Asolo Prosecco da record: nel 2024 sono state certificate 30 milioni di bottiglie. Le stime sono del Consorzio Vini Asolo Montello, che tutela la denominazione. Un risultato che non è solo una pietra miliare numerica, ma rappresenta anche un significativo progresso qualitativo per una denominazione che sta acquisendo sempre più valore nel panorama enologico internazionale. «Siamo orgogliosi del traguardo raggiunto – afferma il presidente del Consorzio, Michele Noal -. La dedizione delle aziende ha permesso all’Asolo Prosecco di conquistare l’attenzione della critica nazionale e internazionale, che ha riconosciuto il valore del prodotto con ottimi punteggi. Questo successo è frutto di strategie di promozione e investimenti mirati sulla qualità e sul territorio».
STATI UNITI PRINICPALE MERCATO DELL’ASOLO PROSECCO
Uno dei pilastri del successo è il consolidamento sui mercati esteri. Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato d’esportazione, ma si registra un crescente interesse in Asia, in particolare in Giappone. «I nostri vini – continua Noal – Raccontano al mondo un luogo unico, un territorio di cui siamo fieri ambasciatori. Attraverso il calice abbiamo la possibilità di far conoscere il borgo di Asolo e il suo fascino, le meravigliose colline che lo circondano e le eccellenze enogastronomiche dei nostri luoghi. Sono le terre del Canova e del Palladio, nell’Abbazia di S. Eustachio Giovanni Della Casa scrisse il Galateo. Qui nascono anche i vini rossi del Montello e la Recantina, varietà coltivata localmente da secoli e salvata dall’estinzione grazie a un lungo lavoro di ricerca»
IL FUTURO DELL’ASOLO PROSECCO
Il 2024 sarà ricordato come l’anno del record di 30 milioni di bottiglie di Asolo Prosecco. Ma è stato anche un anno di cambiamenti interni per il Consorzio, con il rinnovo delle cariche istituzionali e la creazione di tre Commissioni dedicate a temi agronomici, tecnico-giuridici e promozionali. Con uno sguardo fiducioso al 2025, il Consorzio annuncia una partecipazione strategica ai principali eventi di settore: Vinitaly, Vinexpo, ProWein. Confermato il ritorno negli Stati Uniti. Non meno importante sarà l’intensificazione delle attività di tutela internazionale delle denominazioni. Infine, previste iniziative di formazione degli operatori enogastronomici e turistici. «Vogliamo agire con sempre maggiore incisività nella vigilanza e nella protezione – annuncia il presidente Noal – rafforzando il valore della nostra denominazione nel panorama mondiale».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
L’Italia segna un passo importante nel settore vinicolo con l’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni sul decreto dealcolati firmata dal Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Questo provvedimento, accolto con entusiasmo dalle principali organizzazioni cooperative agroalimentari, posiziona il nostro Paese in linea con i principali competitor internazionali in un segmento di mercato in forte crescita. Le organizzazioni Agci Agrital, Confcooperative FedagriPesca e Legacoop Agroalimentare, componenti dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, hanno sottolineato l’importanza del decreto: «Grazie a questa normativa, le cantine italiane potranno finalmente produrre vini dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati, cogliendo opportunità in un mercato in evoluzione».
VINI DEALCOLATI, «OPPORTUNITÀ STRATEGICA PER IL SETTORE»
L’Alleanza delle Cooperative Italiane ha giocato un ruolo chiave nella definizione del decreto, contribuendo con proposte mirate che hanno trovato spazio nel testo finale. Secondo le centrali cooperative, l’introduzione di questa nuova categoria di prodotto non rappresenta una minaccia per i vini tradizionali, ma piuttosto un’opportunità per ampliare l’offerta e attrarre nuovi consumatori. «I vini dealcolati e parzialmente dealcolati – spiegano le coop – saranno una scelta complementare, capace di intercettare un pubblico che, per vari motivi, non consuma vino tradizionale. Questo segmento potrebbe essere la porta d’ingresso per nuovi appassionati del mondo del vino».
TREND DI CREACITA PER IL VINO DEALCOLATO
Il mercato dei vini dealcolizzati sta vivendo un’espansione significativa a livello globale. Secondo i dati di settore, la crescente domanda di bevande a basso contenuto alcolico o analcoliche è trainata da nuove abitudini di consumo. Salute, benessere e moderazione sono tendenze sempre più centrali, soprattutto tra i giovani e le fasce di consumatori attenti a uno stile di vita sano. L’apertura al segmento dei vini dealcolati permette alle cantine italiane di inserirsi in questa dinamica, mantenendo alta la qualità e l’autenticità che caratterizzano il nostro Made in Italy. Paesi come Francia, Spagna e Germania hanno già sviluppato una solida presenza in questo comparto, dimostrando che l’innovazione può convivere con la tradizione.
«VINI DEALCOLATI PER LA COMPETITIVITIÀ DELLE CANTINE»
Per le cooperative agroalimentari è fondamentale che il Sistema Vino nazionale possa operare con le stesse condizioni dei principali competitor esteri. Il decreto fornisce una base normativa chiara e strumenti operativi che consentiranno alle cantine italiane di sperimentare e produrre questa nuova tipologia di vini, offrendo loro la possibilità di esplorare mercati esteri e nuove fasce di consumatori. «Non possiamo ignorare il cambiamento delle modalità di consumo», ribadiscono le organizzazioni. «Il settore produttivo deve essere in grado di rispondere alle nuove richieste dei consumatori e di mantenere la competitività a livello internazionale».
IL FUTURO DEL VINO ITALIANO È LEGATO AI DEALCOATI?
L’approvazione del decreto sui vini dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati segna un passo importante verso l’innovazione del settore vinicolo italiano. La sfida ora è coniugare due parole troppo spesso abusate, specie nel loro accostamento – “tradizione” e “innovazione” -garantendo che questa nuova categoria di prodotti rispetti gli elevati standard qualitativi che da sempre contraddistinguono il vino italiano. La capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato e di anticipare le tendenze rappresenta un elemento chiave per il futuro del settore. I vini dealcolati, lungi dall’essere una minaccia, si propongono come un alleato strategico per consolidare il ruolo dell’Italia nel panorama enologico globale. Del resto, spesso, tante cose cambiano a seconda di dove (e come) le si guarda.
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Di recente, per puro caso, ci siamo imbattuti in una bottiglia di Moscato d’Asti Docg il Viaggiator Goloso della vendemmia 2015, in stato di forma eccezionale. La bottiglia è stata aperta in questi giorni. Quindi a fine 2024, ovvero a 10 anni dalla vendemmia riportata sull’etichetta. Una conferma dell’eccezionale capacità di invecchiamento del Moscato Bianco piemontese. Al momento dell’apertura della bottiglia, era ancora presente una vivace “bollicina”, insieme alle tipiche note floreali e fruttate del vitigno (acacia, glicine, sambuco, arancio), con retrogusto di salvia e bergamotto. Le note del Moscato d’Asti Docg il Viaggiator Goloso 2015, nel 2024, si sono fatte ancora più concentrate, ricordando per certi versi un ottimo – e molto più costoso – passito. Ecco perché vi consigliamo andare all’Iper La grande i, all’Unes o nei negozi il Viaggiator Goloso – a comprare almeno un cartone di questo vino! Il suggerimento è di far “saltare” qualche tappo per le Feste di Natale 2024 e Capodanno 2025. Ma l’invito è soprattutto quello di tenere da parte per qualche anno delle bottiglie di Moscato d’Asti Docg il Viaggiator Goloso, per godere della straordinaria evoluzione che può avere questo vino, decisamente poco costoso per quello che può regalare.
il VIAGGIATOR GOLOSO
Brand Premium del Gruppo Finiper Canova, il Viaggiator Goloso è nato nel 1999 evolvendosi da Private Label a love brand fino a insegna vera e propria, confermando la propria identità di simbolo di eccellenza gastronomica. L’assortimento dei suoi prodotti, compresa l’intera gamma dei vini, come spiega a Vinialsuper l’insegna, rappresenta «la perfetta combinazione di tradizione e qualità». Quello de il Viaggiator Goloso è, infatti, «un viaggio continuo alla ricerca delle specialità provenienti da produttori accuratamente selezionati, per offrire gusti unici che conquistano il palato a un prezzo accessibile.
Il Viaggiator Goloso consente di esplorare una buona gamma di vini italiani, ognuno con le sue caratteristiche specifiche. La linea dei vini, infatti, comprende oggi 10 referenze, fra Moscati, Franciacorta (Brut e Satén) e Prosecco (Doc, Docg e Cartizze). Per fornire una gamma di prodotti che include solo «vini capaci di regalare esperienze sensoriali uniche», il Viaggiator Goloso seleziona i produttori con cui collabora tramite «un processo rigoroso che garantisce la qualità e l’autenticità dei vini proposti».
MOSCATO D’ASTI DOCG il VIAGGIATOR GOLOSO
Per il Moscato d’Asti Docg, come spiega a Vinialsuper il Gruppo Finiper Canova, l’azienda vinicola è stata «accuratamente selezionata per le sue lavorazioni e i suoi processi certificati, anche in termini di sostenibilità». Si tratta dell’azienda Sovipi della famiglia Lovisolo, che produce vino in Piemonte dagli inizi del Novecento. Per l’esattezza, la cantina si trova a Calamandrana, in provincia di Asti, patria del Moscato. Lo stesso fornitore produce per il Viaggiator Goloso anche il Moscato Spumante, nella versione da 750 e 375 ml.
LA GAMMA DI VINI il VIAGGIATOR GOLOSO
Franciacorta Satén Docg Vg 75cl
Franciacorta Brut Bio Vg 75cl
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg Vg 75cl
Prosecco Doc Treviso Vg 75cl
Prosecco Doc Vg 20cl X2
Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg Vg 75cl
Prosecco Superiore di Valdobbiadene Docg Vg 37,5cl
Moscato D’asti Docg Vg
Moscato Vsq Dolce Aromatico Vg 75cl
Moscato Spumante Vg 37,5cl
QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA GRANDI VIGNE E il VIAGGIATOR GOLOSO?
I vini Viaggiator Goloso sono disponibili nei supermercati Iper La grande i ed Unes, dove tuttavia è presente anche un’altra linea di vini italiani reperibili solo sugli scaffali dei supermercati dell’insegna, chiamata Grandi Vigne. Si tratta della “marca privata” di Iper La grande i (altra insegna del Gruppo Finiper Canova) che, dal 2007, «seleziona con cura vini realizzati da piccoli produttori, con l’obiettivo di dare al consumatore un’offerta sempre più vasta fra cui scegliere». Grandi Vigne, come spiega il gruppo a Vinialsuper, si propone di «rendere etichette di pregio accessibili a tutti, senza compromessi sul valore del prodotto». La gamma include un centinaio di etichette che spaziano tra vini bianchi, rossi e rosé, sia secchi che dolci, oltre a quelli fruttati, aromatici, freschi, fermi e mossi. Una linea molto più ampia, dunque, rispetto a quella de il Viaggiator Goloso, incentrata soprattutto sul food.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ecco il mezcal di Bottura. La categoria del distillato messicano d’agave conosce una nuova frontiera grazie alla collaborazione tra lo chef di fama mondiale Massimo Bottura, il suo progetto no-profit Food for Soul, e Santo de Piedra, un atelier messicano che sta rivoluzionando il segmento del mezcal di alta gamma. Nasce così la Pastorale Series, una linea innovativa che reinterpreta il mezcal attraverso una visione unica e profonda, capace di unire tradizioni e innovazioni con un approccio che ridefinisce l’idea stessa di eccellenza e sostenibilità. Questo progetto, che si posiziona al confine tra artigianato e innovazione, mira a raccontare storie di inclusività, territorio e tradizione. Attraverso il linguaggio universale del gusto.
UN INCONTRO TRA MODENA E OAXACA, NEL SEGNO DEL MEZCAL
L’idea di questa collaborazione è nata dal desiderio di Bottura e Santo de Piedra di unire tradizioni e culture diverse, da Modena a Oaxaca, in una sinergia che celebra le rispettive identità culturali e artigianali. Dopo mesi di progettazione e ricerca, il risultato è un mezcal che riflette un profilo aromatico unico, unendo rare varietà di agave, tecniche tradizionali di distillazione e un approccio creativo e distintivo tipico dello chef modenese. Ogni elemento è stato attentamente curato per creare un prodotto che incarna il meglio delle due tradizioni.
Le agavi utilizzate provengono da piccole comunità locali di Oaxaca, dove i metodi di coltivazione rispettano l’ambiente e la biodiversità. Questo approccio non solo garantisce una qualità eccezionale, ma supporta anche l’economia locale e preserva le pratiche agricole tradizionali. A Modena, Bottura ha portato la sua esperienza nella creazione di sapori equilibrati e sofisticati, lavorando a stretto contatto con i maestri distillatori di Santo de Piedra per perfezionare ogni fase del processo.
David S. Giles, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Santo de Piedra, descrive la Pastorale Series come «un’opera che incarna una profonda riflessione sul futuro del lusso e della sostenibilità, rendendo questo progetto un vero esempio di innovazione e artigianalità». Il nome stesso della serie si ispira alla Sesta Sinfonia di Beethoven, un capolavoro che evoca l’armonia tra l’uomo e la natura. L’intera collezione prevede sei rilasci unici, ognuno interpretato da una mente creativa diversa, spingendo oltre i confini convenzionali del mondo del mezcal.
BOTTURA, IL MEZCAL E UN PACKAGING CHE CELEBRA LA NATURA
Il design della bottiglia, curato personalmente da Massimo Bottura, rappresenta un tributo alla terra e alla nebbia di Modena, un richiamo poetico alle radici dello chef. Realizzata in vetro riciclato, la bottiglia cattura la luce in modo unico, creando riflessi che esaltano la bellezza del liquido al suo interno. La sigillatura con cera d’api naturale non solo protegge il contenuto, ma simboleggia anche il rispetto per la natura e la forza dell’artigianato. Questo tocco distintivo sottolinea l’attenzione al dettaglio che caratterizza ogni aspetto della serie Pastorale.
In altre parole, un’opera d’arte unica nel suo genere. Ogni bottiglia è numerata individualmente, rendendola un oggetto da collezione per gli appassionati e un simbolo tangibile del connubio tra arte e sostenibilità. Inoltre, l’imballaggio è stato progettato per essere completamente riciclabile, riducendo al minimo l’impatto ambientale e allineandosi agli ideali di Santo de Piedra e Food for Soul.
