FOTONOTIZIA – Dal primo gennaio 2023, i vini Primitivo di Manduria Doc e Primitivo di Manduria Doc Riserva dovranno essere muniti del contrassegno di Stato per essere immessi in commercio. Si tratta delle cosiddette “fascette“.
«Un ulteriore sistema a garanzia dell’autenticità, volto alla tutela di produttori e consumatori delle bottiglie a marchio Doc, accompagnerà i vini del grande rosso pugliese per tracciare tutte le fasi di vita di ciascuna bottiglia», spiega il Consorzio pugliese.
Un percorso già avviato che ha riguardato il terzo fratello del Manduria Dop, il Docg dolce naturale. Quindi, dal primo gennaio, tutte le tipologie del Primitivo di Manduria avranno il contrassegno di Stato.
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Dopo l’aumento di capitale del giugno 2020, Campari group e Moët Hennessy acquisiscono, attraverso la joint venture 50-50, la quota non detenuta di Tannico raggiungendo così il 100% del capitale sociale dell’e-commerce. L’obiettivo è chiaro. A un anno circa dalla creazione, Campari Group e Moët Hennessy mirano a costruire «un player di e-commerce paneuropeo di fascia alta a favore di tutti i marchi di vino e spirit e dei loro consumatori europei».
Inoltre, dal 1° gennaio 2023, Thierry Bertrand-Souleau assumerà la guida di Tannico con il ruolo di Ad. «Questa evoluzione – spiega Campari in una nota – porterà una vasta esperienza internazionale nell’ambito di business omnichannel e retail, in linea con l’ambizioso percorso di crescita della piattaforma e-commerce e con l’obiettivo di affermarne la leadership in Europa per la vendita online di vini e premium spirits».
A partire dalla stessa data, il fondatore e attuale Ad di Tannico, Marco Magnocavallo, diventerà presidente onorario, «mantenendo continuità nell’impostazione strategica della piattaforma». «Con questa operazione confermiamo l’impegno nel rendere Tannico la piattaforma leader europea nella vendita di vini e premium spirits», spiega Bob Kunze-Concewitz, Ceo di Campari Group.
Grazie all’ottimo lavoro fatto fin qui dal team, Tannico è oggi un attore affermato con posizioni di leadership di mercato in Italia e in Francia. Siamo felici oggi di poter proseguire in questo progetto, portandolo in una fase successiva altrettanto ambiziosa».
«Moët Hennessy – aggiunge Philippe Schaus, presidente e Ceo di Moët Hennessyè – è lieta di rafforzare la sua partnership con Campari Group che mira a sviluppare eccezionali esperienze di shopping online nel mondo dei vini e degli spirit. In questo contesto diamo un caloroso benvenuto a Thierry Bertrand Souleau, che arriva con una forte esperienza di vendita al dettaglio online e offline, sia in Italia che in Francia, e che sarà determinante nel portare questa impresa al livello successivo».
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Venerdì 2 dicembre il nuovo Consiglio nazionale ha eletto Roberto Donadini presidente nazionale Fisar. La Federazione italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori ha così un nuovo management per il quadriennio 2023-2026-. «Ringrazio in primo luogo gli associati che nelle elezioni dello scorso ottobre hanno avuto fiducia nel nostro progetto e i consiglieri nazionali per questa nomina», sono le prime parole di Roberto Donadini.
«Mi impegnerò con determinazione – aggiunge il neo presidente Fisar – per mettere al centro della nostra Federazione le Delegazioni che operano con grande impegno su tutto il territorio nazionale. Investiremo molto sulla formazione dei nostri relatori e sommelier per stare al passo con i tempi che viviamo». Un riferimento, quello di Donadini, alla grande sfida dell’enoturismo» in cui la “nuova Fisar” intende «vivere da protagonista».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si commuove poco dopo aver preso la parola, Marco Ferretti. Per il presidente del Consorzio Chianti Colli Fiorentini, intervenire a Palazzo Vecchio e introdurre alla stampa un’intera giornata di assaggi, è un motivo di «grande orgoglio». Lacrime di gioia, cadute per certi versi “in famiglia”: «Il Chianti Colli Fiorentini è il vino di Firenze».
La prima expo del Consorzio, tenutasi giovedì 1 dicembre sotto alle volte della suggestiva Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, è assieme un punto di partenza e un punto di arrivo per i 29 produttori che rappresentano il 52% della produzione complessiva della denominazione toscana. Uno “spicchio” di 610 ettari pari al 2,6% della produzione totale del Chianti Docg (23 mila ettari).
Da buono a sorprendente il livello dei 44 vini in degustazione, per lo più delle vendemmie dalla 2016 alla 2021, Riserve comprese. A sorpresa anche 6 vecchie annate (2012, 2009, 2007, 2005, 2001, 1994). Convince la maggior parte dei vini più giovani, per la preziosa vena salina che fa da vera spina dorsale al sorso.
Una vera e propria caratteristica del Chianti Colli Fiorentini, che si presenta al primo expo a Firenze quasi da “bianco travestito di rosso“. In numerosi campioni, la nota sapida accompagna il sorso dall’ingresso alla chiusura. Ci fanno i conti a dovere, i vini meglio riusciti. Contrapponendo alla nota “dura” il giusto apporto di frutto (ciliegia e frutta rossa per lo più, anche se non è difficile riscontrare anche polpe scure, dalla mora alla susina) e la corretta vena glicerica.
Vini spesso molto coerenti tra naso e palato, con il Chianti Colli Fiorentini che sembra rinunciare – in chiave del tutto moderna, contemporanea, azzeccata – alle sovraestrazioni. Premiati così nel calice il floreale e la spezia, dominanti sui terziari da legno anche nelle (migliori) prove di Riserva, tipologia che prevede l’affinamento per almeno 2 anni, di cui almeno 6 mesi in legno.
CHIANTI COLLI FIORENTINI: I MIGLIORI ASSAGGI A PALAZZO VECCHIO FIRENZE
Nello specifico, fra i vini della vendemmia 2021 convincono Tenuta San Vito (con “Darno“) e Malenchini. Vini diretti, senza fronzoli, il primo più longilineo, il secondo più giocato sulla piacevolezza. Sopra la media un altro paio di aziende, per la vendemmia 2020. Si tratta di Fattoria di Bagnolo (preziosi i richiami alla macchia mediterranea, oltre all’ottima gestione dell’equilibrio fresco-sapido-fruttato); e Azienda agricola La Querce con “Sorrettole” (solo acciaio: splendida ciliegia al naso e bel bouquet floreale prima di un palato in cui un sapiente tannino allunga il cronometro della persistenza, giocando col freno a mano sullo sprint, intenso e preciso, del frutto).
Bene, per la vendemmia 2018, “Ugo Bing” di Fattoria di Fiano: naso ricco di frutta matura, goloso, cui fa eco un palato altrettanto ricco e piuttosto stratificato, dal tannino elegantemente fine. Si passa poi al Chianti Colli Fiorentini Riserva, con due vini in anteprima, vendemmia 2020, che promettono molto bene. Si tratta di “Madiere” di Tenuta San Vito e “Le cappelle” di Poggio al Chiuso.
Utilizzo magistrale del legno nel primo campione, che evidenzia anche una sapiente epoca di raccolta delle uve per il giusto tocco “fenolico” sul frutto e sulle nuances burrose. Il secondo è più austero, ma convince per la croccantezza del frutto, l’autenticità della nota sapida e l’ottimo lavoro sulla finezza del tannino.
Tra le Riserve 2019 spiccano “Marzocco Poppiano Riserva” di Marzocco di Poppiano e il campione presentato da Castello di Poppiano – Guicciardini. Molto giovane e all’inizio del proprio lungo percorso di vita il primo, vino di gran carattere e dall’anima tipicamente toscana. Più aperto e già godibile il secondo vino, tutto fiore, frutto, “sale” e golosi richiami a liquirizia dolce e biscotto, nel retro olfattivo.
BEST IN SHOW: CHIANTI COLLI FIORENTINI RISERVA “SAN GIOVANNI NOVANTASETTE” 2018, FATTORIA SAN MICHELE A TORRI
La Riserva 2018 del Chianti Colli Fiorentini a Firenze regala l’etichetta “Best in show“. È il “San Giovanni Novantasette” di Fattoria San Michele a Torri. Paolo Nocentini, attuale proprietario dell’azienda, ha dato nuovo impulso all’attività della cantina di Scandicci (FI), a cavallo tra i Colli di Firenze (50 ettari) e il Chianti Classico (15 ettari).
Tanta macchia mediterranea nel Chianti Colli Fiorentini Docg Riserva “San Giovanni Novantasette” 2018. Un tocco finissimo di rabarbaro e goudron sul frutto (ciliegia, lampone) pienamente espresso. In bocca teso, fresco, molto sapido, denota un sapiente utilizzo del legno che conferisce rotondità e piacevolezza al retro olfattivo (deliziosi i tannini). Convince anche in persistenza, di lunghezza rara.
Infine, tra le vecchie annate, sorprende la forma (ancora) strepitosa del Chianti Colli Fiorentini Docg 2005 “La Torretta“. Si torna, non a caso, a un vino prodotto dall’Azienda agricola La Querce, che già aveva convinto con la vendemmia 2020 “Sorrettole”. Certificata biologica dal 2019, la cantina lavora 42 ettari di vigneti e oliveti a Impruneta (FI).
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Record di 8 miliardi di euro per il vino (+12% rispetto all’anno precedente) e spirits in scia (1,7 miliardi di euro). Buono anche il risultato per gli aceti, in particolare balsamici, che vedono chiudere l’anno con una crescita delle esportazioni (a valore) del 15%. I dati dell’Osservatorio Federvini curato da Nomisma e TradeLab evidenziano un nuovo record per l’export agroalimentare italiano, che dovrebbe superare i 59 miliardi di euro a fine anno (+16% rispetto al 2021) trainato anche dalle vendite oltre frontiera di vini, spiriti e aceti.
Il tutto in attesa di un 2023 per il quale gli organismi internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Ocse, Commissione Europea) sono concordi nel prevedere un rallentamento della crescita rispetto all’anno in corso.
LE RAGIONI DELLA CRESCITA
Tre i fattori che hanno contribuito alla crescita: l’andamento del cambio euro-dollaro che ha permesso di compensare gli aumenti dei costi di produzione e recuperare competitività sui mercati legati al dollaro come USA e Canada. E ancora: la ripresa del turismo a livello globale, che ha dato impulso ai consumi di vini e spiriti nel canale Horeca.
In Italia, a fine agosto, gli arrivi dei turisti internazionali hanno superato i 35 milioni (+125% rispetto allo stesso periodo del 2021). Determinante, infine, la diversificazione dei mercati, come strategia adottata da molte aziende che guardano ai paesi emergenti come Tailandia e Vietnam, dove nei primi 8 mesi del 2022 il valore dell’export del vino è cresciuto rispettivamente del 158% e del 82%.
Dieci anni fa, i mercati dell’Unione Europea pesavano per circa il 57% sul valore dell’export, dopo la Brexit nel 2021, si è arrivati al 39%. Questo scenario ha determinato un diverso approccio ai mercati di destinazione e ha sollecitato un allargamento degli spazi commerciali da presidiare verso nuove realtà emergenti: ad esempio oggi l’Asia pesa per il 7% sull’export complessivo di vino italiano.
Il mercato degli Spirits ha mantenuto salda la leadership nel mercato statunitense dove registra un aumento a valore del +23%, tuttavia la dipendenza dai primi 5 mercati è diminuita nel corso del tempo: se nel 2011 la concentrazione dell’export per la categoria nei top mercati di sbocco era pari al 65,8%, dieci anni dopo è diminuita al 58,3% per calare ancora al 53,7% nel 2022.
IL COMMENTO
«I dati sulle performance del nostro export – sottolinea Micaela Pallini, presidente Federvini – evidenziano l’importanza della diversificazione dei mercati. Tale strategia può essere coadiuvata da un lato dalla leva promozionale e dall’altro da una maggiore proattività dell’Unione Europea nel concludere ulteriori accordi di libero scambio con i paesi extra-Ue.
È evidente che ci muoviamo in uno scenario complicato ed in continua evoluzione, non si escludono rallentamenti economici nel 2023 che dovrebbero interessare alcuni mercati europei come l’Italia e la Germania” emerge ancora come uno dei prodotti più regalati ad amici e parenti (circa il 36% degli italiani)».
«Anche per il Natale 2022 – conclude Pallini – sulle tavole non mancherà lo spumante, ritenuto immancabile per il 45% degli intervistati, con il Prosecco a farla da padrone soprattutto tra i consumatori più giovani (gen Z e Millennials), seguito dai rossi del Sud come Primitivo di Manduria e Montepulciano d’Abruzzo (18%) e dai bianchi dell’Alto Adige (8%), quest’ultimi preferiti soprattutto dai baby boomers».
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FOTONOTIZIA – Cantina Cooperativa Vallebelbo è da oggi ufficialmente partner di Schenk Italian Wineries. L’accordo di collaborazione sancisce e consolida un rapporto iniziato già nel 2018 per la produzione della linea di vini piemontesi “Casali del Barone“.
«Il progetto originario – spiega il colosso di Ora (Bolzano) – si è sviluppato partendo dal re dei vitigni piemontesi, la Barbera. La gamma si è ampliata con l’aggiunta dei grandi vini classici della zona: una Barbera d’Asti Superiore, un Barolo, un Nebbiolo, un Barbaresco e un Bianco Langhe, tutti imbottigliati all’origine».
Cantina Cooperativa Vallebelbo lavora 500 ettari vitati nelle Langhe, di cui circa 150 a Dolcetto, Barbera e Nebbiolo. Sono 150 i conferitori.
