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Ricerca e sviluppo in viticoltura ed enologia: Oiv chiama, Masi Agricola risponde

Ricerca e sviluppo in viticoltura ed enologia Oiv chiama, Masi Agricola risponde holding famiglia boscaini nel consortium
L’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV) ha incluso Masi Agricola nel suo “
Consortium”, il Consorzio che già comprende altre cinque realtà vitivinicole internazionali di prim’ordine come Viña Concha y Toro (Cile), Moët Hennessy (Francia), Sogrape (Portogallo), Familia Torres (Spagna) e Yalumba Family Winemakers (Australia). L’organismo intergovernativo al quale aderiscono ben 49 Paesi produttori e consumatori nel mondo beneficia del Consortium per sostenerne progetti di ricerca e sviluppo in viticoltura ed enologia.

Le cantine aderenti si impegnano a contribuire alla ricerca tecnica e scientifica nel settore della vite e del vino e alla sua diffusione tramite la stessa OIV. «Avere Masi nel Consortium – commenta il Direttore generale Pau Roca – arricchisce la qualità della ricerca e amplia l’obiettivo internazionale dell’OIV. Il gruppo non era completo fino all’ingresso di un’azienda italiana così importante: l’Italia è una delle pietre miliari del vino e doveva essere rappresentata. Noi tutti potremo condividere le sue conoscenze e la sua esperienza».

«Le aziende strutturate internamente per la ricerca e sviluppo in vigneto e cantina – dichiara Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola – non sono molte in Italia e sono poche anche a livello globale. Masi, il cui Gruppo Tecnico ha all’attivo quattro decenni di impegno, si sente onorata di far parte di questo prestigioso e ristretto gruppo ed è orgogliosa di rappresentarne l’Italia, portandone le istanze: il patrimonio di biodiversità nelle varietà delle uve che non ha pari, la ricchezza di territori e le conseguenti espressioni enologiche».

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Vendemmia 2023 Sicilia: verso un calo del 35%

La vendemmia 2023 in Sicilia sarà, come sempre, la più lunga d’Italia, mediamente oltre cento giorni. Ma peronospora e condizioni climatiche estreme causeranno un calo del 35% della produzione in alcune aree. È quanto riferisce Assovini Sicilia, mentre il cielo sull’isola sembra essersi di poco rasserenato, viste le stime iniziali di un taglio del 40% del raccolto. Le uve sono in ritardo di maturazione di 10 giorni rispetto alla media. Nonostante il susseguirsi di piogge torrenziali nei mesi di maggio e giugno e degli incendi dovuti al caldo estremo di giugno e luglio, i produttori parlano di qualità delle uve siciliane «non compromessa».

Si comincia nella Sicilia Occidentale, con la raccolta della base spumante, per poi proseguire con le varietà internazionali come lo Chardonnay e il Sauvignon Blanc, seguite dai vitigni autoctoni. A chiudere questa lunga vendemmia siciliana saranno i produttori dell’Etna, a fine ottobre.

«A rendere unica la vendemmia siciliana – commenta Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia – è la varietà degli areali siciliani. Ogni territorio presenta delle condizioni climatiche e dei suoli unici che si traducono nella straordinaria diversità e varietà della produzione vitivinicola siciliana. A circa una settimana dall’inizio della vendemmia è ancora difficile e prematuro fare stime accurate sulla produzione. Sicuramente la Sicilia dimostra di saper governare, grazie ad una agricoltura e tecniche agronomiche sempre più sostenibili, l’effetto dei cambiamenti climatici, puntando sulla qualità e non sulla quantità».

VENDEMMIA 2023 IN SICILIA OCCIDENTALE

Ad oggi la qualità delle uve è ottima, non essendosi registrati problemi di oidio o botrite particolari. A causa del grande caldo in alcune aree si è perso circa il 40% delle uve, ma le attuali temperature più fresche potrebbero ridurre complessivamente l’ammanco. In provincia di Palermo, i mesi di marzo e aprile, tendenzialmente asciutti e freddi, hanno determinato un ritardo nel germogliamento generale di circa 10 giorni.

Questo ritardo ha contribuito a rendere più gestibile il successivo periodo molto piovoso ma tendenzialmente freddo, e reso la pressione delle patologie della vite, quali la peronospora, meno invasiva. Attualmente le vigne presentano una chioma adeguata. Sono sane e si registra una buona maturazione delle uve a partire dall’invaiatura di Pinot nero e Chardonnay che sta avvenendo in questi giorni. Riguardo alle quantità, ci si aspetta una certa continuità rispetto allo storico.

VENDEMMIA 2023 IN SICILIA: ETNA E NORD EST

Manca ancora qualche mese all’arrivo della vendemmia sull’Etna, dove fino a fine giugno si sono registrate basse temperature e piogge continue, tali da rendere difficili gli interventi in vigna, seguite dal caldo estremo di fine luglio con ridotte escursioni termiche tra giorno e notte e vento caldo. Grazie alle sabbie vulcaniche molto drenanti, alle altitudini importanti e ventilazione costante, non c’è stata eccessiva presenza di peronospora e, nonostante i picchi di temperature alte, le piante si mantengono bene.

Dal versante Nord dell’Etna arrivano conferme che la peronospora è sotto controllo, grazie all’arrivo del caldo e delle alte temperature. Nelle zone alte, intorno a 900 metri, si notano uve stupende grazie alla diversa ventilazione e anche alla struttura dei suoli. A Capo Milazzo, nel Nord- Est dell’Isola, i venti che tante volte possono diventare una sfida quest’anno stanno dando pace. L’allegagione sta procedendo bene.

VENDEMMIA 2023 IN SICILIA: LA SITUAZIONE A SUD-EST

La vendemmia 2023 sarà una delle più difficili degli ultimi tempi nel Sud Est della Sicilia. Caldo torrido di questi giorni a parte, le piogge torrenziali e le forti raffiche di vento dei mesi di maggio e giugno, importanti per la fioritura delle uve, hanno messo in ginocchio diversi produttori. L’arrivo consistente della peronospora ha causato danni considerevoli per il 30-35 % circa della nostra produzione. I trattamenti di zolfo e rame, in concentrazione maggiore, non sono bastati a contenere il problema. Questo non vuol dire però che la qualità delle uve sarà messa in discussione. Anzi, si parla di «meno quantità e una maggiore qualità».

A Vittoria molto dipende dalla posizione e dal suolo dei vigneti. Nelle zone con un puro strato superiore sabbioso, che affaccia il mare, sopra Marina di Acate, sabbia e vento sono alleate contro l’umidità costante. Le precisioni sono buone per Nero d’Avola e Frappato, ma i vigneti sono sotto stretta osservazione per controllare la presenza di cocciniglie e cicaline. A Noto, come generalmente in tutta l’isola, confermati dai 7 ai 10 giorni di ritardo nelle fasi fenologiche, con uve sane e molto promettenti.

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Alcohol Duty, aumento tasse sugli alcolici in UK: al pub costano meno del supermercato

Aumenti record delle accise sugli alcolici nel Regno Unito, con l’eccezione di spumanti e bevande low-alcohol. La misura varata dal governo guidato dal primo ministro Rishi Sunak, annunciata già a primavera, è entrata in vigore ieri, 1 agosto 2023. Gli aumenti – pari in media al 10% e da considerarsi i più consistenti degli ultimi 100 anni – interessano tutti gli alcolici prodotti o importati in UK. Attraverso l’Alcohol Duty, letteralmente imposta sull’alcol, Downing Street si pone l’obiettivo di «sostenere l’industria dell’ospitalità e riconoscere il ruolo vitale che i pub svolgono nelle comunità». E «riconoscere che i pub sono ambienti sorvegliati e meno associati ai danni dell’alcol». Di fatto, la birra alla spina non subirà aumenti. La stangata delle nuove accise non riguarda l’on-trade (pub, bar, ristoranti) ma solo l’off-trade: supermercati e negozi dediti alla vendita di alcolici.

L’aliquota non cambia per le birre con un tenore alcolico (ABV) inferiore all’8,5%, confezionate in contenitori di almeno 20 litri (i fusti). Nell’off-trade l’accisa passerà invece dal dal 5% al 9,2% per birra e sidro e dal 20% al 23% per il vino, gli altri prodotti fermentati – precedentemente vinificati – e i liquori. Una svolta che può dirsi epocale. Le aliquote dell’Alcohol Duty erano rimaste invariate in UK sino al 2020. Il 19 dicembre 2022, il governo ha prorogato l’attuale congelamento dell’Alcohol Duty di 6 mesi, dal 1° febbraio al 1° agosto 2023, «per dare certezza alle imprese». E ieri è arrivato il momento della resa dei conti.

SVOLTA EPOCALE PER LE ACCISE SUGLI ALCOLICI IN UK

Portafogli alla mano, l’accisa su tutti i prodotti alcolici inferiori al 3,5% di alcol in volume (ABV) salirà a 9,27 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto. L’accisa sul sidro fermo con almeno 3,5% e meno dell’8,5% in volume di £ 9,67 per litro di alcol. Il sidro frizzante con un minimo di 3,5% e un massimo di 5,5% di ABV costerà £ 9,67 per litro di alcol nel prodotto. E ancora: £ 21,01/litro sulla birra con almeno il 3,5% e meno dell’8,5%; £ 24,77/litro su su alcolici, vino e altri prodotti fermentati con un minimo di 3,5% e un massimo di 8,5% ABV; £ 24,77 sul sidro spumante con titolo alcolometrico superiore al 5,5% ma inferiore all’8,5%.

L’accisa su tutti i prodotti alcolici con un tenore di ABV non inferiore all’8,5% e non superiore al 22% sarà di £ 28,50 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 31,64/litro per tutti i prodotti alcolici che superano il 22% di ABV. I vini con un ABV compreso tra 11,5% e 14,5%, dunque una buona fetta dei vini italiani, saranno trattati come se avessero 12,5% vol, sino al 1° febbraio 2025. Ecco quindi il capitolo degli sgravi. Il nuovo Draught Relief, previsto tra le norme dell’Alcohol Duty, prevede una riduzione dell’imposta sui “prodotti alla spina qualificati”.

ALCOHOL DUTY: SGRAVI PER I PUB IN UK CON IL DRAUGHT RELIEF

L‘aliquota dell’accisa è stata ridotta su tutti i prodotti alcolici alla spina con meno di 3,5% ABV: costa 8,42 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto; il sidro alla spina con almeno il 3,5% ma meno dell’8,5% di ABV si assesta su 8,78 sterline. Lo stesso vale per il sidro spumante alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e un titolo alcolometrico massimo del 5,5%. Aliquota ridotta anche su birra, liquori, vino e altri prodotti fermentati alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e inferiore all’8,5%: £ 19,08 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 19,08 per litro.

Nelle stime del governo, la misura avrà un effetto diretto sull’indice dei prezzi al consumo (IPC). Nell’Economic and Fiscal Outlook (EFO) del marzo 2023, l’Office for Budget Responsibility (OBR) ha stimato una riduzione marginale del tasso di inflazione dell’IPC nel 2023-2024, che si annullerà parzialmente nel 2024 e nel 2025. «I consumatori di prodotti alcolici più forti – ammette Downing Street – pagheranno di più a causa della nuova struttura dell’accisa. Chi consuma prodotti alla spina nei locali “on-trade”, come i pub, pagherà meno tasse rispetto all’equivalente prodotto non alla spina nei locali “off-trade” (come i supermercati)».

