balcani e dell’ex blocco sovietico, in buona parte spesi dalle organizzazioni locali per foraggiare la stampa internazionale di settore e incoraggiarla a scrivere di “quanto siano meravigliosi” i vini oggi prodotti in quelle zone (non saranno sfuggiti ai più informati alcuni “titoloni” di pubbliredazionali apparsi, per esempio, su Decanter, oppure lo spazio crescente conquistato a Prowein da queste nazioni, con la Germania e i suoi scrupolosi intermediari a proporsi come mercato chiave dell’export Ue) è bene che gli amanti del nettare di Bacco non perdano di vista una regione vinicola su tutte in Europa. Una tra le più note, che continua a produrre vini di assoluta qualità, mai abbastanza glorificati in Italia e nel panorama mondiale e oggi da (ri)scoprire: la Loira.

Gli importatori italiani di Borgogna e Bordeaux, per non parlare di Champagne, abbondano ma non sempre riescono a convincere in termini di profondità dell’assortimento. Il motivo è che la richiesta è alta e c’è un po’ di spazio per tutti, anche per gli improvvisati. Trovare invece vini della Loira in Italia, specie nelle carte dei ristoranti, è cosa ben più complicata. Eppure questa regione andrebbe collocata, a mio avviso, almeno tra le prime tre da scoprire (o approfondire) dentro e fuori dal calice, a partire da questo 2023.

Il motivo risiede nella moderna raffinatezza della produzione dei Vignerons della Loira, capaci di sfornare vini rossi leggeri (nuovo, vero trend internazionale che sta man, mano seppellendo l’abbondare delle sovra-concentrazioni, nonché l’uso smodato delle barrique di primo passaggio, vere e proprie serial killer di primari e varietali) tanto quanto vini bianchi freschi, minerali, verticali (altro trend) e spumanti – i Crémant – di ottima levatura (valide alternative ai più costosi Champagne).

LOIRE MILLÉSIME 2023: L’ANALISI DELL’ANTERPIMA

A Loire Millésime 2023, l’anteprima vini organizzata da InterLoire – Interprofession des Vins du Val de Loire che ha visto protagonista la stampa internazionale tra il 25 e il 29 aprile scorso, la Loira ha confermato che per essere tra i migliori basta, a volte, rimanere se stessi. Soprattutto se a cambiare sono gli altri. Un cambiamento dettato principalmente dalle novità del clima. Le alte temperature stanno letteralmente “cuocendo a puntino” diverse denominazioni internazionali, in cui si assiste – tra gli altri fenomeni negativi – a un’impennata dei valori dell’alcol che contribuisce ad allontanare i consumatori da determinate tipologie, se non a costringerli a puntare su bevande diverse dal vino.

Il climate change sta invece – per molti versi – avvantaggiando la Loira, regione connotata per lo più da un clima fresco e che del “Cool Climate” – formula ormai divenuta vera e propria leva di marketing internazionale da parte di cantine e territori più avveduti e all’avanguardia – fa e farà sempre più un cavallo di battaglia. Basti pensare che InterLoire ha messo “l’acquaal centro della sua campagna di promozione negli Usa e nei mercati target europei (tra cui non figura, per ora, l’Italia) nella duplice presenza “rinfrescante” dell’Oceano – soprattutto a ovest di Nantes, patria degli straordinari Cru del Muscadet – e dello stesso fiume Loira, che attraversa la regione contribuendo al 25% delle risorse idriche dell’intera Francia. Condizioni ideali, insomma, per reggere – anche in futuro – all’urto di stagioni calde, secche e siccitose, senza che i viticoltori locali debbano rivoluzionare di molto le pratiche agronomiche o di cantina.

CABERNET FRANC FAVORITO DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI IN LOIRA

Dell’aumento delle temperature medie si avvantaggia soprattutto il Cabernet Franc, varietà simbolo della Loira che, in occasione della vendemmia 2021 proposta in anteprima dai produttori a Loire Millésime 2023, si presenta succoso più che mai, sapido (a volte addirittura bilanciatamente “salato”), golosissimo nelle migliori espressioni primarie del frutto.

Si passa dalla polpa rossa croccante tipica dei “leggerissimi” Saint-Nicolas-de-Bourgueil – vini tendenzialmente longilinei e slanciati nell’espressione del millesimo, seppur mai banali – alle più strutturate versioni “complesse” di Saumur-Champigny, l’Aoc che più di tutte concentra in 1.500 ettari di vigneto l’impressionante versatilità del Cabernet Franc della Loira. Non è raro trovare nella stessa gamma di una cantina vins légers e vins complexes, tipologie accomunate da un’immensa “approcciabilità“, garantita dall’immancabile agilità di beva.

