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Eataly Lingotto, nuova cantina da 5 mila etichette

Il 27 gennaio 2007 il primo Eataly, a Torino Lingotto nell’ex opificio Carpano, apre al pubblico. Sono ormai passati quasi dieci anni ma la sede di Torino mantiene ancora oggi un ruolo centrale. Per festeggiare al massimo dello splendore “dieci anni di maturità”, Eataly Lingotto punta su una nuova cantina. Più di 5 mila etichette a scaffale, che faranno bella mostra assieme al Wine Bar Pane & Vino, alla Birreria e al ristorante stellato Casa Vicina. La casa del vino di Eataly Lingotto si estende su più di 2 mila metri quadrati, “dedicati al bere bene mangiando bene, seguendo i 3 pilastri di Eataly: comprare, mangiare e imparare”. La Cantina di Eataly Lingotto è aperta tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 22.30. Il venerdì e il sabato sera è eccezionalmente aperta fino alle ore 00.30.

“Bisogna avere il coraggio per cambiare e sono orgoglioso che Eataly Lingotto l’abbia avuto – afferma il patron Oscar Farinetti -. Arrivati al traguardo dei 10 anni, è stato dato nuovo lustro alla mamma di tutti gli Eataly e questo tenendo fede ai valori che da sempre ci contraddistinguono: l’impegno ma anche la leggerezza e naturalmente l’armonia, il valore al quale Eataly Lingotto è dedicato”. “La nuova Cantina di Eataly Lingotto sarà da esempio per gli altri punti vendita”, conferma Andrea Guerra, presidente esecutivo di Eataly. “È un negozio nel negozio – continua – che celebra le più grandi produzioni italiane raccontandone la ricchezza, la bontà e la bellezza. La varietà di proposte di alta qualità in un solo luogo è ciò che rende unica Eataly e anche la Cantina prosegue in questa direzione”.

LA NUOVA CANTINA
Le oltre 5 mila etichette provenienti da più di 30 stati rappresentano al meglio la produzione nazionale e internazionale. Si va dallo Spazio Bollicine, dedicato ai migliori marchi del Metodo Classico, ai rinomati Champagne, ma anche agli ad eccellenti Prosecco e spumanti italiani, per passare poi agli scaffali che ospitano 30 mila bottiglie di vini di 40 regioni del mondo, con una particolare attenzione alle grandi eccellenze piemontesi, Barolo e Barbaresco. La Zona Cult custodisce le bottiglie più preziose, tra le quali più di dieci annate storiche di Barolo del secolo scorso. Per gli amanti della birra non manca naturalmente un’ampia selezione delle produzioni italiane e internazionali di alta qualità: più di 11 mila bottiglie, di cui 6 mila artigianali italiane. Infine, la Cantina di Eataly propone anche oltre 500 etichette di spirits: dal torinese Vermouth alle grappe, rum, whisky e molto altro.

La Cantina non è però solamente degli alcolici ma è anche quella di stagionatura dei salumi e dei formaggi: il Culatello di Zibello, il prosciutto di Parma, Il Castelmagno e le altre eccellenze norcine e casare, in vendita al banco e in degustazione presso i Ristorantini al piano superiore, sono conservate ed esposte in un angolo aperto al pubblico e ricco di fascino, dove immergersi negli odori e nei profumi tipici dei territori e dei luoghi in cui si affinano queste bontà tutte italiane. I clienti possono inoltre scegliere il formaggio o il salume che preferiscono, acquistarlo e far concludere la stagionatura nelle Cantine di Eataly: un’opportunità unica!

PANE&VINO: IL NUOVO WINE BAR DI EATALY
L’offerta della Cantina di Eataly si amplia con una nuova proposta di ristorazione. Pane&Vino è il luogo ideale per degustare un ottimo calice di vino e, se lo si desidera, in accompagnamento un gustoso tagliere, un veloce antipasto o un piatto gourmet. Nel Wine Bar di Eataly Lingotto i clienti possono scegliere tra le più di 100 etichette presenti in Carta, 8 grandi vini al calice e, se preferiscono la bottiglia, tutta la Cantina sarà a loro disposizione. Per non rimanere a stomaco vuoto, Pane e Vino propone le Tapas del Mercato, stuzzicherie preparate con gli Alti Cibi in vendita nel Mercato di Eataly, gli Specialmente, una selezione dei migliori formaggi e salumi e i Vicini, i piatti stellati di Claudio e Anna del ristorante Casa Vicina.

LA BIRRERIA DI EATALY
Dopo New York e Roma, arriva anche a Torino la Birreria di Eataly. Ogni giorno viene proposta una selezione delle migliori produzioni brassicole italiane e internazionali:16 birre alla spina che ruotano ogni mese, 40 in bottiglia nella Carta dedicata e persino la possibilità di scegliere a scaffale l’etichetta preferita. In accompagnamento gli ottimi hamburger nel panino nelle versioni di carne – naturalmente de La Granda – pesce o verdure. E poi gli sfizi, croccanti crostini del pane appena sfornato dal forno a legna di Eataly e farciti con una selezione degli Alti Cibi, e naturalmente i fritti, perfetti con una fresca birra.

LA FAMIGLIA VICINA
Fiore all’occhiello della Cantina di Eataly è il ristorante Casa Vicina. Ristoratori da sempre, la famiglia Vicina guida il ristorante stellato di Eataly Lingotto, tenendo alti i valori che la contraddistinguono sin dal 1902: eccellente qualità delle materie prime, unione tra tradizione e territorio ma anche attenzione all’innovazione e alla soddisfazione del cliente. Claudio Vicina, quarta generazione in cucina, porta avanti il nome di famiglia con Anna e con la preziosa figura del fratello Stefano, responsabile di sala: un’unione premiata con una Stella Michelin, che brilla in tutti i loro piatti. Infine, la nuova Cantina di Eataly Lingotto sarà il palcoscenico di numerose attività didattiche per imparare qualcosa di più sul mondo del bere: cene con i produttori vitivinicoli, lezioni e incontri di degustazione. Il programma sarà presto disponibile su www.torino.eataly.it.

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Verticale di Barbaresco Gaja 1995-2012: cronaca di una Langa sconvolta

Non capita spesso di prendere parte a una degustazione verticale di vini del grande produttore piemontese Angelo Gaja. L’occasione l’altra sera, in provincia di Milano, grazie alla delegazione sommelier Fisar di Bareggio. Sul “tavolo”, nettari di tutto rispetto: tutti Barbaresco delle annate 1995, 2000, 2006, 2011 e 2012. Ecco qualche appunto. E qualche considerazione.

Barbaresco Gaja 1995
Di una freschezza e acidità memorabile. Colore granato bellissimo, quasi luminoso. Al naso solo violetta e qualche richiamo di frutta, matura ma non troppo. Non presentava neanche un terziario (a differenza del 2006, già più evoluto in tutto). In bocca giocava tutto sull’acidità in ingresso, con un accenno ancora di tannini. Unica pecca: un po’ corto, sia al naso che in bocca.

Barbaresco Gaja 2000
Il 2000 invece… Di colore perfetto. Naso che spaziava dai sentori floreali a un po’ di frutto. E poi menta, liquirizia. Il migliore della serata.

Barbaresco Gaja 2006
Colore carico. Il più concentrato. Naso tutto humus, fungo, dado. Balsamico. Frutta cotta, prugna secca. In bocca decadente e scomposto. Il peggiore. Annata top in Langa, ma bottiglia sfigata?

Barbaresco Gaja 2011 e 2012
Il 2012 e il 2011, partono bene. Colore un po’ scarico. Ma con bella frutta giovane e, nel complesso, un naso invitante la beva. Peccato durino poco queste emozioni. Dopo mezzora regge solo il 2011, per un’acidità tonica e ben bilanciata. Tannino duro, oggi. Il 2012 già pronto: giusto chiedersi se valga la pena spendere tanto per averlo. Considerazioni collaterali: proprio vero che in Langa non si lavora più come una volta. 1995 e 2000, due Nebbioli veri, rustici, ma con eleganza e complessità. Il 2006 sembra abbia fatto a pugni con una barrique. Annate 2011 e 2012 prodotte – così almeno pare – per essere già bevibili, hic et nunc. Qui e ora. Troppo poco veri però.

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Morbegno in Cantina, sabato da record per il vino di Valtellina: i nostri migliori assaggi

Cifre da capogiro per Morbegno in Cantina, nella giornata di sabato 8 ottobre. Sono 5631 i pass staccati ieri, validi per l’accesso alle vecchie cantine della città, fatte rivivere a suon di vino e prodotti gastronomici tipici della Valtellina. Impeccabile l’organizzazione, che è riuscita a tamponare i possibili disagi dovuti alle lunghe code alle porte delle cantine. La manifestazione prosegue quest’oggi e si chiuderà il prossimo weekend: sabato 15 e domenica 16 ottobre, in concomitanza con la Festa del Bitto, uno dei prodotti caseari lombardi più pregiati (il Bitto Storico è un presidio Slow Food). L’edizione 2016 prevede, proprio nel fine settimana conclusivo, un nuovo percorso speciale volto a valorizzare l’enogastronimia locale. “Quest’anno – spiega Paolo Angelone (nella foto, a destra), presidente del Consorzio Turistico di Morbegno – abbiamo cercato di dare all’evento una connotazione ancora più valtellinese. Oltre ai vini, ai banchetti allestiti all’interno delle 31 cantine visitabili è possibile trovare esclusivamente prodotti della nostra Valtellina: dai salumi ai formaggi, senza dimenticare dolci come la Bisciola. Un modo per valorizzare non solo dal punto di vista enologico ma anche gastronomico il nostro splendido territorio”. “Morbegno – aggiunge Alberto Zecca (nella foto, a sinistra), vicepresidente del Consorzio Turistico – gode di una posizione strategica non solo nel contesto della Valtellina, ma anche in quello lombardo. Ogni anno accogliamo una media di 20 mila persone, che giungono anche da altre regioni d’Italia, come per esempio il Piemonte e la Toscana, ma anche da altri Paesi, come la Svizzera, per godere delle nostre tipicità. E il feedback che ci viene offerto è sempre positivo”.

Anche Mamete Prevostini, presidente del Consorzio Vini di Valtellina e di Ascovilo, è soddisfatto dal primo bilancio dell’evento: “C’è continuità rispetto agli altri anni – commenta – e i dati sono molto incoraggianti. Per noi, la vera novità è stata l’introduzione dei wine lab in occasione della domenica d’apertura di Morbegno in Cantina. Un’iniziativa che ha dato lustro e risalto alla manifestazione e che ripeteremo certamente il prossimo anno, in collaborazione con i produttori”. Prevostini anticipa anche qualche cifra sulla prossima vendemmia: “La Valtellina produce in media 3,5 milioni di bottiglie all’anno. Un dato che subirà una lieve flessione con la vendemmia 2016, appena iniziata per le uve dello Sforzato. Nonostante le piogge di inizio stagione, che hanno favorito la peronospora, le uve risultano ad oggi in buono stato”.

I MIGLIORI VINI DEGUSTATI
Davvero ampia l’offerta enologica nelle 31 cantine fatte rivere da Morbegno in Cantina. La scopriamo con la complicità di un ‘Cicerone’ d’eccezione, il sommelier Ais Massimo Origgi, brianzolo, oggi valtellinese d’azione che collabora da tempo con il Consorzio Turistico. Al terzo weekend di degustazione la parte del leone spetta ai medio-grandi produttori, capaci di fornire agli organizzatori un quantitativo più elevato di vino. Di fatto, ieri non v’era traccia dei nuovi ‘monumenti’ della viticoltura valtellinese. Aziende come Dirupi e Rivetti & Lauro, per citarne due su tutte, che per via della limitata produzione sono riuscite a fare bella mostra di sé solo in occasione del fine settimana di apertura dell’evento. L’altra faccia della medaglia è che i mostri sacri di Valtellina – i vari Arpepe, Mamete Prevostini, Nino Negri e Rainoldi – hanno saputo confermare la grandezza della loro stella, degna di un palcoscenico nazionale ed internazionale. Un palco su cui può salire di diritto, nelle sue varie coniugazioni, la Chiavennasca, nome col quale viene chiamata localmente l’uva Nebbiolo (a proposito: secondo alcuni recenti studi, il vitigno sarebbe originario proprio della Valtellina e non del Piemonte).

A vini da non perdere come lo Sforzato di Valtellina Albareda di Mamete Prevostini (in degustazione una vendemmia 2012 succosa, più pronta ad oggi di un vino di luminosa prospettiva come il 5 Stelle Sfursat di Nino Negri 2011, ancora un ‘infante’ nel calice) si affiancano gli ottimi Inferno Carlo Negri Valtellina Superiore Docg 2012 (degustabile sul percorso rosso, ‘fermata’ Gerosa: rivela anch’esso un futuro strabiliante per acidità e tannino) e il Grumello 2011 Arpepe (40 giorni sulle bucce e utilizzo di botti di castagno, come vuole la tradizione, ormai sulla via della definitiva riscoperta). Per completezza e qualità della gamma espressa a Morbegno in Cantina, un riconoscimento speciale va alla Aldo Rainoldi, capaci di spaziare dall’ottimo Inferno in vendita nei supermercati a prodotti di straordinaria freschezza e piacevolezza come il Prugnolo 2012, 13%, criomacerazione e utilizzo di barrique precedentemente utilizzate per lo Sforzato: un “vino quotidiano” d’eccezione il cui prezzo si aggira sui 10 euro.

Senza dimenticare, sempre di Rainoldi, le punte espresse dalle due Riserve di Sassella e Grumello Docg 2010 (interessante da valutare nell’evoluzione in bottiglia il primo, mentre il secondo, ottenuto da un unico vigneto posto a 600 metri sul livello del mare, oltre allo sprint futuro, regala un presente già delizioso), nonché dal Brut Rosè Metodo Classico, ottenuto da uve Nebbiolo vinificate in rosato assieme a una piccola percentuale di uve Pignola e Rossola: letteralmente l’unica bollicina che merita una menzione tra quelle presenti ai banchi d’assaggio. Ottima anche la vendemmia tardiva Crespino, sempre a firma Rainoldi. Da concedersi al termine della degustazione il sorprendente passito Vertemate di Mamete Prevostini, nome che ricorda la splendida villa di Piuro (frazione del Comune di Prosto, nei pressi di Chiavenna, SO) nei cui giardini sorgono le vigne di Riesling e Gewurztraminer da cui prende vita questo vino speciale (residuo zuccherino elevato, pari a 80-90 g/l).

Tra i ‘volti’ meno noti al pubblico non residente in Valtellina, da non perdere il Valtellina Superiore Valgella Docg 2009 di Cantina Motalli (Teglio, SO): vino di grande complessità, ottenuto in purezza da uve Chiavennasca del singolo cru ‘Le Urscele’. Anche il Valtellina Superiore Docg Grumello 2011 Red Edition di Plozza Vini Tirano, con il suo doppio passaggio in legno (prima rovere, poi castagno) svela ottime potenzialità di evoluzione, con un tannino e un’acidità stuzzicanti, in prospettiva. E’ invece di Triacca (Tenuta La Gatta di Bianzone, SO) il Valtellina Superiore Docg 2011 “Prestigio”, 14%, 100% Chiavennasca che affina 12 mesi in barrique di rovere francese nuove: un altro ottimo aspirante al trono della longevità.

De La Perla di Marco Triacca, invece, è il Valtellina Superiore Docg 2011 “La Mossa”: ottenuto dal vigneto situato in Valgella, affina due anni in botti grandi di rovere e un anno in bottiglia, prima della commercializzazione. Degno di nota anche il Valtellina Superiore Docg Riserva 2009 “Giupa” di Caven, azienda agricola del gruppo Nera Vini. Prodotto in edizione limitata dalla vendemmia tardiva di uve Nebbiolo, affina per circa 6 mesi in piccole botti di rovere, per poi maturare per ulteriori 18 mesi in botte grande, sempre di rovere. Da provare, infine, “Le Filine”, il Valtellina Superiore Docg 2011 di Vini Dei Giop, realtà di Villa di Tirano che opera in regime biologico, pur non certificato. Ennesimo vino di prospettiva, ottenuto da piccoli appezzamenti di vigna, “Le Filine” appunto, strappati letteralmente alle rocce, che fanno da contorno.

NON SOLO VINO
Due, in assoluto, gli incontri da non mancare con la gastronomia Valtellinese a Morbegno in Cantina. Il pilastro locale, vera e propria istituzione in città, è il negozio di alimentari Fratelli Ciapponi di Piazza III Novembre 23. Una di quelle botteghe d’altri tempi, in cui trovare delizie enogastronomiche non solo locali. Del posto sono certamente le forme di formaggio Bitto in bella mostra nelle ‘segrete’ del negozio, aperte al pubblico. Tra queste, si potrà scorgere anche qualche forma di Bitto Storico di 15 anni. Fornitissima anche l’enoteca, che oltre a offrire una panorama pressoché completo della viticultura Valtellinese, non dimentica di annoverare le più prestigiose case vinicole italiane, passando addirittura per alcune tra le più note maison di Champagne francese. I più fortunati riusciranno anche a conoscere il signor Ciapponi, anima e cuore della storica attività, pronto a regalare sorrisi e battute geniali.

Per i più giovani, invece, l’appuntamento è con il modernissimo food truck Marco Gerosa e Massimo Rapella “L’idea è quella di proporre ai nostri tempi i sapori che avevano in bocca i nostri nonni – spiega Marco Gerosa -. Pertanto è nata l’idea del cibo ‘bio-grafico’, che riprende ricette storiche tradizionali, mediante utilizzo di materia prima esclusivamente locale. Un esempio su tutti è quello delle farine: è più facile trovarne di estere, anche nel nostro territorio. I nostri prodotti sono invece ottenuti da farina di grano saraceno e segale nata, cresciuta e macinata in Valtelina, in particolare nei comuni di Ponte e Morbegno. I nostri nonni di certo non compravano saraceno in Cina! Il valore aggiunto è la valorizzazione della territorialità e della tipicità dei prodotti ottenuti dall’arco alpino, unici al mondo. E anche i nostri salumi vengono trattati come li trattavano i nostri nonni”. Un evento al mese per Il Carretto Valtellina Street Food, che a Morbegno propone, oltre agli sciatt, un panino di segale della Valtellina spalmato con burro aromatizzato al timo selvatico, ripieno di slinzega di codone.