ASPRE CRITICHE DALLA WINE AND SPIRIT TRADE ASSOCIATION

Sempre secondo il governo, si prevede che la misura avrà «un impatto trascurabile su un massimo di 10 mila imprese che producono alcolici nel Regno Unito, importano alcolici nel Regno Unito o sono coinvolte nel deposito di alcolici in regime di sospensione del dazio». Quello che il premier Rishi Sunak considera «un costo una tantum trascurabile» viene però duramente criticato dalla Wine and Spirit Trade Association che si dice «profondamente delusa dal fatto che il cancelliere abbia scelto di soffocare le imprese britanniche del Regno Unito, aumentando in modo significativo le imposte sul vino e sugli alcolici». Molto criticato, in particolare, l’approccio al vino.

«L’accisa su una bottiglia di vino fermo – calcola la WSTA – aumenta di 44 pence. Per i vini liquorosi gli aumenti saranno ancora maggiori: il Porto aumenterà di 1,30 sterline a bottiglia e una bottiglia di vodka di 76 pence. I bevitori di vino subiranno il più grande aumento singolo in quasi 50 anni». Ancor più duro Miles Beale, direttore generale della Wine and Spirit Trade Association: «La decisione del governo di punire le aziende e i consumatori di vino e alcolici con un aumento del 10% per gli alcolici e del 20% per il vino, a partire dal 1° agosto, è sconcertante. Si tratta del più grande aumento delle imposte sul vino dal 1975».

WSTA ALL’ATTACCO: «GRAVE DANNO ALLE CANTINE BRITANNICHE»

Questo bilancio contraddice direttamente ciò che il governo sostiene di voler affrontare. Alimenterà ulteriormente l’inflazione. Farà ricadere ulteriori sofferenze sui consumatori. E danneggerà le imprese britanniche, soprattutto quelle della filiera dell’ospitalità, che stanno ancora cercando di riprendersi dalla pandemia. Il doppio aumento delle tasse sul vino è un colpo particolarmente amaro per le aziende vinicole britanniche ricche di PMI. Ci si chiede, ancora una volta, che cosa abbia il governo contro chi sceglie di produrre e bere vino».

Sempre secondo i vertici della Wine and Spirit Trade Association, gli aumenti fiscali inflazionistici si aggiungeranno agli «aumenti furtivi delle tasse» per alcuni prodotti alcolici, che il governo ha inserito nel passaggio alla tassazione degli alcolici in base al titolo alcolometrico. «Dopo tutti gli sforzi per rilanciare le catene di distribuzione dell’ospitalità nel 2022 – attacca la WSTA – il governo non offre alcun aiuto nel 2023 per il commercio del vino e degli alcolici. E, in particolare, per i 33 milioni di bevitori di vino del Regno Unito che vedranno la loro bevanda preferita, e quella della nazione, colpita da un aumento nel bel mezzo di una crisi del costo della vita».

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Terre Cevico compie 60 anni e svolta: nel 2024 sarà cooperativa di primo grado


Terre Cevico
compie 60 anni e si rilancia sui mercati sotto una nuova veste. Da gennaio 2024 avrà un nuovo modello organizzativo, passando da “consorzio cooperativo“, ovvero da società cooperativa di secondo grado, a cooperativa agricola di primo grado. L’annuncio ufficiale è stato diramato ieri dal presidente di Terre Cevico, Marco Nannetti, in occasione della conferenza stampa che ha dato il via al pomeriggio di festeggiamenti per i 60 anni del Gruppo. La cornice scelta per celebrare l’anniversario è stata Tenuta Masselina, vera e propria boutique winery di proprietà di Terre Cevico a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna (16 ettari di vigna e 6 di bosco per una produzione complessiva di circa 50 mila bottiglie, tutte destinate al segmento Horeca).

«Terre Cevico – ha spiegato Nannetti – si è sviluppato in questi anni come consorzio di secondo grado, fornendo servizi tecnici e commerciali alla propria base sociale, creando opportunità di sviluppo verso nuovi prodotti e mercati, innovando sempre, in ambito agronomico, enologico e tecnologico. Oggi sentiamo l’esigenza di accelerare ulteriormente per sviluppare il gruppo, mettendo in sinergia la crescita industriale dell’impresa e l’interesse collettivo dei nostri viticoltori soci. Terre Cevico diverrà presto un sistema inclusivo dell’intera filiera vitivinicola. Un nuovo assetto che da consorzio porterà Cevico ad essere definitivamente cooperativa agricola di primo grado, con il socio viticoltore protagonista e sempre di più al centro del sistema d’impresa».

TERRE CEVICO COOPERATIVA DI PRIMO GRADO DA GENNAIO 2024


Un processo che sottintende a un piano industriale triennale che ha come obiettivo l’aumento dei ricavi, il miglioramento dei margini, l’efficienza da integrazione dei diversi ambiti aziendali. E ancora: su un piano di investimenti consolidato, su una gestione integrata degli aspetti economico finanziari del gruppo e, non ultimo, su progetti correlati al miglioramento dell’impatto ambientale, alla ricerca e allo sviluppo di una viticoltura moderna e orientata al cambiamento climatico. «L’orgoglio delle radici – ha sottolineato ancora il presidente Marco Nannetti – diventa elemento trainante e centrale, ove la matrice agricola ed enologica del gruppo assume rilevanza sempre più strategica».

La storia di Terre Cevico inizia appunto 60 anni fa, per l’esattezza il 19 febbraio del 1963. Profonde radici in Romagna, con una base di soci viticoltori che abbraccia l’areale compreso tra la pianura di Ravenna alle colline di Rimini, sino a Casola Valsenio, passando per i territori di Forlì e Faenza, fino ai terreni sabbiosi del Parco del Delta del Po, a nord-est. Romagnole Società Cooperativa Agricola e Cantina dei Colli Romagnoli sono, ad oggi, le cooperative di soci viticoltori che, assieme alle Cooperative Agricole Braccianti rappresentano la base e l’anima storica della filiera produttiva dei vini Terre Cevico.

FATTURATO 2023 TERRE CEVICO: VOLA L’EXPORT

Il sistema produttivo, attraverso le cooperative di base, comprende circa 2200 soci viticoltori in Romagna per 6700 ettari di vigneto e 5000 viticoltori in totale in altre regioni. Ventitré le unità produttive, cinque gli impianti di imbottigliamento e ben nove le aziende controllate – di cui 5 al 100% – in regioni d’Italia come Veneto, Puglia, Emilia, Trentino e ovviamente Romagna. Si tratta di Sprint Distillery Srl, Italian Trading, DAI – Distribuzione alcoli Italia, Tenuta Masselina Srl Agricola, Medici Ermete e figli Srl, Rocche Malatestiane Rimini Srl, Cantine Giacomo Montresor Spa e Orion Wines, che controlla a sua volta a Masseria Borgo dei Trulli.

Terre Cevico si colloca così al sesto posto nella classifica dei primi 10 gruppi cooperativi nazionali e al dodicesimo della graduatoria delle prime 115 imprese produttive italiane del mondo del vino. Motivo in più per festeggiare l’anniversario dei 60 anni sono le prime indiscrezioni relative al bilancio 2023, che si chiuderà il prossimo 31 luglio. Dovrebbero infatti essere confermati i 72,8 milioni di euro di fatturato derivanti dall’export, da sempre ago della bilancia e pallino del Gruppo, che commercializza in 70 nazioni, in particolare Giappone, Cina, Svezia, Danimarca, Stati Uniti, Francia e Germania.

Il tutto nonostante la possibile, flessione del fatturato consolidato totale, che dovrebbe toccare i 175 milioni, contro i 189,6 dell’esercizio agosto 2021 – luglio 2022. Le prime stime sul valore del conferimento soci si assestano invece su 53,2 milioni di euro, per 1.140.000 di ettolitri. Cifre lontane anni luce da quel 19 febbraio 1963 in cui dieci rappresentanti di cantine sociali e cooperative braccianti del territorio ravennate si riunirono dal notaio, per costituire un consorzio cooperativo dotato di un capitale sociale di 1.050.000 lire. L’allora Centro Vinicolo Ravennate è divenuto Terre Cevico. «Adesso – ha ricordato il presidente Marco Nannetti ieri, durante le celebrazioni dei 60 anni – c’è un’altra storia da scrivere, lunga almeno altri 60 anni». Prosit.

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Il treno Etna Doc non si ferma più: crescono imbottigliamenti a inizio 2023


Un occhio all’allarme peronospora, «sotto controllo e senza gravi rischi». L’altro ai dati sugli imbottigliamenti, ancora una volta positivi. Continua l’ottimismo tra i produttori di Etna Doc, con 3.512.400 bottiglie prodotte nel primo semestre 2023, pari a 26.343 ettolitri. Un incremento del 6,2% rispetto allo stesso periodo del 2022, quando la produzione si era attestata a 3.293.388 bottiglie (24.796 ettolitri). Il bilancio
, stilato dall’Osservatorio del Consorzio Tutela Vini Etna Doc, evidenziano una positiva tenuta della produzione.

«I dati – commenta Francesco Cambria, presidente del Consorzio Tutela Vini Etna DOC – confermano l’ottima accoglienza che il mercato continua a riservare ai vini della nostra denominazione. Il primo semestre dell’anno scorso era stato molto positivo. L’ulteriore crescita dell’imbottigliato nei primi sei mesi di quest’anno, nonostante la situazione economica complessiva, sia nel nostro Paese che a livello internazionale, sia sempre delicata, ci dona grande fiducia e certifica la maturità raggiunta dalla nostra denominazione».

ETNA DOC, IL DETTAGLIO DELLE TIPOLOGIE

Scendendo nel dettaglio delle singole tipologie, si confermano anche quest’anno le ottime performance dei vini bianchi, a partire dall’Etna Bianco Doc (+19%) e dall’Etna Bianco Superiore Doc (+120%), tipologia riservata esclusivamente ai vini prodotti con uve coltivate nella provincia del Comune di Milo, sul versante est del vulcano. La tipologia più imbottigliata della denominazione rimane comunque l’Etna Rosso Doc, con poco più 1,3 milioni di bottiglie, mentre si evidenzia la crescita dell’imbottigliato dell’Etna Rosso Riserva DOC.

Continua ad esserci grande fermento anche sul fronte degli Spumanti, che in questa prima metà dell’anno fanno segnare una crescita del 60% nella versione bianca. «L’entrata in produzione di nuovi vigneti, impiantati prima della sospensione delle nuove iscrizioni ad Etna Doc – sottolinea Cambria – consente certamente una costante crescita dell’imbottigliato. Ma è soprattutto il mercato a premiare la nostra produzione e a influenzare la crescita di questi dati».

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Peronospora, Frescobaldi (Uiv): «Non può essere rimedio alle giacenze di vino»


«La peronospora non può essere il rimedio al problema delle giacenze, per il semplice fatto che una malattia non può risolvere una debolezza del sistema». Non usa giri di parole
Lamberto Frescobaldi, presidente Unione italiana vini (Uiv), nel commentare l’ormai scontata riduzione delle quantità della vendemmia 2023 in Italia. «Se quest’anno, e sottolineo “se”, dovessimo avere una produzione inferiore ai soliti 50 milioni di ettolitri sarà per effetto di un parassita che colpisce in modo lineare, sia le vigne buone che quelle meno buone. Il problema della sovrapproduzione è invece un aspetto che le politiche di settore dovrebbero affrontare con maggiore determinazione».

A trovare una sorta di correlazione tra peronospora, riduzione delle rese e possibilità di taglio delle giacenze di vino era stato anche il produttore Fabio De Ambrogi – titolare della cantina toscana Gratena – in una lettera indirizzata nei giorni scorsi a winemag.it. «A nostro avviso – aggiunge Lamberto Frescobaldi – le vendemmie da 50 milioni di ettolitri sono oggi qualcosa di anacronistico per un Paese leader che dovrebbe concentrare la propria azione su obiettivi di crescita non volumica ma di posizionamento verso l’alto».

