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Héritage Réserve Perpétuelle: il Crémant d’Alsace “Solera” di Ruhlmann-Schutz


Tra le colline dell’Alsazia, nel villaggio di Dambach-la-Ville, nasce uno dei più interessanti esempi di Crémant d’Alsace contemporanei: Héritage Réserve Perpétuelle Extra Brut, firmato da Famille Ruhlmann-Schutz. Un progetto ambizioso, che coniuga tradizione vinicola e sperimentazione con un risultato di rara complessità e raffinatezza. Certo, non un Crémant d’Alsace come gli altri. Si tratta infatti, come indica la stessa etichetta, di una Réserve Perpétuelle. Cosa significa? https://www.ruhlmann-schutz.fr/vins/cremant-dalsace-heritage-reserve-perpetuelle-extra-brut/

RÉSERVE PERPÉTUELLE: IL TEMPO COME INGREDIENTE ENOLOGICO

La Réserve Perpétuelle è un sistema di vinificazione mutuato dal metodo Solera. Tradizionalmente utilizzato nella produzione di vini fortificati come lo Sherry, oggi viene reinterpretato con crescente successo da alcune delle maison più visionarie, in ambito spumantistico. Sebbene l’origine sia da ricercarsi nella tradizione spagnola – in particolare di Jerez, in Andalusia – la sua applicazione in Champagne, Alsazia – ed anche in Italia, da cantine come Buvoli – ha assunto tratti distintivi propri. Adattati alle peculiarità di ciascun territorio.

Tecnicamente, la Réserve Perpétuelle si basa su un principio semplice solo in apparenza. Si parte da una massa iniziale di vino, proveniente da una o più annate, che funge da base storica. Ogni anno, una parte di questa cuvée – solitamente un terzo o meno – viene prelevata per essere imbottigliata. Il volume rimosso viene poi sostituito con il vino dell’annata più recente. In questo modo, si crea una sorta di “cuore liquido” perpetuo. Che evolve costantemente, ma che conserva una memoria gustativa profonda. Stratificata nel tempo.

LE DIFFERENZE TRA RÉSERVE PERPÉTUELLE ED ASSEMBLAGGIO CLASSICO

A differenza dell’assemblaggio classico, in cui si miscelano basi di annate diverse prima della presa di spuma, la Réserve Perpétuelle lavora su una massa vinaria unica, in costante movimento. È un organismo vivo che cresce, si affina e si arricchisce anno dopo anno, integrando progressivamente nuove espressioni del millesimo senza mai perdere l’identità stilistica originaria.

Questo metodo consente di ottenere vini di straordinaria complessità aromatica, in cui le note più fresche e vibranti dell’annata più giovane si fondono con la profondità e la struttura conferite dalle vendemmie più vecchie. L’equilibrio che ne deriva è frutto di un lungo lavoro di osservazione, di assaggi ripetuti. Di cura millimetrica nella gestione delle proporzioni. Non è un processo automatico. Piuttosto un atto artigianale di alta precisione. Affidato all’intuito e all’esperienza del vigneron.

In Champagne, pionieri come Jacques Selosse e successivamente case come Bérêche et Fils, Charles Heidsieck o Louis Roederer hanno tracciato la strada, dimostrando come la Réserve Perpétuelle possa rappresentare una chiave di lettura inedita per esprimere l’identità del terroir nel lungo periodo. L’Alsazia ha seguito a ruota, con esempi moderni come quello di Ruhlmann-Schutz, capaci di coniugare la tensione minerale dei suoli granitici con la profondità conferita dall’ingrediente-tempo.

HÉRITAGE: LA RÉSERVE PERPÉTUELLE SECONDO RUHLMANN-SCHUTZ

Il cuore tecnico e filosofico di Héritage Extra Brut risiede proprio nel principio della Réserve Perpétuelle. Dal 2017, ogni anno, un terzo della massa viene prelevato e imbottigliato, mentre il vuoto lasciato viene colmato con l’assemblaggio dell’annata corrente. Pinot Blanc, Auxerrois, Riesling e Pinot Grigio i vitigni scelti, rispettivamente dei millesimi 2017, 2018 e 2019. La fermentazione in bottiglia, seguita da un affinamento sui lieviti superiore a 30 mesi, dona a questo Crémant d’Alsace di Ruhlmann-Schutz un perlage fine e persistente, altro emblema di una lavorazione meticolosa e rispettosa del tempo. L’assenza di dosaggio zuccherino, tipica della dicitura Extra Brut, esalta la purezza e la tensione minerale del vino.

Una produzione limitata: il tiraggio è di 4.600 bottiglie ed è avvenuto il 16 settembre 2021. Alla vista si presenta con un elegante giallo dorato cristallino, attraversato da bollicine finissime e regolari. Al naso sorprende per complessità e precisione. Si percepiscono nette note di frutta a polpa bianca, agrumi canditi e accenni tostati. Sottofondo di piccoli frutti rossi e nuance di crosta di pane. In bocca, l’ingresso è deciso ma armonioso. L’effervescenza, misurata e cremosa, accompagna una struttura piuttosto importante, sostenuta da una vena salina e da una freschezza tagliente. Il finale è lungo, leggermente vinoso, elegantemente asciutto. https://www.winemag.it/les-grands-chais-de-france-raddoppia-vendite-cremant-in-italia/

CRÉMANT D’ALSACE HÉRITAGE RÉSERVE PERPÉTUELLE EXTRA BRUT: GLI ABBINAMENTI

Sul piano gastronomico, il Crémant d’Alsace Héritage Réserve Perpétuelle Extra Brut di Ruhlmann-Schutz si rivela estremamente versatile. Perfetto, secondo i suggerimenti della famiglia Ruhlmann-Schutz, con piatti come il pollo arrosto, un risotto ai funghi porcini mantecato al burro o un trancio di tonno rosso appena scottato. Esalta anche le sfumature di una terrina di foie gras alsaziana con chutney agli agrumi o di animelle rosolate al burro nocciola e salvia.

Non delude nemmeno con i formaggi a pasta semidura, come Comté, Tomme d’Alsace, Vieux Cheddar o Tête de Moine trovano in questo Crémant un alleato perfetto. Grassezza, aromaticità e umami, dunque. Caratteristiche che, in Italia, farebbero propendere per un abbinamento del Crémant d’Alsace Héritage Réserve Perpétuelle Extra Brut di Ruhlmann-Schutz con risotti ai funghi, pesce al forno, o piatti come terrine di fegatini di pollo toscani e midollo gratinato. Sul fronte caseario, ecco formaggi come Bitto, Puzzone di Moena, Pecorino di fossa o Caciocavallo podolico.

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Champagne, contro dazi Trump «sportello unico europeo per accise nell’Unione»

Semplificare la burocrazia in Europa. Per contrastare i dazi di Trump. In occasione della visita ufficiale nella regione dello Champagne del ministro francese incaricato del Commercio estero, Laurent Saint Martin, il presidente del Syndicat Général des Vignerons (SGV) della Champagne, Maxime Toubart, ha ribadito una richiesta chiave per i produttori: «L’istituzione di uno sportello unico europeo per il pagamento delle accise, specialmente nell’ambito delle vendite a distanza intra-europee».

ACCISE: SGV CHAMPAGNE CHIEDE UNO SPORTELLO UNICO EUROPEO

Attualmente, infatti, i produttori di vino, e in particolare le piccole e medie imprese (pmi), devono fare i conti con un quadro normativo frammentato e complesso, che impone pesanti oneri amministrativi per ogni vendita transfrontaliera. Tale sistema, sempre secondo il Syndicat Général des Vignerons, genera «costi significativi e rallenta lo sviluppo commerciale, riducendo la competitività dei vini francesi sul mercato europeo».

«L’idea di uno sportello unico europeo, simile al portale Iva già operativo – sottolinea Maxime Toubart – potrebbe rappresentare una svolta fondamentale per la semplificazione burocratica e amministrativa delle vendite di vino in Europa». Secondo il presidente della SGV Champagne, questo intervento «permetterebbe di snellire le procedure doganali, ridurre notevolmente i costi amministrativi. E, di conseguenza, liberare il potenziale export dei produttori, consentendo loro di affrontare con maggiore forza e agilità la concorrenza internazionale».

DAZI STATI UNITI: APPELLO DELLA CHAMPAGNA AL GOVERNO FRANCESE

La SGV invita ufficialmente il governo francese a farsi promotore di questa iniziativa presso la Commissione Europea. Sottolineando che «il contesto internazionale attuale, caratterizzato da crescenti tensioni commerciali e minacce di nuove tassazioni internazionali, rende ancora più urgente la creazione di un mercato europeo efficiente e realmente integrato». La proposta si inserisce nel quadro più ampio delle richieste del settore vitivinicolo francese, che punta a valorizzare e tutelare le eccellenze produttive nazionali a livello continentale e globale. https://www.sgv-champagne.fr/

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Trump ubriaca l’Italia: dazi al 20% sul vino italiano negli Usa


Dopo la girandola di minacce e dietrofront, i fatti. Il presidente Usa Donald Trump ha annunciato in serata dazi al 20% per il vino italiano negli Stati Uniti. A pagare il conto sarà tutto l’agroalimentare, così come altri settori del Made in Italy che conta, nel mercato a stelle e strisce. A tentare di scongiurare i dazi del Tycoon erano stati, nelle scorse settimane, gli stessi importatori americani di vini europei. Tutto inutile, anche se la scelta di dazi al 20% ai beni Ue è di gran lunga inferiore a quella del 200%, caldeggiata in prim’ordine da Trump. https://www.whitehouse.gov/articles/2025/04/tariffs-work-and-president-trumps-first-term-proves-it/

TRUMP: «EUROPA PATETICA, INIZIA UNA NUOVA ERA D’ORO PER L’AMERICA»

«Una giornata epocale il 2 aprile 2025 – così l’ha definita – il giorno in cui è rinata l’America e in cui ricominceremo a renderla ricca. Non succederà più che altri Paesi derubino gli americani. Anche l’Ue, nostra amica, così patetica, ci ha derubato di continuo. Questo è l’inizio di una nuova era dell’oro per gli Stati Uniti». I dazi reciproci entreranno in vigore il 5 aprile e daranno avvio a negoziazioni Ue-Usa. Questo lo scopo del presidente Trump, che mira a dialogare con il coltello dalla parte della manico nei confronti dell’Europa. L’altro scopo è riportare, tra i confini nazionali, lavoro delocalizzato dalle imprese Usa negli ultimi anni.

DAZI USA AL 10% SUL VINO ITALIANO

L’annuncio ufficiale è arrivato il 2 aprile 2025, attorno alle ore 10 italiane. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’imposizione di dazi del 10% su tutte le importazioni, con tariffe più elevate per i Paesi considerati «peggiori trasgressori». In particolare, l’Unione Europea è soggetta a dazi del 20%, mentre il Regno Unito affronta tariffe del 10%, la metà di quelle imposte agli altri Paesi dell’Ue.

Queste misure hanno suscitato preoccupazione nel settore vinicolo italiano, poiché gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato di esportazione per il vino italiano, con un valore di circa 1,9 miliardi di euro nel 2024. Il ministro dell’Agricoltura italiano, Francesco Lollobrigida, ha espresso preoccupazione ma non terrore riguardo ai potenziali dazi, auspicando che la diplomazia possa prevalere nelle negoziazioni con gli Stati Uniti.

LA RISPOSTA DELL’ITALIA AI DAZI DI TRUMP

In risposta, la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha avvertito l’Ue sui rischi di una guerra commerciale con gli Stati Uniti, criticando i piani di Bruxelles per imporre dazi di ritorsione sulle importazioni statunitensi. Meloni ha sottolineato che tali misure potrebbero portare a inflazione e stagnazione economica nell’Ue. Ha poi esorto a negoziati urgenti con l’amministrazione Trump, per evitare conflitti commerciali dannosi. «Serve negoziare», fa eco il presidente di Confindustria Emanuele Orsini.

Nel frattempo, la Commissione Europea ha proposto misure per sostenere il settore vinicolo europeo. Tra queste, l’aumento degli aiuti pubblici e la promozione di prodotti senza alcol o a bassa gradazione alcolica, al fine di affrontare sfide come i cambiamenti climatici e le fluttuazioni dei dazi. La situazione rimane fluida, con il settore vinicolo italiano e europeo che monitorano attentamente gli sviluppi. E valutano le possibili ripercussioni sulle esportazioni e sull’economia del settore.

DAZI, COLDIRETTI: COSTERANNO 1,6 MLD DI EURO AI CONSUMATORI AMERICANI

Il dazio al 20% su tutti i prodotti agroalimentari Made in Italy porterà a un rincaro da 1,6 miliardi per i consumatori americani. Con un calo delle vendite che danneggerà le imprese italiane, oltre ad incrementare il fenomeno dell’italian sounding. È quanto stima la Coldiretti in merito all’annuncio del presidente americano Donald Trump di imporre delle tariffe aggiuntive su tutte le merci europee. «Al calo delle vendite – aggiunge Coldiretti – va poi aggiunto il danno in termini di deprezzamento delle produzioni. Andrà calcolato filiera per filiera, legandolo all’eccesso di offerta senza sbocchi in altri mercati. Occorre ora lavorare a una soluzione diplomatica che venga portata avanti in sede europea».

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Champagne Vranken e D&C Spa: nuova partnership per il mercato Italiano


Champagne Vranken-Pommery Monopole
annuncia una nuova collaborazione strategica con D&C Spa, storica azienda italiana specializzata nella distribuzione di vini, Champagne e spirits premium con sede a Corsico (Milano). L’accordo segna un significativo passo avanti per rafforzare la presenza della Maison francese nel mercato italiano, che si dintingue nel mondo per ala forte passione per il vino e per l’eccellenza enogastronomica. https://www.vrankenpommery.com/home

CHAMPAGNE VRANKEN-D&C SPA: PARTNERSHIP FONDATA SU VALORI COMUNI

Caterina Boerci, Presidente di D&C Spa, e Nathalie Vranken, Ceo di Vranken-Pommery Monopole, esprimono soddisfazione per questa nuova partnership, basata su una condivisione profonda di valori come eccellenza, innovazione e rispetto della tradizione e dell’ambiente. «Siamo entusiasti di collaborare con D&C S.p.A., partner che condivide appieno la nostra visione del mercato italiano – ha dichiarato Nathalie Vranken – e con cui lavoreremo per diffondere ulteriormente l’eleganza e la qualità che contraddistinguono i nostri champagne». https://www.dec.it/chi-siamo/

LE CUVEÉ DIAMANT E DEMOISELLE CHAMPAGNE VRANKEN IN ITALIA

Grazie all’accordo, D&C diventa distributore esclusivo per l’Italia delle prestigiose Cuvée Diamant e Cuvée Demoiselle, Champagne iconici della Maison Vranken, apprezzati in tutto il mondo per la loro finezza e raffinatezza. «Siamo orgogliosi di rappresentare queste cuvée straordinarie che incarnano al meglio il savoir-faire unico della famiglia Vranken – sottolinea Caterina Boerci – con l’obiettivo di farle conoscere e apprezzare da un pubblico sempre più ampio in Italia».

IL MERCATO ITALIANO: UNA SFIDA E UN’OPPORTUNITÀ PER VRANKEN

Questa partnership strategica rappresenta una vera e propria scommessa sul mercato italiano, in continua crescita e particolarmente sensibile alla qualità e all’eccellenza delle produzioni vinicole internazionali. L’intento condiviso dalle due aziende è quello di consolidare e ampliare ulteriormente la notorietà del brand Vranken, facendo leva sull’esperienza consolidata di D&C Spa nella distribuzione di prodotti premium.

UN INVESTIMENTO PER IL FUTURO DELLO CHAMPAGNE IN ITALIA

La collaborazione tra Champagne Vranken-Pommery Monopole e D&C segna dunque un nuovo capitolo di crescita e di sviluppo per entrambe le realtà, unite dall’ambizione di offrire agli amanti italiani dello Champagne un’esperienza degustativa unica e di altissimo livello. Una partnership destinata a valorizzare la cultura dello Champagne. E a rafforzare ulteriormente l’immagine della Maison Vranken in Italia.