SANTO DE PIEDRA E FOOD FOR SOUL BOTTURA: SOSTENIBILITÀ E IMPATTO SOCIALE
La collaborazione tra Santo de Piedra e Food for Soul va ben oltre il prodotto stesso. Una parte dei proventi della Pastorale Series sarà infatti destinata a sostenere le iniziative di Food for Soul, l’organizzazione no-profit fondata da Bottura e Lara Gilmore. Dal 2015, Food for Soul ha trasformato surplus alimentari in pasti nutrienti per le comunità più vulnerabili, attraverso progetti innovativi come i Refettori, spazi comunitari che combinano ospitalità, bellezza e qualità del cibo.
Ad oggi, Food for Soul ha salvato oltre 2.393 tonnellate di cibo dallo spreco, servito più di 3,7 milioni di pasti e coinvolto oltre 170.000 volontari in tutto il mondo. Questo impegno rispecchia gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, con un impatto tangibile nella lotta contro la fame, lo spreco alimentare e il cambiamento climatico. I Refettori, presenti in 12 paesi, sono diventati un modello di riferimento globale per l’inclusione sociale e la sostenibilità. In aggiunta, Food for Soul promuove iniziative educative per sensibilizzare le nuove generazioni sul valore del cibo e l’importanza della sostenibilità, contribuendo a un cambiamento culturale profondo e duraturo.
MEZCAL PASTORALE SERIES: DISPONIBILITÀ E PREORDINI
Il primo rilascio della Pastorale Series, frutto della collaborazione con Massimo Bottura, è già disponibile per il preordine sul sito ufficiale di Santo de Piedra. Questo rilascio rappresenta solo l’inizio di una collezione che arriverà nei mercati selezionati a partire dal 2025, portando con sé una visione rivoluzionaria del mondo del mezcal di alta gamma. La Pastorale Series punta a invitare nuovi consumatori a scoprire una categoria di spiriti che unisce tradizione, innovazione e sostenibilità in un’esperienza sensoriale senza precedenti.
Ogni dettaglio di questa serie è stato pensato per offrire qualcosa di straordinario, dalla qualità del prodotto alla bellezza del packaging, fino al significato sociale e culturale che ne deriva. Una linea che non solo ridefinisce il concetto di lusso, ma crea anche un ponte tra passato e futuro, tra artigianato e innovazione. Inoltre, la Pastorale Series sarà accompagnata da eventi esclusivi organizzati in collaborazione con chef di fama internazionale, artisti e creativi, che esploreranno nuove possibilità di abbinamento gastronomico e artistico. Questi eventi offriranno un’occasione unica per vivere un’esperienza immersiva nel mondo del mezcal e delle sue infinite sfaccettature.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Piccini 1882 presenta il progetto Drops for Hope, all’interno della cornice di “Ripartiamo Aps“, un’iniziativa di solidarietà per garantire l’accesso all’acqua potabile nei paesi più svantaggiati. Il Gruppo Piccini 1882, da sempre simbolo di eccellenza nel mondo del vino, rinnova il suo impegno sociale con il progetto “Drops for Hope” in collaborazione con Ripartiamo Aps. Questa iniziativa nasce con l’obiettivo di affrontare una delle più gravi emergenze globali: la carenza di accesso all’acqua potabile. In molte regioni del Sud del mondo, l’acqua potabile è, difatti, un lusso inaccessibile.
DROPS FOR HOPES: L’IMPEGNO DI PICCINI 1882 PER UN FUTURO MIGLIORE
Attraverso Drops for Hope, Piccini 1882 intende offrire una soluzione concreta e sostenibile, donando agli orfanotrofi dei depuratori che favoriscono la rimozione di batteri, metalli pesanti e sostanze chimiche, e borracce dove conservare l’acqua da bere. Le prime missioni interesseranno paesi come Colombia (prima missione nel video, sopra), Mozambico, Bolivia e Botswana. Il progetto è stato presentato venerdì 13 dicembre, presso la Sala Collezione Oro dello stabilimento di Casole d’Elsa di Piccini 1882. Un’occasione in cui è stato possibile approfondire gli obiettivi dell’iniziativa e sensibilizzare la comunità aziendale e il pubblico presente sui valori di solidarietà e responsabilità sociale che guidano la famiglia del vino toscano.
Fivi – parte integrante della Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti (CEVI) – si dice «contraria alla possibilità di inserire l’estirpo di vigneti tra le misure della prossima programmazione Pac». Una posizione tutt’altro che nuova quella espressa lunedì 16 dicembre, durante l’ultimo incontro del Gruppo di alto livello vitivinicolo dell’Ue. La Federazione italiana vignaioli indipendenti, insieme alla Confederazione europea, ritiene invece «strategico per il settore destinare i fondi a misure positive, che sostengano la redditività e la competitività delle imprese, non la loro dismissione».
FIVI CRITICA IN EUROPA SU ESTIRPO VIGNETI ED ENOTURISMO
Un altro «aspetto critico» sono le misure a favore dell’enoturismo. Fivi chiede a gran voce che «anche le aziende dei vignaioli possano accedere alla misura, perché sono proprio le aziende verticali quelle che garantiscono al consumatore un’esperienza completa, mostrando tutte le fasi del ciclo di produzione, dalla vigna alla bottiglia, e che possono educare a un consumo consapevole». La Federazione italiana vignaioli indipendenti ritiene, in definitiva, che «ci sia ancora molto lavoro da fare, ma la strada del confronto e del coinvolgimento della filiera è sicuramente quella giusta».
«Avevamo attese molto alte – sottolinea in una nota – e per il momento possiamo esprimere soddisfazione per i contenuti del documento condiviso dalla Commissione europea. In particolare apprezziamo che la Commissione intenda lavorare a un regime specifico di promozione per i piccoli produttori, su cui stiamo già elaborando una proposta concreta. Gli aspetti ancora da limare sono legati appunto all’estirpo dei vigneti nella Pac e alle misure in favore dell’enoturismo».
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Cresce l’offerta formativa di Ais Lombardia nel 2024. Con 8.300 soci, è la sezione regionale più numerosa dell’Associazione Italiana Sommelier. Quest’anno più di 3.500 persone hanno frequentato i corsi di qualificazione professionale organizzati nelle 10 delegazioni provinciali. Questi sono alcuni dei numeri che hanno contraddistinto l’attività di Ais Lombardia nel 2024, che ha visto inoltre 558 eventi come serate di approfondimento, seminari e master, viaggi studio sia in Italia che all’estero. E ancora: banchi di assaggio gratuiti, spesso organizzati in collaborazione con i Consorzi di Tutela. E tante “palestre didattiche”, rivolte a chi sta frequentando i corsi e vuole ulteriormente approfondire la tecnica della degustazione.
«È stato un anno davvero molto intenso – sottolinea Hosam Eldin Abou Eleyoun, presidente di Ais Lombardia – ma al tempo stesso ricco di soddisfazioni, grazie al prezioso lavoro che tutte le delegazioni provinciali della nostra regione hanno messo in campo. È cresciuto anche quest’anno sia il numero degli eventi, sempre più articolato e che si compone di appuntamenti con obiettivi differenti tra loro per andare incontro alle esigenze dei nostri soci, sia quello dei corsi di qualificazione professionale, che invece rappresentano il cuore pulsante della nostra offerta formativa».
AIS COMPIE 60 ANNI NEL 2025
Dieci le delegazioni regionali di Ais Lombardia: Bergamo, Brescia, Cremona-Lodi, Lecco-Como, Mantova, Milano, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese. «Dopo la pausa dovuta al periodo pandemico, che comunque ha visto tutto il team attivo nell’organizzazione di molti webinar, – continua il presidente – gli eventi sono tornati ad essere appuntamenti imprescindibili per tutti i nostri soci, coprendo l’intera programmazione annuale». Con oltre 8.300 soci, Ais Lombardia è ora pronta a iniziare il nuovo anno con entusiasmo e fiducia.
«Il 2025 sarà un anno molto importante – sottolinea ancora Abou Eleyoun – e vedrà l’Associazione Italiana Sommelier, nata il 7 luglio del 1965, festeggiare i suoi 60 anni. Lo faremo anche noi in Lombardia, attraverso una serie di eventi, a partire da “Enozioni a Milano”, la nostra grande festa che apre come di consueto il nuovo anno. La VII edizione si terrà da venerdì 31 gennaio a domenica 2 febbraio. Sono previsti tre premi dedicati a grandi personaggi del mondo enogastronomico e tante importanti masterclass e banchi di assaggio. Il modo migliore per iniziare a festeggiare questo importante anniversario».
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Masseria Li Veli, Petra, Planeta e San Salvatore 1988 sono le cantine italiane che parteciperanno al primo Mediterranean Wines Symposium, il primo Simposio dei Vini del Mediterraneo. L’appuntamento si terrà il 24 marzo 2025 presso la prestigiosa cantina Perelada, in Catalogna. L’evento si propone di celebrare l’importanza culturale, storica e gastronomica del Mediterraneo, coinvolgendo alcune delle più importanti cantine delle regioni vinicole che si affacciano sul “Mare Nostrum”. Tra i protagonisti spiccano alcuni nomi di rilievo della scena enologica italiana, che aderiranno al Manifesto del Simposio. Un documento che promuove la diffusione di conoscenze sul vino mediterraneo attraverso ricerca, formazione e condivisione.
I VINI DEL MEDITERRANEO CON GABRIELE GORELLI MW
Il Simposio vedrà la partecipazione di esperti internazionali di fama mondiale. Il comitato scientifico, presieduto da Juancho Asenjo, figura di spicco della critica enologica e Cavaliere dell’Ordine della Stella della Repubblica Italiana, include professionisti come Gabriele Gorelli MW, primo Master of Wine italiano, e Josep Roca, sommelier del celebre ristorante Celler de Can Roca. Tra le attività in programma ci saranno degustazioni tematiche, masterclass e tavole rotonde. Saranno affrontate anche tematiche attuali, come l’adattamento della viticoltura ai cambiamenti climatici, con l’intervento di Nathalie Ollat, direttrice del progetto francese Laccave (Inrae).
FOCUS SUI VINI ITALIANI DEL MEDITERRANEO
Durante il Simposio, i partecipanti potranno immergersi nella ricchezza vinicola del Mediterraneo. Gabriele Gorelli MW guiderà una masterclass dedicata alle principali regioni vinicole italiane, mentre Victoria Ordóñez presenterà le varietà più rappresentative del bacino mediterraneo. Da non perdere anche la degustazione di Malvasia lungo le coste mediterranee, condotta da Juancho Asenjo. Un ruolo centrale sarà riservato alla gastronomia, con Josep Roca che terrà una lezione sull’abbinamento tra alta cucina e vini mediterranei, e una speciale esperienza curata da Toni Gerez, sommelier del ristorante Castell Perelada, che abbinerà vini e formaggi mediterranei.
IL MEDITERRANEAN WINE SYMPOSIUM UNISCE LE CANTINE DEL MEDITERRANEO
Oltre ai grandi nomi italiani dalle regioni Puglia, Toscana, Sicilia e Campania, parteciperanno al Simposio dei Vini del Mediterraneo cantine rinomate di altri paesi del Mediterraneo. È il caso di Château Musar (Libano), Château Roslane (Marocco) e 4Kilos (Spagna). Tutte le cantine coinvolte condividono l’obiettivo di «promuovere l’identità vinicola mediterranea come un’unica regione, esaltandone l’origine, la qualità e la tradizione».
L’evento culminerà con un grande showroom presso il castello di Perelada, dove il pubblico potrà scoprire i vini di oltre venti cantine partecipanti, rappresentative delle diverse tradizioni vinicole mediterranee. Con questa prima edizione, il Mediterranean Wines Symposium punta a consolidarsi come appuntamento di riferimento per il settore enologico, celebrando il Mediterraneo come crocevia di cultura, storia e gusto.
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È ormai tra gli eventi più attesi dai professionisti del settore, a caccia di spumanti Metodo classico da inserire nella carta vini di un ristorante, o in enoteca. La Prima dell’Alta Langa 2025 si terrà il 10 marzo a Torino e promette già di essere il consueto successo. Il 2024 si chiude infatti con risultati significativi per il Consorzio che riunisce 85 maison piemontesi, per un totale di 455 ettari di vigneto tra le province di Alessandria, Asti e Cuneo (2/3 Pinot nero e 1/3 Chardonnay), per circa 3,2 milioni di bottiglie. Ben 14 le new entry del 2024, nel segno di una crescita che porterà la denominazione verso i 6 milioni di bottiglie, entro il 2030.
Una cifra che consentirà al Consorzio di iniziare a guardare all’export con maggiore efficacia. Al momento, infatti, il mercato interno interessa l’85% della produzione dell’Alta Langa Docg, con l’export al 15%. Non a caso, il 2024 sarà ricordato come il primo anno in cui l’ente presieduto da Mariacristina Castelletta (Tosti 1820) ha investito in promozione all’estero, invitando sul territorio un gruppo di giornalisti stranieri.
«I traguardi raggiunti quest’anno – sottolinea la presidente – sono il risultato di un impegno condiviso. Produttori, partner e un numero sempre maggiore di sostenitori e appassionati che ci accompagnano nel portare l’Alta Langa Docg sempre più lontano, senza mai perdere di vista i nostri valori e la nostra identità. La data scelta per l’evento annuale del Consorzio Alta Langa è lunedì 10 marzo 2025, a Torino. Sarà la settima edizione della grande degustazione di tutte le cuvée in commercio dei soci del Consorzio. A gennaio si apriranno sul sito istituzionale le registrazioni per il pubblico Horeca e per i giornalisti».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Galeotti furono una gomma bucata, «due colline a forma di tette», un parroco e un panettiere. La storia del Blangé, vino icona della famiglia Ceretto che nel 2025 compie 40 anni, è un condensato di aneddoti che mescola sacro e profano. Uno spaccato della carta d’identità delle Langhe e del Roero. Due territori diventati grandi insieme a questa etichetta, che ne ha accompagnato le tappe in quattro decenni. Giungendo intatta, rilucente ed esemplificativa, sino ai giorni nostri. Protagonista assoluto della storia del Blangé è Bruno Ceretto.