Sempre secondo il numero uno di Unione italiana vini, «per controbilanciare un trend che a fine luglio ci porterà probabilmente ad avere il maggior carico di stock in cantina degli ultimi 10 anni, serva una maggior razionalizzazione dell’offerta, basata su tassi consoni di vino rivendicato/imbottigliato, regole più stringenti su riclassificazioni e declassamenti, specializzazione dei distretti per vocazionalità».

«Oggi – conclude Frescobaldi – non ci si può più permettere di produrre vini senza nome e cognome, quelli generici, e di avere un terzo delle Dop-Igp che imbottiglia meno del 40% del proprio potenziale. Una complessità del sistema che necessita di scelte radicali anche in chiave promozione, con il potenziamento delle azioni atte a valutare la reale efficacia delle attività svolte all’estero». Parole molto chiare e decise, destinate certamente a fare discutere nel settore.

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Consumi di vino con il freno a mano fino al 2039: i Paesi produttori corrono ai ripari


I consumi di vino cresceranno
di appena il 7% sino al 2039, con una media annua dello 0,35%. Lo rileva l’Osservatorio di Unione italiana vini, attraverso un outlook basato sulle curve storiche delle tendenze globali dei consumi e sulle previsioni demografiche da qui ai prossimi 16 anni. Complice il progressivo alzarsi dell’età media e la contestuale distanza dal vino da parte delle nuove generazioni, l’incremento delle bottiglie stappate nel mondo sarà in una fase di stallo. Lo studio analizza le tendenze basate sul progressivo invecchiamento dei consumatori. La vera involuzione è attesa nel decennio 2029-2039, quando gli over 65 – sempre più “core-consumer” – incideranno per il 30% dei volumi, mentre gli under 25 scenderanno dal 18 al 13%. Un dato molto allarmante se si considera che, nel decennio 1990/99, over 65 e giovani under 25 erano in perfetta parità, attorno al 18%, per l’appunto.

L’effetto del cambiamento demografico acutizzerà una tendenza che si è già materializzata negli anni. I Paesi produttori tradizionali (Italia, Francia, ma anche Germania e Spagna) sono infatti ormai entrati in una dinamica negativa e di cosiddetta normalizzazione (in Italia e Francia, negli anni Sessanta, si consumavano oltre 50 milioni di ettolitri, con un pro-capite attestato ben sopra i 140 litri annui). Un uguale trend di assestamento si è avuto – sempre tra il 1999 e il 2019 – in Germania e Giappone. Fortemente espansivi si sono invece rivelati Canada, UK, Usa e Cina, con aumenti dei consumi di vino di circa 15 milioni di ettolitri in Usa e Cina, 7 in UK e oltre 3 milioni in Canada. L’outlook al 2039 prevede ora variazioni positive per Stati Uniti (+9,3 milioni di ettolitri), Cina (+4,1 milioni) e Canada (+1,1 milioni). Giappone e Paesi del Vecchio Continente segneranno cali contenuti fino al -2%.

CRISI DEI CONSUMI DI VINO: ITALIA A RISCHIO NEI PAESI TOP BUYER

Da questo punto di vista, l’Italia è ancora più esposta al rallentamento della domanda negli 8 Paesi top buyer, ovvero in quelli in cui finiscono due terzi delle esportazioni di vino italiano. Anche per questa ragione, sempre secondo l’Osservatorio Uiv, l’export sarà sempre più la «discriminante fondamentale del mercato», stante l’ulteriore decrescita prevista dei consumi interni (-1,2 milioni di ettolitri) nel periodo considerato. Dall’estero l’incremento sarà comunque timido (+1,8 milioni di ettolitri, a quasi 23 milioni di ettolitri nel 2039) ma sarà in grado di compensare l’ammanco generato dal mercato interno. Il saldo previsto è positivo, pur lontano dagli anni del boom: poco più di mezzo milione di ettolitri. Tutto ciò al netto di recrudescenze della crisi economica, dell’ondata salutista e di altri fattori esogeni come i fattori etnici e religiosi.

Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi: «Il mondo che consuma vino non costruirà più la sua crescita sul volume, ma sul valore evocativo espresso dalle bottiglie: dal gusto all’esperienza, dal concetto di sostenibilità, al lifestyle. In questo quadro – aggiunge Frescobaldi – la filiera del vino dovrà incrementare la tendenza premium delle proprie proposte, ma anche rinnovare e razionalizzare un’offerta che oggi in diversi casi risulta fuori fuoco rispetto a una domanda in forte cambiamento, giovani in primis». Al giorno d’oggi, nel mondo si consumano oltre 37 miliardi di bottiglie di vino l’anno. Di queste, più della metà sono stappate in 8 Paesi: Stati Uniti (14%), Francia (10%), Italia e Germania (7%), Cina (6%), Regno Unito (5%), Canada (2%) e Giappone (1%). Aree epicentro dei consumi globali che negli ultimi vent’anni (1999-2019) hanno visto incrementare la domanda di vino del 27%. Una corsa destinata però a tirare il fiato nel prossimo ventennio.

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Finigeto sbarca sui Colli Tortonesi: obiettivo Derthona Timorasso e Barbera Monleale


Finigeto
sbarca sui Colli Tortonesi per produrre Derthona Timorasso e Barbera Monleale. La notizia è stata diffusa dallo stesso Aldo Dallavalle, titolare della cantina di Montalto pavese (PV), in Oltrepò pavese. «Al momento gli ettari acquistati sono 2,5 nel Comune di Monleale – spiega a winemag.it Dallavalle – ma l’obiettivo è di raddoppiarli, arrivando a un totale di 5 ettari». L’acquisto riguarda un terreno al momento non lavorato, sul quale Finigeto impianterà 2,5 ettari di Timorasso per la produzione del Derthona. L’ampliamento consentirà poi di produrre anche Barbera della sottozona Monleale dei Colli Tortonesi.

«Il sogno di produrre Timorasso nasce dal mio grande amore per questa uva del Piemonte – continua Aldo Dallavalle (nella foto) – che si affianca a quello per l’Oltrepò pavese. L’idea di acquistare un terreno e iniziare a produrre Derthona si è fatta sempre più concreta negli ultimi mesi, sino all’acquisto del terreno messo a punto proprio nel corso di questa settimana, nel comune di Monleale». Finigeto amplia così i propri orizzonti, guardando a una delle denominazioni di maggiore successo degli ultimi decenni, capace di attirare l’attenzione di molti imprenditori vinicoli e brand delle Langhe del Barolo.

Un exploit internazionale, dovuto soprattutto alla caparbia di vignaioli come Walter Massa, che hanno creduto in questa uva quando ne esistevano pochi ettari. L’operazione della Famiglia Dallavalle arriva a 18 anni dalla fondazione dell’azienda vinicola, nata nel 2005 ed evolutasi nel 2012 con la costruzione della cantina a Montalto pavese. Quarantaquattro gli ettari a disposizione di Finigeto in Oltrepò, per una produzione complessiva di circa 100 mila bottiglie.

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Via al triumvirato a Caviro: Baldazzi, Bassetti e Tonini nuovi direttori


A partire dal 1° settembre, Fabio Baldazzi, Giampaolo Bassetti Valentino Tonini saranno i nuovi direttori del Gruppo Caviro, la più grande cantina vitivinicola d’Italia. Le nuove direzioni opereranno congiuntamente all’interno di un Consiglio Direttivo e risponderanno direttamente al Presidente del Gruppo, Carlo Dalmonte.


«Crediamo che la strada individuata – spiega Carlo Dalmonte, Presidente Gruppo Caviro ha commentato – risponda alle esigenze attuali del Gruppo e del mercato e sia coerente ad una logica di valorizzazione delle competenze acquisite e delle risorse interne. Le nuove nomine garantiscono continuità e sono guidate dalla conoscenza dei meccanismi aziendali e dalla profonda comprensione della complessa realtà del nostro Gruppo». La nomina dei nuovi direttori, secondo Caviro, segna «l’inizio di una conduzione che mira, con impegno e passione, a perseguire i valori cari all’azienda quali sostenibilità, innovazione, valorizzazione e rispetto per le persone, per il territorio e per l’ambiente».

La nomina dei tre nuovi direttore da parte del Consiglio di Amministrazione di Caviro – tre figure esperte del settore, nonché già appartenenti al Gruppo: Fabio Baldazzi, Direttore Area B2B; Giampaolo Bassetti, Direttore Area B2C; Valentino Tonini, Direttore Funzioni Centrali – arriva dopo dopo l’annuncio delle dimissioni di SimonPietro Felice, Direttore Generale del Gruppo Caviro che concluderà il suo mandato il 31 agosto.

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Caldo torrido? Enoteche pronte a pagare trasporto refrigerato vino dalle cantine


Un gruppo di enoteche italiane è disposto a pagare di tasca propria il trasporto refrigerato del vino dalle cantine. Non è una boutade, ma una vera e propria proposta – pur transitoria – quella lanciata da Vinarius, l’Associazione delle Enoteche italiane che rappresenta oltre 120 esercizi il cui fatturato aggregato sfiora i 50 milioni di euro. Il caldo torrido dell’estate 2023 è la goccia (bollente) che ha fatto traboccare il vaso. «
Come associazione – dichiara il presidente di Vinarius, Andrea Terraneo – siamo a disposizione in un’ottica di copertura delle spese di questo servizio». Una mano tesa alle cantine, aspettando che il problema venga preso in considerazione ai vari livelli della filiera.

«Chiediamo ad aziende, Consorzi e altri attori del comparto di unirsi e lavorare ad una soluzione comune, a tutela di un’eccellenza italiana e di tutti i clienti di enoteche e ristoranti che meritano di godere di un prodotto al massimo delle sue qualità». Come è noto, infatti, la prolungata esposizione del vino a temperature superiori ai 28 gradi rischia di compromettere definitivamente la qualità del prodotto. A dir la verità, le consegne di vino nazionale e internazionale avvengono molto raramente mediante un serio controllo della temperatura, dalla presa in carico della merce alla consegna effettiva ai clienti, professionali o amatoriali.

IN GIAPPONE L’ESEMPIO (ULTRA) VIRTUOSO DI RACINES

Esistono tuttavia esempi virtuosi. È il caso di Racines, importatore giapponese di vini naturali che conta molti clienti italiani. La misurazione della temperatura avviene al momento del pick up dell’ordine in cantina e prosegue sino all’arrivo a Tokyo. La merce non deve subire variazioni troppo elevate rispetto ai 14° raccomandati. La società di importazione guidata da Yasuko Goda è in grado di stabilire l’esatta fascia oraria (e dunque la località) dell’eventuale anomalia, prendendo provvedimenti nei confronti dei responsabili. Il tutto dopo aver degustato il vino, per stabilire la presenza, o meno, di difetti dettati dagli sbalzi termici.

Un problema che, secondo l’Associazione Enoteche italiane Vinarius, «rischia, estate dopo estate, di divenire sempre più centrale all’interno della filiera vinicola italiana». «Enotecari, ristoratori e, di rimando, i consumatori – sottolinea Andrea Terraneo – rischiano di non ricevere prodotti al massimo delle loro qualità, proprio a causa dei lunghi spostamenti all’interno di mezzi non a temperatura che andrebbero ad intaccare le caratteristiche del prodotto».

Proponendosi come «voce delle enoteche italiane», Terraneo ritiene che il tema del trasporto refrigerato del vino debba essere «sollevato e sottolineato nella sua importanza». «Trasportare vini attraverso mezzi non predisposti per la refrigerazione, senza mantenere una temperatura ideale che non alteri il prodotto, rischia di diventare un grande disservizio, verso noi enotecari e verso il pubblico. Non basta più tamponare attraverso cantine di ultima generazione, all’interno dell’enoteca: il danno viene già compiuto durante il trasporto».