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Annata eccezionale per la Barbera d’Asti, quotazioni uve al rialzo

“C’è euforia e stiamo assistendo a una corsa all’accaparramento delle uve, come mai avvenuto prima”. E ancora.”L’annata 2016 della Barbera d’Asti sta già riscontrando una performance molto interessante sul mercato. Soprattutto gli areali dell’Albese hanno intuito che quest’anno è opportuno fare scorte di vino, dal momento che la qualità si preannuncia eccezionale”. Ecco quanto dichiarato dall’enologo Secondo Rabbione, responsabile del Centro Studi Vini del Piemonte di San Damiano d’Asti, alla Gazzetta di Asti. Nonostante la Commissione Prezzi della Camera di Commercio di Asti abbia già fissato le quotazioni per le uve è auspicabile, come per la vendemmia 2015 che i viticoltori ricevano offerte ben superiori, fino ad € 1,20 al chilo. Prezzi normalmente offerti per vendemmie selezionate o uve diradate. Un trend al rialzo dato dalla previsione di vini di estrema qualità per questa vendemmia. Secondo il Centro Studi Vini del Piemonte, giunto al terzo campionamento delle uve, i dati relativi a grado zuccherino e curve di maturazione sono sorprendenti. La media è di 21 gradi Babo, con un alcol potenziale di 14 gradi.  Considerato che questa media è inficiata dalle uve delle zone che hanno subito grandinate ci sono zone con potenziali gradazioni e possibilità di affinamento ben al di sopra di questi valori. Il clima degli ultimi giorni inoltre,  che ha visto un abbassamento delle temperature in concomitanza a precipitazioni ha giocato un ruolo fondamentale  per quanto concerne l’acidità, ridotta in  via lineare, con riduzione dell’acido malico e aumento progressivo del ph.

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Salone del Gusto 2016, la Chiocciola inciampa a Torino. Mercato confuso, enoteca poco “Slow”

Volevamo sorvolare, sornioni. Ma l’amore per la verità, che è l’unico vero caposaldo di questo portale del vino e dell’enogastronomia italiana, ha avuto la meglio. Anche oggi. E allora non possiamo che commentare, anche noi di vinialsupermercato.it, l’edizione 2016 del Salone del Gusto di Torino. Partecipazione è in primis sinonimo di “acceso”, per tutti. Ci spiace dirlo, ma l’edizione 2016 del Salone del Gusto di Torino è parsa più una riedizione allargata di Cheese di Bra: mal venuta, confusa. Per carità, ottimo livello degli espositori confermata rispetto alle edizioni precedenti. Ma, per dovere di cronaca, il Mercato Slow al Parco del Valentino è parso un’accozzaglia di piccoli produttori (affiancati per la verità da marchi ultranoti) sotto gazebo tutti uguali, che poco potevano valorizzare l’esposizione e la spettacolarizzazione dei presidi Slow, apprezzata al Lingotto nelle precedenti edizioni.

Anche Slow Food cade, insomma, nell’errore della standardizzazione, tipica della più becera Gdo. Per non parlare dell’enoteca self service ‘meccanizzata’ a Palazzo Reale: quattro sommelier Fisar non fanno il ‘monaco’ davanti a una muraglia di sterili dispenser di vino, tristi e anonimi. Neppure se a pagargli lo ‘stipendio’ sono i soliti soloni di Slow Wine, la cui opera migliore, ultimamente, sembra la critica ai vini Lidl. In sintesi: che delusione, Slowfood. L’ennesima occasione persa da questo “movimento” che, negli anni, sta venendo meno in quanto a credibilità. Anche nella sua Torino.

Di fronte alle pompose dichiarazioni di Carlo Petrini, soddisfatto dalla riuscita dell’evento fuori dalle porte del Lingotto, rimaniamo perplessi. E con tante domande. Ma forse, nell’era 2.0 della comunicazione e del fast food, anche chi cammina Slow si accontenta di code chilometriche ai food track che sfornano comunissime piadine (ma Slow), comunissimi panini (ma gourmet), e comunissime birre (ma “artigianali”). L’ennesima dimostrazione che, a parole, son bravi tutti. L’insegna, che vale più dell’assortimento. Addio, Slow life.

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Rocche del Gatto e il Pigato anarchico di Fausto De Andreis: viaggio nella Christiania del vino

“I disciplinari del vino? Sono dei limiti. E chi segue i disciplinari finisce per diventare vittima degli stessi. Il vino è libertà”. Un sillogismo anarco insurrezionalista meditato, enunciato e sottoscritto a lettere cubitali quello con cui Fausto De Andreis t’accoglie a Rocche del Gatto. La sua piccola, grande Christiania. Siamo a Salea, frazione del Comune di Albenga, provincia di Savona. Riviera Ligure di Ponente, of course. L’appuntamento è nei pressi dello svincolo autostradale, più a valle. Cinture allacciate e giù il pedale dell’acceleratore, in fretta. Stare dietro a De Andreis è già un’impresa, tra le curve in salita e in discesa che conducono al suo quartier generale. Roba che potevi – anzi dovevi – aspettarti da uno che produce Pigato anarchico e lo chiama Spigau. Con la “s” di “sfida” davanti, giocando coll’accezione dialettale ligure “pigau”. Se non segui le regole del vino e produci vino, perché badare al codice della strada quando sei al volante di un’auto? Il punto è proprio questo. Il vignaiolo Fausto De Andreis guida come fa il vino. Senza freni. Senza badare a cartelli stradali o limiti di velocità. Così capisci che Rocche del Gatto è la Livigno savonese: la zona franca del vino libero. Kryptonite per i “burocrati” dei Consorzi. E allo stesso tempo baccanale per gli amanti delle macerazioni spinte. Un viaggio del corpo e dell’anima sul fiume Acheronte. Presi per mano e trascinati nella voluttuosa, anarchica corrente dal figlio dell’Erebo e della Notte: Fausto De Andreis.

LA CROCIATA SPIGAU
“Si sono inventati l’alcol test per fare cassa, quando fior di professori hanno dimostrato che l’etilometro è una truffa”. Una stretta di mano veloce, quasi timida. Poi cominci a pensare che sia incazzato col mondo, l’anarchico del vino ligure, quando inizia a sentenziare contro il “sistema Italia”. Ma il tono è sommesso. Quasi un mormorio. Le parole scandite senza foga. Quella di Fausto De Andreis non è rabbia. Ma il principio di un’enunciazione filosofica, forse un po’ prolissa, che porterà, con impressionante coerenza, al dunque: il suo vino. “Hanno trasformato in un inferno il mestiere più bello del mondo”, commenta il viticoltore. “Quest’anno sono ormai alla mia 63a vendemmia – aggiunge – dato che a novembre compirò 70 anni. Ma non avrei immagino che le cose potessero finire così”. Tecnico elettronico, De Andreis negli anni ’80 lavora all’Olivetti di Ivrea, ramo ingegneria di produzione. Nel 1982 la svolta. “Mi sono chiesto: perché aspettare la pensione per fare esclusivamente quello che voglio fare nella vita? Così ho dato vita a Le Rocche del Gatto, nome scelto in onore di mia moglie Caterina, sempre circondata da una marea di gatti che sfama come figli, forse per farmi perdonare il fatto che ci siamo sposati troppo presto, all’età di 51 anni…”. Oggi l’azienda agricola di Salea d’Albenga produce 75 mila bottiglie l’anno. Il bruco diventa farfalla nel 1995. Anno in cui De Andreis vede respinta la classificazione Doc per il suo Pigato. Che diventa così Spigau, arricchendosi di un altro nome di fantasia: “Crociata”. Un vino incazzato. Un vino anarchico. Di carattere. Ma soprattutto un capolavoro d’enologia. Una mela perfetta. Anche senza il “bollino”.

Da uno che fermenta a freddo pure il Nostralino, il vino della tradizione contadina ligure, “per esaltarne l’eleganza”, ci si può aspettare di tutto. Anche per il Pigato. Di fatto, è grazie allo Spigau che Fausto De Andreis entra nell’olimpo dei vignaioli indipendenti italiani, alla stregua dei Walter Massa, per intenderci. Dalla bocciatura della Doc, ha saputo trarre il meglio: raccogliendo il successo della perseveranza. Del coraggio. Della follia. “E’ solo grazie alla memoria storica che si riesce a rendere attuale l’etica”, spara dritto al cuore De Andreis, mentre spilla dalla vasca d’acciaio dei Vermentino e dei Pigato memorabili. “Fino al 2010 mi spingevo fino a 10 giorni di macerazione sulle bucce – spiega il vignaiolo ligure – poi ho deciso di arrivare fino a 21 giorni. I vini bianchi, così, hanno un grosso vantaggio: guadagnano in complessità ma non coprono il piatto, a differenza dei rossi. Troppi bianchi, anche in Liguria, rispondono a un gusto comune, risultando ‘bananalizzati’, ovvero resi banali e standardizzati da sentori come quello di banana, che piacciono tanto al grande pubblico”.

I vini di Rocche del Gatto, invece, paiono tutti austeri, gastronomici, complessi. Utilizzo “giusto” di solforosa e concentrazione assoluta di aromi evoluti sconosciuti al gusto ligure, riscontrabili piuttosto nei canoni stilistici di aree vinicole come la Mosella. E dunque nettari che arrivano ad assumere colori dorati, regalando al naso gas, idrocarburi. Ma anche burro e tostature. Il tutto in un quadro che mantiene comunque tinte fruttate di pesca e albicocca, capaci di vestirsi pure d’agrumi (buccia di cedro). O dar vita a richiami vegetali tipici della macchia mediterranea (rosmarino, alloro) e balsamici (mentuccia). Fino ad arrivare all’apice dell’anarchia: uno Spigau 2005, che equivale ad Armagnac puro. Il tutto, classificato a livello legislativo come “vino da tavola”. Vini infiniti, insomma. Immortali. Vini gloriosi, come la fama che merita Fausto De Andreis. L’anarchico di Albenga.

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Local Heroes 02 Limited Edition, il Gin firmato Cracco e Sisti

Una innovativa edizione limitata, realizzata in collaborazione con lo chef stellato Michelin Carlo Cracco e Filippo Sisti, head bartender del suo ristorante e cocktail bar Carlo e Camilla in Segheria di Milano. Un’esclusiva per il mercato italiano. Si tratta di Local Heroes 02 Limited Edition, blend che celebra l’innovativo concetto di miscelazione che contraddistingue il Carlo e Camilla in Segheria. Il progetto Local Heroes è nato dal desiderio di Portobello Road Gin di celebrare un mercato, quello italiano, attraverso la collaborazione con una figura tra i migliori talenti del paese. Il ‘Local Hero’ appunto, con cui realizzare un prodotto innovativo e artigianale. ‘Local Heroes 02‘ è caratterizzato da botanicals unici e ricercati, tra cui buccia di mango, pepe di timut e aneto, accuratamente dosati e distillati da Carlo Cracco e Filippo Sisti a Londra presso “The Ginstitute” – la casa di Portobello Road Gin. Una produzione limitata di mille bottiglie artigianali distillate in alambicchi di rame da 30 litri battezzati Copernico II, imbottigliate ed etichettate a mano prima di essere spedite in Italia per il lancio in occasione del Gin Day l’11-12 settembre a Milano. Local Heroes 02 sarà disponibile alla vendita in negozi selezionati in Italia. Carlo e Camilla in Segheria utilizzerà questo blend unico per offrire cocktails innovativi ai propri clienti. Per i fan Uk, ci sarà un numero limitato di bottiglie disponibili all’acquisto su www.portobelloroadgin.com.

La limited-edition sarà una tra le ultime limited-edition prodotte presso ‘The Ginstitute’ prima del trasferimento di Portobello Road Gin nella sua nuova sede, un moderno palazzo del gin nel cuore di Portobello Road, attrezzata con blending rooms, un museo con gift shop, un ristorante Gintonica di stile spagnolo e alcune esclusive camere per gli ospiti. “E’ un grandissimo onore lavorare con Carlo e Filippo alla creazione di un London Dry Gin dal cuore italiano – commenta Tom Coates, brand director di Portobello Road Gin -. Come immaginavo, i sapori sono completamente unici e siamo estremamente soddisfatti del risultato. Abbiamo introdotto il nostro brand nel mercato italiano solo due anni fa e stiamo avendo risultati incredibili. Con il lancio dell’edizione Local Heroes 002 desideriamo aumentare ulteriormente la notorietà del brand in Italia”. “Siamo molto felici di poter collaborare con un’eccellenza come Portobello Road Gin – aggiungono Carlo Cracco e Filippo Sisti – questo progetto ci ha permesso di condividere la nostra visione ed il nostro gusto attraverso la creazione di una special edition”. A settembre 2015, Portobello Road Gin ha collaborato con Brett Graham, proprietario e capo cuoco del ristorante The Ledbury di London, per creare la prima edizione del Local Heroes: una ricetta di gin distintiva che includeva tra i botanicals olive verdi, clementine, dente di leone e levistico officinale. The Ledbury ha ricevuto numerosi riconoscimenti incluse due stelle Michelin e a maggio 2014 è rientrato tra i 10 migliori ristoranti al mondo su Restaurant Magazine.

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Veneto shock: Valpolicella Classica pronta alla scissione dal Consorzio. A Soave prezzi del vino al ribasso

Davide contro Golia, “ciak si gira”. In Veneto. Alle porte della vendemmia 2016, la regione vinicola più produttiva d’Italia è in subbuglio. L’ennesima riduzione della percentuale delle uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, paventata dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella e ormai in via di ufficializzazione, rischia di generare una scissione da parte dei produttori della zona Classica.

E a Verona, in occasione dell’evento clou del programma di Soave Versus, andato in scena ieri al Palazzo del Gran Guardia, serpeggia il malumore tra i piccoli produttori. Costretti “a mantenere bassi i prezzi dei loro vini per l’esistenza di un ‘cartello’ che limita, di fatto, la concorrenza leale”.

Parole forti quelle che volano in Valpolicella e a Soave. Confermate da diversi produttori, che preferiscono mantenere l’anonimato. Ma andiamo con ordine. “Con un’annata come questa che si preannuncia eccezionale – evidenziano alcuni vignaioli della Valpolicella, sentiti in esclusiva da vinialsupermercato.it – la riduzione delle rese delle uve ci colpisce ancora di più. Tutti si aspettavano dal Consorzio di Tutela Vini della Valpolicella un aumento della percentuale di uve da mettere a riposo per Amarone e Recioto, proprio per l’abbondanza e la qualità che registreremo in vendemmia. Invece ci ritroveremo con l’ennesima diminuzione. E alla domanda: perché? Ci hanno risposto che ci sono numerose cantine con Amarone in abbondanza, invenduto. Una decisione presa dunque per mantenere in equilibrio il rapporto tra domanda e offerta in Valpolicella”.

Peccato che, come sottolinea ancora il gruppo di produttori, “le cantine della Valpolicella Classica registrano il problema inverso”. “Praticamente nessuno di noi ha dell’Amarone invenduto e dunque non si capisce perché dobbiamo sottostare a questa misura, che taglierà ulteriormente le gambe all’economia dei piccoli produttori, per difendere gli interessi dei grandi gruppi e delle cantine sociali della zona allargata. Di certo sappiamo che neppure la cantina sociale della zona Classica (Negrar) ha dell’Amarone invenduto: figurarsi i piccoli produttori. E i prezzi, qui da noi, non sono certo al ribasso”.

“Il problema di fondo – continuano i viticoltori – è far capire ai consumatori finali che esistono diversi tipi di Amarone: nella zona classica abbiamo da sempre valori aggiunti in termini di stile e qualità. Nonostante ciò, non siamo abbastanza rappresentati numericamente nel Consorzio per far valere le nostre ragioni. L’unica soluzione, dunque, sarebbe quella di una scissione dal Consorzio della Valpolicella, con la creazione di un altro ente che si prenda cura, alla stessa maniera, di tutti: piccoli e grandi”.

Il nuovo Consorzio, o distretto, sull’esempio di quanto avvenuto in Oltrepò Pavese con la creazione del Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, guarderebbe gli interessi delle aziende dei Comuni di Fumane, Marano di Valpolicella, Negrar, San Pietro in Cariano e Sant’Ambrogio di Valpolicella, che producono Valpolicella classico, Valpolicella classico superiore, Valpolicella Ripasso classico, Valpolicella Ripasso classico superiore, Amarone della Valpolicella classico e Recioto della Valpolicella classico.

PIU’ QUALITA’ CHE PREZZO A SOAVE

Non si parla di secessione, invece, tra i produttori di Soave intervenuti al grande evento al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Ma monta il malumore. A far traboccare il vaso, di stand in stand, è la nostra domanda sul prezzo delle singole bottiglie presentate in degustazione. Costi davvero irrisori per la qualità espressa da alcuni Soave Classico o Superiore. Una situazione invitante per la grande distribuzione organizzata (Gdo), che arriva a proporre ai vignaioli una media di 1,30 euro a bottiglia. Prezzo che sullo scaffale, a margini e Iva applicati, lieviterebbe comunque a soli 3,50 euro, per il cliente finale.

Davvero troppo poco per dei Soave che prevedono raccolte vendemmiali tardive, appassimenti in cassetta di percentuali d’uva e, in alcuni casi, anche brevi passaggi in legno. “Il perché è semplice – spiegano uno dopo l’altro i vignaioli intervistati – e va ricercato nel fatto che a comandare sui prezzi nella zona del Soave sono poche cantine, che dettano legge per tutti. Bisogna essere abbastanza potenti per poter contrastare queste aziende e provare, per esempio, a proporre sul mercato vini innovativi, diversi: perché in quel caso, qualcuno si sentirebbe scavalcato, vedendosi ‘derubato’ di fette di mercato. Il Soave, nel mondo, è stato bistrattato e proposto all’estero con prezzi assurdi, anche inferiori all’euro, nei supermercati. La crisi non basta a giustificare tutto ciò”.