«Il discorso è molto lungo: lei registra?». Camicia biancoblu, a quadretti. Cravatta d’un giallo sgargiante. Giacca in pendant a quadri beige, blu e arancioni. Del tutto a suo agio nel quartier generale della cantina, ad Alba, il papà del Blangé, 87 anni, tiene a sincerarsi che tutto sia al suo posto, prima del ciak. Un po’ come quei padri e quelle madri che non smettono di trattare i figli adulti come bambini, sistemando le pieghe dei vestiti prima di vederli uscire di casa. La storia del vino che ha reso famoso l’Arneis nel mondo – un figlio per Bruno Ceretto, che l’ha pensato, visto nascere e crescere – dev’essere narrata in maniera impeccabile. Prendendosi il tempo necessario. O, piuttosto, lasciando perdere il discorso. Nell’aria dell’ufficio ad ampie vetrate danzano gli aromi di un buon caffè. Roberta Ceretto siede accanto a Bruno. Pronta a ripercorrere un racconto che sa di fiaba.
DA LA LUNA E I FALÓ AL BLANGÉ
«Negli anni 70 – inizia il patron, con voce ferma ma accogliente – ho conosciuto un grande produttore friulano, Manlio Collavini, che è addirittura padrino di battesimo di mia figlia Roberta. Grazie a lui cominciai a frequentare il Friuli, notando il grande sviluppo che aveva il Pinot Grigio, in quel momento, sul mercato nazionale. A noi, qui nelle Langhe, mancava un bianco così. Di ritorno in treno verso Alba, avendo forato una gomma, mi torna in mente che, ne La luna e i Falò, Cesare Pavese raccontava di due colline a forma di tette, meravigliose, nei pressi di Santo Stefano Belbo. Mi dico: mentre son qui, vado a veder ’ste tette, no?».
«Arrivato alla stazione di Santa Vittoria, leggo su un grande cartellone pubblicitario: “Francesco Cinzano, dal 1850 vini e spumanti”. Tra me e me penso: caspita, ma vedi? Spumanti? Questi qui nel 1850 facevano vini bianchi o qualcosa del genere! L’indomani decido di andare nel Roero per consultare i parroci dei paesi e capire se, per davvero, qualche contadino stesse piantando uve bianche in zona. I parroci, non i postini, sono quelli che ti danno le notizie vere! Infatti scoprii che moltissimi piantavano un vitigno chiamato Arneis. Non avendo il Moscato, avevano scelto quell’uva bianca per farsi un po’ di vino dolce, per Natale».
BRUNO CERETTO COMPRA “CHICHIVEL”, LA MIGLIOR COLLINA PER IL SUO ARNEIS
Nel suo girovagare in Roero, il futuro papà del Blangé scopre un’azienda agricola con ben 5 ettari di Arneis. A Canale. «Si chiamava Cornarea – ricorda – una cantina che esiste ancora. Andai lì per comprarla, essendo ormai deciso a produrre un vino bianco. Ma non se ne fece nulla». Bruno Ceretto sa bene che i parroci non dicono la verità solo sui contadini. Sono anche le persone più adatte ad indicare quali siano i migliori vigneti della zona: quelli in cui lo sconosciuto Arneis maturava meglio.
L’assist ecclesiale di don Nino, allora parroco di Vezza d’Alba, suo ex chierico nelle estati trascorse a studiare al posto di divertirsi con gli amici – «da giovane avevo sempre molte materie rimandate a ottobre, quindi finivo in seminario!» – si rivela vincente: «La miglior collina della zona – rammenta Bruno Ceretto – era quella che chiamavano “Chichivel”. Un appezzamento di circa 30 ettari, con addirittura 42 proprietari. Diedi subito incarico di acquistarla tutta. E da lì iniziò l’avventura». La famiglia, del resto, segue con interesse i viaggi in Roero dell’avventuriero Bruno.
L’ETICHETTA DEL BLANGÉ FIRMATA DA SILVIO COPPOLA
«Parlai con mio fratello Marcello – continua il racconto – e gli dissi che dovevamo studiare un progetto di successo e innovativo per il nostro primo vino bianco. In che senso “innovativo”? Quando vado al ristorante, mi siedo sempre in un cantuccio, in modo da osservare gli altri clienti. Avevo notato che quando arrivavano due fidanzatini, su suggerimento della donna, chiedevano spesso dei vini bianchi con delle caratteristiche molto precise. Profumati, non petillant ma che punzecchiavano leggermente, dando inizio a quelle che oggi chiameremmo “bollicine”. Vini rotondi, morbidi, di grande piacevolezza. Il vino che avevo in mente, dissi a mio fratello, introducendo di fatto quella che è un’altra grande innovazione di questa azienda nel campo dell’estetica, dovrà essere accompagnato dall’etichetta realizzata da un gradissimo designer. Che sappia creare qualcosa di innovativo, di grande bellezza ed eleganza». Quel «qualcuno» fu Silvio Coppola.
Un architetto, designer e grafico già noto, all’epoca, per aver realizzato l’etichetta del Tignanello degli Antinori. Per convincerlo a salire a bordo del progetto Blangé, Bruno Ceretto organizza un evento regale. «Era il 12 ottobre 1985 – spiega – quando lo invitai qui da noi ad Alba, insieme ad altri venti grandissimi designer ed architetti di fama internazionale. Gente che oggi chiameremmo “archistar”. L’idea era quella di un pranzo, utile a introdurre l’argomento dell’etichetta del Blangé. Ad ognuno fu consegnato un foglio bianco, ma nessuno portò a termine il “compito”. Perché? Finirono tutti sdraiati, ubriachi e a pancia piena». Tutti tranne Coppola. Che seppe resistere al fascino irripetibile dei fiumi di Barolo del 1961, serviti dallo staff di Bruno Ceretto. «In 20 si scolarono 36 bottiglie, abbinandole a bistecche di Fassona su cui feci grattare 50 grammi di tartufo per ciascuna. Ricordo ancora quando Coppola si alzò e disse: “Banda di ubriaconi, l’etichetta ce la facciamo io e Bruno Ceretto!”».
PERCHÉ L’ARNEIS DI CERETTO SI CHIAMA BLANGÉ?
Fu del noto designer l’idea di una bottiglia di vetro bianco, trasparente. «Prima di mostrarmi cosa aveva in mente per l’etichetta – prosegue il papà del Blangé – Coppola mi chiese se fossi un credente. Gli risposi con ironia: “A giorni! Oggi, per esempio, davanti al Barolo 1961, alle bistecche di Fassona e a così tanto tartufo, credo eccome!”. La domanda, però, aveva un senso. Mi disse che il suo obiettivo era quello di mostrare l’anima del vino, “perché nessuno vede la sua anima, anche se è credente”. Nacque così l’etichetta forata del Blangé, con le scritte dorate e, soprattutto, la grande “B” che lascia intravedere il colore del vino. La sua anima. Coppola mi chiese un favore: poter scrivere il suo nome, in piccolo, in un angolino. Come una sorta di firma. Lo accontentai, ovviamente. Detto ciò, l’etichetta fu costosissima: 50 milioni di lire! Fu copiatissima. Il vino ebbe un successo immediato, planetario. Lo presentammo in giro per il mondo. Purtroppo, Silvio morì prima della fine di quello stesso anno».
Ma perché l’Arneis di Ceretto si chiama Blangé? «Quando ci siamo presentati dal notaio per acquistare uno dei tanti appezzamenti di Arneis da cui ha avuto inizio la nostra avventura – risponde Bruno Ceretto – tra i venditori c’era un dirigente della Fiat, con la passione per la storia e l’etimologia. Secondo il suo racconto Napoleone, che firmò a Cherasco l’Armistizio del 1796 con Vittorio Amedeo III di Savoia, fece arrivare nella zona diverse migliaia di francesi. “Blangé” deriva dalla contrazione, in piemontese, della parola boulanger, ovvero panettiere. Una delle vigne che stavamo acquistando era di proprietà di un panettiere, nel Settecento. E così veniva identificata dalla popolazione locale, per la quale il termine era diventato una sorta di toponimo. Pane e vino, in definitiva: questo binomio ci convinse subito».
ROBERTA CERETTO E IL BLANGÉ: I NUMERI DI UN ARNEIS ICONA
«Noi siamo “barolisti” e “barbareschisti” per nascita e per convenienza, ma abbiamo gli stessi costi nel produrre una bottiglia di Blangé o di Barolo. Vogliamo che questo nostro Arneis sia un vino consumato dalle famiglie, la domenica. Apprezzandone la bontà, la qualità, la bellezza. E soprattutto il prezzo equilibrato, che dà la convinzione d’aver fatto un affare. Quel che è certo è che, senza una storia alle spalle, un vino non potrà mai avere successo». Ne è convinto Bruno Ceretto, nel commentare la storia visionaria di un’etichetta che si lega, sinuosa, a quella della sua famiglia di Langa. Un tesoro – la prima vendemmia costava già 6 mila lire, oggi il prezzo si aggira attorno ai 20 euro – che è finito tra le mani di Roberta Ceretto.
«Nel tempo – sottolinea – questo vino ha cambiato pelle mille volte. La prima bottiglia di Blangé non era né “Arneis”, né “Langhe”. Non c’era alcuna specificazione. Nel 1985 non era nemmeno Doc. Era semplicemente un “vino bianco”. In questi quarant’anni abbiamo aggiunto “Arneis” e lo abbiamo visto passare da Doc a Docg. Non ultimo, lo abbiamo imbottigliato come Roero e poi come Langhe Doc. Nell’arco di questi quattro decenni, l’etichettatura è cambiata moltissimo. La cosa straordinaria è che un vino che si ricorda per il suo nome, al di là dell’uva che lo compone e delle altre caratteristiche tecniche».
«Sono pochissimi i vini italiani, soprattutto bianchi – evidenzia ancora Roberta Ceretto – che si ricordano col loro nome di fantasia. I vari “Sassicaia” e “Tignanello”, però, partecipano a “campionati” diversi rispetto a quello del Blangé». Un’icona prodotta oggi su una superficie complessiva di di circa 100 ettari di proprietà, per 800 mila bottiglie. Sinonimo di una famiglia delle Langhe. E motore silenzioso di un Roero passato da pochi ettari di Arneis – quelli a cui dava la caccia il giovane Bruno Ceretto, all’inizio degli anni Ottanta – agli attuali 965, su un totale di 1.300. Un pezzo di storia, insomma, il Blangé. Da bere. Ascoltare. Leggere.Ceretto
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Chiusa la vendemmia 2024, il Piemonte traccia il bilancio di un’annata complessa ma promettente. Il clima caldo-umido, che ha interrotto il trend siccitoso degli ultimi anni, ha imposto sfide significative ai viticoltori, tra cui una maggiore attenzione alla difesa antiparassitaria, messa a dura prova dalle piogge persistenti. Tuttavia, il bilancio tracciato durante la presentazione odierna dell’Annata Vitivinicola 2024 in Piemonte si conferma positivo. La produzione stimata è di 2,25 milioni di ettolitri (+5% rispetto al 2023), con vini in linea con le tendenze di mercato che prediligono un tenore alcolico ridotto.
L’ANNATA 2024 IN PIEMONTE: PRODUZIONE ED EXPORT IN CRESCITA
Il Piemonte consolida la sua posizione di seconda regione italiana per fatturato vinicolo, con un giro d’affari di 1.248 milioni di euro. Sul fronte export, i vini rossi Dop registrano una crescita dell’1% a valore e del 4,4% a volume, trainati da mercati come Canada (+49%), Svezia (+14%), Giappone e Stati Uniti (+10% ciascuno).
Durante la presentazione de L’Annata Vitivinicola in Piemonte 2024, curata da Vignaioli Piemontesi e Regione Piemonte, è emerso il ruolo cruciale dell’enologia per valorizzare un’annata non priva di criticità, ma ricca di potenzialità. Secondo Giulio Porzio di Vignaioli Piemontesi, «i cambiamenti climatici e di mercato richiedono strategie nuove e coraggio per scommettere sul futuro della viticoltura piemontese».
SVILUPPO E SOSTENIBILITÀ DEI VINI DEL PIEMONTE
Gli assessori regionali Paolo Bongioanni e Marina Chiarelli hanno sottolineato «l’importanza di un approccio integrato per rafforzare il legame tra agricoltura, turismo e promozione dei prodotti locali». Bongioanni ha evidenziato il ruolo del Complemento di Sviluppo Rurale 2023-27 e l’introduzione della «rivoluzione della Filiera corta». Un modello innovativo per valorizzare i territori e le eccellenze enogastronomiche piemontesi. Chiarelli, invece, ha ribadito l’impegno nel «promuovere l’internazionalizzazione e un’accoglienza turistica di qualità».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
«Negli ultimi anni, il termine “vino naturale” è diventato di moda, un’etichetta che attrae un certo pubblico e promette qualità superiori e conseguenze meno impattanti per la salute. Tuttavia, dietro questa definizione apparentemente accattivante, si nasconde una realtà altamente controversa. In primo luogo, il concetto di “vino naturale” non ha alcuna base legale o regolamentazione ufficiale: non esiste, infatti, un ente di controllo che certifichi cosa sia effettivamente un vino naturale e cosa no. Questo lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e, inevitabilmente, a pratiche di marketing ingannevoli.
Si tratta, in sostanza, di un termine privo di rigore che gioca sulla percezione del consumatore. Non a caso, la narrativa che accompagna i vini naturali spesso sottintende che i vini prodotti in modo convenzionale siano in qualche modo “artefatti” o “inferiori”. Questo è profondamente fuorviante, perché la viticoltura convenzionale è regolamentata da norme precise, con controlli rigorosi sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto. E non si può dimenticare come gli enologi professionisti che lavorano secondo i metodi tradizionali o moderni si affidano a decenni, se non secoli, di conoscenze scientifiche e pratiche consolidate per garantire un prodotto eccellente e sicuro, mentre le imperfezioni organolettiche tradotte come “naturali” sono spesso difetti di vinificazione.
VINI NATURALI? RISCHIO EFFETTO BOOMERANG
Un altro aspetto critico è il messaggio implicito che i vini naturali siano più salutari. Questa è una semplificazione che rasenta l’inganno, poiché la salubrità di un vino non dipende dal fatto che sia naturale o meno ma, piuttosto, da fattori come il contenuto di solfiti (che, peraltro, sono presenti naturalmente anche nei vini cosiddetti “naturali”), la qualità dell’uva e i processi di vinificazione. Dunque, affermare che un vino naturale sia automaticamente “migliore per la salute” è una manipolazione che sfrutta la poca conoscenza del consumatore medio.
Infine, c’è il rischio di un effetto boomerang: concentrarsi sul “naturale” rischia di sminuire il lavoro di migliaia di produttori che, pur non utilizzando questa etichetta, si impegnano onestamente ogni giorno per creare vini straordinari nel rispetto dell’ambiente, del territorio e, soprattutto, del consumatore. Senza contare che questo tipo di comunicazione non fa altro che dividere inutilmente il settore, invece di valorizzare la diversità e la ricchezza della viticoltura mondiale.