[credits foto di copertina: sogedim.it]

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Comité Champagne verso l’aumento della riserva vendemmiale 2023


Vigneron
e Maison della Champagne si sono riuniti in queste ore a Epernay, presso il Comité Champagne, per definire le condizioni della vendemmia 2023.
La resa commerciabile per il 2023 è stata fissata a 11.400 kg/ha. Il provvedimento più atteso, ora all’esame delle istituzioni nazionali francesi, è l’aumento della riserva vendemmiale da 8 a 10 mila chilogrammi per ettaro. Ad oggi, lo stato di salute dei vigneti è «buono e molto omogeneo da una zona all’altra». Pochi i danni causati da gelo (1,5% del vigneto) e grandine (0,3%). Peronospora e oidio contenuti, a differenza di quanto sta avvenendo in Italia. Solo le riserve di acqua dei suoli destano preoccupazione in Champagne. I grappoli sono ben formati e la «promettente vendemmia» dovrebbe iniziare nella prima decade di settembre.

Le incognite del clima, il deperimento della vite causato dalle malattie e l’invecchiamento dei vigneti hanno un impatto sulle rese della zona, diminuite del 26% in dodici anni. In questa situazione, si è scelto di sfruttare al massimo le annate favorevoli, quando si presentano, al fine di «migliorare ulteriormente la resilienza della filiera». «L’anno scorso – ricorda Maxime Toubart, presidente dei Vigneron – la Champagne ha applicato il sistema dello sblocco differito della riserva. Quest’anno è stato individuato il plafond della riserva individuale, per portare a 10 mila kg/ha invece degli 8 mila kg/ha previsti finora. L’INAO ha accettato di esaminare la misura con urgenza, per consentire ai viticoltori di mettere a riserva la bella vendemmia che si annuncia».

L’obiettivo è quello di «assicurare ogni anno gli strumenti per raggiungere la resa commerciabile fissata dall’Interprofessione per garantire l’equilibrio dei mercati». «Per determinare la resa commerciabile dell’anno – commenta David Chatillon, presidente delle Maison – i Vigneron e le Maison si sono accordati sulle previsioni delle spedizioni dei prossimi quattro anni. Insieme alla fiducia nella denominazione, le previsioni hanno tenuto conto al tempo stesso di una certa cautela rispetto alla congiuntura economica globale e agli effetti dell’inflazione».

Nel 2023 le spedizioni dovrebbe raggiungere i 314 milioni di bottiglie. Nel primo semestre del 2023 le spedizioni di Champagne (Francia inclusa) sono state pari a 125,8 milioni di bottiglie, in calo del 4,7% rispetto allo stesso periodo del 2022. L’export con 77,7 milioni di bottiglie, è in calo del 3,7%, mentre la Francia è in calo del 6,3% con 48,1 milioni di bottiglie. Questi risultati vanno visti nel contesto di un 2022 straordinario (nello stesso periodo dell’anno scorso le vendite erano aumentate di quasi il 14%).

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Da Biondi Santi a Caviro: Giovanni Lai nuovo Direttore generale di Gerardo Cesari Spa

Giovanni Lai è il nuovo Direttore generale di Gerardo Cesari Spa, azienda storica della Valpolicella, oggi parte del Gruppo Caviro. L’ex Direttore commerciale Europa di Biondi-Santi e Isole Olena entrerà in organico dal primo ottobre 2023. «Il mio obiettivo in Cesari – sono le prime parole di Giovanni Lai – è quello di continuare il percorso di crescita della qualità dei vini attraverso una chiara riconducibilità con l’espressione del territorio della Valpolicella».

«Esaltare – continua Lai – attraverso i prodotti, le persone che ogni giorno, con passione, si dedicano alla vigna e alla cantina, e trasferire questi valori al mercato italiano ed internazionale, attraverso una distribuzione coerente con il lavoro che i nostri viticoltori ogni anno svolgono. Vorrei dunque rendere Cesari il punto di riferimento di un territorio dall’alto potenziale ed estremamente interessante per i diversi stili produttivi che offre agli appassionati del vino».

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Danni peronospora sottostimati: «Vigneti zuppi d’acqua? C’è chi produrrà lo stesso»

Gentile Direttore,
faccio seguito all’articolo pubblicato giorni fa su winemag.it (a questo link). Nello specifico, sono rimasto un po’ sorpreso dall’indagine sui danni della peronospora in Toscana. Noi abbiamo un’azienda Bio dal 1994, sulle colline di Arezzo. Un danno di questo genere non lo avevamo mai avuto, così come dicono le persone più anziane della zona. Anche loro non hanno mai visto una cosa del genere. Nel mese di Aprile-Maggio ha praticamente piovuto tutti i giorni e, se non pioveva tutto il giorno, le piante erano comunque bagnate tutta la mattina. Appena iniziava un po’ di vento e sembrava che asciugasse, ripioveva subito dopo.

I vigneti erano praticamente zuppi di acqua. Le vigne, benché in notevole ritardo, cominciavano ad andare verso la fioritura che prometteva benissimo, con grappoli bellissimi e abbondanti. Come dico sempre, il miglior concime è la pioggia. Però questa situazione ha creato l’impossibilità di muoversi e fare trattamenti che, altrimenti, sarebbero andati perduti per il dilavamento. In realtà la temperatura non era calda e si aggirava sempre sui 10/15 gradi. Non avrei mai pensato di arrivare a una situazione simile. Non si riusciva neanche a star dietro al taglio dell’erba. L’acqua non ha mai dato tregua.

A fine Maggio e i primi giorni di Giugno si tagliava con la pioggia. Ora certamente il vino non possiamo produrlo, non avendo gran parte dell’uva. Non siamo una fabbrica. Ma quello che mi dispiace è vedere ancora nel 2023 chi, nonostante i danni avuti, tirerà fuori il prodotto dicendo che il danno è stato solo del 10 o del 30%. Con il clima di quest’anno, questa stima non è credibile. Sarebbe giusto che ora le ingenti giacenze di vino in cantina siano vendute al giusto prezzo, visto che ogni volta che produciamo è un grande sacrificio. Ma è anche giusto che chi compra o comprerà vino dell’annata 2023, qualora riuscisse a trovarlo, lo acquisti con il suo reale certificato di origine.

Con i miei migliori saluti

Fabio De Ambrogi
Gratena Società Agricola
via Bernardo Dovizi, 40/D
52100 Arezzo

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Imbottigliamenti Pinot Grigio delle Venezie Doc: +10% sul 2022


Si chiudono bene i parziali del 2023 per il Pinot Grigio delle Venezie. Il trend di imbottigliamenti nel primo semestre segna il +10% sul 2022. Nell’ottica di quella che viene definita una «attività costante di monitoraggio e gestione del Cda consortile», è stata approvata la riclassificazione del prodotto stoccato proveniente dalla stagione produttiva 2022.
«Una misura – spiega il presidente del Consorzio, Albino Armani – che ha lo scopo di supportare il valore economico della Doc. Dai mercuriali delle Camere di Commercio si evince un trend di stabilità nel valore che dura da ormai due anni. La nostra Doc è una garanzia di equilibrio di Sistema per la filiera vitivinicola del Nordest».

È inoltre in fase di pubblicazione l’adozione da parte delle tre Amministrazioni delle misure relative alla ormai prossima stagione produttiva 2023, che vede confermata, come per il 2022, la gestione della resa produttiva ad ettaro e lo stoccaggio amministrativo. Ciò si traduce in una produzione massima consentita di 160 q/ha con 30 q/ha stoccati, a esclusione del prodotto Biologico e delle produzioni sostenibili SQNPI per una eventuale gestione diversificata al momento del loro svincolo.

Sul fronte dell’andamento dei mercati, è stato giugno a segnare la migliore performance di un semestre sempre in positivo sul 2022, trainando l’avanzamento della DO, che rispetto allo stesso mese del 2022 ha visto mettere in bottiglia il 38% in più di Pinot grigio DOC per un totale di 898.951 hl da inizio anno. Inoltre, gli imbottigliatori esteri – Stati Uniti, Regno Unito e Germania in testa – da gennaio hanno preso in carico oltre 100 mila hl, di cui 22.621 hl nel solo mese di giugno. Bene anche le certificazioni che nel periodo gennaio-giugno, nonostante un lieve rallentamento alla fine della primavera, osservano un rassicurante +4% rispetto ai primi sei mesi del 2022.

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Bernardo Guicciardini Calamai confermato alla presidenza del Consorzio Morellino Scansano


Bernardo Guicciardini Calamai
è stato riconfermato presidente del Consorzio del Morellino di Scansano,. L’elezione è avvenuta durante l’ultimo Consiglio di Amministrazione che si è tenuto venerdì 14 luglio nella sede di Scansano. Guicciardini Calamai continuerà così per un altro triennio a guidare la storica denominazione della Maremma.
Ad affiancarlo in questo nuovo mandato ci saranno i vicepresidenti Alessandro Fiorini (Cantina Vignaioli di Scansano) e Ranieri Luigi Moris (Morisfarms), che sono stati riconfermati nelle loro cariche, oltre al direttore Alessio Durazzi, a sua volta riconfermato nel suo ruolo.

Il Consiglio di amministrazione, rinnovato lo scorso 4 luglio, vede invece l’ingresso di due nuovi membri: Andrea Cecchi (Casa Vinicola Cecchi) e Giulia Milaneschi (I Lecci) che si aggiungono ai rieletti Gaia Cerrito (Pietramora), Moreno Bruni (Az. Agr. Bruni), Leonardo Rossi (Poggio Brigante), Paolo Gobbi (Cantina Coop. Vignaioli), Giuseppe Mantellassi (Fattoria Mantellassi) e Rossano Teglielli (Tenuta Ghiaccio Forte).

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Bottiglia 2023 Confraternita di Valdobbiadene: la spunta Andreola

La Confraternita di Valdobbiadene ha presentato ieri la Bottiglia della Confraternita 2023. Un’etichetta di Prosecco Superiore di Valdobbiadene Docg Extra dry, millesimo 2022, che «funge da punto di riferimento della tipicità e della qualità d’annata, esprimendo nel contempo l’identità del territorio». La Bottiglia 2023, selezionata dai Confratelli enologi con una degustazione alla cieca, è quella prodotta da Mirco Balliana dell’Azienda agricola Andreola. Solo 5 mila i pezzi, già in commercio. «Per me è un onore rappresentare la Confraternita di Valdobbiadene con il mio vino – ha dichiarato – che di fatto ne diventa per un anno ambasciatore ufficiale. Questa bottiglia racchiude complessità aromatica e presenta una bolla fine, croccante, dal finale sapido, ascrivibile alle uve provenienti da diverse zone di Valdobbiadene».

All’evento, andato in scena a San Pietro di Barbozza (Treviso), hanno preso parte il Gran Maestro Enrico Bortolomiol e una nutrita rappresentanza di Confratelli, tutti paludati nel tradizionale mantello scarlatto, oltre alla presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, Elvira Bortolomiol, alla vicepresidente della Strada del Prosecco e Vini dei Colli, Cinzia Sommariva, e ad alcuni amministratori locali.

È una storia antica quella della Confraternita di Valdobbiadene, la prima d’Italia non a carattere religioso, nata nel 1946 su impulso di quattro lungimiranti enologi: Giuliano Bortolomiol, Umberto Bortolotti, Doretto Brunoro e Mario Geronazzo. La Bottiglia della Confraternita è uno degli strumenti della Confraternita per la promozione della denominazione veneta nei confronti del consumatore. «Un punto di riferimento per la conoscenza del Valdobbiadene Docg – spiegano i Confratelli – oltre che dei valori e della cultura di un territorio che, a ragione e con orgoglio, veste il blasone dell’Unesco».

