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I 100 migliori vini italiani del 2018: classifica senza bandiere né “razza”. Buoni e basta


Vini buoni e basta, capaci di far dire “Wow!“. Ecco i 100 migliori vini italiani secondo WineMag.it. Un anno, quello appena trascorso, in cui ho avuto la fortuna di degustare più di mille campioni, in giro per l’Italia.

La classifica non fa alcuna distinzione fra le numerose tecniche produttive, troppo spesso al centro di accesi dibattiti tra gli appassionati, ma anche tra i professionisti del settore. Una scelta dettata da una profonda convinzione: deve parlare il calice, non la brochure della cantina. E allora “Prosit!“.

Davide Bortone – direttore responsabile WineMag.it

SPUMANTI, FRIZZANTI, RIFERMENTATI


Franciacorta Riserva Docg Vintage Collection Dosage Zéro Noir 2001, Ca’ del Bosco
. Avete presente quando dicono che il vino più invecchia, più diventa buono? Ecco. Premio al miglior Pinot Nero di Franciacorta, zona certamente più nota per lo Chardonnay.

Brut Metodo Classico Millesimato 2012, Monsupello. Sua maestà il Pinot Nero, con tutti i crismi e a casa sua: l’inarrivabile (per l’Italia e per la costanza storica) Oltrepò pavese.

“Cuvée Marianna” Extra Brut 2013, Arunda Sektkellerei. Uno degli spumanti Metodo classico più complessi in circolazione, prodotto da una cantina da scoprire ad occhi chiusi.

Trento Doc Riserva Dosaggio zero 2012, Letrari. Un Trento Doc raffinato, verticale, di grande prospettiva. Coraggioso e per palati decisi e consapevoli.

Metodo classico Lessini Durello Doc Riserva 2011, Cesa Cecchin. Prezzo pazzesco in cantina, dove vale la pena di andare anche solo per due chiacchiere e una stretta di mano a Renato Cecchin, uno dei promotori di quella perla italiana che è il Durello Metodo Classico.

Lambrusco Metodo Classico 2004, Lini910. Tra gli spumanti (e, più in generale, tra i vini) più sorprendenti del 2018. Degustato in cantina e rigustato in numerose altre occasioni, perché non stanca mai. Sempre un assaggio emozionante. La sublimazione del Lambrusco Salamino.

Vsq Dosaggio Zero 2015 “A Chiara”, Azienda Agricola I Nadre. Il terroir calcareo si ritrova in ogni sorso di questo interessantissimo spumante prodotto a Cerveno (BS), in Valle Camonica.

Etna Doc Spumante Metodo Classico Brut “Saxanigra”, Destro Azienda Agricola. Un riferimento assoluto per le “bollicine” Made in Sicilia. L’appassionato Antonino Destro, con l’enologo Giovanni Rizzo, offre una gamma straordinaria di Champenoise qualità prezzo. Al vertice il “60 mesi” base Nerello Mascalese vinificato in bianco.

Metodo Classico Brut Nature Vsq Durello 2014 “Corte Roncolato”, Cristiana Meggiolaro. La verità di un vitigno (e di una Denominazione) che merita lustro internazionale.

Metodo Classico Vsq “Man 283” 2013, Giuliano Micheletti. Dosaggio zero, Chardonnay del Trentino dritto al cuore, come una lama. Ottimo anche il Riesling (fermo) dello schivo vignaiolo Giuliano. Chapeau.

Metodo Classico Vsq Dosaggio Zero “Esperidi”, Mario Gatta. Vendemmia 2009 vibrante, capace di unire eleganza e potenza in un sorso dell’unconventional Franciacorta.

Metodo classico Lessini Durello Doc Gran Cuvée, Fongaro. Alla cieca? Uno Champagne. E di quelli buoni.

Giulio Ferrari Rosé 2006 Riserva del Fondatore. Oggi buono. Domani splendido. Non a caso l’enologo Ruben Larentis parla di uno spumante che “ha iniziato un percorso che riflette la grande attenzione che gli abbiamo riservato, sin dalla vigna”. Ubi maior.

Spumante Millesimato Pas Dosè 2016, Tenuta Sarno 1860. Sua maestà il Fiano di Avellino, in una versione spumantizzata degna delle geometrie di Kandinsky. Punto, linea e superficie. Gastronomico.

Oltrepò pavese Docg Metodo Classico Brut Rosè, Pietro Torti. Pinot Nero in purezza, rosè: in una parola, “Cruasé”. Bel frutto pulito al naso, che evidenzia il gran lavoro di selezione del produttore di Montecalvo Versiggia.

Vino bianco frizzante 2016 “H Lispida”, Castello di Lispida. Ribolla (70%) e Friulano (30%) per questo divertente e cremoso rifermentato di Monselice (PD).

Vsq Brut Cuvée Paradiso 2014, Quintopasso. Metodo classico base Chardonnay (80%), con un tocco fondamentale di Lambrusco Sorbara (20%) per un sorso più che mai dinamico.

