EDITORIALE – Se avesse scelto il calcio al posto della viticoltura, Hans Karl “Hannes” Pichler sarebbe stato il classico regista alla Demetrio Albertini, o un trequartista alla Roberto Baggio. Testa, visione di gioco, tempismo, azione. Graspo Alto, il Valpolicella Doc di Contrada Palui, pare più un assist illuminante che un vino. Un filtrante in area di rigore per la denominazione che, più di tutte in Italia, si sta interrogando e trasformando. Confermando quell’innata capacità di incontrare il gusto dei consumatori. Senza rinunciare alla tipicità. O, peggio, scadere nella “moda”. Un vino da pensare, oltre che da bere. Il game-changer buttato nella mischia – con l’aplomb – dal viticoltore di origini altoatesine innamorato della «Valpolicella estrema». Quella Val Squaranto che, dall’alto dei suoi 500-550 metri di altitudine, costituisce l’ultima frontiera “eroica” della terra dell’Amarone. La “sottozona” (virgolette d’obbligo) dalla quale stanno arrivando i messaggi più belli.
Con i suoi 11,5% di alcol in volume e la sua estrema freschezza e verticalità, Graspo Alto è il vino che introduce nella gamma della giovanissima cantina Contrada Palui. Lo fa con lo stesso frastuono, secco e deciso, della mano sbattuta sulla cattedra dal professore che vuole richiamare gli alunni distratti, seduti sul fondo della classe. Uno schiaffo alle sovraconcentrazioni, al residuo zuccherino ingombrante e piacione. Ai colori impenetrabili che poco, nulla hanno a che fare col Valpolicella Doc che guarda al futuro. Graspo Alto 2021 (91/100) cattura sin dal colore, quasi rubino fluorescente. La componente tannico-fenolica, perfettamente matura ed integrata, danza al ritmo scandito da floreale, fruttato e spezie.
I suoli calcarei argillosi, ricchi di selce e blocchi di basalto, danno al vino quella spina dorsale che si tramuta, nel calice, in un inno alla gioia della beva. «Potrei chiamarlo il mio “concetto di Schiava” in Valpolicella», ammette Hannes Pichler tirando in ballo la sua terra d’origine e centrando in pieno il punto. Allargando ancor più il cerchio ai “rossi leggeri” internazionali, il paragone con la Kadarka, altra varietà a bacca rossa in grado di dare vini simili, specie in Ungheria, è d’obbligo. Del resto, di fronte ai vini di Contrada Palui, seduti nella sala degustazione con vista su Verona e alle spalle i Monti Lessini, la mente non può che viaggiare. Ben saldi a terra, i piedi. Nella Valpolicella che verrà. Prosit.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È scontro tra la famiglia Boscaini (Masi Agricola) e il socio Renzo Rosso (Red Circle Investments). Il Consiglio di Amministrazione di Masi Agricola Spa, riunitosi in mattinata dopo aver «esaminato il parere legale circa la violazione del divieto di concorrenza da parte degli Amministratori Arianna Alessi e Lorenzo Tersi», ha convocato l’Assemblea ordinaria per il 21 luglio 2023 alle ore 11.00. L’obiettivo dichiarato è la «revoca dei predetti Amministratori. Qualora la revoca fosse approvata, l’Assemblea sarà chiamata a deliberare in merito all’integrazione dell’organo amministrativo o alla riduzione dei suoi componenti.
Pronta la replica di Red Circle Investments, affidata a un’altra nota stampa. «Dopo che Renzo Rosso, da oltre trent’anni attivo nel settore del vino con Diesel Farm, è stato amministratore di Masi Agricola e solo dopo che Red Circle Investments ha impugnato il bilancio, improvvisamente i Boscaini si accorgono che vi sarebbe un rapporto di concorrenza che impedirebbe agli amministratori designati da Red Circle Investments medesima, Arianna Alessi e Lorenzo Tersi, di mantenere tale carica e ricorrono a questo pretesto per revocarli».
Secondo Red Circle Investments, che detiene il 10% delle quote di Masi Agricola, si tratta di «un comportamento illegittimo e abusivo, ennesima riprova della chiusura al dialogo del management e della maggioranza di Masi Agricola». Poi, l’ultimo tuono: «Red Circle reagirà in ogni sede anche quale azionista di minoranza». La notizia scuote il settore a quattro giorni dall’annuncio dell’aumento della quota di partecipazione di Fondazione Enpaia (da 6,2 a 7,6%) nella società detenuta in maggioranza da Sandro, Bruno e Mario Boscaini (ciascuno con il 24,5%).
MASI AGRICOLA, IL FOCUS
Masi Agricola è un’azienda vitivinicola radicata in Valpolicella Classica che produce e distribuisce vini di pregio ancorati ai valori del territorio delle Venezie. Grazie all’utilizzo di uve e metodi autoctoni, e a una continua attività di ricerca e sperimentazione, Masi è oggi uno dei produttori italiani di vini pregiati più conosciuti al mondo. I suoi vini – e in particolare il suo Amarone – sono pluripremiati dalla critica internazionale.
Il modello imprenditoriale del Gruppo coniuga l’alta qualità e l’efficienza con l’attualizzazione di valori e tradizioni del proprio territorio. Il tutto in una visione che porta Masi a contraddistinguersi non solo per il core business, ma anche per la realizzazione di progetti di sperimentazione e ricerca in ambito agricolo e vitivinicolo, per la valorizzazione e la promozione del territorio e del patrimonio culturale delle Venezie. Il Gruppo può contare su una forte vocazione internazionale: è presente in circa 140 Paesi, con una quota di esportazione di circa il 72% del fatturato complessivo.
Il Gruppo Masi ha fatturato nel 2022 circa 75 milioni di euro con un EBITDA margin del 18% circa. Masi ha una precisa strategia di crescita che si basa su tre pilastri: «Crescita organica attraverso il rafforzamento nei tanti mercati dove è già protagonista; allargamento dell’offerta di vini legati ai territori e alle tecniche delle Venezie, anche aggregando altre aziende vitivinicole; raggiungimento di un contatto più diretto con il consumatore finale, dando più pregnanti significati al proprio marchio, internazionalmente riconosciuto».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sisters Albiera, Allegra, and Allessia Antinori, with their father Marchese Piero Antinori, in their family's Antinori Chianti Classico Winery,
Chianti Classico region, Tuscany, Italy
«Occhio ai Cabernet Sauvignon della regione di Stag’s Leap», titolava in tempi non sospetti un articolo di winemag.it dedicato alle espressioni della varietà bordolese in Napa Valley. Casualità che oggi trova riscontro nell’ufficializzazione dell’acquisto da parte di Marchesi Antinori «della piena proprietà di Stag’s Leap Wine Cellars, dopo 16 anni di partnership con l’azienda americana Ste. Michelle Wine Estates».
«Il nostro obiettivo – sottolinea Piero Antinori, presidente Onorario di Marchesi Antinori – è quello di preservare il prestigio di questa storica azienda, che indubbiamente rafforza la nostra presenza in un mercato strategico come quello degli Stati Uniti. L’acquisizione di Stag’s Leap Wine Cellars è la conferma della nostra convinzione dell’importanza di questo terroir straordinario nello scenario internazionale».
L’operazione, precisa Marchesi Antinori, è stata portata a termine «attraverso il ricorso a mezzi propri e con il supporto di Mediobanca in qualità di Advisor finanziario, di Intesa Sanpaolo, quale Banca Agente e finanziatore insieme a Cassa Depositi e Prestiti e Banca Nazionale del Lavoro». SIMEST e Fondo di Venture Capital del Ministero degli Esteri (MAECI) hanno affiancato l’acquirente nel capitale della società americana. Pricoa Private Capital, parte del Gruppo PGIM Inc., ha sottoscritto un’emissione obbligazionaria finalizzata all’acquisizione.
STAG’S LEAP WINE CELLARS: UNO DEI SIMBOLI DELLA NAPA VALLEY
Stag’s Leap Wine Cellars è considerata una delle aziende vitivinicole più importanti dell’area della Napa Valley, in California. Fondata nel 1970 da Warren Winiarski, la tenuta è oggi conosciuta in tutto il mondo soprattutto per la produzione di Cabernet Sauvignon di eccellenza. Questa storica azienda vinicola divenne famosa dopo il 1976, anno del cosiddetto “Judgment of Paris”, quando a Parigi fu condotta una degustazione alla cieca in cui una giuria di 9 degustatori francesi assaggiò i migliori Cabernet e Chardonnay californiani confrontandoli con alcune delle migliori etichette di Bordeaux e Borgogna.
A dispetto delle previsioni, furono proclamati vincitori proprio i vini californiani, considerati fino ad allora solo come una curiosa novità sul panorama vinicolo mondiale. A ottenere il primo posto fu proprio S.L.V. 1973 Cabernet Sauvignon di Stag’s Leap, decretando una piccola rivoluzione nel mondo del vino. Stag’s Leap Wine Cellars produce tre Cabernet Sauvignon: CASK 23, S.L.V. e FAY, tra i più ricercati Cabernet al mondo dai collezionisti. Lo stesso stile classico è espresso dai vini di tenuta come ARTEMIS Cabernet Sauvignon, KARIA Chardonnay e AVETA Sauvignon Blanc.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
L’Aglianico dei Campi Taurasini è quel ragazzetto che si presenta in tuta al matrimonio di un parente. Un po’ inadatto, forse. Ma tutto sommato perdonabile. In primis per l’età. E poi per la consapevolezza di non essere lui il festeggiato. All’ombra di un colosso muscoloso e strutturato come il Taurasi (lui sì, sempre, il re della festa), l’Aglianico dei Campi Taurasini sembra vivere un momento d’oro, sull’onda di una presa di coscienza dei propri mezzi al cospetto dei gusti dei consumatori moderni. Merito dei produttori dell’Irpinia, che a Campania Stories 2023 hanno sfoggiato amabili profili fruttati e sorsi sapidi e tesi per quelli che, fino a ieri, potevano essere considerati i “vini base” di una gamma aziendale al cui vertice – inamovibile – figura per l’appunto il Taurasi.
Un primato che non è in discussione. Tuttavia, la nuova profilazione del Campi Taurasini come vino rosso un po’ funky, nel suo essere splendidamente territoriale ed elegantemente rustico, può portare questa tipologia a entrare di diritto nella scia ormai segnata in Campania dal Piedirosso: quella del “cavallo di Troia”, in grado di trainare con sé anche le vendite del Taurasi, sui mercati internazionali più evoluti. Certo ci vorrà costanza qualitativa, nei prossimi anni. Le premesse fanno ben sperare. Ecco dunque i migliori assaggi di quella che, lo ricordiamo, è una sottozona della Doc Irpinia che condivide con la Docg Taurasi l’intero territorio di produzione.
Ai comuni di Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemileto, Paternopoli, Pietradefusi, Sant’Angelo all’Esca, San Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano si aggiungono quelli di Gesualdo, Villamaina, Torella dei Lombardi, Grottaminarda, Melito Irpino, Nusco e Chiusano San Domenico. Vini e areale da monitorare con grande attenzione, ma non per la possibilità di trovarsi di fronte a “Piccoli Taurasi“, bensì per l’opportunità di assaporare grandi rossi, capaci di raccontare – con classe assoluta – le peculiarità del vitigno Aglianico.
Bel frutto e bella freschezza per questo Aglianico che si lascia ricordare per le note di ciliegia e di arancia sanguinella e per un tannino di prospettiva, che non oscura il sorso fruttato. Vino già godibile e ancor più apprezzabile col giusto accompagnamento gastronomico, con ottime prospettive di ulteriore, positivo affinamento. 91/100
Irpinia Campi Taurasini Doc 2019, De’ Gaeta
Difficile trovare un Aglianico che abbini tanto frutto e, al contempo, tanta profondità. Il gioco è fatto col Campi Taurasini di De Gaeta, cantina che si è affacciata tutto sommato da pochi anni nel settore, con i fratelli Salvatore e Bruno (la prima vendemmia è la 2015). Un vino che è sfoggio assoluto dei primari e del frutto del vitigno, ma anche spezia e balsamicità, prima di un finale leggermente sapido, che rende la beva instancabile. Un nettare che è essenza della varietà. 92/100
Irpinia Campi Taurasini Dop 2020 “Case Arse”, Giovanni Carlo Vesce
Frutto rosso (ciliegia) e mora di rovo perfettamente matura al naso, ricordi preziosi di erbe della macchia mediterranea. In bocca un tannino splendidamente lavorato, che gioca con la polpa. Vena minerale-salina a fare da spina dorsale a un sorso più che mai goloso, giocato sul frutto. Allungo e chiusura rosso croccante. Vino di prospettiva. Nella foto di copertina lo splendido vecchio vigneto da cui nasce questo vino. 93/100
Irpinia Campi Taurasini Dop 2019 “Costa Baiano”, Villa Raiano
Altro vino di gran carattere, che pur conserva in grande evidenza il profilo fruttato. È questo, di fatto, il profilo vincente del Campi Taurasini, nel segno di un equilibrio tra le componenti che non necessita, forzatamente, lunghissimi affinamenti. Eppure ecco un’impronta tannica importante, così come decise sono la spalla acida e il profilo vagamente balsamico. Vino che darà (ancor più) il meglio di sé col passare del tempo. 93/100
Irpinia Campi Taurasini Dop 2019, Di Prisco
Grandissima purezza e concentrazione del frutto, tra il rosso e il nero, tra la ciliegia perfettamente matura e la mora. Non manca un bel corredo di erbe della macchia mediterranea, cui fa eco un bouquet di viole e fiori di lavanda. Si conferma un grande vino anche al palato, su ritorni di agrumi rossi (sanguinella) e frutta a polpa rossa. Allungo fresco, leggermente sapido, per un vino che brilla in tipicità e ha tanta vita davanti. 94/100
LE “VECCHIE” ANNATE A CAMPANIA STORIES 2023
Si tratta di annate recenti, dunque delle vendemmie di Campi Taurasini da poco sul commercio. Ma a dimostrare che l’ottimo lavoro su questa sottozona della Doc Irpinia non sia cominciato oggi – pur con canoni stilistici non esattamente paritetici – vengono in aiuto gli assaggi alla cieca di annate più vecchie, presenti a Campania Stories 2023.