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Trento Doc, «bollicine di montagna»? Eppure, il 92% dei vigneti si trovano sotto alla quota di collina. Ovvero ad altitudini inferiori ai 600 metri sul livello del mare. Il dato emerge da un’inchiesta esclusiva di winemag.it. Solo in 5 dei 62 Comuni in cui sono presenti vigne iscritte alla produzione dello spumante Metodo classico del Trentino si supera questa soglia. La media del vigneto Trento Doc si assesta piuttosto su 420 metri sul livello del mare.
Si tratta di dati ufficiali, elaborati dall’Organismo di Controllo dalla Camera di Commercio di Trento (CCIAA), sulla base delle evidenze della Provincia Autonoma di Trento, riferite alla vendemmia 2021. Lecito chiedersi se la comunicazione impostata negli anni dall’Istituto Trento Doc possa essere lesiva dei diritti dei consumatori? Il claim «bollicine di montagna» non è l’unico elemento a poter confondere le acque e creare un immaginario poco realistico.
«BOLLICINE DI MONTAGNA»: LA COMUNICAZIONE DEL TRENTO DOC
Il video pubblicato qui sopra a corredo dell’inchiesta di winemag.it accompagna l’apertura del sito web ufficiale dello spumante Trento Doc. In grande evidenza una serie di immagini che fanno riferimento ad altitudini elevate, in cui la viticoltura è impraticabile. Vette innevate e pendii inarrivabili utili però ad avvalorare la tesi di una produzione Trento Doc di “alta montagna”, più che a raccontare il territorio in cui, realmente, prendono vita gli spumanti trentini.
I dati raccolti da winemag.it confutano anche diverse informazioni presenti sul portale del Trento Doc. Si legge che le «bollicine di montagna» nascono da «vigneti situati ad un’altitudine fra i 200 e i 900 metri sul livello del mare, in un ambiente con climi caratterizzati da forti escursioni termiche giornaliere in grado di conferire alle uve complessità aromatica, eleganza e freschezza».
A RIVA DEL GARDA VIGNETI A 102 METRI SUL LIVELLO DEL MARE
Il vigneto più “basso” dello spumante trentino si trova nel Comune di Riva del Garda, ad appena 104 metri sul livello del mare (54.164 metri quadrati di Chardonnay). Il più “alto” è nel Comune sparso di Altopiano della Vigolana: appena 372 metri quadrati di Pinot Bianco, a 876 metri.
Per trovare gli altri vigneti di (vera) “montagna” bisogna spostarsi a Bleggio Superiore (30.053 m² a 647 m slm), Tenna (8.813 m² a 612 m slm), Stenico ( 326.256 m² a 609 metri) e Vallarsa (9.869 m² a 606 m slm). Tirando le somme, solo 50,4 ettari del vigneto Trento Doc si trovano ufficialmente in “montagna”, sui 1.294,82 ettari complessivi. Appena il 3,8% della superficie totale di produzione: 8 vigneti sui 127 iscritti in occasione della vendemmia 2021.
DOC TRENTO – VENDEMMIA 2021
SUPERFICI RIVENDICATE PER COMUNE E VARIETÀ
Comune
Varietà
Sup. raccolta
(metri quadrati)
Altitudine media
(metri)
ALTOPIANO DELLA VIGOLANA
PINOT BIANCO
372
876
PINOT BIANCO
4.173
724
CHARDONNAY
109.546
679
BLEGGIO SUPERIORE
CHARDONNAY
30.053
647
PINOT NERO
15.141
639
TENNA
CHARDONNAY
8.813
612
STENICO
CHARDONNAY
326.256
609
VALLARSA
CHARDONNAY
9.869
606
TRENTO DOC, «BOLLICINE DI MONTAGNA»? L’INCHIESTA DI WINEMAG.IT
Sempre secondo i dati ufficiali forniti a winemag.it dall’Organismo di controllo della Camera di commercio di Trento, appena 28 vigne si trovano tra 500 e 582 metri sul livello del mare. Molte di più quelle a 400 m: sono 41, per l’esattezza situate tra i 404 e i 487. Ventiquattro i vigneti tra i 301 e i 397 m slm. Altrettanti quelli presenti tra 104 e i 289 metri di “altitudine” (7 quelle sotto i 200). Da notare che in “vetta” ci sono due vigneti di Pinot Bianco. Ma è interessante anche il focus sulla produzione nelle varie fasce.
Se i numeri del reale “vigneto di montagna” del Trento Doc sono impietosi, fa ancora più effetto scoprire che solo 183,96 ettari si trovano tra 500 e 582 metri. La maggior parte del vigneto delle cosiddette «bollicine di montagna» si trova piuttosto tra i 500 e i 582 metri sul livello del mare (6.645.164 m², ovvero 664,51 ettari, con appena 9 appezzamenti sopra i 550 m slm). Sono poi 273,79 gli ettari tra i 300 e i 400 m; 122,12 gli ettari tra 104 e 289. Tradotto: dei 1.294,82 ettari rivendicati per la vendemmia 2021, 1.244 si trovano sotto la quota di “montagna”.
Grazie ai dati raccolti in esclusiva da winemag.it è possibile stilare la “Top 10” dei Comuni con la maggiore superficie vitata raccolta a Trento Doc lo scorso anno. Al primo posto Trento (258,21 ettari a 404 m di media slm). Medaglia d’argento a Madruzzo (89,38 ettari a 382 metri). Bronzo per Cembra Lisignago (51,39 ettari a 517 m). Seguono Mori (48,73, 414 m), Lavis (92,8 ettari fra 301 e 464 m), Rovereto (43,09 a 379 m slm) e Cavedine (41,91 ettari a 432 m). In coda Volano (39,09 a 254 metri), Vallelaghi (33,83 ettari, 409 m slm medi) e Stenico (32,62 a 609 m slm).
DOC TRENTO – VENDEMMIA 2021
SUPERFICI RIVENDICATE PER COMUNE E VARIETÀ
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Il Mercato Fivi 2022 segna un nuovo record. Tra sabato 26 e domenica 27 novembre, 9 mila persone al giorno hanno varcato i cancelli di Expo Piacenza. Con 18 mila visitatori in due giorni, i vignaioli indipendenti pareggiano già i conti con l’edizione 2018, l’ultima distribuita su due soli giorni (il lunedì è stato aggiunto nel 2019).
Oggi, lunedì 27 novembre, è la giornata riservata ai professionisti del settore, dopo la ressa che ha reso per molte ore quasi invivibile la Fiera (in particolare il Padiglione 1). Il record assoluto di visitatori – al momento del Mercato Fivi 2021, con 20 mila visitatori – è destinato ad essere superato.
Ecco una guida ai migliori assaggi di winemag.it, utili a districarsi tra i circa 870 vignaioli presenti oggi a Piacenza, dalle ore 11 alle ore 17 in Località Le Mose, via Tirotti 11, Piacenza (scarica qui la mappa dei vignaioli del Mercato Fivi 2022).
BOLLICINE
Franciacorta Docg Brut 2015, Ronco Calino (Pad. 1, A 2)
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A un mese dalla data fatidica, il winelover inizia a pensare ai vini per Natale 2022. Qualche suggerimento utile arriva dalla Guida Top 100 Migliori vini italiano 2023 di winemag.it (puoi acquistarla a questo link). In particolare oggi ricapitoliamo i “Vini dell’anno”, ovvero quelli che ci hanno particolarmente colpito in occasione delle selezioni alla cieca. Enjoy!
VINO SPUMANTE DEL’ANNO 2023 – GUIDA TOP 100 WINEMAG.IT
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Apre La Terra Trema, chiude il Mercato Fivi 2022. Sarà un lungo weekend, quello che sta per cominciare tra Milano e Piacenza, per il vino italiano. Primo appuntamento, decisamente alternativo, oggi pomeriggio, 25 novembre, al Leoncavallo.
I toni – apocalittici per qualcuno, realistici per altri – sono quelli consueti per l’evento in programma dalle ore 15 allo spazio pubblico autogestito di via Antoine Watteau 7, a Milano (a proposito: mercoledì 14 Dicembre alle ore 10.00 l’ufficiale giudiziario e gli avvocati della proprietà tenteranno di procedere allo sfratto). Il motto dell’anno? «Vieni tempesta».
«Abbiamo lavorato per costruire La Terra Trema 2022. Passati tre anni, torneremo in un mondo profondamente diverso. Pandemia, guerre a seguire, politiche perverse, hanno portato alimento alla peggiore espressione del capitalismo finanziario e cibernetico. Marcando ancora di più differenze e posizioni: più povertà, più divisioni, più individualismo, più speculazione, più devastazione».
LA TERRA TREMA 2022: WEEKEND DI VINO E MUSICA AL LEONCAVALLO
Neanche innanzi alle chiare cause di queste mille catastrofi – evidenziano gli organizzatori – si è fatto un passo indietro sui modi e sui rapporti di produzione. Si continua a oleare un meccanismo contorto e aberrante. Nella sopraffazione degli uni sugli altri, del cane mangia cane».
Poi, un po’ di sereno: «Auspichiamo che La Terra Trema 2022 sia una possibilità di confronto e scambio, lontana da immaginari contadini intangibili, scanditi dai likes sulle stories quotidiane e da narrazioni gastronomiche appiattite e gonfiate dalle tendenze del momento. […] Ci saranno nuovi compagni e nuove compagne di viaggio e nuove occasioni per la meraviglia. Con l’augurio e il piacere di ritrovarci insieme ancora una volta».
Fitto il calendario, comprensivo di eventi musicali, sino alla proclamazione del vignaiolo che si aggiudicherà la Roncola d’Oro 2022. La premiazione è prevista per le ore 20 di domenica 27 novembre.
MERCATO FIVI 2022 TRA CERTEZZE E INCOGNITE
A meno di 24 ore dall’inizio de La Terra Trema 2022, ad Expo Piacenza (Loc. Le Mose – via Tirotti 11, Piacenza) sarà la volta degli 850 soci della Federazione italiana vignaioli indipendenti. I cancelli del Mercato Fivi 2022 apriranno alle ore 11 di sabato 26 novembre.
Attesissima l’annuale assemblea dei soci, così come sono alte le aspettative nei confronti degli organizzatori, a fronte di un numero così cospicuo di vignaioli che potrebbe “minare” la godibilità dell’evento nei tre padiglioni (sarà allestita anche una tensostruttura con decine di artigiani del cibo).
Nel frattempo, Fivi attende ancora risposte dal Governo in merito alla revisione dei meccanismi di rappresentatività all’interno dei Consorzi del vino italiano. La lettera indirizzata un mese fa esatto a Roma non ha ancora sortito prese di posizione da parte dell’esecutivo.
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ASSEMBLEA Cavit 2022 Riva del Garda (foto Daniele Panato/Agenzia Panato)
Si è riunita oggi, presso il Centro Congressi di Riva del Garda l’assemblea annuale dei soci Cavit che ha approvato il bilancio consolidato del Gruppo per l’esercizio 2021–2022, chiusosi a maggio 2022. Il Gruppo Cavit è oggi composto dal Consorzio Cavit Sc cui fanno capo le società Cesarini Sforza SpA, Casa Girelli SpA e GLV Srl (quest’ultima all’80%) acquisite nel dicembre 2019, oltre che la società tedesca Kessler Sekt & Co KG controllata al 50,1%.
Nel corso dell’assemblea è stata espressa «unanime soddisfazione da parte dei Soci per il livello apprezzabile delle remunerazioni, oltre che per la qualità del servizio ricevuto in termini di consulenza e assistenza agronomica e viticola, che rappresentano un chiaro valore per il sistema trentino delle Cantine sociali».
I DATI PRINCIPALI DEL BILANCIO CAVIT
Dopo due anni “fuori dell’ordinario” per l’economia globale, dove Cavit ha beneficiato degli effetti della pandemia sulla crescita dei consumi di vino in casa, il Gruppo registra un consolidamento del fatturato che si assesta su quota 264,8 milioni di euro, in flessione del 2,3% rispetto al forte aumento registrato nell’esercizio precedente. «È da notare – commenta l’azienda – che il trend rispetto al periodo pre-covid risulta in decisa crescita costante (+26,3% esercizio 2021/2022 vs esercizio 2019/2020)».
In linea con le previsioni di budget, la lieve flessione di fatturato ha riguardato innanzitutto la società Cavit Sc, segnata dal progressivo assestamento post-pandemia (con un ritorno dei consumi fuori casa e una conseguente contrazione di quelli in casa), dal ridimensionamento del balzo in avanti registrato in epoca Covid dal mercato NordAmericano e dall’impatto sul bilancio dei primi 5 mesi del 2022, contraddistinti da una grave e generalizzata pressione dei costi.
LE SOCIETÀ DEL GRUPPO CAVIT
Per quanto riguarda le consociate di recente acquisizione, nel corso dell’anno è stata perseguita un’opera di razionalizzazione delle attività a favore di una migliore marginalità. In particolare: Casa Girelli, che svolge la propria attività nel settore dell’imbottigliamento e della commercializzazione di vini italiani sui mercati esteri, registra una contenuta contrazione del fatturato, con un risultato operativo condizionato dall’aumento dei costi a fronte di accordi commerciali già definiti prima dell’impennata.
Per la commerciale GLV è stata adottata una strategia mirata al riposizionamento e alla valorizzazione delle produzioni di Cantina La-Vis e Cembra Cantina di Montagna. In particolare, il 2022 ha segnato il rilancio completo della gamma di quest’ultima nella direzione della qualità e del pieno riconoscimento del valore di una viticoltura di eccellenza da remunerare opportunamente.
Anche nel caso di Cesarini Sforza, dopo il passaggio della cantina sotto la guida di Cavit, «si è provveduto ad una razionalizzazione delle attività, accompagnata da importanti investimenti per rafforzare le linee di sboccatura e confezionamento della pregiata linea di spumanti TrentoDoc». Infine, sempre nell’area della spumantistica, ottimi risultati per la società tedesca Kessler Sekt, che ha registrato un aumento del fatturato superiore al 25% grazie al recupero del canale Horeca post-pandemia e il crescente innalzamento dell’immagine di marca, salendo a 11,9 milioni di euro.