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Ludovico Maria Botti nuovo vicepresidente Cevi – Vignaioli Indipendenti europei


Ludovico Maria Botti Cevi Vignaioli Indipendenti europei Cevi, Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti, continua a parlare italiano con l’ingresso di Ludovico Maria Botti nel ruolo di vicepresidente. Il vignaiolo del Lazio, già membro del consiglio direttivo nazionale di Fivi, è la quota tricolore nel nuovo team direttivo, che perde tuttavia la presidenza italiana. Matilde Poggi, alla guida della Cevi dal 2021, lascia infatti il posto al nuovo presidente Samuel Masse, 36 anni, vignaiolo francese della regione dell’Hérault. L’elezione è avvenuta oggi, durante l’Assemblea Generale dell’organizzazione, tenutasi proprio nel Lazio.

Matilde Poggi, che ha deciso di non ricandidarsi dopo quattro anni di presidenza, ha espresso grande soddisfazione per il lavoro svolto, assicurando che la Cevi è ora «in ottime mani» con Masse. Già presidente del Ceja, il Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori nel 2021, il vigneron porta con sé una solida esperienza nelle dinamiche istituzionali dell’Unione Europea e nella difesa dell’agricoltura familiare e giovanile. Ludovico Maria Botti Cevi Vignaioli Indipendenti europei. https://www.cevi-eciw.eu/

CEVI – VIGNAIOLI EUROPEI: GLI OBIETTIVI DEL NUOVO PRESIDENTE SAMUEL MASSE

Le stesse che sarà chiamato a difendere Ludovico Maria Botti (Azienda Biologica Trebotti, Tuscia), accanto agli altri due vicepresidenti Mateja Škrl Kocijančič (Slovenia) e Josef Valihrach (Repubblica Ceca). Nominato tesoriere Guy Krier (Lussemburgo), mentre Ivo Varbanov (Bulgaria) è il nuovo Segretario generale della Cevi. Tra gli obiettivi principali del neo presidente ci sono l’ampliamento della base associativa della Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti, che intende tutelare circa 200 mila vignaioli indipendenti in 12 Paesi europei. Tutte realtà che contribuiscono significativamente allo sviluppo economico e sociale delle regioni vinicole di appartenenza. Altro obiettivo della nuova presidenza targata Samuel Masse è il rafforzamento della capacità di Cevi di influire sulle politiche europee.

Tutte realtà che contribuiscono significativamente allo sviluppo economico e sociale delle regioni vinicole di appartenenza. Altro obiettivo della nuova presidenza targata Samuel Masse è il rafforzamento della capacità di Cevi di influire sulle politiche europee.ht

Tutte realtà che contribuiscono significativamente allo sviluppo economico e sociale delle regioni vinicole di appartenenza. Altro obiettivo della nuova presidenza targata Samuel Masse è il rafforzamento della capacità di Cevi di influire sulle politiche europee.tps://trebotti.it/vini

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Stati Uniti shock: «Bloccate tutti gli ordini di vini europei, rischio dazi Trump alto»


bloccate ordini vini europei dazi trump. La tensione commerciale tra Stati Uniti ed Europa, con la minaccia di nuovi dazi di Trump sui vini europei, mette in allerta anche gli operatori americani del settore vino. Dopo la raccolta firme per scongiurare nuove tariffs, Ben Aneff, membro del Board of Directors della U.S. Wine Trade Alliance, ha invitato ufficialmente le aziende importatrici americane a «sospendere immediatamente tutte le spedizioni di vino, liquori e birra provenienti dall’Unione Europea».
«La minaccia di dazi del 200% annunciata dal presidente Trump in risposta ai dazi programmati dall’Ue su bourbon e altri prodotti americani rappresenta un rischio troppo elevato», ha spiegato Aneff in una nota diffusa ai membri della USWTA. L’Unione Europea intende applicare nuovi dazi a partire dal 1° aprile. E gli Stati Uniti potrebbero rispondere già dal giorno successivo. Sfruttando una sezione della legge commerciale finora mai utilizzata.

Possibili dazi vino Trump: raccolta firme dei distributori negli Usa

DAZI TRUMP SUI VINI EUROPEI: DEROGA PER LE MERCI IN VIAGGIO?

Proprio per questo motivo, la U.S. Wine Trade Alliance è impegnata nel tentativo di ottenere una deroga per le merci già in viaggio. Negli Stati Uniti la chiamano «goods-on-the-water exception». Ma, attualmente, ammonisce l’associazione che riunisce gli importatori, «non vi è alcuna garanzia che tale eccezione venga concessa». Aneff ha sottolineato la gravità della situazione: «Siamo ben consapevoli dell’impatto di una simile interruzione, e non prendiamo questa raccomandazione alla leggera». bloccate ordini vini europei dazi trump.

Sebbene nessuna notizia ufficiale sia stata ancora pubblicata dal registro federale statunitense, la situazione resta fluida. E potrebbe cambiare repentinamente. «Non siamo responsabili di questa guerra commerciale, ma ci troviamo comunque coinvolti», conclude Aneff. Il Board della USWTA assicura che «continuerà a dialogare quotidianamente con agenzie governative e membri del Congresso per aggiornare tempestivamente gli operatori del settore». Secondo una recente indagine dell’associazione, il surplus di costi causato dai dazi di Trump sui vini europei è risultato pari a 230 milioni di euro. https://winetradealliance.org/

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Borgogna, bottiglie di vino più leggere con “Bourgogne Neutralité 2035”


Nell’ambito del progetto “Bourgogne Neutralité 2035“, il Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (BIVB) ha lanciato una nuova webserie sui suoi canali social. Questa iniziativa è dedicata alla promozione dell’uso di bottiglie di vino più leggere, con l’obiettivo di «sensibilizzare sia i viticoltori che i commercianti ancora esitanti, oltre a informare il grande pubblico sull’esistenza di bottiglie di vino più leggere, vantaggiose e prive di inconvenienti».
Ogni episodio della serie affronta un pregiudizio comune riguardante le bottiglie alleggerite, illustrato da una vignetta realizzata da Sylvain Pongi. Un professionista che già utilizza bottiglie di peso inferiore ai 450 grammi condivide quindi la propria esperienza. Sfatando il mito e rispondendo alle domande più frequenti. I primi tre episodi hanno evidenziato diversi aspetti chiave di questa innovazione.

LA VERSATILITÀ DELLE BOTTIGLIE LEGGERE DI VINO

Il primo tema affrontato riguarda la versatilità delle bottiglie leggere, dimostrando che tutti i vini possono essere imbottigliati in contenitori alleggeriti, inclusi i Grand Cru di Borgogna. Questo concetto è stato ribadito dalla testimonianza di Véronique Drouhin della Maison Joseph Drouhin, che ha confermato come la qualità del vino non venga minimamente compromessa.

LE BOTTIGLIE LEGGERE SONO PIÙ FRAGILI?

Il secondo episodio ha sfatato il mito secondo cui le bottiglie alleggerite sarebbero più fragili e soggette a rotture durante l’imbottigliamento, lo stoccaggio e la spedizione. A dimostrare il contrario è stata l’esperienza di Frédéric Gueguen del Domaine Céline et Frédéric Gueguen, che ha sottolineato come la riduzione del peso non influisca sulla resistenza delle bottiglie. https://www.winemag.it/viaggio-vini-qualita-prezzo-borgogna-con-gabriele-gorelli-mw/

BOTTIGLIE DI VINO LEGGERE: I BENEFICI PER LE CANTINE DELLA BORGOGNA

Il terzo episodio ha evidenziato i benefici pratici per i lavoratori delle aziende vinicole. L’adozione di bottiglie più leggere permette infatti di ridurre il peso delle casse di vino, migliorando le condizioni di lavoro. Un esempio concreto è stato portato da Hélène Sarkis e da una dipendente del Domaine Joblot. Hanno spiegato come una cassa da 12 bottiglie possa pesare fino a 1,7 kg in meno, facilitando così la movimentazione e riducendo il rischio di infortuni.

I PROSSIMI EPISODI DI BOURGOGNE NEUTRALITÉ 2035

Sono attualmente in preparazione altri quattro episodi, che verranno diffusi nel mese di aprile. L’obiettivo del progetto “Bourgogne Neutralité 2035” è ambizioso: ridurre del 60% le emissioni di CO₂ dei vini di Borgogna. E compensare il restante 40%. Considerando che le bottiglie rappresentano attualmente il 25% delle emissioni totali, diminuirne il peso è una strategia efficace per ridurre l’impronta carbonica. Per i vini tranquilli, le bottiglie da 395 grammi hanno già dimostrato efficienza e robustezza. Tuttavia, anche le bottiglie da 410 o 420 grammi offrono vantaggi significativi. Nel 2023 il peso medio delle bottiglie di vini di Borgogna era di 559 grammi. https://www.vins-bourgogne.fr/

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La Famiglia del Vino: in Romania il concorso enologico organizzato dai Păduraru


Vinarium Wine Contest Romania Păduraru. Lui è un ex attore. Il classico bell’imbusto, con la postura e la voce che buca lo schermo. Lei è sempre stata al suo fianco, instillando nella figlia la passione per l’antropologia. Loro sono Cătălin, Daniela e Ruxandra Păduraru: la famiglia del vino che organizza Vinarium – International wine contest, concorso enologico internazionale che si tiene ormai da 22 anni in Romania, con il patrocinio dell’Oiv e di Vinofed. Dati alla mano, si tratterebbe della più importante competizione enologica dell’Est Europa. In vista della prossima edizione, in programma dal 22 al 25 maggio 2025, ecco l’intervista all’affiatatissimo trio di organizzatori, sempre unito tra famiglia e lavoro.

Cătălin (C), Daniela (D) e Ruxandra (R) Păduraru: qual è la vostra principale occupazione oltre all’organizzazione di Vinarium?

R: Sono un’antropologa e attualmente una dottoranda. Insegno presso la Facoltà di Sociologia e Lavoro Sociale, dove mi occupo di ricerca, organizzo workshop interdisciplinari e scrivo molto. Il mio lavoro si concentra sull’antropologia sociale, con l’obiettivo di tradurre la ricerca accademica complessa in una comprensione accessibile a tutti.

D: Sono sempre stata la Direttrice Esecutiva di tutte le operazioni del gruppo, che comprendono la distribuzione nazionale di vino, la vendita al dettaglio specializzata e l’organizzazione di una competizione enologica internazionale. L’Associazione Vinarium Wine Institute va oltre la competizione internazionale. Include ricerche storiche, sociologiche e antropologiche, corsi di valutazione sensoriale, degustazioni, trasmissioni televisive e radiofoniche, pubblicazioni di letteratura specializzata e una serie di progetti unici. Tra questi ci sono il Wine Neurofeedback, The Sound of Wine, Enovart (upcycling di materiali del settore vitivinicolo) e la nostra nuova iniziativa, Wine Highway/Vineyards Highway.

C: Nel 2010 abbiamo effettuato un’uscita strategica dalla più importante azienda specializzata nella commercializzazione di vino dell’epoca. Da quel momento, ci siamo concentrati completamente sulla ricerca, l’innovazione applicata, i corsi, la pubblicazione di libri, la conduzione di programmi radiofonici e televisivi e la scrittura per riviste. Curiosamente, circa 30 anni fa scrivevo per Playboy, che all’epoca aveva una rubrica sul vino. Oggi scrivo per Ziarul Financiar e Revista Fermierului. In sintesi, il mio lavoro consiste nel concettualizzare, implementare, coordinare e comunicare progetti diversi.

Attualmente, la nostra ricerca si concentra su una prospettiva storica che si discosta dalla narrazione ufficiale, mettendo in luce l’antico legame della Romania con la Vitis Vinifera. Inoltre, esploriamo il marketing multisensoriale, il neurofeedback, l’intelligenza artificiale e, più recentemente, lo sviluppo del settore enoturistico attraverso camper lungo la nuova A7, chiamata “Wine Highway”, o “Vineyards Highway”. Con queste iniziative, vogliamo creare modelli non solo per i produttori e viticoltori, ma anche per i turisti e per l’amministrazione statale, che finora non ha colto appieno questa opportunità.

Quali sono i vostri rispettivi ruoli in Vinarium?

R: Siamo un team molto piccolo, quindi tutti indossiamo più “cappelli”. Io mi occupo principalmente dell’organizzazione pre-evento, gestendo il sito web e coordinando le giornate della competizione. Durante l’evento, mi occupo della logistica: comunicazione con i giudici, fotografi e videomaker, rapporti con la stampa, preparazione di diplomi, badge e regali, traduzioni e risoluzione di eventuali problemi. Detto questo, il mio ruolo non si limita a questi compiti. Dall’assistenza nello scarico dei campioni dal camion prima della competizione alla gestione del magazzino dei vini, do una mano ovunque sia necessario. https://www.winemag.it/schengen-esultano-italiani-producono-vino-romania-e-bulgaria/

D: Mi occupo principalmente degli aspetti tecnici, inclusa la raccolta dei campioni sia dalla Romania che dall’estero. Coordino inoltre l’organizzazione della sede e tutti i dettagli logistici.

C: Il mio ruolo è stato, e continua a essere, quello di creare un format unico, dinamico e competitivo, capace di raggiungere i vertici europei e mondiali. Oltre a questo, serve rigore e coraggio. Forse, riesco anche a creare coesione nel team e ad attrarre giudici che si innamorano della Romania.

Ruxandra e Daniela, come vi siete avvicinate al mondo del vino?

R: Quando cresci in una famiglia che opera nel settore da sempre, è inevitabile [ride]. Sono una persona curiosa e volevo capire di più già prima di poter legalmente “bere” vino. Ho partecipato a eventi con i miei genitori, visitato cantine e ascoltato innumerevoli conversazioni sul vino. A casa nostra, il vino è sempre stato visto come un prodotto culturale, non solo come una bevanda alcolica, ed è proprio questo aspetto che mi ha affascinata di più. https://www.iwcb.ro/

D: Ho una formazione in ingegneria e inizialmente volevo diventare una creatrice di prodotti di lusso in pelle. Poi ho incontrato Cătălin e, attraverso di lui, ho scoperto… il vino. Dopo tre anni di lavoro come giovane ingegnere, ho deciso di costruire qualcosa insieme a Cătălin. E con un team di giovani imprenditori a noi vicini, abbiamo sviluppato e fatto crescere brand noti.

Catalin, come è nata l’idea di organizzare Vinarium Wine Contest e quando?

C: Un momento davvero magnifico è stato quando, nel 2011, ho detto “sì” a una sfida.

Come è cresciuta la competizione dalla prima edizione?

C: Quando ho preso in mano l’Iwcb (International Wine Contest Bucharest), era una piccola competizione a rischio di chiusura. Oggi, Vinarium è cresciuto più di dieci volte rispetto alla sua forma iniziale e ha introdotto innovazioni uniche. Ad esempio, durante la pandemia, siamo stati l’unica competizione al mondo a svolgersi regolarmente, sperimentando con successo il formato ibrido (in presenza e online), che nessun altro ha saputo replicare.

Perché la Vinarium Wine Contest è importante per la Romania e non solo?

R: Vinarium non è solo una competizione, ma una vetrina della Romania vitivinicola al mondo. Oltre a certificare la qualità dei vini, la competizione rafforza l’identità culturale, economica e turistica del paese.

C: La Romania è tra i maggiori produttori europei di vino e ha un mercato aperto alle etichette di tutto il mondo. Vinarium aiuta i produttori a posizionarsi in questo mercato e a comprendere le tendenze del consumo.

Essere una “famiglia del vino” rende più facile gestire il lavoro?

R e D: Non sempre è facile separare il lavoro dalla vita familiare, ma abbiamo imparato a farlo. Lavorare insieme ha rafforzato il nostro legame e Vinarium è parte della nostra identità.

C: Siamo una famiglia con competenze diverse, che converge nell’esperienza vinicola. Questa complementarietà ci rende più forti.