L’Irpinia Doc Campi Taurasini 2017 de Il Cortiglio (91/100), tutt’altro che arreso allo scorrere del tempo, convince per la splendida dolcezza dei tannini e per il profilo balsamico, fresco, speziato. Benissimo anche l’Irpinia Campi Taurasini Dop 2016 “Cretarossa” de I Favati (93/100), altro vino dai tannini dolci che rivela ancora prospettiva, stabile al vertice della propria curva evolutiva.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si aggira intorno ai 10 miliardi di euro il valore complessivo dell’imbottigliato certificato da Valoritalia nel 2022. Secondo l’Annual Report 2023 della società leader in Italia nella verifica delle fasi di produzione, dal vigneto alla bottiglia, il 2022 registra una flessione pari al 3,8%. Ma i primi mesi del 2023 inducono a un «cauto ottimismo». I dati emergono dall’analisi dei processi di certificazione di 218 denominazioni di origine italiane. Evidente il cambio di scenario rispetto alla situazione presentata un anno fa.
«Se il 2021 aveva fatto registrare numeri estremamente positivi, nonostante problematiche importanti – sottolinea Francesco Liantonio, presidente di Valoritalia – i dati del 2022 mostrano un rallentamento su cui pesa il conflitto russo-ucraino con il suo corollario di crisi energetica, che ha evidentemente imposto minori flussi economici in tutti i settori. Del resto, il vino deve essere considerato a tutti gli effetti un sensibile indicatore degli andamenti economici generali ed era quindi lecito attendersi questa contrazione.
Va però sottolineato come, nel suo insieme – aggiunge Liantonio – il sistema vino italiano abbia tenuto botta soprattutto a partire dal secondo semestre dello scorso anno e come i dati del primo quadrimestre del 2023 inducano a un cauto ottimismo. È un segnale importante, la cartina tornasole di come il mondo delle DO, a livello italiano, possa contare su una solidità che gli consente di attraversare anche momenti di grandi incertezza e difficoltà».
ANNUAL REPORT VALORITALIA: LE DENOMINAZIONI PIÙ PERFORMANTI
La ricerca evidenzia infatti un dato fondamentale: nonostante le difficoltà sopra descritte, circa un terzo delle denominazioni tra quelle certificate Valoritalia ha comunque registrato una crescita dei volumi con le significative performance del ”Sistema Prosecco” formato dalle Dop Prosecco, Asolo Prosecco e Conegliano Valdobbiadene. Ottimi anche i comportamenti del Franciacorta, dell’Asti e Moscato D’Asti, dell’Alta Langa, del Collio, del Lugana, dell’Oltrepò Pavese, del Vino Nobile di Montepulciano, del Frascati e del Castel del Monte. Un’altra trentina di Denominazioni ha registrato cali contenuti entro la soglia del 5%, alcune dei quali di natura fisiologica.
Più in generale, i risultati dell’Annual Report 2023 Valoritalia si basano sui dati relativi alla certificazione di 47 DOCG, 184 DOC, e 37 IGT. Una massa critica che rappresenta il 56% della produzione nazionale DO, con 5 mila tipologie di vino per una produzione certificata che nel 2022 ha riguardato oltre 21 milioni di ettolitri. Quasi 2 miliardi di bottiglie certificate e 1.353.930.245 contrassegni di Stato gestiti, per un valore complessivo che supera ampiamente 9 miliardi di euro e che impiega circa 95 mila operatori inseriti nel sistema dei controlli. Una enorme mole di numeri che lascia emergere anche i principali punti di forza e di debolezza della Viticoltura italiana di qualità.
«Tra i plus – evidenzia Valoritalia – l’ampiezza quantitativa della Denominazione di Origine e le loro dimensioni, in grado di garantire risultati performanti grazie alla capacità di affrontare i mercati con mezzi e continuità. Viceversa, il limite maggiore del nostro sistema è costituito proprio dalla frammentazione delle Denominazioni di Origine. Basti pensare appunto che le prime 20 DO coprono l’84% dell’imbottigliato e che solo 27 Denominazioni su 218 commercializzano volumi annui superiori ai 10 milioni di bottiglie. Tutto questo, ha una sua precisa rilevanza soprattutto quando ci si confronta sui mercati esteri».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Scatto in avanti per le Marche del vino, con le modifiche ai disciplinari di produzione di due vini simbolo della regione. A partire dalla vendemmia 2024 sarà facoltativo per i produttori scrivere “Verdicchio” sulle etichette dei vini bianchi Riserva di Jesi e Matelica. Un modo per enfatizzare l’importanza del territorio in cui nascono le due Denominazioni di origine controllata e garantita (Docg), evitando di menzionare il nome di un’uva coltivata anche in altre regioni italiane (Trebbiano di Lugana e Trebbiano di Soave sono sinonimi di Verdicchio, così come “Verdone” in Umbria).
La mossa dell’Istituto Marchigiano Tutela vini (Imt), il mega-consorzio che tutela 16 denominazioni delle Marche, è studiata anche per salvaguardare i produttori dal potenziale (pur remoto) rischio di “scippo” del Verdicchio da parte di Paesi esteri. Un’attenzione particolare merita per esempio l’Australia, già protagonista della querelleGlera-Prosecco australiano. Il vitigno tipico delle Marche è presente sull’isola-continente almeno dal 1.064, importato col sinonimo di Peverella. È ora coltivato nel nord-est dello Stato di Victoria, oltre che nella regione di Murray Darling del Nuovo Galles del Sud, dove si è ormai acclimatato molto bene. Diverso il profilo organolettico, spesso un mix tra il naso di un Sauvignon blanc e il palato di una varietà aromatica.
In Italia, secondo i dati più aggiornati, gli ettari di Verdicchio sono in totale 4.682. La parte del leone è proprio quella del Verdicchio dei Castelli di Jesi, con 2.230 ettari. Matelica segue a ruota con 410 ettari. Evidente, dunque, come le due denominazioni di origine controllata e garantita marchigiane abbiano tutto l’interesse di profilarsi come «patria del Verdicchio», partendo proprio dai loro vini top di gamma: i Riserva.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – A pochi giorni dalla chiusura delle iscrizioni, una cosa è certa: Wine Vision by Open Balkan (16-19 novembre 2023) si candida ad essere una Fiera internazionale del Vino e degli Spirits di primo piano in Europa, accanto a Prowein, Wine Paris e Vinitaly. Un’auto candidatura che dà una nuova centralità ai Balcani, così netta da non sfuggire neppure a Veronafiere, primo partner assoluto del sistema vino italiano. Il 12 giugno, una delegazione dell’ente veronese ha visitato i padiglioni della Fiera di Belgrado (Beogradski sajam), dove a fine anno andrà in scena l’evento. Presenti il direttore generale di Fiera Verona, Maurizio Danese, oltre a Raul Barbieri, fresco di nomina a direttore commerciale di Veronafiere e Matjaž Žigon, direttore dell’Ufficio di Rappresentanza della Spa scaligera per l’area Alpe-Adria, Polonia e Turchia.
Le premesse per un successo della seconda edizione di Wine Vision by Open Balkan ci sono tutte. Belgrado riflette in pieno la rinnovata voglia di volare in grande dei Balcani. La capitale della Serbia è fresca di investitura a città ospitante di Expo 2027. Il Paese guidato dal conservatore Aleksandar Vučić ha bruciato la concorrenza della Spagna in finale, conquistando l’assegnazione della Mostra-Esposizione internazionale specializzata Expo 2027 con 81 voti, contro i 70 di Malaga. La città non si farà certo trovare impreparata all’appuntamento, tanto da stimare ricavi pari a 1,1 miliardi di euro.
Una cifra ritenuta esagerata da molti commentatori politici serbi. Sul piatto, tuttavia, ci sono già una lunga lista di investimenti volti a trasformare Belgrado in una città all’avanguardia. Oltre alla metropolitana è in programma la realizzazione di un nuovo gigantesco polo fieristico nel sobborgo di Surčin, a pochi passi da quello che diventerà il nuovo stadio nazionale (nei Paesi dei Balcani e nell’Est Europa il calcio è considerato un driver fondamentale per l’attrazione di capitali esteri, vedi il caso emblematico dell’Ungheria). Dopo l’Expo 2027 – con molte probabilità – si trasferirà a Surčin anche Wine Vision by Open Balkan, che nella struttura attuale, sulle rive del fiume Sava, può contare su tre padiglioni, oltre a una quindicina di piccole hall.
VINO, MISSIONE DELL’ITALIA NEI BALCANI CON VERONAFIERE
La visita dei rappresentanti di Veronafiere a Belgrado con Maurizio Danese, Raul Barbieri e Matjaž Žigon
Secondo indiscrezioni raccolte da winemag.it nei Balcani, l’Italia, proprio tramite Veronafiere, avrebbe chiesto di occupare un intero padiglione sin dall’edizione 2023 della Fiera. Un’ipotesi che gli organizzatori hanno rispedito (cordialmente) al mittente, per evitare che le cantine italiane finiscano per rubare la scena nell’ambito di una Fiera internazionale che vuole comunque mantenere saldo il focus sui vini e sul turismo nei Balcani. L’organizzazione dell’International wine, food, and tourism fair Wine Vision by Open Balkan agisce infatti sotto l’egida e il patrocinio dei governi di Serbia, Macedonia del Nord e Albania, in una sorta di déjà vu dell’assetto dell’Ex Jugoslavia che sta diventando sempre più una costante dalle parti di Belgrado, Tirana e Skopje, che spesso possono contare anche sull’appoggio di Podgorica (Montenegro).
Tutto sembra ruotare attorno al ruolo centrale della capitale serba, che con la prima edizione della fiera ha saputo convincere – forse sarebbe meglio dire “sorprendere” – un po’ tutti. L’interesse espresso dall’Italia, attraverso Veronafiere, è tutt’altro che scontato e dice molto sulla necessità di nuove alleanze, nel contesto di un settore fieristico che sta attraversando la sua fase più delicata, dopo l’uscita dal periodo cupo della pandemia, non senza scricchiolii e profonde trasformazioni del concetto stesso di “Fiera”. Lo scorso anno sono intervenuti a Wine Vision by Open Balkan oltre 30 mila visitatori professionali, attratti in Serbia dalla presenza di più di 350 espositori provenienti da 22 Paesi (192 serbi, ma nella Top10 figurano anche Usa, Austria e Olanda).
Il tutto nell’ambito di una Fiera allestita nei minimi particolari, secondo canoni di spettacolarizzazione e cross-marketing (vino, gastronomia, turismo, design, moda, music e Opera) mai visti a Düsseldorf, Parigi e Verona. Abbastanza per spingere gli organizzatori a dichiarare che «il successo dell’anno scorso è un incentivo affinché dal 16 al 19 novembre 2023, Belgrado, in quanto capitale dei migliori vini durante la Fiera, riunisca i più eminenti produttori di vino, vignaioli, enologi, sommelier e wine buyer, nonché gli espositori delle più famose cantine del mondo». In tre parole “Wine”, “Vision”, “Unity”. Il mondo del vino è avvertito, Italia compresa: occhio ai “nuovi” Balcani.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
FOTONOTIZIA – La Scuola Italiana Sommelier ha ottenuto il Riconoscimento Giuridico della Repubblica Italiana. Ad appena 6 anni dalla sua fondazione, avvenuta nel 2017 ad opera dell’attuale presidente Nicola Ferrazzano, la prima scuola italiana di Sommellerie online ha centrato il proprio obiettivo. «Con questo riconoscimento – sottolinea Ferrazzano – anche gli Attestati di Qualifica Professionale di Sommelier rilasciati dalla Scuola Italiana Sommelier provengono da un’organizzazione riconosciuta in base alle normative in Italia e all’estero».
Corso sommelier online, è bufera. La Scuola si difende: «Siamo pop, questo è il futuro»
Il presidente Nicola Ferrazzano a WineMag.it: «Lezioni digital e prezzi popolari per una cultura a portata di tutti». Critiche da Ais e Fisar
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Come ideare e realizzare la frontiera 2.0 del turismo in cantina? Il Consorzio Tutela Vini Montefalco, in Umbria, punta alla sostenibilità delle aziende del territorio e al turismo green ideando Montefalco Green. Quella vissuta da giornalisti e “influencer” la scorsa settimana è stata un’esperienza emozionante, eco-friendly, unica nel suo genere. Sotto il cielo a tratti piovoso della piana che si distende dalle colline di Montefalco a quelle di Assisi è stato possibile scoprire, utilizzando esclusivamente le SagreenTino car e bici, una nuova frontiera del turismo in cantina: quello green, caratterizzato da emissioni zero, sostenibile, a velocità slow, rispettoso dell’ambiente. Un turismo che raggiunge aziende vinicole che praticano digitalizzazione e riciclo, traendo buona parte dell’energia che consumano da pannelli solari.
Cantine che salvaguardano i nidi degli uccelli tra le vigne – parte integrante della biodiversità – che hanno la loro conduzione biologica certificata, che tutelano la presenza delle api in vigna. Molte aziende del territorio hanno il loro focus sulla produzione sostenibile e cercano di non provocare danni all’ambiente circostante. È una scelta doverosa, necessaria, indispensabile per garantire sia la qualità dei prodotti che un minimo impatto sul territorio. E la cosa sorprendente è che questo pensiero è condiviso da aziende di carattere famigliare che producono qualche migliaio di bottiglie e da imprese che ogni anno producono centinaia di migliaia di bottiglie. Segno che il concetto di sostenibilità non è limitato a piccole realtà di provincia, ma è condiviso anche dai colossi della vinificazione.