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Tenuta del Monsignore: a Rimini la terza cantina più antica del mondo


La terza cantina più antica del mondo si trova in provincia di Rimini. È Tenuta del Monsignore di San Giovanni Marignano, azienda famigliare riminese che si riscopre, quasi a sorpresa, tra le più longeve e antiche del mondo, al pari di colossi come Marchesi Antinori. E finisce così, di diritto, nel Registro delle imprese storiche. La notizia è stata diffusa da
Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini, di cui Tenuta del Monsignore è socia, in occasione dell’ufficializzazione dell’ingresso nel Registro nazionale delle imprese storiche italiane di Unioncamere.

Fondata nel 1385, appartiene da sempre alla famiglia Bacchini. Il primato raggiunto – o meglio il terzo posto nel ranking mondiale delle cantine più antiche del mondo – è dovuto al contributo di un team di esperti che è riuscito a risalire alle origini della cantina di San Giovanni Marignano. A condurre la ricerca sono stati i professori Francesco Raimondi e Lucia de Nicolò per la parte archivistica e il dottor Emiliano Bianchi per la traduzione di alcuni testi in latino.

Una scoperta da record. «Stando all’elenco della rivista di economia americana Family Business – spiega con orgoglio Sandro Bacchini, attuale titolare di Tenuta del Monsignore – siamo la terza azienda agricola-vinicola al mondo al pari di Marchese Antinori. Davanti a noi ci sono solo Château de Goulaine, nella Loira, nata nell’anno 1000, e la fiorentina Barone Ricasoli, fondata nel 1141».

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Servito fresco in abbinamento al pesce: red carpet a Venezia per il Valpolicella Superiore


Valpolicella Superiore
: liberi di degustarlo così, senza dover attendere il suo invecchiamento, servito fresco, in abbinamento al pesce e a piatti di mare come tartare di ricciola, capesante, bigoli allo scoglio, risotto con le vongole e filetto di branzino alla griglia, con erbe aromatiche. Una proposta innovativa che è stata al centro di “Venezia Superiore“, la due giorni organizzata in Laguna dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella, interamente dedicata (e intitolata) al rosso del territorio veronese.
«Vogliamo valorizzare e ampliare il consumo di Valpolicella Superiore – sintetizza il presidente Christian Marchesini – aprendo frontiere e rompendo schemi ancora presenti, per cambiare lo stile di intendere gli abbinamenti col pesce e con gli aperitivi di un vino che rappresenta poco più del 7 % della produzione».

Un percorso che l’ente di Verona ha avviato in primis con l’Amarone, dedicando una (riuscitissima) masterclass all’abbinamento con la cucina marittima internazionale, in occasione di Amarone Opera prima 2022. Ora tocca al Superiore. Un vino decantato anche da Ernest Hemingway, che si rifugiava a Locanda Cipriani, sull’Isola di Torcello, sorseggiando un calice di Valpolicella Superiore. A distanza di svariati decenni, il Consorzio ha pensato di ambientare in questo luogo magico, incastonato nell’azzurro della Laguna di Venezia, ad un’ora di motoscafo da Piazza San Marco, il nuovo capitolo del vino più rappresentativo del territorio, con una produzione di 4,8 milioni di bottiglie (sui 18,1 milioni complessivi di Valpolicella Doc, dato ufficiale riferito agli imbottigliamenti 2022) a partire dai tre vitigni principali della denominazione: Corvina, Corvinone e Rondinella.

VALPOLICELLA SUPERIORE E PESCE: L’ABBINAMENTO FUNZIONA

Ecco dunque servite capesante scottate alla griglia, bigoli di grano tenero allo scoglio, filetto di branzino alla griglia alle erbe aromatiche con verdure ai ferri e torta “Casanova” allo zabaione. In accompagnamento una wine list che includeva vini giovanissimi (vendemmia 2021) e altri di annate meno recenti, per concludere con un 2013 ancora in forma smagliante. Tutti i Valpolicella Superiore in passerella sul red carpet veneziano sono stati serviti a temperatura di 13-16 gradi, freschi e conservati in glacette refrigeranti. Pairing che hanno soddisfatto tutti, ma proprio tutti. Tanto da chiedersi se, effettivamente, gli abbinamenti classici del Valpolicella Superiore siano diventati ormai desueti.

La due giorni del Consorzio Vini Valpolicella a Venezia è proseguita a Hostaria in Certosa – Alajmo, sull’isola di Certosa. Qui è andato in scena un altro abbinamento da favola: tartare di ricciola con salsa tartara e insalata di gallinelle con Valpolicella Superiore 2021 e 2020. La finezza e la piacevolezza dei vini proposti è stata pari alla delicatezza del piatto presentato dallo chef Silvio Giavedoni e servito dal giovane team coordinato da Michele Pozzani. Che dire poi del risotto alle vongole con pomodoro, basilico e limone, a cui sono stati abbinati altri Valpolicella Superiore in grado di regalare sensazioni magiche al meglio in bocca. Il gusto tipico dello scartosso de pesse, con fiori di zucchina e salsa romesco sembrava disegnato per l’uvaggio veronese, declinato in una ricchissima wine list in cui il vino più datato risaliva al 2016.

TUTTI I PERCHÈ DEL VALPOLICELLA SUPERIORE

Spazio anche a momenti specificatamente tecnici in Laguna, nel corso di Venezia Superiore. Come sottolineato nel corso della masterclass condotta da J.C. Viens, la Valpolicella si estende in provincia di Verona, su un territorio collinare che supera i 450-500 metri  di altitudine. Da un punto di vista climatico, la zona risulta condizionata da diversi elementi, come la vicinanza al mare, al Lago di Garda e alla montagna. I vigneti sono costantemente baciati dal sole e accarezzati da correnti di aria fresca, con le escursioni termiche che giocano un altro ruolo fondamentale. Le uve allevate in Valpolicella e utilizzate per Valpolicella, Ripasso, Amarone e Recioto sono Corvina, Corvinone e Rondinella e in misura minore Molinara, Oseleta e Croatina.

Il Valpolicella Superiore viene prodotto con uve scelte nei vigneti migliori, talvolta con leggeri appassimenti che portano il vino ad alcolicità e strutture più sostenute. Vini che devono invecchiare almeno un anno. Alla vista, il vino si presenta generalmente di un colore rosso rubino, anche intenso. Al naso ha sentori di ciliegia, mandorla amara, rosa canina e spezie. Al palato sprigiona tutta la sua armonicità. È vellutato, elegante, equilibrato, fresco e piacevolmente tannico, senza eccessi. Il Valpolicella Superiore è un vino identitario, che sa esprimere la peculiarità del territorio, che rappresenta con la sua intensità e i suoi profumi in calice. Non manca una certa poliedricità delle interpretazioni.

Al di là dei tratti comuni, spostandosi da una cantina all’altra possono variare freschezza e corpo, con la presenza o meno di Oseleta o Molinara a fianco di Corvina e Corvinone, modificando gusto e profumi. Un ruolo determinante è anche quello dell’epoca della vendemmia, che qualcuno posticipa alla seconda metà di ottobre, nonché la scelta dell’affinamento – in tonneau o in botti grandi – e la sua durata. Ma la grande sfida del futuro del Valpolicella Superiore sono i cambiamenti climatici, con le temperature in costante aumento in Veneto, dal 1971. Una problematica che non sfugge al Consorzio, costantemente in osservazione insieme ai suoi viticoltori.

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Mariangela Cambria è la nuova presidente di Assovini Sicilia

Mariangela Cambria è la nuova presidente di Assovini, associazione che riunisce cento aziende vitivinicole siciliane. Nominata nella seduta di Lunedì 10 Luglio dal neo eletto Consiglio di Amministrazione, Mariangela Cambria, messinese, co-proprietaria dell’azienda vitivinicola Cottanera insieme ai fratelli Francesco (presidente del Consorzio Vini Etna Doc), Emanuele e allo zio Enzo, si occupa di marketing comunicazione, accoglienza. Subentra a Laurent Bernard de la Gatinais, che ultima il suo mandato alla presidenza durato 3 anni. Un vertice tutto al femminile con Lilly Ferro alla vice presidenza e Josè Rallo, consigliere delegato al coordinamento delle attività di finanza agevolata.

«Voglio ringraziare tutti i colleghi del Consiglio che mi hanno voluto e appoggiato – commenta la neo presidente Mariangela Cambria (al centro, nella foto) – Assovini Sicilia è una associazione complessa, dalle tante anime. Il mio obiettivo è quello di dare continuità allo spirito di squadra e associazionismo voluto dai miei predecessori e di interpretare il ruolo dell’associazione come collante tra le grandi e le piccole cantine.  Assovini ha anche il compito di continuare a portare la Sicilia nel mondo. L’Isola è pienamente un continente vitivinicolo dalle mille sfaccettature e diversità dove il vino è veicolo di cultura ed eccellenza».

Del nuovo Consiglio di amministrazione di Assovini fanno parte: Mariangela Cambria (presidente); Lilly Ferro (vice presidente); Josè Rallo (Donnafugata); Achille Alessi (Terre di Giurfo); Federico Lombardo di Monte Iato (Firriato); Alberto Aiello Graci (Graci); Santi Planeta (Planeta); Laurent Bernard de la Gatinais (Rapitalà); Costanza Chirivino (Tasca d’Almerita).

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«Riduzione produzione di vino in Europa? Conseguenze irrilevanti». È polemica

«Sì, la viticoltura è essenziale in Europa». È quanto affermano le Associazioni di rappresentanza del settore vitivinicolo – da Alleanza cooperative agroalimentari alla Federazione italiana vignaioli indipendenti Fivi, passando per Coldiretti, Confagricoltura, La Coopération Agricole e Interprofesional del Vino de la España – di fronte alle conclusioni dello studio complementare sull’impatto del regolamento SUR sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, pubblicato dalla Commissione europea. Nel documento si descriverebbe come «irrilevante la prevedibile diminuzione della produzione di uva in Europa». Inoltre la viticoltura sarebbe definita «una coltura non essenziale».

Da qui la richiesta congiunta agli Stati membri e agli eurodeputati di «prendere una posizione chiara su questo tema». «Il vino – ricorda Confcooperative in una nota congiunta con il resto della filiera italiana, francese e spagnola – è un importante prodotto economico e culturale in Europa. Il nostro settore chiede di essere sostenuto per continuare le azioni di transizione ecologica con regolamenti realistici e un calendario operativo, che permetta l’implementazione delle soluzioni alternative efficaci esistenti e in arrivo.

Le Associazioni di rappresentanza italiane, francesi e spagnole rivendicano l’importanza del vino in Europa. «L’Unione Europea è il primo produttore di vino al mondo, – ricordano Italia, Francia e Spagna – con il 45% della superficie viticola mondiale. Questo settore ad alto valore aggiunto è vitale per molte regioni rurali europee, genera milioni di posti di lavoro e contribuisce in modo significativo alla bilancia commerciale dell’Ue».

VITICOLTURA NON ESSENZIALE PER LA COMMISSIONE UE
Le Associazioni di rappresentanza del settore vitivinicolo che si oppongono alle conclusioni della Commissione europea

Tuttavia, questo studio prevede un calo della produzione di uva dovuto agli effetti della riduzione dei fitosanitari, stimato al 18% in Spagna, al 20% in Italia e al 28% in Francia, senza nemmeno valutare l’impatto del cambiamento climatico che andrebbe aggiunto a questa cifra.

La Commissione europea aggiunge nello studio che la produzione di uva non è una coltura essenziale per la sicurezza alimentare europea e che una diminuzione della produzione di vino in Europa sarebbe irrilevante. Queste affermazioni ignorano l’enorme contributo economico, sociale e culturale del settore vitivinicolo in molte regioni dell’UE».