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Champagne? No, English sparkling “alla cieca”. Il test di un ristorante stellato


Immaginate di sedevi a pranzo in un ristorante stellato di cucina francese, che in carta ha solo vini francesi e italiani. Nel calice, spumeggiante, vi aspettate Bollinger o Taittinger. Oppure Moët & Chandon. Piatti e spumante, insieme, funzionano divinamente. L’abbinamento è da favola. Tutti i commensali concordano. Ma dopo il dolce, lo chef svela che non avete bevuto Champagne. Bensì English Sparkling. Ovvero il metodo classico inglese. La trovata è della cantina Chapel Down, che ha sede nel Kent. Una delle più importanti aziende produttrici di bollicine inglesi ha voluto così sfidare lo Champagne, per dimostrare la qualità dei suoi prodotti. Ben lieti di prestarsi al test Emily e Michel Roux, rinomati chef del ristorante di cucina francese Caractère, al 209 di Westbourne Park Road, nel noto quartiere Notting Hill di Londra. https://chapeldown.com/blogs/news/what-a-roux.

«Abbiamo invitato alcuni amanti della cucina francese a pranzo – spiegano padre e figlia – e abbiamo detto loro che si trattava del lancio di cuvée speciali di spumante. Da Caractère, la carta dei vini include solo etichette francesi ed italiane. La sfida era chiara: gli ospiti si renderanno conto che stanno bevendo spumante inglese? Abbiamo servito tre dei migliori metodo classico dell’Inghilterra, in gran segreto, “alla cieca”, ovvero coprendo le bottiglie. Dopo aver raccolto i pareri dei clienti, tutti entusiasti dei vini proposti, abbiamo chiesto di indovinare il brand. Qualcuno ha detto Bollinger. Altri Taittinger. Altri ancora Moët & Chandon. Immaginate la loro faccia quando abbiamo svelato che si trattava degli English Sparkling di Chapel Down!».

CHAPEL DOWN, GLI ENGLISH SPARKLING SFIDANO LO CHAMPAGNE

L’evento si è tenuto in occasione dello Champagne Day del 25 ottobre scorso. «Abbiamo collaborato con il rinomato duo di chef Michel ed Emily Roux – svela oggi la cantina inglese – per valorizzare la loro tradizione francese e sfidare in modo giocoso la percezione dello Champagne, rispetto al vino spumante inglese. Durante l’evento, i partecipanti hanno espresso il loro amore per la cucina francese e per lo Champagne. Senza rendersi conto che i vini spumanti serviti non erano francesi, bensì prodotti da Chapel Down! La selezione includeva Chapel Down Brut, Chapel Down Rosé e Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs 2019». Spumanti che, anche nel prezzo, in Inghilterra, sfidano lo Champagne. Assestandosi fra i 40 e i 70 pound.

«La reazione dei partecipanti al test – commenta ancora Chapel Down – è stata straordinariamente positiva. Il 100% degli ospiti ha elogiato la qualità dei vini. Un sondaggio post-evento ha evidenziato che il 58% degli intervistati preferisce Chapel Down rispetto allo Champagne, mentre il 42% lo ha valutato alla pari del proprio Champagne preferito. I vini sono stati descritti come “freschi” e “briosi”, ricevendo ampi consensi per la loro eccellente lavorazione». Ma c’è di più. Grazie al successo dell’evento, il Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs ha ottenuto un posto nella prestigiosa carta vini del Caractère. Il ristorante, fresco della prima stella Michelin, parla un po’ anche italiano, dal momento che il marito di Emily Roux è il milanese Diego Ferrari, allievo di Alain Ducasse a Parigi.

L’ASCESA DELL’ENGLISH SPARKLING SULLO CHAMPAGNE NEL REGNO UNITO

«Volevamo sfidare le percezioni – spiega Emily Roux – e mettere in evidenza la straordinaria qualità dei vini spumanti inglesi. La reazione dei nostri ospiti è stata semplicemente incredibile. Vedere la loro sorpresa e il loro entusiasmo per i vini di Chapel Down ha confermato la nostra fiducia nell’eccellenza del vino inglese. È stata un’esperienza davvero memorabile e siamo entusiasti di poter offrire il Chapel Down Kit’s Coty Blanc de Blancs nel nostro menù».

«Chi – si chiede Liam Newton, responsabile Marketing di Chapel Down – è meglio della rinomata famiglia Roux per celebrare la qualità degli English sparkling Chapel Down? Il fatto che tutti gli ospiti abbiano considerato i nostri vini alla pari o superiori rispetto allo Champagne ci riempie di orgoglio. E dimostra quanto il settore dei vini spumanti inglesi sia cresciuto, in un arco di tempo relativamente breve. Con una qualità destinata a migliorare ulteriormente, man mano che la nostra regione vinicola continua a svilupparsi, alziamo un calice per celebrare il futuro del vino spumante inglese!».

Del resto, il successo della campagna “The Roux” di Chapel Down si inserisce in un contesto di forte crescita del mercato del vino spumante inglese. Secondo i più recenti dati di mercato in possesso della cantina del Kent, «il vino spumante inglese è il metodo classico più frequentemente consumato nel Regno Unito». Un report di IWSR ha inoltre identificato il vino spumante inglese come «una delle categorie a maggiore crescita e con maggiori opportunità future». Parlano chiaro i numeri, che vedono un incremento dell’English Sparkling del 12,2% in volume, tra il 2018 e il 2023, a fronte di un calo dell’1,4% dello Champagne nel mercato britannico.

English Sparkling, il viaggio: così gli spumanti inglesi sfidano lo Champagne

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Vipava Valley: il paradiso nascosto dei vini macerati della Slovenia


Potesse avere una bandiera tutta sua, la Vipava Valley – o
Valle del Vipava o del Vipacco, in sloveno Vipavska Dolina – sceglierebbe la via minimalista. Monocromo. Un vessillo di un unico colore. L’arancione. Quello dei suoi orange wine. Già perché la vallata della Slovenia che prende il nome dal fiume Vipava è un vero e proprio paradiso dei vini macerati. Tra il villaggio di Podnanos, ad est, e il confine con l’Italia, ad ovest, Madre Natura ha collocato qui due varietà di uve autoctone ancora poco note, perfette per la produzione di alcuni tra i vini macerati più fini al mondo. Si tratta dello Zelèn e della Pinela. Cenerentole con cui si può fare conoscenza a pochi minuti dal Collio friulano, altro Eldorado degli orange wine. La Vipavska Dolina – parte integrante della regione vinicola di Primorska – si trova infatti appena dopo il Collio sloveno (Goriška Brda), proseguendo verso Est. Sopra all’altra subregione del Kras (Carso), con cui confina nella parte sud-orientale.

«In mezzora si può attraversare la Vipava Valley in auto», ricorda Robert Gorjak, comunicatore ed ambasciatore dei vini della Slovenia. Una gemma che conta, per l’esattezza, 2.098 ettari complessivi e due aree geografiche ben distinte: la Upper Vipava Valley, ovvero la parte più occidentale; e la Lower Vipava Valley, più vicina a Nova Gorica (Gorizia). «Proprio come nel Collio italiano – continua Gorjak – è difficile incasellare i vini della Valle del Vipava in un’unica categoria. È un’area in cui convivono più vitigni e più stili. Dagli internazionali agli autoctoni. E dalle cuvée ai vini da singola varietà. Ma una cosa è certa. In Vipava Valley si producono ottimi vini da macerazione sulle bucce. E, qui come in altre zone della Slovenia, la produzione biologica e biodinamica sta crescendo molto negli ultimi anni».

I VINI MACERATI DELLA VIPAVA VALLEY: TRADIZIONE SECOLARE

Non è nuova della Valle del Vipacco la macerazione. Un processo enologico che prevede il contatto prolungato del mosto con le bucce, i vinaccioli e – talvolta – i raspi dell’uva, durante la fermentazione. Sebbene sia una pratica comune nella vinificazione dei vini rossi, l’utilizzo di questa tecnica sulle uve bianche è ciò che dà origine ai vini macerati, noti nel mondo come orange wines. Durante la macerazione, composti fenolici come tannini e antociani vengono estratti dalle bucce, conferendo al vino caratteristiche distintive in termini di colore, struttura e complessità aromatica.

In Vipava Valley – zona menzionata per la prima volta nel 1844 dal sacerdote Matija Vertovec, nel manuale di viticoltura ed enologia che porta proprio la sua firma – la macerazione delle uve bianche è una tradizione secolare. Questa pratica è stata preservata nel tempo, grazie alla dedizione di viticoltori che hanno affinato il metodo, nel corso dei decenni. Al punto di riuscire a valorizzare le caratteristiche delle uve e dei loro suoli, anche a fronte di una tecnica che tende a omologare i sentori e a rendere tutti uguali i vini macerati (ovviamente quelli fatti male).

ZELÈN E PINELA: DUE UVE AUTOCTONE PER I MACERATI SLOVENI

Colore paglierino con riflessi verdolini. Un bouquet floreale fresco e fruttato, con ricordi di pera e mela. Sono le caratteristiche dei vini ottenuti da uve Zelèn. Una varietà che si distingue dall’altro vitigno autoctono Pinela, che dà vini più freschi ed aromatici, con note di frutta a polpa bianca e una acidità più marcata. Un’accoppiata perfetta per i vini macerati della Vipava Valley, in un’epoca in cui la differenziazione e l’unicità della base ampelografica sono assi nella manica dei viticoltori, in chiave marketing e storytelling internazionale. Oltre alle varietà autoctone, i viticoltori della Valle del Vipava sperimentano con successo la macerazione su uve internazionali. Come Sauvignon Blanc, Chardonnay e Ribolla Gialla.

Importante anche la riscossa di un altro vitigno a bacca bianca: il Riesling italico (molto diffuso anche in Italia, con ben 1.200 ettari in Oltrepò pavese, dove non viene valorizzato a dovere). Per la prima volta nella storia dei vini della Slovenia, il noto produttore Primož Lavrenčič della cantina Burja si prepara ad immettere sul mercato – proprio entro la primavera 2025 – un vino che menziona l’Italico con il nome tradizionale “Grašica”, al posto del più noto (commercialmente) Laški Rizling. Segnando, così, l’inizio di una nuova era per un vitigno che, a sua volta, si presta in maniera genuina alla tradizione della macerazione sulle bucce della Vipava Valley. Lo stesso vale per i vitigni Piwi, introdotti di recente nella zona dalla cantina Marlon Batič.

10 VINI DELLA VIPAVA VALLEY DA ASSAGGIARE

  • Zelèn 2022, Pasji Rep
    Curioso il nome di questa cantina: Pasji Rep significa “Coda di cane” ed è un inno a uno dei “cru” più apprezzati della Vipava Valley. Un vino che scardina i teoremi sul vitigno autoctono Zelèn, solitamente meno aromatico e meno fresco/acido di così. Magistrale la macerazione, che dà corpo e spina dorsale al nettare. Vino da bere a secchiate.
  • MR. 21, Vinska klet Miška
    Ribolla e Malvasia, fermentate spontaneamente. Altra macerazione gestita divinamente, tanto da abbinarsi alle note aromatiche come una cravatta sulla camicia. Ricordi di frutta tropicale, dal naso al palato, sino alle memorie d’agrumi, in chiusura. Altro vino di gran beva, pur mai banale in ogni sua sfaccettatura.
  • Pinela 2023, Guerila
    C’è più ampiezza al naso, come nelle attese, rispetto ai vini prodotti con l’altro vitigno autoctono Zelèn. È l’aromaticità della Pinela, perfettamente espressa. Palato materico, oleoso, dominato dal frutto bianco (pera) ma impreziosito da netti ricordi di erbe selvatiche. Macerazione che qui non viene compiuta, in quanto si tratta del vino di ingresso all’interessantissima gamma della cantina.
  • Malvazija 2021, Krapež
    Classiche note della Malvasia (secca), con la magia regalata da 7 giorni di fermentazione sulle bucce. L’annata è di quelle buone e il vino si concede tra aromaticità, tensione acida e una polpa che si fa quasi “masticare”. Sapidità finale che non guasta, in termini di gastronomicità.
  • Retro Selection 2021, Guerila
    Ecco una cuvée coi fiocchi, a dimostrazione di quanto la Vipava Valley sia terra da single variety, tanto quanto da field blend. Ben quattro le varietà, qui: Pinela, Zelèn, Rebula (Ribolla) e Malvazija dal cru Pri Pili, con macerazione di una settimana. Un nettare ammaliante, di gran complessità e stratificazione, in cui a dominare non è una singola nota, ma un concerto di percezioni che va dal suolo (minerale, roccia) al frutto candito, sul consueto sottofondo di erbe aromatiche e finocchietto selvatico.

  • Rebula Maximilian I 2020, Svetlik
    Un anno in barrique per aggiungere ancora più corpo e struttura a un orange wine che convince per precisione, aromaticità e complessità. Splendida, al palato, la trama tannica che accompagna il sorso, contribuendo – insieme a una netta mineralità – ad un equilibrio perfetto con le note di frutta matura, esotica. Ottimo il potenziale evolutivo.
  • Stranice 2020, Burja
    Primož Lavrenčič si conferma maestro nelle macerazioni, con questo orange wine di assoluta raffinatezza, prodotto dall’ennesimo assemblaggio ben riuscito, con uve tipiche della Vipava Valley: Malvasia, Ribolla e Riesling italico. Piante di 60 anni, che affondano le radici in terreni marnosi. Gran pienezza dal primo naso al retro olfattivo, tanto sul frutto (mela, pera, frutta tropicale) e generosi rintocchi di erbe aromatiche. Zenzero per la componente speziata, abbinata a un leggero tocco fumé in chiusura.
  • Moser Cuvée, Pasji Rep
    In una parola, un altro capolavoro dalla Vipava Valley. Uve Malvasia, Ribolla, Riesling italico e Zelèn provenienti da una singola vigna, contraddistinta da una pendenza del 60% e da suoli poveri, rocciosi e sabbiosi. Vino sapido, dritto, verticale per definizione, con il plus di 7 giorni di macerazione a conferire polpa e materia al sorso. Chiusura sulle consuete note di finocchietto selvatico, a regalare un tocco di balsamicità che rende ancora più irresistibile la beva. Chapeau.
  • Klarnica, Kmetija Cigoj
    Segnalazione che vale un plauso all’eroica operazione di recupero della varietà Klarnica, da parte dell’azienda agricola Cigoj (da provare anche i loro insaccati da maiali mangalica). Si tratta di un vitigno a bacca bianca locale, di cui esistono solo 5 ettari. Bella aromaticità al sorso, sostenuto da un corpo non banale e da un finale che ricorda in maniera netta il miele d’acacia.
  • Zelèn 2021, Fedora Natural Wine Estate
    Splendida espressione del vitigno Zelèn, qui con sette giorni di macerazione sulle bucce. La varietà esprime così la classica nota fruttata gentile, su sottofondo di finocchietto selvatico. Consistenza oleosa in centro bocca e gran freschezza nel finale, delineata da ricordi di mentuccia che contribuiscono a chiamare irresistibilmente il sorso successivo.

NON SOLO VINO NELLA VALLE DEL VIPAVA

Come in ogni regione vinicola che si rispetti, anche la Vipava Valley ha una tradizione gastronomica importante. I tipici vini macerati della zona si sposano perfettamente con i piatti locali. Da provare la Jota della Valle del Vipava, una zuppa a base di crauti o rape macerate nelle vinacce, patate e fagioli, arricchita da carne essiccata o affumicata. C’è poi il Prosciutto Crudo della Valle del Vipava. Stagionato lentamente da maestri artigiani che portano avanti da decenni questa tradizione, ha un sapore delicato e una consistenza di velluto. Impossibile poi non farsi conquistare dagli Štruklji della Valle del Vipava, rotoli di pasta farciti con ripieni dolci o salati (ricotta e noci, erbe selvatiche, patate e pancetta o mele e cannella), che vengono poi cotti in acqua, al vapore, al forno oppure fritti.

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Les Grands Chais de France: +32,45% nel 2024

Il gruppo francese Les Grands Chais de France ha chiuso il 2024 in netta controtendenza rispetto a molti altri operatori del settore, registrando risultati decisamente positivi. Sotto la guida della country manager emiliana Romina Romano, il giro d’affari in Italia ha infatti sfiorato i 10 milioni di euro, attestandosi a quasi 9,8 milioni con una crescita del 25% in valore rispetto al 2023.