I produttori di Soave interpellati denunciano poi la sussistenza di un “conflitto d’interessi nelle alte leve del vino di Soave”. Il presidente del Consorzio, Arturo Stocchetti, è anche il presidente dell’Unione Consorzi Vini Veneti Doc e Docg (U.Vi.Ve, che sul proprio sito web omette l’organigramma). Arturo Stocchetti, inoltre, è presidente di Cantina Castello (eccolo, questa volta, in foto in home page assieme alla famiglia). Uno dei soci di Stocchetti in Cantina Castello ricoprirebbe infine un ruolo di primo piano nella cantina sociale di Soave.

Una stoccata all’assessore all’Agricoltura della Regione Veneto, Giuseppe Pan, arriva invece – sempre in occasione di Soave Versus 2016 – da parte di Paolo Menapace, presidente della Strada del Vino Soave: “Benissimo promuovere il territorio di Soave, ma la Regione dovrebbe elargire contributi speciali a chi reimpianta la pergola, vero e proprio simbolo della viticoltura tradizionale locale, rinunciando alla spalliera”.

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Domaine de Beudon. Viaggio nella Svizzera dove si vive (e si muore) di vino

Scricchiola, appesa ai fili tesi al cielo di Fully, canton Vallese, la teleferica di Jacques Granges e Marion Granges-Faiss. Scricchiola. Sembra arrancare, a tratti. Barcolla un poco, mentre sale. Ma non si ferma. E non si fermerà mai. E’ il cuore grande di Marion e delle sue tre figlie che la tiene in funzione. Anche ora, anche oggi. Anche se per metà, quella teleferica, non avrebbe più senso d’esistere. Di raggiungere il cielo. Almeno da quel terribile 10 giugno 2016. Quel giorno che nel Valais – e non solo – nessuno scorderà più. Jacques era solo. A 870 metri d’altezza. Tra le sue vigne. Una distrazione, tra i filari. Forse a causa della fatica, dovuta alla fortissima pendenza del terreno. Il macchinario su cui si trovava si è ribaltato. Alcuni operai hanno trovato Jacques una decina di minuti dopo. Privo di vita. Per il forte trauma subìto alla testa. Inutili i soccorsi. I disperati tentativi di rianimazione. Lo attendevano per la pausa pranzo. Erano le 12.30 passate. E Jacques era un tipo puntuale. Se n’è andato così, il padre della viticoltura biodinamica svizzera. All’età di 70 anni. Se n’è andato tra le sue vigne. Tra le sue “figlie”. Tra le piante di Fendant, Riesling Sylvaner, Gamay e Pinot Nero. Se n’è andato lasciando Domaine de Beudon nelle sapienti mani della moglie Marion, che da una vita gli era accanto, anche in vigna. Per cercare di trarre il meglio, seguendo i principi della biodinamica (no diserbi, no concimi: in due parole “no chimica”) dallo splendido terroir di “loess”, come chiamano da queste parti l’argilla mista a sabbia e detriti morenici. Combattendo quotidianamente con le insidie del meteo e, in generale, con Madre Natura. Un’amica nemica da rispettare, quassù. Anche quando decide di fare la stronza. “Science, Coscience et Amour. Lo diceva sempre, Jacques. Aggiungendo subito dopo, ‘Tant Amour. Mi faceva sempre tanto ridere!'”. E’ con le parole del marito che Marion Granges-Faiss ci accoglie nella sua casa sulla montagna. Di nome e di fatto. Ci siamo fatti caricare sulla teleferica da Laura, l’impiegata storica del Domaine de Beudon. E abbiamo raggiunto l’abitazione, costruita proprio lassù. Tra le vigne eroiche. Cinque minuti di pura adrenalina, per arrivare a quasi 900 metri d’altezza. Sul cielo di Fully. Sul cielo di una Svizzera che piange ancora oggi, per la scomparsa di un grande uomo. Un rivoluzionario del vino. E della vita. Prende per mano il nipotino, Marion. Tra le dita sporche di terra il piccolo di 4 anni tiene una mela succulenta. Che sgranocchia goloso, durante il nostro tour delle vigne. Niente snack da queste parti: solo cibo genuino. La vista, tra i filari, è di quelle che mozzano il fiato. Ma è Marion che riesce a toglierti il respiro. Per davvero. Ancora più delle vertigini. E a farti lacrimare il cuore.

Cammina come un gatto tra le sue piante, Marion. Sinuosa, esperta. Delicata, decisa. E’ l’ossimoro fatto donna. Ogni tanto, tra una parola e l’altra in inglese, francese e italiano, si ferma. Si piega, sciolta. Strappa da terra un po’ di verbena e te la mette sotto il naso. “Quassù è pieno di piante officinali”, fa notare. “Ci facciamo delle buonissime tisane”. Profumi che ritroveremo nei vini del Domaine de Beudon. Chiari, netti, fini, in ognuna delle 25-30 mila bottiglie prodotte in media ogni anno dalle uve del Domaine, lavorate a Saillon nella cantina di Pierre Antoine Crettenand. “Perché noi non abbiamo mai avuto una cantina tutta nostra”, spiega Marion. Del resto di lavoro ce n’è sempre stato abbastanza tra i 7,5 ettari di proprietà della famiglia. Vigne che il 1 luglio hanno compiuto i 45 anni dal loro acquisto. Un traguardo che Jacques Granges ha solo sfiorato. “Negli anni ’70 l’acquisizione dei terreni – spiega la Signora del vino svizzero – e dal 1992 la certificazione del biodinamico, anche se fin dall’inizio ne abbiamo rispettato i princìpi. Come mai questa decisione? Perché noi siamo esseri umani e dobbiamo rispettare il nostro prossimo, ma anche l’ambiente. Il vino che produciamo, del resto, è per la gente. La biodinamica, per noi, è sempre stata più che una scelta una necessità morale: per noi, per i nostri cari, per il prossimo. Per la Terra”. Non a caso Domaine de Beudon aderisce al circuito di viticoltori Triple A – Agricoltori, Artigiani, Artisti: unica casa vinicola dell’intera Svizzera.

LA DEGUSTAZIONE
Una scelta radicale. Compiuta con la consapevolezza dell’amore per la propria terra. Ma anche una decisione preziosa, dal punto di vista enologico. I vini biodinamici non filtrati di Jacques e Marion Granges-Faiss sono ormai riconosciuti internazionalmente come straordinari. Oltre il pionierismo. Oltre certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”. Nel calice la vendemmia 2004 Beudon si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà il fil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Vini d’agricoltura, d’artigianato. Vini d’arte. Vini di fatica. Vini folli. Basti pensare che in occasione della vendemmia, per i bianchi è prevista una prima pressatura in “alta quota”. Il mosto scorre dunque verso il basso mediante una canalina, costruita appositamente. Una volta a “terra”, il prezioso nettare finisce nelle vasche inox per la chiarifica (dèbourbage), poi condotte alla cantina di Pierre Antoine Crettenand per la lavorazione. Per i rossi il discorso è diverso. Ancora più folle, se possibile. Le uve, raccolte in piccole cassette, vengono condotte dai 600-900 metri d’altezza delle vigne sino a terra (a 450 metri slm) mediante ripetuti viaggi in teleferica. Immaginate un ‘ascensore’ pieno di cassette d’uva appena colta a grappoli, che scende dai monti come un dono del cielo. Viticoltura eroica dal campo alla bottiglia, insomma. Ed eroico è pure il Riesling Sylvaner 2004 del Domaine de Beudon. Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro. La degustazione prosegue con un Johnannisberg 2013 di grandissima intensità olfattiva. Miele, erbe d’alpeggio. Si passa ai rossi, con il Gamay 2009 (13%). Un assemblaggio tra uve provenienti da diversi appezzamenti del vigneto. Splendido tannino, gran frutto. Un marchio di fabbrica garantito dalle lunghe e lente macerazioni in acciaio. “Per garantire la tipicità del vitigno”, spiega Marion. Constellation 2007 (12,5%) è invece il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. “Con la biodinamica riusciamo a ottenere più ‘estratto’ di tutto”, commenta ancora la viticoltrice, sorseggiando il rosso. E in effetti siamo di fronte a un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe. Chiudiamo con il Petite Arvine 2014, premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica. “Adesso le tocca raccontare che i vini svizzeri ottenuti dalla viticoltura biodinamica sono longevi”, scherza Marion. Ci “tocca”? Dobbiamo. Chapeau.

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Da Kiev a Bologna: impazza la Wine Cork Art di Sergey Tkachuk

Abiti di sughero, realizzati interamente mediante l’utilizzo dei “tappi” del vino. Ma anche borse, cornici, collane e accessori. E’ una nuova moda che viene dall’Ucraina quella che risponde al nome di Sergey Tkachuk, che a Kiev dirige il Wine Cork Art Design Studio. Vere e proprie opere d’arte le sue, che saranno presentate anche in Italia, in occasione della Bologna Design Week 2016, in programma in Emilia Romagna dal 28 settembre al 1 ottobre (previews 26-27 settembre). La manifestazione internazionale dedicata alla promozione della cultura e del design, organizzata nel centro storico bolognese in occasione del Cersaie, Salone della Ceramica per l’architettura e dell’arredobagno, mappa e riunisce “le eccellenze culturali, formative, creative, produttive e distributive in un progetto integrato di comunicazione”. Un ambito in cui le realizzazioni dell’ucraino Sergey Tkachuk entreranno a pieno titolo, sdoganando anche in Italia quello che è ormai definito internazionalmente “Cork style”, ovvero lo “Stile sughero”, da cui discende la “Wine Cork Art”. E per una volta chi se ne importa se il vino sapeva di tappo.

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Arnad, oltre al lardo c’è di più: lo Chardonnay della Cooperativa La Kiuva

Grasso che cola. E per una volta non è quello dell’unico lardo a Denominazione d’origine protetta d’Italia. Ad Arnad, villaggio di 1.300 anime della bassa Valle D’Aosta, protetta da una gincana di stradine strette che conducono sulla riva di un torrente, opera la società cooperativa La Kiuva. Frazione Pied de Ville, civico 42, per i pignoli. Trecentosessantuno metri sul livello del mare, per i curiosi. E uno Chardonnay da far invidia alle più prestigiose case vitivinicole italiane, per chi mastica pane e vino. Sabrina Salerno e Jo Squillo per la colonna sonora: qui, ad Arnad, canterebbero che “oltre al lardo c’è di più”. Lo sa bene Ivo Joly, 43 anni, il dinamico presidente de La Kiuva. Una cooperativa che, oltre a competere con le prestigiose realtà private del vino valdostano, si è ormai inserita nel business della ristorazione, servendo menu a base di prodotti tipici proprio sopra i locali adibiti a cantina. Per trovare l’eccellenza vera, basta spostarsi nell’ampio wine store dotato di un moderno bancone per la degustazione dei vini. E chiedere uno Chardonnay. Anzi, due. La Kiuva produce infatti uno Chardonnay “base”, che definire “base” non si può. E un secondo, affinato in barriques: altro calice con cui varrebbe la pena di fissare un tête-à-tête. Prima o poi, nella vita.

Di colore giallo paglierino mediamente carico, lo Chardonnay La Kiuva presenta al naso note di frutta fresca a polpa bianca e gialla. Il caratteristico richiamo esotico all’ananas fa spazio con l’ossigenazione a sentori grassi, tipici del burro di montagna spalmato sul pane croccante. Una sorta di contrasto dolce-salato che si fa solido nel suo materializzarsi concreto. Preannunciando una beva di grande mineralità, struttura e persistenza. Per una “base” che “base” non è, come annunciato. Ed è questo il punto di partenza (d’eccezione) dell’altro capolavoro della cooperativa: lo Chardonnay barrique La Kiuva. Con la sua beva sapida e minerale resa ancora più morbida e rotonda dal legno cui è affidato l’affinamento del prezioso nettare, in grado di conferirgli inoltre un’apprezzabilissima vena balsamica. Vini che, bevuti giovani o più maturi (il barrique è un vendemmia 2011 perfettamente in auge), offrono il meglio dell’accoppiata costituita da terroir ed escursione termica, in questo angolo di Valle d’Aosta reso grande da Madre Natura. Lo stesso si può dire del Muller Thurgau, che sfodera senza ritegno una spalla acida invidiabilissima e una mineralità accentuata, ben calibrata con la piacevolezza delle note fruttate fresche. Meno significativi Pinot Gris e Petite Arvine, proposti in apertura di degustazione. Nettari comunque in grado di comunicare, seppur in maniera più soffusa, le peculiarità del marchio La Kiuva.

SPUMANTI E VINI ROSSI
Non mancano, per gli amanti delle bollicine, due metodo classico come il Seigneurs de Vallaise – 40% Chardonnay, 30% Pinot Noir e 30% Pinot Gris – dal perlage accattivante al palato e dal buon corpo (forse un po’ a discapito delle note fruttate) e l’ancora più interessante Traverse La Kiuva, spumante ottenuto al 100% da uve Nebbiolo. Quaranta mesi minimo di permanenza sui lieviti che conferiscono a questo “rosè” sentori di agrumi e crosta di pane, oltre agli accenni immancabili a piccoli frutti a bacca rossa. In bocca colpisce la gran sapidità, che gioca sottile su note eleganti di lime e pompelmo, nonché su una linea (rieccola) vagamente balsamica che richiama la mentuccia. Un corpo e una sostanza diversa da quella dei Nebbiolo rosé prodotti nel vicino Piemonte (per esempio nella zona di Ghemme, Novara), forse per quel calore nella beva espresso dai 13,5 gradi di percentuale d’alcol in volume. Capitolo rossi della Cooperativa La Kiuva di Arnad? A spiccare su tutti, ma agli antipodi tra loro, sono il Nebbiolo Picotendro e l’Arnad Montjovet Superior. Un Nebbiolo da assaporare giovane, il primo, che nel calice si mostra d’un rosso rubino intenso e che al naso evidenzia note di lamponi, fragoline di bosco e more mature. Corrispondente al palato, risulta morbido e avvolgente e dal tannino delicato, che ha comunque bisogno di qualche minuto per slegarsi completamente e conferire una dignitosissima eleganza alla beva. Ma se il Picotendro della Cooperativa La Kiuva è ottenuto mediante macerazione prefermentativa a freddo di 3-4 giorni e fermentazione a 30-32°, con macerazione delle bucce per 5/7 giorni e svinatura dolce, più complessa è l’elaborazione del Valle d’Aosta Doc Arnad Montjovet Superior. Vino rosso top di gamma de La Kiuva, è costituito da un 70% minimo di Nebbiolo, cui vengono aggiunti Gros Vien, Neyret, Cornalin e Fumin. La vinificazione è tradizionale, a cappello emerso, con lunga macerazione delle vinacce: sino a 15-20 giorni, a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Fondamentale l’affinamento in legno per un periodo tra i 10 e i 12 mesi, cui vanno a sommarsi altri 6 mesi di maturazione in bottiglia, prima della commercializzazione. Un vino che nel calice si mostra d’un rosso rubino con riflessi granati, dal quale si sprigionano eleganti note fruttate (confettura), balsamiche e speziate. In bocca esprime tutta la potenza elegante del Nebbiolo: misurate ma intense le note balsamiche e speziate che ritornano anche al palato. E di nuovo un’accentuata sapidità, che chiama il sorso successivo. Solo cinquecento le bottiglie prodotte mediamente ogni annata, numero che sale a 5 mila per la “base” (che “base” non è).

“VIGNAIOLI PER PASSIONE”
Curioso scoprire dopo la degustazione che La Kiuva, nonostante il buon livello dei vini prodotti, costituisca l’attività “secondaria” dei quaranta soci della Cooperativa. “La maggior parte di noi – spiega il presidente Ivo Joly (nella foto) – non è dedita alla produzione di vino a tempo pieno. Si tratta di un’attività collaterale, affiancata a quella principale che può essere nel ramo dell’agricoltura o dell’artigianato. La sede principale è stata edificata nel 1975, una delle prime cantine concepite dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta. I primi conferimenti di uve e dunque la prima  vinificazione risalgono al 1979″. Dal 2008, anno nel quale La Kiuva ha deciso di produrre lo spumante metodo classico 100% Nebbiolo, la coop ha ridato vita ad alcune cantine storiche dislocate sul territorio di Arnad, oggi utilizzate principalmente come luogo per lo stoccaggio del vino in maturazione. “La sfida per il futuro – dichiara ancora il presidente Ivo Joly – è quella di offrire un prodotto che risulti concorrenziale sul mercato. Abbiamo prodotti di nicchia dei quali vantarci, capaci di conquistare anche mercati diversi da quello italiano. Esportiamo già negli Usa 20 mila bottiglie delle 100 mila prodotte complessivamente. L’interesse è crescente all’estero, sia sui vini da tavola sia sul nostro Picotendro. Sarebbe interessante, quindi, riuscire a consolidare ulteriormente la nostra presenza in Italia. Magari puntando tutto sul nostro Traverse. Superficie e potenzialità per incrementare ulteriormente la produzione ci sono – conclude Joly – ma dobbiamo innanzitutto tener conto della nostra realtà, tutto sommato giovane e costituita, appunto, da vignaioli per passione, più che per professione”. Basti pensare che, fino a 10 anni fa, i vigneti che conferivano alla Kiuva erano ancora a pergola. Oggi solamente filari. Splendidi. Pronti a perdersi, a vista d’occhio, con le montagne a fare da sfondo. O magari all’ombra del Forte di Bard. Tra i 13 ettari vitati che vanno da Hone a Montjovet.