Metodo Classico Lessini Durello 2006, Gianni Tessari. Centoventimesi sui lieviti: 120 volte “buonissimo”. Da bere oggi, al suo apice organolettico.

Spumante Metodo Classico Caprettone 2014, Casa Setaro. Capre what? Caprettone, uvaggio. Provatelo. Trenta mesi sur lie per parlare del terroir vulcanico dell’Alto Tirone vesuviano.

Metodo Classico Trento Doc Nature Riserva 2012, Marco Tonini. Un vulcano questo vignaiolo, affabile come la sua batteria di Trento Doc, dall’0ottimo rifermentato all’eccellente Riserva.

Colli Trevigiani Igt Boschera, Eros Zanon. Vitigno autoctono della zona di Treviso, la Boschera, che questo combattivo e determinato vignaiolo sta salvando dall’oblio, senza aggiungere altro se non una dose di follia. Da assaggiare almeno una volta nella vita, per innamorarsene.

Igp Salento Brut Nature Vsq 2016 “Marasco”, L’Archetipo. Vino Spumante di Qualità (Vsq) base Marasco, prodotto da una delle realtà più interessanti del Salento: L’Archetipo di Castellaneta (TA).

Vino frizzante sui lieviti 2016 “Ambarabà”, Volcanalia. Si chiama “Ambaraba”, ma fate conto che ci siano pure “Ciccì” e “Coccò”. Aspettando il Metodo classico dosaggio zero, che arriverà quest’anno.

Vino frizzante rosato “Balós”, Crocizia. Pinot nero in purezza, rifermentato in bottiglia. Siamo a Pastorello di Langhirano, Parma. Una notte sola di macerazione delle uve sulle bucce, ma di quelle che non si scordano.

Lessini Durello Spumante Brut “Durello Vulcano”, Az. Agricola Zambon. Interessante nel suo complesso la linea di vini proposta da Zambon. Lo Charmat lungo “Durello Vulcano” è una di quelle bollicine capaci di farsi notare nel panorama degli Charmat italiani. Tra l’altro in vendita a un prezzo pazzo in cantina.

Vino Spumante Brut Nature “Silvo”, Villa Persani. Un Metodo Ancestrale coi fiocchi quello proposto da Villa Persani in una comoda bottiglia da 0,50. Tappo corona per i Piwi Souvignier gris e Aromera.

Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg, BiancaVigna. Dosaggio Zero “Rive di Soligo” 2015 e Brut Nature “Rive di Ogliano” staccano di gran lunga tutto il parterre dei Prosecco in degustazione al Merano Wine Festival 2018. E, soprattutto, mostrano le potenzialità della Glera: una delle uve più maltrattate d’Italia.

Prosecco Frizzante “Di Fondo”, Bresolin Enrico. Il tipico Prosecco da “shakerare” prima dell’uso. Risvegliate dal torpore i lieviti ammassati alla base della bottiglia e godetevi lo spettacolo, nel calice.

Vsq Brut 2015, Weingut Lieselehof. Trenta mesi sui lieviti. Frutto intenso in ingresso, che poi lascia spazio alla mineralità. Altro vino ottenuto da Spuvignier Gris (Piwi): varietà “resistenti” a tutto, tranne che al calice.

Vino spumante Brut 2014 “Bolla d’oro”, Kandea – F.lli Tullio Cataldo. Nella “terra di mezzo” di Candela (FG) un Martinotti base Bombino bianco (80%) Falanghina (10%) e Greco (10%), che fa pensare a un Metodo classico.

Igt Toscana spumante rosato 2016 “Follia a Deux”, Podere Anima mundi. Rarissima “bollicina” di Casciana Terme Lari (Pisa). Metodo ancestrale (non filtrato e non sboccato) base Foglia Tonda, tutto frutto e salinità.

BIANCHI

Vermentino Colli di Luni Doc Superiore 2017 “Fosso di Corsano”, Terenzuola. Uno dei due Colli di Luni Doc memorabili di Terenzuola, cantina di Fosdinovo (Massa-Carrara) condotta da Ivan Giuliani. L’altro è “Permano”, ottenuto per il 50% da Vermentino e per la parte restante dall’assemblaggio di una trentina di uvaggi a bacca bianca. Rarità.

Colli Tortonesi Doc Timorasso Derthona 2010 “Sterpi”, Walter Massa. Semplicemente strepitoso, oggi. Lo sarà anche (dopo) domani, con l’accentuarsi delle note di idrocarburo e l’incomplessarsi del bouquet.

Sudtirol Alto Adige Doc Riserva 2015 Chardonnay “Troy”. Muscoli e cravatta per il rincorrersi di note agrumate ed esotiche mature, bilanciate da gran freschezza e percezioni iodiche eleganti, che accompagnano nel lungo finale.

Soave Classico Doc 2015 “Roccolo del durlo”, Le Battistelle. Gelmino e Cristina dal Bosco, con l’aiuto dei figli, stanno compiendo qualcosa di grande a Brognoligo di Monteforte d’Alpone. Qualcosa che riesce a tradurre nel calice il concetto stesso di “viticoltura eroica”, vero vanto delle colline di Soave.