Anche i volumi hanno segnato un incremento significativo. Dalle poco più di 832.000 bottiglie vendute nel 2019, si è passati a oltre 1 milione e 750.000 bottiglie nel 2024. Un balzo del 32,45% rispetto all’anno precedente. Questi numeri sono il risultato di una presenza capillare nei settori della ristorazione, hôtellerie, enoteche e delle principali piattaforme di e-commerce, oltre che nella grande distribuzione di fascia alta.

Il gruppo, fondato e guidato da Joseph Helfrich, ha presentato oltre 100 vini di alcune delle più importanti aree vinicole della Francia, oltre a etichette delle proprietà con sede in Spagna, Cile e Sudafrica e i gin della linea Antidote, durante “Private Wine Days by Famille Helfrich”, evento tenutosi a Bologna lo scorso 27 gennaio.

I CRÉMANT GUIDANO LA CRESCITA

Sono i Crémant a trascinare la crescita del gruppo. Les Grands Chais de France si distingue come protagonista assoluto nella produzione di Crémant, con una capacità produttiva di 19 milioni di bottiglie all’anno. Unica realtà a realizzare questa tipologia di spumanti in tutte le otto regioni DOP della Francia, il gruppo detiene quote di mercato significative.

Produce il 38% di tutti i Crémant de Bordeaux, il 34% dei Crémant de Loire, il 32% dei Crémant de Jura, il 31% dei Crémant de Die e il 20% dei Crémant d’Alsace. Si tratta del primo produttore francese di metodo classico al di fuori della Champagne. A confermarlo anche in questo caso sono i numeri. Oltre 1 milione e 100 mila bottiglie di Crémant vendute dal gruppo in Italia nel 2024. In testa alle preferenze degli italiani vi sono i Crémant de Limoux, seguiti nell’ordine da Borgogna, Loira, Bordeaux e Alsazia.

CRESCE L’INTERESSE PER I VINI INTERNAZIONALI

Il successo di Les Grands Chais de France nel mercato italiano trova ragione nella sua capacità di offrire vini provenienti da ogni angolo del mondo. Una filiera corta che si traduce in un eccellente rapporto tra qualità e prezzo. I consumatori italiani hanno manifestato un crescente interesse verso i vini provenienti non solo dalla Francia ma anche da altri Paesi.

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Francia chiama Italia: «Produttori di Rosés de terroirs, unitevi!»

«Creiamo la prima collezione di Rosés de Terroirs al mondo! Un micro-mercato di rosé da collezione, conservati per una decina d’anni, è ora ipotizzabile ». La proposta arriva dalla Francia ed è rivolta ai produttori di rosato in Italia e nel mondo. Non una provocazione, ma un invito messo nero su bianco (qui il form per aderire) da Philippe Guigal, presidente dell’Associazione Rosés de Terroirs (Airt), dal 2023 proprietario dello Château d’Aquéria nella Aop Tavel. Si tratta, non a caso, della denominazione di provenienza di alcuni dei rosati più prestigiosi del mondo, nel Rodano meridionale. Teatro del lancio dell’appello «Rosés de terroirs, unissons-nous!», ovvero «Rosés de terroirs, unitevi!», è stata Milano. L’associazione di produttori francesi, che riunisce già 59 aziende e 78 annate di vini rosati provenienti da Francia, Italia, Grecia e Spagna, ha chiamato a raccolta la stampa al Grand Hotel et de Milan, proponendo un percorso di assaggi e abbinamenti tra rosé (e rosati) curato dal sommelier Alfredo Moccia e dallo chef Francesco Potenza.

L’APPELLO DELL’ASSOCIAZIONE ROSÉS DE TERROIRS AI PRODUTTORI DI ROSATI ITALIANI

«L’ambizione dell’Associazione Rosés de terroir – spiega Philippe Guigal – è quella di essere l’ambasciatrice dei grandi rosé di terroir del mondo. Per questo, in linea con il nostro appello fondativo del febbraio 2020, «Rosés de terroirs, unitevi!», lanciato dalla Dop Tavel, invito i viticoltori che producono i più grandi rosé de terroirs del mondo ad unirsi a noi. Dopo 20 anni di crescita storica, il mercato del rosé sta entrando in una nuova fase del suo sviluppo, con una possibile e auspicabile diversificazione dell’offerta, in particolare attraverso i rosé di terroir posizionati come nicchia di mercato apprezzata o addirittura molto apprezzata. La creazione di un micro-mercato di rosé da collezione, conservati per una decina d’anni, è ora addirittura ipotizzabile».

COSA SONO I ROSES DE TERROIRS?

«Per me – continua Philippe Guigal – i rosati di terroir sono prima di tutto dei veri vini. Attraverso i loro sapori e colori, raccontano storie spesso uniche di luoghi e vignaioli e viticoltori. Si abbinano anche a pasti completi e a un’ampia varietà di cucine, come dimostrano le “Rosés de Terroirs experiences” organizzate dall’associazione». Si tratta, per l’appunto, dell’evento andato in scena in mattinata al prestigioso Grand Hotel et de Milan, struttura “mitologica” del capoluogo lombardo, dove visse Giuseppe Verdi. «In secondo luogo – continua il produttore francese – i rosé de terroirs non sono destinati a seguire le mode. Sono rosé senza tempo che abbracciano la loro unicità. La diversità delle cuvée cooptate dall’associazione è quindi fondamentale».

Da qui l’appello a un’unità nella diversità. «Creando la prima collezione di rosé al mondo – suggerisce Guigal – la nostra associazione diventerà un punto di riferimento nel settore. Il punto di riferimento in questo campo. In breve, non solo per il loro carattere ma anche per il modo in cui vengono consumati, i rosati di terroir sono davvero complementari ai rosati dissetanti di tendenza. In questo contesto, la nostra associazione internazionale può e deve assumere il ruolo di guida nell’offerta di una gamma di rosati “diversi e sorprendenti, per natura e nel corso degli anni”, per citare uno dei nostri slogan».

L’EVENTO AL GRAND HOTEL ET DE MILAN

Sono 22 i vini, tra rosé e rosati, presentati durante l’evento di quest’oggi al Grand Hotel et de Milan. Nello specifico: Château de la Selve, cuvée L’Audacieuse 2021 (IGP Coteaux de l’Ardèche); Via Caritatis, cuvée Lux de Caelo 2022 (AOP Ventoux); Château Gassier, cuvée 946 2022 (AOP Côtes de Provence Sainte-Victoire); Château d’Aquéria, cuvée 2020 (AOP Tavel); La Bastide Blanche, cuvée 2021 (AOP Bandol); Domaine Corne Loup, cuvée 2021 (AOP Tavel). E ancora: Château de Manissy, cuvée Langoustière 2019 (AOP Tavel); Domaine de l’Odylée, cuvée Rosé d’Automne 2020 (AOP Côtes du Rhône); Domaine la Suffrène, cuvée Sainte-Catherine 2018 (AOP Bandol); Château Paquette, cuvée Thémis 2022 (AOP Côtes de Provence Fréjus); Château de Pibarnon, cuvée Nuances 2020 (AOP Bandol); Château Pradeaux, cuvée 2019 (AOP Bandol).

TRE CANTINE ITALIANE IN ROSÉS DE TERROIRS

Non ultimi: Domaine Fournier Père et Fils, cuvée Les Belles Vignes 2023 (AOP Sancerre); Domaine Labastidum, rosé 2022 (AOP Fronton); Domaine de la Mordorée, cuvée La Reine des Bois 2020 (AOP Tavel); Domaine Gavoty, cuvée Clarendon 2022 (AOP Côtes de Provence); Le Grand Cros, cuvée Aurélia 2022 (AOP Côtes de Provence), Marquis de Pomereuil, cuvée 2018 (AOP Rosé des Riceys) e Domaine Les Béates, cuvée Terra d’Or 2022 (VSIG). Italia rappresentata da tre vini di altrettante cantine: Villa Calicantus, cuvée Chiar’Otto 2023 (Bardolino Doc classico); Guerrieri Rizzardi, cuvée Keya 2023 (Chiaretto di Bardolino Doc Classico); Le Fraghe, cuvée Traccia di Rosa 2021 (Chiaretto di Bardolino Doc). Se l’ingresso di Villa Calicantus nell’associazione Rosés de Terroir è recente, per Le Fraghe e Guerrieri Rizzardi non si è trattato della prima volta. Già dal 2021, le due cantine venete rappresentano l’Italia nel prestigioso gruppo d’Oltralpe. Dopo l’appello di Philippe Guigal, il circolo di produttori di rosé d’eccellenza potrà allargarsi ad altre cantine.

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VDP, cantine associate salgono a 202 con Sektgut Reinecker e Weingut Dr. Hermann

Il Verband Deutscher Prädikatsweingüter (VDP) inizia il 2025 accogliendo due nuovi membri tra le sue fila. A partire dal 1° gennaio, Sektgut Reinecker (VDP Baden) e Weingut Dr. Hermann (VDP Mosel-Saar-Ruwer) entrano a far parte della comunità VDP. Questo porta a 202 le aziende associate alla VDP, tutte accomunate dall’impegno nei confronti degli standard di origine e qualità della VDP.

SEKTGUT REINECKER: GLI ECCEZIONALI SPUMANTI DEL MARKGRÄFLERLAND

La Sektgut Reinecker, situata ad Auggen, è sinonimo di vini spumanti eccezionali dal 1987. Questi vini sono prodotti esclusivamente con il metodo tradizionale della fermentazione in bottiglia. La famiglia Reinecker coltiva vigneti ad Auggen, Feuerbach, Istein e Badenweiler, i cui terroir conferiscono ai vini base il loro carattere unico. Il portafoglio comprende cinque vini spumanti che hanno ricevuto numerosi riconoscimenti.

Oltre a produrre i propri spumanti, la Sektkellerei offre anche la produzione di spumanti su commissione per rinomate cantine della regione. Katja e Steffen Reinecker, insieme ai loro genitori Christina e Herbert, guidano l’azienda verso il futuro. «Siamo lieti di dare il benvenuto a Sektgut Reinecker – dichiara Joachim Heger, presidente di VDP.Baden – un’azienda che si distingue per l’eccellente reputazione, la competenza e l’affascinante cordialità». L’ammissione di Sektgut Reinecker sottolinea la crescente importanza dello Statuto VDP.SEKT, che definisce gli standard più elevati per la produzione di vini spumanti tedeschi.

WEINGUT DR. HERMANN: RIESLING CLASSICO A FORTE PENDENZA


La Weingut Dr. Hermann, situata a Erden, è rinomata per i suoi eleganti Riesling provenienti dai ripidi pendii di ardesia della Mosella. Fondata nel 1967, è oggi gestita da Christian e Julia Hermann. I vigneti comprendono siti prestigiosi come i VDP.GROSSE LAGEN® PRÄLAT e TREPPCHEN a Erden e WÜRZGARTEN a Ürzig, che conferiscono ai vini una mineralità e una finezza particolari.
La tenuta impiega una viticoltura sostenibile e tecniche di cantina tradizionali, tra cui la fermentazione spontanea e l’affinamento prolungato sui lieviti.

I loro nobili Prädikatsweine dolci sono costantemente classificati tra i migliori della regione. Siamo lieti di dare il benvenuto alla Weingut Dr. Hermann – commenta Carl von Schubert, presidente del VDP.GROSSER RING Mosel-Saar-Ruwer – una cantina il cui stile classico ed elegante di Riesling rappresenta un enorme arricchimento per il GROSSER RING. Entrando a far parte della VDP, Weingut Dr. Hermann conferma la propria dedizione alla conservazione e allo sviluppo dei vigneti storici della Mosella».

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Più vino spagnolo sfuso in Germania e Italia nei primi 10 mesi del 2024


Più vino spagnolo sfuso in Germania e Italia nei primi 10 mesi del 2024. Mese di ottobre positivo in valore per l’export di vino spagnolo (+9,7%), ma negativo in volume (-3%), fino a 303,2 milioni di euro (+26,7 milioni di euro) e 168,9 milioni di litri (-5 milioni di litri). Le esportazioni spagnole di vino sono aumentate in valore (+2,4%) e diminuite in volume (-4,5%), a 2.464,5 milioni di euro (+58,4 milioni) e 1.617,5 milioni di litri (-76 milioni). In valore sono diminuiti solo i vini liquorosi (-10%), mentre in volume sono aumentate solo le esportazioni di vini Bag in box (+6%).

PIÙ VINO SFUSO SPAGNOLO IN GERMANI E ITALIA

Interessanti anche gli insight diffusi dall’Osservatorio spagnolo del mercato del vino. Nel caso del vino sfuso, la Germania – uno dei mercati top per l’Italia – supera la Francia (+15,9 milioni di litri). E diventa così la prima destinazione del vino sfuso spagnolo, sia in valore che in volume. Spicca l’aumento registrato dall’Italia (+49,5 milioni di litri) e il calo dal Portogallo (-50,5 milioni di litri). Nel caso del vino confezionato, gli Stati Uniti sono la prima destinazione in valore (+2,7%) e il Regno Unito è il primo in volume (-0,2%).

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Tandem, il Syrah del Marocco che sta strabiliando mezzo mondo


EDITORIALE – Il Syrah del Marocco che sta strabiliando mezzo mondo è Tandem di Caves ThalvinDomaine Des Ouled Thaleb. Un vino nato dall’incontro casuale, oggi divenuto leggenda, tra Alain Graillot e Jacques Poulain. Alain Graillot, vignaiolo della Côtes du Rhône noto per i suoi eccellenti Syrah Crozes-Hermitage, racconta che stava girando in bicicletta in Marocco quando ha incontrato il proprietario di Caves Thalvin, che gli ha presentato il suo enologo (anch’egli francese) Jacques Poulain. Thalvin è la più antica cantina marocchina, fondata nel 1923 presso Domaine Ouled Thaleb a Benslimane, nella regione di Casablanca-Settat. Ne è nato un vino, Tandem, che celebra la nuova strada comune – più in vigna, che in sella ad una bici – intrapresa da Graillot e Poulain. Due professionisti uniti dal destino, lontano dalla patria natia.

IL SYRAH CHE NON TI ASPETTI: TANDEM DAL MAROCCO

Casablanca, capitale economica del Paese africano, si trova a soli 50 chilometri dal luogo in cui nasce il Syrah Tandem. Un vino marocchino che potrebbe ingannare chiunque, in una degustazione alla cieca. La retro etichetta di questo nettare prodotto nel rispetto del disciplinare dell’Aog Zenata – tra le più note regioni vinicole del Marocco – non mente: freschezza, lunghezza ed equilibrio sono le tre migliori parole per descriverlo. Sbaglia chi immagina un Syrah potente, carico, scuro. Tandem di Caves Thalvin – Domaine Des Ouled Thaleb è piuttosto un vino gioioso, succoso, goloso, di soli 12,5% d’alcol in volume. Ma per nulla banale. Ricco, anzi, di sfumature di piccoli frutti rossi e neri, giustamente maturi. Esaltati da una vinificazione sapiente: 50% in cemento, 50% in botti di legno usate.

DOVE ACQUISTARE IL SYRAH TANDEM AOG ZENATA DI THALVIN

Non un singolo accenno alla confettura, o una nota “sbrodolata”, fuori posto. Finale persin sapido, fresco come l’ingresso, capace di invitare al sorso successivo. Tutto, dal naso al centro del palato, sino al retro olfattivo, porta a immaginare uve cresciute a loro perfetto agio sui terreni scuri, argilloso-marnosi, che nel dialetto locale vengono definiti Tirss. Il vigneto da cui prende vita il Syrah Tandem di Thalvin si trova sulle colline della cittadina di Rommani (الرماني), tra Casablanca e Meknes. Nella parte più continentale della regione di Rabat. Abbastanza per iniziare a inserire il Marocco sulla mappa geografica del vino internazionale. Per farsi un’idea, provare il Syrah Tandem è d’obbligo. Dove acquistarlo? In questo momento, il sito più conveniente è l’e-commerce francese Vinatis, che lo propone a 17,84 euro ogni due bottiglie. Cheers!