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A darne notizia sono la moglie Loretta, i figli Norma e Sandro, i fratelli Antonio, Geminiano, Rosanella, Ivo e Flavio, i nipoti e i collaboratori di una vita. È morto a causa di un improvviso malore Claudio Nardi, fondatore assieme ai fratelli di Perlage Winery, storica cantina biologica di Farra di Soligo. Nell’azienda curava, in particolare, la produzione in vigna.
I fratelli e i famigliari lo ricordano «per il grande entusiasmo e l’impegno nella ricerca costante di soluzioni alternative, sempre più ecologiche». Claudio Nardi, nel ricordo della famiglia, «era un sognatore, amante della natura alla quale dedicava tutte le sue energie per coltivare la vigna in modo sano e rispettoso dell’ambiente e delle persone».
Negli anni si è impegnato nella costante riduzione del rame utilizzato per i trattamenti, nella lotta ai cambiamenti climatici e agli eventi metereologici estremi, approfondendo le tecniche di economia circolare dell’acqua. Claudio Nardi curava anche gli investimenti tecnologici in cantina per migliorare la qualità del Valdobbiadene Prosecco Superiore.
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Il 100% del capitale delle società della famiglia Barbanera, ossia Barbanera Srl eFossalto Srl passa ad Italian Wine Brands Spa (Iwb). L’acquisizione è avvenuta in mattinata. Barbanera è una storica società familiare fondata negli anni ’70 a Cetona (Siena) dai fratelli Marco e Paolo Barbanera, attiva oggi nella vinificazione, produzione e vendita di vini di alta qualità nel segmento premium.
Gli accordi sottoscritti in data odierna prevedono che IWB, public company del segmento Euronext Growth Milan di Borsa Italiana Spa, uno dei principali player attivi nella «produzione, distribuzione e vendita di vini italiani di elevata qualità sui mercati internazionali», acquisisca il 100% del capitale di Barbarena e Fossalto sulla base di un Equity Value complessivo pari a 41.990.000,00 che verrà corrisposto da IWB per cassa alla data del closing, previsto indicativamente entro il 31 dicembre 2022 e, comunque, entro e non oltre il closing del 31 marzo 2023.
ITALIAN WINE BRANDS ACQUISISCE BARBANERA
La struttura dell’operazione prevede altresì che le holding della famiglia Barbanera reinvestano nel Gruppo IWB un valore complessivo pari a Euro 26.316.240,00 mediante la sottoscrizione di 657.906 azioni ordinarie IWB di nuova emissione a un prezzo di 40,00 euro cadauna. A completamento dell’operazione, la famiglia Barbanera arriverà a detenere una partecipazione complessivamente pari al 6,95% del capitale sociale di IWB post aumento di capitale.
Nel corso degli anni, Barbanera è cresciuta costantemente fino a diventare il punto di riferimento del vino toscano sui mercati internazionali grazie, in particolare, ai suoi vini autoctoni pluripremiati dai principali critici (Barbanera®, Gigino®, Vecciano®), realizzati sia con l’utilizzo della materia prima proveniente dai vigneti di proprietà della famiglia (circa 33 ettari situati in zone ad alta vocazione vitivinicola), che con materie prime oggetto di un’attenta selezione e di un processo di vinificazione interamente svolto all’interno dell’azienda.
Barbanera e Fossalto hanno realizzato nel 2021 un fatturato consolidato pari a 38,7 milioni, di cui oltre il 90% realizzato sui mercati internazionali e in costante e sensibile aumento dagli Euro 33,3 milioni del 2020 e dagli Euro 26,6 milioni del 2019. L’Ebitda Adjusted realizzato dalle società nel 2021 è stato pari a 5,4 milioni (margine sul fatturato pari al 14,0%). L’utile netto è stato pari a 3,8 milioni mentre la posizione finanziaria netta al 31 dicembre 2021 era positiva per 1,2 milioni di euro (dati IFRS compliant).
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I punti fermi ci sono tutti. Adesso. Sui Colli Orientali del Friuli, o meglio in quel fazzoletto di terra della provincia di Udine che ha cambiato bandiera, passaporto, colore, orizzonte e futuro, più volte nel corso della storia, tredici aziende fanno rete per portare Prepotto sulla cartina geografica. Del turismo. Il risultato è il portale Enjoy Prepotto (www.enjoyprepotto.it) che comprende degustazioni guidate, ristoranti e b&b, escursioni naturalistiche, gite in e-bike, corsi di «cucina di confine» e lezioni di yoga in cantina.
E il vino (in primis lo Schioppettino di Prepotto e di Cialla) è tra i protagonisti assoluti. Un elemento essenziale, in cui da sempre si dissolvono anche i più acerbi dissidi. Una panacea, utile a staccare dalla frenesia di tutti i giorni, immergersi nella natura e lasciarsi guidare dagli stimoli culturali (e religiosi) di cui è ricco il territorio, tra Italia e Slovenia. In una parola, il “fluido” che tiene unite – spontaneamente – le 13 aziende di Enjoy Prepotto.
Cantine, agriturismi e b&b che hanno deciso di unire le proprie forze «per portare nuova linfa al territorio di Prepotto». L’offerta del portale comprende un ricco ventaglio di attività ed esperienze turistiche per tutto l’anno. Sei le categorie: degustazioni e visite in cantina, escursioni guidate, corsi di cucina, gite in e-bike, corsi di yoga e meditazione, eventi culturali.
LA VOCE DEI PROTAGONISTI DI ENJOY PREPOTTO
Al momento Enjoy Prepotto non vende i servizi, ma funge da collettore delle experiences del territorio, offerte dalle aziende aderenti. Si va da scrigni dell’accoglienza e della ristorazione come Tinello di San Urbano, Agriturismo Scribano, L’Osteria di… Delizie e Curiosità, a cantine come Vigna Lenuzza, Orlando e Didonè, Ronchi di Cialla.
E ancora: Spolert Winery, Vigna Petrussa, Vigna Traverso, Pitticco, Grillo Iole e Vie d’Alt. Non ultimo Renzo Ferluga, guida naturalistica del gruppo. Già disponibili gli eventi in programma per i primi mesi del 2023 (per maggiori informazioni, scrivere a info@enjoyprepotto.it).
«La nostra missione – spiega Caterina Cossio di Agriturismo Scribano, tra i promotori del progetto – è offrire alle persone un’accoglienza autentica e distintiva, valorizzando un luogo di confine unico la cui storia contamina tutti i suoi elementi: la natura, la cultura, la cucina. Un luogo dove i ritmi rallentano e la natura invita ad abbracciare uno stile di vita più sincero».
L’idea – aggiunge Riccardo Caliari di Spolert Winery – nasce dalla volontà di raccogliere e unire tutte le opportunità offerte da questo speciale territorio e dalle nostre aziende, creando un unico market place tramite il quale è possibile programmare liberamente un weekend o anche solo un pomeriggio di svago all’insegna del relax, del gusto e del divertimento».
Quello di Riccardo Caliari è tra i volti più rappresentativi del neonato movimento Enjoy Prepotto. Cinque anni fa ha scelto di trasferirsi a Prepotto per produrre vino. Lasciando Verona, la sua città di origine. «Questo territorio mi ha affascinato – spiega – per la densità di contenuti che offre. Lo scopo di questa associazione spontanea di aziende è lo stesso: stupire gli ospiti, non solo in alta stagione, ma tutto l’anno. In poche parole gusto, divertimento e condivisione».
Stessa (buona) “sorte” per l’altro produttore veneto Stefano Traverso, a Prepotto dal 1998. Passi da gigante quelli compiuti da Vigna Traverso nella produzione dello Schioppettino e degli altri vini locali, dopo un «periodo di adattamento non facile con le varietà locali, diverse da quelle a noi familiari, in provincia di Treviso». Ottima anche l’interpretazione del Cabernet Franc da parte cantina che lavora 18 ettari in un modernissimo impianto, incastonato nella collina.
«Nell’arco degli anni – conferma Bruna Tocco de L’Osteria di… Delizie e Curiosità – il profilo dei turisti e dei visitatori è cambiato. Si cerca sempre più qualità, disponibilità, un ambiente caldo e accogliente e prodotti genuini. Cerchiamo di assicurare tutto questo tra i tavoli del nostro ristorante di Castelmonte, ovvero nella parte più alta del territorio di Prepotto, a 600 metri sul livello del mare». È il bosco a suggerire gli ingredienti. Selvaggina, mais per la polenta e patate sono elementi essenziali della cucina locale.
PREPOTTO, UN ANGOLO DI PARADISO E LA PATRIA DELLO SCHIOPPETTINO
Circondato da fiumi e monti, Prepotto è un piccolo comune in provincia di Udine, collocato nell’estremo nord-est d’Italia. Confina per 15 km con la Slovenia ed è situato a 6 chilometri da Cividale, Patrimonio Unesco, e 25 da Udine. Da anni è ormai è meta naturalistica molto frequentata da appassionati escursionisti e cicloturisti di tutta Europa. Più recente il successo della Marcia dello Schioppettino, vera e propria case-history che riesce ad attrare ogni anno a Prepotto migliaia di “camminatori” (prossimo appuntamento il 19 febbraio 2023).
Non a caso qui si intersecano ben tre cammini internazionali che attraversano il Friuli-Venezia Giulia: il Cammino Celeste, l’Alpe Adria Trail e la Via Alpina. Uno degli epicentri del turismo è proprio Castelmonte, santuario mariano tra i più antichi del Nord-Est doItalia. E tra le dolci colline terrazzate scorre lo Judrio, fiume di frontiera che separa l’Italia dalla Slovenia e la cui valle offre uno spettacolo naturale in continua evoluzione, ricco di flora e fauna.
Cambia, in base al terreno e al microclima, anche l’espressione del vino simbolo del territorio: lo Schioppettino di Prepotto (e di Cialla), terra d’elezione dell’omonimo vitigno. Oggi è un vino Doc Friuli Colli Orientali poliedrico e capace di restituire nel calice, come pochi, le caratteristiche del suolo. Si passa dalle marne eoceniche (la cosiddetta “ponca“) alle ghiaie. Ma soprattutto da zone più “miti” a zone più fresche.
«La produzione dello Schioppettino – spiegano i promotori di Enjoy Prepotto – è legata indissolubilmente alla tradizione di questo luogo. Non solo perché quasi tutte le aziende vitivinicole locali lo producono da decenni, ma anche perché è il vino che per eccellenza si sposa bene con i piatti tipici della nostra cucina di confine, caratterizzata da influenze e contaminazioni derivanti soprattutto dalla tradizione gastronomica friulana, da quella slava e da quella austroungarica». Insomma, una terra da scoprire. Calice alla mano.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Poco ma buono. Senza farsi mancare nulla. E allora Barbera d’Asti Docg, Grignolino d’Asti Doc, Chardonnay Doc. E gli spumanti? D’obbligo un Metodo Classico (Brut) e un Moscato d’Asti Docg. Papa Francesco è tornato ai “sapori delle radici” durante il pranzo in famiglia in Vescovado, domenica 20 novembre ad Asti. Una selezione curata da Paolo Noto, sommelier e wine-coach dell’EnotecAmica di Campagna Amica Coldiretti Asti.
Vini che accompagneranno il Papa anche al Vaticano, dove Padre Bergoglio potrà disporre di una piccola cantinetta astigiana composta dalle stesse denominazioni apprezzate durante il pranzo in Vescovado.
«Il mio desiderio più grande, così come quello di Campagna Amica – spiega il “sommelier del Papa” per un giorno, Paolo Noto – è che, sorso dopo sorso, Papa Francesco possa ricomporre quell’articolato puzzle delle sue origini, riscoprendo i sapori più autentici della terra astigiana».
Per lui, ho scelto alcune tra le nostre migliori denominazioni, per esprimere il territorio, la tradizione e la cultura locale. Vini importanti, bandiera di questa storica e fertile terra enoica, che attraverso il piacere dei sensi, dall’olfatto alla vista fino al gusto, parlano di terroir, la cui migliore accezione è data dalla sapiente unione di vitigno, microclima, caratteristiche del suolo e lavoro dell’uomo».
«La visita di Papa Francesco – commenta il presidente di Coldiretti Asti, Marco Reggio – è stata una preziosa occasione per infondere speranza anche nel mondo agricolo. Le sue parole sono tornate ad essere linfa vitale, anche per noi agricoltori, per guardare al futuro con più convinzione, impegno e fiducia».
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Con la presente le aziende Alla Costiera, Ca’ Lustra, Quota 101, Reassi, San Nazario, Villa Sceriman, Vignale di Cecilia, Vignalta e Vigna Roda, sono a comunicare le motivazioni che le hanno indotte ad interrompere la carica di socio del Consorzio Volontario per la Tutela e la Promozione dei vini DOC e DOCG Colli Euganei.
La prima ragione risiede nella convinzione che l’eventuale cessione della Doc Serprino alla Doc Prosecco potrebbe causare una grave perdita di identità territoriale. E non si intende solo dell’identità del Serprino ma anche, e soprattutto, delle altre Doc Colli Euganei, primi fra tutti i rossi. Gli interventi usciti nella stampa nel recente periodo, non fanno altro che avvalorare questa tesi, e preoccupante è la dichiarazione rilasciata dal Presidente Marco Calaon, il quale afferma che nella sua visione futura vedrebbe i Colli Euganei come immagine bandiera della Prosecco Doc. (il mattino di Padova del 8.11.22).