Un atteggiamento che viene giudicato «totalmente inaccettabile» dalle organizzazioni rappresentative della catena del valore del vino in Spagna, Francia e Italia. «È incomprensibile – si legge ancora nella nota stampa – che la Commissione europea ipotizzi e preveda la penalizzazione di un intero settore di grande importanza per l’economia europea. Gli operatori e le aziende vitivinicole sono da tempo impegnati nella transizione ecologica e continueranno ad esserlo. C’è ancora molto lavoro da fare e i nostri produttori devono poter portare avanti questo impegno per la sostenibilità ambientale senza inutili polemiche».

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Vini toscani: Doc Maremma trascinata dal Vermentino

È una Doc Maremma trascinata dal Vermentino quella che emerge dagli ultimi dati dell’Associazione Vini Toscani Dop e Igp (Avito). La denominazione è tra le più performanti nel primo semestre 2023. Si attesta infatti al 4° posto per volumi imbottigliati dopo Toscana Igt, Chianti e Chianti Classico. I primi sei mesi dell’anno hanno visto un aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022, in controtendenza rispetto alla situazione generale toscana. E il Vermentino, ormai, rappresenta il 34% dell’imbottigliato della Doc Maremma (+6% rispetto allo scorso anno). Cifre che contribuiscono a fare della Toscana la seconda regione per numero di ettari della varietà a bacca bianca, dopo la Sardegna: ben 832, più del doppio della Liguria.

«Prosegue il trend di consolidamento per la Denominazione – spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana – che si dimostra in questo momento più dinamica rispetto alle altre toscane». Quanto al Vermentino: «Ci aspettiamo che la nuova menzione Superiore per questa tipologia porti anche una forte crescita nella qualità percepita e dell’immagine della Denominazione. Contribuisce al trend positivo della Doc anche il crescente interesse per un altro vitigno autoctono, il Ciliegiolo, fortemente radicato in Maremma».

L’area di produzione dei vini Doc si estende in tutta la provincia di Grosseto, una delle più vaste d’Italia. È delimitata a ovest dalla fascia costiera del mar Tirreno, a nord dai confini con la provincia di Livorno, lungo il corso dei fiumi Cornia e Pecora, a sud dalla provincia laziale di Viterbo lungo il corso del fiume Fiora e del fosso Chiarone. E ad est dai confini con le province di Pisa e Siena caratterizzati, a nord-est, dai rilievi delle Colline Metallifere, quindi dal corso del fiume Ombrone e del suo affluente Orcia, dal massiccio del Monte Amiata e, più a sud, dalla Selva del Lamone.

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Canelli Docg in Gazzetta ufficiale Ue: il Moscato bianco sarà anche Riserva


Come anticipato a maggio 2021 e lo scorso aprile, Canelli Docg è stata ufficialmente riconosciuta. Dopo la registrazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 166 del 30 giugno 2023 nasce dunque la Denominazione di origine controllata e garantita Canelli. Sempre sul fronte del Moscato piemontese, la notizia della nuova Docg ha anticipato di qualche giorno la bocciatura della richiesta di una Doc Langhe per il Moscato secco. Con Canelli Docg, il Piemonte raggiunge così 60 denominazioni vitivinicole, alle quali si aggiungono le 23 del comparto cibo.

Con la registrazione della nuova Docg Canelli, l’Italia raggiunge quota 527 Ig del Vino – 409 Dop, 118 Igp – alle quali si aggiungono 322 prodotti agroalimentari, per un totale di 849 denominazioni Dop Igp Stg. Considerando le 35 Ig delle Bevande Spiritose si raggiunge un totale di 884 Indicazioni Geografiche, primo Paese in Europa.

«Si chiude un percorso durato 24 anni – commenta Flavio Scagliola, vicepresidente del Consorzio dell’Asti Dop e sostenitore dell’iter attraverso l’Associazione dei produttori di Moscato di Canelli – che ha visto i produttori compatti verso questo obiettivo. Con questo riconoscimento esaltiamo ancora di più il valore qualitativo di questo vino che negli anni è sempre più apprezzato soprattutto nei mercati orientali, dove trova ottimo abbinamento con la tradizione culinaria. Permetterà quindi di fare da apripista al vino piemontese in generale».

CANELLI DOCG UFFICIALE, ANCHE RISERVA

Il Canelli DOCG viene prodotto con uve Moscato bianco di 17 comuni situati intorno a Canelli, punto di passaggio tra Langhe e Monferrato. La media rivendicata negli ultimi anni è di circa 100 ettari, per una produzione di quasi un milione di bottiglie. L’area offre tuttavia un potenziale molto più alto. In particolare, l’elaborazione di un vino aromatico, dolce, con una leggera sovrapressione e una bassa gradazione saranno i tratti distintivi del Canelli Docg nella tipologia Riserva, che sarà immessa sul mercato non prima di 30 mesi.

La coltivazione della vite e del Moscato, in particolare, è dominante nell’area di Canelli fin dal 1300. I comuni interessati dalla Denominazione di origine controllata e garantita Canelli sono Calamandrana, Calosso, Canelli, Cassinasco, Coazzolo, Bubbio, Castagnole Lanze, Costigliole d’Asti, Loazzolo, Moasca. E ancora: San Marzano Oliveto in provincia di Asti, Castiglione Tinella, Santo Stefano Belbo, Cossano Belbo, Neive, Neviglie e Mango in provincia di Cuneo.

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Alba e Langhe: in arrivo tre nuovi spumanti Metodo classico da Nebbiolo e…


Tre nuovi spumanti Metodo classico da uve Nebbiolo in Piemonte. È quanto ha richiesto la maggioranza dei produttori aderenti al Consorzio Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. L’esito delle votazioni, raccolte in parte attraverso una raccolta firme (l’assemblea fissata a metà giugno non aveva raggiunto il quorum di partecipanti), è stato comunicato ieri alle cantine aderenti al Consorzio piemontese. L’iter per l’approvazione definitiva delle modifiche ai disciplinari potrebbe portare alla nascita di due sparkling Blanc de NoirNebbiolo d’Alba spumante Metodo classico vinificato in bianco e Langhe Doc Nebbiolo Metodo classico vinificato in bianco – e di un rosato, il Langhe Doc Nebbiolo Metodo classico rosé. I tre nuovi spumanti Made in Piemonte potrebbero vedere la luce a partire dalla vendemmia 2024.

Le votazioni sono state accompagnate da un dibattito a tratti acceso tra i produttori. L’esito è frutto di maggioranze tutt’altro che schiaccianti. Secondo fonti di winemag.it, l’accordo maggiore sarebbe stato registrato dal Nebbiolo d’Alba spumante Metodo classico da Nebbiolo vinificato in bianco. Il disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di origine controllata Nebbiolo d’Alba prevedeva già le tipologie “Nebbiolo d’Alba Spumante” (rosso) e “Nebbiolo d’Alba Spumante Rosé”. Il Blanc de Noir completerebbe la gamma di colori dello sparkling ottenuto da uve Nebbiolo, con l’avallo alla vinificazione in bianco della varietà allevata in 25 comuni situate sulle due sponde del fiume Tanaro. Un provvedimento che innalzerebbe il valore dei BdN albesi, per i quali al momento è obbligatorio il declassamento delle uve.

La vera svolta riguarda i due Metodo classico Langhe Doc da uve Nebbiolo, Blanc de Noir e Rosé. A spingere per questa tipologia sono soprattutto i produttori di Barolo e Barbaresco, a cui è stata negata l’introduzione del vitigno simbolo del Piemonte nel disciplinare dell’Alta Langa, lo Champenoise ormai diventato simbolo d’eccellenza del mondo delle bollicine piemontesi. Di qualche anno fa l’esplicita richiesta di produttori come Sergio Germano (Ettore Germano, Serralunga d’Alba), rispedita al mittente dall’allora management dell’Alta Langa, guidato dal 2013 al 2022 da Giulio Bava (Cocchi). Una decisione poi confermata anche dalla nuova gestione targata Mariacristina Castelletta (Tosti 1820), in carica appunto dallo scorso anno. Nessuna indicazione, al momento, sul periodo minimo di affinamento sui lieviti dei due nuovi spumanti langhetti base Nebbiolo (qualcuno spinge per un minimo di 24 mesi, proprio come previsto dal disciplinare dell’Alta Langa).

RESE, BAG IN BOX, VARIETÀ AROMATICHE, ALBAROSSA E ROSÉ

Le tre novità “spumeggianti” non sono le uniche ad essere state approvate. Sono state infatti richieste modifiche delle rese del Langhe Rosso e del Langhe Rosato, portate a 110 quintali per ettaro, rispetto ai 100 attuali. La recente introduzione del Langhe Doc Barbera, con rese pari a 110 quintali, impedisce al momento il declassamento utile alla produzione di uvaggi Langhe Rosso o Langhe Rosato. L’innalzamento di 10 quintali pareggia i conti tra le due tipologie e offre ai produttori nuovi strumenti di valorizzazione del Barbera.

Sempre sul fronte del Langhe Doc Bianco e Rosso, è stata introdotta la possibilità di utilizzo di varietà aromatiche nell’uvaggio. Un provvedimento già varato nel 2020 dalla Doc Piemonte. Si potrà quindi produrre, per esempio, un Langhe Doc Bianco da uve Moscato secco, pur con divieto di menzione della varietà. Permangono tuttavia dubbi su quello che sarà il nuovo profilo organolettico di vini “Langhe Doc Bianco” potenzialmente ottenibili da varietà aromatiche (anche in purezza), in precedenza non ammesse nell’uvaggio. Il mercato darà le risposte attese. A larghissima maggioranza è stata poi introdotta la tipologia Langhe Doc Albarossa, varietà ad oggi ascrivibile alla sola Doc Piemonte.

Un passo in avanti sui mercati internazionali riguarda poi il Bag in Box, tanto in voga nei mercati scandinavi, Norvegia in testa. Sarà presto possibile produrre Bag in Box Langhe Doc Bianco, Rosso e Rosato, pur senza menzionare le varietà dell’uvaggio né ricorrere a menzioni aggiuntive, come quella della vigna. In precedenza, i BiB langaroli non potevano essere etichettati come “Langhe Doc”, ma solo come vini generici. Un’altra modifica riguarda i rosati. Valoritalia, negli ultimi mesi, ha sanzionato diverse aziende piemontesi di Langa per aver etichettato i loro vini come “rosé” al posto che “rosati”. Con larga maggioranza, è stato proposto di introdurre nel disciplinare il termine “rosé”, ad oggi assente dai testi vagliati dal Ministero e pubblicati in Gazzetta Ufficiale.

MODIFICHE AI DISCIPLINARI DELLE LANGHE: LE TRE BOCCIATURE

Tre le bocciature alle proposte di modifica dei disciplinari del Consorzio Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. La prima riguarda la mancata approvazione della proposta di avvio dell’iter delDoc Langhe Moscato secco“. Una denominazione a cui avrebbero potuto aderire molti produttori di Moscato d’Asti Docg i cui vigneti si trovano in provincia di Cuneo, in comuni importanti per la bollicina astigiana come Santo Stefano Belbo e Cossano Belbo, senza contare Neive, Santa Vittoria d’Alba e Neviglie. Un’opzione per il momento scartata, nonostante sul territorio del cuneese esista un brand, “Escamotage”, che raccoglie 13 produttori di Moscato secco.

La Doc avrebbe consentito loro di non declassare questi vini a generici bianchi da tavola, oltre a delimitare l’area di produzione del Moscato secco, creando valore e possibilità di accesso ai bandi europei, che ammettono solo vini a denominazione di origine. No anche al Langhe Doc Viognier, che continua comunque la sua strada nella Doc Piemonte. La terza ed ultima bocciatura riguarda la proposta di istituzione di un Langhe Doc Nebbiolo Superiore con menzione di vigna, sulla scorta di Barolo e Barbaresco. La tipologia attualmente prevista, il Langhe Doc Nebbiolo, non ammette infatti menzioni di vigna per il Nebbiolo, a differenza di quanto invece concesso per i Langhe Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Favorita, Freisa, Merlot, Nascetta, Pinot Nero, Riesling, Rossese bianco e Sauvignon.