A BORDO DELLE SAGREENTINO, BICI E AUTO ELETTRICHE
Il territorio di Montefalco è stato quindi esplorato in lungo e in largo con le macchinine elettriche SagreenTino, due posti, spartane al massimo, velocità massima 50 km/h, autonomia 100 km, molto maneggevoli, in grado di superare piccoli dislivelli e di affrontare le strade sterrate che conducono alle cantine. È una tipologia di mobilità molto innovativa, che sfiora il paesaggio, che accarezza le colline, che entra nel territorio in modo gentile e sfumato, in silenzio, come il fruscio di un alito di vento. Molte cantine hanno già attrezzato al loro interno punti di ricarica, ed altri sono in fase di realizzazione. Oppure attraverso le mountain bike elettriche con le quali raggiungere gli obiettivi è operazione divertente e appagante.
Niente sgommate, niente fuoriuscite di gas dannoso, silenziosissimi, sono due mezzi che hanno consentito (e consentiranno in seguito) agevoli e facili spostamenti su tutta la vallata di Montefalco. Alla scoperta degli ottimi vini del territorio: il Sagrantino Docg (Sagrantino 100%) e le Doc Montefalco (Sangiovese, Sagrantino e altro), Grechetto (Grechetto e Trebbiano) e Spoleto (Trebbiano spoletino e altro). Come dicevamo il territorio si contraddistingue per l’incredibile attenzione all’ambiente. Il 31% delle aziende delle denominazioni praticano agricoltura biologica certificata, sono in conversione al biologico certificato, biodinamiche, omeodinamiche, naturali o sono in possesso di certificazioni ambientali per la produzione dei Doc e Docg del territorio. Di questo 31%, oltre il 62% delle cantine sono biologiche certificate o in conversione al biologico certificato.
MONTEFALCO E I SUOI VINI SEMPRE PIÙ GREEN
Le aziende diversificano il loro impegno ecosostenibile con vari metodi. Con impianti fotovoltaici, caldaie a biomassa, per la riduzione del gas serra, con progetti green che prevedono allevamenti avicoli, lavorazione in vigna con cavalli, zonazione della biodiversità, certificazione vegana, realizzazione di orti botanici per la salvaguardia delle api. Non manca il ricorso a varie sperimentazioni, per arrivare a vini con zero residui e al taglio degli agrofarmaci. Alcune cantine ricorrono poi a speciali sistemi di filtraggio per l’uso di acqua dei pozzi e raccolta delle acque piovane.
Una Montefalco che è green anche per la scelta di bottiglie di vetro più leggere e per il recupero e la valorizzazione degli scarti delle etichette. Un territorio che si sta distinguendo come una delle zone vinicole più green d’Italia. Scelta etica che il Consorzio Tutela Vini Montefalco ha inteso fare nella convinzione che «una terra amata è una terra grata, che restituisce le attenzioni che riceve in termini di qualità e unicità».
I vini del territorio di Montefalco
I vini del territorio di Montefalco. Dai bianchi Trebbiano Spoletino ai rossi come il Sagrantino di Montefalco e il Sangiovese
Giornalista, ex direttore di giornali e riviste, autore di due libri, blogger, sommelier e da qualche anno viticoltore sulle colline di San Colombano al Lambro. I miei interessi sono focalizzati sul mondo del vino e del buon cibo. Proprio per questo motivo presto molta attenzione ai giusti abbinamenti.
È in programma dall’8 al 17 settembre ad Asti la Douja d’Or 2023. La storica rassegna richiama ogni anno migliaia di visitatori da tutta Italia e dall’estero e sarà anche quest’anno proposta con la formula dell’evento diffuso ed itinerante, tra le piazze, le strade e le più suggestive dimore storiche di Asti. Protagonista della Douja d’Or 2023 sarà come ogni anno il vino, con 10 giorni di talk, degustazioni, masterclass, incontri, letture, spettacoli e cene per raccontarne e scoprirne tutte le sfumature e offrire a turisti, addetti ai lavori ed appassionati spunti di conoscenza e di approfondimento.
La Barbera d’Asti e i Vini del Monferrato, l’Asti spumante e il Moscato d’Asti Docg, le denominazioni piemontesi, tante varietà di vini biologici e una vasta selezione di vermouth da abbinare a piatti della tradizione. E ancora: il futuro del vino, l’importanza della diffusione della cultura e della conoscenza enologica. Saranno questi i temi che attraverseranno tutta la manifestazione, nata per valorizzare un prodotto d’eccellenza sempre più importante per la Regione Piemonte e sempre più amato e apprezzato in tutto il mondo.
Il programma sarà ricco di iniziative in tutta la provincia alla scoperta del territorio di Asti, del Monferrato e delle sue colline, patrimonio dell’Unesco. Da non perdere l’Enoteca della Douja d’Or che raccoglie e mette in vendita le produzioni vinicole del territorio per scoprire, conoscere e acquistare le migliori etichette piemontesi.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
FOTONOTIZIA – Il centro storico di Pontelatone (Caserta) si prepara ad accogliere la nuova edizione del Casavecchia & Pallagrello Wine Festival 2023. Tre giorni di degustazioni, laboratori, musica e cucina di alta qualità dal 30 giugno al 2 luglio prossimi. Un evento che mette al centro i due vitigni autoctoni Casavecchia e Pallagrello. In programma banchi d’assaggio, momenti dedicati al food, musica in piazza Cutillo e seminari di approfondimento.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
EDITORIALE – L’Oltrepò pavese è la casa del Riesling italico in Italia, ma il disciplinare di produzione dei vini DOC che prevendono il suo utilizzo è da riscrivere. Evidente, in più punti del testo, la confusione che regna sovrana tra il Riesling italico (alias Welschriesling, in Germania e Austria; Graševina, in Croazia; Olaszrizling in Ungheria, ecc.) e il Riesling renano, quasi come se si trattasse di vitigni “parenti” o cloni dello stesso vitigno. Come si evince all’articolo 1 dal testo ufficiale, scaricabile dal sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dalla Gazzetta ufficiale, la Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” prevede diverse tipologie: “Riesling”, “Riesling frizzante”, “Riesling spumante”, “Riesling superiore”.
I problemi riguardano l’articolo 2, riferito alla “base ampelografica“. In particolare, l’“Oltrepò pavese Doc Bianco” può essere ottenuto «dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, Riesling e/o Riesling italico: minimo 60%». Le altre tipologie che contengono “Riesling”, senza specifica distinzione tra Renano e Italico, sono il “Riesling” fermo, quello “frizzante”, lo “spumante”, e il “Riesling superiore”. Ancor più clamoroso il caso dei vini etichettabili come “Riesling riserva”, che prevedono «Riesling e/o Riesling italico: minimo 85%».
La confusione tra i due vitigni genera un evidente inganno ai danni dei consumatori, ignari delle differenze tra Riesling italico e Riesling renano, in particolar modo per la possibilità di etichettare entrambi come “Riesling”. Un aspetto evidente nel marketing di alcune cantine. Dal sito della cooperativa oltrepadana Torrevilla si legge, per esempio: «Italiano o Renano, il Riesling è parte importante nella storia dell’Oltrepò, terra molto vocata a questi vitigni freschi e aromatici». Il vino in questione reca in etichetta la sola scritta “Oltrepò pavese Dop Riesling“. La scheda tecnica del prodotto parla, altrettanto genericamente, di “Riesling”.
MERCATO DROGATO E ASSURDITÀ: SANZIONI PER CHI ETICHETTA “RIESLING ITALICO DOP”
Un caos che si riflette anche sulle cifre relative agli ettari vitati dei due distinti vitigni. Come evidenzia il Consorzio Tutela vini Oltrepò pavese, «i dati a nostra disposizione, sono relativi al “Riesling” in generale, poiché la Denominazione non prevede una distinzione fra le due varietà». Fino al 2019, la somma degli ettari vitati delle due varietà era pari a 1.336,98 ettari, scesi a 1.227,13 nel 2021. Indubbio, dunque, che sul mercato italiano ed internazionale vengano immesse quantità drogate di “Riesling italico” etichettate (genericamente) come “Riesling”, nome che ha certamente più appeal sui mercati globali. Il tutto per via dell’escamotage presente nel disciplinare di produzione della Denominazione di Origine controllata Oltrepò pavese, che rende addirittura sanzionabile un’eventuale menzione in etichetta di “Riesling italico Dop“.
Quello che in Italia è (incredibilmente) legge, sarebbe un’assurdità in Paesi come Germania, Austria, Croazia, Serbia, Slovenia e Repubblica Ceca, dove il Riesling italico è molto diffuso. A tentare di valorizzarlo in chiave internazionale sta pensando il team di GROW DU MONDE, attraverso un concorso che ha messo sotto i riflettori – la scorsa settimana, in Croazia – oltre 250 campioni di Riesling Italico (in particolare Graševina) provenienti da 7 Paesi dei Balcani e dell’ex blocco austro-ungarico.
L’evento, organizzato da Igor Lukovic, Saša Špiranec e Zoltán Győrffy, punta a risollevare le sorti del vitigno e mostrare le punte di qualità raggiungibili. Ad emergere, oltre alla qualità medio alta dei campioni (12 le medaglie di platino) è stata la versatilità assoluta dell’Italico, in grado di dare vita a vini freschi e beverini, vini più strutturati con il giusto apporto di legno, vini orange di grande carattere e vini dolci degni di una ribalta internazionale. Nessun campione italiano in gara in questo 2023. Ma il Bel Paese si candida ad ospitare l’edizione 2025 di GROW.
OLTREPÒ PAVESE E RIESLING ITALICO: UNA NUOVA STORIA DA SCRIVERE
A dare ancora più credito a questa candidatura è la scoperta effettuata dai ricercatori del principale ente pubblico di ricerca in Italia, il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche. Secondo quanto riportato a winemag.it dal portavoce Stefano Raimondi, oggi ricercatore indipendente, il team di cui faceva parte ha finalmente scoperto uno dei due genitori del Riesling italico. Si tratta della Coccalona Nera, vitigno molto diffuso in passato nella bassa Lombardia, in Piemonte, in Veneto e in Emilia Romagna (qui col sinonimo di Orsolina), oltre che in Svizzera, Austria e Germania. In particolare, gli areali in cui era presente questo vitigno o suoi diretti parenti erano la zona di Gavi, i Colli Tortonesi, l’Oltrepò pavese e i Colli Euganei, insieme a tutto il Baden-Württemberg, che si estende verso est tra l’attuale città svizzera di Basilea e la tedesca Heidelberg. Tuttora ignoto il secondo genitore che ha dato vita a quello che, sin dall’ottocento, viene descritto come Welschriesling, ovvero Riesling italico.
Il nome Riesling, affiancato dalla parola “italico” – precisa a winemag.it il ricercatore Stefano Raimondi – potrebbe essere spiegato proprio dal fatto che il vitigno era largamente presente in Italia. Utilizzando la dicitura “Riesling italico”, lo si voleva distinguere dall’altra varietà a bacca bianca più diffusa in Germania, ovvero il Riesling renano. Ed è corretto, perché si tratta di due vitigni ben distinti. Le ipotesi che si trattasse di una varietà francese, o meglio della Champagne, sono state screditate sin dall’Ottocento: una varietà tardiva come l’Italico non sarebbe mai giunta a maturazione all’epoca, in quella regione. E non maturava benissimo neppure in Germania».
Stabilire con certezza assoluta dove sia avvenuto l’incrocio naturale tra Coccalona Nera e l’altro genitore che ha dato vita all’Italico è tuttavia molto difficile. Di certo, la Coccalona nera ha lasciato sul campo diversi “figli”, tutti nel Nord Italia. Tra questi ci sono vitigni come Uva Rara, Durasa, Moscato Nero di Acqui, Moretto grosso in Val Borbera (Colli Tortonesi), Lambrusco di Fiorano in Emilia Romagna. E ancora: Cavazzina, Sgavetta, Pattaresco nei Colli Euganei. Nel 1840 il Riesling italico, o meglio il Welschriesling, viene citato tra i vitigni presenti anche nella zona di Vienna e in tutta la Stiria (quindi anche in Slovenia). Successive le citazioni storiche ufficiali di Olaszrizling in Ungheria e di quella che, inizialmente, veniva chiamata Talianska Graševina (letteralmente “Graševina italiana”), poi divenuta semplicemente Graševina, vitigno a bacca bianca più diffuso in Croazia.
«Il Riesling italico, così come lo conosciamo oggi – spiega ancora il ricercatore Stefano Raimondi – entra o rientra in Italia come tale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Lo fa inizialmente in Veneto, presso la Tenuta dei Conti Papadopoli, a San Polo di Piave. Lo cita Salvatore Mondini nel 1903, in un libro sui “vitigni stranieri”, suggerendo che lo stessero (ri)piantando anche anche a Tassarolo, nel Gaviese. Una guida vinicola del 1911 fa poi riferimento al fatto che, in provincia di Alessandria, si stesse “provando a piantare Riesling come nel vicino Oltrepò pavese”». Dell’unico genitore noto dell’Italico restano pochissime piante. Stefano Raimondi e il gruppo di ricercatori del Cnr ne ha mappate tre in Val Borbera, presenti ai margini di due vigneti. La storia dice che oggi bisogna rivolgere lo sguardo oltre le colline tortonesi per trovare il presente del Riesling italico. Il futuro è tutto da scrivere. Chi comincia?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Francesco Monchiero è il nuovo presidente di Piemonte Land of Wine, il superconsorzio dei vini piemontesi. Già rappresentante del Consorzio Tutela Roero, si è visto affidare il nuovo incarico – occupato in precedenza dal dimissionario Matteo Ascheri – dall’assemblea riunita nel pomeriggio di ieri a Castagnito. A Monchiero il compito di riunire i consensi dei Consorzi di Tutela, guidando e definendo le strategie di promozione del vino piemontese per i prossimi 3 anni. Sul tavolo, i difficili rapporti tra l’Albese e l’Astigiano, ovvero tra le piccole-medie aziende e le cooperative piemontesi.