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Maremma Toscana Doc: al via le modifiche al disciplinare

Partito il 14 Luglio, a seguito dell’Assemblea dei soci del Consorzio di tutela vini Maremma l’iter di modifica del disciplinare di produzione della Doc Maremma Toscana, nata nel 2011 e che sta diventando sempre più rilevante.

Tra le principali modifiche la revisione della base ampelografica per la produzione di rossi e bianchi: eliminazione  della presenza obbligatoria di un solo vitigno prevalente (Sangiovese per il 40% nella produzione del rosso e del Vermentino o Trebbiano per la produzione del bianco) e possibilità di utilizzo delle prime cinque varietà a bacca rossa e bianca più diffuse sul territorio per un minimo del 60%.

Inserimento di nuove tipologie varietali come Cabernet Franc, Petit Verdot e Pugnitello, vitigno autoctono scoperto nel 1978 che sta diventando di grande interesse per i produttori. Richiesto, come accade già per gli Igt la possibilità di menzionare in etichetta due varietà .Inserimento di tipologia Rosato e Spumante per i vini da uve a bacca rossa come e Syrah e della menzione tradizionale “Governo all’uso toscano” per il vino rosso da uve Sangiovese.

Inserimento della menzione riserva per il rosso con invecchiamento minimo di due anni di cu almeno sei mesi in botte e per il bianco se affinato almeno 12 mesi. Limitazione dell’imbottigliamento alla sola zona di produzione, come i cugini del Chianti, ma con la deroga per le aziende con diritto acquisito di proseguire fuori dalla zona autorizzata.

“Il Consorzio è nato due anni fa, tra l’altro, con l’obiettivo di tutelare e salvaguardare la DOC Maremma Toscana, intervenendo, se necessario, anche sulle regole che ne disciplinano la produzione. Siamo soddisfatti di aver concluso positivamente e in modo così celere la prima parte di questo percorso importante, che porterà la DOC ad un disciplinare di produzione più adeguato alle esigenze del mercato e del territorio”, ha dichiarato Edoardo Donato, Presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana.

Affinché le modifiche proposte diventino regole verrà presentata domanda al Ministero delle Politiche agricole e potenzialmente le nuove regole potrebbero essere applicate  dalla vendemmia 2017.

Il Consorzio vanta 349 aziende  per un totale di 4 milioni di bottiglie prodotte in provincia di Grosseto, nella zona compresa tra le pendici del Monte Amiata e la costa, fino all’isola del Giglio. 8.600 ettari  di cui, vendemmia 2015 ben 1.630 dedicati alla produzione della Denominazione Maremma Toscana Doc.

Produzione in costante crescita: i dati del 2016 fanno registrare nei primi sei mesi imbottigliamenti per 21.700 ettolitri pari al 70% del totale dei dodici mesi dell’anno precedente.

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Nuove linee guida per il Soave: riduzione delle rese e promozione estera

Arturo Stocchetti

Il consiglio di amministrazione del Consorzio del Soave, riunitosi in questi giorni, ha definito le prossime linee guida dell’ente consortile in ambito di gestione della doc, promozione estera, nuove regole di produzione.

In materia di gestione della doc, a tutela del valore oggi percepito della produzione, si prevede la riduzione delle rese per il Soave Doc da 150 a 120 quintali per ettaro e per il Soave Classico da 140 a 110 quintali per ettaro.

Una scelta forte, condivisa dalle aziende del Soave, in linea con il percorso iniziato nel 2009 che ha condotto ad un equilibrio produttivo e ad una gestione virtuosa di sfuso ed imbottigliato.

La misura, che verrà applicata già a partire dalla prossima vendemmia, prevede alcune deroghe per non penalizzare le aziende virtuose che operano lungo tutta la filiera produttiva dalla vigna alla bottiglia.

“Il Soave – evidenzia il presidente del Consorzio Arturo Stocchetti – consolida le posizioni in termini di volumi e valori ma il comprensorio ha una potenzialità produttiva che ha un costante bisogno di monitoraggio e di controllo ad ogni vendemmia. E’ dunque in momenti come questi che il sistema deve saper analizzare con tempestiva lucidità la situazione per porre in essere misure adeguate al mercato. Abbiamo scelto l’unico strumento applicabile nel nostro caso, peraltro già attivato dalle principali denominazioni italiane, per recuperare l’equilibrio tra produzione e mercato, a difesa del valore del prodotto”.

L’Osservatorio Economico del Consorzio ha segnalato che a giugno 2016 i trend di vendita si sono  allineati con gli andamenti dell’anno precedente. Spicca in cima alla lista il Soave Doc con una produzione al 30 giugno 2016 di 22.000.000 bottiglie seguito a ruota dal Soave Classico che si attesta sui 6.500.000 bottiglie, a fronte di un imbottigliato complessivo che si proietta sui 56.000.000 di bottiglie su base annua.

A supportare la bontà della scelta in materia di equilibrio produttivo arrivano i primi risultati delle campagne promozionali di Stati Uniti e Giappone, segno che il Soave di oggi, frutto di una lungimirante politica di gestione della denominazione, piace e convince.

Molto bene infatti nella piazza nipponica dove è attualmente in corso la campagna Soave by the Glass che prevede azioni mirate per operatori di settore assieme ad iniziative di carattere diretto per avvicinare i consumatori in oltre 300 locali tra Tokyo, Fukuoka ed Osaka.

Qui, nel primo trimestre 2016, sono triplicati i consumi di Soave rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (Fonte Istat). Positivo anche il sentiment negli Stati Uniti, dove il Soave registra un +7% nei consumi rispetto al primo semestre 2015.

A questo si aggiungono le forti attese da parte dei produttori per l’incoming di 14 selezionati buyer americani che arriveranno nel Soave la prossima settimana in cerca di nuove referenze da lanciare.

All’ordine del giorno anche le nuove regole produttive che condurranno ad una generale semplificazione della denominazione. Tra le novità più significative si prevede l’eliminazione della sottozona Colli Scaligeri ed una riqualificazione del Soave Superiore Docg.

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A Milano gli Champagne La Chapelle e José Michel di vinodalproduttore.it

Un paio di star, qualche buon attore. Diversi figuranti. La degustazione di Champagne delle maison La Chapelle e José Michel & Fils organizzata ieri pomeriggio da vinodalproduttore.it a Milano, negli spazi Multiverso di via Mecenate 77, regala al folto pubblico intervenuto due certezze assolute. A dominare la scena è Privilège Brut Cru La Chapelle, ottenuto dall’assemblaggio di un 40% di Pinot Meunier, un 35% di Pinot Noir e un 25% di Chardonnay. Una bollicina francese raffinata, di struttura. Elegante ed armonica. Naso di crosta di pane tostata e palato croccante. Ottima anche la persistenza delle note minerali e agrumate nel retro olfattivo. Una cuvée prodotta nel villaggio vinicolo di Ville Dommange, 1er Cru de la Coté Ouest, paesino di 500 anime del dipartimento della Marna, nella regione della Champagne Ardenne.

Servito dagli ottimi sommelier Fisar della delegazione di Milano Duomo anche Special Club 2007 di José Michel & Fils, l’altra bella sorpresa del pomeriggio meneghino. Una cuvée ugualmente spartita tra Pinot Meunier e Chardonnay spremuti da vigne vecchie di 70 anni, prodotto con la stessa etichetta da 28 produttori consorziati seguendo un rigorosissimo disciplinare, che prevede (tra l’altro) un periodo minimo d’affinamento di 3 anni prima della commercializzazione. Si tratta indubbiamente del prodotto di punta della maison di Moussy, altro paradiso della Champagne Ardenne. Naso intenso, elegante e fine che racconta sentori di frutta a polpa bianca, crosta di pane e fiori. Rispondente al palato, dove a dominare sono ancora le note delicate di frutta. Interessanti anche il Brut Gran Vintage 2007 e il Blanc de Blancs 2007 di José Michel & Fils, così come il Millesimé Brut 2008 (33,3% Meunier, 33% Pinot Noir, 33,7% Chardonnay) di La Chapele. Restano solamente ‘comparse’ i rosé proposti in degustazione: dal Nuance Brut di La Chapelle al 50% Pinot Noir e Meunier di Michel, nessuno convince appieno.

GLI ORGANIZZATORI
Soddisfatto dal successo dell’evento Guido Groppi, titolare del portale milanese di e-commerce del vino vinodalproduttore.it. “Quella che proponiamo – spiega – è una formula diversa da tutti gli altri. Dopo aver selezionato produttori di grande qualità, poniamo in vendita i loro vini e li promuoviamo anche grazie ad eventi come questo. Il vino viene consegnato al cliente direttamente dalla cantina del produttore, mediante il nostro servizio spedizioni che non fa altro che prelevare il pacco in cantina e consegnarlo all’indirizzo segnalato del cliente. Questo garantisce alcuni vantaggi: innanzitutto assicuriamo la qualità della conservazione. E inoltre il nostro assortimento è costituito sostanzialmente da quanto il produttore stesso ha in cantina, comprese le grandi annate e i grandi formati”.

Un’idea nata nel 2010, spiega Groppi, “quando mi sono messo a cercare chi vendeva il vino Montevetrano dei Colli di Salerno prodotto da mia suocera”. “Mi sono reso conto così che tutte le enoteche, comprese quelle online, compravano dai produttori, stoccavano e vendevano poi all’utente finale. Vinodalproduttore.it inverte semplicemente questa procedura: il vino resta in casa del produttore sino a quando il cliente non lo acquista tramite il nostro portale, eliminando così tutti i problemi dovuti allo stoccaggio da parte di terzi”. Il prezzo di vendita, a maggior ragione, è concordato preventivamente con il produttore. Un procedimento, dunque, che veste d’etica l’intera filiera. “All’inizio è stato difficilissimo – ammette Guido Groppi – perché la maggior parte dei produttori viveva con una certa diffidenza il mondo di Internet, anche per esperienze negative vissute con altre ‘enoteche online’. Poi un certo numero di produttori di livello ha iniziato a darci fiducia, rendendosi conto della coerenza della nostra proposta. In un mondo tutto sommato piccolo, come quello del vino di qualità, la nostra onestà, alla lunga, ha pagato”. Vinodalproduttore.it può contare su una squadra di dieci persone, a cui sono affidate le sorti (sul web) di 55 produttori ‘associati’.

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Cantine news

Cent’anni di basilico e vino: viaggio alla Anfossi di Albenga

Dormire “in cantina” e puntare la sveglia “ogni due-tre ore”, per controllare “il colore del rosato” ottenuto da uve Rossese. Che non dev’essere “né troppo rosso, né d’un rosso scialbo”. Problemi con cui solo un viticoltore ligure deve fare i conti. Problemi, per fare i nomi, di viticoltori di Liguria come Luigi Anfossi, trentacinque anni. Rappresentante della quarta generazione di una famiglia d’origine genovese – con influenze inglesi – che nel quartier generale di Bastia d’Albenga, Savona, produce basilico atto a divenire pesto destinato alla grande distribuzione italiana (Unilever). E vini (Vermentino, Pigato, Rossese Riviera Ligure di Ponente Doc e rosato) reperibili sugli scaffali di Esselunga e Carrefour. Un’impresa a conduzione famigliare che può annoverare tra i propri clienti la nota “John Frog”, nome col quale Luigi Anfossi ama chiamare la Giovanni Rana. Ma se è vero che il basilico rappresenta il core business dell’Azienda agraria Anfossi (10 gli ettari coltivati), degna di nota è anche la produzione di vini liguri, ottenuti grazie all’allevamento di 5 ettari di terreno vitato e dalle uve di alcuni conferitori della zona. Per una produzione annuale complessiva che si assesta sulle 70 mila bottiglie.

Un’azienda fondata nel 1919, che si appresta a spegnere entro breve le (prime) cento candeline. Una storia lunga un secolo che vede il suo momento chiave negli anni Ottanta, quando l’impresa agricola viene rilanciata sul mercato italiano ed europeo da Mario Anfossi con la collaborazione del socio piemontese Paolo Grossi. Al figlio Luigi il compito di occuparsi delle sorti del settore vitivinicolo. Diplomato in agraria dopo aver iniziato gli studi al Liceo Classico, Luigi sogna per la propria azienda e per il settore vitivinicolo ligure un futuro luminoso. “La Liguria ha grandissime potenzialità inespresse in questo settore – commenta Luigi Anfossi -. Potenzialità che potremmo alimentare innanzitutto iniziando a valorizzare a livello locale i nostri vini, ottenuti da vitigni autoctoni come il Pigato. Capisco che in un mondo globalizzato come il nostro sia corretto trovare anche in Liguria una selezione sterminata di Gewurztraminer. Ma se si puntasse di più sulla promozione dei vini locali, raccontandone la storia anche ai turisti nelle varie attività del lungomare, sono sicuro che ne trarrebbe grande beneficio tutta l’economia locale”. D’altronde “quanti liguri sanno come mai il Pigato si chiama così?”, chiede ironicamente Luigi Anfossi, alludendo alle “macchie” presenti sull’acino di questa straordinaria varietà autoctona della Liguria.

LA DEGUSTAZIONE
Il Pigato dell’Azienda agraria Anfossi, esprime tutta la ‘semplice complessità’ dei vini liguri. Di facile beva per i suoi richiami fruttati freschi, eppure tutto sommato ‘impegnativo’ per il suo corpo e la sua struttura, tutt’altro che banale. Morbido al palato, è capace di sorprendere con quella punta amara che risveglia i sensi, in un finale sapido che preclude un retrogusto amarognolo, stuzzicante, da sgranocchiare come le nocciole tostate. Un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo, insomma, da pescare tra le corsie degli store del marchio Caprotti a una cifra che si aggira solitamente attorno agli 8 euro. Non presente in Esselunga, ma comunque apprezzabilissimo, il Vermentino ligure di Anfossi. Meno impegnativo del Pigato, ancora più soave nei richiami fruttati, strizza l’occhio a un consumatore meno esigente di quello che preferisce il Pigato. Un Vermentino da regalarsi nelle giornate di sole, da abbinare a piatti di pesce o di carne bianca non troppo elaborati. Meno profumato, invece, il naso del rosato Paraxo 2015 Anfossi: classificato come vino da tavola, ottenuto come anticipato da uve Rossese rimaste a contatto con le bucce non oltre le 24 ore, soddisfa nell’abbinamento con piatti della tradizione come il coniglio alla ligure. Al palato sfodera infatti la buona struttura del Rossese e una complessità aromatica non banale (13% di alcol in volume). La degustazione si chiude con l’ottimo Rossese in purezza, l’unico vino rosso prodotto dall’Azienda agraria Anfossi di Bastia di Albenga. Uno di quei rossi non convenzionali, capaci di esprimere il meglio della terra di provenienza. Il Rossese Anfossi parla infatti – al naso – di resine di macchia mediterranea, in un concerto di piccoli frutti a bacca rossa. Corrispondente al palato, non manca un finale di buona persistenza. Un vino da assaporare sia con il pesce (provare per credere, per esempio con un piatto di tonno in crosta di pistacchio) sia con la carne (ben cotta). Il segreto dei vini Anfossi? Lo spiega Luigi. “Non possiamo contare su terreni in altura – commenta – ma abbiamo la fortuna di avere una grande vigna in prossimità del fiume Centa, qui ad Albenga. Viene così assicurata una buona escursione termica. In futuro mi piacerebbe comunque sperimentare qualcosa di nuovo, magari attraverso macerazioni prolungate delle uve per ottenere vini più longevi”. Segreti e progetti per il futuro di un viticoltore ligure pieno di idee. Una storia, quella di Anfossi, destinata a continuare a lungo.

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Birra news

“Luppoli di mare”: le eccellenze birrarie abruzzesi in riva al mare

Un cammino degustativo tra le birre artigianali abruzzesi. Il tutto in riva al mare di Montesilvano. Si chiama ‘Luppoli di Mare’ la nuova manifestazione, organizzata da Confesercenti, nell’ambito di FestEstiva, il cartellone eventi montesilvanese, in collaborazione con l’associazione Commercianti ‘Montesilvano nel Cuore’. Dopo le fortunate edizioni di ‘Cerasuolo a Mare’, Confesercenti propone alla citta’ un viaggio tra malto e luppoli alla scoperta delle birre regionali.15 stabilimenti balneari della citta’, dal 6 all’8 luglio, dalle 19:00 all’una si trasformeranno in punti di degustazione, dove sara’ possibile assaggiare e conoscere, con il supporto di un sommelier, circa 45 diverse tipologie di birra prodotte da 16 birrifici regionali. La manifestazione e’ stata presentata questa mattina da Paolo Cilli, assessore al Commercio, Gianni Taucci, direttore provinciale di Confesercenti ed Elio Di Giuseppe, presidente Fiba Confesercenti. «L’idea di ‘Luppoli di Mare’ prosegue l’iniziativa di ‘Cerasuolo a Mare’ che quest’anno giungera’ alla sua terza edizione – afferma il direttore di Confesercenti, Gianni Taucci -. Con queste manifestazioni spingiamo il pubblico a visitare il lungomare di Montesilvano, proponendo un viaggio nel gusto. In questo caso sara’ possibile conoscere da vicino i birrifici artigianali della regione. E’ quanto si legge in un comunicato diffuso, poco fa, dal servizio informazione e comunicazione del Comune di Montesilvano. La notizia, qui riportata secondo il testo completo del comunicato diffuso, e’ stata divulgata, alle ore 14, anche sulle pagine del portale web dell’ente, sul quale e’ stata rilanciata la notizia. Ogni azienda partecipante proporra’ al pubblico 3 tipologie di birre diverse. Ad esse verra’ affiancata una degustazione di prodotti tipici, preparata dagli stabilimenti e dai ristoranti aderenti. Siamo molto soddisfatti delle adesioni raccolte».