Questo è esattamente il pericolo che vorremmo si evitasse, in quanto una menzione così forte inevitabilmente offuscherebbe tutte le altre radicate tipicità del nostro luogo, anziché trainarle, come alcuni sostengono. Le aziende sopra citate ritengono opportuno che decisioni così importanti per i Colli Euganei, che segnano in modo marcato il futuro di un territorio, debbano necessariamente essere discusse il più ampiamente possibile dagli imbottigliatori e dalla base sociale, cosa che invece in questa occasione non è mai avvenuta, essendo l’Assemblea stata posta dinnanzi a scelte quasi obbligate senza un dibattito costruttivo nell’interesse di tutti.
Tutto questo è reso possibile dal fatto che esiste all’interno del Consorzio un problema di rappresentatività che porta di fatto in assemblea ad un forte sbilanciamento della capacità decisionale verso la cooperativa locale. La consapevolezza da parte degli organi amministrativi di avere i numeri per far approvare qualunque decisione sia appoggiata dalla Cantina Sociale, sembra che nell’ultimo periodo abbia fatto perdere l’interesse anche al solo ascolto dell’opinione della minoranza, rappresentata da un certo numero di medio/piccole aziende imbottigliatrici che cercano di far conoscere la qualità enologica dei Colli Euganei».
FOTONOTIZIA – Un’alleanza in cinque punti, che impegna undici associazione del vino al femminile nel mondo a favorire viaggi e esperienze formative tra continenti. È l’ultima frontiera delle Donne del vino italiane, che sbarcano nel mondo grazie al patto siglato oggi, durante la IIª Convention mondiale delle Donne del Vino ospitata al Simei Milano, il salone delle macchine per l’enologia.
Ad accomunare, «la voglia di migliorarsi professionalmente, sconfiggere la diseguaglianza di genere e promuovere la cultura del vino». Il Partnership agreement legherà nel futuro le undici associazioni dell’enologia al femminile del mondo.
Assieme alle Donne del vino italiane, ecco Amuva (Argentina), The Fabulous Ladies’ Wine Society (Australia), 11 Frauen und ihre Weine (Austria), Wow (Croazia), Femmes de Vin (Francia), Baia’s Wine (Georgia), Vinissima (Germania), Women in Wine (Nuova Zelanda), Las Damas del Pisco (Perù) e le delegate dell’associazione “rosa” del Cile.
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È finalmente disponibile la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Quinta edizione per il prodotto editoriale di punta della nostra testata giornalistica, quest’anno in vendita esclusivamente sul nostro portale (non più su Amazon Kindle, come nelle precedenti edizioni). La selezione delle etichette e il conseguente “ingresso” nella Guida 2023 è avvenuto tramite le consuete, rigorose sessioni di degustazione alla cieca. I campioni sono stati dapprima suddivisi per regione e/o denominazione e poi giudicati in due mesi di degustazioni, nel corso dell’estate 2022.
Passano gli anni, ma la linea editoriale della Guida Top 100 Migliori vini italiani di winemag.it resta fedele ai principi fondamentali che rendono così diversa la nostra quotidiana attività rispetto a quella di molte altre realtà. Guardandoci attorno, anzi, notiamo la decadenza senza fine di un settore aggrappato alla propria sopravvivenza più con le unghie e lo stomaco, che col cuore e l’anima.
Approcci superficiali, “marchette”, “compitini” e frasi fatte per compiacere questo o quel produttore, questo o quell’ufficio stampa, sono ormai la regola in un settore in cui ci presentiamo, ormai da anni, come mosche bianche. Un aspetto che ci viene sempre più riconosciuto dalle migliaia di lettori che ogni giorno leggono le nostre wine news, iscrivendosi alla nostra newsletter ed entrando, così, nel profondo della cronaca enologica italiana ed internazionale.
LA FILOSOFIA DELLA GUIDA TOP 100 MIGLIORI VINI ITALIANI 2023 – WINEMAG.IT
Non cambia, non passa, non sbiadisce, non appassisce la nostra voglia di raccontare, anche e soprattutto attraverso lo strumento originale di una Guida Vini, l’Italia del vino più autentica, trincerandoci (anzi, tutelando i produttori stessi) attraverso il blind tasting. Una modalità che premia ancor più l’espressione territoriale, la tipicità e il carattere di ogni singolo vino degustato, senza le distrazioni del “marketing” legato alla singola etichetta e del “rumore” generato da ciò che fa (sempre più, ahinoi) da contorno al calice.
Il nostro approccio alla degustazione è il medesimo riservato alle notizie che quotidianamente appaiono online, sul nostro wine magazine indipendente. Un focus sull’oggettività che mette al centro il lettore, nel nostro duplice ruolo di semplici “megafoni” del mondo del vino italiano (da un lato) e di degustatori appassionati, curiosi e critici (dall’altro).
Crediamo che questo sia il valore aggiunto della nostra Guida Vini, molto distante dal mondo delle Guide italiane ed internazionali che hanno finito per allontanare il pubblico per linguaggio, filosofia e metodologia di lavoro. E soprattutto, dobbiamo dirlo molto francamente, per oggettiva mancanza di fiducia nell’oggettività dei risultati.
Ecco dunque, tra le pagine della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it, grandi nomi accanto a cantine che si affacciano da pochi anni sul panorama enologico italiano ed internazionale. A tutti viene assicurata la medesima dignità, garantita dal tasting alla cieca e dal nostro approccio caldo ma distaccato.
Vini prodotti da grandi cantine e piccoli vignaioli artigianali. Nomi storici e realtà desiderose di affermarsi, che meritano di essere scoperte. Nella Top 100 Migliori vini italiani 2023, così come nelle edizioni precedenti, trovano spazio vini di impronta tecnica e di “metodo” – in grado ovviamente di sfoggiare la propria identità territoriale – e altri che trasmettono l’emozione dell’artigianalità e della cura manuale, esenti da difetti di natura chimica o accidentale.
Sfumature che convivono perché accomunate dalla bontà e dalla capacità intrinseca di comunicare prima a sorsi e, poi, a parole. Pochi, semplici dettami, dicevamo. Bando, tra le altre cose, al cosiddetto “gusto internazionale” – ormai cambiato, anche grazie a consumatori sempre più attenti all’autenticità e alla territorialità – e a scelte commerciali che tendono a uniformare le diverse Denominazioni del vino italiano.
GUIDA TOP 100 WINEMAG.IT: TERRITORIO (E “TERROIR”) AL CENTRO
Snodo importante nella “costruzione” della nostra Guida, è il desiderio di sotterrare l’ascia dell’integralismo e di quello che ci piace definire “razzismo enologico“. Ciò che deve colpire è il vino nel calice, non la filosofia produttiva (“convenzionale”, “naturale”, “biologico”, etc).
L’altro focus della Top 100 di WineMag.it è su produttori e vignaioli che puntano sulla valorizzazione delle espressioni dei singoli “cru” del proprio “parco vigneti”. Alla parcellizzazione e alla valorizzazione della macro eccellenza nella micro selezione. Il tutto ricordando sempre che siamo sognatori, prima che commentatori e critici del nettare di Bacco. Amiamo le persone vere e i vini in grado di trasmettere personalità, nerbo, carattere. Gusto e passione. In una parola? Amiamo il coraggio e chi osa.
Come ogni anno, il nostro sogno, tradotto (anche) in Guida, è quello di essere riusciti a costruire l’ennesima “carta dei vini” alla portata di tutti (dal professionista al consumatore meno esperto, ma desideroso di bere bene). Una selezione in cui regioni e denominazioni perlopiù si mescolano, per mostrare il quadro delle bellezza dell’Italia, racchiuse in “bottiglie sparse” di vino. Tra queste, un’altra novità: i vini dell’anno della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023:
Importante anche lo sguardo sulle quattro Cantine dell’anno 2023, di cui vi invitiamo a scoprire l’intera produzione: Rubinelli Vajol (Cantina italiana dell’anno 2023), Azienda Agricola Possa (Cantina dell’anno 2023 – Nord Italia), Terre del Marchesato (Cantina dell’anno 2023 – Centro Italia) e Tenuta Cerulli Spinozzi (Cantina dell’anno 2023 – Sud Italia). Più che cantine, famiglie del vino italiano. È proprio da loro che vogliamo iniziare il racconto di un anno che ci ha reso fieri del nostro lavoro e di una Guida che ci ha emozionato, non poco, prima, durante e dopo la sua pubblicazione. Buone bevute, con la nostra Top 100.
Davide Bortone Curatore della Guida Top 100 Migliori vini italiani
e direttore di winemag.it
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In fondo, basta un po’ di fantasia. A ovest il Torrente Scuropasso: la Garonne. A est il Torrente Versa: la Dordogne. Con le dovute proporzioni, Buttafuoco storico e Bordeaux condividono l’abbraccio di due corsi d’acqua. Ma è l’approccio alla singola vigna, più unico che raro in Oltrepò pavese, a rendere meno azzardato il parallelismo tra lo “Sperone di Stradella” – l’areale di produzione del Buttafuoco Storico – e una porzione della mitica regione vinicola francese.
Solo 22 ettari, compresi nei comuni di Canneto Pavese, Montescano, Castana e parte dei comuni di Broni, Stradella, Cigognola e Pietra de’ Giorgi. Tutti in provincia di Pavia, a sud del fiume Po. Si trovano qui le vigne del Buttafuoco Storico, molte delle quali presentano pendenze esasperate e basse rese, tipiche della viticoltura eroica.
Una zona di eccellenze, tanto nel calice quanto nel piatto. La riprova grazie al (provocatorio) menu ideato dallo chef Alessandro Folli del Ristorante Ad Astra di Santa Maria della Versa. Piatti a base di pesce, crostacei e molluschi, ingredienti lontani dalla tradizione locale, dimostrano una certa poliedricità nell’abbinamento del Buttafuoco storico, oltre a confermare il buon livello della ristorazione pavese.
UNA «DOCG PRIVATA» ALLA SFIDA DEI TEMPI
Ad accettare la sfida, uscendo dalla comfort zone della classicità del pairing, sono i 17 produttori aderenti al Club del Buttafuoco Storico, desiderosi di allargare i confini di un vino prodotto in tiratura limitatissima – appena 90 mila bottiglie all’anno – assimilabile, per definizione degli stessi vignaioli pavesi, a una sorta di «Docg privata» (se ne era parlato prima del Covid-19).
La guida del Club, prossimo a inaugurare una nuova sede con wine-bar proprio accanto a quella attuale, in frazione Vigalone a Canneto Pavese (PV), è affidata al produttore Davide Calvi. Una mente curiosa e lucida, affiancata nella direzione dal manager Armando Colombi e dall’esperienza del vice presidente Giulio Fiamberti.
Per l’abbinamento, Club e chef hanno scelto due annate (2017 e 2012) della bottiglia consortile “Vignaioli del Buttafuoco storico“, frutto della volontà dei produttori di condensare, in un unico vino, le caratteristiche delle vigne iscritte al rigido “disciplinare” di produzione.
Una “cuvée speciale” ambasciatrice del Buttafuoco storico, assemblata ogni anno, sin dal 2011, da un enologo italiano esterno (l’ultima in commercio, la 2017, è firmata da Michele Zanardo, vicepresidente vicario del Comitato Nazionale Vino Dop e Igp). Per il dolce, un’altra chicca: il Buttafuoco storico chinato.
LE VIGNE DEL BUTTAFUOCO STORICO: GHIAIE, ARENARIE E ARGILLE
I 20 “cru” sono suddivisi da nord a sud in tre macro areali, definiti dalle caratteristiche del suolo. Ghiaie a nord, Arenarie al centro e Argille nella parte meridionale. Sei le espressioni delle Ghiaie: Badalucca, Casa del Corno, Solenga, Beccarie-Carì, Pianlong e Sacca del Prete.
Per le Arenarie ecco gli otto Buttafuoco Storico Bricco in Versira, Pregana, Montarzolo, Canne, Pitturina, Costera, Rogolino e Poggio Ca’ Cagnoni. Meno “congestionata” la sottozona delle Argille con le altre 6 espressioni delle vigne Frach, Catelotta, Garlenzo, Ca’ Padroni, Poggio della Guerra e Casa Barnaba.
Buttafuoco storico dalle Ghiaie: alcolicità e acidità
Territorio più a nord della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di ghiaie inglobate in sabbie. Sottozona caratterizzata da vigne molto ripide che esprimono il meglio a monte della metà collina. Le uve raggiungono elevati gradi di maturazione e si trasformano in vini ricchi, leggermente spigolosi da giovani, ma con elevata longevità.
Producono qui:
Azienda Agricola Fiamberti Giulio
Azienda Agricola Il Poggio di Alessi Roberto
Giorgi
Cantina Scuropasso
Azienda Agricola Bruno Verdi
Buttafuoco storico dalle Arenarie: alcolicità e tannicità
Territorio centrale della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di arenarie compatte in alcuni punti quasi affioranti. Le vigne di questa sottozona sono esposte prevalentemente a Sud-Ovest. La compattezza delle arenarie ostacola la crescita della pianta nei primi anni per dare però alla vite matura una forte resistenza alla siccità. Le uve concentrano la mineralità del sottosuolo e la trasmettono ai vini che si presentano in gioventù leggermente aspri, ma che evolvono in complessa austerità.
Producono qui:
Azienda Agricola Poggio Rebasti
Azienda Maggi Francesco
Azienda Agricola Piovani Massimo
Azienda Agricola Riccardi Luigi
Azienda Vitivinicola Calvi
Buttafuoco storico dalle Argille: alcolicità e corpo
Territorio più a sud della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di argille stratificate. In questa sottozona la pendenza delle vigne è inferiore alle altre due, il fondo è generalmente più fresco e dona alla pianta particolare robustezza. Le uve, favorite da un decorso vegetativo di solito costante, maturano perfettamente. I vini si presentano da subito rotondi e intriganti pur evidenziando notevole struttura e corposità.