«Un riconoscimento per il lavoro fatto in questi 3 mandati per la denominazione del Roero – secondo la lettura dello stesso Monchiero, affidata a una nota stampa – per le strategie di valorizzazione e tutela messe in campo che hanno portato a una crescita della produzione del 40% dal 2013, anno di costituzione del Consorzio, e per un incremento del valore costante negli anni».
PIEMONTE LAND OF WINE, «LA CASA DEI CONSORZI PIEMONTESI»
«Sono felice di questa attestazione di sostegno da parte dei Presidenti riuniti in Piemonte Land – sono le prime parole di Francesco Monchiero da nuovo presidente di Piemonte Land of Wine -. Supportato della Regione Piemonte, intendo proseguire con questo spirito di fattiva collaborazione tra le parti coinvolte per far ripartire la promozione internazionale dei vini piemontesi e accrescerne la visibilità».
Piemonte Land è la casa comune dei Consorzi dei vini piemontesi, pur mantenendo ognuno di essi la propria peculiare identità. Al suo tavolo si elaborano e si definiscono le strategie e i programmi per proporsi all’esterno con la compattezza di un unico grande organismo e abbiamo in progetto di realizzare attività coordinate e strutturate per valorizzare tutto il Piemonte vitivinicolo come fatto in Roero».
Nato per offrire ai Consorzi di tutela dei vini piemontesi «un’assise in cui individuare operatività e strategie comuni», Piemonte Land of Wine, come ricorda lo stesso ente nella nota stampa, si pone l’obiettivo di «armonizzare la promozione dei vini, dell’eccellenza agroalimentare e delle bellezze del Piemonte in tutto il mondo, ottimizzando anche l’utilizzo dei fondi comunitari destinati alla promozione».
COS’È PIEMONTE LAND OF WINE
Piemonte Land of Wine nasce il 29 luglio 2011 per offrire ai consorzi di tutela del vino piemontesi un punto d’incontro per confrontarsi, individuare operatività e strategie comuni utili alla promozione del vino piemontese in Italia e nel mondo. Piemonte Land, che rappresenta oggi i Consorzi del vino ufficialmente riconosciuti dal Ministero dell’Agricoltura, promuove gli oltre 44 mila ettari di vigneto piemontesi, che dalle province di Alessandria, Asti e Cuneo si estendono fino ai piedi delle Alpi.
Un grande patrimonio enologico, per l’80% costituito dalle 18 Docg e 41 Doc regionali. Prima esperienza italiana di condivisione delle politiche promozionali tra Consorzi, Piemonte Land opera a favore non solo dei vini, ma anche dell’eccellenza agroalimentare e delle bellezze di una delle regioni vitivinicole più importanti al mondo, i cui territori sono divenuti patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO nel 2014.
Da crack Piemonte Land of Wine a riforma Consorzi del vino: pressing di Fivi
Dal crack di Piemonte Land of Wine alla riforma dei Consorzi del vino: il pressing di Fivi. Vignaioli preoccupati per la loro rappresentanza
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Nel cuore dell’Oasi WWF Bosco di San Silvestro, che lambisce il parco della Reggia di Caserta, ha ripreso vita la Vigna del Re. Nasce qui il Pallagrello “Oro Re” di Tenuta Fontana, che nel 2018 ha reimpiantato una parte del vigneto di 5 ettari un tempo di proprietà del Re Ferdinando di Borbone, grande estimatore della vitigno autoctono della Campania. Con la caduta dei Borboni, a seguito dell’Unità d’Italia, il bosco aveva preso il sopravvento sui filari, invadendo lo spazio dove erano impiantate le viti. Tutto era stato sommerso da arbusti e vegetazione spontanea, che hanno finito per cancellare quel pezzo di storia della viticoltura italiana.
La Vigna del Re ha ripreso vita col recente impianto di barbatelle di Pallagrello bianco e nero, in aree distinte, su una superficie di poco più di un ettaro. Uno spazio sufficiente per rendere ancor più suggestivo questo angolo dell’Oasi WWF di San Silvestro, che sovrasta la Reggia di Caserta. Lasciandosi alle spalle la città, si giunge alla vigna del Re tramite un sentiero sterrato, che conduce alla sommità della collina. Si procede per un paio di chilometri prima di giungere ad uno spazio arioso, soleggiato, aperto alla vista, costellato da migliaia di viti che si susseguono incalzanti, di fronte a un ingresso solenne del quale rimangono solo le due colonne di pietra.
ORO RE DI TENUTA FONTANA, IL PALLAGRELLO DELLA REGGIA DI CASERTA
Il merito della rinascita della Vigna del Re va a Raffaele Fontana della cantina beneventana Tenuta Fontana, che ha vinto l’appalto per far tornare in vita un patrimonio che sembrava ormai perso. Merito anche della direttrice del Palazzo Reale Tiziana Maffei e del suo predecessore Mauro Filicori, convinti che la Reggia di Caserta fosse stata concepita come «parte di un articolato sistema produttivo territoriale». Nell’ottica di far tornare quel luogo una “casa vivente”, uno dei primi passi riguardò proprio la Vigna del re, affidata per l’appunto a Tenuta Fontana.
La vigna originaria era quella che serviva le tavole e la cantina reale. I circa 5 ettari si estendevano di fronte alla Casina di San Silvestro, nel bosco omonimo, oggi Oasi WWF. L’altra vigna reale conosciuta era quella del Ventaglio, che aveva però un valore puramente coreografico. Col tempo, il bosco aveva inglobato tutto il vigneto tranne l’ettaro situato davanti al cancello d’ingresso della Casina. Quell’ettaro che ora è tornato a nuova vita. «I lavori per preparare il terreno, nel 2018, furono lunghi e complessi; visti gli anni di abbandono, il terreno aveva bisogno di opere di scavo e di ripristino», spiega a winemag.it Raffaele Fontana, che con la figlia Maria Pina e il figlio Antonio gestisce la Vigna del Re.
Furono necessari due o tre mesi di lavoro, ma nello stesso anno riuscimmo a installare i primi impianti e a impiantare le prime barbatelle di Pallagrello. L’abbiamo fatto per amore del territorio, per passione e per far conoscere la storia di questo vino che era andato, con gli anni, un po’ in disuso. Alla fine abbiamo vinto questa sfida e al Vinitaly del 2022 abbiamo presentato “Oro Re”, Igt Terre di Volturno, protagonista anche a Place de Fontenoy, quartier generale dell’’Unesco a Parigi».
L’EPOPEA DEL PALLAGRELLO, DALL’OBLIO ALLA VIGNE DEL RE
Un vino che fermenta ed è affinato in anfore di terracotta per sei mesi, con permanenza sulle fecce fini. Protagonista assoluto il vitigno Pallagrello, vitigno autoctono della Campania molto diffuso in provincia di Caserta nelle due varianti a bacca bianca e nera. Il grappolo si presenta piccolo, con acini perfettamente sferici. Da qui cui il nome Pallagrello, cioè “piccola palla”, in dialetto locale “U Pallarel“. Una varietà di uva che ha origini antichissime, secondo alcuni riconducibile all’epoca della Pilleolata Romana.
Famosissimo fino a tutto l’Ottocento, era uno dei vini più apprezzati dai Borbone. Le infestazioni di oidio e fillossera nei primi anni del Novecento, assieme alla decadenza sociale e politica delle regioni meridionali, ne decretarono una veloce e prematura scomparsa e un sostanziale oblio, nonostante le indubbie qualità esprimibili in vinificazione. Il Pallagrello, ben coltivato nelle vigne dei contadini campani, fu utilizzato come uva da taglio, fino alla sua riscoperta e al suo allevamento, anche in luoghi esclusivi come la Vigna del Re.
Giornalista, ex direttore di giornali e riviste, autore di due libri, blogger, sommelier e da qualche anno viticoltore sulle colline di San Colombano al Lambro. I miei interessi sono focalizzati sul mondo del vino e del buon cibo. Proprio per questo motivo presto molta attenzione ai giusti abbinamenti.
Record di espositori e visitatori a Enovitis in campo 2023, 17^ edizione dell’evento itinerante di Unione italiana vini dedicato alle tecnologie per la viticoltura che si è tenuto gli scorsi 7 e 8 giugno a Polpenazze del Garda (BS). Oltre quota 5.500 le presenze, nonostante il maltempo. Per il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti: «Enovitis in campo si conferma la manifestazione di riferimento in Italia per le macchine e attrezzature da vigneto, un appuntamento unico per rappresentatività, vivacità delle proposte e attualità del dibattito tecnico. La pioggia non ha compromesso la buona riuscita di un’edizione ancora una volta capace di mettere al centro le più moderne tecnologie per le operazioni agronomiche».
Sono 172 le aziende che hanno portato le proprie proposte tra i filari bresciani di Enovitis in Campo 2023, attirando l’attenzione di visitatori anche esteri, quest’anno in particolare dalla Germania, dalla Slovenia e dal Kazakistan. Sotto la lente, le soluzioni più innovative nel campo della robotica, dell’elettrificazione, della riduzione della chimica, dal biologico agli agrofarmaci fino ai biostimolanti.
E il testimone passa ora a Enovitis Extrême, il “clone” di Enovitis in campo dedicato ai vigneti di montagna e in elevata pendenza, che il 13 luglio andrà live nei vigneti della Cantina Valle Isarco – Eisacktal (Chiusa, BZ) per la seconda edizione della rassegna dinamica riservata alla viticoltura eroica. Si tratta di un approfondimento specifico sull’utilizzo di macchine operatrici e attrezzature destinate all’impiego in condizioni orografiche impervie a fronte di elevatissimi costi di produzione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Sempre più fruitori, sempre più moderati: negli ultimi 15 anni in Italia è cresciuto del 35% (+4,4 milioni) il numero di consumatori saltuari di vino. Al contempo sono diminuiti del 22% i consumi quotidiani. È sempre più definito, secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) che ha elaborato l’aggiornamento Istat sui consumatori di alcolici, il nuovo volto dei consumatori italiani di vino, oggi a quota 29,4 milioni (55% della popolazione). Il profilo che emerge è quello di una platea, trainata dalle donne (+12% contro -2% dei maschi), che non rinuncia alla bevanda alcolica “nazionale” anche se si consolida un approccio molto diverso rispetto al passato.
«I numeri – commenta il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi – sintetizzano una volta di più il rapporto responsabile degli italiani con il vino, oggi inteso più come elemento di socialità e di stile di vita che come alimento. È la prova di come l’approccio culturale al prodotto sia ormai fondamentale in un Paese che non solo è il primo produttore di vino al mondo ma anche uno dei più virtuosi in termini di aspettativa di vita».
IL RAPPORTO TRA VINO E ALTRI ALCOLICI
Una tendenza che si riflette meno allargando il campo al rapporto con gli altri alcolici, come la birra e gli aperitivi. Per la birra, che conta 27,4 milioni di consumatori, sono infatti cresciuti sia gli user quotidiani (+19% dal 2008) che quelli occasionali (+30%) con un calo solo per gli “stagionali”, legati all’estate. In forte accelerazione è dato il segmento degli aperitivi alcolici – dove anche il vino con i cocktail gioca un ruolo importante – che oggi conta quasi 22 milioni di adepti (+41% negli ultimi 15 anni), grazie in particolare al boom al femminile dei consumi fuori casa (+79%), ormai appannaggio non più solo dei giovani della gen Z (fino a 26 anni) e millennials (27-42 anni) ma in fortissima ascesa anche per la fascia, ormai leader, 45-54 anni.
Tornando al vino, che nel periodo considerato (2008-2022) ha aumentato la platea del 4%, tra i consumatori quotidiani (12 milioni di italiani) resiste la fascia over 65, mentre evidenziano forti contrazioni i giovani (25-34 anni), a -38%, ma ancora di più i 35-44enni (-48%), con cali importanti (-26%) per i 45-54enni. Il trend si inverte se si considerano i consumatori saltuari (+35%), e in particolare le classi di età superiore: oltre i 45 anni, infatti, l’incremento è del 53%, l’equivalente di oltre 4 milioni di consumatori in più. Complessivamente, rilevano le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv, lo scorso anno i consumatori quotidiani di vino hanno stappato 461 milioni di bottiglie in meno rispetto al 2008, mentre i saltuari hanno aumentato i volumi acquistati per un equivalente di 344 milioni di bottiglie.
CONSUMATORI DI VINO: IL DETTAGLIO DELLE REGIONI
Lombardia (16,7% l’incidenza sul totale Italia), Lazio (9,8%), Campania con Veneto ed Emilia-Romagna sono le principali regioni italiane per numero di consumatori di vino. Una classifica che cambia se si guarda all’incidenza degli user sul totale della popolazione per regione: al primo posto balza Emilia-Romagna (il 62% consuma vino), seguita dalla Valle d’Aosta (61%) e – a pari merito – Veneto, Umbria e Toscana al 60% su una media nazionale che arriva al 55% (29,4 milioni di consumatori).
Guardando allo storico degli ultimi 11 anni (2011-2022), si conferma, secondo l’Osservatorio Uiv il trend che vede un calo generalizzato degli user quotidiani a vantaggio dei saltuari. Leprincipali decrescite di consumatori quotidiani si registrano al Sud, con Puglia (-33%) e Abruzzo (-28%); sopra la media nazionale (-19%) anche altre importanti regioni produttrici, come Piemonte e Trentino (-25%) al Nord e la Campania (-23%) nel Mezzogiorno, mentre si annotano cali nella media in Veneto, Toscana Emilia-Romagna e Lombardia.