«Gli stabilimenti balneari di Montesilvano hanno compreso le opportunita’ che possono derivare da questo genere di manifestazioni – ha aggiunto l’assessore Paolo Cilli -. Con ‘Cerasuolo a Mare’, due anni fa, e’ iniziata una sperimentazione importante che ha coinvolto gli stabilimenti balneari nelle aperture serali e che si rinsalda ulteriormente con ‘Luppoli di Mare’. È fondamentale che tutti contribuiscano attivamente allo sviluppo economico e turistico della citta’, e queste iniziative sono un’occasione ideale». «Attraverso questi eventi – ha concluso Di Giuseppe – vogliamo connotare la riviera di Montesilvano come vetrina dei prodotti enogastronomici della nostra terra, valorizzando al tempo stesse le aziende produttrici e i luoghi del nostro lungomare che si mettono a disposizione per ospitare queste degustazioni». Acquistando, al costo di 5 euro, un kit comprensivo di una sacchetta porta bicchiere e del bicchiere da degustazione e di un buono di 5 euro presso la Conad Forum, sara’ possibile usufruire di una degustazione. Alla degustazione delle birre verra’ abbinato un menu’ preparato ad hoc dagli stabilimenti balneari, non incluso nel biglietto. Gli stabilimenti e i birrifici coinvolti:Stabilimento La Racchetta – Birrificio Deb’s; Stabilimento La Riviera – Birrificio Tocci Oppidum; Stabilimento La Rosa dei Venti – Birrificio Bertona; Stabilimento Bagni Padovani – Birrificio Mezzopasso; Ristorante Sapo’ – Birrificio Desmond; Stabilimento Pallino Beach – Birrificio Leardi; Stabilimento Onda Verde – Birrificio Alkibia; Stabilimento Hotel Sole – Birrificio Bibibir; Stabilimento Sabbia d’Oro – Birrificio Almond’22; Stabilimento Bagni Bruno – Birrificio Anbra; Stabilimento New Sporting – Birrificio Maiella; Stabilimento Settebello – Birrificio Delphin Beer; Stabilimento La Bussola – Birrificio Opperbacco; Stabilimento La Conchiglia Azzurra – Birrificio La Casa di Cura; Stabilimento Il Veliero – Birrificio Antica Birra degli Abruzzi e Birrificio Birra del Borgo.

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news news ed eventi

Gavettoni di vino per la consueta guerra di Haro

Una tradizione davvero unica nel suo genere e molto divertente quella che si è tenuta anche quest’anno in Spagna nella regione della Roja. Parliamo della famosa guerra di Haro, una vera e propria  battaglia del vino, all’ultimo goccio che ogni anno tinge la città di rosso rubino.

Festa ufficiale dal 1965, si tiene ogni 29 giugno ad Haro, in occasione di San Pedro, santo patrono della città, ma ha origini antichissime che risalgono ai tempi dei pellegrinaggi quando, dopo le cene, le feste, i canti e i balli ci si divertiva a farsi “gavettoni” con il vino rimasto imbevuto.

I soldati di Haro, per partecipare devono osservare un rigoroso dress code: abiti bianchi e foulard rossi. La festa comincia alle sette del mattino con il trasporto dei vini che saranno lanciati durante la battaglia fino al santuario.

Il cerimoniale quindi prevede  che il sindaco, una volta giunti sul punto più alto del monte, dopo aver issato la bandiera celebri la messa. Solo che il consueto “andate in pace”, non è poi così pacifico.

Èproprio alla fine della funzione religiosa che si scatena l’inferno. Tutti pronti a macchiarsi gli abiti fino all’ultimo litro di vino, ma sempre con spirito festoso e goliardico fino a notte inoltrata.

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news vini#1

Vino, enoteche in crescita nel primo trimestre 2016

“I dati dei primi tre mesi del 2016 ci parlano di un aumento complessivo delle vendite del 5,4% a volume e del 6,2% in valore, offrendoci un quadro complessivo ottimistico, in linea con il trend riscontrato negli ultimi due anni. Dati che ci fanno ben sperare rispetto alla tendenza al ribasso nei consumi fuori casa che ha caratterizzato il periodo 2008-2013. L’Osservatorio del Vino apre finalmente una finestra sui consumi in un settore complesso come l’Horeca”. Con queste parole Antonio Rallo, presidente dell’Osservatorio del Vino, commenta i dati sui consumi fuori casa, ovvero l’”On Trade” italiano (ristoranti, bar, enoteche, hotel, catering), del primo trimestre 2016, rilevati da Nomisma Wine Monitor (partner dell’Osservatorio del vino) su un campione di 23 grandi e medie aziende che rappresentano un fatturato complessivo pari a 2 miliardi di euro. Lo studio evidenzia che i vini spumanti trainano i consumi con un +9,5% in valore e un +6,8% in volume, seguiti dai bianchi fermi (+8,9% in valore e +5,7% in volume) e dai frizzanti (+6% in valore e + 23,5% in volume). I rossi crescono anche se di poco in valore (+1,7%) e calano in volume (-4,5%). Nei singoli punti vendita dell’On Trade, le vendite al dettaglio aumentano rispettivamente del 5,8% a valore e del 4,4% a volume. E sono hotel e catering a guidare con +10% a valore e +12,5% a volume, seguiti dai ristoranti (+7,3% valore e +10,8% volume), da wine bar (+3,8% valore e +2,5% volume) ed enoteche (+3% valore e -10% volume).

Le vendite all’ingrosso fanno rilevare un aumento del 7,3% a valore e del 7,6% a volume. Oltre ai consumi nel settore Horeca, l’Osservatorio del Vino grazie alla partnership con Ismea, monitora anche le vendite in Gdo. Nei primi cinque mesi 2016 l’analisi sulla base dei dati Nielsen, evidenzia volumi in calo del 2% e una sostanziale stabilità nei valori (+0,4% a 776 milioni di euro). Gli spumanti anche in questo caso sono il prodotto trainante, segnando vendite a +6% a volumi e a +7,3% a valore. I vini Dop crescono a valore (+2,4% a 310 milioni di euro) e calano lievemente a volume (-1%). I vini Igt fanno registrare -8% a volume e -4% a valore, per una spesa totale di 171 milioni di euro nei cinque mesi. “Siamo molto soddisfatti di questo primo anno di attività di ricerca e studio del settore ‘On Trade’ con l’Osservatorio del Vino  – conclude Antonio Rallo -. Le aziende associate hanno per la prima volta un quadro dettagliato ed aggiornato del mercato dell’Horeca, completato dai dati di sistema su tutto il comparto attraverso la partnership con Ismea, Crea e Bocconi. Ora, l’obiettivo è di incrementare la base delle aziende monitorate per rendere lo strumento ancora più preciso ed efficace, consentendo così all’imprenditore di basare le proprie scelte su dati certi e guadagnare in competitività”.

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Cantine news

Quatar Pass per Timurass: i migliori vini degustati tra i Colli Tortonesi

Slow Food Piemonte e Valle D’Aosta fa centro, un’altra volta. Si è conclusa con un successo la grande domenica tra le cantine della Doc Colli Tortonesi, lo scorso 19 giugno. Quatar Pass per Timurass, quarto appuntamento del ricco programma di Cantine a Nord Ovest, ha visto la partecipazione di 210 persone. E mentre la macchina organizzativa di Slow Food è già all’opera per il prossimo appuntamento (il 23 luglio per “Scopri il Canelli”, incentrato sull’Oro Giallo, il Moscato d’Asti) Leo Rieser, responsabile eventi della banda piemontese della chiocciola, gongola per il risultato raggiunto. “E’ stata l’edizione di Quatar Pass per Timurass di maggiore successo – evidenzia – pur essendo questo appuntamento uno dei meno storici dell’intero candelario. Abbiamo incontrato persone che erano già state qui nelle edizioni precedenti, a dimostrazione della grande attrattività di questo territorio, che oltre al Timorasso offre grandi vini rossi e specialità gastronomiche eccezionali, come il formaggio Montebore e il salame Nobile del Giarolo”. Un ‘microclima’ particolare, dunque, anche per i rapporti tra viticoltori. “La peculiarità dei Colli Tortonesi – sottolinea Rieser – è che l’esponente d’eccellenza Walter Massa ha saputo recuperare un vitigno autoctono come il Timorasso e creare, assieme ad altri grandi pionieri della zona, un sistema di sincera collaborazione tra viticoltori. Una collaborazione fattiva, tutt’altro che di facciata. Non so quanto sia sincera o puramente provocatoria la dichiarazione che nel 2018 smetterà di fare vino, a voi rilasciata. Quello che mi sento di dire – conclude l’esponente Slow Food – è che qualsiasi cosa farà, la saprà fare benissimo. Walter Massa è un grande, non hai mai sbagliato un colpo. Ma è anche l’uomo dei grandi annunci, dunque staremo a vedere”.

CLAUDIO MARIOTTO

Non è iniziato da Walter Massa il tour di vinialsupermercato.it tra le cantine dei Colli Tortonesi. Bensì da un altro grande riferimento della zona: Claudio Mariotto. Lo abbiamo raggiunto nella cantina di strada per Sarezzano 29, proprio a Tortona, dopo aver ritirato il nostro calice al banchetto Slow Food allestito presso “Il Dì Cafè” di corso Leoniero, angolo piazza Duomo. Grande ressa già alle 11 alla cantina di Mariotto. “Il Timorasso – dichiara il viticoltore – ha fatto sì che un territorio pressoché sconosciuto avesse visibilità. Oggi il Timorasso è a New York, Tokyo, Londra e in tutto il mondo. in vigna l’attività viene portata avanti nel rispetto dell’ambiente, senza entrare però nella partitocrazia del mondo del vino di oggi: mi riferisco alle bandierine del ‘biologico’ o del ‘vino etico’. Facendo vino buono, senza avere soldi per fare pubblicità, si diventa dei riferimenti: il marketing nel vino si fa con le bottiglie buone, bicchiere dopo bicchiere. In una parola, il mio vino è vero”. Oltre a uno splendido Derthona 2010, vino delizioso che promette ancora parecchi anni di evoluzione in bottiglia, degustiamo Pitasso 2004: ottenuto dalla vigna storica di Timorasso, esposta a sud est sul territorio di Vho, colpisce per la potenza espressa dalla struttura, ma anche per le note fruttate che esaltano una beva lenta e voluttuosa, in un sorso che pare di glicerina pura. Le radici profonde della vecchia vecchia pescano gli elementi nutritivi da un suolo che regala un’espressione fantastica di Timorasso, da provare. Ottimi anche i rossi di Mariotto. La Freisa 2014 Braghé è un esempio di quanto questo antico vitigno autoctono piemontese possa essere (anzi debba essere) ulteriormente valorizzato in Italia e nel mondo. Un naso elegante e fine di rosa e piccole bacche rosse, precede un palato in cui le note fruttate di marasca e lampone – chiare, distinte, pulite – chiudono un sorso di grande corpo e sapidità. Chiudono il cerchio i vini Barbera di Mariotto, vero trait d’union di un terroir capace di regalare grandi bianchi, ma anche eccellenti rossi. Non a caso Poggio del Rosso è il vino preferito del viticoltore tortonese, quello che considera la migliore espressione della sua intera produzione. E non solo per una questione di cuore, dal momento che “Il Rosso” è il soprannome col quale veniva chiamato il padre Oreste. Il Poggio del Rosso affina 3 anni in cantina, per la maggior parte in rovere. Risulta così un vino dal tannino morbido ma vivace, impreziosito da note di ciliegia e cioccolato. Sentori terziari di grande pregevolezza già percepibili al naso: dalla cannella al tabacco dolce, dal caffè alla liquirizia.

LA COLOMBERA

Non è dello stesso impatto “emotivo” la visita all’azienda Agricola Semino Piercarlo “La Colombera” di strada comunale per Vho, 7, a Vho per l’appunto. Degustiamo Derthona e Il Montino, entrambi ottenuti da uve Timorasso. Viene proposta una mini verticale che mette in luce le grandi capacità di invecchiamento del vitigno, anche se i prodotti de La Colombera paiono meno ‘pronti’ in gioventù rispetto ad altri degustati domenica 19 in zona Tortona. Le annate 2014 e 2013 suggeriscono di bere Cortese piuttosto che Timorasso, per trovare soddisfazioni immediate sia al naso sia al palato. Merita invece una menzione il Derthona 2009: caldo, complesso, finalmente corposo e strutturato. Capace di regalare i tipici idrocarburi e sentori minerali del vitigno. Lascia perplesso il prezzo di vendita della vendemmia 2009 Derthona: soli 9 euro, a dispetto degli 8 euro delle vendemmie ‘giovani’. In una zona vinicola capace di fare squadra come in poche altre in Italia, una tale disparità di prezzi tra le stesse annate di diversi produttori rischia di sconcertare il consumatore. E deviarlo verso la ricerca del prezzo, più che della qualità. Un punto, questo, su cui devono lavorare in concerto i produttori di Timorasso, pur nell’autonomia delle singole aziende vitivinicole. Alla Colombera apprezziamo anche il naso di Suciaja, rosso ottenuto da uve Nibiò, vitigno autoctono dei colli tortonesi, ‘parente’ del Dolcetto. Ottimo invece nel complesso Arché 2011, altro vino rosso de La Colombera, ottenuto questa volta da uve Croatina. Dopo un breve appassimento sulla pianta, i grappoli vengono raccolti e vinificati. Il vino matura 14 mesi in tonneaux, regalando un naso speziato (pepe) e di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato buona la struttura e il corpo: tannino piuttosto elegante e alcolicità sostenuta (14,5%) ma tutt’altro che fastidiosa, impreziosita da una sapidità non banale.

WALTER MASSA
Il filosofo del vino, il pioniere e marinaio che ha condotto Tortona a Hong Kong, passando per Londra, New York e Tokyo. Dire Timorasso senza citare Walter Massa è come parlare di calcio senza aver mai toccato un pallone. Lo raggiungiamo all’ora di pranzo nel suo quartier generale di piazza Capsoni 10, a Monleale. Quando arriviamo, Massa sta dicendo messa. E’ al centro di una lunga tavolata, affollata di ospiti che lo ascoltano come se stesse parlando il Messia. Perché Walter Massa è il verbo del Timorasso e il Timorasso è il verbo di Walter Massa. Per questo, chi non c’era, provi a portarsi a casa un Costa del Vento (dalla vendemmia 2014 in giù, finché il portafogli lo consente); o uno Sterpi 2013, un Timorasso che pare per certi versi Vermentino di Gallura. “Io prendo quello che la natura mi dà e cerco di portarlo in bottiglia”, dice Walter Massa mentre invita Pigi, la sua graziosa “badante”, a smettere di riempire i piatti di cassoeula e brodo con i ceci: “Sono qui per il vino, mica per mangiare!”. “Qui abbiamo l’acqua ligure, il vento piacentino, ma ci troviamo in Piemonte: siamo bastardi pieni”, scherza (ma non troppo) Massa, sollevando l’ilarità generale. E tra un sorriso e l’altro spuntano i vini rossi. E che rossi. Pertichetta 2010, 14,5%, ottenuto da uve Croatina, e soprattutto Bigolla 2001, 14,5% di Barbera granata, da definire con una sola parola: eccezionale.

OLTRETORRENTE
Dal mito alla new entry. Il passo è breve tra i Colli Tortonesi. Approdiamo così in via Cinque Martiri, a Paderna, dove Chiara Penati e Michele Conoscente, marito e moglie di 35 e 38 anni, sono espatriati da Milano per inseguire il loro sogno, dopo la laurea in Agronomia e diverse esperienze in aziende del settore. Tutto inizia nel 2010, con l’acquisto dell’attuale cantina su tre piani, un edificio storico nel centro del paese, parzialmente ristrutturato. Vengono condotte qui nei primi anni, per la vinificazione, le uve provenienti dal primo ettaro e mezzo di Oltretorrente, che prende il nome “da un romantico episodio di resistenza nell’omonimo quartiere di Parma – spiega Chiara – durante il ventennio fascista: alcuni abitanti, grazie a fantasiosi espedienti, fecero credere di essere armati fino ai denti, barricandosi in un palazzo e scacciando così le milizie. Un episodio che dimostra come, a volte, basta poco per fare le cose in grande e raggiungere grandi obiettivi”. In effetti la produzione di Oltretorrente è degna di nota. Oggi l’azienda può contare su un’altra struttura, sempre a Paderna, in grado di sostenere la lavorazione dei 3,5 ettari complessivi sin ora acquistati. “Si tratta di vigne vecchie – spiega Chiara – dai 20 anni ai 100 anni, con una media di 60”. Un aspetto fondamentale per comprendere la maturità di questa piccola ,e interessantissima realtà. In degustazione non troviamo (purtroppo) una grande varietà di prodotti. L’antipasto è il Cortese 2015, ottenuto dalla pressatura soffice delle uve intere, seguita da un affinamento di 8 mesi in acciaio sui propri lieviti, senza malolattica. Un’attenzione che offre un ottimo naso, fragrante, floreale e fruttato. Al palato vince invece lo spunto minerale, apprezzabilissimo. Sorprendente il Timorasso 2014, che regala note eleganti di fiori bianchi (camomilla). Al palato grande acidità e bel corpo, sorretto anche da una sapidità e da una mineralità che fanno presagire le grandi potenzialità del prodotto. Sulla via di una buona evoluzione anche il Timorasso 2013, l’unico in occasione di Quatar Pass a mostrare venature di uva passa e frutta candita. Buoni prodotti anche i due Barbera dei Colli Tortonesi, con quella Superiore (vendemmia 2012) che si eleva nettamente sulla prima per la grande pulizia delle note fruttate, sia al naso sia in bocca, impreziosite dalle spezie (liquirizia) e da un tannino levigato. “Accorpando vigne di anno in anno – annuncia Chiara – non siamo ancora riusciti a certificarci come produttori biologici, ma questo è il progetto per il futuro”.