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Li Veli, Petra, Planeta e San Salvatore: le cantine italiane al Mediterranean Wines Symposium


Masseria Li Veli
, Petra, Planeta e San Salvatore 1988 sono le cantine italiane che parteciperanno al 
primo Mediterranean Wines Symposium, il primo Simposio dei Vini del Mediterraneo. L’appuntamento si terrà il 24 marzo 2025 presso la prestigiosa cantina Perelada, in Catalogna. L’evento si propone di celebrare l’importanza culturale, storica e gastronomica del Mediterraneo, coinvolgendo alcune delle più importanti cantine delle regioni vinicole che si affacciano sul “Mare Nostrum”. Tra i protagonisti spiccano alcuni nomi di rilievo della scena enologica italiana, che aderiranno al Manifesto del Simposio. Un documento che promuove la diffusione di conoscenze sul vino mediterraneo attraverso ricerca, formazione e condivisione.

I VINI DEL MEDITERRANEO CON GABRIELE GORELLI MW

Il Simposio vedrà la partecipazione di esperti internazionali di fama mondiale. Il comitato scientifico, presieduto da Juancho Asenjo, figura di spicco della critica enologica e Cavaliere dell’Ordine della Stella della Repubblica Italiana, include professionisti come Gabriele Gorelli MW, primo Master of Wine italiano, e Josep Roca, sommelier del celebre ristorante Celler de Can Roca. Tra le attività in programma ci saranno degustazioni tematiche, masterclass e tavole rotonde. Saranno affrontate anche tematiche attuali, come l’adattamento della viticoltura ai cambiamenti climatici, con l’intervento di Nathalie Ollat, direttrice del progetto francese Laccave (Inrae).

FOCUS SUI VINI ITALIANI DEL MEDITERRANEO

Durante il Simposio, i partecipanti potranno immergersi nella ricchezza vinicola del Mediterraneo. Gabriele Gorelli MW guiderà una masterclass dedicata alle principali regioni vinicole italiane, mentre Victoria Ordóñez presenterà le varietà più rappresentative del bacino mediterraneo. Da non perdere anche la degustazione di Malvasia lungo le coste mediterranee, condotta da Juancho Asenjo. Un ruolo centrale sarà riservato alla gastronomia, con Josep Roca che terrà una lezione sull’abbinamento tra alta cucina e vini mediterranei, e una speciale esperienza curata da Toni Gerez, sommelier del ristorante Castell Perelada, che abbinerà vini e formaggi mediterranei.

IL MEDITERRANEAN WINE SYMPOSIUM UNISCE LE CANTINE DEL MEDITERRANEO

Oltre ai grandi nomi italiani dalle regioni Puglia, Toscana, Sicilia e Campania, parteciperanno al Simposio dei Vini del Mediterraneo cantine rinomate di altri paesi del Mediterraneo. È il caso di Château Musar (Libano), Château Roslane (Marocco) e 4Kilos (Spagna). Tutte le cantine coinvolte condividono l’obiettivo di «promuovere l’identità vinicola mediterranea come un’unica regione, esaltandone l’origine, la qualità e la tradizione».

L’evento culminerà con un grande showroom presso il castello di Perelada, dove il pubblico potrà scoprire i vini di oltre venti cantine partecipanti, rappresentative delle diverse tradizioni vinicole mediterranee. Con questa prima edizione, il Mediterranean Wines Symposium punta a consolidarsi come appuntamento di riferimento per il settore enologico, celebrando il Mediterraneo come crocevia di cultura, storia e gusto.

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Schengen, esultano gli italiani che producono vino in Romania e Bulgaria


L’integrazione completa di Romania e Bulgaria nell’area Schengen, prevista a partire dal 1° gennaio 2025, avrà un impatto significativo sul settore vinicolo dei due Paesi dell’Est Europa. L’eliminazione dei controlli alle frontiere terrestri con gli altri Stati membri dell’Unione europea – che si affiancherà a quella già in vigore negli aeroporti – faciliterà il commercio dei vini romeni e bulgari. I benefici vanno dalla riduzione dei tempi di trasporto e dei costi logistici a un maggiore e più agevole accesso ai mercati europei. Indubbio l’aumento dell’attrattività per gli investimenti esteri, così come la spinta nella promozione dell’enoturismo in Romania e Bulgaria. Paesi tutt’altro che da sottovalutare, come dimostra la presenza di diversi italiani che li hanno scelti – ormai da diversi anni – per realizzare cantine di successo.

È il caso di Roberto Di Filippo – che in Umbria produce Sagrantino di Montefalco – e della sua Crama Delta Dunarii “La Sapata”, 23 ettari a Somova, sul Delta del Danubio – a pochi chilometri dalla Moldavia e dall’Ucraina – coltivati secondo i dettami della biodinamica. Sempre in Romania, ma in Transilvania, ai piedi dei Carpazi, ecco i 75 ettari di Lechburg, dei fratelli Ettore e Cristiano Guarato. In Bulgaria, per l’esattezza ad Elenovo, a circa 15 chilometri da Nova Zagora, in Tracia, c’è invece la cantina Edoardo Miroglio Winery, dell’omonima famiglia piemontese proprietaria di Tenuta Carretta a Piobesi d’Alba (Cuneo). Investimento importantissimo quello in terra bulgara: 1.500 ettari, di cui 400 ettari vitati.

ROMANIA E BULGARIA NELL’AREA SCHENGEN

Con la rimozione dei controlli alle frontiere interne, i vini romeni e bulgari potranno essere trasportati più rapidamente verso i mercati europei, riducendo i tempi di consegna e i costi associati alle procedure doganali. L’aumento dell’efficienza logistica renderà i vini della Romania e della Bulgaria più competitivi sul mercato internazionale. La semplificazione del transito attraverso le frontiere permetterà inoltre ai produttori di vino di accedere più facilmente a nuovi mercati all’interno dell’Europa, ampliando le opportunità di esportazione e la presenza dei prodotti sugli scaffali europei.

Con l’ingresso nell’area Schengen migliorerà l’immagine di Romania e Bulgaria come partner commerciali affidabili, attirando potenziali (nuovi) investitori interessati a sviluppare attività nel settore vinicolo, sia nella produzione che nella distribuzione. Ma, forse, il vero “plus” dell’ingresso dei due Paesi nell’area Schengen sarà il balzo in avanti dell’enoturismo. La libera circolazione delle persone, senza controlli alle frontiere terrestri, favorirà l’incremento del turismo enogastronomico, in aree di grande tradizione vitivinicola e dall’incredibile dinamismo. Gli appassionati di vino potranno visitare con maggiore facilità le regioni vinicole di Romania e Bulgaria, contribuendo allo sviluppo economico locale.

LE REGIONI VINICOLE DI ROMANIA E BULGARIA

Regioni vinicole della Romania come Dealu Mare, Cotnari e Târnave (quest’ultima include la nota Transilvania), sono caratterizzate da un mix di vitigni autoctoni, come Fetească Neagră e Fetească Albă, e internazionali (grandi, tra le altre, le potenzialità del Pinot Nero rumeno). Il clima continentale, con influssi dal Mar Nero, favorisce la produzione di vini di ottima aromaticità, sia bianchi che rossi. L’enoturismo qui è un concerto di tradizioni millenarie, paesaggi pittoreschi e castelli (non ultimo quello di Dracula).

In Bulgaria, regioni come la Valle della Tracia (Thracian Valley) e la Pianura del Danubio (Danubian Plain) si distinguono per la qualità dei rossi da varietà come il Mavrud, oltre ad eccellenti vini rossi e bianchi da varietà internazionali. Il clima variegato, influenzato da montagne e Mar Nero, garantisce di fatto una grande una diversità. Sempre più nuove cantine offrono esperienze immersive per esperti del settore ed enoturisti, ancora una volta nel mix tra attrazioni culturali, archeologiche, naturalistiche e i vini locali. Non ultimo, tra Romania e Bulgaria si sono tenute le recenti edizioni de The Balkan International Wine Competition and Festival (BIWC), evento itinerante di crescente importanza tra i concorsi enologici che premiano le eccellenze dei Balcani.

LA VOCE DEGLI ITALIANI CHE PRODUCONO VINO IN ROMANIA E BULGARIA

Roberto Di Filippo di Crama Delta Dunarii “La Sapata”, in Romania

L’entrata della Romania nello spazio Schengen, secondo i fratelli Ettore e Cristiano Guarato della cantina romena Lechburg di Lechința, è «soprattutto un’opportunità». «Ma non da valutare per le singole aziende – precisano – quanto per l’intero comparto vinicolo. I mercati oggi si concentrano, i consumatori sono decisamente più curiosi e pronti ad arricchire la loro esperienza gustativa ma per le singole aziende diventa difficile se non quasi impossibile trovare canali di distribuzione validi. Sarà fondamentale creare nuove associazioni di promozione – continuano i titolari di Lechburg – partecipare alle fiere, sviluppare un brand solido per il vino rumeno, associato in primis alla qualità dei vini e soprattutto alla diversità. Ci vuole tempo e tanto lavoro, lavoro di squadra per mettere a terra questi nuovi concetti e tanto dipenderà dalla capacità di fare gruppo. Altrimenti – concludono Ettore e Cristiano Guarato – cambierà ben poco, perché comunque sia i costi di esposizione verso nuovi mercati sono in grande crescita e la concorrenza di certo non manca».

«L’ingresso definitivo della Romania nell’area Schengen? Un passo assolutamente gradito, che ci avvicina ulteriormente ai vicini, facendo loro percepire che siano ancora più graditi in Romania. Oltre che via aerea, ora anche via terra». Così a Winemag Roberto Di Filippo, uno dei “produttori italiani all’estero” che ha scelto il Paese dei Balcani come seconda casa (e come seconda cantina). Di Filippo, titolare dell’omonima azienda agricola che produce tutti i vini tipici dell’area di Montefalco a Cannara (Perugia), ha deciso di riprodurre il modello umbro in Romania, già dal 2010. «Quelli di Crama Delta Dunarii “La Sapata” – spiega il vignaiolo-imprenditore – sono vini a basso intervento enologico, con lieviti indigeni e pochi solfiti, prodotti con varietà locali come Fetească Neagră, Fetească Regală e Băbească neagră (nota anche come Rară Neagră, ndr)». Ventitré gli ettari della cantina La Sapata, per un totale di 80 mila bottiglie.

Numeri ben più rilevanti quelli della Edoardo Miroglio, in Bulgaria. La cantina, oggi guidata da Franco Miroglio, produce circa 300 mila bottiglie da 0,75 e altre 700 mila (equivalenti) in Bag-in-Box, segmento che ha un peso rilevante nelle vendite complessive locali. I piemontesi Miroglio, già titolari di Tenuta Carretta nel cuneese, sono arrivati a Elenovo (Еленово), in Tracia – non lontano dal confine con Grecia e Turchia – già nel lontano 1998. «Sin da subito abbiamo investito nel Pinot Nero – spiega Franco Miroglio – sia in rosso che spumante, creando un certo movimento nella zona, con altre cantine che hanno seguito il nostro esempio. Poi abbiamo iniziato a credere sempre più nel Mavrud, varietà che per il suo potenziale enologico e, non ultimo, per la sua resistenza, ci sta dando grandi soddisfazioni. Non dimentichiamoci che in quest’area si produce di vino da almeno 5 mila anni».

MIROGLIO: «BENE SCHENGEN PER BULGARIA E ROMANIA. ORA MIGLIORARE LE AUTOSTRADE»

Franco Miroglio della cantina Edoardo Miroglio Winery, in Bulgaria

Motivo in più per esultare per l’ormai prossimo ingresso della Bulgaria nell’Area Schengen, dal 1° gennaio 2025. «Un passo da accogliere con grandissimo entusiasmo – commenta il produttore – i cui effetti benefici, per l’industria vinicola bulgara, saranno ancora più visibili al cambio della valuta, dal lev bulgaro all’euro (di recente slittato dal 2025 al 2026, ndr). Già da quest’anno sono state semplificate le procedure per chi entrasse nel Paese con l’aereo. L’allargamento all’area Schengen amplia il raggio, via terra. Il che significa meno burocrazia doganale e maggiore facilità di movimentazione delle merci.

«Il settore, però, in Bulgaria – avverte Franco Miroglio – soffre ancora di alcune limitazioni dovute alla carenza di infrastrutture stradali est-ovest, oltre che nord-sud, che obbligano movimentazioni ben più lunghe del normale, passando per la Grecia o per la Serbia. Lo sviluppo della rete autostradale da parte della Romania aiuterà certamente a semplificare le cose, consentendoci di raggiungere definitivamente meglio mercati di lingua tedesca, come Germania e Austria, centrali per l’export dei vini bulgari. Passi avanti, così, sono definitivamente prevedibili anche sul fronte dell’enoturismo in Bulgaria».

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CapeWine 2025: la più grande fiera del vino dell’Emisfero Australe


Wines of South Africa
(WoSA) annuncia CapeWine 2025, la più grande (e prestigiosa) fiera del vino dell’Emisfero Australe, in programma dal 10 al 12 settembre 2025 al Cape Town International Convention Centre (CTICC).
CapeWine 2025 rappresenta l’evento di punta triennale del settore vinicolo sudafricano. Una vetrina internazionale che celebra la ricchezza e la diversità della produzione vinicola del Sudafrica, attirando professionisti del settore, media e appassionati da tutto il mondo.

Il tema scelto per CapeWine 2025, “Our Warmest Welcome“, incarna lo spirito caloroso e accogliente dell’industria vinicola sudafricana. Come spiega Wines of South Africa, l’evento non si concentra solo sulla qualità del vino, ma celebra anche le persone che lo producono. L’invito è rivolto a professionisti di tutto il mondo, offrendo «l’opportunità di connettersi, essere ispirati e condividere storie».

CRESCITA ESPONENZIALE PER CAPEWINE 2025

Nata nel 2000 con appena 100 espositori, CapeWine è cresciuta in modo esponenziale, arrivando a contare oltre 400 produttori di vino sudafricani nella sua decima edizione. Oltre al ricco programma fieristico, i partecipanti potranno vivere esperienze immersive uniche. Sono infatti previsti anche tour nelle diverse regioni vinicole del Sudafrica, alla scoperta di varietà rare e di talentuosi produttori vinicoli.

«Questa decima edizione del nostro evento di punta – commenta Siobhan Thompson, Ceo di Wines of South Africa – si preannuncia come una delle migliori di sempre. Venticinque anni dopo la prima CapeWine, l’evento è cresciuto esponenzialmente. riflettendo pienamente ciò che rappresenta l’industria vinicola sudafricana. Ovvero vini fenomenali, persone calorose, paesaggi spettacolari e una cultura ricca e vibrante. Non vedo l’ora di accogliere i professionisti del settore da tutto il mondo. Sarà un’esperienza davvero indimenticabile».

CapeWine 2025 mira ad ampliare il profilo globale del vino sudafricano, attirando rappresentanti del settore e media da oltre 60 paesi. L’evento si svolgerà ogni giorno dalle 10 alle 17, offrendo numerose opportunità per creare connessioni, degustare vini straordinari ed esplorare la cultura e i paesaggi unici delle Cape Winelands. Qui la lista degli espositori. Biglietti e registrazioni sul sito www.capewine2025.com.

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VinNatur NYC: collettiva del vino naturale italiano a New York


Due giorni di assaggi, incontri e momenti di riflessione sul vino naturale. Domenica 12 e lunedì 13 gennaio 2025 il Rule of Thirds di Brooklyn di New York ospiterà VinNatur NYCprimo evento collettivo ufficiale negli Stati Uniti. L’Associazione presieduta da Angiolino Maule riunisce vignaioli da tutto il mondo con l’intento di «difendere l’integrità del proprio territorio, rispettandone la storia e la cultura e traendo ispirazione da una forte etica ecologica». Dal 2016, VinNatur si è dotata di un protocollo di produzione che delinea le attività ammesse in vigneto e in cantina. A New York è previsto u
n ricco calendario di degustazioni e approfondimenti su qualità, varietà e pratiche produttive dei vini naturali, che arricchirà i banchi d’assaggio di oltre 200 etichette.

«Questo appuntamento – afferma Angiolino Maule – è sicuramente una grande opportunità per i nostri soci per raggiungere un pubblico sempre più attento e appassionato. New York, con la sua energia e apertura, è il contesto ideale per raccontare la nostra filosofia e costruire legami significativi. Inoltre assistiamo a come nella Grande Mela stia crescendo il numero di enoteche e wine bar che includono vini naturali in mescita e sugli scaffali”. Un trend che si contrappone al rallentamento del consumo di bevande alcoliche negli Stati Uniti e che conferma l’interesse crescente per prodotti autentici, sostenibili e di qualità.