Producono qui:
Azienda Agricola Diana
Azienda Agricola Quaquarini Francesco
Tenuta La Costa
Azienda Agricola Giorgi Franco
Azienda Agricola Cignoli Doro
Azienda Agricola Colombi Francesco
Piccolo Bacco dei Quaroni
LE UVE DEL BUTTAFUOCO STORICO: CROATINA, BARBERA, UGHETTA E UVA RARA
L’infernòt dell’Azienda agricola Massimo Piovani, a Monteveneroso (PV)
Come a Bordeaux, anche in quest’angolo posto all’estremo nord-est della denominazione oltrepadana si produce un vino rosso da uvaggio. Al posto di Cabernet e Merlot, il Buttafuoco Storico nasce dal sapiente assemblaggio di Croatina, Barbera, Ughetta di Canneto e Uva Rara.
La prima varietà definisce l’impronta tannica, il colore e i sentori di frutta; la seconda apporta acidità. Le ultime due – spesso raccolte in sovra maturazione, per evitare astringenze ed eccessiva rusticità – regalano ricordi pronunciati di spezie, liquirizia e uvetta passa. Un matrimonio tra uve che, almeno sulla carta, rischia di spaventare il consumatore moderno, sempre più alla ricerca di vini che non eccedano in sovraestrazioni e tenore alcolico. Eppure, non sempre è così.
A dispetto del nome, che richiama l’espressione del dialetto pavese «Al buta me al feüg», ovvero “brucia come il fuoco“, il Buttafuoco storico sa essere elegante e fresco. Nelle migliori espressioni, la potenza dell’uvaggio è attenuata dal savoir-faire dei produttori locali, riuniti sin dal 1996 nel Club del Buttafuoco Storico.
BUTTAFUOCO STORICO E ABBINAMENTO COL PESCE
Gioca tra terra e mare il menu pensato dallo chef Alessandro Folli del Ristorante Ad Astra di Santa Maria della Versa. La vendemmia 2017 dei Vignaioli del Buttafuoco storico non sfigura affatto al cospetto dell’entrée. Nel piatto, tre morsi: un bignè ripieno di robiola, con basilico e caviale di salmone; una carotina in Giardiniera, ricotta di pecora filtrata e perlage di basilico; e una polpetta di tonno alletterato, erbette amare e calemansi (calamondino).
Si osa ancora di più con la portata successiva: capesante scottate con ‘Nduja, mela marinata nel limone, caviale di acciughe, cedro candito e nasturzio. Sorprendente la risposta del Buttafuoco storico alla leggera piccantezza e al gusto delicato ma deciso del mollusco, nella sua componente “dolce”. Chiave del pairing è l’acidità, oltre al lavoro sottile di tannini già piuttosto amalgamati.
Il carico aumenta quando nei calici viene viene versato il millesimo 2012 dei Vignaioli del Buttafuoco storico. Qui spazio alla carne al posto del pesce, come a suggerire che siano le versioni più “recenti” del Buttafuoco storico quelle più adatte ai pairing meno convenzionali. Perfetto, di fatto, l’abbinamento con gli agnolotti che lo chef Alessandro Folli definisce «tra passato e presente».
Per la preparazione ha fatto ricorso a due tecniche di cottura. Il ripieno cucinato in maniera classica, ottenendo il brasato. Il sugo cuoce invece a bassa temperatura, sottovuoto, per 16 ore. Viene poi passato a mano, a coltello, prima di essere unito alla pasta con olio all’alloro macerato 20 giorni e il fondo ottenuto dalle ossa. Un tocco di agrume lega ancor più il piatto al vino.
Perfetto anche l’abbinamento tra il Buttafuoco storico Chinato, vera e propria chicca del territorio, e il gelato al Pepe di Timut, noto anche come Pepe selvatico di Szechuan. Un omaggio dello chef Alessandro Folli al suo maestro Alain Ducasse e al suo sorbetto al limone. Il vino, vendemmia 2017 con infusione di spezie e affinamento per 6 mesi in legno, convince anche con il secondo dessert.
Si tratta di una Mela di Soriasco rivisitata. Dell’originale conserva la forma e il tipico colore rosso dell’involucro di cioccolato bianco e burro di cacao. All’interno uno strudel ottenuto dalla varietà di mele tipica della zona di Santa Maria della Versa e dall’emulsione di tutti gli ingredienti tipici del dolce austro-ungarico.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Tasting of fortified dry or sweet marsala wine in vintage wine cellar with old oak barrels in Marsala, Sicily, Italy, wine glass with wine
A sessant’anni dalla sua fondazione, il Consorzio per la Tutela del Vino Marsala rende noto il suo nuovo corso, con la partecipazione di 16 produttori, tra case vinicole e cooperative del territorio.
Il 27 dicembre 1962, infatti, alcuni produttori locali che avevano a cuore il futuro e la qualità del vino tipico del territorio di Marsala fondarono quello che rappresenta uno dei più antichi Consorzi di tutela d’Italia. La Denominazione di Origine Controllata fu poi riconosciuta nel 1969, rendendo così il Marsala tra i primi vini DOC d’Italia.
L’11 novembre 2022, in concomitanza della chiusura dell’annata agraria 2022, si è riunita a Marsala la nuova assemblea, al fine di approvare l’ingresso di nuovi soci, la modifica dello Statuto, l’elezione del consiglio di amministrazione e la nomina del Presidente. All’assemblea hanno partecipato e sottoscritto l’adesione le cantine: Pellegrino, Florio-Duca di Salaparuta, Lombardo, Intorcia, Curatolo Arini, Fici, Alagna Giuseppe, Martinez, Vinci, Frazzitta, Birgi, Paolini, Casale, Colomba Bianca, Europa, Petrosino.
IL NUOVO CDA DEL CONSORZIO VINO MARSALA
Sono stati nominati il Presidente del Cda Benedetto Renda, unitamente ai due vicepresidenti Roberto Magnisi e Giuseppe Figlioli e ai Consiglieri Francesco Intorcia e Orazio Lombardo.
«Rinasce il Consorzio per la tutela del vino Marsala – sottolinea il neo Presidente del Consorzio Benedetto Renda – e unitamente al Consorzio rinasce la Doc Marsala, marchio che ha reso celebre la nostra città in tutto il mondo. Ciò è reso possibile grazie alla partecipazione di tutti i produttori, riuniti attraverso la forma consortile per collaborare e seguire regole comuni per la produzione del vino Marsala».
Tra i primi obiettivi del Consorzio «il riconoscimento erga-omnes, la tutela e valorizzazione dei territori vocati alla produzione di vino Marsala, oltre che del territorio stesso» e «l’importante modifica del disciplinare di produzione, con l’inserimento della menzione unità geografica aggiuntiva “Sicilia”, al fine di valorizzare ancora di più il marchio “Marsala” nel mondo».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Vittorio Vallarino Gancia è morto all’età di 90 anni. Ha condotto la storica azienda di famiglia fondata nel 1850 dal bisnonno Carlo a Canelli, famosa in tutto il mondo per la produzione di spumante. L’imprenditore, protagonista di un sequestro lampo da parte delle Brigate Rosse, nel 1975, era Cavaliere del lavoro.
Vittorio Vallarino Gancia, classe 1932, aveva compiuto novant’anni lo scorso 28 ottobre. Per l’azienda di famiglia, la piemontese Gancia, ha rappresentato la quarta generazione. Lascia la moglie Rosalba e due figli, Massimiliano e Lamberto. Tra i primi ad esprimere il proprio cordoglio per la scomparsa di Gancia è il presidente di Unione italiana Vini, Lamberto Frescobaldi, insieme al segretario generale Paolo Castelletti e tutto il consiglio nazionale.
Così in una nota: «Unione italiana Vini piange la scomparsa di Vittorio Vallarino Gancia, grande produttore di vino e presidente di Uiv dal 1995 al 2001. Il suo impegno per la nostra associazione è stato da esempio. Uomo di visione, ha senza dubbio contribuito, con passione e costanza, a far crescere il nostro settore».
VALLARINO GANCIA TRA I FONDATORI DEL CONSORZIO ALTA LANGA
Nella foto, i rappresentanti delle “Sette Sorelle” di Tradizione Spumante; Vittorio Vallarino Gancia è il terzo da destra
Vittorio Vallarino Gancia fu inoltre tra i primi a credere nel Metodo Classico piemontese. Con lui Gianfranco Caci e Pier Filippo Cugnasco per la Cinzano, Alberto Contratto per la Contratto, Alessandro Abbruzzese e Livio Testa per Fontanafredda, Giorgio Giusiana per la Martini & Rossi, Ottavio Riccadonna per Riccadonna e Giuseppina Viglierchio per Vini Banfitra. Negli anni Novanta il gruppo di produttori illuminati creò “Tradizione Spumante” da cui sarebbe nata, anni dopo, la denominazione Alta Langa.
«Per il Consorzio Alta Langa – commenta l’ente piemontese – Vittorio Vallarino Gancia è stato un insostiuibile ispiratore e un grande sostenitore: tutti i produttori, di ieri, di oggi e di domani, devono molto alla sua figura e alla sua azione. Le più sentite condoglianze da parte del Consorzio vanno alla moglie Rosalba Borello e ai figli».
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L’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli è realtà. Costituitosi lo scorso 28 maggio, il gruppo che raccoglie 17 cantine si è presentato ufficialmente alla stampa ieri mattina, presso il Museo della Vite e del Vino di Montespertoli. A unire i membri della nuova compagine toscana è il “Patto del Viticoltore di Montespertoli“, che ha l’obiettivo di «promuovere e formare una nuova figura di Viticoltore».
«Un artigiano – spiegano le aziende – che coltivi e trasformi le proprie uve all’interno del Comune di Montespertoli e, così facendo, tuteli non soltanto il proprio vino e il vigneto dal quale lo produce ma, allo stesso tempo, anche il paesaggio, il territorio, la cultura». Montespertoli è uno dei comuni più vitati della Toscana, con una tradizione millenaria in ambito vitivinicolo.
L’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli vuole «soprattutto riportare all’attenzione di tutti gli aspetti qualitativi legati a questi luoghi, caratterizzati da quella straordinaria biodiversità – vigneti, seminativi, oliveti, bosco – che concorre alla bellezza della campagna toscana». L’uva maggiormente coltivata è il Sangiovese. Ma sono presenti anche gli altri vitigni autoctoni, come il Trebbiano.
Aderiscono all’Associazione: Podere all’Anselmo, Tenuta Barbadoro, Casa di Monte, Tenuta Coeli Aula, Le Fonti a San Giorgio, Podere Ghisone, Podere Guiducci, Fattoria La Leccia, La Lupinella. E ancora: Marzocco di Poppiano, Montalbino, Tenuta Moriano, Fattorie Parri, La Querce Seconda, Tenuta Ripalta, Castello Sonnino e Valleprima.
Tra i vini dell’Associazione si possono riscontrare caratteristiche comuni quali la giovanile freschezza e la vena floreale propria del Sangiovese, quando viene interpretato con uno stile di vinificazione più contemporaneo. «Stile che – evidenziano i membri dell’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli – dopo gli eccessi del recente passato, torna a valorizzare il vitigno di partenza e la sua più autentica espressione varietale, declinata nelle molte sfaccettature di cui questo grande vitigno è capace.
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Alzi la mano chi conosce il Vin Santo di Vigoleno Doc Colli Piacentini. A guidare due giornate di incontri, racconti e degustazioni alla scoperta di una delle Doc più piccole d’Italia saranno i produttori dell’Associazione Produttori Vin Santo di Vigoleno Doc, assieme ai sommelier Matteo Cordani e Laura Sandoli. L’appuntamento è per sabato 19 e domenica 20 novembre a Vigoleno, frazione del comune di Vernasca in cui sorge l’omonimo castello, location dell’evento. Solo uno dei tanti luoghi incantati della provincia di Piacenza, tra i borghi più belli d’Italia.
Dal sabato pomeriggio fino alla domenica sera sarà possibile visitare gli stand dei diversi produttori, degustarne le diverse annate nelle loro diverse espressioni ed entrare in questo piccolo mondo di storia, gusto e tradizione secolare, accompagnati dai suoi protagonisti. I produttori di questo vino passito e invecchiato così pregiato e dalla produzione limitatissima si possono contare sulle dita di una mano.
Insieme alle cantine del borgo di Vigoleno saranno presenti altri produttori di vini passiti del territorio piacentino, così vocato alla coltivazione della Malvasia di Candia Aromatica, uva perfetta per l’appassimento. Da quest’anno saranno presenti anche ospiti da altri territori.
IL VIN SANTO DI VIGOLENO
Vino passito e invecchiato per un minimo di 5 anni in botti in legno, il Vin Santo di Vigoleno viene comunemente annoverato tra i vini da meditazione. Rappresenta una delle doc più piccole d’Italia, tutelato dal Consorzio dei Colli Piacentini, prodotto esclusivamente dalle cantine del piccolo borgo di Vigoleno, oggi frazione del comune di Vernasca, in Alta Val d’Arda.
Le uve che lo compongono provengono per almeno il 60% da vitigni autoctoni, Santa Maria e Melara, ad oggi oggetto di studio e tutela da parte dell’Università Cattolica di Milano nella sua sede di Piacenza e di altri importanti poli di studio e ricerca. Altri vitigni permessi in minor quantità sono Bervedino, Ortrugo, Trebbiano Romagnolo.
Frutto di una tradizione tramandata da secoli nelle diverse cantine dell’ex contado amministrato dal Castello, dal 1998 fa parte della Doc “Colli Piacentini Vin Santo di Vigoleno“. Un disciplinare dedicato che ne regolamenta la produzione. Nel 2008, per volontà di un gruppo di viticoltori di Vigoleno, viene creata l’Associazione Produttori Vin Santo di Vigoleno, volta alla tutela e alla valorizzazione di questo antico prodotto ancora oggi (e forse soprattutto oggi) così ricercato.