Nelle Isole, se in Sardegna i winelover quotidiani diminuiscono del 23%, la Sicilia si dimostra la più resiliente al trend, con un calo di appena il 2% in 11 anni. Complessivamente il più basso tasso di user della categoria lo segna il Trentino-Alto Adige (34% dell’intera popolazione). Tra i saltuari, sopra la media (+25%) gli aumenti in particolare in Trentino-Alto Adige, poi Molise, Veneto, Abruzzo e Campania. In generale, la regione che nel periodo ha smarrito più consumatori è la Calabria (-17%), seguita dalla Sardegna (-10%). Per contro, si registrano buone crescite in Trentino-Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna, Campania e Umbria.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Buttare il cuore oltre all’ostacolo. E scrivere la storia nuova di uno dei vini più antichi d’Italia. Con questo spirito potrebbe nascere l’Orvieto Doc Riserva. Una nuova tipologia, al momento non prevista dal disciplinare, con un minimo di 3 anni di affinamento e una quota percentuale preponderante di Procanico e Grechetto, nell’uvaggio. A parlarne con winemag.it è Vincenzo Cecci, presidente del Consorzio Tutela Vini di Orvieto. «La discussione sul tema “Orvieto Doc Riserva” è aperta da qualche tempo fra i produttori – dichiara l’esponente di Cantine Monrubio – e abbiamo intenzione di iniziare a muovere i primi passi fin da subito, inserendo il tema all’ordine del giorno delle prossime assemblee consortili. Avremo bisogno di tempo per renderlo concreto, ma abbiamo la ferma volontà di portarlo a compimento entro brevissimo».
A dare ulteriore slancio al progetto sono i risultati della masterclass dedicata alla longevità dell’Orvieto Doc, andata in scena questa mattina nei locali della chiesa di San Giovenale, nel cuore della cittadina dell’Umbria. «Si è trattato di una degustazione storica per la nostra denominazione – sottolinea Vincenzo Cecci – in quanto mai prima avevamo raccolto 13 annate, andando indietro sino alla 2010. I riscontri ci portano ad avere ancora più convinzione e certezza di procedere nella direzione dell’Orvieto Doc Riserva». Favorevole all’ipotesi anche Riccardo Cotarella, moderatore della degustazione e tra i relatori del programma di iniziative inserite nell’ambito della manifestazione Orvieto Divino 2023. «Puntare sulla Riserva è un dovere morale per Orvieto», ha commentato il presidente di Assoenologi.
«GIOVANI E CONSAPEVOLEZZA» PER L’ORVIETO DOC RISERVA
Stiamo vivendo un momento particolarmente positivo in Consorzio – ammette Vincenzo Cecci (nella foto, sopra) – con la consapevolezza che sia giunta l’ora di fare cambiamenti importanti. Ci sono molti giovani che vogliono creare una massa critica pesante e condividere questi progetti di rinnovamento. Sono fiducioso che, a breve, riusciremo a superare gli ultimi ostacoli, iniziando il purtroppo lungo percorso burocratico che ci attende».
Indubbi i riflessi (positivi) che la nuova tipologia potrebbe apportare all’intero tessuto produttivo orvietano. Una denominazione che produce circa 11 milioni di bottiglie all’anno, su un totale di 1.200 ettari rivendicati Doc (su 2 mila potenziali). L’Orvieto è ben noto in tutta Italia grazie alla sua capillare distribuzione nei supermercati e nei discount, dove è spesso oggetto di promozioni piuttosto aggressive. L’istituzione di una Riserva potrebbe alzare l’asticella di tutta la piramide qualitativa orvietana e costituire un nuovo elemento d’appeal per l’export, che al momento assorbe il 65% della produzione. Il mercato principale d’esportazione sono gli Usa, seguiti da Canada, Germania e Uk.
UVE E PERCENTUALI DELLA NUOVA TIPOLOGIA
Più delicato il tema della base ampelografica della nuova tipologia Orvieto Doc Riserva. «Sono convinto – spiega il presidente Cecci – che i territori caratterizzino i vitigni. Noi ormai abbiamo l’esperienza per capire quali siano i vitigni non considerati locali che si adattano in maniera particolare al nostro territorio e sono ben affrancabili ai nostri Procanico e Grechetto, in modo tale da migliorare questa importante base. L’Orvieto Doc prevede un minimo del 60% dei due vitigni locali. Con la Riserva potremmo certamente aumentare questa quota, sulla base di uno studio dei vari suoli e della necessità di raggiungere un equilibrio dei singoli vitigni nel vino finale».
Quanto ai prezzi, ammonisce il presidente del Consorzio, «un buon Orvieto non dovrebbe mai costare sotto i 5 euro in cantina». Il prezzo delle uve si aggira attorno ai 60-65 euro al quintale. In calo il valore dei terreni rispetto agli anni, scesi da 60 mila ai 38-40 mila euro all’ettaro degli ultimi anni, sempre secondo i dati forniti dal Consorzio Tutela Vini. «Questo – chiosa Cecci – è un altro elemento sul quale dobbiamo lavorare, dando nuova linfa soprattutto sul fronte della comunicazione. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di raccontare le punte di qualità che possono raggiungere i nostri vini, ma anche la bellezza di tutto il patrimonio storico-culturale della nostra zona. Siamo fiduciosi».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Non c’è stato nulla da fare per Massimiliano Piermattei, enologo e capo cantiniere della nota cantina bresciana Monte Rossa morto schiacciato dalle macchine giropallet del Franciacorta. I colleghi lo hanno trovato riverso a terra, all’interno dell’azienda di Cazzago San Martino, attorno alle 14.30 di mercoledì 7 giugno, privo di sensi. Inutile la chiamata ai soccorsi, che non hanno potuto che constatare il decesso del 50enne, per schiacciamento. “Max” Piermattei lascia la moglie e i tre figli. Il funerale sarà celebrato domani, sabato 10 giugno, alle ore 10.30 nella chiesa parrocchiale di Roncadelle (BS).
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
I tetti delle case disegnano il profilo delle colline, tutt’attorno all’aeroporto di Cluj-Napoca. La seconda città per numero di abitanti della Romania accoglie i viaggiatori mescolando colori e forme. Confondendo terra e cielo. Un goloso antipasto della meta: quella Transilvania che è villaggi appoggiati di schiena a boschi selvaggi e distese di prati verdi su cui galleggiano cavalli, greggi di pecore, bovini e cicogne, planate a terra dai nidi arroccati sui pali della rete elettrica. Per finire risucchiati dal fascino della natura incontaminata transilvana basta superare i sobborghi che abbracciano il secondo aeroporto nazionale rumeno, indimenticabili per l’ostinata spavalderia delle architetture civili: case trifamiliari che paiono riproduzioni miniaturizzate del castello di Dracula, tra merletti, torrette e piani poggiati uno sull’altro come strati croccanti di una torta millefoglie, a segnare il passo delle nuove generazioni. Ad appena due ore di distanza da Cluj, tutto cambia. E a fare rumore è il silenzio dei vigneti battuti da una brezza fresca, instancabile.
Mentre il sole chiude gli occhi sul mondo, colorando di rosa le chiome degli alberi, Miron Radićsvela i segreti di una terra che chiede spazio sulla cartina geografica del vino internazionale. «La nostra etichetta più esportata – spiega il general manager della cantina Liliac di Batoş – è un ice wine (a commercializzarlo è l’italiana Gaja Distribuzione, ndr) ma è con il rosato che stiamo conquistando sempre più fette di mercato, anno dopo anno. C’è una larga parte di consumatori che si approccia al vino scegliendo questo colore; e non mi riferisco solo alle donne, ma anche agli uomini. In Romania, il rosato è diventato la prima scelta di chi ha voglia di avvicinarsi al vino». In un Paese in cui quattro cantine detengono l’80% della produzione, le boutique wineries come Liliac viaggiano al ritmo di 450 mila bottiglie annuali. Formiche tra elefanti. Operose e con le idee piuttosto chiare.
Nell’ottica di incrementare l’export e conquistare nuove fette di mercato nazionali, gran parte delle “piccole” cantine della Transilvania (in romeno “cantina” si dice “crama“) stanno virando dalla produzione di vini con residui zuccherini medio-alti – facili da reperire a basso costo nell’intera Romania – a vini con una maggiore espressione territoriale e varietale. Una ricetta che passa dalla cura agronomica ottimale del vigneto, dalla raccolta manuale e dalla cernita dei grappoli e dall’innalzamento qualitativo della tecnologia in cantina, grazie ai cospicui sussidi europei. «Vogliamo portare nel calice le specificità della nostra terra – afferma Paula Alexandra Bota, enologa di Liliac – e la voce più autentica delle varietà autoctone e internazionali che si possono trovare anche in altre regioni, ma che in Transilvania hanno espressioni diverse, particolari».
FETEASCĂ NEAGRĂ E PINOT NERO, IL NUOVO VOLTO ROSSISTA DELLA ROMANIA
Emblematico il caso del Fetească neagră, vitigno autoctono romeno a bacca rossa che ha chance incredibili di trasformarsi nel cavallo di Troia dei produttori della Transilvania, sui mercati internazionali. A differenza di altre zone della Romania, qui il vitigno esprime tratti di croccantezza unici che lo avvicinano al gusto dei consumatori moderni, a caccia di rossi agili, freschi, di gran beva e che non presentino eccessive concentrazioni. Il merito è del clima temperato, con escursioni termiche importanti e notti fresche, che contribuiscono ad elevare il quadro aromatico delle uve. Alla vista, la Fetească neagră di Liliac si presenta di un rubino splendido. Al naso abbina frutti rossi perfettamente maturi a una speziatura corroborante. Uno stile simile a quello del Piedirosso, nuovo asso nella manica dei produttori della Campania nei mercati globali. Per certi versi, la “Fanciulla nera” (questa la traduzione letterale del nome della varietà) ricorda anche i succosi Cabernet Franc della Loira, in particolare i “vinléger” di Saumur.
Ancora più elegante Titan, altro vino di Liliac ottenuto da Fetească neagră in purezza, questa volta però con un passaggio di 24 mesi in botti di rovere della Transilvania (usate in maniera ineccepibile). Il vino, di maggiore concentrazione ma raffinatissimo, presenta note di piccoli frutti a bacca nera, oltre che rossi, ed è nato da un’intuizione di Miron Radić. Bottiglia pesante (unica pecca), packaging che non passa inosservato (ogni bottiglia bordolese ha un’etichetta in vera pelle realizzata a mano da un legatore austriaco e lettere forgiate in platino) e prezzo non alla portata di tutti: 130 euro. Titan, prodotto solo nelle migliori annate, in edizione limitata, è da segnalare fra i vini romeni da assaggiare almeno una volta nella vita. Almeno per due ragioni: comprendere le punte di qualità della Fetească neagră; e toccare con mano gli ormai elevatissimi standard raggiunti da alcuni winemaker romeni.
Ovidiu Maxim è un altro fulgido membro di questo gotha di professionisti. A lui è affidata la direzione enologica di Crama La Salina Winery. Siamo a Turda, 40 chilometri a sud di Cluj-Napoca. Una località nota a livello internazionale per la presenza della Salina Turda, una tra le più grandi miniere di sale al mondo, visitata da circa 600 mila persone all’anno. La cantina e i suoi vigneti si trovano a pochi passi dall’ingresso del groviglio di cunicoli sotterranei della miniera, su ampi terrazzamenti che sovrastano impianti a corpo unico. Ancora una volta a convincere più di tutti è un vino rosso, ottenuto – nel caso di Crama La Salina – da una varietà internazionale. Si tratta del Pinot Noir “Issa”, edizione limitata della vendemmia 2020. Un nettare che ha tutto per competere con le migliori espressioni del vitigno a livello internazionale, senza scomodare per forza la Borgogna.
CLIMA ED ENOTURISMO: COME CAMBIA LA TRANSILVANIA DEL VINO
Fetească neagră e Pinot noir invitano a riflettere su come i cambiamenti climatici stiano trasformando la Transilvania da “terra di vini bianchi” a nuova frontiera dei vini rossi della Romania. Una regione vinicola in cui trovare nettari freschi, dai toni tipicamente varietali, di grande eleganza e dal carattere non indifferente, nonché di gran longevità. Vini che riflettono clima, suolo e parcelle, proprio come nel caso del Pinot Noir “Issa”, frutto di una porzione di vigneto a 470 metri sul livello del mare. Ma la Transilvania è in rampa di lancio anche sul fronte dell’enoturismo.
Lo dimostra il progetto a tutto tondo di Crama La Salina Winery, che può contare anche su un ristorante da 250 coperti, “Sarea-n bucate“, su un albergo foresteria con 13 bungalow molto ben attrezzati, un’area esterna con due piscine e una palazzina ancora in fase di costruzione, che ospiterà altre stanze. Fondi europei investiti in maniera ben oculata anche a 150 chilometri di distanza da Turda, per l’esattezza a Satu Nou, da parte di Crama Jelna Resort & Spa.
Anche in questo caso la cantina è affiancata da un moderno hotel-pensione con Spa, oltre al ristorante che serve piatti della tradizione rumena rivisitati in chiave moderna. Tra i vini di Jelna, curati dall’enologo Darius Pripon, interessante – dal punto di vista del packaging innovativo – il Blanc perlant, ovvero il bianco frizzante in bottiglia da 33 cl. «Un’alternativa alla birra», disponibile anche in versione rosé. L’ennesima riprova di quanto sia moderna e scoppiettante la scena enologica rumena. Al passo coi tempi e pronta a conquistare anche i mercati più evoluti, con vini di qualità assoluta e intuizioni di marketing futuristiche. Prosit.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Vini, Spirits e Aceti italiani valgono oltre 20 miliardi di euro di fatturato e rappresentano il 21% dell’export complessivo Food & Beverage italiano. Ha preso avvio da questa fotografia, illustrata da Nomisma, l’Assemblea Generale di Federvini svoltasi oggi a Roma, che ha ospitato gli interventi dei Ministri dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida, degli Esteri Antonio Tajani, delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso e del Presidente dell’Agenzia ICE Matteo Zoppas. Nel corso dell’Assemblea sono state presentati e diffusi i dati emersi dalle ricerche dell’Osservatorio Federvini in collaborazione proprio con con Nomisma e TradeLab.