VINO E GIOVANI: INFORMATEVI SUL TEMA
In conclusione, il concetto di vino naturale è, nella migliore delle ipotesi, un’abile strategia di marketing; nella peggiore, è un inganno. Credo fermamente che migliorare la comunicazione nel settore vinicolo sia necessario per tutelare i consumatori, i quali meritano di sapere che un buon vino non ha bisogno di aggettivi fuorvianti per dimostrare la propria qualità.
Per questo, da giovane produttore, suggerisco ai miei coetanei di informarsi con attenzione sul tema, per essere in grado di valutare con maggior consapevolezza le proprie scelte di consumo. E lo dico nella convinzione che temi come la trasparenza, la conoscenza e il rispetto per il lavoro dei produttori dovrebbero essere al centro del dialogo, non banalizzati e trasformati in etichette che servono solo a creare inutili divisioni».
Riccardo Polegato, AD La Viarte
Riccardo Polegato, classe 1996, “figlio d’arte” cresciuto tra filari e bottiglie, titolare insieme alle sorelle Luana e Giorgia della cantina La Viarte di Prepotto (UD) sui Colli Orientali del Friuli, prende posizione sui vini “naturali”, tema sempre dibattuto all’interno del mondo enologico.
Il 2024 si chiude con rilevanti novità per il mondo del Lambrusco. I disciplinari aggiornati delle Doc del celebre vino emiliano sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, entrando ufficialmente in vigore. Le aziende associate al Consorzio e interessate dalle modifiche si trovano nelle province di Modena e Reggio Emilia, dove quasi 10 mila ettari sono dedicati alla coltivazione del Lambrusco. Ogni anno vengono prodotte circa 40 milioni di bottiglie di Lambrusco Doc e oltre 100 milioni di bottiglie di Emilia Igt Lambrusco, destinate per il 60% all’export.
MONTE BARELLO, NUOVA SOTTOZONA DEL LAMBRUSCO GRASPAROSSA
Tra le principali novità spicca l’introduzione della sottozona Monte Barello all’interno della denominazione Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Doc. Dedicata alla produzione di vini frizzanti, questa sottozona comprende un areale prevalentemente collinare che circonda il borgo di Castelvetro (Modena). Per i vini prodotti in questa zona sono previsti requisiti rigorosi: una resa per ettaro ridotta, la raccolta manuale delle uve e l’uso esclusivo del Lambrusco Grasparossa in purezza. Un passo che punta a esaltare la qualità distintiva della nuova sottozona.
LAMBRUSCO DI SORBARA BIANCO: DEBUTTA LO SPUMANTE
Un’altra novità significativa riguarda il Lambrusco di Sorbara Doc, che potrà ora essere proposto anche in versione bianca spumante. Questo aggiornamento rappresenta il culmine di un percorso intrapreso dai produttori, che da anni sperimentavano con successo questa tipologia. Le risposte positive da parte di consumatori e addetti ai lavori hanno spinto il Consorzio a formalizzare questa innovazione.
NOVITÀ ANCHE PER IL REGGIANO DOC: ECCO LA TIPOLOGIA FOGARINA
Il disciplinare del Reggiano DOC si arricchisce di una nuova tipologia: la “Fogarina”, che punta a mettere in risalto una varietà autoctona, rappresentativa del territorio. Inoltre, è stata aggiunta l’unità geografica “Gualtieri”, contribuendo a una maggiore specificità e riconoscibilità dei vini prodotti in questa area.
LAMBRUSCO, COSA CAMBIA PER ETICHETTATURA E CONFEZIONAMENTO
Un ulteriore aggiornamento riguarda tutte le Doc del Lambrusco, con revisioni nelle sezioni dedicate a etichettatura e confezionamento. L’obiettivo, spiega il Consorzio, è quello di armonizzare i disciplinari e introdurre modifiche sui formati delle bottiglie e sulle tipologie di chiusure ammesse.
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L’innalzamento dello sconto sulle accise per i microbirrifici è realtà. Sono stati, infatti, approvati gli emendamenti alla Legge di Bilancio, in corso di discussione a Montecitorio, presentati dai gruppi di Lega e Fratelli d’Italia a prima firma degli onorevoli Mirco Carloni e Mauro Rotelli. La misura, che agevola soprattutto gli impianti di piccola taglia, era già attiva per il biennio 2022-2023. A richiederne l’estensione in più provvedimenti è stata Unionbirrai, l’associazione dei piccoli birrifici artigianali indipendenti.
Gli emendamenti sono stati accorpati nel corso della discussione e comportano una copertura economica complessiva inferiore ai 3 milioni di euro l’anno. I piccoli birrifici artigianali con una produzione fino a 10.000 ettolitri beneficeranno di uno sconto sulle accise pari al 50%. Per le imprese che producono fino a 30.000 ettolitri, lo sconto sarà del 30%, mentre per quelle che raggiungono i 60.000 ettolitri lo sconto scenderà al 20%.
LE DICHIARAZIONI DEGLI ADDETTI AI LAVORI
«Con un intervento economico limitato, il Governo sostiene concretamente le produzioni brassicole artigianali nazionali crescita – dichiara Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai – dando quel supporto che per il settore, fatto di piccole e piccolissime imprese, rappresenta un volano determinante per la crescita».
«L’innalzamento dello sconto sulle accise per i microbirrifici – spiega Teo Musso il presidente del Consorzio Birra Italiana – rappresenta un aiuto per la crescita delle filiere dal campo alla tavola. Filiere che sul territorio nazionale stanno già vedendo lo sviluppo di esperienze importanti. Un indotto importante per l’economia dei territori con la crescita della produzione di orzo e di luppolo italiani».
«Una misura importante sostenuta grazie all’impegno del presidente della Commissione Agricoltura della Camera Mirco Carloni e dei parlamentari che hanno lavorato sull’emendamento e del Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare», fa eco il presidente della ColdirettiEttore Prandini.
IL COMPARTO BIRRA IN ITALIA
Un comparto che vede oggi quasi 1200 birrifici in tutta Italia, di cui circa il 25% è agricolo, ovvero produce da sé le materie prime necessarie. Percentuale in costate crescita secondo l’analisi del Consorzio Birra Italiana. La birra artigianale è entrata sempre più nelle case degli italiani, con una produzione di 48 milioni di litri, di cui quasi 3 milioni di litri destinati all’export. Un valore di oltre 430 milioni di euro sul mercato del fuori casa, garantendo 92 mila posti di lavoro tra addetti diretti e indiretti. Un fenomeno sul quale pesano però l’aumento record dei costi di produzione legati alle tensioni internazionali e gli effetti dei cambiamenti climatici. Siccità e maltempo hanno causato una riduzione importante della produzione di orzo facendo drasticamente calare le rese, pur se il prodotto si presenta comunque di ottima qualità.
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Circola da alcune settimane, in Valpolicella, la voce che il colosso Bertani sia di nuovo in vendita. Sullo sfondo c’è la presunta trattativa in corso tra la proprietà, ovvero il Gruppo Angelini, e Recordati Spa, che potrebbe portare alla creazione di un grande polo italiano del farmaco. Un’operazione che, sempre secondo gli insistenti rumors, potrebbe determinare il futuro di Bertani e delle altre cantine controllate da Angelini. I nuovi partner non vedrebbero con favore il ramo vitivinicolo, suggerendo all’attuale proprietà di vendere per finalizzare l’accordo.
«La famiglia – fa sapere a Winemag il direttore generale di Angelini Wines & Estates, Alberto Lusini – ha approvato 8 milioni di investimenti in Hospitality e vigneti, nei prossimi tre anni. Nelle ultime settimane si è parlato anche di un possibile accordo con un altro gruppo farmaceutico. Sono rumors, ovviamente, trattandosi di trattative confidenziali e dall’esito non confermato». Bertani si è aggiunta nel 2011 alle realtà agricole e vitivinicole di Tenimenti Angelini, che già contavano le toscane Val di Suga, Tenuta Trerose, San Leonino, la friulana Cantina Puiatti.
L’ultimo investimento nel vino del noto gruppo farmaceutico è del 2015, con l’ingresso della marchigiana Fazi Battaglia, regina del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Molto più recente il passaggio da Bertani Domains ad Angelini Wines & Estates, che risale solo al 2022. «Un nuovo capitolo della storia – commentava il gruppo – nel segno del rinnovato impegno della famiglia, che prende forza grazie ai valori che ispirano da sempre Angelini Industries, legati al concetto di prendersi cura». In definitiva? Bertani in vendita in Valpolicella o nelle altre zone è solo un rumors della zona. https://www.angeliniwinesandestates.com/. Il territorio è un elemento fondamentale e distintivo per le tenute. I nostri vini sono l’espressione più autentica delle diverse aree produttive, coerenti sia per stile sia per vitigni coltivati alla personalità che il genius loci esprime.
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Operazione della Guardia di Finanza di Salerno nei giorni scorsi, contro la produzione clandestina di alcolici. Le Fiamme Gialle della Compagnia di Nocera Inferiore hanno sequestrato quasi 1.000 litri di prodotti alcolici tra liquori già confezionati e alcol puro non ancora utilizzato. L’intervento, volto a contrastare le frodi nel settore delle accise e delle imposte indirette sulla produzione e sui consumi, ha portato alla scoperta di un vero e proprio opificio illegale nel comune di Angri. Il deposito, situato in un box di circa 20 metri quadrati, era stato adibito alla fabbricazione abusiva di bevande alcoliche, in violazione delle normative igienico-sanitarie e senza le dovute autorizzazioni.
Durante l’ispezione sono stati rinvenuti 984 litri di prodotto complessivo. Si tratta di 300 litri di alcol puro di contrabbando, ancora conservato in una cisterna di plastica. La parte restante è di 684 litri di liquori già confezionati, tra cui grappa, limoncello, meloncello, fragolino, pistacchio, bananino e cioccolato, pronti per la vendita in taniche e bottiglie di varia capacità. Il responsabile, un cittadino italiano, è stato segnalato alla Procura della Repubblica e dovrà rispondere delle accuse di “Sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sull’alcole e sulle bevande alcoliche” e di “ricettazione”.
MAXI SEQUESTRO DI ALCOL E LIQUORI AD ANGRI (SALERNO)
Le frodi nel settore delle accise, categoria in cui si inserisce l’ultimo ingente sequestro di alcol e liquori clandestini avvenuto in provincia di Salerno, causano gravi danni alle entrate dello Stato e distorcono le regole della concorrenza, penalizzando le imprese che operano nella legalità. Questo genere di interventi non solo tutela la competitività del mercato, ma favorisce lo sviluppo imprenditoriale e garantisce un contesto economico più equo. Oltre al danno economico, c’è anche un serio rischio per la salute pubblica.
I liquori di contrabbando, infatti, sfuggono a qualsiasi controllo qualitativo e di sicurezza e potrebbero contenere impurità o sostanze contaminanti dannose per i consumatori. L’operazione della Guardia di Finanza rappresenta un ulteriore passo nella lotta alla produzione e commercializzazione illegale di bevande alcoliche, a tutela sia dell’economia nazionale che della salute dei cittadini.
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Cantina Bolzano(Kellerei Bozen) ha presentato a Milano la seconda annata di Tal 1930 e Tal 1908. Vini che – per prezzo, ma ancor più per qualità – si posizionano all’apice della gamma della cooperativa dell’Alto Adige, accanto a un’icona come il Lagrein Riserva “Taber”. Due “Cuvée Superior”, Südtirol-Alto Adige Doc, vendemmia 2021, che restituiscono al calice la fotografia dei vigneti da cui provengono le uve. Chardonnay (80%), Sauvignon (10%) e Pinot Grigio (10%) per il bianco Tal 1930, da piante di età media superiore ai 30 anni allevate tra i 400 e i 700 metri d’altezza, in località Leitach e Renon. Lagrein (83%), Cabernet sauvignon (12%) e Merlot (5%) per Tal 1908, da viti fino a 50 anni di età selezionate nei “cru” di Gries e San Maurizio. Dopo l’ottimo esordio dei due vini nel novembre 2023, l’enologo di Cantina Bolzano, Stephan Filippi, è riuscito a superarsi, ricorrendo a una modifica delle percentuali delle due cuvée.
«Tutto dipende dalla qualità dell’annata – ha spiegato il winemaker di Kellerei Bozen, ormai un veterano della cooperativa altoatesina – ma anche dalla qualità espressa dalle singole uve che andranno a comporre il puzzle finale». Rispetto alla 2020, le condizioni della vendemmia 2021 hanno consentito a Filippi di incrementare dell’11% la percentuale di Chardonnay nella cuvée Tal 1930 (dal 69% all’80%), a discapito del Sauvignon (passato dal 21% al 10%), lasciando invariata la quota del Pinot Grigio (10% in entrambe le annate). Stesso copione per la cuvée rossa Tal 1908, resa ancora più “territoriale” con un 3% in più di Lagrein (83%; era all’80% nel 2020) e un 2% in più di Merlot (passato dal 3 al 5%), a discapito del Cabernet Sauvignon (sceso dal 17% della 2020 al 12% del 2021).
TAL 1930 (95/100 WINEMAG) E LA SCELTA (AZZECCATA) DI UN GRANDE PINOT GRIGIO
Salta all’occhio – sarebbe meglio dire “al palato” – il carattere tipicamente altoatesino della quota di Pinot Grigio presente in Tal 1930. Non sorprende, dunque, che l’unica percentuale a non variare nell’arco delle due vendemmie dei “Tal” sia proprio la sua. «Per i limiti comunicativi di questa varietà – afferma Stephan Filippi – in Alto Adige si preferisce spesso puntare sul Pinot Bianco. Ma a Cantina Bolzano abbiamo tutto Pinot Grigio di collina, tra i 650 e i 700 metri di altitudine. Dunque abbiamo basse rese. E zone selezionate, dove non dobbiamo neppure intervenire per diradamenti».
«Anzi – continua – abbiamo il problema inverso, ovvero che il Pinot Grigio produce troppo poco. Si tratta della selezione effettuata da un vivaista della zona, che è riuscito a fare un lavoro straordinario sul vitigno. L’uva per Tal 1930 arriva in cantina in cassette. Da lontano, gli acini sono di un ramato tanto intenso da poter essere scambiati per Pinot Nero. Per non parlare della gran bella acidità di queste uve. Un altro motivo che mi convince a ricorrere al Pinot Grigio, in una cuvée che deve essere il nostro optimum». Altrettanto efficace lo switch deciso da Filippi dal Sauvignon allo Chardonnay, a cavallo delle due annate. Oggi, Tal 1930 Cuvée 2020 risulta infatti molto condizionato dal primo vitigno. Mentre in Tal 1930 Cuvée 2021, l’equilibrio tra le varietà è già perfetto.