I barolisti temono che questa concessione possa scalfire fette di mercato di Barolo e Barbaresco, intaccando la salvaguardia delle due denominazioni al vertice della piramide qualitativa. Per i proponenti, al contrario, il Langhe Doc Nebbiolo Superiore con menzione di vigna sarebbe un’ottima via per proporre sul mercato vini con le stesse rese di Barolo e Barbaresco, immessi tuttavia sul mercato almeno un anno prima. Vini freschi, più beverini e “pronti” dei grandi Re di Langa, che avrebbero portato in giro per il mondo il nome delle vigne di Barolo e Barbaresco, stuzzicando i consumatori a fare, in seguito, l’upgrade. Tra bocciature e approvazioni, una cosa è certa: nella Langhe non ci si annoia mai. Dentro. E fuori. Dal calice.

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Massimo Damonte nuovo presidente del Consorzio di Tutela Roero

Massimo Damonte è il nuovo presidente del Consorzio di Tutela Roero. Imprenditore vitivinicolo di Canale, classe 1965, guiderà l’ente piemontese che conta oltre 250 aziende vitivinicole associate, per 8 milioni di bottiglie e una superficie totale di 1250 ettari di vigneti. Prende il testimone di Francesco Monchiero, presidente uscente, rimasto alla guida per tre mandati consecutivi e ora numero uno di Piemonte Land of Wine. Dopo gli studi, Damonte inizia a lavorare nell’azienda di famiglia, Malvirà, occupandosi della parte viticola e del mercato italiano, contribuendo a renderla una delle più rilevanti del territorio.

Siede nel CdA del Consorzio Roero dalla sua fondazione e ricopre la carica di vicepresidente dal 2020. «Ringrazio per la fiducia accordata dall’assemblea – sono le prime parole di Massimo Damonte – e assumo questo ruolo di presidente del Consorzio Tutela Roero con l’entusiasmo e la passione che devo a una denominazione che negli anni è cresciuta e si è consolidata con successo. Sono davvero lieto che il Roero esprima oggi il nuovo presidente di Piemonte Land of Wine, che coordina l’attività dei 14 consorzi vitivinicoli regionali».

«Nei prossimi tre anni – aggiunge Damonte – intendo proseguire con una comunicazione mirata e strategie volte a valorizzare tutta la filiera e a sottolineare l’importanza e il legame con un territorio unico al mondo, riconosciuto Patrimonio dell’umanità Unesco. L’attenzione verso i consumatori italiani ed esteri sarà ancora più alta, con l’obiettivo di far crescere sia la denominazione in termini di volumi e di valore, sia la percezione dell’identità del territorio del Roero Docg».

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Terre di Cosenza Dop: la “nuova” Calabria del vino a caccia di identità


È scattata la “Fase 2” per
Terre di Cosenza Dop. Dopo aver riunito sotto un unico cappello provinciale le 7 minuscole Doc Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro – era il 2011 – il Consorzio di Tutela nato nel 2014 punta a farsi conoscere dal grande pubblico italiano. Due gli incontri con la stampa di settore nelle ultime settimane, a Roma e Milano. Ventotto i vini in degustazione (solo 16 Dop, spiegheremo più avanti perché). Principalmente bianchi e rossi, ma anche rosati e uno spumante. Qualità media buona, soprattutto sul fronte dei vini bianchi ottenuti dalle varietà locali Greco bianco, Mantonico, Guarnaccia e Pecorello, spesso in uvaggio con Chardonnay e Malvasia. Un segnale positivo per il Consorzio presieduto da Demetrio Stancati, che punta molto sulla crescita dei bianchi locali.

Al netto della differente base ampelografica, quel che emerge dall’assaggio a Milano è però il gap stilistico tra i vini bianchi e i vini rossi cosentini. Se i bianchi si presentano piuttosto tesi e verticali, sostenuti da una vena fresco-sapida-minerale che li rende molto piacevoli e beverini, alcuni rossi risultano incompiutamente tannici; altri condizionati da un utilizzo ingombrante dei legni. Più in generale, al di là del fatto che si tratti di vini da medio-lungo affinamento, a pesare su diverse etichette è una “mano” definibile old-style. Il ricambio generazionale – se non una vera e propria Revolution enologica, come quella avvenuta nella confinante Cirò – aiuterà questa fetta di Calabria a proporre sul mercato nuove interpretazioni del Magliocco, varietà alla base dei vini rossi locali con Greco Nero, Gaglioppo, Calabrese e Aglianico , oltre a internazionali come il Cabernet Sauvignon. Ne gioveranno anche i rosati, prodotti con alcune di queste varietà.

TERRE DI COSENZA VS CALABRIA IGT

Alla trasferta milanese balza all’occhio un altro grande tema: quello della mancata rivendicazione della Doc Terre di Cosenza. Molti produttori, soprattutto per i vini bianchi e rosati (ma anche per i rossi, soprattutto nella sottozona dell’Esaro), preferiscono ricorrere alla denominazione di ricaduta, ovvero l’Igt Calabria. Perché? Maglie più “larghe” sul fronte delle rese e, forse ancor più fondamentale, un nome molto più accattivante (“Calabria”) da spendere sull’etichetta di un prodotto agroalimentare come il vino, tanto in Italia quanto all’estero. Una problematica nota al Consorzio Terre di Cosenza, che proprio grazie alle attività di promozione avviate punta a ingolosire i produttori, spingendoli a rivendicare la Dop al posto dell’Igt.

Non solo. Tra le modifiche in vista al disciplinare – la revisione avverrà entro fine anno – ci sarà l’introduzione della possibilità di menzionare la parola “Calabria” sulle etichette dei vini Dop Terre di Cosenza (scelta facoltativa di ogni singolo produttore). Un elemento di attrattività che potrebbe portare a un aumento delle certificazioni della Dop. Del resto, la storia non mente. Il Consorzio cosentino, che oggi raggruppa 32 aziende sulle circa 60 del territorio, nasce proprio dalle ceneri di 7 minuscole (e poco rivendicate) Denominazioni di origine controllata, che oggi costituiscono le sottozone della Dop Terre di Cosenza.

IL MAGLIOCCO AL CENTRO DEL PROGETTO

Secondo i dati forniti dal Consorzio, sono circa 350 gli ettari rivendicati ad oggi a Dop, con un trend di crescita che ha portato il numero totale di bottiglie a circa 2 milioni, per il 60% appannaggio dei vini rossi. Tengono i prezzi delle uve, anche se il mercato non sarebbe poi così florido a livello locale, proprio per il crescente fenomeno dell’imbottigliamento da parte delle singole aziende agricole e cantine.

Tra le novità a cui sta lavorando il Consorzio ce n’è una che riguarda il Magliocco, la varietà a bacca rossa principe della zona: la Riserva prevederà il suo utilizzo in purezza. L’ultimo aggiornamento riguarderà però la vicina Doc Savuto, la cui area “Classica” dovrebbe rientrare sotto l’egida del Consorzio Tutela Vini Terre di Cosenza, ricadendo proprio nel cosentino a differenza della “zona allargata”, che comprende comuni della provincia di Catanzaro.

TRE VINI TERRE DI COSENZA DOP DA ASSAGGIARE

BIANCO
Terre di Cosenza Dop bianco Pecorello 2021, Colacino Wines

ROSATO
Terre di Cosenza Dop rosato Magliocco 2022, Serracavallo 

ROSSO
Terre di Cosenza Dop Pollino rosso 2021, Tenuta Celimarro

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Chianti Classico Gran Selezione, si cambia: Sangiovese al 90% e Uga in etichetta


Cambia il Chianti Classico
Gran Selezione in seguito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 1° luglio, del decreto di approvazione delle modifiche al disciplinare della denominazione. Due le novità: la possibilità di inserire in etichetta il nome di una delle 11 Unità Geografiche AggiuntiveUga (aree più ristrette e dotate di maggiore omogeneità); e l’obbligo di modificare la base ampelografica, a partire dalla vendemmia 2027, con la percentuale minima di Sangiovese che sale al 90% dall’80% e con l’eventuale apporto di soli vitigni autoctoni ammessi  fino al 10%.

«È un traguardo storico per la denominazione – dichiara il presidente Giovanni Manetti – adesso tutti i consumatori potranno finalmente scegliere vini provenienti dalle diverse UGA e apprezzare le sfumature del territorio del Gallo Nero. Un ulteriore passo per la valorizzazione delle caratteristiche distintive del Chianti Classico».

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Peronospora vite, emergenza nazionale in Italia in vista della vendemmia 2023


Sempre più pesanti gli effetti della peronospora in vista della vendemmia 2023 in Italia. A causa delle forti piogge, la malattia della vite di primavera sta diventando un’emergenza nazionale. Le perdite previste in diverse regioni italiane sono stimate fino al 40%. Lo rileva l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) attraverso le interviste alle imprese del vino compiute sui territori. Maggiormente colpita, in generale, la viticultura biologica che, in alcune aree, risulta fortemente compromessa. Le regioni più danneggiate sono quelle della dorsale adriatica, a partire da Abruzzo e Molise, con perdite fino al 40%. Molti areali di Marche, Basilicata e Puglia si affacciano alla vendemmia 2023 con cali previsti nell’ordine del 25-30%.

Complicata la situazione anche in Umbria, Lazio e Sicilia, specie nel trapanese, mentre in Romagna sono ancora da valutare gli effetti dell’alluvione, in particolare del fango nei vigneti. «In generale – ha detto il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi – la stagione pre-vendemmiale era partita bene un po’ ovunque, poi da maggio in avanti la situazione si è guastata. Siamo passati repentinamente dal problema degli stock in eccesso, attualmente confermato con le Dop in eccedenza a +9% sullo scorso anno, a uno scenario di probabile importante riduzione dei volumi di raccolta previsti in diverse regioni». Per le altre aree poco colpite dalla peronospora si prevede una buona vendemmia.

PERONOSPORA – LA SITUAZIONE NELLE PRINCIPALI REGIONI

Piemonte: la situazione appare sotto controllo: siccità fra marzo e aprile, piogge nella norma, più oidio che peronospora.

Lombardia: in Valtellina si registrano problematiche di peronospora su una produzione tendenzialmente abbondante. Pressione su foglia e su grappolo, con cali mediamente del 5%.

Veneto: pochi e localizzati attacchi grandinigeni, con perdite anche al 50%. La produzione attesa in regione per ora è molto abbondante.

Friuli-Venezia Giulia: bene Collio, qualche problema a macchia di leopardo nel resto della regione. I vigneti rimangono comunque carichi.

Emilia e Romagna: la situazione appare per ora sotto controllo per quanto riguarda la peronospora. Resta problematico il post-alluvione, sia, soprattutto in collina, per l’accesso ai vigneti, sia per il fango in pianura.

Toscana: a causa delle forti piogge a maggio, la peronospora è presente e si registrano difficoltà di accesso ai vigneti per i trattamenti. Per ora si prevede una riduzione su una produzione che si annunciava comunque abbondante (in media 10% di infezioni). Riportati problemi anche di botrite e grandinate locali.

Umbria: la pressione è molto forte, con cali dal 10 al 15%, con punte fino al 30%. La produzione iniziale prevista era abbondante, quindi si dovrebbe arrivare a una raccolta nella norma.