Dal maggio 2018, l’associazione organizza l’evento dedicato al Vin Santo di Vigoleno, “Vinoleno“, proprio all’interno delle mura del suo castello, tra piazze e stretti vicoli. Info e programma: +39 375 5356788 e +39 320 8936104.
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Il lungo e minuzioso lavoro si è da poco concluso: è finalmente disponibile la mappa delle 142 Contrade dell’Etna Doc. Predisposta dal Consorzio Tutela Vini e realizzata grazie al contributo del Dipartimento Agricoltura dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Siciliana, il documento – che identifica, tra l’altro, 9 nuove contrade – consente di fotografare il territorio etneo, attraverso lo sfaccettato mosaico di Contrade che cingono l’area vitivinicola presente ai piedi del vulcano. Da Nord a Sud.
Il Disciplinare di produzione dell’Etna Doc, la più antica Denominazione di origine controllata presente in Sicilia – istituita nel 1968 – riconosce la presenza di 133 contrade sin dal 2011. L’areale di produzione interessa i territori di 20 comuni, in cui la singola contrada è legalmente equiparata a Unità Geografica Aggiuntiva (UGA).
133 CONTRADE GIÀ PRESENTI NEL DISCIPLINARE DELL’ETNA DOC
Nel lungo lavoro di ricognizione del territorio, l’aggiornamento dei confini ha portato all’individuazione di 9 nuove contrade, che saranno ufficialmente inserite nel prossimo aggiornamento del disciplinare di produzione dell’Etna Doc. Determinante per la loro identificazione il contributo offerto dai produttori aderenti al Consorzio di Tutela.
La nuova Mappa delle Contrade prende in considerazione anche queste ultime 9 unità. Si arriva così al numero di 142 Contrade dell’Etna, suddivise nel territorio di 11 comuni: 25 a Randazzo, 41 a Castiglione di Sicilia, 10 a Linguaglossa, 13 a Piedimonte Etneo, 8 a Milo, 4 a Santa Venerina, 20 a Zafferana Etnea, 9 a Trecastagni, 6 a Viagrande, 1 a Santa Maria di Licodia, 5 a Biancavilla.
Un importante passo avanti per la definizione delle specificità dell’Etna Doc. Sino a ieri, l’identificazione delle contrade, si basava infatti sull’interpretazione di vecchie carte catastali, con curve di livello mai aggiornate e limiti territoriali che oggi non esistono più, anche a causa della continua attività eruttiva dell’Etna. La nuova mappa è stata realizzata a partire da recenti rilievi topografici che sono stati poi sovrapposti a layer cartografici costruiti attraverso più rilevamenti con strumentazioni GIS (Geographic Information System).
SCARICA LA MAPPA DELLE CONTRADE DELL’ETNA IN ALTA RISOLUZIONE
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I Colli Euganei come “Asolo” del Prosecco Doc. Una zona di nicchia, da trasformare in “sottozona” e ulteriore fiore all’occhiello del sistema Prosecco, in particolare di quello senza la “G” di “Docg”. Il tutto allo scopo di valorizzare il Serprino, biotipo (e sinonimo) della Glera allevato proprio sulle colline vulcaniche del Padovano. La proposta è reale e le trattative sono aperte tra i due Consorzi veneti. Ad avviarle è stato proprio il Consorzio di Tutela Vini Colli Euganei, presieduto da Marco Calaon. A confermarlo è l’omologo Stefano Zanette, a nome dell’ente trevigiano.
«La richiesta affinché il nome Serprino, che dal punto di vista normativo è il sinonimo della varietà Glera, potesse venire valorizzato, per i soli produttori dei Colli Euganei, all’interno della Doc Prosecco – rivela Zanette – ci è pervenuta da parte del Consorzio Colli Euganei (così come attestano le comunicazioni ufficiali intercorse), con il reiterato patrocinio di un Organizzazione Professionale di Categoria».
«Il Consorzio del Prosecco Doc, dal canto suo, si è reso disponibile ad accompagnare tale soluzione ritenendo di far cosa gradita al sistema produttivo locale che, in questi anni, ha preferito, in larga parte, rivendicare Prosecco Doc in luogo di Colli Euganei Doc Serprino».
GLERA VS SERPRINO: TIMORI E OPPORTUNITÀ PER I COLLI EUGANEI
Si tratta ovviamente di un vantaggio in termini di prezzi delle uve. Il Serprino, come rivelano a winemag.it alcuni produttori locali, vale attorno ai 38 euro al quintale all’interno della Doc Colli Euganei. Se venduto come Glera da Prosecco Doc si possono anche superare i 100 euro al quintale.
«Nel dirci dispiaciuti per una polemica che, per quanto ci riguarda, definiremo inesistente – aggiunge Stefano Zanette – restiamo in attesa delle decisioni che, in prima istanza, riguardano i produttori di Colli Euganei Doc Serprino. Nel rispetto delle prerogative definite dalla normativa in materia, dovranno scegliere la strada che intendono percorrere. Consapevoli che poi sarà l’Assemblea dei soci del Consorzio Prosecco Doc ad esprimersi nel merito».
Nel frattempo la questione è caldissima sui Colli Euganei. Otto cantine sono uscite dal Consorzio di Tutela, proprio in seguito all’avvio delle trattative tra i due enti di tutela. Tra queste, alcune non producono Serprino. L’impressione è ci sia molto di più rispetto al timore di «glerizzazione dei Colli Euganei». L’eventuale apertura alla sottozona della Doc Prosecco graverebbe ulteriormente sulla visibilità del fiore all’occhiello dei colli vulcanici padovani, ovvero i vini rossi da varietà bordolesi. Qualcosa di unico, specie nella zona di Rovolon.
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Quattordici luglio 2021. Un mercoledì d’estate come tutti gli altri, se non fosse stato per quelle strane foto di barrique galleggianti nel fiume Ahr che iniziavano a diventare virali tra gli abitanti di Bad Neuenahr-Ahrweiler, nel tardo pomeriggio. Di lì a poco, attorno a mezzanotte, l’unico posto sicuro sarebbero diventati i tetti delle case. La città, d’improvviso, si era ritrovata in apnea. Inghiottita da una marea alta due metri. Acqua, mista a fango e detriti.
L’Ahr, esondato ben oltre l’allerta diramato dalle autorità locali, mieteva 134 vittime in 6 ore. Un’interminabile conta dei danni per la città capoluogo del Landkreis Ahrweiler, nel Rheinland-Pfalz, la Renania-Palatinato, 50 minuti a sud di Colonia. A distanza di poco più di un anno dalla tragedia sono i produttori di vino dell’Ahr, principali attori del tessuto agricolo della zona, tra i più danneggiati dall’alluvione del 14 e 15 luglio 2021, ad aver voglia di «normalità». Le carte in regola per tornare a vedere la luce, «anzi trasformare la catastrofe in un’opportunità», ci sono tutte.
AHR: PINOT NERO ASSO NELLA MANICA
L’asso nella manica dei vignaioli dell’Ahr è il Pinot Nero. La varietà originaria della Borgogna, chiamata localmente Spätburgunder, occupa il 65% dei 530 ettari totali della regione vinicola (344 ettari). I vini assumono caratteristiche uniche e distinguibili rispetto a quelli prodotti in Francia. Il merito è del suolo, ricco di sedimenti di origine vulcanica, ardesia, calcare e grovacca. Ma anche del particolare microclima. L’Ahr è infatti la zona vinicola vocata ai vini rossi situata più a nord in Europa.
In un’epoca contraddistinta dai cambiamenti climatici, i produttori locali riescono a preservare le caratteristiche aromatiche della loro uva regina, senza dover intervenire sull’acidità, in cantina. Che il Pinot Nero ami il clima temperato, del resto, è noto anche in Alto Adige. Non a caso, nella regione vinicola italiana più vocata al “Noir“, è già iniziata la caccia ai vigneti di alta quota (alla stregua del Kerner).
LE CARATTERISTICHE DEI GRAND CRU DEL PINOT NERO DELL’AHR
Un altro elemento che rende unico il Pinot Nero dell’Ahr è il rigido sistema di classificazione dei Grand Cru, sul modello francese. In Germania vengono chiamati Grosses Gewächs (abbreviato GG). Costituiscono il vertice della piramide di qualità del VDP (Verband Deutscher Prädikatsweingüter), una sorta di consorzio che raggruppa 200 aziende vinicole tedesche, votate alla qualità assoluta.
Anche se il nome del GG può essere utilizzato in etichetta da aziende che non aderiscono al VDP, l’assaggio dei Pinot Nero dell’Ahr provenienti dai diversi vigneti chiarisce quanto il sistema sia efficace nel caratterizzare a livello organoletticoi singoli Grand Cru.
I vini provenienti da Sonnenberg risultano molto espressivi sul fronte del frutto, più maturo e “pieno” rispetto ad altre vigne: in una parola sono “pronti” prima di altri. Pfarrwingert raggiunge solitamente gradazioni alcoliche di mezzo grado o un grado superiori rispetto alla media. Regala vini fruttati, potenti e di prospettiva, pur elegantissimi, profondi ed equilibrati in tutte le componenti.
I Pinot Nero dell’Ahr di Rosenthal sono croccanti, salini; dal tannino leggermente più pronunciato rispetto a quelli di altre zone (anche se più “pronto” di quelli del fresco cru di Alte Lay, noto fino al 2017 come Domlay). Presentano spesso ricordi balsamici e di liquirizia. A Gärkammer, il Grosses Gewächs (GG) più piccolo dell’intera Germania con i suoi 0,68 ettari (monopolio di Weingut J.J. Adeneuer, inserito nel più vasto comprensorio di Walporzheim) eleganza, gran polpa, possibilità garantita di lungo affinamento e note di grafite più pronunciate che altrove.
Una espressione simile si rileva a Kräuteberg, non lontano appunto dal micro appezzamento di Gärkammer. I terreni ricchi di ardesia, localmente chiamata Schiefer, non lasciano spazio ad equivoci sulla matrice del suolo che si riflette nel calice. Silberberg, in posizione più fresca – al pari di Alte Reben, Grand Cru dove è piantato molto Riesling – esalta il mix tra il frutto rosso tipico del Pinot Noir, la mineralità del loess (löss) e caratteri fenolici e speziati accentuati. Vini dunque meno “immediati”, rispetto a Sonnenberg.
IL FRÜHBURGUNDER DELL’AHR: UN PINOT NERO PRECOCE, “QUASI AUTOCTONO”
I produttori locali stanno investendo molto anche su un’altra varietà di uva di origine francese, frutto di una mutazione del Pinot Nero. Si tratta del Frühburgunder, Pinot Nero precoce che matura circa 2, 3 settimane in anticipo rispetto al Noir. Una varietà “quasi autoctona” per la zona, diffusa nei dintorni di Bad Neuenahr-Ahrweiler dalla notte dei tempi. E salvata dall’oblio dall’Istituto di Ricerca di Geisenheim negli anni Settanta del Novecento (rischiava di estinguersi perché poco produttiva).
La fetta maggiore dei 240 ettari di Frühburgunder presenti al mondo si trova proprio nell’Ahr. Qui occupa il 6% del vigneto locale (32 ettari). Una varietà che ha anche sinonimi italiani: Luglienga Nera, Luviana Veronese, Maddalena Nera, Uva de Trivolte. Così come il Pinot nero, anche il Frühburgunder ha i suoi Grand Cru, o meglio i suoi Grosses Gewächs – GG.
Marienthaler Rosenberg regala vini splendidi, aperti, sin dal primo naso sulla tipica frutta rossa croccante del vitigno (ciliegia, ribes, lampone) e su una spalla acida da vino “glou-glou”, perfetto a tavola (anche) con le zuppe di pesce. Da non perdere anche alcune espressioni di Frühburgunder dell’assolata vigna GGSonnenberg, dove il Frühburgunder, da buon “Pinot Nero precoce”, matura perfettamente. I vini ottenuti da questa porzione abbinano un frutto pieno a tinte speziate e balsamiche, che ricordano la mentuccia.
NON SOLO PINOT NERO E FRÜHBURGUNDER NELL’AHR
Le idilliache colline vulcaniche della Valle dell’Ahr, votate alla viticoltura eroica e meta di turisti che amano perdersi tra vigneti e boschi, soprattutto nella stagione autunnale, non accolgono solo varietà a bacca rossa come Pinot Nero e Frühburgunder. Il 2,7% dei 530 ettari vitati della regione vinicola sono occupati dal Portugieser, varietà oggi molto diffusa in Ungheria. Non mancano in Ahr i vitigni a bacca bianca.
La fetta maggiore è riservata al Riesling (8,2%, ovvero 44 ettari), che qui assume caratteristiche completamente diverse da zone d’elezione come la Mosella. Molto più interessante l’interpretazione dei produttori locali del Pinot Bianco (Weissburgunder, 20 ettari complessivi). Gran parte dei vini prodotti in purezza con questa varietà risultano freschi e succulenti, molto versatili nell’abbinamento a tavola. E soprattutto poco alterati dall’esuberanza alcolica del vitigno, che qui mette in mostra – piuttosto – la sua buona acidità.
LA FRAMMENTAZIONE DEL VIGNETO DELL’AHR
Sono cinquanta le cantine private attive nell’Ahr. Sette aderiscono all’Associazione delle Aziende vinicole di Qualità tedesche (VDP). Ben 3 le cooperative, tra cui la più antica della Germania. Si tratta di WG Mayschoß – Altenahr (Winzergenossenschaft Mayschoß – Altenahr), fondata nel 1868 (nella foto sopra, i soci fondatori) e completamente distrutta dall’alluvione dell’Ahr del 14-15 luglio 2021, in tutte e tre le sue sedi.