TAL 1908 (94/100 WINEMAG): PIÙ LAGREIN E MERLOT, MENO CABERNET
Ancora più pratica – nonché altrettanto azzeccata – risulta la scelta di ridurre la quantità del Cabernet Sauvignon in Tal 1908, vendemmia 2021. Il 5% complessivo in più tra Lagrein e Merlot, in un’annata (genericamente) dalle acidità più spiccate e dalle alcolicità più moderate rispetto alla 2020, regala un sorso subito più rotondo e goloso rispetto a quello della cuvée rossa d’esordio, dal tannino tuttora “caberneggiante” e giovanile. Il tenore alcolico delle due annate della cuvée rossa di Cantina Bolzano è il medesimo (14%). Ma il salto di qualità in termini di prontezza di beva è netto con l’annata 2021, garantendo al contempo una buona prospettiva di affinamento.
E le vendite? «Produciamo per l’esattezza 1.897 bottiglie di Tal 1930 e 2.989 di Tal 1908 – spiega a Winemag il responsabile vendite Horeca Italia di Kellerei Bozen, Daniele Galler -. A quest cifra vanno aggiunti, rispettivamente, 59 e 99 magnum. I numeri della vendemmia 2021 non si discostano di molto da quelli della 2020, che è stata distribuita solo nell’alta ristorazione e nelle enoteche. È durata sul mercato un paio di mesi». Un successo immediato, dettato anche dalla strategia commerciale della cooperativa altoatesina. «Non abbiamo scelto di procedere con una vera e propria assegnazione – precisa Galler – bensì cerchiamo di distribuire le Cuvée Tal 1930 e Tal 1908 tra i nostri clienti top, in Italia e all’estero, proporzionalmente alle quantità sviluppate anche sulle altre referenze». Selezione, insomma. Dal vigneto alla rete vendita, prescelta per due vini degni dell’Olimpo dei cosiddetti “Super Alto Adige”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il bilancio 2023-2024 di Cantine di Verona si chiude con un fatturato di 62.581.306 milioni di euro, in leggero calo rispetto all’anno precedente. Il gruppo cooperativo che riunisce Cantina Valpantena, Cantina di Custoza e Cantina Colli Morenici, ha comunque garantito agli oltre 500 soci «un prezzo medio per quintale superiore a quello del 2022-2023». Compensando così, in parte, i minori conferimenti dovuti alle avversità atmosferiche dell’annata agraria.
CANTINE DI VERONA, FATTURATO 2024 IN CALO MA CRESCE IL WINE SHOP
Nonostante il calo generale dei consumi nel mercato del vino, il gruppo è riuscito a mantenere stabili i propri livelli di vendita. In particolare, i 10 wine shop di Cantine di Verona hanno registrato un aumento dei volumi rispetto all’anno precedente. Questo conferma una tendenza sempre più diffusa: i consumatori preferiscono acquistare direttamente dai produttori, riconoscendo la qualità e l’affidabilità del prodotto.
IL PRESIDENTE LUIGI TURCO: «INNOVAZIONE, QUALITÀ, RESPONSABILITÀ»
Durante l’assemblea dei soci del 14 dicembre, il presidente Luigi Turco (nella foto) ha sottolineato la volontà di affrontare con fiducia le sfide future: «Quelli che ci attendono non saranno tempi facili. Il mondo del vino sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti. Ma noi continuiamo a impegnarci per migliorare le nostre buone pratiche aziendali, puntando su innovazione, qualità e responsabilità».
Cantine di Verona ha inoltre ribadito il suo impegno per la sostenibilità, consolidato attraverso le certificazioni Equalitas, SQNPI e biologica. A conferma di questo percorso, all’inizio del 2025 sarà pubblicato il primo bilancio di sostenibilità, che documenterà le azioni intraprese per tutelare l’ambiente e valorizzare le persone. Questo strumento rappresenterà un passo cruciale per fissare obiettivi futuri e comunicare i risultati raggiunti.
IMPIANTO FOTOVOLTAICO A CANTINA DI CUSTOZA
Cantine di Verona, completerà anche l’installazione di un nuovo impianto fotovoltaico a Cantina di Custoza, che si aggiungerà a quelli già attivi nelle altre sedi del gruppo. Questa scelta rientra nell’ottica di contenere ulteriormente i costi energetici e ridurre l’impatto ambientale. Il gruppo controlla un totale di 1.800 ettari vitati in denominazioni chiave del Veneto (Amarone, Valpolicella, Custoza, Soave, Bardolino, Lugana e Garda), con un giro d’affari sul fronte dell’export di circa 32 milioni di euro.://cantinediverona.it/it
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Nominati i nuovi componenti del Comitato Nazionale Vini Dop e Igp per il prossimo triennio (2025-2027). Il nuovo presidente è Michele Zanardo, già enologo di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò pavese guidata da Michela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. Con lui Pietro Gasparri, Andrea Rossi, Piero Amorese, Sergio Marchi, Luigi Bavaresco, Vittorio Portinari, Rosanna Zari, Giancarlo Vettorello, Paolo Brogioni. E ancora: Alberto Mazzoni, Francesco Ferreri, Palma Esposito, Domenico Mastrogiovanni, Valentina Sourin, Antonello Ciambriello, Gabriele Castelli e Paolo Castelletti.
«Un onore per me ricoprire la carica di presidente del Comitato Nazionale Vini Dop e Igp – sono le prime parole del nuovo presidente Michele Zanardo – per la quale mi impegnerò al massimo nell’interesse del settore. Ringrazio il signor Ministro per la fiducia che ha voluto accordarmi». «A tutti i neoeletti e, in particolare, agli enologi e soci di Assoenologi, ovvero il presidente Michele Zanardo, il direttore Paolo Brogioni, Alberto Mazzoni, Vittorio Portinari e Giancarlo Vettorello, le congratulazioni del presidente Riccardo Cotarella e i migliori auguri di buon lavoro», commenta invece Assoenologi.
COS’È IL COMITATO NAZIONALE VINI DOP E IGP?
Il Comitato Nazionale Vini Dop e Igp è un organo consultivo del Masaf che ha il compito di tutelare e promuovere i vini a Denominazione di Origine Protetta (Dop) e a Indicazione Geografica Protetta (Igp), oltre a valutare le richieste di protezione e le modifiche ai disciplinari di produzione. A firmare il decreto con le nomine dei nuovi componenti è stato il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
«Desidero congratularmi con i nuovi componenti del Comitato e con il professor Michele Zanardo – ha dichiarato il Ministro Lollobrigida -. Rafforziamo ulteriormente il settore vitivinicolo, lavorando sui disciplinari di produzione, essenziali per garantire qualità ed eccellenza sui mercati internazionali. Continuiamo a investire sulle straordinarie potenzialità dei nostri vini, ambasciatori del patrimonio agroalimentare italiano, che si distinguono per innovazione e identità, riconosciute e apprezzate in Europa e nel mondo».
RUOLO CHIAVE PER IL FUTURO DEL VINO ITALIANO
Il Comitato Nazionale Vini Dop e Igp svolge un ruolo cruciale nel sistema di certificazione e promozione delle denominazioni italiane. L’esame delle richieste di modifica dei disciplinari di produzione permette di mantenere aggiornate e competitive le norme che regolano il settore, assicurando ai produttori italiani la possibilità di valorizzare al massimo le proprie eccellenze. Con queste nomine, il Masaf punta a rafforzare la sinergia tra istituzioni e produttori, favorendo una crescita sostenibile e duratura del comparto vitivinicolo.
Come ha spesso sottolineato il ministro Lollobrigida, i vini italiani continuano a rappresentare uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, con una reputazione che cresce anno dopo anno nei principali mercati internazionali. L’attenzione del nuovo Comitato verso l’innovazione e l’identità territoriale sarà fondamentale per sostenere la competitività del vino italiano, senza perdere di vista il legame con le tradizioni e la cultura che rendono unico il patrimonio vitivinicolo.
I COMPITI DEL COMITATO NAZIONALE VINI DOP E IGP
Il Comitato Nazionale Vini Dop e Igp svolge funzioni fondamentali per la tutela e la valorizzazione del settore vitivinicolo italiano. Tra i suoi compiti principali: la valutazione delle richieste di riconoscimento delle Dop e Igp: il Comitato esamina e approva le istanze per l’ottenimento della Denominazione di Origine Protetta (Dop) o dell’Indicazione Geografica Protetta (Igp) per i vini, prima della trasmissione alla Commissione Europea. Il Comitato procede inoltre all’analisi e alla modifica dei disciplinari di produzione, regolamenti dettagliati che definiscono le caratteristiche, i metodi di produzione e le zone di origine dei vini Dop e Igp.
Importante anche la tutela delle denominazioni, in stretta collaborazione con il Masaf e con gli altri enti, per garantire che i vini Dop e Igp siano adeguatamente protetti da contraffazioni, usurpazioni o utilizzi impropri delle denominazioni. Promozione della qualità e dell’identità territoriale sono altri compiti del Comitato Nazionale Vini Dop e Igp, che si impegna a rafforzare il valore delle denominazioni italiane, assicurandosi che rappresentino un’espressione autentica e certificata del territorio di origine. L’organismo supporta inoltre le politiche di settore, fornendo indicazioni e pareri al Ministero su questioni legate alla vitivinicoltura, come strategie di promozione, sviluppo del settore e rapporti con le normative europee e internazionali.
Non ultimo, svolge il monitoraggio del settore Dop e Igp, raccogliendo dati e informazioni sulle denominazioni esistenti, analizzando il loro impatto economico e la loro evoluzione sui mercati nazionali e internazionali. Il lavoro del Comitato è essenziale per mantenere alto il livello di qualità dei vini italiani, garantendo la coerenza con i disciplinari e la capacità di innovare. In un contesto di crescente competizione internazionale, l’attività di questo organo è fondamentale per preservare il patrimonio vitivinicolo italiano e consolidare la reputazione dei vini Dop e Igp nel mondo.
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Luca Raccaro, classe 1988, è il vicepresidente in carica del Consorzio Collio nonché titolare, assieme al fratello Paolo e al padre Dario, della cantina Raccaro società agricola di Cormons. Uno dei volti giovani del mondo dei Consorzi del vino italiano, che sta affrontando una parte finale dell’anno, nonché del mandato, a dir poco “calda”. La vicenda legata al Collio Bianco da uve autoctone è stata presa di petto dal Cda guidato dal presidente David Buzzinelli. L’assemblea dei produttori ha dato così il via libera a un tavolo tecnico utile a dare un’identità ben definita alla tipologia, al di là delle pressioni e dagli interessi individuali di alcune aziende del territorio. Non solo. Il Collio si candida ad essere tra le poche regioni vinicole al mondo a normare nel dettaglio, sin dall’etichetta, un proprio vino ottenuto con macerazione delle uve (i tanto decantati “Orange Wine”). Luca Raccaro, grande appassionato di musica lirica, affronta nell’intervista esclusiva rilasciata a Winemag le due importanti novità del Collio di fine 2024, al pari del futuro del Consorzio.
Luca Raccaro, da vicepresidente del Consorzio Collio si aspettava un finale di mandato, in scadenza a marzo 2025, così “acceso”?
Alla luce delle tematiche che abbiamo affrontato, direi proprio di sì. Essere riusciti a portare in assemblea un’istanza come l’inclusione dei vini macerati è stata una bella sfida, perché nonostante i tavoli tecnici non avevamo la piena certezza che il territorio fosse favorevole. La mia felicità a tal proposito è stata enorme perché ho lavorato e creduto molto in questa proposta. Credo fermamente che la nostra forza nasca dalle differenze. Questa è sempre stata una terra di confine e le diversità, nel corso del tempo, hanno sempre arricchito il territorio. Perciò credo che, soprattutto in un mondo che ha fatto dell’omologazione il suo modello, ogni differenza sia una ricchezza che rende unica la nostra realtà. Va da sé che é difficile mettere d’accordo tante teste, ma la cosa fondamentale è riuscire a portare sotto la protezione del consorzio il maggior numero di aziende. Solo così potremo sfruttare appieno le nostre potenzialità.
Il Consorzio ha dato il via libera al tavolo tecnico su un Collio bianco da sole uve autoctone: qual è la sua opinione su questa tipologia?
Penso sia una grande possibilità. Da tanti anni si parla di un vino che possa fare da portavoce del territorio, ma per molto tempo abbiamo temporeggiato. Adesso siamo pronti e credo che questa occasione sia da sfruttare al 100%, per presentarci uniti ad un mercato sempre più esigente. Avere un vino composto dalle varietà tradizionali arricchirà il territorio.
L’apertura del tavolo tecnico nel contesto attuale è una vittoria o un segno di debolezza del Cda del Consorzio?
Credo sia la vittoria di tutto il territorio e non solo del nostro Cda. Un Consorzio che in un’unica assemblea vota a favore dei vini macerati e di un tavolo tecnico per lo sviluppo di un vino territoriale dimostra forza, unione, maturità. E la volontà dei vignaioli di lavorare per la crescita del Collio.
Da qualche anno, un gruppo di cantine della zona ha incentrato il proprio marketing aziendale su una tipologia, quella del “Collio da uve autoctone”, attribuendole se non altro una certa “supremazia storica” sul Collio Bianco prodotto anche con i vitigni internazionali. Oggi, lo stesso gruppo, che non ha mai formalmente presentato alcuna richiesta al Consorzio per un migliore riconoscimento della tipologia, peraltro già prevista dal disciplinare del Collio Doc, si sta attribuendo tutti i meriti dell’apertura del tavolo tecnico. Cosa ne pensa?
A mio parere il Consorzio Collio è il simbolo del territorio e tutela tutti i vignaioli. Meriti o demeriti non sono la chiave di lettura. L’unica cosa che conta è il risultato. In questi giorni si è parlato molto di protagonismi, ma l’unico vero protagonista è, e deve essere, il vino. Questo tavolo tecnico consentirà a tutti i produttori di creare un disciplinare conforme e condiviso in maniera democratica. Tutto il resto è acqua.
Il Consorzio Vini Collio compie 60 anni nel 2024 e dimostra di essere al passo coi tempi nell’ascoltare tutte le voci e le richieste che arrivano dalla “base”. La specifica “Vino da Uve macerate” va in questa direzione. Quali benefici potrà portare al territorio questa novità e come si esplicherà, ufficialmente, in etichetta?