POGGIO AZIENDA VINICOLA
Un capitolo a parte merita l’azienda vincola Poggio di Vignole Borbera, sempre in provincia di Alessandria ma all’estremo confine con la Liguria: per intenderci, siamo a pochi chilometri dall’outlet dell’abbigliamento di Serravalle Scrivia (buon motivo per combinare le due visite). Ci troviamo nella preziosa sottozona delle “Terre di Libarna”. Ezio e Mary Poggio, fratello e sorella, lui enologo, lei farmacista, rappresentano la terza generazione di una famiglia che vive nel mondo del vino da 50 anni, che da circa 15 anni ha iniziato a produrre in proprio, appoggiandosi anche su una filiera di piccole aziende agricole limitrofe, alcune delle quali condotte da giovani viticoltori. “Il Timorasso nasce qui come vitigno, in Val Borbera – sottolinea Mary – poi è stato portato nel Tortonese. A un certo punto scomparve per via delle malattie della vite e dello spopolamento delle valli, con gli abitanti della zona attirati dalle industrie, nelle grandi città come Genova, nel dopoguerra. Negli anni 90 Walter Massa ha avuto il merito di cominciare la riscoperta di questo autoctono. Noi siamo arrivati un po’ più tardi, nel 2002, avviando la produzione”. Nella Valle Borbera e nella limitrofa Valle Spinti, negli anni 40, c’erano 275 ettari di vigneto, tutti persi. Oggi in produzione ce ne sono una decina, tutti inseriti nella sottozona Terre di Libarna della Doc Colli Tortonesi. Quella della famiglia Poggio è stata una scommessa: “Abbiamo iniziato a impiantare Timorasso nella speranza che di lì a pochi anni fosse riconosciuta la Doc, altrimenti avremmo dovuto estirpare – sottolinea Mary -. Fortunatamente l’abbiamo ottenuta e abbiamo deciso di chiamare questa sottozona ‘Terre di Libarna’ in onore del sito archeologico di Libarna, che si trova a 4 Km da noi: un’antica cittadella romana, del II secolo avanti Cristo, che godeva di una fiorente viticoltura in Val Borbera e Spinti”.

I vigneti del Poggio si trovano tutti a un’altezza compresa tra i 450 ai 550 metri sul livello del mare. Le viti, come nel Tortonese, affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo. Ma le grandi escursioni termiche permettono di produrre un Timorasso da degustare a tutti i costi. Diverso da quello di Tortona e Vho: un Timorasso dall’acidità ancora più spiccata. Con una gradazione alcolica inferiore anche di due gradi rispetto alla media tortonese, che si aggira sui 14 – 14,5%, compensata però da una balsamicità magicamente avvolgente. I risultati ottenuti dal Poggio dalla prima vendemmia del 2008, fa pensare ai coraggiosi Ezio e Mary che avrebbero potuto produrre con successo anche una versione spumantizzata. Ed è così che nel 2010 nasce Lusarein, ottenuto in purezza da uve Timorasso, raccolte precocemente, ottenendo una “base” da 11,5 gradi. Uno charmat d’autoclave lunga (6 mesi), imbottigliato a 12,5 gradi. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, Lusarein sfodera una spuma leggera con perlage fine e persistente. Al naso note minerali e agrumate. In bocca una sapidità piuttosto spiccata, cui fa eco un’acidità notevole: caratteristiche che invitano al sorso successivo, che si chiude con un retrogusto amarognolo. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato a primi e secondi di pesce, ma anche alle carni bianche. Di Lusarein 2014 sono state prodotte 4 mila bottiglie. Ottimi, del Poggio, anche L’Archetipo e il Caespes, ottenuti sempre da uve Timorasso 100%. Caespes è il base, di cui degustiamo l’annata 2014, già pronta a sorprendere per la grande acidità che regala una beva facile, ma tutt’altro che banale. Si sale ulteriormente di livello con L’Archetipo 2013, dalla notevole vena balsamica, che diventa ancora più profonda e fresca nella vendemmia 2011, davvero degna di nota. Tutti vini ottenuti da rese per ettaro basse, sotto i 50 quintali. Un numero che, per la vendemmia 2015, è sceso addirittura a 35 quintali. Diciottomila le bottiglie prodotte complessivamente dal Poggio, tutte all’insegna di una grande qualità.

AZIENDA AGRICOLA RICCI
Di grande pregio anche la produzione dell’azienda Azienda Agricola Ricci, situata in via Montale Celli 9, Costa Vescovato. Una realtà alla quale ci siamo avvicinati in occasione del Vinitaly 2015. Carlo Daniele Ricci, il titolare, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso senza pari. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacio. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora le tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere puro, tanto risulta morbido e rotondo il nettare, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità tra produttori. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Quale immagine migliore per la Doc Colli Tortonesi?

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Brexit e Ue: nel mondo del vino c’è chi se ne frega

God save the wiine (doppia “i” voluta, adesso indovinate la pronuncia). E poi chi se ne frega della regina Elisabetta. Men che meno dei suoi sudditi, divisi tra leave o remain. Il vino unisce tutto. E tutti. Chiedetelo a Luisa Todini.

Presentazioni di rito lunghe come la Bibbia. Piene di contraddizioni a cui solo la fede (per l’anti politica) può dare una spiegazione. Logica, s’intende.

Dal 1994 al 1999 in Forza Italia come eurodeputata, viene proposta da Renzi come presidente di Poste Italiane nel 2014, pur essendo in quota Lega.

Ricopre nel contempo, dal 2012, l’incarico di consigliera nel CdA Rai, dal quale si dimette il 19 novembre 2014. Non prima d’aver votato contro il ricorso al decreto Irpef presentato dal governo italiano (presieduto da Renzi) nel mese di aprile: un ricorso che prevedeva il prelievo forzoso dalle casse dell’azienda televisiva per circa 150 milioni. Chapeau.

Ma è della Todini imprenditrice del vino che c’importa, in fondo. O no? A proposito, ultimo capitolo del curriculum: Luisa Todini è anche la titolare di Cantina Todini, che il 23 giugno ha annunciato a Londra la propria intenzione di “continuare a investire e a scommettere sul mercato britannico”.

DENTRO O FUORI
“Continuiamo comunque a investire in un luogo dove abbiamo sempre investito – dichiarava la Todini a un giorno del voto – e continuiamo a farlo anche ora. La mia speranza è che non ci sia la Brexit. Che tutti gli inglesi capiscano”. Secondo la Todini, il Regno Unito “continuerà a essere una piazza fondamentale per il made in Italy, anche con Brexit.

Io sono qui per raccontare un pezzo di territorio italiano, l’Umbria, e nello specifico Todi, presentando vini d’eccellenza a base di Sangiovese e Grechetto”. Grande risalto per queste dichiarazioni sui media italiani.

Così come grande risonanza è stata data dalla stampa italiana alla presentazione dei vini Todini in occasione di due eventi organizzati ad hoc: uno a Bianco43, ristorante al 43 di Greenwich Church street, Londra; l’altro al Novikov nel Mayfair, esclusivo distretto londinese. Presenti, tra gli altri, l’ambasciatore italiano Pasquale Terracciano e lo chef Giorgio Locatelli. Entrambi i ristoranti hanno i vini Todini in wine list.

“Per noi – evidenzia Luisa Todini al Sole 24 Ore – questo è un grande punto di arrivo, ma vuole essere anche un punto di partenza. Il mercato britannico ha riservato una calorosa accoglienza ai nostri vini Todini: nel giro di un anno, dopo il debutto nel 2015, i vini sono presenti in oltre 25 ristoranti su tutto il territorio, con una vendita di oltre 8 mila bottiglie prodotte da uve autoctone. L’intenzione ora è di ampliare la presenza a un numero ancora più grande di ristoranti e anche di arrivare sugli scaffali di una selezionata grande distribuzione. Le trattative sono già in corso”. Good save the (Todini) wiine.

IL BORDEAUX SALE, I BUYER GONGOLANO
Forse più preoccupazione regna in Francia. Secondo gli analisti economici del Regno Unito, il mercato del vino pregiato nel Regno Unito potrebbe registrare un arresto.

Brexit rende di fatto più costoso il vino dei Paesi Ue per gli acquirenti muniti di sterline. In un momento in cui il settore del vino mostrava segni di ripresa, la prima prima vittima del voto Brexit potrebbe essere la campagna francese per l’anteprima del Bordeaux 2015.

“L’incremento dei prezzi del Bordeaux era già stato paventato nelle scorse settimane, prima del referendum – evidenzia Justin Gibbs a Liv-ex, piattaforma di trading di vini con sede a Londra – ma con una sterlina debole possiamo aspettarci un ulteriore incremento del prezzo di oltre il 10%”.

Liv-ex segnala al contempo un boom di ordini di vino durante la scorsa notte. Un boom proveniente prevalentemente da Hong Kong, ma anche degli Stati Uniti. Semplice la spiegazione. I buyer di questi mercati pensano di poter contrattare con il Regno Unito prezzi d’affare per il vino nelle prossime settimane, se la sterlina rimane debole.

“Gli acquirenti muniti di dollaro – evidenzia Gibbs – potrebbero utilizzare questo come un’opportunità per accumulare vini”. L’analista ritiene comunque che “il mercato del vino pregiato è relativamente resistente agli shock rispetto ad altri settori. Le papille gustative dei clienti non sono cambiate durante la notte”.

Will Hargrove, imprenditore del settore del vino nel Regno Unito, sottolinea  che “ci vorrà tempo per conoscere le conseguenze di Brexit”. “Chiaramente – prosegue – l’incertezza nei mercati finanziari non giova a nessuno. Sento dire che in autunno sapremo veramente quali sono gli effetti dell’uscita dall’Unione europea. Ma nel frattempo l’anteprima Bordeaux è in gran parte diventata un esercizio di intermediazione”.

Secondo l’imprenditore inglese, il settore del vino britannico “voleva rimanere nell’Ue. Ma il popolo britannico si è espresso in altro modo, decretando l’apertura di un nuovo capitolo della nostra storia. Lavoreremo per aiutare il governo a preservare il nostro accesso al mercato unico, sostenendo le esportazioni e trattando per ottenere i migliori accordi di libero scambio internazionale”.

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Schiuma sospetta in un ruscello svizzero: era birra

Nonostante la fama di “precisini” non ci hanno pensato due volte, alcuni Svizzeri, a conclusione di un festival musicale, a sversare nel ruscello di Dürnten, nell’Oberland zurighese, ben mille litri di birra. Una “leggerezza” che ha provocato un letterale fiume di birra. Chiamati sul posto per verificare l’origine della schiuma, arginata poi mediante barriere galleggianti, i pompieri sono risaliti alla dinamica e ai colpevoli dello sversamento. Nessun danno per la flora e la fauna, ma i responsabili saranno comunque chiamati a rispondere di inquinamento acquifero. Da un punto di vista, certamente meglio la birra piuttosto che sostanze chimicamente pericolose, ma rimane l’arcano. Perché tutta questa birra sprecata? Forse un tentativo maldestro di realizzare il sogno dei beerlovers di aprire il rubinetto e vedere scorrere birra?

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“La nomenclatura danneggia Puglia e Sicilia”: Stefanò chiede un tavolo tecnico

“Dall’importante lavoro svolto da Ismea e di Wine Monitor – Nomisma, sull’export vinicolo delle regioni italiane, emerge quella che a mio avviso è un’evidente ingiustizia, tutta a scapito del Sud e soprattutto a svantaggio di regioni come la Puglia o la Sicilia. I codici di nomenclatura possono aiutare a ‘tracciare’ gli scambi e ricostruire dati più aderenti al vero”.
Lo ha dichiarato ieri, in occasione della conferenza stampa convocata per le 11:30 nella Sala Nassirya di Palazzo Madama, il senatore Dario Stefàno (Sel) a proposito del calcolo dei dati export del vino, attraverso cui si evidenzia una mancata corrispondenza tra il luogo di origine del prodotto e la località di sdoganamento.
“Non mettiamo in discussione il prezioso e puntuale lavoro di Ismea – precisa Stefàno – puntiamo invece i riflettori su quella che appare come una ‘pigrizia burocratica’ che va a pregiudicare le performance di alcune ragioni tra le quali la Puglia”.
“Basta osservare – ha proseguito Stefanò – dal punto di vista statistico, l’incremento della propensione all’export della regione dove avviene lo sdoganamento, a scapito appunto di quella di origine. È il caso palese di regioni come il Piemonte e il Trentino, dove tale propensione è a 3 cifre percentuali (rispettivamente 141% e 173%).
“Quindi – continua Stefàno – se è logico che una regione non possa esportare più del 100% di quanto produce, come opportunamente segnalato nello stesso report di Ismea, tuttavia da questa percentuale ‘dopata’ scaturiscono e si determinano ricadute penalizzanti e pesanti per interi territori”.
Una su tutte, la ripartizione dei fondi Ocm vino che costruisce le sue determinazioni avvalendosi anche dei dati Istat (come quelli in questione) fino ad arrivare a possibili interessi di appeal commerciali o per investimenti che i privati potrebbero realizzare e che le attuali evidenze statistiche, per alcuni casi, potrebbero addirittura scoraggiare”.
“Per sanare questa distorsione della lente statistica – aggiunge Stefàno – intendo proporre la convocazione di un tavolo tecnico presso il Mipaaf, coadiuvato da Ismea, Agenzia delle Dogane e Istat affinché vengano redatti, per le regioni mancanti, i codici di nomenclatura combinata mediante i quali sarà possibile ricostruire il vero dato circa la propensione all’export delle regioni nonché contribuire a migliorare il sistema di informazioni su tali scambi”. “Un’iniziativa – conclude Stefàno – che ribadisce la centralità e l’importanza dell’origine dei prodotti, sulla quale l’Italia non può permettersi alcun tentennamento”.
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Alassio e i dieci Champagne da bere almeno una volta nella vita

Milleottocento bottiglie per cinquecento partecipanti, tra semplici amanti delle nobili “bollicine” francesi ed esperti del settore.  Un successo senza pari quello di “Un mare di Champagne”, l’evento che lunedì 20 giugno ha reso Alassio capitale del Pinot Noir, dello Chardonnay e del Pinot Meunier. Numeri da capogiro se confrontati con l’edizione precedente, che aveva fatto registrare il “botto” di mille bottiglie per 350 persone, nella splendida cornice del Grand Hotel Alassio & Spa di via Gramsci 2/4. E se gli organizzatori del Consorzio Macramé sorridono, non sono da meno i partner gastronomici di Selecta Spa, con i banchetti del gusto presi letteralmente d’assalto dai presenti, per accaparrarsi un’ostrica o una fetta di culatello. Delizioso anche l’olio e le olive a marchio Novaro (Olio Novaro 1860, Imperia), offerto in assaggio dal sales director Enrico Novaro. Come impareggiabili sono risultate le creme di Maison della Nocciola (Settimo Torinese, Torino), con cui la general manager Giovanna Galletti ha ammaliato gli astanti. Ma il vero protagonista dell’evento è stato, ovviamente, lo Champagne. Di seguito le nostre migliori degustazioni. Si tratta di bottiglie non reperibili nella grande distribuzione organizzata, acquistabili nelle migliori enoteche e reperibili nei grandi ristoranti.

IL PODIO
Sul gradino più alto del podio finiscono due piccoli produttori: Ulysse Collin e Frank Pascal. Splendido Les Roises Extra Brut di Ulysse Collin – un Blanc del Blanc Extra Brut che può vantare un breve periodo di fermentazione in legno, ottenuto da vigne di 60 anni, un cru meraviglioso sia al naso sia al palato – e memorabile il Quintessence Extra Brut 2005 di Frank Pascal – 60% Pinot Nero, 25% Meunier, 15% Chardonnay biologico, con 4g/litro di residuo zuccherino – che avvolge il naso con richiami di miele d’acacia, una golosità che ritroviamo anche al palato, sinuoso e perfetto nel corpo, dove il Noir si fa sentire eccome.

Altro pari merito, al secondo posto, per due produttori di Champagne tra loro molto diversi: Duval – Leroy, distribuito dalla Compagnia dei Caraibi Srl (To) e rappresentati ad Alassio da Marco Galasso, e Lanson, gruppo Duca di Salaparuta Spa, maison di Reims raccontata dal wine ambassador Andrea Pellegrini. Il Rosè Prestige Brut Premier Cru, ottenuto da un 90% di Pinot Noir e un 10% di Chardonnay della Cote des Blancs è un gioiellino: d’un rosa salmone brillante, regala al naso note intense di ciliegia, fragoline di bosco e fico, impreziosite da un pizzico austero di zenzero. Un rosè di grande eleganza anche al palato, dove le note fruttate del Pinot Noir giocano con un perlage soffice come le nuvole. Lascia il segno, come una bella donna, anche Femme de Champagne Millésime 2002 Brut di Duval – Leroy, il 100% Pinot Nero Grand Cru che costituisce l’eredità del patron della maison alla moglie Carol, che ora conduce assieme ai figli Julien, Charles e Louis il tesoro di una “famiglia indipendente”, come recita il claim aziendale, dal 1859. Da una piccola maison, lady Carol ha trasformato in pochi anni la Duval – Leroy in un colosso fondato proprio su questo rosè unico. Sino ad arrivare a produrre qualcosa come 6 milioni di bottiglie, grazie ai 200 ettari di vigne e all’uva selezionata scrupolosamente da selezionati terzisti.