ANDAMENTO DELL’EXPORT
Cresce nel 2022 rispetto all’anno precedente l’export di vino italiano nel mondo, con le eccezioni di Germania e Cina. Tra i mercati più ricettivi quello britannico (+46,5%) e giapponese (+25%). Record delle esportazioni di spirits nazionali che lo scorso anno hanno prodotto un fatturato di 1.650 milioni di euro, +25% sul 2021. Bene anche l’aceto balsamico, con segno più a doppia cifra (+15% in valori rispetto al 2021) nei principali mercati di destinazione tra cui Stati Uniti e Germania.
FUORI CASA, CERTIFICAZIONI DI QUALITÀ
Notizie positive anche sul fronte dei consumi fuori casa, in ripresa dopo il periodo pandemico (+19% delle visite rispetto al 2021), che genera nel complesso un fatturato 93 miliardi di euro. Le survey sul ruolo delle certificazioni di qualità e sulle campagne di consumo responsabile. Focus, poi, sempre durante l’Assemblea Generale di Federvini svoltasi oggi a Roma, sull’opinione hanno gli italiani dei marchi di qualità dei prodotti. Dall’indagine realizzata da Nomisma per Federvini emerge un quadro che vede i cittadini del Belpaese piuttosto avvezzi al tema delle certificazioni di qualità.
La survey ha rivelato come il 53% del campione dichiari di conoscere il significato delle sigle DOP e IGP e li consideri una garanzia di qualità, mentre un terzo degli intervistati, pur ammettendo di non sapere, si dice interessato alla materia. Il 78% associa invece maggiore qualità ai prodotti certificati, il 74% alla tracciabilità del prodotto e il 68% alla sicurezza e ai controlli. Quale invece il livello di consapevolezza su vino, spirits e aceti certificati? Il 62% dei consumatori ritiene che i vini DOC/DOCG/IGT rispettano specifiche caratteristiche qualitative e particolari metodi di produzione. Una percentuale che si attesta al 28% per gli spirits certificati e al 47% per l’Aceto Balsamico di Modena IGP).
CONSUMO RESPONSABILE
Quanto al comportamento dei consumatori di vino e spirits, tracciato dalla survey “Analisi sul consumo responsabile delle bevande alcoliche” a cura di TradeLab, gli italiani si distinguono per un consumo virtuoso delle bevande alcoliche, quasi sempre associato al cibo e a momenti di convivialità. Nove su dieci consumano alcolici con moderazione (solo il 14% del campione dichiara di esagerare a volte). Il 78% li abbina sempre ai pasti. Ma che cosa si intende con l’espressione “consumo responsabile”?
Il 60% degli intervistati associa il concetto alla sicurezza, il 48% all’abbinamento al cibo e il 30% all’amicizia. Inoltre il 74% pensa alla capacità di evitare l’abuso di alcol e il 72% alla conoscenza delle problematiche e alle conseguenze correlate al consumo eccessivo. La ricerca rivela infine una sensibilità diffusa sull’argomento, con l’85% degli italiani che sente il tema vicino (il 60% delle persone tra i 18 e i 34 anni dichiara anche di volerne sapere di più). Sul profilo della comunicazione, il 64% del campione più giovane under 35 ritiene che sia un aspetto molto importante in termini di sensibilizzazione, percentuale che sale al 71% tra gli adulti (35-54 anni).
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Sono le province di Salerno e Avellino a regalare i migliori vini bianchi dell’annata 2022 a Campania Stories 2023. Dalla degustazione alla cieca emergono in particolare due vini della cantina Colli di Lapio, oltre a Ettore Sammarco, San Salvatore 1988 e Borgodangelo. Questi i cinque vini degustati alla cieca che superano la valutazione di 90/100.
Leggere note vanigliate sul frutto e sui ricordi di erbe della macchia mediterranea. Un utilizzo ben bilanciato del legno, che esalta il varietale. Ottima persistenza. 95/100
Paestum Fiano Igp Pian di Stio Bio 2022, San Salvatore 1988
Vino molto godibile, pronto e di prospettiva, nonché gastronomico. 92/100
Fiano di Avellino Dop 2022 Borgodangelo
Vino all’inizio di una vita che si preannuncia promettente. 90/100
Fiano di Avellino Dop 2022, Colli di Lapio
Un gran lavoro sui primari. Ottima la persistenza. 93/100
Greco di Tufo Dop Alexandros 2022, Colli di Lapio
Vino che interpreta stilisticamente in maniera moderna il vitigno. 91/100
I BIANCHI DELLA CAMPANIA VENDEMMIA 2022
Brillano in maniera particolare i cinque campioni elencati, ma gli assaggi alla cieca effettuati a Campania Stories 2023 consentono di tirare le somme sull’intera vendemmia 2022 dei vini bianchi campani. Un’annata in cui i viticoltori hanno dovuto fronteggiare la siccità, col rischio di ottenere vini agli antipodi: troppo alcolici, oppure troppo magri; sbilanciati sull’opulenza del frutto, oppure connotati da caratteri verdi, fenolici. In generale, l’obiettivo dell’equilibrio è stato centrato da gran parte dei produttori, a riprova del buon momento del vino campano sulla scena nazionale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Conto alla rovescia per la 36ª edizione della rassegna Müller Thurgau: Vino di Montagna, in programma dal 6 al 9 luglio a Cembra. Quattro giorni alla scoperta delle migliori espressioni del vitigno creato a fine Ottocento dal prof Hermann Müller incrociando Riesling Renano e Madeleine Royal, il cui profilo sensoriale è stato di recente stabilito da un gruppo di ricercatori italiani. La terza varietà più coltivata in provincia di Trento sarà protagonista di un calendario di incontri tecnici, masterclass e degustazioni a Palazzo Maffei, oltre a trekking tra i vigneti eroici della Valle di Cembra, soste gastronomiche, tour in bike tra le cantine e intrattenimento, sino alla cena sotto le stelle lungo il viale alberato.
Da segnare in agenda anche il secondo appuntamento con il Giro del Mondo in 80 Müller, che quest’anno fa tappa in Sri Lanka. Nicky Brian, tra i protagonisti dell’undicesima edizione di MasterChef Italia, abbinerà alcune ricette del paese d’origine della sua famiglia al Müller Thurgau. La scelta sarà quella di ricorrere a vini con qualche anno di vita sulle spalle, per valorizzarne non solo la qualità, ma anche la grande versatilità e longevità. A presentare questo showcooking dai sapori esotici sarà il sommelier Andrea Amadei.
Altro momento atteso è la premiazione dei vini vincitori del 20° Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau, la rassegna che mette a confronto Müller Thurgau provenienti da diverse zone d’Italia e dall’estero. E per chi non soffre di vertigini, ci sarà la possibilità di ammirare la perfetta geometria dei vigneti eroici della Valle di Cembra dall’alto, a bordo di un elicottero. Il programma completo è reperibile sul sito ufficiale della Mostra Müller Thurgau.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
FOTONOTIZIA – Andreas Kofler è stato confermato presidente del Consorzio Vini Alto Adige e resterà in carica per un altro mandato, della durata di 3 anni. Il neoeletto consiglio di amministrazione ha riassegnato che la vicepresidenza a Martin Foradori.
Andreas Kofler, Klaus Pardatscher, Georg Eyrl, Philipp Plattner e Oscar Lorandi rappresenteranno il Consorzio per le cantine cooperative nel Consiglio di amministrazione del Consorzio. Martin Foradori, Alois Clemens Lageder e Peter Zemmer sono stati riconfermati rappresentanti delle Tenute dell’Alto Adige. Per i Vignaioli dell’Alto Adige, riconfermato Stefan Vaja che sarà per la prima volta affiancato da Hannes Andergassen.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
L’Area Studi Mediobanca pubblica l’Indagine sul settore vinicolo in Italia che riguarda 255 principali società di capitali italiane con fatturato 2021 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati per 10,7 miliardi di euro, pari all’89,3% del fatturato nazionale del settore. I maggiori produttori di vino si attendono per il 2023 una crescita delle vendite complessive del +3,3%, +3,1% l’export. La leadership di vendite nel 2022 resta appannaggio del gruppo Cantine Riunite-GIV. Nel 2021 il miglior Roi tocca alle aziende piemontesi (8,9%), mentre alle toscane va lo scettro del più alto Ebit margin (15,7%). Sempre secondo l’indagine Mediobanca, nel 2022 cresce la partecipazione dei fondi di private equity nei capitali delle principali imprese vinicole (+63,5% sul 2020) attestandosi al 4,6% del totale.
SETTORE VINICOLO ITALIANO: IL 2022 E OLTRE
I maggiori produttori di vino si attendono per il 2023 una crescita delle vendite complessive del +3,3%, +3,1% l’export. A spingere le vendite l’ottimismo delle bollicine (+5,2% i ricavi complessivi, +4,2% l’export), mentre i vini fermi si aspettano un +2,8% (+2,9% l’export). Il 2022 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un aumento del fatturato del 10% (+10,5% il mercato interno, +9,5% l’estero). L’Ebit margin ha riportato un calo del 7,6% sul 2021, il rapporto tra il risultato netto e il fatturato dell’8,7%. I vini frizzanti (+16,9%) hanno accelerato più dei vini fermi (+8,2%). Prevalgono i mercati di prossimità (Paesi UE) con il 37,1% dell’export, ma si riduce la distanza con il Nord America (34,6%); crescita importante (+26,9%) per l’America centro-meridionale.
Nel 2022 il ritorno alle normali abitudini di consumo e la ripresa del flusso turistico hanno favorito le vendite nel canale Ho.Re.Ca. (+19,9%), che passa dal 16,6% del mercato nel 2021 al 18,1% del 2022, a svantaggio della Gdo, (+3,3% a valore) in calo dal 37,7% al 36%. Le dinamiche inflattive del 2022 hanno rallentato le vendite nella Gdo che si è mostrata più restia a trasferire i maggiori costi sui listini al fine di preservare i volumi. Gli aumenti di listino hanno interessato in minor misura i vini Basic (+6,6% a valore); aumenti a doppia cifra per i vini Premium (+13,7%) e i vini Icon (+11,1%). L’attenzione alla sostenibilità spinge le vendite 2022 del bio (+9,6% sul 2021) confinato al 4,3% del mercato. Vino e turismo: nel 2022 crescono i ricavi dei servizi enoturistici (+67% sul 2021). Al primo posto le visite in cantina (78,8% delle imprese), seguite dall’accoglienza presso una propria struttura alberghiera (32,5%) e dalla ristorazione (27,5%). Il 17,5% delle società non svolge alcuna attività enoturistica.
E-COMMERCE VINO IN FRENATA IN ITALIA NEL 2022
In ridimensionamento l’e-commerce: nel 2022 le vendite on-line delle principali imprese vinicole si sono ridotte del 3,7% (2,1% del fatturato nazionale). Nel 2021 la classifica dei principali pure player è guidata da Vino.com che ha fatto registrare ricavi per 43,3 milioni di euro, in crescita del 44% sul 2020. Seguono Tannico (33,5 milioni, -9,7%) e Bernabei (31,8 milioni, +23,3%). Sopra i 10 milioni di euro anche il fatturato di Callmewine (17,1 milioni), in aumento del 38,4% sul 2020, e di XtraWine (12,6 milioni, +76,7%). Di poco inferiore il Media Relations Tel. no.: 02-8829.914/766 media.relations@mediobanca.com fatturato di Winelivery (9 milioni di euro) in aumento del 29% sul 2021. Il 2021 non è stato un anno positivo per le realtà di minori dimensioni (-6,3% i fatturati sul 2020).
LE IMPRESE DEL VINO ITALIANO BEST PERFORMER
La leadership di vendite nel 2022 resta appannaggio del gruppo Cantine Riunite-GIV, con fatturato a 698,5 milioni (+10,1% sul 2021). Al secondo posto il neonato polo vinicolo Argea (455,1 milioni, +9,6%), completa il terzetto IWB – Italian Wine Brands in crescita del 5,2% sul 2021 a 430,3 milioni. Fatturato 2022 superiore ai 400 milioni di euro anche per la cooperativa romagnola Caviro (417,4 milioni) in progresso del 7,1% sul 2021. Sette società rilevano ricavi compresi tra i 200 e 300 milioni di euro.
Si tratta della cooperativa trentina Cavit (fatturato 2022 pari a 264,8 milioni di euro, in calo 2,3% sul 2021), della veneta Santa Margherita (260,7 milioni di euro, +18,2%), della toscana Antinori (245,4 milioni di euro, +14,9%). A seguire la piemontese Fratelli Martini (237,6 milioni, +8,2%), La Marca, specializzata nella produzione di spumanti, con fatturato 2022 pari 235,2 milioni di euro (+30,9%), la trentina Mezzacorona (213,4 milioni, +8,6%) e la veneta Casa Vinicola Zonin (200,1 milioni, +0,8%).
Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2022 vede in testa la toscana Frescobaldi (28,4%) seguita dalla veneta Santa Margherita (19,7%). Chiude il podio Terra Moretti con un utile su fatturato del 13,7%, in aumento di 4,4 punti percentuali sul 2021, secondo tasso di crescita più alto dopo quello della Berlucchi (10,7%, +6 p.p. sul 2021). Alcune aziende hanno una quota di export molto elevata, in alcuni casi quasi totalitaria: Fantini Group tocca il 96,4%, Ruffino il 93,2%.
I TERRITORI DEL VINO ITALIANO
Dai conti aziendali emergono le specificità regionali. Nel 2021 il miglior Roi tocca alle aziende piemontesi (8,9%), alle toscane il più alto Ebit margin (15,7%). In Toscana anche la maggiore solidità finanziaria, con i debiti finanziari pari ad appena il 22,1% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (68,9% del fatturato). Brilla la Lombardia (Ebit margin 2021 all’8,5%) con vendite 2021 in aumento del 18,6% trainate dalle bollicine (+29,9%) che rappresentano la metà del fatturato complessivo. Nel 2022 gli spumanti spingono la crescita delle imprese venete (+13,4%); performance superiori alla media nazionale anche per Puglia (+21,1% sul 2021) e Sicilia (+14,9%). Ottimismo per il 2023 per il Friuli-Venezia Giulia (+9,9% sul 2022), Lombardia (+6,7%), Piemonte (+6,1%) e Sicilia (+5,6%).