Il Collio è il primo territorio a riconoscere e formalmente normare questa tipologia di vini e di questo sono estremamente orgoglioso. Storicamente, i vini macerati sono presenti da più di 30 anni perciò riunirli sotto il cappello del Consorzio era essenziale. Dare un disciplinare anche a questa tipologia non farà altro che confermarne la qualità. È assodato che questi vini abbiano trovato ben stare in Collio. Perciò, dare la possibilità al consumatore di capire dall’etichetta cosa c’è all’interno della bottiglia che si accinge ad acquistare o, meglio, a stappare, è fondamentale. Per quanto riguarda le modalità di scrittura in etichetta, siamo già in contatto con gli organi predisposti al controllo per definire ogni elemento.
Qual è la percentuale di “vini macerati” sul totale della produzione del Collio? Crede che la novità possa incrementare la produzione della tipologia e contribuire a far riconoscere ancor più il Collio come il territorio d’elezione degli “orange wine italiani”?
Non essendo stata una tipologia ancora riconosciuta, non abbiamo percentuali certe anche se a grandi linee possiamo dire che si aggira tra il 6 e l’8 % della produzione totale. Il nostro obbiettivo è dare un regolamento condiviso ai produttori. Se la tipologia crescerà, saremo orgogliosi e certamente questi vini contribuiranno con tutti gli altri all’identità del Collio.
Da quale porzione della base del Consorzio è arrivata la richiesta di una migliore identificazione della tipologia, che alla fine sembra mettere tutti d’accordo?
Tutte le nostre scelte sono frutto di un ragionamento condiviso dall’assemblea. La proposta è arrivata direttamente da chi questa tipologia di vini la produce e vende. Ma è la collaborazione tra i diversi produttori, maceratori e non, la vera forza del progetto.
Con il mandato triennale del Consorzio in scadenza, sarà certamente il prossimo Cda a dover “governare” i tavoli tecnici. Pensa che il consiglio di amministrazione, anche grazie alla totale apertura dimostrata nei confronti della base produttiva, possa essere riconfermato in blocco e proseguire sulla strada tracciata dal precedente mandato?
Personalmente, sono sicuro che anche il prossimo Cda, indipendentemente da chi ne farà parte, lavorerà in tal senso. In questo mandato c’è stata una grande collaborazione e sarebbe un vero piacere poter proseguire assieme anche per il prossimo mandato. Ma dipenderà dalle scelte di ognuno.
È possibile ipotizzare una sua candidatura alla presidenza, nel ruolo oggi occupato da David Buzzinelli?
Il futuro ovviamente non è certo e, in questo momento, non ci ho ancora pensato. Ma per il territorio ci sono e se avrà bisogno ci sarò.
Dov’è il Collio oggi e dove andrà – o dovrebbe andare, a suo avviso – nel prossimo triennio, in termini di mercati, obiettivi e prospettive?
Oggi siamo presenti su tutti i mercati più importanti. Nel prossimo triennio mi piacerebbe poter confermare e incrementare il sodalizio con gli Stati Uniti, che rimangono il nostro mercato extraeuropeo principale. Tuttavia, non possiamo non guardare verso est ed in particolare a Giappone e Cina. Mercati in fortissima crescita, sui quali è e sarà necessario puntare, per avere una diversificazione e soprattutto nuovi sbocchi economici.
Non crede che in Friuli Venezia Giulia ci siano troppi Consorzi del vino e che questa abbondanza, al posto di palesare evidenti diversità, limiti risorse altrimenti aggregabili, da investire per una migliore comunicazione delle eccellenze regionali?
Nonostante il Collio sia molto piccolo, esistono differenze microclimatiche tra una zona e l’altra che marcano in maniera evidente i vini. Figuriamoci se dovessimo prendere in considerazione l’intero territorio regionale. È vero che non abbiamo grandi numeri, ma la qualità non va mai di pari passo con la produzione. Anzi, di solito minore è la resa migliore è la qualità. Ed è questa caratteristica che noi abbiamo l’obbligo di preservare.
A livello regionale è un tema sempre caldo quello del Prosecco, con le recriminazioni del Carso nei confronti (soprattutto) della Doc veneta. Se avesse voce in capitolo, come gestirebbe la questione?
La mia scelta produttiva è diversa da quella del Prosecco, perciò non sono in grado di rispondere e lascio la parola a chi di questo si occupa.
Intanto, il Collio ha annunciato che il 2025 sarà l’anno del Friulano. Fino ad oggi, scusi la franchezza, si è fatto davvero pochissimo per promuovere questa varietà. È possibile aspettarsi, finalmente, una comunicazione adeguata, che metta una volta per tutte alle spalle la “questione ungherese” che si è trascinata dal 1993 al 2007?
Chi mi conosce sa che la mia azienda ha fatto del Friulano il suo cavallo di battaglia. È una grandissima varietà con delle enormi potenzialità. Per questo l’abbiamo scelto come rappresentante del territorio per il 2025, con un grande evento che lo vedrà protagonista. I discorsi sulla questione ungherese sono storia vecchia. Nonostante le prime difficoltà, credo che orami abbiamo dimostrato senza ombra di dubbio quale sia l’anima del Friulano: un grande vino costellato ogni anno da moltissimi premi a livello nazionale ed internazionale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’integrazione completa di Romania e Bulgaria nell’area Schengen, prevista a partire dal 1° gennaio 2025, avrà un impatto significativo sul settore vinicolo dei due Paesi dell’Est Europa. L’eliminazione dei controlli alle frontiere terrestri con gli altri Stati membri dell’Unione europea – che si affiancherà a quella già in vigore negli aeroporti – faciliterà il commercio dei vini romeni e bulgari. I benefici vanno dalla riduzione dei tempi di trasporto e dei costi logistici a un maggiore e più agevole accesso ai mercati europei. Indubbio l’aumento dell’attrattività per gli investimenti esteri, così come la spinta nella promozione dell’enoturismo in Romania e Bulgaria. Paesi tutt’altro che da sottovalutare, come dimostra la presenza di diversi italiani che li hanno scelti – ormai da diversi anni – per realizzare cantine di successo.
È il caso di Roberto Di Filippo – che in Umbria produce Sagrantino di Montefalco – e della sua Crama Delta Dunarii “La Sapata”, 23 ettari a Somova, sul Delta del Danubio – a pochi chilometri dalla Moldavia e dall’Ucraina – coltivati secondo i dettami della biodinamica. Sempre in Romania, ma in Transilvania, ai piedi dei Carpazi, ecco i 75 ettari di Lechburg, dei fratelli Ettore e Cristiano Guarato. In Bulgaria, per l’esattezza ad Elenovo, a circa 15 chilometri da Nova Zagora, in Tracia, c’è invece la cantina Edoardo Miroglio Winery, dell’omonima famiglia piemontese proprietaria di Tenuta Carretta a Piobesi d’Alba (Cuneo). Investimento importantissimo quello in terra bulgara: 1.500 ettari, di cui 400 ettari vitati.
ROMANIA E BULGARIA NELL’AREA SCHENGEN
Con la rimozione dei controlli alle frontiere interne, i vini romeni e bulgari potranno essere trasportati più rapidamente verso i mercati europei, riducendo i tempi di consegna e i costi associati alle procedure doganali. L’aumento dell’efficienza logistica renderà i vini della Romania e della Bulgaria più competitivi sul mercato internazionale. La semplificazione del transito attraverso le frontiere permetterà inoltre ai produttori di vino di accedere più facilmente a nuovi mercati all’interno dell’Europa, ampliando le opportunità di esportazione e la presenza dei prodotti sugli scaffali europei.
Con l’ingresso nell’area Schengen migliorerà l’immagine di Romania e Bulgaria come partner commerciali affidabili, attirando potenziali (nuovi) investitori interessati a sviluppare attività nel settore vinicolo, sia nella produzione che nella distribuzione. Ma, forse, il vero “plus” dell’ingresso dei due Paesi nell’area Schengen sarà il balzo in avanti dell’enoturismo. La libera circolazione delle persone, senza controlli alle frontiere terrestri, favorirà l’incremento del turismo enogastronomico, in aree di grande tradizione vitivinicola e dall’incredibile dinamismo. Gli appassionati di vino potranno visitare con maggiore facilità le regioni vinicole di Romania e Bulgaria, contribuendo allo sviluppo economico locale.
LE REGIONI VINICOLE DI ROMANIA E BULGARIA
Regioni vinicole della Romania come Dealu Mare, Cotnari e Târnave (quest’ultima include la nota Transilvania), sono caratterizzate da un mix di vitigni autoctoni, come Fetească Neagră e Fetească Albă, e internazionali (grandi, tra le altre, le potenzialità del Pinot Nero rumeno). Il clima continentale, con influssi dal Mar Nero, favorisce la produzione di vini di ottima aromaticità, sia bianchi che rossi. L’enoturismo qui è un concerto di tradizioni millenarie, paesaggi pittoreschi e castelli (non ultimo quello di Dracula).
In Bulgaria, regioni come la Valle della Tracia (Thracian Valley) e la Pianura del Danubio (Danubian Plain) si distinguono per la qualità dei rossi da varietà come il Mavrud, oltre ad eccellenti vini rossi e bianchi da varietà internazionali. Il clima variegato, influenzato da montagne e Mar Nero, garantisce di fatto una grande una diversità. Sempre più nuove cantine offrono esperienze immersive per esperti del settore ed enoturisti, ancora una volta nel mix tra attrazioni culturali, archeologiche, naturalistiche e i vini locali. Non ultimo, tra Romania e Bulgaria si sono tenute le recenti edizioni de The Balkan International Wine Competition and Festival (BIWC), evento itinerante di crescente importanza tra i concorsi enologici che premiano le eccellenze dei Balcani.
LA VOCE DEGLI ITALIANI CHE PRODUCONO VINO IN ROMANIA E BULGARIA
Roberto Di Filippo di Crama Delta Dunarii “La Sapata”, in Romania
L’entrata della Romania nello spazio Schengen, secondo i fratelli Ettore e Cristiano Guarato della cantina romena Lechburg di Lechința, è «soprattutto un’opportunità». «Ma non da valutare per le singole aziende – precisano – quanto per l’intero comparto vinicolo. I mercati oggi si concentrano, i consumatori sono decisamente più curiosi e pronti ad arricchire la loro esperienza gustativa ma per le singole aziende diventa difficile se non quasi impossibile trovare canali di distribuzione validi. Sarà fondamentale creare nuove associazioni di promozione – continuano i titolari di Lechburg – partecipare alle fiere, sviluppare un brand solido per il vino rumeno, associato in primis alla qualità dei vini e soprattutto alla diversità. Ci vuole tempo e tanto lavoro, lavoro di squadra per mettere a terra questi nuovi concetti e tanto dipenderà dalla capacità di fare gruppo. Altrimenti – concludono Ettore e Cristiano Guarato – cambierà ben poco, perché comunque sia i costi di esposizione verso nuovi mercati sono in grande crescita e la concorrenza di certo non manca».
«L’ingresso definitivo della Romania nell’area Schengen? Un passo assolutamente gradito, che ci avvicina ulteriormente ai vicini, facendo loro percepire che siano ancora più graditi in Romania. Oltre che via aerea, ora anche via terra». Così a Winemag Roberto Di Filippo, uno dei “produttori italiani all’estero” che ha scelto il Paese dei Balcani come seconda casa (e come seconda cantina). Di Filippo, titolare dell’omonima azienda agricola che produce tutti i vini tipici dell’area di Montefalco a Cannara (Perugia), ha deciso di riprodurre il modello umbro in Romania, già dal 2010. «Quelli di Crama Delta Dunarii “La Sapata” – spiega il vignaiolo-imprenditore – sono vini a basso intervento enologico, con lieviti indigeni e pochi solfiti, prodotti con varietà locali come Fetească Neagră, Fetească Regală e Băbească neagră (nota anche come Rară Neagră, ndr)». Ventitré gli ettari della cantina La Sapata, per un totale di 80 mila bottiglie.
Numeri ben più rilevanti quelli della Edoardo Miroglio, in Bulgaria. La cantina, oggi guidata da Franco Miroglio, produce circa 300 mila bottiglie da 0,75 e altre 700 mila (equivalenti) in Bag-in-Box, segmento che ha un peso rilevante nelle vendite complessive locali. I piemontesi Miroglio, già titolari di Tenuta Carretta nel cuneese, sono arrivati a Elenovo (Еленово), in Tracia – non lontano dal confine con Grecia e Turchia – già nel lontano 1998. «Sin da subito abbiamo investito nel Pinot Nero – spiega Franco Miroglio – sia in rosso che spumante, creando un certo movimento nella zona, con altre cantine che hanno seguito il nostro esempio. Poi abbiamo iniziato a credere sempre più nel Mavrud, varietà che per il suo potenziale enologico e, non ultimo, per la sua resistenza, ci sta dando grandi soddisfazioni. Non dimentichiamoci che in quest’area si produce di vino da almeno 5 mila anni».
MIROGLIO: «BENE SCHENGEN PER BULGARIA E ROMANIA. ORA MIGLIORARE LE AUTOSTRADE»
Franco Miroglio della cantina Edoardo Miroglio Winery, in Bulgaria
Motivo in più per esultare per l’ormai prossimo ingresso della Bulgaria nell’Area Schengen, dal 1° gennaio 2025. «Un passo da accogliere con grandissimo entusiasmo – commenta il produttore – i cui effetti benefici, per l’industria vinicola bulgara, saranno ancora più visibili al cambio della valuta, dal lev bulgaro all’euro (di recente slittato dal 2025 al 2026, ndr). Già da quest’anno sono state semplificate le procedure per chi entrasse nel Paese con l’aereo. L’allargamento all’area Schengen amplia il raggio, via terra. Il che significa meno burocrazia doganale e maggiore facilità di movimentazione delle merci.
«Il settore, però, in Bulgaria – avverte Franco Miroglio – soffre ancora di alcune limitazioni dovute alla carenza di infrastrutture stradali est-ovest, oltre che nord-sud, che obbligano movimentazioni ben più lunghe del normale, passando per la Grecia o per la Serbia. Lo sviluppo della rete autostradale da parte della Romania aiuterà certamente a semplificare le cose, consentendoci di raggiungere definitivamente meglio mercati di lingua tedesca, come Germania e Austria, centrali per l’export dei vini bulgari. Passi avanti, così, sono definitivamente prevedibili anche sul fronte dell’enoturismo in Bulgaria».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Inserimento di un “Vino da Uve Macerate” Doc Collio e creazione di una nuova categoria di vino bianco da uve autoctone, sempre Doc Collio. Sono i due importanti temi discussi ieri, 10 dicembre 2024, dall’assemblea ordinaria del Consorzio Collio, che ha visto la partecipazione di 44 soci, rappresentanti il 63% dei voti totali dell’assemblea. Favorevoli al nuovo vino macerato (tipologia nota a livello internazionale come “orange” o “orange wine”) 2.966 voti, contrari 733 voti, astenuti 413 voti. La mozione è stata quindi approvata con il 72% dei voti favorevoli. L’assemblea si è poi espressa sul nuovo vino bianco da vitigni autoctoni del Collio: favorevoli 3974 voti, astenuti 138 voti e nessuno contrario. La mozione è stata approvata con il 97% dei voti favorevoli.