L’ottimo Andrea Pellegrini presenta invece la vasta gamma di Champagne Lanson, che apprezziamo particolarmente per l’anticonformismo (è proprio il caso di dirlo) nel dosaggio a 4 grammi litro per la maggior parte della produzione. Segnaliamo dunque l’Extra Age Brut Lanson, blend composto per il 40% da Chardonnay e per il 60% da Pinot Noir. Le uve provengono esclusivamente da vigneti selezionati “Grand Cru” e “Premier Cru” e costituiscono il matrimonio di tre eccezionali annate come la 2002, la 2004 e la 2005. Cinque anni (minimo) di affinamento per regalare all’esame visivo un giallo paglierino intenso e un perlage molto fine. Pan speziato e miele la fanno da padrona all’olfatto, assieme a note fruttate di pesca e frutta secca. Mentre in bocca lascia il segno una struttura sostenuta da una bella acidità, con le note fruttate a fare da contorno. Da bere almeno una volta nella vita anche il Gold Label Vintage 2005 Lanson, ottenuto in prevalenza da Pinot Nero, con un’aggiunta di Chardonnay che, per il millesimo in questione, si assesta attorno al 45%. Uno champagne prodotto esclusivamente nelle annate migliori, che prevede un affinamento minimo di 5 anni in seguito alla pigiatura delle uve provenienti dai cru Cramant e Le Mesnil-Sur-Oger (Chardonnay) e Ay, Louvois, Verzenay e Verzy per il Pinot Noir. Anche se il calice della degustazione non esalta il perlage, le “catenelle” sono presenti, persistenti e fini. Ancora note “grasse” al naso prima e al palato poi, con il miele d’acacia e la frutta candita. Pienezza straordinaria al palato, per uno Champagne di gran classe.

Come non citare, sul podio, Perrier-Jouet col suo Belle Epoque 2007: terzo posto nella nostra speciale classifica. Champagne e maison che non hanno bisogno di presentazioni, con la distribuzione italiana affidata alla Marchesi Antinori Spa di Firenze, rappresentata alla grande ad Alassio dall’istrionico direttore commerciale Leo Damiani. Otto grammi litro il dosaggio del Grand Brut, così come per il Blason Rosé Perrier-Jouet. Bottiglie “piacione”, che citiamo solo per dovere di cronaca e che non facciamo rientrare nella classifica delle migliori degustate. Produzioni, queste, nate per ammaliare un pubblico vasto. Volutamente “così”. E, come tali, in grado di strizzare l’occhio a un gentil sesso non necessariamente esperto del settore. Il Grand Brut (40% Chardonnay, 40% Meunier, 20% Pinot Noir) è uno degli Champagne più rotondi reperibili sul mercato, e non solo al “Mare” di Macramè. Una “bollicina” ottenuta da un 70-80% di vini di vendemmia, cui va a sommarsi un 20-30% di vini di riserva. “La sua forza è la costanza nel tempo, nello stile, difficile da conseguire di anno in anno – ammette Leo Damiani -. Il Grand Brut è lo stereotipo dello Champagne”. Persistenza e semplicità, da gettare distrattamente in un flute. Blason Rosé è la declinazione in rosa di quanto appena descritto. Una trama più complessa al palato, che si gioca tutto sull’acidità e sulle note agrumate. Un quadro piacevole e, nuovamente, rotondo.

LE ALTRE DEGUSTAZIONI
Quarto posto per il Brut Grand Cru Blanc de Blancs di Encry, distribuito in Italia da Proposta Vini di Pergine Valsugana, Trento. Ennesimo dosaggio a 4 grammi litro che apprezziamo sin da subito per la luminosità del giallo paglierino che colora il calice, ravvivato da un perlage fine. Buona complessità al naso, con note di zucchero filato a incoronare fiori bianchi e mandorla. In bocca buona struttura e piacevolissima sapidità: per gli amanti del “genere” sapido, uno Champagne da provare a tutti i costi. Ottenuto in acciaio, con 40 mesi di affinamento. Segnaliamo anche lo Zero Dosage Grand Cru Blanc de Blancs Encry e il Grand Rosé Prestige Encry.

Quinto Champagne che suggeriamo è il Brut Nature Cuvée Perle de Ayala 2005. Splendido blend composto all’80% da Chardonnay e al 20% da Pinot Nero, 96 mesi sui lieviti, si presenta di un giallo dai riflessi dorati. Al naso spiccano chiare le note di nocciola, biscotti e miele. Tutte note che ritroviamo anche al palato, dove una soffusa speziatura di zenzero rende il sorso successivo una necessità. Di grande freschezza e Nerbo anche il Brut Majeur Ayala, ottenuto da Pinot Noir 40%, Chardonnay 40% e Pinot Meunier 20%. Uno Champagne da gustare a tutto pasto, ottenuto dalla cuveée composta per l’85% da uve della vendemmia 2006, cui vengono addizionati vini di riserva da Chardonnay e Pinot Noir.

Jean-Christophe Gremillet, cellar master dell’omonima maison di Balnot sur Laignes, lo definisce “la migliore espressione del terroir di proprietà, combinato all’esperienza maturata della casa produttrice”. Una definizione che non possiamo che sottoscrivere, quella riservata al Blanc de Noirs Brut Gremillet, un 100% Pinot Nero dalla grande persistenza e pulizia degli aromi: è il sesto della nostra classifica di Champagne degustati ad Alassio. Premiatissimo a livello internazionale, questo Champagne è adatto a chi ama ritrovare anche tra il perlage le note speziate, decise e robuste del pepe. Una bottiglia inconfondibile, anzi: riconoscibile tra un milione. Che invita i più audaci a giocare anche in cucina, con abbinamenti tutti da scoprire.

Per gli amanti del “dosaggio zero”, ecco il settimo Champagne: è il Brut Nature – Dosage Zéro di Ar Lenoble, distribuito da Champagne Ar Lenoble Italia. Una potenza inconsueta per questo blend di Pinot Nero e Pinot Menunier (35%), che mostra la rotondità del secondo solo dopo aver scattato la fotografia dei muscoli del primo. Un bel mix di potenza e grazia quello della maison di Rue Paul Douce, Damery, prodotto al 100% dalle vigne di proprietà di Antoine e Anne Malassagne, fratello e sorella che danno corso con passione a una tradizione famigliare che risale al 1920. Il Brut Nature – Dosage Zéro Ar Lenoble è ottenuto grazie a una pozione così composta: 30% da Chardonnay del Grand Cru di Chouilly, 35% di Pinot Nero dal Premier Cru di Bisseuil, 35% di Pinot Menunier di Damery (Valle della Marna). La base è costituita da vini della vendemmia 2010, più un 22% di vini di riserva. Ar Lenoble è un’azienda attenta all’ambiente, certificata in Francia con il riconoscimento dell’Haute Valeur Environnementale, conseguito nel 2012. Un’attenzione che viene ripagata da un calice di estrema schiettezza e pulizia.

Ultimi tre posti della nostra speciale classifica degli Champagne da provare almeno una volta nella vita, occupati da due maison distribuite da aziende del sudovest Milanese. La maison al settimo posto è Steinbruck (Steinbruck Italia Srl, Pieve Emanuele – Mi) con la sua Cuvée Blanc de Noir che abbraccia tutte le zone della Cote des Blancs: morbido, invita al sorso, anche grazie a un perlage croccante. Profumi intriganti di frutta esotica che rischiano di disorientare, ma nel complesso un ottimo prodotto. La famiglia Steibruck, proprietaria di alberghi in Costa Azzurra, seleziona dal 1880 Champagne da proporre alla propria clientela. Un’attività ripresa oggi da Marque Auxiliare (Acheter). Sempre di Steinbruck il nono classificato, la Cuvée Brut Blanc de Noir: uno Champagne dal bel giallo paglierino, ottenuta al 100% da Pinot Nero dei Cru Montagne de Reims (Bouzy ed Ay), Vallée de la Marne e Aube (Cote de Bar). Tre anni sui lieviti per le uve 100% uve Pinot Noir provenienti dalla Montagne de Reims (Bouzy ed Ay) e per un’altra parte dei Pinot Noir della Aube. Ottanta i vini che compongono questa interessantissima cuvée, tra i quali circa un 20% di vino di riserva. Gran corpo e struttura per questo Champagne: un altro che può regalare soddisfazioni in cucina, anche con gli abbinamenti più azzardati.

E’ Deutz, col suo Brut Classic, a chiudere la classifica delle maison di “Un Mare di Champagne”. Una bottiglia che è ormai diventata un classico, anche se divide il pubblico di appassionati ed esperti. Non la pensano così i distributori di Corsico (MI), che la definiscono “il base che nessuno sa fare”. Di certo si tratta di uno Champagne lungo, dall’acidità importante, invidiabile. Da provare, insomma. Il Brut Classic Deutz è ottenuto dalla somma dei 33% di Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay, che registrano l’aggiunta di una percentuale variabile tra il 20 e il 40% di vini di riserva. L’acidità molto alta equilibra bene gli 8 grammi litro di residuo zuccherino, che in altri Champagne degustati ha compromesso il giudizio finale.

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Timorasso, Walter Massa shock: “Nel 2018 smetto di fare vino”

Si scrive “Walter Massa”, si legge “Timorasso”. Anzi: oggi, più che mai, “Derthona”. Ma cosa succederebbe se il re del vino dei Colli Tortonesi decidesse di gettare la spugna?

La notizia shock in esclusiva al microfono di vinialsupermercato.it: “Non ci sto più dentro e nel 2018 cambio lavoro. Faccio ancora due vendemmie. Poi la mia azienda andrà avanti coi miei nipoti o con qualcun altro. Ma non vi dico che lavoro farò! Dico solo che devo prendere tanti voti per cambiare lavoro”.

Fermi tutti. Seduti. Un sorso d’acqua. Fatto? Bene. Flashback. Sulla terrazza di piazza Casponi 10, a Monleale, quartier generale alessandrino del vignaiolo che ha avuto il merito di rilanciare il Timorasso in Piemonte e nel mondo, sono da poco passate le 17.30 di domenica 19 giugno.

Un pubblico di appassionati di vino affolla la casa del guru in occasione di Quatar Pass per Timurass, la (riuscitissima) quarta tappa del tour organizzato da Slow Food Piemonte – Cantine a Nord Ovest. Strappiamo letteralmente Massa dalla ressa. E ci facciamo concedere un’intervista. Parliamo del rapporto tra vino e grande distribuzione. Un argomento su cui il re dei Colli Tortonesi mostra un’inaspettata apertura.

“Il mio è un progetto ambizioso e quindi cerco di stare sui canoni, come li definiscono quelli che hanno studiato, dell’horeca. Però il vino è un prodotto per il quotidiano, da sempre. E quindi va messo alla portata di tutti: va distribuito in maniera diligente e rispettosa. Ci sono dei supermercati che hanno fatto investimenti diligenti sul vino e io li rispetto tantissimo. Poi, finché riesco e se riesco, cerco di starne fuori. Ma apprezzo davvero chi ha fatto grandi sforzi per rendere alla portata di tutti i vini agricoli e i vini di qualità”.

“Siamo tutti uguali, la carne è debole. Quando vendi, quando tiri, quando sei di moda – ammette Massa – fai il fenomeno e magari ti permetti di dare il vino solo a chi te lo paga anticipato, alle grandi enoteche, ai ristoranti stellati. Poi, appena comincia a mancarti qualcosa o a entrarti in società qualcuno che preme per il fatturato e per il business, paventando la possibilità che l’azienda possa altrimenti chiudere, ti fermi un attimo e ti rendi conto che forse bisogna dire basta alla filosofia. E di filosofi siamo tanti, nel vino, in Italia”.

“Il vino – prosegue Walter Massa – deve essere sempre il seguito di un pensiero. Un pensiero che va sostenuto. Questo si ottiene solo con delle scelte e io ho fatto le mie: cerco di differenziare i prodotti, di tenerli sotto controllo… Poi sarà sempre la legge della domanda e dell’offerta, la legge degli uomini, la legge della fortuna a prevalere su tutto. Io penso di essere più che la mia fortuna, la fortuna di un territorio. Qui ho trovato tanti colleghi con cui ho un bel feeling e con cui sto cercando di recuperare un gap storico. A Savona, dieci anni fa, pensavano che a Tortona neppure si facesse il vino. Oggi, che si fa il vino a Tortona, lo sanno i salotti buoni che ci sono a Hong Kong, piuttosto che a Tokio, piuttosto che a New York o nel nord Europa”.

LA SVOLTA
Proprio per questo, secondo Massa, è arrivato il momento di svoltare. Di cambiare prospettiva. “Adesso – evidenzia – dobbiamo anche pensare a un Timorasso, anzi meglio a un Derthona, per tutti. Io ho fatto il Petit Derthona copiando dal Petit Chablis, perché voglio difendere al massimo il Timorasso”.

“Non voglio che il Timorasso sfuso sia alla mercé di gente che col vino centra come io centro con gli aeroplani. Come? Imbottigliandolo io, fino all’ultima goccia. Pensate che un Lugana sfuso vale 4,50 euro al litro, quando una Barbera del mio vicino di casa un euro al litro: questa è pazzia, è una cosa vergognosa. Non per il Lugana, ma per il Barbera”.

“Il Gavi sfuso – sottolinea Massa – vale 3 euro al litro! E io non voglio che il Derthona sfuso esista! Perché noi del Derthona siamo tutte aziende con un know how  in cantina per imbottigliare il vino e vogliamo far sì che, se il Derthona a casa mia esce a 10 euro, il Petit Derthona esca dalla mia cantina a 6 euro. E il consumatore, sugli scaffali, trovi il Petit a 7-8 euro, e il Derthona a 15-16 euro”.

Un’apertura alla Gdo? “Non nel mio caso – precisa Massa – perché il Petit Derthona è l’ultimo prodotto a cui io penso. Quando ho fatto tutte le selezioni per i cru e per il Derthona, quello che avanza diventa Petit Derthona. Lo dichiaro al mio distributore e mi auguro che lo gestisca come tale. Dobbiamo smetterla di fare i commercianti falsi, noi del vino”.

“Se finisco il mio vino e lo vado a comprare dal mio vicino – aggiunge Massa – finisce la filosofia, la poesia del vignaiolo indipendente. Il vignaiolo è indipendente quando può mandare tutti a cagare e andare al mare, la terza domenica di giugno. Non star qui a mendicare o a dare a retta a tutti. Lo faccio volentieri, ma il vignaoiolo indipendente è tale quando dice che va nella vigna e ci va davvero! Io vado in cantina, vado in vigna, vado in giro a raccontare fiabe ma, soprattutto, sono sempre in prima linea come uomo. La cosa è semplice: o siamo contadini, o siamo commercianti. Questo è quello che detesto del pianeta vino in Italia. La mia partita è fare il versus: versus Borgogna, versus Reno, versus Sancerre, versus Verdicchio, versus San Gimignano, versus Collio, versus Gavi. Io voglio che il Derthona entri nell’olimpo dei grandi bianchi del mondo”.

IN VINO POLITICA
Massa ha voglia di parlare e ci incalza con risposte sempre più piccate. Risposte che fanno solo lontanamente presagire un finale shock. “Come fondatore della Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti, ndr) – continua il re dei Colli Tortonesi – assieme ad altri 300 grandi uomini italiani, alcuni grandi vignaioli e alcuni grandi del vino, ho dovuto fare esattamente come De Gasperi e Togliatti: per tenerci lontana la Russia abbiamo dovuto parlarci e inventare una Democrazia Cristiana che avesse dentro tutti. Dai latifondisti agli operai, dai cattolici ai partigiani. Dagli ex partigiani, ai fumatori e agli astemi! Quindi nella Fivi, per adesso, troviamo tutto quello che in Italia si chiama ‘Azienda agricola’, che comprende anche chi può fatturare il 49% del totale. E’ una cosa che, col cuore, definirei vergognosa. Ma con il cervello non posso che giudicare quale passaggio indispensabile. Adesso metteremo delle regole un po’ più rigide”.

“Io sono al quarto mandato – continua Massa – e al secondo da vice presidente. Il patto è quello di stringere le maglie. Perché io voglio lavorare per i grandi, non per i grossi. E i grandi sono anche quelli che hanno due ettari di vigna e fanno mangiare una famiglia intera, la loro. Facendo al contempo grande l’Italia intera nel mondo. Perché l’Italia la fa bella Salvatore Ferrandes, a Pantelleria, come la fa bella Anselmet o Lo Triolet, o Zidarich, o Dirupi. In Valle D’Aosta, nel Carso o in Valtellina. Ho messo in croce l’Italia, come piace a me metterla in croce”.

Ma è quando si parla di e-commerce che Walter Massa non ci vede più: “Se ti cercano, ti comprano, ti vogliono, perché nascondersi? Io, intanto, sto con chi, in Inghilterra, vuole uscire dalla Ue. Perché mandare il vino nella Ue è un lavoro, mandare il vino a Singapore, in Giappone, in Russia, in Norvegia è un gioco? Ti vessano, dicendoti che devi fare una bolla solo per far mangiare qualche essere dannoso all’economia e al Pil italiano. Per me il lavoro non è solo un diritto, ma soprattutto un’opportunità. E, quindi, noi dobbiamo far sì che il vino in Europa giri liberamente”.

“Disfiamo questa Europa – attacca Walter Massa – è ora di dire basta. O, piuttosto, rimettiamola a posto. Tutte queste barriere, tutta questa burocrazia, non è altro che una presa per il culo per mandare i D’Alema della situazione a prendere uno stipendio”. Fine del flashback. A questo punto Massa vuota il sacco. E fa presagire come Montecitorio (nome di un vigneto Massa) e Anarchia Costituzionale (nome di un suo vino), possano essere molto più di un messaggio subliminale.

“Di certo dico subito che non andrò con i Cinque Stelle – precisa il vignaiolo – anche se per Roma faccio il tifo per Virginia Raggi e non certo per Orfini. I partiti istituzionali vanno messi al loro posto, lasciando i bastardi, i falliti e quelli in via di fallimento a casa, al posto di farsi salvare come sempre dalla politica”. Il mondo del vino trema. E forse, da oggi, anche quello della politica. Situazione meteo: uragani su Roma, provenienza Piemonte.

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Pinot Meow e MosCato: vini da leccarsi i baffi

Il vino è conviviale, bene prezioso da condividere dalla notte dei tempi anche secondo greci e romani. E allora perché bere da soli, soprattutto se si hanno gatti curiosi che fissano golosi i calici dei padroni. Ebbene, la soluzione è arrivata dall’America. Apollo Peak, infatti, è la prima azienda americana che ha pensato di produrre e commercializzare un vino destinato ai felini.