Sono già state riattivate la vinoteca e uno spazio per le degustazioni, oltre a parte della produzione che accoglie le uve di circa 400 soci viticoltori, per un totale di 150 ettari. Può contare sulla stessa superficie vitata la seconda cooperativa locale, Dagernova (Die Winzergenossenschaft Dagernova aus Dernau), ma con un numero maggiore di soci, ben 600. Ahrweiler Winzerverein raggruppa invece 78 soci per 24 ettari.
Un quadro di grande frammentazione, quello del vigneto dell’Ahr. Le cantine private si dividono 206 dei 530 ettari complessivi della regione vinicola, dove vasti “corpi unici” di vigna sono cosa molto rara. Un’areale fortemente legato alle vendite in cantina (moltissimi gli enoturisti dalla vicina Olanda: Amsterdam è ad appena 300 Km). Con l’export che si assesta attorno al 5% della produzione complessiva, pari a 31.700 ettolitri annui (circa 4,2 milioni di bottiglie).
Lukas Sermann, 32 anni, è il volto della riscossa di questa fetta di Germania. Sguardo deciso, di chi sa cosa vuole, ferito ma non piegato dal torto subìto da madre natura. A giudicare dalla cantina e dal bistrot che ha aperto la scorsa settimana per la prima volta al pubblico, l’alluvione è ormai alle spalle. Eppure, tra le barrique che galleggiavano nel fiume come mosche in un bicchiere, c’erano pure le sue.
Le sale di affinamento di Weingut Sermann, ad Altenahr, piccola comunità di 1.600 abitanti nella parte “alta” della Valle dell’Ahr, sono state tra le prime ad affogare nel fango. Il fiume, che solitamente ha una profondità media di 80 centimetri, ha raggiunto in questa zona i 5 metri, attorno alle ore 20 del 14 luglio. Superando gli 8, nella notte. Impossibile pensare a barrique e bottiglie in affinamento quando l’unico obiettivo è salvare la pelle.
Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo rilanciato – spiega Lukas Sermann – riaprendo la cantina e dando vita a un bistrot. I piatti sono stati pensati per l’abbinamento con i nostri vini, ma è possibile scegliere anche etichette provenienti da altre regioni tedesche».
Questo giovane vignaiolo dell’Ahr promuove uno stile improntato su freschezza e beva. Lo ottiene attraverso una meticolosa scelta del periodo di raccolta delle uve, sua vera e propria “ossessione”.
TRE VINI DA NON PERDERE DI WEINGUT SERMANN
Altenahrer Übigberg Weissburgunder 2021 “Auf Graben”. Pinot Bianco in purezza. Varietale in gran luce, nonostante l’affinamento in legno nuovo. Note finissime d’agrumi, sorso polposo e allungo salino. Vino di gran gastronomicità. Ottima anche la versione “d’entrata”, per la quale è stato scelto legno usato.
Spätburgunder Rosé de Noir 2021 “Gypsy 2”. La prova che l’Ahr sia in grado di produrre anche rosati d’eccellenza da Pinot Nero. Come sopra: ottimo anche il “base”, vinificato in legno usato.
Altenahrer Eck Spätburgunder 2021 “im Eck 2021 Alte Reben”. Pinot nero da vigne di 80 anni. Un manifesto al vitigno principe dell’Ahr e alla sua immensa eleganza. Delicatissime nuance di spezia sul frutto rosso croccante e chiusura balsamica che ricorda la liquirizia fusa.
Ha perso tutto, con l’esondazione dell’Ahr del 14 e 15 luglio 2021, Weingut Kreuzberg. “Tutto”, al punto di dover trasferire la produzione e lo stoccaggio in un capannone industriale. Per l’esattezza a Meckenheim, poco meno di mezzora di strada da Bad Neuenahr-Ahrweiler. Zona di mele, più che di vigne e vino. Ça va sans dire, un indirizzo temporaneo.
«Vogliamotornare in valle il prima possibile – spiega a winemag.it Lea Kreuzberg (nella foto sopra) -. Il progetto della nuova cantina è già approvato, ma non riusciremo a stabilirci lì prima di dicembre 2023. Tutte le nostre attrezzature sono andate distrutte. Se abbiamo potuto metterci al lavoro subito dopo l’alluvione è stato solo grazie alla solidarietà di altri produttori, che ci hanno donato le strumentazioni».
Lea, 23 anni, sorride mentre cammina tra le vasche di acciaio e le barrique arrivate da ogni angolo di Germania. C’è anche una costosissima pressa pneumatica. Il tetto del capannone è alto decine di metri. Ma la figlia del fondatore di Weingut Kreuzberg, Ludwig Kreuzberg, è un gigante. Di spirito e volontà d’animo. «Mi faccio forza, anche perché papà ha deciso di darmi ancora più fiducia dopo il disastro», sottolinea sorridendo, timida. Il futuro è tutto suo.
TRE VINI DA NON PERDERE DI WEINGUT KREUZBERG
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Spätburgunder 2020 Devonschiefer. Colore leggermente più più carico dei precedenti. Il vino trascorre 16 mesi barrique usate ed è un manifesto al Pinot Nero dell’Ahr e ai suoi terreni ricchi di scisto. Per definizione, un “vino di terroir”. Si apre e progredisce sul frutto, croccante, goloso, che danza sulla spina dorsale minerale. Da provare anche “Devonschiefer R”, sua versione riserva, prodotta in tiratura limitatissima: meno di 400 bottiglie l’anno. Struttura tannica e salinità a fare da spina dorsale sul tipico frutto rosso, con i richiami di legno a dare respiro internazionale al sorso, senza snaturarlo.
Spätburgunder 2020 Silberberg GG. Vigna singola, connotata da un suolo ricco di scisto, condito col loess. Lievi richiami fenolici e struttura tannico-minerale a fare da ossatura. Bel centro bocca sul frutto rosso, che si spinge sino un finale lungo, fresco, in cui i ricordi di ribes e fragolina di bosco appena matura giocano con la consueta vena salina del terreno.
Frühburgunder 2020 Walporzheimer. Vino che è frutto dell’assemblaggio delle uve di tre vigne della zona di Walporzheimer. Abbina l’intrigante morbidezza fruttata del vitigno e la consueta agilità di beva a note speziate conturbanti, che ravvivano e tendono il sorso. Splendido finale salino, lungo, su un tocco di pepe e grafite. Quello che ci vuole per riempire ancora il calice.
È una delle cantine dell’Ahr che aderiscono al VDP, ma soprattutto l’ennesima realtà che sta giovando del ricambio generazionale. Oggi, alla guida di Weingut Nelles c’è Philip Nelles (nella foto sopra), 37enne le cui idee cominciano a pesare in azienda. Sia dal punto enologico, che organizzativo.
C’è il suo zampino nella stilistica della gamma di vini, fedeli all’espressione delle singole vigne, in piena filosofia VDP. Ma anche nella scelta di investire in un’ampia e moderna sala di degustazione, spazzata via dall’alluvione dell’Ahr, a poche settimane dall’inaugurazione. Non si è salvato nulla. Tantomeno le sale di affinamento, poste nei sotterranei.
Nei giorni del disastro, oltre a centinaia di volontari giunti da tutta la Germania, ha fatto visita a Weingut Nelles anche Olaf Scholz, in qualità di ministro delle Finanze, prossimo a ricoprire il ruolo di cancelliere. Un’ulteriore spinta a rimboccarsi le maniche per Weingut Nelles, cantina nata dalle ceneri di una cooperativa il cui anno di fondazione affonda nella notte dei tempi: quel 1479 che campeggia, tuttora, sul logo aziendale.
TRE VINI DA NON PERDERE DI WEINGUT NELLES
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Spätburgunder Burggarten GG 2020 “B-52”. Chiarissima sin dal primo naso la matrice vulcanica che caratterizza i suoli di questo Pinot Nero dell’Ahr, proveniente dal Grosses Gewächs (GG) Burggarten. Altrettanto chiara l’estrema eleganza che si snoda dal primo naso al retro olfattivo, nonostante il vino sia solo all’inizio del suo lungo percorso di vita. Pregevole la speziatura che accompagna l’incedere delle note di fragolina di bosco, ribes e lampone, perfettamente mature e piene (la vigna ha 40 anni), su una freschezza dirompente. Chiude su una sottilissima percezione tannica che, unita alla vena sapida, chiama il sorso successivo. Legno nuovo (15 mesi) usato con grande sapienza, per conferire ancora più complessità a un nettare di “partenza” di elevatissima qualità.
Spätburgunder Schieferlay GG 2020 “SL”. La sigla sintetizza il nome del Grosses Gewächs (GG) di provenienza delle uve, ovvero Schieferlay. Stessa tecnica di vinificazione di “B-52”, ma suolo che in questo caso è ricco di calcare. Il nettare si presenta nel calice del tipico rubino luminoso. Naso aromatico, di grandissima pienezza. È il palato a confermare il perfetto bilanciamento tra frutto e acidità, con la salinità a fare da spina dorsale, ancora una volta specchio fedele del terreno nei vini di Weingut Nelles. L’alcol aiuta ad ammorbidire le durezze e, con l’elegantissima trama tannica, contribuisce a chiarire le doti di lungo affinamento del nettare.
Spätburgunder Rosenthal GG 2020 “R”. Suolo di scisto, molto sassoso al Grosses Gewächs (GG) di Rosenthal. Vino in cui domina la componente fruttata e in cui giunge netto il richiamo alla liquirizia e a un tocco di vaniglia. Note tostate in chiusura e retro olfattivo. Tra i vini di Nelles, “R” è quello che rivela con maggiore chiarezza l’utilizzo di legni nuovi. Una scelta spiegabile dal maggiore apporto fenolico e tannico delle uve di Rosenthal rispetto ad altri GG. Nel complesso un vino giovanissimo, a cui dare tempo è un obbligo, oltre che una scelta che si rivelerà azzeccata: anche “R” darà grandissime soddisfazioni nella sfida col tempo.
Peter Kriechel gestisce con il fratello Michael la cantina di lunga tradizione famigliare, nel cuore di Bad Neuenahr-Ahrweiler. Presiede l’associazione dei produttori locali e crede tanto nel Pinot nero dell’Ahr quanto nelle potenzialità del Frühburgunder.
Non a caso, Weingut Peter Kriechel possiede ben 4 ettari di questo “Noir” precoce. E grazie a un lungo lavoro di selezione è riuscito ad ottenere il proprio clone di Frühburgunder, che riesce a maturare addirittura circa una settimana prima di quello” classico”.
Un vitigno con cui Kriechel sta sperimentando in campo anche fuori dai confini della Germania, ovvero in Svezia e Olanda. La cantina, completamente sommersa dall’esondazione del fiume Ahr del 14 e 15 luglio 2021, ha un’altra particolarità. È l’unica, cioè, ad utilizzare per l’affinamento legni “autoctoni” della piccola regione vinicola tedesca, da 1.300 litri.
Non è finita qui. Grazie ai 30 ettari complessivi e allo spirito rivoluzionario e innovatore della famiglia, Weingut Peter Kriechel ha avviato da qualche anno la produzione di due spumanti Metodo classico (Sekt) da uve Meunier (Brut e Nature), che vale la pena di scoprire.
TRE VINI DA NON PERDERE DI WEINGUT PETER KRIECHEL
Marienthaler Rosenberg Frühburgunder 2020. Splendido naso di ciliegia appena matura, oltre a lampone e ribes. Espressione del frutto che conquista anche al palato, consistente, fresco, goloso, impreziosito da speziatura elegantissima e terziari composti. Un vino prodotto solo nelle annate migliori.
Ahr Spätburgunder 2020 “S”. Avete presente il vino che vorreste trovare fresco e servito sul tavolo, al ritorno a casa dopo una giornata nera? Eccolo. Deliziosa espressione del Pinot Nero dell’Ahr, in una delle sue versioni più agili e beverine, ma non per questo banali. Nella gamma di Weingut Peter Kriechel, il vino d’entrata: occhio, però, a non sottovalutarlo.
Ahrweiler Rosenthal Spätburgunder 2020. L’ennesimo spaccato delle potenzialità del Pinot nero in questa piccola regione vinicola tedesca, in particolare nelle sfaccettature di Rosenthal. Naso intrigante e stratificato, dal fiore al frutto alla spezia. Sorso profondo, proprio grazie ai ritorni della componente speziata, e centro bocca di gran eleganza, stuzzicato da salinità e freschezza. Tannino modellato sulla polpa, tanto da frenarne l’incedere esuberate, in punta di spada. Persistenza lunghissima, fresca, tesa, speziata, balsamica di liquirizia (marcatore di Rosenthal) e mentuccia.
Marc Adeneuer, ex presidente dell’associazione di produttori dell’Ahr, è uno che non le manda a dire. Dentro e fuori dal calice cerca la purezza dell’espressione, che spesso passa dalla parola e dalla forma più diretta. Porta avanti una visione di vino, di cantina e di territorio che si spiega in una parola: “Purist“. Il nome prescelto per una linea dei suoi vini.
Weingut J.J. Adeneuer è il riflesso di questa filosofia. A condurla, assieme a Marc (nella foto sopra), c’è il fratello Frank. I due hanno preso in mano le redini dell’azienda di famiglia, con una tradizione centenaria in Valle Aurina, nel 1984. Da allora è cambiato molto. Anzi, tutto. L’adesione al Verband Deutscher Prädikatsweingüter (VDP) è stato quasi scontato.
Un sigillo sull’idea di qualità che la cantina di Ahrweiler intende difendere e portare avanti. Se l’avvento di Marc e Frank ha portato con sé anche l’innovativo avvio della produzione dei vini bianchi, lo stile dei vini rossi di Weingut J.J. Adeneuer è tra i più tradizionali dell’Ahr. La ventata di novità sarà quella di Tim, rappresentante dell’ultima generazione di questa appassionata famiglia di produttori.