VINNATUR A NEW YORK CON 44 PRODUTTORI

Alla manifestazione saranno presenti 44 produttori che proporranno in assaggio i loro vini ma ci sarà posto anche per una selezione di etichette di altri 24 soci VinNatur servite da esperti sommelier. L’evento sarà aperto al pubblico e agli operatori domenica 12 gennaio dalle 14 alle 18, mentre lunedì 13 gennaio, dalle 10 alle 17, sarà riservato esclusivamente ai professionisti del settore, tra cui buyer, distributori, giornalisti e titolari di ristoranti e wine bar. I biglietti per l’evento e le masterclass, a posti limitati, sono disponibili su Eventbrite.


VinNatur NYC

​Quando: domenica 12 e lunedì 13 gennaio 2025
Dove: Rule of Thirds Restaurant, Brooklyn, New York City
Orario di apertura al pubblico: domenica dalle 14 alle 18, lunedì dalle 10 alle 17
Ingresso: biglietti acquistabili online dal mese di novembre

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L’Italia cresce a Wine Vision by Open Balkan 2024. Veronafiere Vinitaly: «Balcani mercato chiave»


Non c’è due senza tre. L’Italia aderisce sempre più in massa al “Vinitaly dei Balcani“. Wine Vision by Open Balkan 2024 segna il terzo anno della collaborazione commerciale e istituzionale che vede Veronafiere con Vinitaly capofila della missione a Belgrado, insieme ad Agenzia Ice. «L’obiettivo – spiega a Winemag l’ente di Verona – resta la promozione del vino italiano in Serbia, Macedonia del Nord e Albania. La presenza di Vinitaly a Wine Vision By Open Balkan (22-24 novembre), dove organizza e gestisce l’Area Italia, rafforza la posizione del nostro Paese come partner strategico per il comparto enologico dei Balcani». Una macro-area da oltre 320 milioni di euro di export. Una vera e propria porta di accesso al più ampio mercato dell’Europa dell’Est, sempre più attenta, nei suoi centri e città nevralgiche, al Made in Italy enologico.

VINO ITALIANO SEMPRE PIÙ APPREZZATO IN SERBIA (E NEI BALCANI)

«Vinitaly – aggiunge Veronafiere – continua dunque a investire in attività promozionali per favorire l’incontro tra produttori italiani e buyer locali, sostenendo al contempo una cultura del vino di qualità attraverso un programma di 6 importanti masterclass, guidate da Giuseppe Vaccarini, presidente di Aspi, e realizzate in collaborazione con Ice». Negli ultimi anni, il consumo di vini italiani in Serbia ha mostrato una crescita costante. Molte etichette italiane sono diventate le principali scelte dei winelovers, dalle parti di Belgrado. «Questo interesse crescente – evidenzia Veronafiere Vinitaly – rispecchia un apprezzamento per la qualità e la varietà dell’offerta italiana, nonché il successo delle iniziative che presentano il vino italiano come scelta di valore per i consumatori serbi».

AUMENTA LA PRESENZA DELL’ITALIA A WINE VISION BY OPEN BALKAN 2024

In aumento, quest’anno, le aziende vinicole che fanno parte della collettiva organizzata da Vinitaly nell’Area Italia: 57 (erano 50 nella scorsa edizione), in rappresentanza di 8 regioni italiane: Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto. Le cantine hanno già fissato un calendario di incontri b2b con operatori da Albania, Austria, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, parte del programma di incoming realizzato sempre in partnership con Ice.

«La missione a Belgrado – aggiunge Veronafiere Vinitaly a winemag.it – oltre ad accompagnare le aziende italiane in Serbia, fa parte delle attività di Vinitaly per selezionare e invitare operatori e buyer locali per la prossima edizione del salone interazionale dei vini e dei distillati di Verona, in programma dal 6 al 9 aprile 2025. Confermata la partecipazione in Fiera a Verona dei produttori di Serbia, Albania e Macedonia del Nord in un unico spazio espositivo, con le migliori etichette dei tre Paesi, riunite nell’area Open Balkan».

Cara Italia, occhio ai Balcani: missione Veronafiere in Serbia per Wine Vision by Open Balkan

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Champagne Alexandre Bonnet presenta Hardy e Les Vignes Blanches 2019

Due nuove Cuvée, entrambe blanc de noirs, entrambe figlie di singolo vigneto in una delle zone forse meno conosciute della Champagne. A presentarle è Domaine Alexandre Bonnet, nella veste del suo Presidente Arnaud Fabre e di Alessandro Sarzi Amadè, distributore per l’Italia. Siamo a Les Riceys, nella Côte de Bar, la sotto zona più a sud della Champagne praticamente al confine con la Borgogna.

Una zona soprannominata la “Champagne sauvage“, la Champagne selvaggia, lontana dal lusso dorato delle grandi Maison di Reims o Epernay. Un territorio decisamente più rurale, bucolico, privo di industrie e ricco di biodiversità. Tematiche a cui presta notevole attenzione Domaine Alexandre Bonnet attraverso progetti di agricoltura rigenerativa. Approccio ben oltre il concetto di “bio” e volto alla cura dei terreni e delle specie indigene, animali e vegetali, che lo popolano.

IL TERROIR DI LES RICEYS

Un comune, quello di Les Riceys, che nel corso dei secoli di storia francese ha cambiato la propria appartenenza amministrativa palleggiato fra le due grandi regioni vinicole: Borgogna e Champagne. Storia e tradizioni diverse che si riflettono ancora oggi nella realtà vitivinicola. Les Riceys è infatti l’unico comune della Champagne che nei suoi 844 ettari vitati racchiude ben 3 denominazioni (Champagne, Coteaux-Champenois e Rosé-des-Riceys).

Commistione territoriale-culturale che si evidenzia ancor più nel terroir. Il suolo di Les Riceys è calcareo Kimmeridgiano, come quello che caratterizza i vicini Grand Cru di Chablis. Suoli su cui però si coltiva in prevalenza Pinot Noir, come nella vicina Borgogna. Pinot Noir che però viene vinificato prevalentemente in bianco per la creazione delle basi spumante degli Champagne. Parliamo del territorio più collinare dell’intera Champagne con versanti che offrono esposizioni varie e sfaccettate nonché con le pendenze più ripide dell’intera denominazione.

“HARDY” 2019 E “LES VIGNES BLANCHES” 2019, LE NUOVE CUVÉE DI ALEXANDRE BONNET

Dai 50 ettari di Alexandre Bonnet, tutti di proprietà e condotti direttamente dal Domaine (quello che si dice un Récoltant Manipulant) secondo il proprio approccio rigenerativo, nascono oggi due nuovi Champagne parcellari, entrambi da sole uve Pinot Noir.

CHAMPAGNE HARDY BLANC DE NOIRS EXTRA BRUT 2019

Hardy, come “arduo”, “difficile” (“hard” direbbero gli anglofoni). Il nome di questa parcella racconta la difficoltà nella sua gestione e coltivazione. Esposta a nord ad un’altitudine di circa 320 m presenta suolo fossilifero combinazione di calcare e marne del Giurassico Kimmeridgiano. Terreni che donano complessità al Pinot Noir da selezione massale di Domaine Alexandre Bonnet.

Colore dorato e naso elegante e complesso. Note floreali di giglio e gelsomino ed una marcata nota di agrumi, scorza d’arancia e lime, unite a sentori di frutti rossi maturi, frutta gialla fresca ed erbacei. Al palato è elegante, vibrante, verticale. Molto fresco e sapido riempie il sorso regalando una balsamicità retro olfattiva non avvertita al naso. Uno Champagne che lascia un lungo ricordo di sé.

CHAMPAGNE “LES VIGNES BLANCHES” BLANC DE NOIRS EXTRA BRUT 2019

Les Vignes Blanche deve il proprio nome non ai suoli “bianchi”, bensì al fatto che in passato la parcella era dedicata alla coltivazione di vitigni a bacca bianca. Oggi questa contrée, esposta ad est ad un’altitudine di 220 m, è il regno del Pinot Noir, sempre da selezione massale di Alexandre Bonnet.

Si presenta di un bel colore dorato con vaghi riflessi buccia di cipolla a ricordarci le sue origini da bacca rossa. Leggere note floreali che lasciano presto il posto a note di frutta gialla matura, frutta esotica fresca, un vago accenno di spezie e frutto rosso croccante. In bocca è potente e scalpitante senza perdere di nobiltà. Di gran corpo e con una spina dorsale minerale che sostiene il sorso e ne sottolinea la freschezza. Finale lungo.

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degustati da noi Esteri - News & Wine news news ed eventi vini#02

Champagne Day: abbinamento perfetto con 8 formaggi italiani


Se è vero che ogni giorno è buono per aprire una bottiglia di Champagne, un po’ meno scontato è il suggerimento del Bureau du Champagne Italia, che per lo Champagne Day di oggi, venerdì 25 ottobre, suggerisce l’abbinamento delle pregiate bollicine francesi con i formaggi italiani. Niente Camembert, Roquefort o Brie. In occasione della giornata internazionale dedicata allo Champagne, l’Italia gioca in casa con alcuni dei suoi pezzi da novanta del settore caseario. Formaggi facilmente reperibili anche al supermercato, perfetti per alcune tipologie precise di Champagne. Provare per credere: Gorgonzola Dolce, Fontina, Taleggio, Caciocavallo, Pecorino, Robiola, Bitto e Burrata sposano benissimo l’iconico spumante d’Oltralpe.

CHAMPAGNE E FORMAGGI ITALIANI: 8 ABBINAMENTI DA PROVARE

Champagne Blanc de Blancs brut nature e Gorgonzola Dolce 

Il Gorgonzola Dolce è un formaggio erborinato a pasta molle, con una texture cremosa e un sapore delicato, dolce e leggermente burroso, arricchito dalle note della muffa nobile nelle sue venature blu-verdi. Il contrasto tra la freschezza minerale e l’austerità del Blanc de Blancs in versione Brut Nature e la dolcezza untuosa del Gorgonzola crea un equilibrio gustativo perfetto.


Champagne Blanc de Blancs brut e Fontina di alpeggio

La Fontina di alpeggio è formaggio estivo, delicato, con richiami alla flora alpina, di consistenza quasi fondente; la scelta di un Blanc de Blancs intenso, sfaccettato ma estremamente fine, serve a esaltarne la luminosità, in un continuo gioco di rimandi tra formaggio e vino, che si equilibrano in un finale dove convergono le note di tostatura di entrambi. Abbinamento di luminosità e charme.


Champagne Rosé brut e Taleggio

Il Taleggio è un formaggio a crosta lavata, morbido e dalla consistenza cremosa, con aromi leggermente pungenti, ma un sapore dolce, burroso e con un retrogusto acidulo. Uno Champagne rosé brut contrasta e bilancia il carattere grasso e fondente del Taleggio. Il profilo del rosé si armonizza con la dolcezza del formaggio, mentre l’acidità dello Champagne si bilancia con grassezza e consistenza.


Champagne Rosé brut e e Caciocavallo Silano di Grotta

Formaggio deciso, dove la dolcezza del caciocavallo, durante la stagionatura in grotta, si sviluppa i sentori di bosco e frutta secca, con leggeri richiami speziati. Il rosé va ad aggiungere una serie di note di freschezza, agrumata, con un tocco di lampone, per mantenere la tensione ed esaltare la complessità del formaggio. Abbinamento di intensità e dinamismo.


Champagne Blanc de Noirs brut e Pecorino Fiore Sardo

Il Pecorino Fiore Sardo è un formaggio ovino sardo tradizionale, dal gusto sapido, leggermente affumicato e ricco di note lattiche e vegetali. Se non troppo stagionato, mantiene un buon equilibrio tra dolcezza e sapidità, con una texture compatta, ma ancora morbida. Il Blanc de Noirs offre corpo e intensità che contrastano e allo stesso tempo esaltano il carattere complesso del Pecorino. Le note di frutta matura di un Blanc de Noirs evoluto si legano perfettamente al sapore deciso del formaggio, senza sovrastarlo.


Brut Sans Année e Robiola di Roccaverano

La Robiola è cremosa, molto minerale e con punte di acidità. Un gusto complesso che si può abbinare a un Brut sans année dal gusto bilanciato, pieno ed elegante, capace di non sovrastare il gusto del formaggio.


Champagne Brut Millesimato e Bitto

Il Bitto è un formaggio d’alpeggio con una pasta dura e granulosa che varia di intensità a seconda della stagionatura. Un Bitto più giovane ha sapori di latte, erba e burro, mentre uno più stagionato sviluppa note di frutta secca, caramello e un sapore deciso e persistente. Uno Champagne millesimato, ampio e aromatico, può essere un accompagnamento in grado di esaltare la profondità e la complessità del formaggio aggiungendo freschezza.


Demi-Sec e Burrata

Le note dolci dello Champagne Demi-Sec accompagnano la morbidezza della burrata e in particolare della panna. Un abbinamento per assonanza che trasforma l’assaggio quasi in un dessert senza rinunciare ad acidità e sapidità.

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Ami il Riesling? Devi scoprire l’Imereti: il volto fresco dei vini georgiani


Al mercato centrale della città vecchia, in Shota Rustaveli Ave, i colori dei foulard delle donne si confondono con quelli delle spezie, dei formaggi e delle strisce di Churchkhela, dolce tradizionale georgiano a base di succo d’uva, frutta secca e farina. C’è anche qualche bottiglia di vino dell’Imereti, conservata chissà come. Camminare per Kutaisi, terza città del Paese, 220 chilometri a ovest della capitale Tbilisi, è come immergersi in un barattolo di vernice. Ne esci colorato, felice. Stordito.
Inebriato da profumi e istantanee di storia, cultura. Orgoglio. Mito. È la terra degli Argonauti, della caccia al Vello d’Oro. Del fiume Rioni e del Ponte Bianco. Del Monastero Motsameta, immerso nel silenzio della natura incontaminata e selvaggia di una regione vinicola che vuole farsi largo, sulla scena internazionale. Levandosi di dosso l’ombra, pesante, del più noto Kakheti, con circa 5 milioni di bottiglie prodotte su una superficie di circa 2.350 ettari.

I VINI DELL’IMERETI: GRANDE FRESCHEZZA E ALCOL MODERATO

I vini dell’Imereti somigliano un po’ a quel mercato centrale. Alla città caoticamente ordinata che lo ospita. Colori intensi, quasi fluorescenti. Proprio come quelli delle spezie. Ogni bottiglia, una sorpresa. Si passa dal giallo paglierino all’ambra luminosa, o dal rosso rubino al viola impenetrabile, con la stessa facilità con la quale la scritta “Ti amo” compare su un muro di Kutaisi, riprodotta un centinaio di volte nelle tre lingue parlate dagli abitanti del posto. Espressioni diverse, per esprimere lo stesso concetto. Così come diverse sono le coniugazioni delle uve, in vinificazione: con o senza utilizzo di qvevri o legno e ricorrendo, o meno, a macerazioni sulle bucce più o meno prolungate.

Ma per capire i vini dell’Imereti, occorre innanzitutto partire dalla conformazione del territorio. L’Imereti ha un clima più umido e mite, influenzato dalla vicinanza al Mar Nero e da una viticoltura che si sviluppa fino a oltre 500 metri sul livello del mare, in ambienti di alta collina. I suoli sono prevalentemente argillosi-pietrosi e bianchi, calcarei; ricchi di carbonato di calcio e dotati di una buona capacità di trattenere l’umidità. Giusto, dunque, aspettarsi vini più freschi, con maggiore acidità rispetto a quelli del Kakheti. Lì, il clima più caldo e secco dà vini più potenti e, soprattutto, più alcolici. Il suolo, nel Kakheti, è molto più vario di quello dell’Imereti, con presenza di argille, rocce e terreni alluvionali che contribuiscono a restituire vini complessi, strutturati, dalle spalle larghe.