Abruzzo e Molise: è piovuto costantemente dal 4 aprile. A causa della conformazione del terreno (colline e vallate) è stato difficile accedere agli appezzamenti per poter eseguire i trattamenti fitosanitari. La peronospora ha attaccato in forma abbastanza importante entrambe le regioni e si stima un calo di produzione del 30-40 % sulle uve convenzionali (50-60% in Molise), mentre si arriva anche al 70-80% sulle uve biologiche. Il danno maggiore sembra comunque subìto dalle varietà a bacca rossa, non trattate perché al momento dell’attacco erano ancora in fase primordiale, nelle zone collinari. Per tutta questa serie di situazioni, oggi le aziende produttrici hanno rallentato le vendite e qualcuna le ha addirittura fermate.

Marche: situazione non omogenea. In linea di massima è stata colpita di più la zona più prossima alla costa, ma le infezioni sono un po’ ovunque. È difficile quantificare la perdita ma sicuramente si profila un’annata di scarsa produzione (-20%), su una stagione ancora in ritardo nello sviluppo della fase fenologica rispetto al 2022.

Lazio: la stagione era partita bene, ma la pioggia di maggio ha innescato forti focolai, attorno al -25% di produzione prevista (su una partenza abbondante).

Basilicata: la peronospora ha avuto un forte impatto sul Vulture e anche sui bianchi, in alcuni areali le previsioni sono a -60%.

Puglia: la peronospora si è diffusa sia a Nord (tendoni tasso a 50%) sia a sud, su Malvasia, Negroamaro e Primitivo, con cali attesi del 25%.

Sicilia: la peronospora è diffusa, soprattutto nel Trapanese: quelli che non hanno trattato a ciclo completo per questioni di costi avranno forti perdite, le aziende strutturate avranno una buona vendemmia. Siamo attorno a un’incidenza del 10-15%.

Calabria: secondo fonti di winemag.it, la situazione in Calabria è disastrosa in alcune zone. Sino a 20 giorni fa era impossibile entrare in vigna in alcune zone, come la provincia di Cosenza, per la presenza di fango. Le piogge hanno poi causato attacchi di peronospora. Una situazione che viene definita «apocalittica», tanto da compromettere l’intera annata.

Campania: sempre secondo fonti di winemag.it, situazione molto difficile anche in Campania. La vendemmia 2023 risulta fortemente compromessa in tutte le zone. Alcuni produttori parlano senza mezzi termini di «disastro». Si stimano perdite intorno al 40%. Ancora una volta, i danni maggiori sono dovuti dall’impossibilità di entrare in vigna a causa del fango. Incomberebbe anche l’ombra della larvata, che sta attaccando in maniera importante anche le piante a valle. Le uve rosse sono quella più compromesse. Molto meglio i bianchi, soprattutto la Falanghina che conferma la naturale rusticità e una certa resistenza.

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Graspo Alto di Contrada Palui: il Valpolicella Doc che cambia le regole del gioco

EDITORIALE – Se avesse scelto il calcio al posto della viticoltura, Hans Karl “Hannes” Pichler sarebbe stato il classico regista alla Demetrio Albertini, o un trequartista alla Roberto Baggio. Testa, visione di gioco, tempismo, azione. Graspo Alto, il Valpolicella Doc di Contrada Palui, pare più un assist illuminante che un vino. Un filtrante in area di rigore per la denominazione che, più di tutte in Italia, si sta interrogando e trasformando. Confermando quell’innata capacità di incontrare il gusto dei consumatori. Senza rinunciare alla tipicità. O, peggio, scadere nella “moda”. Un vino da pensare, oltre che da bere. Il game-changer buttato nella mischia – con l’aplomb – dal viticoltore di origini altoatesine innamorato della «Valpolicella estrema». Quella Val Squaranto che, dall’alto dei suoi 500-550 metri di altitudine, costituisce l’ultima frontiera “eroica” della terra dell’Amarone. La “sottozona” (virgolette d’obbligo) dalla quale stanno arrivando i messaggi più belli.

Con i suoi 11,5% di alcol in volume e la sua estrema freschezza e verticalità, Graspo Alto è il vino che introduce nella gamma della giovanissima cantina Contrada Palui. Lo fa con lo stesso frastuono, secco e deciso, della mano sbattuta sulla cattedra dal professore che vuole richiamare gli alunni distratti, seduti sul fondo della classe. Uno schiaffo alle sovraconcentrazioni, al residuo zuccherino ingombrante e piacione. Ai colori impenetrabili che poco, nulla hanno a che fare col Valpolicella Doc che guarda al futuro. Graspo Alto 2021 (91/100) cattura sin dal colore, quasi rubino fluorescente. La componente tannico-fenolica, perfettamente matura ed integrata, danza al ritmo scandito da floreale, fruttato e spezie.

I suoli calcarei argillosi, ricchi di selce e blocchi di basalto, danno al vino quella spina dorsale che si tramuta, nel calice, in un inno alla gioia della beva. «Potrei chiamarlo il mio “concetto di Schiava” in Valpolicella», ammette Hannes Pichler tirando in ballo la sua terra d’origine e centrando in pieno il punto. Allargando ancor più il cerchio ai “rossi leggeri” internazionali, il paragone con la Kadarka, altra varietà a bacca rossa in grado di dare vini simili, specie in Ungheria, è d’obbligo. Del resto, di fronte ai vini di Contrada Palui, seduti nella sala degustazione con vista su Verona e alle spalle i Monti Lessini, la mente non può che viaggiare. Ben saldi a terra, i piedi. Nella Valpolicella che verrà. Prosit.

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Masi Agricola – Red Circle, è scontro tra Boscaini e Renzo Rosso


È scontro tra la famiglia Boscaini (Masi Agricola) e il socio Renzo Rosso (Red Circle Investments). Il Consiglio di Amministrazione di Masi Agricola Spa, riunitosi in mattinata dopo aver «esaminato il parere legale circa la violazione del divieto di concorrenza da parte degli Amministratori Arianna Alessi e Lorenzo Tersi», ha convocato l’Assemblea ordinaria per il 21 luglio 2023 alle ore 11.00. L’obiettivo dichiarato è la «revoca dei predetti Amministratori. Qualora la revoca fosse approvata, l’Assemblea sarà chiamata a deliberare in merito all’integrazione dell’organo amministrativo o alla riduzione dei suoi componenti.

Pronta la replica di Red Circle Investments, affidata a un’altra nota stampa. «Dopo che Renzo Rosso, da oltre trent’anni attivo nel settore del vino con Diesel Farm, è stato amministratore di Masi Agricola e solo dopo che Red Circle Investments ha impugnato il bilancio, improvvisamente i Boscaini si accorgono che vi sarebbe un rapporto di concorrenza che impedirebbe agli amministratori designati da Red Circle Investments medesima, Arianna Alessi e Lorenzo Tersi, di mantenere tale carica e ricorrono a questo pretesto per revocarli».

Secondo Red Circle Investments, che detiene il 10% delle quote di Masi Agricola, si tratta di «un comportamento illegittimo e abusivo, ennesima riprova della chiusura al dialogo del management e della maggioranza di Masi Agricola». Poi, l’ultimo tuono: «Red Circle reagirà in ogni sede anche quale azionista di minoranza». La notizia scuote il settore a quattro giorni dall’annuncio dell’aumento della quota di partecipazione di Fondazione Enpaia (da 6,2 a 7,6%) nella società detenuta in maggioranza da Sandro, Bruno e Mario Boscaini (ciascuno con il 24,5%).

MASI AGRICOLA, IL FOCUS

Masi Agricola è un’azienda vitivinicola radicata in Valpolicella Classica che produce e distribuisce vini di pregio ancorati ai valori del territorio delle Venezie. Grazie all’utilizzo di uve e metodi autoctoni, e a una continua attività di ricerca e sperimentazione, Masi è oggi uno dei produttori italiani di vini pregiati più conosciuti al mondo. I suoi vini – e in particolare il suo Amarone – sono pluripremiati dalla critica internazionale.

Il modello imprenditoriale del Gruppo coniuga l’alta qualità e l’efficienza con l’attualizzazione di valori e tradizioni del proprio territorio. Il tutto in una visione che porta Masi a contraddistinguersi non solo per il core business, ma anche per la realizzazione di progetti di sperimentazione e ricerca in ambito agricolo e vitivinicolo, per la valorizzazione e la promozione del territorio e del patrimonio culturale delle Venezie. Il Gruppo può contare su una forte vocazione internazionale: è presente in circa 140 Paesi, con una quota di esportazione di circa il 72% del fatturato complessivo.

Il Gruppo Masi ha fatturato nel 2022 circa 75 milioni di euro con un EBITDA margin del 18% circa. Masi ha una precisa strategia di crescita che si basa su tre pilastri: «Crescita organica attraverso il rafforzamento nei tanti mercati dove è già protagonista; allargamento dell’offerta di vini legati ai territori e alle tecniche delle Venezie, anche aggregando altre aziende vitivinicole; raggiungimento di un contatto più diretto con il consumatore finale, dando più pregnanti significati al proprio marchio, internazionalmente riconosciuto».

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Stag’s Leap Wine Cellars acquistata da Marchesi Antinori

«Occhio ai Cabernet Sauvignon della regione di Stag’s Leap», titolava in tempi non sospetti un articolo di winemag.it dedicato alle espressioni della varietà bordolese in Napa Valley. Casualità che oggi trova riscontro nell’ufficializzazione dell’acquisto da parte di Marchesi Antinori «della piena proprietà di Stag’s Leap Wine Cellars, dopo 16 anni di partnership con l’azienda americana Ste. Michelle Wine Estates».

«Il nostro obiettivo – sottolinea Piero Antinori, presidente Onorario di Marchesi Antinori – è quello di preservare il prestigio di questa storica azienda, che indubbiamente rafforza la nostra presenza in un mercato strategico come quello degli Stati Uniti. L’acquisizione di Stag’s Leap Wine Cellars è la conferma della nostra convinzione dell’importanza di questo terroir straordinario nello scenario internazionale».

L’operazione, precisa Marchesi Antinori, è stata portata a termine «attraverso il ricorso a mezzi propri e con il supporto di Mediobanca in qualità di Advisor finanziario, di Intesa Sanpaolo, quale Banca Agente e finanziatore insieme a Cassa Depositi e Prestiti e Banca Nazionale del Lavoro». SIMEST e Fondo di Venture Capital del Ministero degli Esteri (MAECI) hanno affiancato l’acquirente nel capitale della società americana. Pricoa Private Capital, parte del Gruppo PGIM Inc., ha sottoscritto un’emissione obbligazionaria finalizzata all’acquisizione.

STAG’S LEAP WINE CELLARS: UNO DEI SIMBOLI DELLA NAPA VALLEY


Stag’s Leap Wine Cellars è considerata una delle aziende vitivinicole più importanti dell’area della Napa Valley, in California. Fondata nel 1970 da Warren Winiarski, la tenuta è oggi conosciuta in tutto il mondo soprattutto per la produzione di Cabernet Sauvignon di eccellenza. Questa storica azienda vinicola divenne famosa dopo il 1976, anno del cosiddetto “Judgment of Paris”, quando a Parigi fu condotta una degustazione alla cieca in cui una giuria di 9 degustatori francesi assaggiò i migliori Cabernet e Chardonnay californiani confrontandoli con alcune delle migliori etichette di Bordeaux e Borgogna.

A dispetto delle previsioni, furono proclamati vincitori proprio i vini californiani, considerati fino ad allora solo come una curiosa novità sul panorama vinicolo mondiale. A ottenere il primo posto fu proprio S.L.V. 1973 Cabernet Sauvignon di Stag’s Leap, decretando una piccola rivoluzione nel mondo del vino. Stag’s Leap Wine Cellars produce tre Cabernet Sauvignon: CASK 23, S.L.V. e FAY, tra i più ricercati Cabernet al mondo dai collezionisti. Lo stesso stile classico è espresso dai vini di tenuta come ARTEMIS Cabernet Sauvignon, KARIA Chardonnay e AVETA Sauvignon Blanc.

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