VINO DA UVE MACERATE DOC COLLIO
Il comitato tecnico del Consiglio di Amministrazione, alla luce di quanto emerso dal lavoro del tavolo tecnico a cui hanno potuto partecipare tutti i produttori della denominazione, ha proposto l’introduzione della specificazione “Vino da Uve Macerate” per identificare i vini Doc Collio ottenuti attraverso tecnica di macerazione fermentativa di almeno 7 giorni. «Questa categoria – spiega il Consorzio presieduto da David Buzzinelli – accompagnata da criteri come la classificazione cromatica tramite scala Pantone e un profilo di acidità volatile adeguato, mira a ridurre l’ambiguità nelle valutazioni e garantire una standardizzazione tra le commissioni, oltre a consentire maggior chiarezza e trasparenza nei confronti del consumatore finale».
NUOVO COLLIO DOC BIANCO DA UVE AUTOCTONE
Il Cda del Consorzio Collio, viste le recenti polemiche attorno al gruppo di produttori che promuove il proprio Collio Bianco da uve autoctone, ha proposto di istituire un tavolo tecnico per sviluppare «una nuova categoria di vino bianco da inserire a disciplinare, ottenuto esclusivamente dalle varietà Tocai Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia Istriana». Il tavolo lavorerà per definire le caratteristiche, le percentuali di assemblaggio e il nome di questa nuova espressione del territorio. «I risultati delle votazioni riflettono il nostro impegno comune per una crescita che unisca tradizione e innovazione. La collaborazione tra i soci è la chiave per affrontare le sfide future e valorizzare al meglio la denominazione Collio», ha dichiarato il presidente David Buzzinelli.
COLLIO: 2025 ANNO DEL FRIULANO
Un momento di particolare rilievo, sempre durante la riunione di ieri, è stata la proposta di organizzare il primo evento istituzionale dedicato al Collio. Si terrà il fine settimana del 25 e 26 ottobre 2025. L’iniziativa, fortemente voluta dai soci e attesa dagli operatori del settore, celebrerà ogni anno una varietà rappresentativa. Il 2025 sarà quindi l’anno del Friulano. L’evento offrirà una panoramica delle sue potenzialità con degustazioni che includeranno annate passate, vini attuali e campioni in affinamento. «Questo evento – ha dichiarato la direttrice Lavinia Zamaro – è una grande opportunità per consolidare il prestigio del Collio, creando un appuntamento annuale che valorizzi il nostro territorio e le sue varietà simbolo». L’assemblea si è conclusa con l’impegno condiviso di lavorare per una crescita sostenibile e innovativa della denominazione, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente il Collio come sinonimo di eccellenza enologica.
QUESTIONE QUOTE
L’incontro di fine anno è stato un momento cruciale per discutere i risultati dell’anno trascorso, le attività svolte e le prospettive future, con particolare attenzione ad eventuali modifiche del Disciplinare e alla valorizzazione della Denominazione. L’assemblea ha infine deliberato all’unanimità lo sconto dell’8% sulle quote per le categorie imbottigliatori ed imbottigliatori promozione, possibile grazie al riconoscimento di alcuni contributi ed all’accurata gestione economica del Consorzio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sarà forse un’impressione solo mia. Ma ho la netta sensazione che, in Italia, si stia osservando sradicar vigneti in Francia non col dovuto spirito critico, interrogativo, introspettivo. Bensì col fare sornione dell’era mentalmente destabilizzante dei social, che porta chiunque a filmare in diretta una scena del crimine, con lo smartphone d’ultima generazione, al posto di darsi da fare per chiamare, in tempo, la Polizia. Evitando che qualcuno finisca morto ammazzato, oltre che immortalato.
Leggo a destra e a manca un sacco di titoloni e commenti contradditori. Come se la Francia fosse un mondo lontano rispetto al nostro. Un Paese di un’altra galassia. Magari così fosse. Invece no. La Francia, ancora una volta, dimostra d’essere una nazione che non nasconde sotto al tappeto i problemi (cosa che a noi riesce benissimo). Anzi, li affronta di petto. Anche in maniera (apparentemente) impopolare. Dalle nostre parti, molti sembrano godersi lo spettacolo. Senza accorgersi d’avere i piedi nel fango.
Niente e nessuno sembra voler fare davvero qualcosa per salvare un settore che bada sempre più al trucco impeccabile, al sorriso da imporre alle labbra, alla messa in piega perfetta. Alla copertina. E sempre meno alla sostenibilità delle proprie scelte, mirate esclusivamente all’effetto wow d’una storia su Instagram. Che dura 24 ore e poi finisce in archivio. Tra i più, in questo settore, non vedo visione. Ma quel che è peggio è che non vedo reazione.
Non sento nell’aria di questo Paese e di questo settore la voglia e la determinazione di svoltare. Di cambiare il corso delle cose. Di fare innamorare i giovani della semplicità del vino, persi come sono nell’immediatezza di un Gin Tonic o della ricetta di una birra artigianale. Non vedo gli effetti di quel «cambio generazionale» di cui, appunto, blaterano solo quelli coi capelli bianchi, dai loro posti di comando mai abbandonati, saldamente sotto al culo.
LA FRANCIA ESTIRPA VIGNETI E NOI NELSON
Non vedo nessuno, tra i produttori, abbandonare in maniera decisa quell’amore malato per chi è solo capace di compiacerli, contribuendo con lusinghe d’autore a riempiere d’aria stagna una stanza in cui manca da un pezzo un filo d’ossigeno nuovo, fresco. Un barlume di luce, una speranza. Non vedo nessuno, tra i produttori, lasciare al proprio destino quei magazine stampati che non legge più nessuno, buoni solo a mandare alle Maldive gli editori e le loro allegre famigliole da Mulino Bianco.
Quanto alla stampa, più nello specifico, sembra vincere solo chi lascia (del tutto). O chi si lascia plagiare dallo stato piatto delle cose: che forse, così, un altro pranzo o press tour lo scrocca, al Consorzio o alla cantina di turno (tanto “lavora” gratis: le bollette le pagano altri in famiglia, oppure la pensione; e dei giovani a casa chi se ne fotte). Vince, poi, chi fa il mio mestiere con una mano e, con l’altra, organizza – neppure troppo clandestinamente – inviti a tour ed eventi per conto di cantine che sapranno riconoscer il giusto compenso.
Vedo falsi eroi e lingue sempre più lunghe, sotto ad occhi che guardano tutto, ma sono sempre più incapaci di osservare. La Francia che estirpa vigneti, o qualsivoglia altro spettacolo. Domani, tanto, è un altro giorno. E se proprio si deve affondare, tutti assieme, meglio avere almeno la pancia piena. Un po’ come quella di Nelson. Ha ha!
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Nel cuore dei Castelli Romani, a sud-est di Roma, prende vita la Rete d’Impresa di Filiera “V.I.P.”, acronimo di Vino, Innovazione e Pane. Questo ambizioso progetto, che coinvolge 21 aziende dei comuni di Genzano di Roma, Lanuvio, Velletri, Albano Laziale, Nemi e Ariccia, mira a incrementare la competitività delle attività economiche locali. Con un occhio di riguardo allo sviluppo sostenibile e alla coesione sociale. La Rete “V.I.P.”, composta principalmente da produttori vitivinicoli, panificatori e operatori del settore agroalimentare, punta a creare un sistema di filiera integrato, capace di mettere in luce le unicità del territorio. L’obiettivo è chiaro: promuovere le specificità dei Castelli Romani.
RETE D’IMPRESA DI FILIERA V.I.P. – VINO, INNOVAZIONE E PANE: GLI OBIETTIVI
Tra le iniziative principali previste dalla Rete d’Impresa di Filiera “V.I.P.” – Vino, Innovazione e Pane c’è la promozione del turismo enogastronomico nell’area dei Castelli Romani. La creazione di itinerari tematici, la realizzazione di eventi dedicati e la valorizzazione del paesaggio rurale saranno strumenti chiave per attrarre visitatori e offrire esperienze uniche. Il gruppo di aziende mira inoltre al rafforzamento della filiera locale, migliorando la collaborazione tra produttori, distributori e ristoratori e creando sinergie che favoriscano lo sviluppo economico locale. Non ultima la valorizzazione dei prodotti tipici come ilPane Casareccio di Genzano Igp e i vini di qualità dei Castelli Romani. Prodotti che saranno protagonisti di iniziative di marketing e comunicazione, per far conoscere questi gioielli enogastronomici a un pubblico più ampio.
L’IMPATTO DI V.I.P. – VINO, INNOVAZIONE E PANE SUL TERRITORIO
L’iniziativa sarà presentata ufficialmente venerdì 13 dicembre 2024, dalle ore 18.30 presso Palazzo Sforza Cesarini di Genzano di Roma, comune capofila del progetto. Referenti della Rete V.I.P. sono Nina Francis Farrell (presidente Rete d’Impresa V.I.P.), Paolo Iacoangeli (vicepresidente Rete d’Impresa V.I.P.) e Saula Giusto (Manager Rete d’Impresa V.I.P.). I promotori dell’iniziativa sono convinti si tratti di «un’occasione unica per lo sviluppo economico e sociale del territorio». Tra i benefici attesi: aumento dell’occupazione, miglioramento del reddito per le imprese aderenti. E ancora: una qualità della vita più elevata per i cittadini. Tutto questo sarà possibile anche grazie alla collaborazione con le istituzioni locali e regionali, che hanno accolto il progetto con entusiasmo.
RETE VINO, INNOVAZIONE E PANE: SOSTEGNO DELLE ISTITUZIONI
«La realizzazione del progetto – sottolineano i referenti della Rete d’Impresa di Filiera “V.I.P.” – Vino, Innovazione e Pane – è stata resa possibile grazie al supporto del Centro di Assistenza Tecnica (C.A.T.) di Confesercenti, Area di Roma, e al forte sostegno del Presidente del Comprensorio dei Castelli Romani, Guido Ciarla. Quest’ultimo ha giocato un ruolo chiave, favorendo il dialogo tra le imprese e le amministrazioni locali, unendo le forze per un obiettivo comune: il rilancio del territorio.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Jägermeister Manifest introduce il nuovo payoff “Audacia in bottiglia”. Una dichiarazione di intenti che rispecchia la natura matura e strutturata di questa esclusiva variante dell’iconico amaro tedesco. Distribuito in Italia in esclusiva dal Gruppo Montenegro – azienda al 100% italiana – Manifest è il risultato di un’elaborata reinterpretazione dell’elisir originale, arricchito da una lavorazione che esalta la complessità del gusto e delle sensazioni evocate. Alla base della sua unicità troviamo un processo di produzione che prevede cinque distinte macerazioni, un maggiore utilizzo di erbe in infusione e un periodo di invecchiamento in botti di quercia tedesca e americana. Manifest non è semplicemente un amaro, ma una sfida al convenzionale, un invito a vivere esperienze fuori dall’ordinario, con audacia e autenticità.
GLI INGREDIENTI: COS’È JÄGERMEISTER MANIFEST
Il cuore di Manifest è il distillato di grano, estratto dal chicco intero e aromatizzato durante i 15 mesi di conservazione in botti tostate. Il risultato è un distillato dalle note complesse e ricercate: il bouquet sprigiona profumi intensi e stratificati, mentre al palato si rivela multiforme. L’anice dolce e la frutta secca cedono gradualmente il passo a spezie delicate e una raffinata amarezza, culminando in un persistente finale di vaniglia. Ciò che distingue Manifest dalla versione classica è il maggiore impiego di botaniche, con una quantità 2,5 volte superiore di erbe e ingredienti utilizzati nella quinta macerazione.
Un’attenzione artigianale che eleva Manifesta una nuova dimensione di gusto, rendendolo un unicum nel panorama degli amari. Anche il design della bottiglia contribuisce all’esperienza sensoriale. Il vetro trasparente lascia intravedere il caldo colore ambrato di Manifest, preludio visivo del gusto unico che lo contraddistingue.
TRA MIXOLOGY E DEGUSTAZIONE
Jägermeister Manifest è pensato per adattarsi a diversi momenti di consumo. Può essere gustato liscio o on the rocks, perfetto come fine pasto o distillato da meditazione. Allo stesso tempo, si presta a essere protagonista nella mixology. Tra le creazioni più celebri spicca il Mani First, un cocktail firmato dal mixologist Marian Beke del The Gibson Bar, che unisce Jägermeister Manifest, whisky torbato scozzese, wash di burro bruciato e spezie, miele invernale della Foresta Nera e zucchero filato affumicato. Per chi preferisce una preparazione più semplice, il Manifest Ginger Ale, servito in tumbler alto con scorza di limone, è una scelta fresca e sorprendente.
DOVE COMPRARE JÄGERMEISTER MANIFEST
Jägermeister Manifest è disponibile nella Grande Distribuzione Organizzata presso Esselunga e nei migliori store online di spirits. Un’occasione imperdibile per scoprire una nuova interpretazione dell’amaro tedesco più celebre al mondo, che celebra l’autenticità, la convivialità e il piacere di vivere la vita secondo le proprie regole.
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Grandi Langhe 2025 torna alle Ogr di Torino il 27 e 28 gennaio 2025. Saranno presenti quasi 500 cantine dalle Langhe, Roero e dal resto del Piemonte, pronte a presentare in anteprima le nuove annate delle Docg e Doc. Per tutta la durata dell’evento vi sarà una sala degustazione dedicata alla stampa con le ultime annate rilasciate in commercio di tutte le Docg e Doc del Piemonte. Per partecipare a Grandi Langhe 2025 occorre registrarsi online a questo link. L’elenco delle cantine presenti alla prossima edizione di Grandi Langhe è invece disponibile al seguente link. Per scoprire le cantine da non perdere acquista la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2025.