LA GOVERNANCE DEL VINO ITALIANO
Nel 2022 cresce la partecipazione dei fondi di private equity nei capitali delle principali imprese vinicole (+63,5% sul 2020) attestandosi al 4,6% del totale. Al controllo familiare spetta invece il 65,8%. Board: prevalgono compagini asciutte (l’86,6% dei CdA non superano i 5 componenti) e verticistiche (52% i casi in cui le deleghe operative sono concentrate nelle mani di un solo soggetto). Le presidenze (età media 62,5 anni), soprattutto nel caso in cui sono associate alla carica di Consigliere delegato (64,4 anni), sono ricoperte da soggetti relativamente più anziani.
L’età media del Consigliere è di 55 anni. Gli appartenenti alla Gen X sono la fascia generazionale più rappresentata (41,2%), seguiti dai Baby Boomers (39,1%). I Millennials occupano il 13,1% delle cariche. Quote rosa: le donne sono il 12,8% dei board (23,8% nelle società non cooperative) e l’8,8% dei presidenti (15,7% tra le non cooperative). Il 68,6% degli amministratori italiani ricopre la propria posizione in una società situata nella stessa provincia di nascita. Più localismo degli amministratori nelle regioni del Nord Est (76,4%) e nel Sud e Isole (74,1%).
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
«Sostenibilità, cambiamento climatico, monitoraggio costante dell’evoluzione del mercato nazionale e internazionale, oltre che del consumatore». Queste le parole chiave del nuovo mandato di Christian Marchesini, rieletto oggi presidente del Consorzio Vini Valpolicella. Il CdA ha espresso anche i vicepresidenti del Consorzio: Mauro Bustaggi di Corte Figaretto e Andrea Lonardi di Angelini Wines and Estates, anch’essi eletti all’unanimità.
Nel suo prim intervento dopo la riconferma, Marchesini ha inoltre fatto un accenno ai giovani che stanno accompagnando le denominazioni chiave nel futuro. «Ci attendono nuovi scenari sfidanti – sottolinea – a partire dal consolidamento della transizione green, che oggi incide per il 33% sul totale degli ettari vitati. Una prospettiva strettamente connessa alle variabili climatiche, con tutte le incognite anche produttive che questo comporterà in futuro».
Christian Marchesini, titolare dell’azienda agricola Monte Gradella a Fumane di Valpolicella, è “uomo di territorio”, con una lunga esperienza nel Consorzio in cui siede come consigliere dal 2005 al 2012, quando viene nominato presidente. Nel 2014 viene nuovamente rieletto alla presidenza. Nelle elezioni del triennio successivo, Marchesini non presenta la propria candidatura. Ritornerà presidente del Consorzio vini Valpolicella a luglio del 2020, prima della riconferma avvenuta oggi.
«Sul fronte della domanda globale dei vini della Valpolicella – conclude Christian Marchesini – sarà necessario indagare ed esplorare le nuove richieste e le dinamiche di consumo degli appassionati sui diversi mercati per mantenere posizionamento, crescita e reddittività della denominazione. Tra gli obiettivi anche la modifica dello Statuto del Consorzio per renderlo al passo con i tempi aprendo alla partecipazione attiva del Gruppo Giovani dell’ente, primo in Italia ad averlo costituito in chiave di confronto per nuove interpretazioni della Valpolicella di domani».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Giornata da incorniciare per la sesta tappa della Tournée des Terroirs che, ieri, ha visto protagonista Sigolsheim e la Nécropole Nationale, uno dei panorami mozzafiato tra i vigneti eroici dell’Alsazia. Più di mille persone si sono radunate all’incrocio tra i Grands Crus Mambourg e Marckrain per assaggiare i vini di 7 vignerons della vallata. L’iniziativa del Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace, voluta per «aprire al pubblico e democratizzare» i grandi vini alsaziani, partendo proprio dai luoghi in prendono vita, torna il 4 giugno a Molsheim. In agenda, poi, altre 8 tappe lungo i 170 chilometri della Strada del vino dell’Alsazia, fino al 30 luglio (qui il programma completo). Una scusa in più per trascorrere un weekend in Alsazia, immersi tra i vigneti più green della Francia.
Nella regione vinicola situata sulla sponda occidentale del Reno, al confine con Svizzera e Germania – ben collegata con autostrade, aeroporti e trasporto ferroviario, con la bellissima cittadina di Colmar distante 5 ore e mezza da Milano – il 25% delle superfici sono certificate in biologico. Un 50% è in via di certificazione Haute Valeur Environnementale (HVE – livello 3) e si registra una tra le più alte concentrazioni al mondo di produttori biodinamici, certificati Demeter.
«La Tournée des Terroirs – spiega a winemag.it Philippe Bouvet, direttore marketing Conseil interprofessionnel des Vins d’Alsace (nella foto, sopra) – è un’iniziativa unica nel suo genere, la prima ad essere organizzata in Francia. A renderla particolare non è solo la location, ovvero i Grands Crus dell’Alsazia, ma anche il target, che si rivolge a un pubblico trasversale, che va dai professionisti del settore a chi si vuole avvicinare per la prima volta al mondo del vino, insieme alla propria famiglia».
Oltre a tasting e momenti di approfondimento sui singoli Cru, il Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace organizza in ogni tappa una serie di attività accessibili a tutti, che permettono di (ri)scoprire i vini locali. In mezzo ai vigneti simbolo dell’Alsazia si possono così degustare oltre 400 vini dei produttori che operano nei 51 Grands Crus alsaziani. Sul posto anche spazio per food, animazione per bambini, workshop e dj set, frutto della collaborazione con professionisti “a Km 0”.
L’ALSAZIA E IL SUO VIGNETO “GREEN”: LA SVOLTA DEL CONSEIL INTERPROFESSIONNEL
Tutto ciò – precisa ancora Philippe Bouvet – con un occhio particolare alla sostenibilità, mediante l’utilizzo di pannelli fotovoltaici mobili e riciclo dei materiali già utilizzati in occasioni di grandi fiere come Wine Paris & Vinexpo Paris o Prowine».
Di tutto rispetto il parterre di vignaioli alsaziani che ha aderito all’iniziativa del CIVA. Ieri, a Sigolsheim, erano presenti le cantine Bestheim, Domaine Etienne Simonis, Domaine Maurice Schoech, Domaine Michel Fonne, Domaine Weinbach, Vignoble des 5 sens e Domaine Paul Blanck, con quest’ultimo che si è reso protagonista dell’eccezionale assaggio di una vecchia annata del Grand Cru Mambourg. Un Gewurztraminer classe 1999 in splendida forma, a dimostrazione del grande carattere, anche in termini di longevità, dei Terroirs dell’Alsazia. La prova “provata” che il claim scelto dal CIVA è più che mai azzeccato: “Alsace Rocks!”, ovvero l’Alsazia (e i suoi suoli) “spaccano”. Ed è proprio il caso di dirlo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ha subito una battuta d’arresto il “sigillo antifrode” sui vini Igp del Sannio. Dopo i dubbi mossi da Federdoc, che lo considera un potenziale doppione della “fascetta” o “contrassegno di Stato”, riservata sin ora in Italia ai soli vini Dop e Docg, il presidente del Consorzio Vini del Sannio, Libero Rillo, promotore dell’iniziativa, ha predisposto «ulteriori controlli sulla fattibilità legale del provvedimento» pur avendo «già ricevuto l’avallo a procedere da parte del Ministero». Rispondendo a winemag.it dal Vietnam, dove si trova per un viaggio di lavoro, Rillo precisa tuttavia che «il progetto relativo all’Igp Beneventano non è affatto congelato».
«Ci siamo presi ulteriore tempo – spiega – per non danneggiare nessuno e approfondire ulteriormente la questione, ma potremmo partire quando vogliamo». Libero Rillo, ostacolato dalla presa di posizione di Federdoc, rincara la dose: «Dovrebbero farci tutti un plauso, perché siamo stati capaci di rimettere in moto una questione ferma da 7 anni. L’apposizione di un sigillo di garanzia sui vini Igp del Sannio non danneggia nessuno. Anzi, tutela il consumatore. Non mi faccio una ragione dell’accanimento dimostrato da qualcuno dei nostri confronti».
«Le cronache raccontano che ci sono truffe e imbrogli enormi sui vini Igt. Un sigillo di garanzia, così come da noi proposto, avrebbe risultati effettivi contro la contraffazione dei vini a indicazione geografica. Il Beneventano e la Campania potrebbero ergersi a testa d’ariete, come capofila di un’iniziativa imitabile, poi, anche in altre regioni e denominazioni italiane. Una cosa del genere andrebbe lodata, non contrastata». Sono circa 13 i milioni di bottiglie Igp del Sannio potenzialmente interessate, con la Falanghina a farla da padrona.
RILLO SUL SIGILLO ANTIFRODE: BASTONI TRA LE RUOTE AI FURBETTI DELL’IGP
Forse non è chiaro che non si tratta di un provvedimento facile da prendere in un territorio come il nostro – aggiunge il presidente del Consorzio Vini del Sannio – ma siamo stati confortati, sin dalle fasi preliminari, dai positivi riscontri ricevuti dagli altri Consorzi del vino della Campania e da molte grandi aziende, che ci hanno fatto i complimenti. Grazie al sigillo, andremmo a rompere le uova nel paniere a un sacco di aziende poco chiare e lineari sul fronte dell’Igp. Sono tuttora basito dall’avversione di qualcuno nei confronti di un sigillo antifrode, che eviterebbe la moltiplicazione dei pani e dei pesci».
Il sigillo sui vini Igp Beneventano ha tuttavia causato anche problemi interni al Consorzio e nei rapporti politici con le associazioni di categoria, tra cui Confagricoltura Benevento. Sul banco degli imputati, le modalità con le quali Libero Rillo avrebbe scelto di portare avanti l’iniziativa con Coldiretti e Istituto Poligrafico – Zecca dello Stato, senza coinvolgere altre sigle sindacali. Una polemica che ha toccato il suo punto più aspro con la richiesta di dimissioni del presidente del Consorzio, ritirata dopo le rassicurazioni di Rillo. Dopo poche settimane è arrivata la presa di posizione di Federdoc, che sta tuttora sparigliando le carte in tavola.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dopo aver digerito l’ottima notizia della tregua con le Famiglie Storiche, l’assemblea dei soci del Consorzio vini Valpolicella ha eletto ieri sera il nuovo Consiglio di amministrazione dell’ente no profit di emanazione ministeriale per la tutela, valorizzazione e cura generale degli interessi relativi alla denominazione, che per il prossimo triennio sarà così composto: Daniele Accordini, Cantina Valpolicella Negrar, Sergio Andreoli, Collis Veneto Wine Group, Carlo Boscaini, Az. Agr. Boscaini Carlo; Mauro Bustaggi, Corte Figaretto; Diego Cottini, Cottini S.p.A.; Luca Degani, Cantine di Verona.
E ancora: Paolo Fiorini, Cantina di Soave; Lucio Furia, Soc. Agr. Le Ruine; Andrea Lonardi, Angelini Wines and Estates; Christian Marchesini, Monte Gradella; Umberto Pasqua Di Bisceglie, Pasqua Vigneti e Cantine; Cristian Ridolfi, Gruppo Italiano Vini; Marco Sartori, Roccolo Grassi; Marco Speri, Secondo Marco; Vittorio Zardini, Cantina Soc. Valpolicella Classico di San Pietro in Cariano.
I revisori dei conti sono Alessia Filippini, Ernesto Maraia e Franco Puntin. Nel corso della seduta, l’assemblea dei soci ha inoltre approvato il bilancio 2022 del Consorzio vini Valpolicella che ha registrato oltre 3,1 milioni di euro di attività svolte e un utile pari a 16.475 euro. «Archiviamo un esercizio positivo all’insegna della ripresa totale delle attività promozionali su tutti i mercati obiettivo per la denominazione – ha commentato il presidente uscente Christian Marchesini -. Tra le priorità raggiunte dal mandato anche la chiusura del dossier Unesco per la candidatura della tecnica autoctona della messa a riposo delle uve. Il nuovo Cda, a cui auguro un buon lavoro, dovrà guardare al futuro della denominazione e in particolare alla rapida evoluzione della geografia dei consumi di vino che interessano anche la Valpolicella».
CONSORZIO VINI VALPOLICELLA: I NUMERI DELLA GESTIONE MARCHESINI
Entrando nel merito della disamina del bilancio, i ricavi realizzati sono stati destinati per il 94% a coprire i costi dell’attività strettamente istituzionale: promozione e valorizzazione, tutela della denominazione e vigilanza. In particolare, si segnala il balzo delle attività promozionali che l’anno scorso hanno visto il Consorzio impegnato in 10 paesi dalla Danimarca agli Usa, dalla Gran Bretagna al Giappone fino al Vietnam, alla Svezia e alla Svizzera per 16 tappe tra eventi diretti, partecipazioni fieristiche, masterclass e il secondo livello del Vep – Valpolicella education program, il corso di formazione ideato dal Consorzio interamente dedicato alla prima Dop di vino rosso del Veneto e che oggi include 48 esperti internazionali. Mentre gli eventi realizzati in Italia sono stati 25.