I VITIGNI DELL’IMERETI E LE LORO CHANCE INTERNAZIONALI

Differenze sostanziali, che trovano conferme anche nella base ampelografica della regione. I vitigni dell’Imereti, infatti, sono diversi da quelli del Kakheti. In quest’angolo di Georgia si trovano varietà autoctone poco conosciute, come Tsolikouri, Krakhuna, Tsitska e Kvishkhuri (a bacca bianca) e Otskhanuri Sapere, Aladasturi e Ojaleshi (a bacca rossa). Cosa aspettarsi dai vini prodotti con questi vitigni? Gran acidità, e dunque freschezza, soprattutto dai vini bianchi “in purezza”, ovvero da singole uve. Una caratteristica che risulta più attenuata nei blend, con il terzetto Tsolikouri-Krakhuna-Tsitska che può infatti fregiarsi dell’unica Doc dell’Imereti: Sviri Pdo (Protected Denomination of Origin).

Ogni uva apporta benefici al blend: Tsolikouri e Tsitska per la vibrante acidità; Krakhuna per la componente aromatica e per il corpo. Interessante, anche dal punto di vista agronomico, il Kvishkhuri: con la sua buccia spessa e l’ottima resistenza alle temperature più rigide, ha un ruolo di prim’ordine nell’Alto Imereti, la fascia più settentrionale della regione. I vini bianchi dell’Imereti, generalmente, ricordano al naso e al palato agrumi come l’arancia e il mandarino, le nespole. Evidenziano accenni di frutta tropicale, frutta bianca come la pera e tinte erbacee e talcate, soprattutto in presenza della varietà Krakhuna. Curioso invece come la Tsitska riporti spesso alla mente il Sauvignon Blanc, specie se non sottoposta a macerazione.

IMERETI: VINI BIANCHI (MEGLIO) IN CUVÉE. ROSSI IN PUREZZA

Quanto ai vini rossi, l’Otskhanuri Sapere è considerabile l’alter ego del Saperavi kakhetiano. Il “Colorato di Otskhana”, questa la traduzione letterale del nome, in onore della città d’origine del vitigno, ha un’acidità generalmente alta, una struttura armonica e un corpo più che dignitoso: caratteristiche che portano i vini ad affinare bene, nel tempo, muovendosi su note terziarie rispetto ai primari di ciliegia, bacche rosse e nere di bosco e prugna matura.

L’Aladasturi convince per la capacità di saper leggere i suoli, ricordando talvolta certe espressioni rare del Syrah sul granito. Generalmente dà invece vini freschi e beverini, dal corpo leggero, in cui la maturità dei tannini gioca un ruolo fondamentale nell’equilibrio del calice. La vera sorpresa è l’Ojaleshi, che riporta alla mente una buona parte del profilo maturo del Refosco dal Peduncolo Rosso e delle espressioni giovanili dello Schioppettino di Prepotto. Una varietà sempre più riscoperta e vinificata dalla settantina di cantine dell’Imereti.

L’UTILIZZO DELLE ANFORE IN TERRACOTTA (QVEVRI / CHURI) NELL’IMERETI

Se è ormai molto facile reperire un vino georgiano all’estero, Italia compresa, risulta invece più complicato degustare un vino prodotto nell’Imereti. Il Kakheti la fa da padrone nelle scelte dei buyer, anche perché è ormai simbolo del metodo tradizionale di vinificazione in qvevri, grandi anfore di terracotta interrate che affascinano i consumatori di tutto il mondo con la loro tradizione millenaria. Il “Metodo Kakhetiano” è, di per sé, sinonimo di “vini georgiani”. Ed è quello su cui si concentra la stragrande maggioranza del marketing nazionale, all’insegna del claim che promuove la Georgia come “The cradle of wine“: “La Culla del vino” internazionale, dove ha avuto origine la viticoltura (un primato, a onor del vero, messo in discussione dalla vicina Armenia).

Anche in Imereti si utilizzano le qvevri, localmente chiamate churi. Ma il metodo di vinificazione tradizionale differisce da quello di Kakheti. Nell’Imereti solo una parte delle bucce – molto più raramente i raspi – vengono utilizzati durante la fermentazione. Un approccio più delicato, che ben si misura con le caratteristiche delle uve e la volontà di produrre vini più leggeri e freschi, perfetti per gli amanti di varietà come il Riesling. Il “Metodo imeritiano” tende a conservare maggiormente l’acidità naturale dei vini e a dar vita a vini più freschi. Ma soprattutto meno tannici rispetto a quelli di Kakheti, dove invece il mosto fermenta e matura a lungo nelle qvevri con tutte le parti solide dell’uva (buccia, vinaccioli, raspi), restituendo tannini marcati, struttura e complessità.

IMERETIAN WINE CHALLENGE: DA QUI PASSA IL FUTURO DEI VINI GEORGIANI

Proprio per contribuire a dare un’identità precisa ai vini dell’Imereti, premiando i più elevati standard produttivi e promuovendo l’unicità della zona a livello internazionale, è nata la Imeretian Wine Challenge (IMT). Una competizione enologica ideata da Ketie Jurkhadze, direttrice dell’Imeretian Wine Association, che raggruppa una settantina di cantine della zona ed è nata nel 2022, con il supporto di Dmo Imereti (Destination Management Organisation Imereti).A inizio ottobre 2024 il concorso è giunto alla sua seconda edizione, ospitata proprio Kutaisi, terza città georgiana per numero di abitanti e capitale della regione vinicola dell’Imereti. I risultati della competizione, non ancora ufficiali, confermano l’assoluta validità del percorso intrapreso dai viticoltori, che nella Georgia occidentale possono contare anche su iniziative imprenditoriali importanti. È il caso di Labara Winery che sorge a Vartsikhe, frazione della municipalità di Baghdati.

Dodici ettari di vigneti incastonati tra il Mar Nero e il Caucaso, in una piana ricca di argilla e calcare all’esatta confluenza dei fiumi Rioni e Khanitskali. Krakhuna, Otskhanuri  Sapere, Tsolikouri, Tsitska, Ojaleshi e Aladasturi hanno trovato in Dato GaguaShalva Sikharulidze due grandi interpreti. Entrambi impegnati a livello professionale negli Stati Uniti, hanno deciso di fare ritorno in Georgia e fondare la cantina nel 2017, «per aiutare il Paese a sfruttare e sviluppare i suoi 8 mila anni di storia nel vino». Anche in chiave enoturistica. La parola “Labara”, che dà il nome alla cantina, significa infatti “Luogo soleggiato pieno di vita”. Un inno a Vartsikhe, villaggio di antica tradizione vinicola che Dato Gagua e Shalva Sikharulidze vogliono trasformare in meta turistica, oltre che areale di produzione dei migliori vini dell’Imereti.

Il Sole presente su tutte le etichette simboleggia il sogno dei due imprenditori. Circa 20 mila le bottiglie prodotte attualmente, con la vendemmia 2024 che è da considerarsi come quella del vero esordio, con i frutti dei giovani vigneti di proprietà. Lo stile e l’impronta della piccola Labara Winery è comunque già chiaro: grande cura nella selezione delle uve, vinificazione e affinamento in qvevri (o, meglio, churi) e in botti di legno usato; e desiderio di esprimere i caratteri primari di ogni singola varietà nel calice. Un faro non solo per l’Imereti ma per l’intera Georgia del vino, soprattutto con l’orange wine (macerato) 2020 “Circum Solem” da uve Tsolikouri, l’Otskhanuri  Sapere Reserve 2022 e l’Ojaleshi 2023.

LABARA WINERY, LA NOVITÀ. WINERY KHAREBA, UNA CERTEZZA

Per una cantina artigianale georgiana che nasce e che, certamente, saprà affermarsi a livello internazionale, una che è già un simbolo dei vini georgiani nel mondo. Winery Khareba è un colosso da 17 milioni di bottiglie che, sotto la direzione tecnica ed enologica del winemaker Vladimer Kublashvili, si è posta come obiettivo quello di abbracciare tutto il territorio nazionale con il proprio parco vigneti (1.500 gli ettari attualmente a disposizione). Già ben solida nell’olimpo dei big del Kakheti, Khareba sta investendo sempre più energie, negli ultimi anni, nella crescita dell’Imereti e delle sue varietà autoctone. L’approccio dell’enologo Vladimer Kublashvili è sartoriale. Millimetrico.

Ne è una riprova l’ultimo progetto della cantina, denominato K’Avshiri, კავშირი, che in georgiano significa “alleanza”, “unione”. Si tratta infatti del progetto comune del winemaker di Winery Kareba e del consulente e wine critic britannico Robert Joseph. Un vino bianco e un vino rosso ottenuti – guarda caso – da un blend. K’Avshiri White è una miscela di otto vitigni georgiani con Moscato e l’Aligoté. K’Avshiri Red racchiude invece nove varietà, tra cui due uve bianche georgiane co-fermentate con Saperavi e Aladasturi, lasciate appassire per 10 giorni prima della fermentazione. Entrambi i vini sono ottenuti da vinificazione parziale in qvevri e acciaio, con l’utilizzo del legno per il solo uvaggio rosso.

K’AVSHIRI: MOLTO PIÙ DI UN SEMPLICE VINO

«Pur volendo creare un vino decisamente “georgiano” – spiegano Kublashvili e Joseph – non ci scusiamo per aver incluso un po’ di Aligoté e Moscato nella miscela bianca. Produrre il miglior vino possibile era molto più importante che rispettare qualsiasi tipo di regola che imponesse la “purezza” regionale. Allo stesso modo, i rossi assemblaggi 2022 e 2023 contengono sfacciatamente un po’ di Merlot (5%). Molti produttori in Paesi con varietà autoctone interessanti oggi hanno una visione simile, ma preferiscono non menzionare il loro utilizzo di piccole quantità di varietà “internazionali”, seppellendole nel 15% di “altre uve” legalmente consentite. Abbiamo preferito essere aperti su ciò che accade esattamente in K’Avshiri».

Una visione, quella di questo insolito duo, che si confà al clima di un Paese a caccia d’identità e che, anzi, in quella ricerca s’inserisce in punta di piedi, con due vini di grande spessore enologico e di grande provocazione intellettuale. E non succede a caso in Georgia, nazione che diverte – e che sembra essa stessa, forse inconsapevolmente, divertirsi – nello sfoggio di logiche e interpretazioni tra loro contrastanti, capaci di convivere in un clima di ordinato caos, sul confine geografico esatto col paradosso e con l’ossimoro. Come i foulard di quelle donne, che si mescolano ai mille colori delle spezie, al mercato centrale della città vecchia di Kutaisi. O quella scritta “Ti amo”, in tre lingue diverse su un muro, poco lontano dalle bancarelle. Imereti, Georgia, mondo. Tutto sommato, confine.

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Borgogna vs Bordeaux: i vini di Les Grands Chais de France

Les Grands Chais de France, gruppo fondato e gestito da Famille Helfrich che commercializza vini delle più prestigiose regioni vinicole francesi, ha presentato a Milano alcune delle proprie referenze presso il ristorante Mitù.
Un confronto fra le due principali sottozone di Borgogna, Côte de Beaune e Côte de Nuits, con una “incursione” da Bordeaux, dopo i confortanti passi avanti compiuti con il Crémant nei primi 6 mesi del 2024. A presentare i vini e la realtà di Les Grands Chais de France e a guidare la degustazione Stephane Schaeffer, esperto di Borgogna del gruppo, Vittorio Frescobaldi, export manager per Bordeaux e Romina Romano, Country Manager Italia.

LA DEGUSTAZIONE

Crémant de Bourgogne Chardonnay Extra Brut 2022, Chartron et Trébuchet

Giallo paglierino carico, perlage fine e persistente. Naso semplice ma intenso. Note floreali e di frutta bianca, crosta di pane e leggero tocco tostato. Sorso snello in cui la viva freschezza ben si sposa con la cremosità delle bollicine. Poco persistente, lascia al palato un piacevole ricordo di sé.

Chablis Grand Cru “Bougros” 2021, Chartron et Trébuchet

Terreni calcarei kimmeridgiani per lo chardonnay che dà vita a questo Grand Cru. Fermentazione in rovere e permanenza sulle fecce fini per 8-10 mesi. Colore dorato e naso ricco ed espressivo. Note di frutta gialla fresca ed un accenno di frutta tropicale. Scorza d’agrume. Banana, pesca, mango, lime, vaniglia, miele il tutto arricchito da un netto sentore minerale di “sasso bagnato”. In bocca conquista con la grande sapidità, la ricchezza del corpo ed un’acidità marcata ma “educata”.

Meursault 1er Cru “Les Charmes” 2022, Chartron et Trébuchet

Nel cuore della Côte de Beaune per uno Chardonnay che cresce tra i 200 e i 300 metri sul livello del mare e con esposizione a est/sud-est. Vinificazione in rovere ed affinamento sempre in barrique di rovere per 12 mesi. Naso pieno. Fiori bianchi, miele, bergamotto, chinotto, pera, banana, nocciola, noce moscata. Palato pieno, in piena corrispondenza con la parte olfattiva. Molto persistente.

Savigny Les Beaune 1er Cru “Les Lavieres” 2020, Marguerite Carillon

Nord ovest della Côte de Beaune. Pinot Noir vinificato in acciaio ed affinato in barrique di rovere (il 40% nuove) per circa 15 mesi. Elegante sin dal naso. Frutti neri freschi e croccanti, leggero sentore tostato ed accenni speziati. In bocca è altrettanto elegante con una freschezza che accompagna tutto il sorso e si sposa coi tannini fini e vellutati. Piacevole e coinvolgente la persistenza.

Margaux 2016, Château du Tertre

Nel cuore della Bordeaux per questo assembalaggio di 75% Cabernet Sauvignon, 10% Merlot ,10% Cabernet Franc, 5% Petit Verdot. Utilizzo di 70% di barrique nuove per circa 18 mesi e vasche di cemento. Colore carico, pieno. Naso potente su note di frutta scusa matura, parte vegetale vivace e spezie scure. Sorso pieno, avvolgente. Tannini ben integrati ma decisamente presenti. Finale lungo.

Chambolle Musigny 1er Cru “Les Noirets” 2022, Chartron et Trébuchet

Pinot Noir della Côte de Nuits. Fermentazione in acciaio ed affinamento in barrique per 16 mesi. Naso complesso ma delicato. Elegante. Frutti rossi e neri freschi, note floreali e di sottobosco. Spezie a completare il quadro olfattivo. Liquirizia, chiodi di garofano, pepe nero. Finale fresco, lungo ed aromatico.

Corton Charlemagne Grand Cru 2020, Chartron et Trébuchet

Anch’egli uno Chardonnay della Côte de Beaune, ma molto diverso dal precedente Meursault. Fermentazione in rovere ed affinamento in barrique (50% nuove) per 18 mesi. Naso complesso e verticale. Fiori bianchi, frutta matura, sentori minerali che ricordano la pietra focaia, nocciola, mandorle. In bocca è succoso, ricco, goloso, morbido. Lungo il finale.

Sauternes 2013, Château Bastor Lamontagne

Il vino dolce di Bordeaux per definizione. Prevalenza di Sémillon, Sauvignon a saldo, fermentazione parzialmente in legno. Un Sauternes che punta più sulla freschezza che sul tradizionale “zafferano”. Naso fresco, floreale e fruttato su note di albicocca, pera e pesca sciroppata. Tocco mentolato e una balsamicità che strizza l’occhio agli agrumi canditi. Sorso scorrevole e non stucchevole. Teso.

NUMERI POSITIVI PER LES GRANDS CHAIS DE FRANCE IN ITALIA

Les Grands Chais de France vende nel mondo 1 bottiglia su 4 di vino francese e continua a guadagnare nuove fette di mercato italiano, in Horeca e Gdo. Nel 2023 il giro d’affari complessivo in Italia ha superato i 7 milioni e 800 mila euro, contro i 5.600.000 euro del 2021 e segnando un +17,82% rispetto al 2022. Il 2023 si è chiuso con un segno positivo anche per i volumi con oltre 1 milione e 300 mila bottiglie vendute, pari a +7,83% rispetto all’anno precedente. All’interno di questi numeri la Borgogna di Les Grands Chais de France (gruppo noto anche come GCF Groupe) è in costante crescita sul mercato italiano. Dall’1 gennaio al 30 settembre 2024 sono state infatti vendute oltre 300 mila bottiglie per un giro d’affari di circa 2 milioni di euro.