GRANDI LANGHE 2025: INFORMAZIONI GENERALI
DOVE: OGR TORINO, Corso Castelfidardo 22, Torino, Piemonte. QUANDO: 27 e 28 Gennaio, con orario 10-17 COME: l’ingresso è consentito previa prenotazione o invito. Sarà necessario stampare ed esibire il biglietto. CHI: evento riservato a operatori professionali, buyer, enotecari, ristoratori, agenti commerciali, sommelier professionisti.
GRANDI LANGHE 2025: COME ARRIVARE
(OGR Corso Castelfidardo, 22, 10128 Torino)
In treno: la stazione più vicina è Porta Susa
Automuniti: i parcheggi nelle vicinanze delle OGR sono:
Grandi Langhe 2025 è un appuntamento da non perdere nel panorama delle anteprime del vino italiano. Ospitato dalle OGR di Torino, l’evento è dedicato ai professionisti del settore. In assaggio i vini delle Langhe e delle Doc e Docg del Piemonte, serviti dai produttori in persona o da sommelier. Per la prima volta, l’evento organizzato dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani prevede una sala stampa per gli assaggi dei giornalisti del settore, che potranno registrarsi sul sito da oggi, giorno di apertura delle iscrizioni per le giornate del 27 e 28 gennaio 2025.
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La viticoltura eroica è un «patrimonio eccezionale». Così l’Oiv – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, nella risoluzione OIV – VITI 716-2024. Una definizione che nobilita e ufficializza a livello internazionale la viticoltura di montagna e in forte pendenza, difesa e promossa in Italia da organismi come il Cervim di Aosta. Sempre per l’Oiv, per “viticoltura eroica” si intende «un sistema di impianto di vigneti in aree montuose, intesi come terreni situati ad alta quota, su pendici ripide o su zone topograficamente accidentate». La risoluzione è stata adottata dall’OIV alla 22esima assemblea generale a Digione, che ha visto il Cervim – nel suo ruolo di osservatore Oiv – rappresentato dal vicepresidente Manuel Capote e dal membro del cda Roberto Gaudio.
VITICOLTURA EROICA, LE RACCOMANDAZIONI DELL’OIV
Questi vigneti rappresentano un patrimonio eccezionale che deve essere fortemente tutelato, ribadisce OIV nel documento. E così, fra le raccomandazioni agli Stati membri in cui è presente questa viticoltura, rientrano ad esempio quella di promuovere lo studio e la conservazione della viticoltura di montagna e in forte pendenza quale importante patrimonio e fonte di reddito per il settore vitivinicolo, nonché fonte di servizi per gli ecosistemi e le comunità locali. Obiettivi messi nero su bianco nella risoluzione. «Un lavoro impegnativo durato oltre due anni – spiega Gaudio – al quale ho preso parte in modo attivo, portando l’esperienza del Cervim e le conoscenze acquisite in molti anni di studio, ricerca, tutela e promozione della viticoltura eroica».
Fra punti salienti del documento, l’Oiv raccomanda agli Stati membri di sviluppare la ricerca per supportare questa forma di viticoltura, che necessita di pratiche colturali specifiche (ad esempio terrazze, terrazze di pietra, ecc.) e attrezzature adeguate (trattori a scartamento ridotto, trazione a cingoli). Occorre inoltre favorire l’attuazione di politiche pubbliche mirate a garantire la sopravvivenza di questo tipo di viticoltura e di servizi pubblici che possono essere offerti alle comunità e all’ambiente. Quindi promuovere misure per una maggior differenziazione dei prodotti di questi vigneti, come la creazione di indicazioni geografiche. Tra le raccomandazioni, anche l’analisi di prospettive di produttori e consumatori per mantenere o raggiungere la sostenibilità economica.
Il documento stilato dall’Oiv invita poi gli Stati membri ad avere ben presente quelle che sono le criticità specifiche di sostenibilità, quali il controllo dell’erosione dei suoli, la prevenzione delle frane, tutela della biodiversità. E ancora: l’esposizione e l’orientamento del vigneto, la disponibilità di manodopera e il livello di competenza, le questioni transgenerazionali, la gestione e la trasmissione di aziende agricole e imprese a conduzione familiare. Altro punto importante è quello di identificare iniziative e soluzioni per preservare le strutture sociali delle aree montane e a svilupparle maggiormente per tutelare l’integrità socioeconomica e naturale di queste regioni.
I RIFLESSI SOCIALI, ECONOMICI ED AMBIENTALI DELLA VITICOLTURA EROICA
Fondamentale inoltre approfondire le diverse pratiche viticole che si ripercuotono sugli aspetti sociali, economici e ambientali della vitivinicoltura di montagna e in forte pendenza, e come possono contribuire alla resilienza rispetto al cambiamento climatico. Nella risoluzione OIV – VITI 716-2024, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino esorta gli Stati anche a definire per le diverse aree le linee guida viticole ed enologiche e le strategie di marketing idonee a posizionare i prodotti vitivinicoli in fasce di prezzo coerenti con i costi di produzione più elevati che comportano.
Implementare degli studi sulla ricerca di fattibilità sulla possibilità che i produttori possano essere compensati delle maggiori spese che comporta la vitivinicoltura in forte pendenza, attraverso i contributi provenienti dal turismo e da altri settori, creando sinergie e strategie commerciali congiunte. E, ricorda infine, l’Oiv, promuovere lo studio della percezione dei consumatori e delle aspettative sociali rispetto ai prodotti vitivinicoli provenienti dalle aree montane e in forte pendenza, come chiave per lo sviluppo di un’adeguata strategia di accrescimento del valore commerciale.
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Due giorni di assaggi, incontri e momenti di riflessione sul vino naturale. Domenica 12 e lunedì 13 gennaio 2025 il Rule of Thirds di Brooklyn di New York ospiterà VinNatur NYC, primo evento collettivo ufficiale negli Stati Uniti. L’Associazione presieduta da Angiolino Maule riunisce vignaioli da tutto il mondo con l’intento di «difendere l’integrità del proprio territorio, rispettandone la storia e la cultura e traendo ispirazione da una forte etica ecologica». Dal 2016, VinNatur si è dotata di un protocollo di produzione che delinea le attività ammesse in vigneto e in cantina. A New York è previsto un ricco calendario di degustazioni e approfondimenti su qualità, varietà e pratiche produttive dei vini naturali, che arricchirà i banchi d’assaggio di oltre 200 etichette.
«Questo appuntamento – afferma Angiolino Maule – è sicuramente una grande opportunità per i nostri soci per raggiungere un pubblico sempre più attento e appassionato. New York, con la sua energia e apertura, è il contesto ideale per raccontare la nostra filosofia e costruire legami significativi. Inoltre assistiamo a come nella Grande Mela stia crescendo il numero di enoteche e wine bar che includono vini naturali in mescita e sugli scaffali”. Un trend che si contrappone al rallentamento del consumo di bevande alcoliche negli Stati Uniti e che conferma l’interesse crescente per prodotti autentici, sostenibili e di qualità.
VINNATUR A NEW YORK CON 44 PRODUTTORI
Alla manifestazione saranno presenti 44 produttori che proporranno in assaggio i loro vini ma ci sarà posto anche per una selezione di etichette di altri 24 soci VinNatur servite da esperti sommelier. L’evento sarà aperto al pubblico e agli operatori domenica 12 gennaio dalle 14 alle 18, mentre lunedì 13 gennaio, dalle 10 alle 17, sarà riservato esclusivamente ai professionisti del settore, tra cui buyer, distributori, giornalisti e titolari di ristoranti e wine bar. I biglietti per l’evento e le masterclass, a posti limitati, sono disponibili su Eventbrite.
VinNatur NYC
Quando: domenica 12 e lunedì 13 gennaio 2025 Dove: Rule of Thirds Restaurant, Brooklyn, New York City Orario di apertura al pubblico: domenica dalle 14 alle 18, lunedì dalle 10 alle 17 Ingresso: biglietti acquistabili online dal mese di novembre
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Michele Ferrero per l’attitudine di guardare oltre alle cose, senza fermarsi all’apparenza. Franco Bernabei per la capacità di rendere liquido (d’eccellenza) un territorio, in maniera altrettanto visionaria. L’imprenditore “papà della Nutella” da una parte. L’enologo noto come “Mr Sangiovese”, dall’altra. Se è vero che ogni persona è al pari sintesi e romanzo, Tommaso Inghirami potrebbe essere preso ad esempio lampante. Dopo essersi fatto le ossa in diverse multinazionali – Moncler, Bolton e, appunto, Ferrero, come junior brand manager – il rampollo della famiglia a capo del colosso fiorentino Ingram Camicie è tornato a Pontassieve, a cavallo tra il 2017 e il 2018. Per fare vino. Dedicandosi anima e corpo a Fattoria di Grignano, Tenuta degli Inghirami attiva da oltre 50 anni nella cittadina a 12 chilometri da Firenze.
FATTORIA DI GRIGNANO: DA BERNABEI A CHIOCCIOLI, IN “STILE” FERRERO
Da allora, grazie alla collaborazione con il nuovo enologo Stefano Chioccioli, i vini di Grignano hanno preso un’altra via. Emblematica la vendemmia 2019 di Poggio Gualtieri, Chianti Rufina Docg Riserva che condensa le migliori caratteristiche del Sangiovese d’alta collina, in una veste fresca e dai tannini meno graffianti rispetto alle annate precedenti. Un cambio di passo che non significa rinnegamento del passato. Bensì evoluzione. «Franco Bernabei, l’enologo che ha accompagnato Fattoria di Grignano sin dagli anni Ottanta – spiega Tommaso Inghirami – è per me uno zio. Molto più di un “semplice” professionista: è parte della famiglia. Al mio ritorno in azienda, ho sentito di dover iniziare a produrre vini più affini al mio gusto».
VINI GRIGNANO: GRANDI (VECCHIE) ANNATE E NUOVA IDENTITÀ
«Da grande amante dei vini bianchi friulani – continua il 34enne – ho trovato un’immediata intesa con l’enologo Stefano Chioccioli, che proprio in Friuli ha fatto grandi cose». La mano di Chioccioli, consulente enologo – tra gli altri – della Livio Felluga, segna il cambio di rotta dei vini di Grignano: più immediati e rotondi, godibili sin dalla gioventù. Pur con ottime prospettive, in termini di lungo affinamento. Le terre da cui nascono sono, di fatto, le stesse che hanno dato vita al Chianti Rufina Riserva DocgPoggio Gualtieri 2000, ancora in forma straordinaria (freschezza, purezza del frutto, ulteriore capacità di evoluzione) a distanza di 24 anni dalla vendemmia. Tra le annate più recenti in commercio, inizia ora a farsi apprezzare, più delle altre, una 2013 dalla spiccata acidità. Un’annata – c’è da scommetterci – pronta a dare immense soddisfazioni nel lungo periodo.
PINOT NERO E TREBBIANO NEL FUTURO DI FATTORIA DI GRIGNANO
Tommaso Inghirami non vuole però fermarsi qui. E per comprenderne le ragioni, basta alzare gli occhi verso l’orizzonte di Pontassieve. L’Appennino Tosco-Romagnolo domina il circondario della cittadina medievale, considerata la capitale del Mugello. «Negli ultimi anni – spiega l’erede dell’impero Ingram Camicie – abbiamo acquistato diversi terreni nelle vallate che circondano Pontassieve. Credo che il potenziale ancora inespresso a quelle quote sia immenso. Mi riferisco in particolare al Casentino, una delle quattro vallate della provincia di Arezzo, in direzione Romagna, poco lontana da Pontassieve. A mio avviso una zona interessantissima, in prospettiva, per il Pinot Nero. Ma anche alla Val Tiberina, più ad est. Qui abbiamo acquistato una vigna vecchia di Trebbiano e i primi risultati di vinificazione in anfora hanno dato risultati incredibili». Il primo vino da una varietà a bacca bianca di Fattoria di Grignano sarà presentato nei primi mesi del 2025. L’ennesimo capitolo firmato Tommaso Inghirami. Un po’ sintesi. Un po’ romanzo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana festeggia 10 anni di attività dedicati alla valorizzazione della Doc Maremma Toscana. «Abbiamo lavorato intensamente – spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio dal 2018 – per portare la denominazione a un livello sempre più alto di qualità e visibilità. Abbiamo fatto evidenti progressi, ma c’è ancora molto da fare. Puntiamo a chiudere il 2024 superando i 7 milioni di bottiglie, continuando a sviluppare progetti chiave come la razionalizzazione del disciplinare, la ricerca viticola, l’enoturismo e la sinergia con altri Consorzi locali».
10 ANNI DOC MAREMMA: NUMERI IN CRESCITA
Dal 2014 al 2024, la crescita del Consorzio è stata impressionante: i soci iniziali, solo 9, sono oggi diventati 469, operanti in tutta la provincia di Grosseto. La produzione è passata da 3,5 milioni di bottiglie nel 2014 a oltre 7 milioni nel 2024. Un cambiamento significativo è stato registrato anche nella tipologia dei vini prodotti. Se nel 2014 il 69% dell’imbottigliato era costituito da vini rossi, oggi questa quota è scesa al 54%, mentre i bianchi hanno superato il 40%, trainati dal Vermentino, che rappresenta oltre il 30% della produzione e si conferma la tipologia più imbottigliata.
Secondo i dati Avito, la Doc Maremma Toscana si distingue nel panorama regionale registrando un +6,9% nell’imbottigliato nei primi dieci mesi del 2024, in controtendenza rispetto alla generale flessione del comparto toscano. «Il Vermentino sta dando grandi soddisfazioni – sottolinea ancora il presidente Francesco Mazzei – contribuendo a rafforzare il brand Doc Maremma Toscana. Il nostro obiettivo di medio termine rimane raggiungere i 10 milioni di bottiglie, una massa critica indispensabile per ottenere maggiore visibilità sui mercati internazionali».
DOC MAREMMA TOSCANA IN CONTROTENDENZA
Per il direttore del Consorzio, Luca Pollini, i successi ottenuti sono il frutto di un territorio unico e di una strategia mirata. «La Maremma Toscana – ricorda – è una delle aree vitivinicole più dinamiche della regione. La grande varietà ampelografica, il territorio incontaminato e l’armonia tra viticoltura e biodiversità sono i nostri punti di forza».
Con 450.000 ettari di territorio, di cui solo il 2% dedicato alla vite (circa 9.000 ettari), la Maremma è un esempio di equilibrio tra produzione e sostenibilità. Oltre il 44% delle superfici agricole è condotto secondo metodi biologici, una percentuale ben al di sopra della media regionale (37,5%). Questo impegno per la sostenibilità è riconosciuto anche a livello internazionale: Grosseto è stata premiata dalla Commissione Europea come European Green Pioneer of Smart Tourism 2024.
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