Il Consorzio vini Valpolicella conta più di 2400 aziende tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori (oltre l’80% di rappresentatività), su un territorio di produzione che si estende in 19 comuni della provincia di Verona, dalla Valpolicella fino alla città scaligera che detiene il primato del vigneto urbano più grande dello Stivale. La Valpolicella ha una P.L.V. (Produzione Lorda Vendibile) ad ettaro tra le più alte in Italia, 23.000 €/Ha nel 2022. Cresce il vigneto e con esso il potenziale produttivo. Negli ultimi 20 anni è raddoppiato il terreno rivendicato a Valpolicella, che ha raggiunto gli 8.586 ettari di estensione nel 2022. Sono poco più di 67 milioni le bottiglie delle denominazioni (Valpolicella, Amarone, Recioto e Valpolicella Ripasso) prodotte l’anno scorso, per un giro d’affari complessivo di 600 mln di euro annui, di cui più della metà riferito alle performance dell’Amarone.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Doveva essere l’edizione delle certezze ritrovate, in quell’Irpinia dove tutto ha preso vita. Invece, il programma di Campania Stories 2023, all’insegna della parola «sinergia», si è già rivelato ricco di sorprese nella giornata d’esordio, ieri pomeriggio al Castello di Gesualdo, Comune inserito tra i Borghi più belli d’Italia. Tanta commozione tra gli organizzatori e qualche accenno al grande progetto di una Doc Campania che potrebbe costituire la ciliegina sulla torta dello stesso percorso di Campania Stories, format ideato dall’agenzia di comunicazione Miriade & Partners che giunge quest’anno all’ottava edizione, come evoluzione di “Anteprima Taurasi”, “Taurasi Vendemmia”, “BianchIrpinia” e “Terra Mia”.
DOC CAMPANIA SULLO SFONDO
La Doc non viene mai menzionata, ma i rimandi sono molteplici, tra le righe dei vari interventi. Secondo quanto riferito alla stampa italiana e internazionale accorsa in Irpinia, i tempi sarebbero maturi in Campania per un progetto corale, che vedrebbe i produttori riuniti – non è ancora chiaro in che forma e con quali, eventuali rinunce – sotto il medesimo “cappello” di una Denominazione di origine controllata Campania, sul modello del Piemonte o, ancor meglio, della Sicilia. «Consorzi e produttori non hanno mai collaborato come invece fanno oggi», ha sottolineato Miriade & Partners, nell’annunciare peraltro che «Campania Stories 2024 si svolgerà nel Sannio».
Solo un accenno all’argomento anche da parte di uno dei principali promotori della Doc Campania, ovvero l’assessore regionale all’Agricoltura Nicola Caputo. «È un momento magico per il vino campano – ha sottolineato l’esponente della giunta De Luca nel suo video intervento da Bruxelles, dove si trova per impegni istituzionali – e stiamo facendo grandissimi sforzi per avere un maggiore riconoscimento e una maggiore percezione sui mercati». «Riconoscimento» e «percezione» che, come apertamente dichiarato più volte, potrebbero arrivare proprio grazie a una Doc regionale.
CAMPANIA CHIAMA BASILICATA: ECCO “GENERAZIONE VULTURE”
Certo, in un’ottica di potenziali “anteprime regionali”, dovrà forse essere rivisto lo stesso format di Campania Stories, che al momento prevede costi che variano da 500 a 850 euro + Iva (da 1 a 8 etichette) per l’iscrizione dei campioni ai tasting riservati alla stampa di settore nazionale e internazionale (elemento che scoraggia una più ampia partecipazione di cantine campane). Il programma di Campania Stories 2023 entra infatti nel vivo oggi, con gli assaggi delle nuove annate di spumanti e vini bianchi prodotti nelle principali denominazioni campane.
Domani sarà poi il turno dei vini rossi, sempre all’Hotel Villa Calvo – Ristorante La locandina di Aiello del Sabato (Avellino). Oltre 90 le adesioni da tutta la regione alla rassegna organizzata da Miriade & Partners con le aziende partecipanti. Un modo per «celebrare la sinergia tra tutte le componenti del mondo del vino: le cantine campane, Associazione italiana sommelier Ais Campania e Regione Campania». Ma non solo.
Tra le soprese della giornata di esordio di Campania Stories 2023, ancora una volta in un’ottica di espansione del progetto iniziale, si è registrata la presenza di due produttori del progetto “Generazione Vulture” (nella foto, sopra), Elena Fucci e Andrea Piccin (Grifalco). Per la prima volta in 8 edizioni, l’evento targato Miriade & Partners ha dunque aperto le porte a esperienze che superano i confini regionali, per mostrare come «confrontarsi e fare gruppo non può che arricchire».
Campania Dop, ricerca shock: «Un consumatore di vino su due non conosce i vini campani»
Campania Dop, ricerca shock: «Un consumatore di vino su due non conosce i vini campani». Intervento assessore Nicola Caputo a Vinitaly 2023
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È una crescita qualitativa generalizzata quella dei vini siciliani. A dimostrarlo, con una certa evidenza, sono gli assaggi alla cieca compiuti a Sicilia en Primeur 2023, annuale rassegna organizzata da Assovini Sicilia che raccoglie la quasi totalità delle eccellenze isolane. L’edizione andata in scena dal 9 al 13 maggio tra Taormina e Radicepura ha saputo rendere onore al claim voluto quest’anno dall’entourage del presidente Laurent Bernard de la Gatinais, “Ambasciatori e Custodi di Cultura e Territorio”. Chi più, chi meno, tutte le denominazioni siciliane rivelano l’ottimo lavoro dei produttori al cospetto di un’annata sfidante, dal punto di vista delle insidie climatiche. Oltre alla qualità in netta ascesa, quel che emerge è l’impulso dato dall’istituzione della Doc Sicilia a diversi territori.
Sull’isola, in maniera capillare, da Est a Ovest, da Nord a Sud, sono rinate denominazioni dimenticate (emblematico il caso del Mamertino) e altre stanno man, mano (ri)prendendo forma (su tutte, le maggiori attese si concentrano sull’eterna promessa Marsala). È una sorta di moto d’orgoglio “localista” quello scaturito dalla formalizzazione della Doc regionale, avvenuta il 22 novembre 2011. Undici anni in cui la viticoltura siciliana è cambiata radicalmente. Perdendo ettari (e non pochi: 40 mila, solo dal 2008 al 2018). Puntando su comunicazione e biologico (42 mila ettari “sostenibili” su 110 mila non sono pochi, anche se il “bio” è un dovere in regioni baciate da Dio come la Sicilia).
Riposizionandosi sui mercati, ben al di là degli sforzi compiuti “privatamente” dalle tante cantine-brand presenti sull’isola (Planeta, Donnafugata, Tasca d’Almerita, Florio e Pellegrino per citarne solo alcune). Partendo dai territori e dai terroir (il sempre più trainante Etna, su tutti). E, non ultimo, proponendosi con rinnovato orgoglio come meta per gli enoturisti nazionali e internazionali, senza il timore reverenziale di dichiarare – apertamente, come ha fatto il presidente Assovini Laurent Bernard de la Gatinais – che «il modello è la California», per le vincenti strategie di marketing dell’accoglienza adottate dallo stato Usa», da coniugare e rimodellare «sull’unicità e sulla ricchezza del patrimonio storico, culturale, archeologico e produttivo siciliano».
SICILIA EN PRIMEUR 2023: BENE GRILLO, NERO D’AVOLA, ZIBIBBO E INSOLIA
Quanto ai calici, con la vendemmia 2022, la Sicilia si conferma isola-continente del vino per tutte le stagioni. Grillo e Nero d’Avola risultano in grande spolvero in tutti gli angoli della regione. Stessa sorte per Carricante, Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, i vitigni principali dell’Etna Doc. Sempre più chiara – ed è un’altra gran bella notizia – la profilazione dell’Insolia / Inzolia che perde – nella maggior parte dei casi – i tratti verdi e duri che ne caratterizzavano il profilo, nelle annate precedenti.
Una varietà che ha ottime chance di potersi ritagliare spazi di mercato in qualità di “Sauvignon siciliano“, per i suoi tratti aromatici ed erbacei. Nuova vita anche per lo Zibibbo. Nella sua terra d’origine, l’isola di Pantelleria, si registra una crescita esponenziale degli spumanti e dei vini fermi, rispettivamente del 68 e del 25% rispetto al 2018. Il tutto, senza che il Passito di Pantelleria ne risenta più di tanto. Cresce, anzi, anche lui, del 10% rispetto a 5 anni fa, secondo i dati forniti a winemag.it dal presidente del Consorzio, Benedetto Renda.
ANTEPRIMA VINI SICILIANI: LA SCOMMESSA PERRICONE
La vera sorpresa è però il Perricone, vitigno autoctono che, dagli assaggi in anteprima a Sicilia en Primeur 2023, risulta quello maggiormente cresciuto dal punto di vista qualitativo. La riscoperta del vitigno da parte di diverse cantine sta dando nuovo lustro alla varietà originaria della Sicilia occidentale, tanto da aprirgli nuove strade e opportunità anche sui mercati internazionali. Ottima e poliedrica l’interpretazione di Assuli, anche se il suo perfetto compimento è nell’interpretazione magistrale della cantina Feudo Montoni, capace di dare del tu a un vitigno burbero, ribelle, spigoloso, per certi versi selvatico, solo apparentemente da addomesticare, in vigna.
Grappolo grosso, buccia spessa. Il Perricone non ha paura delle malattie fungine e sembra voler quasi sfidare la grandine, con la sua attitudine alla maturazione tardiva. Nel calice ha tutte le carte in regola per diventare la “storia nuova” della viticoltura siciliana, capace di farsi amare per i tratti giovanili, fruttati; tanto quanto per il fascino nell’invecchiamento, al pari dei grandi vini rossi. Certo, aiutano vigneti come quello di Fabio Sireci (nella foto con Melissa Muller), a 800 metri sul livello del mare, vero orgoglio del titolare di Feudo Montoni, che è tra i viticoltori siciliani più disposti a scommettere sulle potenzialità ancora nascoste (ai più) del Perricone.
L’ETNA SI RIPOSIZIONA SUI BIANCHI DEL VERSANTE EST
Per una novità, una certezza in trasformazione, senza perdere identità: l’Etna. Sul vulcano siciliano stanno tuttavia cambiando i rapporti di forza tra i versanti. Se fino a ieri era il versante Nord quello più in vista e blasonato, i nuovi trend di consumo – che privilegiano vini bianchi e spumanti rispetto ai vini rossi – stanno dando grande visibilità al versante Est, in cui si trova in particolare il piccolo comune di Milo. I vigneti, che si estendono dai 700 metri sul livello del mare, svettano tutto attorno a piazza Belvedere, punto panoramico del paese di 1.072 abitanti da cui è possibile ammirare Taormina e, addirittura, scorgere il golfo di Catania e la Calabria.
La crescita dell’Etna Bianco Superiore di Milo sta assorbendo, per certi versi, il calo dell’Etna Rosso Riserva (-26,30% nel 2022, rispetto al 2021). Un exploit che ha il volto di Carla Maugeri (nella foto), vignaiola che insieme alle sorelle Paola e Michela ha ridato nuova vita all’azienda di famiglia, proprio a Milo. Al loro fianco, sin dagli esordi nel 2015, l’enologo Emiliano Falsini e l’agronomo Stefano Dini. Due le interpretazioni di “Contrada Volpare” 2021 degustate in anteprima durante il programma di Sicilia en Primeur 2023. Entrambe risultano capaci di abbinare note di erbe montane a una sapidità iodica, marina, unite a ricordi di agrumi come il bergamotto e di frutta a polpa bianca croccante (mela, susina bianca).
“Contrada Volpare Frontebosco” 2021 affina più a lungo in legno grande ed è un vino che esalata il grande potenziale dell’Etna nella produzione di vini bianchi tesi ed elettrici che, con il giusto apporto di terziari, possono diventare ancora più gastronomici e golosi, di gran persistenza aromatica. Vini che nascono da un vero e proprio museo a cielo aperto, frutto di un lavoro che Carla Maugeri definisce di «ristrutturazione conservativa». Il riferimento è al colpo d’occhio offerto dagli 83 terrazzamenti che circondano il caseggiato, a Milo, donando colore ai 2,8 chilometri di muretti a secco in pietra lavica nera che si snodano nei 7 ettari di proprietà.
ETNA DOC: LA CRESCITA DEGLI SPUMANTI E LA SCELTA DI BENANTI
Una terra, l’Etna, che invita oggi a investire (e a scommettere) sulla crescita internazionale di bianchi e spumanti da uve autoctone. Lo dimostra anche l’ultimo progetto di Mario Piccini, patron della «famiglia del vino toscano» che sul vulcano detiene la tenuta Torre Mora. È da poco sul mercato lo Spumante Metodo Classico Rosé 2018 “Chiuse”, prime 3 mila bottiglie di Nerello Mascalese in purezza vinificato in rosa, dosaggio zero. Quarantotto mesi sui lieviti e sboccatura a febbraio 2023 per una bollicina destinata a raccontare il vulcano siciliano in giro per il mondo, accanto ad altri fulgidi esempi.
Il riferimento è al “Sosta Tre Santi” di Cantine Nicosia, o a “Noblesse” e “Lamorémio” di Benanti, cantina che tuttavia ha scelto di non rivendicare la Denominazione di origine controllata (Doc) per i suoi spumanti, riservata invece ai suoi grandi bianchi e rossi. «L’Etna Doc è piccola – spiega Salvino Benanti (nella foto) a winemag.it – contando solo 1.200 ettari. Il mio timore è che la crescita della categoria “spumanti” finisca per mangiarsi “quote uva” utili alla produzione di vini fermi di qualità. Peraltro, l’Etna non ha storicità o reputazione nella produzione di sparkling. Fosse stato per me, avrei lasciato fuori gli spumanti dalla Denominazione, sperimentando su vigneti di quota non inclusi nel territorio della Doc».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
We use cookies on our website to give you the most relevant experience by remembering your preferences and repeat visits. By clicking “Accept”, you consent to the use of ALL the cookies.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
ACQUISTA LA GUIDA e/o SOSTIENI il nostro progetto editoriale
La redazione provvederà a inviarti il Pdf all’indirizzo email indicato entro 48 ore dalla ricezione del pagamento