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Mono Cru Ay 2018 Champagne Jacquart: 60 anni per la svolta sul Pinot Noir

Champagne Jacquart ha presentato il suo Mono Cru Ay 2018 Blanc de Noirs. Si tratta del primo (Grand) Cru 100% Pinot Noir della maison che ha fatto dello Chardonnay la propria cifra stilistica. Occasione per il lancio del Mono Cru sono stati i festeggiamenti per i 60 anni di Champagne Jacquart, lo scorso 24 settembre presso Relais Château Monfort, a Milano.

IL “LUSSO RILASSATO” JACQUART PASSA (ANCHE) PER IL MONO CRU AY 2018

Giunta all’età della maturità la Maison, nata nel 1964 dall’intento di riunire l’esperienza di una trentina di vignerons-artigiani, celebra il traguardo ribadendo il proprio approccio rilassato al lusso. Un lusso ludico e gioioso, lontano dall’apparenza, dal formalismo e dallo status symbol. Una visione disinvolta sottolineata dal claim “Joy is in the Air”. «La filosofia di Maison Jacquart è quella di celebrare ogni piccolo momento della vita con una nota di gioia e leggerezza, trasformando l’ordinario in straordinario», ha spiegato l’enologa Joëlle Weiss.

MONO CRU AY PER I 60 ANNI DI CHAMPAGNE JACQUART

Quattro bottiglie a confronto. A fianco del nuovo Mono Cru Ay 2018 Blanc de Noirs altri due Mono Cru, Villers Marmery 2016 Blanc de Blancs e Chouilly 2014 Blanc de Blancs, ambedue ormai non più in commercio, ed una Cuvée (solo magnum), Oenothèque 2012, realizzata appositamente per i 60 anni di Champagne Jacquart.

Mono Cru Ay 2018 Blanc de Noirs

100% Pinot Noir e 6,5 g di dosaggio zuccherino. Un vino pieno, succoso, materico. Naso ricco giocato su note di crema pasticcera e frutto rosso. Profumi concentrati che ricordano la marmellata di ciliegie, le prugne, la frutta gialla matura. Leggero tocco fumé. In bocca pieno ed avvolgente con l’arroganza tipica del vitigno. Il dosaggio ne arrotonda gli spigoli senza essere invasivo. Piacevolmente persistente lascia un gradevolissimo ricordo di sé.

Mono Cru Villers Marmery 2016, Blanc de Blancs

100% Chardonnay 2 7,5 g di dosaggio zuccherino. Naso fresco che apre su note erbacee. Eucalipto, dragoncello, fieno. Si arricchisce man mano che passa il tempo con note di frutta bianca e gialla. Mela verde, pesca, albicocca. In bocca è rotondo, con una morbidezza che ben compensa la spinta acida. Lineare ma non banale chiude pulito e delicato.

Mono Cru Chouilly 2014 Blanc de Blancs

100% Chardonnay e 7,5 g di dosaggio zuccherino. Dritto, verticale, minerale. Quasi “militare” nel suo essere preciso e tagliente. Naso freschissimo su note di mela verde e frutta tropicale, ananas in evidenza. Teso al palato. Acidità molto marcata senza però divenire una “lama acida”. Piacevolmente beverino conquista per la semplicità di consumo.

Oenothèque 2012

60% Chardonnay, 40% di Pinot Noir e 5,0 g di dosaggio zuccherino per questa cuvée realizzata appositamente per i 60 anni di Champagne Jacquart, solo in formato magnum, e non messa in commercio. Uno Champagne che, rispetto ai precedenti, sottolinea la sua età. Più rotondo tanto al naso quanto al palato completa i sentori fruttati e floreali con note speziate di pepe bianco.

Kir Royale

La degustazione è stata occasione anche per la realizzazione ed assaggio di un drink. Un Kir Royale a realizzato con Champagne Jacquart Mosaïque Brut, vino base della Maison, e succo di mirtilli, more e lamponi. Una bevuta fresca, dove la piacevole acidità dello Champagne esalta le note di frutto rosso.

I 60 ANNI DI MAISON CHAMPAGNE JACQUART

Cresciuta negli anni con l’inserimento di nuovi soci, Jacquart oggi copre 300 ettari distribuiti su più di 60 Cru in tutte le aree della Champagne. Punto di forza dell’azienda è lo Chardonnay, con la sua freschezza, finezza e capacità d’invecchiamento. Una produzione che supera il milione di bottiglie, il 60% delle quali destinato all’export. Per scelta, Champagne Jacquart viene affinato solo in acciaio inox.

Nessun passaggio in legno, per esaltare le caratteristiche varietale dell’uva e di ogni singola parcella, valorizzandone freschezza e vivacità. «Tutte le nostre cuvées – ha precisato Joëlle Weiss – sono basate sulla freschezza aromatica dello Chardonnay, elaborato nelle sue mille sfumature. Dalle più leggere e pungenti a quelle più eleganti e golose. Tutte accomunate dalla stessa brillantezza, dal temperamento e dall’immancabile freschezza finale».

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Rod Smith MW nuovo presidente dell’Istituto Masters of Wine

Rod Smith MW è il nuovo presidente dell’Istituto dei Master of Wine, l’Institute of Masters of Wine di Londra. Si tratta del 57º presidente dell’IMW e ne guiderà il Consiglio, composto da 13 Master of Wine internazionali, responsabili della governance e dell’orientamento strategico dell’istituto del Regno Unito. Attualmente ci sono 421 MW attivi, in 30 Paesi del mondo. Roderick “Rod” Smith ha ottenuto il titolo di MW nel 2006 ed è un educatore entusiasta e impegnato, oltre che un esperto di marketing, giudice e relatore di conferenze sul vino. Attualmente risiede nel sud della Francia, dove ha fondato la Riviera Wine Academy.

Commentando la sua nomina a presidente dell’IMW, Rod ha dichiarato: «Sono immensamente orgoglioso e onorato di avere l’opportunità proseguire il duro lavoro di Cathy van Zyl MW, la mia predecessora, nell’implementazione della Strategia 2030 dell’IMW, su cui lavoriamo da due anni. In un mercato del vino in evoluzione e in un contesto di incertezze globali, i nostri obiettivi saranno promuovere il coinvolgimento con il mondo del vino in senso ampio e rafforzare la famiglia più vasta dei MW».

ROD SMITH: CHI È IL NUOVO PRESIDENTE DEI MASTER OF WINE

La carriera di Roderick “Rod” Smith è iniziata presso Oddbins a Londra, prima di trasferirsi a Seagram come brand manager per diversi vini, per poi fondare una sua società di consulenza dedicata all’educazione e al marketing del vino. Nel 2005 è entrato a far parte di Mentzendorff, un importatore di vini pregiati, in gran parte di proprietà di Champagne Bollinger, come responsabile dei vini francesi. Durante questo periodo ha completato la sua dissertazione per il titolo di Master of Wine, trattando il tema “Chenin Blanc in Anjou-Saumur“. Ha ottenuto il titolo di MW nel 2006.

Il nuovo presidente dei Master of Wine Rod Smith si è trasferito nel sud della Francia nel 2007 per guidare il team enologico di Vins Sans Frontières, il principale fornitore di vino per l’industria dei superyacht. L’idea per la Riviera Wine Academy è nata quando ha iniziato a organizzare degustazioni, eventi e cene per alcuni dei clienti più prestigiosi e esigenti al mondo. Rod continua a vivere e lavorare con piacere nella Costa Azzurra.

CATHY VAN ZYL MW: «ROD SMITH FARÀ CRESCERE L’ISTITUTO E LA SUA INFLEUNZA»

Rod ha anche una vasta esperienza come giudice in competizioni vinicole. Attualmente è presidente di panel per i Decanter World Wine Awards e ha ricoperto lo stesso ruolo per l’International Wine Challenge. Ha giudicato competizioni come il Moscow Russian Wine Fair, il Balkans International Wine Challenge, lo Shanghai International Wine Challenge, Texsom (Dallas), Shanghai Wine100, i Guangzhou Golden Bottle Awards ed è stato giudice internazionale ospite al prestigioso Sydney Royal Show. Rod succede a Cathy van Zyl MW, il cui mandato biennale è terminato ufficialmente durante l’assemblea generale dell’IMW il 24 settembre.

La presidente uscente Cathy van Zyl MW ha ringraziato i sostenitori dell’IMW, i membri del consiglio, il team dell’ufficio esecutivo guidato dall’«instancabile direttore esecutivo dell’IMW, Julian Gore-Booth», e i suoi colleghi MW per tutto il lavoro svolto durante il suo mandato biennale. «Gli ultimi 24 mesi sono stati eccezionalmente intensi per tutti noi su molti fronti e, sebbene abbiamo affrontato e superato diverse sfide, abbiamo ottenuto molti successi. Sono fiduciosa che il nuovo presidente dell’Istituto dei Master of Wine Rod Smith MW e il Consiglio dell’IMW siano pronti e capaci di far crescere l’IMW e la sua influenza nel mondo del vino globale. e non vedo l’ora di celebrare i loro successi nei prossimi mesi».

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Spagna, in Andalusia maxi piano di zonazione dei vigneti di cinque Dop


L’Andalusia punta su un maxi piano di zonazione dei vigneti. La rinomata zona vinicola della Spagna intende creare una classificazione territoriale empirica e digitalizzare la gestione del settore vinicolo tradizionale, valorizzando territorio e vini. Un compito affidato al Gruppo operativo Gopagos, che ha di recente completato le sue attività di ricerca e valutazione per la classificazione dei vigneti nelle Dop Montilla-Moriles, Málaga, Sierras de Málaga, Condado de Huelva e Vino Naranja del Condado de Huelva. La ricerca ha evidenziato l’influenza di fattori climatici ed edafici – ovvero quell’insieme delle condizioni fisiche e chimiche del terreno, in rapporto specifico allo sviluppo delle piante e alla resa delle colture – sulla qualità dei vigneti.

La nuova classificazione sarà supportata da un sistema digitale, per migliorare la gestione del settore vinicolo. Il progetto ha anche confermato la presenza di zone di qualità nei vigneti storici. L’intenzione, ora, è quella di includere questi territori nei regolamenti delle Dop, specialmente in Montilla-Moriles e Condado de Huelva. Inoltre, il riconoscimento della regione di Manilva darà un impulso alla viticoltura di qualità, in un’area soggetta a forte pressione urbanistica.

LA SODDISFAZIONE DEI CONSORZI ANDALUSI

I consorzi che vigilano sulle denominazioni coinvolte dal maxi piano di zonazione dei vigneti in Andalusia vedono con ottimismo i risultati del gruppo Gopagos, che miglioreranno le precedenti classificazioni territoriali e offriranno alle cantine uno strumento digitale per identificare i terreni più adatti alla produzione di uve di alta qualità. Secondo Enrique Garrido, segretario generale delle DO Montilla-Moriles, questo studio rappresenta «un ulteriore passo verso la definizione delle migliori terre per produrre i vini migliori e garantire la loro origine specifica, offrendo anche un valore aggiunto per i consumatori».

Antonio Izquierdo, segretario generale del Consiglio Regolatore delle DO Condado de Huelva, ha sottolineato come questa classificazione possa «migliorare la redditività dei viticoltori e preservare l’ambiente, specialmente nelle aree vicine a Doñana e Condado de Huelva». Anche Francisco Javier Aranda, segretario generale delle DO Málaga, Sierras de Málaga e Pasas de Málaga, ha evidenziato «l’importanza di questa classificazione per la viticoltura a Manilva, contribuendo a rilanciare un’area con una lunga tradizione vitivinicola».

LA COLLABORAZIONE CON L’UNIVERSITÀ DI CORDOBA

Per realizzare il maxi piano di zonazione dei vigneti dell’Andalusia, Gopagos ha studiato la documentazione storica e catastale esistente, insieme a un’analisi del territorio basata su criteri edafoclimatici. L’Università di Córdoba, attraverso il gruppo di ricerca AGR-165, ha condotto un’analisi dettagliata del suolo in ogni Dop, realizzando 21 valutazioni del suolo e raccogliendo campioni da 85 orizzonti e 56 perforazioni, poi analizzati per parametri come umidità, tessitura, contenuto di carbonato e pH.

I dati climatici e del suolo saranno incorporati in un’app digitale che fornirà informazioni aggiornabili per il settore vinicolo andaluso. «Questo strumento – assicurano referenti di Gopagos Andalucía – permetterà un’analisi continua delle condizioni climatiche e del territorio, aiutando a migliorare la qualità della produzione vinicola e ad affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico.

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Vendemmia 2024, anche il Centro Loira alle prese con la peronospora


In occasione della vendemmia 2024, i vigneti del Centro-Loira hanno affrontato sfide climatiche straordinarie, tra piogge costanti che hanno favorito la peronospora, ma anche gelate e grandinate. Tuttavia, grazie al sole di agosto e alle escursioni termiche, il “millesimo” è promettente. Lo riferisce il Bureau Interprofessionnel des Vins du Centre-Loire.
Fabrice Doucet, direttore ed enologo consulente del Servizio interprofessionale di consulenza agronomica, enologica e analisi del Centro (SIVAC), si spinge oltre: «A memoria d’uomo, l’annata 2024 non ha precedenti. Tra la pioggia, che non ha dato tregua ai viticoltori durante la primavera e l’inizio dell’estate, il gelo e la grandine, i vigneti del Centro-Loira non sono stati risparmiati».

I VINI 2024 DEL CENTRO LOIRA

La speranza di una buona annata però persiste, grazie al sole di agosto e ad un’escursione termica tra la mattina e la giornata che favorisce la maturazione delle uve. La vendemmia 2024 in Centro Loira risulta posticipata rispetto agli anni precedenti. Nonostante il forte impatto della peronospora, che ha ridotto i raccolti, si prevede un ritorno a vini dal profilo più classico, freschi e fruttati, segnando un’eccezione rispetto ai millesimi recenti, che hanno dato mosti e vini più densi e zuccherini. Le previsioni del Bureau Interprofessionnel des Vins du Centre-Loire riguardano pregiate denominazioni francesi, rinomate in tutto il mondo, come Sancerre, Pouilly-Fumé, Menetou-Salon, Quincy, Reuilly, Coteaux du Giennois, Châteaumeillant, Pouilly-sur-Loire, Côtes de la Charité e Coteaux de Tannay.

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«Vuoi volare con noi? Bevi al massimo due bicchieri»: la battaglia anti alcol di Ryanair

Fa discutere nel Regno Unito la proposta dell’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary. Il Ceo della compagnia aerea low cost vorrebbe stabilire «un massimo di due bicchieri di alcol per passeggero negli aeroporti», al bancone dei bar o dei pub degli scali. Una sorta di limite per poter volare, sulla scorta della tolleranza (minima o addirittura nulla, in alcuni Paesi) al consumo di alcolici per chi vuole mettersi alla guida, sulla terra ferma. All’origine della richiesta del rappresentante di Ryanair ci sarebbe «un’impennata di casi di violenza a bordo», sugli aerei della compagnia britannica. Con protagonisti «passeggeri in stato di alterazione per l’assunzione di alcol, pastiglie o polveri». Nessuna misura viene comunque annunciata sul taglio dell’alcol a bordo dei velivoli Ryanair.

Durissime le parole di Michael O’Leary alla stampa britannica: «Non vogliamo negare alle persone di bere – ha dichiarato al Daily Telegraph – ma non permettiamo alle persone di guidare in stato di ebbrezza, eppure continuiamo a farle salire su aerei a 33 mila piedi. Un tempo, chi beveva troppo si addormentava. Ora alcuni passeggeri assumono anche pastiglie e polveri: un mix che genera comportamenti aggressivi, difficili da gestire. Finché riescono a stare in piedi, mescolandosi nei gruppi di passeggeri ai gate, la fanno franca. Appena decolla l’aereo assistiamo a reazioni inaccettabili, tanto che il personale Ryanair ispeziona le borse alla ricerca di alcolici prima che i passeggeri si imbarchino sui voli per Ibiza. Questa è una delle “destinazioni festaiole” più colpite, insieme alle isole della Grecia».

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