Ma come? I gatti non possono bere alcolici, lo sanno tutti e l’accoppiata vino-gatto farebbe drizzare i capelli a veterinari, animalisti e chi più né ha più né metta. Tranquilli.

Nonostante la denominazione Doc trattasi di bevande analcoliche a base di erba gatta e acqua colorata con barbabietola. “È fatto come un tè – ha dichiarato il fondatore di Apollo Peak Brandon Zavala – ma volevamo che fosse molto simile ad un vino e percepito come tale da parte del consumatore, affinché potesse pensare di bersi un bicchiere di vino con il proprio animale domestico”.

Il vino per i gatti è nato a novembre del 2015, una storia strana, nata per scherzo secondo Brandon Zavala, etichettando una vera bottiglia di vino (che evidentemente si era scolato da solo). Dopo aver fatto alcune ricerche però, Brandon Zavala ha scoperto che un prodotto simile esisteva, ma sfortunatamente solo in Giappone, a base di uva e potenzialmente tossico per i gatti. Da qui l’idea di produrre il cat wine, approvato dai veterinari.

Perché dovreste comprare un Pinot Miagolio? Secondo Apollo Peak ha un bouquet aromatico pazzesco, i gatti non resisteranno, ergo, “provare per credere”, ma questo è un altro claim. Tre i formati disponibili nei due “uvaggi”. Addirittura è prevista una confezione speciale per le feste.

E qui passiamo alle note dolenti perché il prezzo di questo nettare di bacco, manco a dirlo, non è proprio alla portata di tutti, anzi. In particolare, per il Moscato, è ben al di sopra del prezzo medio del “corrispettivo” per umani cui siamo abituati in Italia.

Qualche esempio? La bottiglia da 8 once, pari a 226,8 grammi costa $ 11,95. La bottiglia formato speciale sullo shop di Apollo Peak risulta in rottura di stock: esaurita. Noi continuiamo a bere i Pinot originali e ai gatti? Il latte no sicuramente perché fa male, tantomeno il cat wine.

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Analisi e Tendenze Vino news

Radici del Sud, tutti i vini premiati

Ecco i vincitori di Radici del Sud 2016. Si sono chiuse le degustazioni dell’XI edizione della rassegna dei vini del Meridione d’Italia. Sono ottanta i vini premiati in occasione della rassegna internazionale, che vede protagonista il Sud Italia. La giuria composta da giornalisti stranieri e da buyer provenienti da 13 Paesi esteri (Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Gran Bretagna, Olanda, USA, Canada, Giappone, Lituania, India, Polonia e Brasile) oltre che da operatori e stampa nazionale, ha decretato i migliori vini da vitigni autoctoni iscritti alla competizione. Nella rosa salita sul podio ci sono quest’anno anche i vini spumanti, nuova categoria inserita che completa il panorama enologico del Meridione. I blind tasting si sono svolti sabato 11 e domenica 12 con quattro sessioni di assaggio e come giudici hanno anche degustato i rappresentanti di AssoEnologi Puglia, Basilica e Calabria. Una edizione da record quella del 2016: sono stati 432 i vini in concorso, 183 le aziende partecipanti (23 produttori siciliani, 18 produttori calabresi, 16 produttori lucani, 32 produttori campani e 94 produttori pugliesi).

Giuria Press 1: Maurizio Valeriani (presidente); Remy Charest; Simon Woolf; Tomasz Prange – Barczyจฝski; Warren Edwardes; William Zacharkiw; Erin Stockton; Maria Grazia Melegari: Francesco  Soleti. Press 2: Pierluigi Gorgoni (presidente); Aneesh Bhasin; Arto Koskelo; Charles Scicolone; James Melendez; Mayumi Nakagawara; Elisabetta Tosi; Davide Sarcinella. Buyer 1: Ole Udsen (presidente); Mariusz Majka; Mehmet Adanir; Steen Højgård Rasmussen; Warren Edwardes; Nana Wad; Giorgio Cotti. Buyer 2: Chiara Giorleo (presidnete); Alessandro Pagano; Andrzej Kostyk; Brian Gwynn; Daiva Mumgaudiene; Erica Nonni; Bernardo Conticelli; Fernando Zamboni; Giuseppe Bino.

RADICI DEL SUD 2016, I VINCITORI

SPUMANTI BIANCHI – GIORNALISTI
1) CAPRETTONE, CASA SETARO; 2) RISERVA NOBILE 2012, D’ARAPRÌ

BUYER
1) NOI DUE, TENUTA VIGLIONE; 2) MACCONE SPUMANTE BIANCO BRUT, PUGLIA IGP, ANGIULI DONATO. Ex aequo 2: TIATI METODO CLASSICO, PUGLIA IGP, CANTINE TEANUM

SPUMANTI ROSATI – GIORNALISTI
1, BRUT ROSÈ, D’ARAPRÌ; 2) LEGGIARDO ROSATO, CONSORZIO PRODUTTORI VINI MANDURIA. Ex aequo 2: DOVÌ ROSÈ, FERROCINTO

BUYER
1) LEGGIARDO ROSATO, CONSORZIO PRODUTTORI VINI MANDURIA; 2) BUYER, LA VIE EN ROSE’, PUGLIA IGP, TENUTA COPPADORO. Ex aequo 2: DOVÌ ROSÈ, FERROCINTO

FALANGHINA – GIORNALISTI
1) BENEVENTANO FALANGHINA IGP 2015, SANPAOLO; 2) COSÌCOMÈ 2014, IGP PUGLIA, VALENTINA PASSALACQUA

BUYER
1) CRUNA DELAGO 2014, CAMPI FLEGREI DOC, LA SIBILLA; 2) MAIOR 2012, FALANGHINA DEL SANNIO DOP, CANTINA FOSSO DEGLI ANGELI

CATARRATTO – GIORNALISTI
1) ANTISA CATARRATTO 2015, SICILIA DOC, TASCA D’ALMERITA. 2) VIGNA CASALJ 2015, ALCAMO DOC, TENUTA RAPITALÀ

BUYER
1) TERRE ROSSE DI GIABBASCIO 2014, TERRE SICILIANE IGT, CENTOPASSI. 2) ANTISA CATARRATTO 2015, SICILIA DOC, TASCA D’ALMERITA

GRILLO – GIORNALISTI
1) BLUES 2015, TERRE SICILIANE IGP, PAOLO CALÌ; 2) GRILLO 2015, SICILIA DOC, FEUDO DISISA

BUYER
1) APOLLO 2014, TERRE SICILIANE IGP, FAUSTA MANSIO; 2) ROCCE DI PIETRA LONGA 2014, TERRE SICILIANE IGT, CENTOPASSI

MISTO BIANCHI DEL SUD – GIORNALISTI
1) BIANCO DI SEI 2014, ETNA DOC, PALMENTO COSTANZO: 2) BUCECI BIANCO 2015, TERRE SICILIANE IGT, BUCECI VINI. 3) KORE 2015, TERRE SICILIANE IGT, CANTINE COLOMBA BIANCA

BUYER
1) STRIALE 2015, PUGLIA IGP, TENUTA PATRUNO PERNIOLA; 2) MALVASIA BIANCA 2015, SALENTO IGP, CONTI ZECCA; 3) BIANCO DI SEI 2014, ETNA DOC, PALMENTO COSTANZO

GRECO – GIORNALISTI
1) GRECO DI TUFO DOCG 2015, DI MEO; 2) LE PAGLIE 2015, MATERA DOC, CANTINE CERROLONGO

BUYER
1) JENTILINO 2015, TERRE DI COSENZA DOP, LA PESCHIERA: 2) GRECO DI TUFO DOCG 2015, SOCIETÀ AGRICOLA NATI

FIANO – GIORNALISTI
1) FIANO DI AVELLINO DOCG 2015, DI MEO; 2) BIANCOFIORE 2014, DAUNIA IGP, KANDEA

BUYER
1) TRENTENARE 2015, PAESTUM IGP, SAN SALVATORE 1988; 2) TORRE DEL FALCO 2015, PUGLIA IGP, TORREVENTO

ROSATI DEL SUD – GIORNALISTI
1) CIRÒ DOC ROSATO 2015, SCALA CANTINA E VIGNETI: 2) OSA! 2015, TERRE SICILIANE IGP, PAOLO CALÌ; 3) LE ROTAIE 2015, VALLE D’ITRIA IGP, I PASTINI

BUYER
1) NAUSICA 2015, SALENTO IGP, CARDONE; 2) NERO DI TROIA ROSÈ, ROSSO DI CERIGNOLA DOC, BIOCANTINA GIANNATTASIO; 3) SPEZIALE 2015, SALENTO IGP, TRULLO DI PEZZA

NERO DI TROIA – GIORNALISTI
1) OTTAGONO 2013, CASTEL DEL MONTE DOCG, TORREVENTO; 2) NERO DI TROIA 2014, PUGLIA IGP, VALENTINA PASSALACQUA

BUYER
1) GRAN TIATI GOLD VINTAGE 2010, PUGLIA IGP, CANTINE TEANUM; 2) LUI 2012, PUGLIA IGP, CANTINA MUSEO ALBEA

NEGROAMARO – GIORNALISTI
1) COPERTINO ROSSO DOC RISERVA 2008, CUPERTINUM – ANTICA CANTINA DEL SALENTO 1935; 2) DANZE DELLA CONTESSA 2014, NARDÒ DOC, CANTINA BONSEGNA

BUYER
1) VECCHIO SOGNO 2014, SALENTO IGP, TENUTA GIUSTINI; 2) POSTA PIANA 2014 PUGLIA IGP, CANTINE PARADISO. Ex aequo 2: NERÌO 2013, NARDÒ DOC, SCHOLA SARMENTI

PRIMITIVO – GIORNALISTI
1) PRIMITIVO 2013,PUGLIA IGP, PIETREGIOVANI; 2) IL RACCOMANDATO 2014, PUGLIA IGP, FIORE AZIENDA AGRICOLA

BUYER
1) PAPALE LINEA ORO 2013, PRIMITIVO DI MANDURIA DOP, VARVAGLIONE VIGNE E VINI; 2) PRIMITIVO DI MANDURIA DOP 2012, ANTICA MASSERIA JORCHE

NERO D’AVOLA – GIORNALISTI
1) CURMA 2010, SICILIA IGT, A R M O S A; 2) VUARIA 2010, SICILIA IGT, FEUDO DISISA

BUYER
1) SANTA CECILIA 2011, NOTO DOC, PLANETA; 2) VUARIA 2010, SICILIA IGT, FEUDO DISISA

GRUPPO MISTO VINI ROSSI DEL SUD – GIORNALISTI
1) TAURASI S.EUSTACHIO 2008, TAURASI DOCG, BOCCELLA; 2) GHIAIA NERA 2013, SICILIA DOC, TASCA D’ALMERITA; 3) DON VINCENZO 2013, LACRYMA CHRISTI DEL VESUVIO DOC ROSSO, CASA SETARO

BUYER
1) ERUZIONE 1614 2013, SICILIA DOC, PLANETA; 2) LIBICI 2012, CALABRIA IGP, CASA COMERCI. Ex aequo 2:  TAURASI 2011, TAURASI DOCG, TENUTA SCUOTTO. 3) BOCCA DI LUPO 2011, CASTEL DEL MONTE DOC, TORMARESCA

GAGLIOPPO – GIORNALISTI
1) CIRÒ RISERVA 2012, COTE DI FRANZE; 2) DUCA SANFELICE 2013, CIRÒ RISERVA, LIBRANDI

BUYER
1) ARCANO RISERVA 2009, CIRÒ ROSSO CLAS. SUP. RISERVA, SENATORE VINI; 2) DOM GIUVÀ 2013, CIRÒ ROSSO CLASSICO SUPERIORE DOC, DU CROPIO VINERY. Ex aequo 2: JACCA VENTU SUPERIORE 2012, MELISSA DOP, LA PIZZUTA DEL PRINCIPE

AGLIANICO – GIORNALISTI
1) RASOTT 2012, IRPINIA CAMPI TAURASINI DOP, BOCCELLA; 2) MILES 2012 CILENTO AGLIANICO DOC, CANTINE BARONE

BUYER
1) BORGOMASTRO 2007, COLLI DI SALERNO IGP, LUNAROSSA VINI E PASSIONE; 2) AGLIANICO 2MILA10 2010, COLLI DI SALERNO IGP, MILA VUOLO

AGLIANICO DEL VULTURE – GIORNALISTI
1) LIKOS 2012, AGLIANICO DEL VULTURE DOC, VIGNE MASTRODOMENICO; 2) AQUILA DEL VULTURE 2012, AGLIANICO DEL VULTURE DOC, LAGALA

BUYER
1) IL SIGILLO 2010, AGLIANICO DEL VULTURE DOC, CANTINE DEL NOTAIO; 2) CAMERLENGO 2009, AGLIANICO DEL VULTURE DOC, CAMERLENGO.

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Analisi e Tendenze Vino news

Radici del Sud: vini del Meridione al top. Ma la location sta “stretta”

Vinialsupermercato.it non poteva mancare, quest’oggi, a Torre a Mare. La frazione del Comune di Bari ha ospitato una delle più importanti rassegne sui vini del Sud. Parliamo ovviamente di Radici del Sud, manifestazione internazionale dedicata ai soli vini meridionali. Alle loro mille facce e sfaccettature. Dall’Aglianico della Basilicata al Primitivo della Puglia, passando per la Falanghina della Campania e al Nero d’Avola della Sicilia, per citarne solo alcuni (qui i vini 2016 premiati dalla giuria). Un’iniziativa lodevole, che vede finalmente i produttori meridionali – ormai affermatissimi nel panorama mondiale per la qualità dei loro vini – riunirsi sotto lo stesso “tetto” per un evento comune, in cui sfoggiare le proprie perle. Tutto bellissimo. Se non fosse che la location, una delle sale dell’Una hotel Regina, sia parsa piuttosto “ristretta” per una manifestazione di tale portata. Vero è che i 15 euro previsti per l’ingresso, con degustazioni illimitate, sono risultati ai più un prezzo ‘onesto’ per accedere alla stupenda sala da cerimonie in pietra. All’interno, ecco i vari banchi d’assaggio, sistemati in maniera un po’ confusa: poca la chiarezza nella distinzione tra i produttori delle varie regioni. Con un po’ d’impegno, abbiamo avuto comunque la possibilità di scoprire interessantissime realtà. A conferma che i produttori del Sud abbiano ormai intrapreso la strada della qualità, dimostrando di essere bravi vinificatori, nonostante mille difficoltà.

I MIGLIORI ASSAGGI
E non ci riferiamo soltanto ai ‘grandi nomi’ quali Feudi di San Gregorio, con le cantine vassalle Basilisco e Ognissole, o a marchi importanti pugliesi come Antica Masseria Jorche, una delle regine del Primitivo di Manduria, o ancora a Colli della Murgia, cantina biologica di Gravina in Puglia che presentava due spumanti metodo Charmat e un rosato pugliese ‘atipico’, di un eccellente rosa tenue, oltre ai vari bianchi di Minutolo. Grandi conferme anche quelle riservate dai vini lucani, con la nota Cantine del Notaio a sfoggiare – otre ovviamente ai vari Aglianico del Vulture – un metodo classico di Aglianico vinificato in bianco, molto interessante. Tra i vini che meritano una menzione particolare, ecco un bianco vinificato come un vino rosso, in otri di terra cotta: quello dell’azienda Lunarossa di Giffoni Valle Piana, provincia di Salerno, Campania. Quartara è il nome di questo gioiello, che prende il nome dal recipiente che lo culla sino a diventare un nettare così prelibato: un Fiano dei colli Salernitani che rimane a contatto con le bucce per 2 mesi. Abbastanza per regalare un bianco fresco e brillante, non trattato, nel rispetto della filosofia dei più famosi vignaioli friulani. Insomma: sono ormai tante le realtà vitivinicole meridionali che meritano di essere raccontate su palcoscenici di tutto rispetto. Anche – e soprattutto – fuori dai confini di un Sud Italia che sta sempre più ‘stretto’ al cuore e alla passione di questi produttori. Un cuore che, il più delle volte, batte al ritmo della qualità assoluta.

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Analisi e Tendenze Vino news

Gravner tra i protagonisti del primo trailer sugli Orange Wines

Development of an Orange Taste è il titolo scelto per il documentario sugli orange wines presentato, in anteprima nazionale, al Ristorante La Montecchia di Selvazzano (Padova). Trenta minuti, firmati da Laura Michelon e Mike Hopkins e prodotti da Bottled Films, per raccontare come nascono i vini bianchi sottoposti a macerazione sulle bucce.
Documentario che arriva in Italia dopo la première a Londra dello scorso 19 aprile e che vede il produttore di Oslavia Joško Gravner fra i protagonisti del progetto.Development of an Orange Taste prende in esame la storia degli orange wines in Italia, partendo proprio da quando, nel 1997, Gravner inizia a lavorare su un nuovo modo di fare vino, producendo un vino bianco lasciato a fermentare assieme alle bucce per un lungo periodo di tempo.
Una scelta che nel 2001 evolve nella vinificazione in anfora. Dopo un viaggio in Georgia Joško sceglie la modalità classica del Caucaso, quella della zona dei Kakheti, che prevede grandi anfore in terracotta interrate. È un ritorno al passato, ma soprattutto un forte balzo nel futuro, tant’è che molti da quel giorno lo seguono nella sua idea di riportare il vino al suo significato originario.
Come Angiolino Maule e Daniele Piccin, assieme a Gravner nel film, legati a Joško da una sorta di filo rosso che attraversa le regioni e le generazioni. La proiezione si è svolta giovedì 9 giugno alla Montecchia di Selvazzano Dentro (PD) e per l’occasione Massimiliano Alajmo ha creato un menu abbinato ai vini dei tre produttori.
Il trailer è visibile nel sito di Bottled Films. Il film sarà disponibile sullo stesso sito dal 16 giugno al costo di 5 €. Può essere acquistato con sottotitoli in inglese o in italiano.
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