TRE VINI DA NON PERDERE DI WEINGUT J.J. ADENEUER
Spätburgunder Walporzheimer Gärkammer GG 2020. Con i suoi 0.68 ettari nel più vasto comprensorio di Walporzheim, Gärkammer è il Grosses Gewächs (GG) più piccolo per estensione della Germania ed è monopolio di Weingut J.J. Adeneuer. Viti di 80 anni di età media, tra cui alcune centenarie a piede franco. Il nome del “Grand Cru”, tradotto in italiano, suonerebbe come “Camera” (Kammer) “di fermentazione” (Gär). Il termine designa il particolare microclima della parcella, caratterizzato da ardesie che catturano il calore diurno e lo sprigionano alle piante nella notte. Il calice dello Spätburgunder Gärkammer GG 2020 è uno dei biglietti da visita più autentici del Pinot Nero dell’Ahr. La concentrazione del frutto (non solo rosso, presente anche ricordi di mora matura) la fa da padrona, sulla spina dorsale della salinità, e su una profondità elegante. Ricordi di grafite rendono ancora più intrigante Gärkammer, assieme a una lunghezza da Noir di caratura internazionale.
Spätburgunder Alte Lay GG 2020. È proprio ad Alte Lay che Mark e Frank Adeneuer impiantarono il loro primo vigneto su terrazzamenti, nel 1984. Fragolina di bosco e lampone danzano nel rubino luminoso di quest’altro “Grand Cru” di J.J. Adeneuer, più “timido” di Gärkammer ma non per questo meno espressivo. Tannini soffici, ma presenti. Bella espressione giovanile di un Pinot nero di gran prospettiva, frutto di un cru connotato da un microclima più fresco rispetto a molti altri nell’Ahr. Una zona ancora meno influenzata dai cambiamenti climatici che sembrano riguardare in maniera solo marginale questa regione vinicola tedesca, unica nel mondo per la sua naturale vocazione alla produzione di grandi vini rossi.
Frühburgunder Sonnenberg GG 2020. L’inclinazione del vigneto e la perfetta esposizione a Sud fa di Sonnenberg uno degli appezzamenti privilegiati per la maturazione ottimale del “precoce” Frühburgunder. Suoli ricchi di arenaria, grovacca e loess per l’appezzamento a disposizione di J.J. Adeneuer. Ecco la bella presenza di sole anche nel calice: frutto pienamente maturo (fragolijna di bosco, ma anche ribes nero), e bella speziatura tipica della varietà in retro olfattivo, oltre a un tocco di liquirizia salata. Anche in questo caso, vino all’inizio del suo percorso di vita.
UN PO’ DI ITALIA NELL’AHR
Si chiamano Alex Eller, Felix Brüggert e Niklas Körtgen e hanno tutti 26 anni. Sono i fondatori di quella che è, senza ombra di dubbio, la cantina della regione vinicola tedesca dell’Ahr con la più bassa età media: Jungwinzer Next Generation. Un nome, un programma. I tre giovani enologi condividono un progetto enologico comune, pur essendo impiegati rispettivamente in tre diverse aziende vinicole del territorio, dopo essersi formati in Italia, per l’esattezza in Alto Adige.
Alex Eller lavora a Weingut Jean Stodden e ha effettuato il suo tirocinio da Castelfeder, a Cortina. Felix Brüggert, enologo di Weingut Paul Schumacher, si è fatto le ossa a Kellerei Eisacktal, ovvero Cantina Valle Isarco, a Chiusa, non lontano da Bressanone. Niklas Körtgen, in forza a Winzerhof Körtgen, è tornato in Ahr dopo l’importante occasione formativa da Kellerei Tramin, a Termeno.
L’idea di Jungwinzer Next Generation è quella di proporre al mercato vini di facile comprensione e, soprattutto, dal costo contenuto. Il tutto senza rinunciare alla qualità, dalla vigna (un solo ettaro) alla cantina. Le etichette, dalla grafica moderna, colorata e accattivante, chiariscono un concetto confermato anche dagli assaggi del Pinot Nero (Spätburgunder), proposto in ben sei versioni: rosso, riserva, rosé (fermo e spumante Brut) e blanc de noir (fermo e spumante Brut). Completa la gamma l’altra bollicina Müller Turbo Sekt dry.
Non manca un po’ di Italia neppure nella ristorazione della regione vinicola dell’Ahr. Damiano Tucci, 59 anni, gestisce assieme alla moglie Erika Verses, 50 anni, la pizzeria Pizza Da… Miano. Siamo nel cuore del capoluogo Bad Neuenahr-Ahrweiler, all’altezza di Ahrhutstraße, 40. La coppia, giunta in Germania ormai 6 anni fa da Rovigo, ha superato indenne il periodo del Covid-19, per poi vedere il proprio piccolo locale completamente distrutto dall’alluvione del 14-15 luglio 2021.
Oggi la pizzeria Pizza Da… Miano è diventato un punto di riferimento per la pizza nel circondario, servita al trancio a pochi passi da St. Laurentiuskirche, la splendida chiesa attorno alla quale si concentra il maggior numero di locali, ristoranti e birrerie tradizionali della zona, con vista sulle colline del Pinot Nero dell’Ahr.
«Le cose adesso vanno molto bene – racconta – ma non ce l’avremmo fatta senza l’aiuto di tantissimi giovani giunti da tutta la Germania, sin dalla ore successive al disastro, e agli aiuti del governo. Il peggio è alle spalle e ora la zona può rinascere, grazie ai suoi straordinari vini».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Otto aziende fuori dal Consorzio Vini Colli Euganei. L’ente padovano presieduto da Marco Calaon, il cui secondo mandato è stato rinnovato a dicembre 2020, è una polveriera. Tra l’inizio di luglio 2022 e la scorsa settimana hanno fatto le valige da Vo le cantine Ca’ Lustra, Quota 101, Vignale di Cecilia, Vini San Nazario, Vigna Roda, Alla Costiera di Gamba Filippo, Reassi e Vignalta. Sbattendo la porta.
L’erga omnes non è a rischio. Il gruppo di dissidenti strappa appena un centinaio di ettari al Consorzio. Secondo fonti di winemag.it, le cantine dimissionarie chiederebbero tuttavia proprio la testa del presidente Calaon e dell’intero Cda.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, in via ufficiosa, sarebbe il blocco degli impianti del Serprino (biotipo dell’uva Glera) votato lo scorso giugno dalla maggioranza dei soci del Consorzio Vini Colli Euganei. Tre anni “Serprino free” (2022-2024) motivati dalla volontà di bloccare quella che localmente viene definita «Glerizzazione dei Colli Euganei».
PROSECCO DOC VERSO LA SOTTOZONA DEL SERPRINO?
In zona sono pochi i produttori che imbottigliano spumanti o frizzanti Serprino Doc Colli Euganei, preferendo piuttosto vendere le uve o il vino sfuso. Un fenomeno reso ancora più evidente dalla decisione della Doc Prosecco di attivare la misura dell’attingimento temporaneo per la campagna vendemmiale 2022, votata dal Cda trevigiano il 24 giugno e avallata da Regione Veneto il 26 luglio.
I conti, tuttavia, non tornano. Tra le aziende uscite dal Consorzio Vini Colli Euganei, più d’una non produce Serprino. Ecco perché le cause dei dissidi andrebbero ricercate altrove. Ma pur sempre nell’ambito della gestione dell’ente da parte del presidente Marco Calaon, figura considerata da molti vicina alla cooperativa locale.
Sul tavolo resta comunque aperta un’opzione intrigante per il futuro dei produttori dei Colli Euganei. Il Consorzio Doc Prosecco avrebbe già dato il via libera all’istituzione della sottozona del Serprino. Per l’intero sistema Prosecco si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione. Il carattere “vulcanico” del biotipo di Glera allevato sugli Euganei offrirebbe un’opportunità di diversificazione dell’offerta a una Denominazione che ha messo nel mirino il miliardo di bottiglie, da raggiungere nei prossimi 5, 8 anni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
FOTONOTIZIA – Dopo il caso della cantina toscana, scagionata dall’accusa di aver copiato la bottiglia dorata, un’altra tegola per Bottega nelle aule dei tribunali. L’azienda trevigiana fa sapere di aver «preso atto con perplessità ed amarezza del proscioglimento della ditta Santero», potata in giudizio da Sandro Bottega per aver «copiato Petalo Moscato Vino dell’Amore, marchio storico dell’azienda Bottega, con il vino spumante Moscato Tempo».
«Il reato di utilizzo di segni ingannevoli ex art. 517 CP risulta essersi prescritto», evidenzia il patron della cantina veneta, commentando le motivazioni della sentenza della Cassazione Penale. Un caso iniziato nel marzo 2012 con la denuncia da parte di Bottega e oggi giunto all’epilogo.
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Il Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti Docg sceglie il «silenzio stampa» sulla vicenda legale che vede coinvolta l’associazione La Dolce Valle, presieduta dall’ex direttore dello stesso ente piemontese, Giorgio Bosticco, dimessosi nel 2019 per aderire al pensionamento. «Non verranno rilasciate dichiarazioni in merito», fa sapere l’ufficio stampa. In zona, alcuni soci sperano invece in una costituzione del Consorzio nel procedimento a carico dell’associazione per truffa aggravata all’Ue.
L’ex dirigente e amministratore de La Dolce Valle Giorgio Bosticco è accusato insieme ad Andrea Gamba, sindaco di San Martino Alfieri (AT), consigliere provinciale del Pd con delega al Pnrr, responsabile commerciale della Vignaioli Piemontesi Sca ed ex amministratore della società P. Agroservice, di aver presentato a Regione Piemonte due distinte richieste di contributo a fondo perduto, duplicando artificiosamente i costi di una manifestazione di promozione e valorizzazione di Dop e Docg, tenutasi in contemporanea ad Asti ed Alba.
Tra i prodotti promossi nell’ambito del Feasr – Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, c’era proprio il Moscato d’Asti, oltre alla Nocciola Piemonte Igp e al Miele Piemonte. La Dolce Valle, che risulta ora in liquidazione, era stata costituita proprio dal Consorzio dell’Asti Docg, dal Consorzio di Tutela Nocciola Piemonte Igp e dall’Associazione Produttori Miele Piemonte.
CASO LA DOLCE VALLE: RESPINTA LA RICHIESTA DI DISSEQUESTRO
I finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Asti hanno effettuato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di 199.699,31 euro nei confronti dell’associazione. Il tribunale, proprio nei giorni scorsi, ha respinto la richiestadi dissequestro della somma, presentata dai legali dell’associazione La Dolce Valle. Molto diversi gli importi rinvenuti dai finanzieri.
A Giorgio Bosticco vengono contestati circa 184 mila euro, mentre ad Andrea Gamba circa 14 mila. Sul conto corrente dell’associazione sono stati rinvenuti invece solo 800 euro. E oggi anche Gamba, contattato telefonicamente da winemag.it, sceglie la strada del Consorzio dell’Asti: «Non rilascio dichiarazioni, perché sono completamente estraneo alla vicenda».
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Crisi energetica, inflazione e una situazione internazionale delicata non scalfiscono il mercato dei fine wines. Che, anzi, continua a crescere a livello globale interessando anche l’Italia, dove il numero di investitori è in costante aumento. Non solo. Una delle aziende leader nel settore degli investimenti in fine wines ha già individuato le prossime frontiere: Avellinese ed Etna. «Zone – come spiega il Master of wine Gabriele Gorelli – dalle quali ci si può aspettare una grande crescita nei prossimi anni».
Sono tre i fattori che conferiscono valore ai vini di pregio: altissima qualità, rarità ed elevata domanda. Caratteristiche che continuano a proteggere dalle perturbazioni dei mercati tradizionali quel meno dell’1% della produzione mondiale definibile “fine wine”. Rendendola, a tutti gli effetti, un “bene rifugio”. Come l’oro o l’arte.
MERCATO DEI FINE WINES IN ASCESA
Nel trimestre appena trascorso, a ottenere i migliori risultati sono infatti stati gli indici Liv-ex Champagne 50 (+8,7%) e Italia 100 (+3,7%). L’indice italiano, che raccoglie 5 Super Tuscan e 5 produttori piemontesi, è in crescita continua: +15,4% nell’ultimo anno, +29% nel corso degli ultimi 2 anni e addirittura +48% nel quinquennio.
A contribuire al rafforzamento sul mercato secondario del valore dei vini pregiati italiani sono stati i dazi all’importazione imposti dagli Stati Uniti dal 2019 al 2021. Anche la quota di mercato internazionale dei fine wines italiani è salita dall’8,8% nel 2019 al 15,1% nel 2020 e al 15,4% nel 2021, stabilizzandosi all’11,8% nel 2022.
FINE WINES ITALIANI: TOSCANA IN TESTA, CRESCE IL PIEMONTE
La distribuzione dei territori dei vini di pregio italiani vede ancora in testa la Toscana, che rappresenta il 57,7% del mercato, ma con il Piemonte che è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno. A crescere è anche il numero di italiani che decidono di investire nel settore, spesso giovani tra i 30 e 40 anni.
Liv-ex 100, l’indice che monitora l’andamento dei prezzi dei 100 dei vini pregiati più ricercati sul mercato secondario, negli ultimi due anni è cresciuto addirittura del 36,7%, conoscendo solamente una lievissima flessione – lo 0,3% – a luglio 2022, prima di ricominciare la sua salita ad agosto e settembre.
Il Liv-ex 1000, l’indice che monitora l’andamento dei prezzi sul mercato secondario di mille vini dei sette sottoindici delle aree vitivinicole più di pregio al mondo – ovvero il Bordeaux 500, il Bordeaux Legends 40, il Borgogna 150, lo Champagne 50, il Rodano 100, l’Italia 100 e il Resto del Mondo 60 – accentua ulteriormente questo andamento con una crescita del 37,8% negli ultimi due anni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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