GLI CHENIN DI SAVENNIÈRES: UNA GARANZIA

Un motivo in più per (ri)scoprire la Loira è la versatilità della produzione. Se le modernissime interpretazioni del Cabernet Franc potrebbero rivelarsi una scoperta per il mercato italiano – incentivando così i produttori a piantare Cabernet Franc nelle aree più adatte, scommettendo su vini “croccanti”, in pieno stile francese, segmento purtroppo poco presidiato al momento nel Bel Paese – di una maggiore notorietà godono Chenin e Sauvignon Blanc. Soprattutto per quest’ultimo, la notizia è che non bisogna per forza addentrarsi negli ormai noti Sancerre o Pouilly-Fumé per trovare assoluto appagamento dei sensi, in zona. Ma andiamo con ordine.

Lo Chenin è la terza varietà più piantata in Loira, diffusa soprattutto ad Angers e Touraine. I vini più verticali e minerali, specchio fedele dei suoli, trovano casa nella Savennières Aoc, a sud di Angers, sulle rive del fiume. Solo 150 gli ettari complessivi, per lo più arroccati su speroni rocciosi a picco sul fiume. Rese molto basse e terreni composti da scisti di arenaria e rioliti vulcaniche donano caratteristiche uniche allo Chenin. E per chi è a caccia di una longevità maggiore, ci sono i Savennières Roche aux Moines (veri mattatori a Loire Millésime 2023) e i Coulée de Serrant.

TOURAINE OISLY E CHENONCEAUX: L’EVOLUZIONE DEL SAUVIGNON BLANC

Anche sul Sauvignon Blanc della Loira si potrebbero scrivere pagine e pagine, ma è sul nuovo capitolo della varietà che è giusto concentrare la massima attenzione. La nuova “frontiera” si chiama Touraine Oisly, considerata “The cradle of Sauvignon Blanc“, ovvero la “Culla” del vitigno. Siamo a ovest di Montrichard, nella parte più orientale dell’Aoc Touraine, su un areale di soli 35 ettari allevati ad oggi da 7 viticoltori. In soli 12 anni (l’Aoc Oisly è stata istituita nel 2011 e riguarda solo le migliori parcelle della Sologne Viticole) il Sauvignon qui ha trovato un profilo unico, che mette al centro finezza ed eleganza, giusta concentrazione del frutto e sapidità, costituendo ormai una validissima alternativa ad Aoc più note (e costose).

Stesso discorso vale per un’altra denominazione in crescita, istituita nel 2011 all’interno della Aoc Touraine, proprio come quella di Oisly. Al centro, ancora una volta, il Sauvignon Blanc: si tratta della della Touraine-Chenonceaux, dal nome che richiama lo splendido Château della foto di copertina. I suoli, ricchi di calcare e argilla silicea, assicurano centralità e croccantezza al frutto. Nonostante la buona concentrazione aromatica, i vini base Sauvignon qui prodotti risultano sempre freschi, connotati da un’ottima agilità di beva e gastronomicità. Nelle prossime settimane, come per le altre denominazioni, i migliori assaggi a Loire Millésime 2023.

SEMPRE PIÙ PROFILATI I CRU DEL MUSCADET

Una lunga tavolata, con i produttori e i loro vini schierati in bell’ordine. Alle loro spalle, un roll-up che mostra il nome e il suolo di ogni cru. Si sono presentati così alla stampa i Vigneron di Nantes, per dare ulteriore (meritatissimo) risalto ai loro Crus Communaux, i Cru del Muscadet. Più passano gli anni e più i produttori di questo areale francese riescono a dare un senso a quello che, solo apparentemente, potrebbe sembrare un “abuso di zonazione”.

I vini provenienti dai differenti crus communaux del Muscadet hanno un’identità singolare precisa, al netto di qualche somiglianza che potrebbe avvicinare l’espressione di un cru a quella di un altro. Dieci quelli identificati, così riassumibili  grazie alle impressioni degli assaggi. Per le versioni più piene, stratificate e “potenti”: Clisson, Gorges, Mouzzillon-Tillières, Monnières-Saint Fiacre e Vallet. Per i crus del Muscadet di maggiore equilibrio e rotondità: Le Pallet, La Haye-Fouassière, Goulaine, Champtoceaux, La Haye-Fouassière e Château-Thébaud.

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