Igt Paestum Fiano 2017 “Pian di Stio”, San Salvatore 1988. Si fa presto a dire Fiano. Uno così, però, è merce rara. Siamo nel Parco nazionale del Cilento, nel Comune di Stio, in provincia di Salerno. Il cru si trova a 550 metri d’altezza e regala un sorso fresco, balsamico, lunghissimo.

Sicilia Doc Carricante 2015 “Eruzione 1624”, Planeta. Uno di quei vini da portare a casa a cartoni, per valutarne l’evoluzione annotandola su un quadernetto. Piroette che, da un assaggio all’altro, fanno di questo vino uno dei bianchi vulcanici più fascinosi d’Italia.

Vallagarina Igt bianco “Anisos” 2009, Eugenio Rosi. Naso di quelli che ti tengono incollato al bordo del calice come un bambino che guarda fuori dal finestrino, mentre guida papà. La predominanza della Nosiola, in bocca, si fa sentire. Poi l’azione mitigatrice di Pinot Bianco e Chardonnay.

Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2017, Manni Nössing. Il miglior Kerner in circolazione, per lo meno in quella fetta di Alto Adige tutta da scoprire che è la Valle Isarco.

Rina 2017, Viteadovest. Vino qualità prezzo eccezionale, prodotto in Contrada Amabilina (Marsala). Blend Grillo-Catarratto affinato in botti di Marsala del 1973. Unico.

Lama bianca 2016, Feudo d’Ugni. La piccola fiammiferaia abruzzese Cristiana Galasso mette in bottiglia magia al posto del vino. Lama bianca è uno dei suoi capolavori. Un Trebbiano in purezza (3 settimane in vasca di cemento) da amare di sorso in sorso.

Pinot Blanc 2015 “Art”, Weingut Martin Abraham. Tutti capolavori assoluti i vini di Martin Abraham, vignaiolo altoatesino tanto schivo quanto pronto a raccontare le sue “creature” con un calore che in pochi riescono a trasmettere. Vino di prospettiva.

Igp Terre del Volturno 2017 “Sheep”, Il Verro. Frazione Lautoni di Formicola, provincia di Caserta. “Sheep” è un bianco prodotto con un’uva non ancora inserita nel Registro nazionale: la Coda di Pecora. Una sorta di “Passerina vulcanica”, ma c’è di più. Qualcosa rimanda al Trebbiano. Qualcos’altro al Cortese e all’Arneis. Insomma, un autoctono tutto da scoprire. Vino da provare.

Südtirol Alto Adige Doc Kerner 2006 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella. Tra le migliori espressioni “vintage” del Kerner in Alto Adige.

Venezia Giulia Igt 2003 “Severo Bianco”, Ronco Severo. Il coniglio nel cestello di una linea di totale affidabilità, come quella dei vini bianchi e rossi di Ronco Severo, by Stefano Novello.

Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017 “Lahner”, Taschlerhof. Tipico fino al midollo.

Friulano (Jakot) 2016 “t.f.”, Valter Sirk. In Vino Valter. Valter Sirk giocano con le manette, nel senso che “t.f.” sta per “Tocai Friulano”. E provate a leggere “Jakot” al contrario. Fondamentale: vino da bere, prima di farsi tutte ‘ste menate. Che manto neppure Rauscedo fa troppo caso alle liste del Ministero.

Trebbiano Spoletino 2012 “Arboreus”, Bea Paolo. Stappato in un monolocale funge da diffusore di profumi che manco la catalitica di Lampe Berger. E lo Spoletino si dimostra così tra le varietà più interessanti d’Italia.

Verdeca 2017 “Carsia”, Cristiano Guttarolo. Sua maestà la Verdeca, quella vera. Un vino vero, intenso, fresco, tipico. Un vino-manifesto dell’uvaggio. E di tutte le Murge, zona vinicola pugliese che – assieme alla Valle d’Itria – partorisce bianchi di spessore, meritevoli di parterre nazionali.

Soave Doc “Garganuda”, Andrea Fiorini. La Garganega come mamma l’ha fatta. Nuda. Ma non per questo timida. Anzi. Esibizionismo allo stato puro del varietale, nell’interpretazione veristica e cruda di un Soave che mancava nel panorama della Denominazione.

Campi Flegrei Doc Falanghina 2012, Agnanum. Uno dei bianchi dalla maggiore personalità presenti al momento sul mercato nazionale. Un vino che svela i tratti più sinceri e marcati del terroir vulcanico.

Spoleto Doc Trebbiano Spoletino 2015 selezione “Del Posto”, Perticaia. Vino di prospettiva (lunga). Nota iodata netta, corroborata da richiami di camomilla, asparago e il fieno. Acidità da strilli, che fa da spina dorsale a una struttura importante. Ma il sorso è equilibrato grazie a ricordi levigati di miele d’acacia.

Vigneti delle Dolomiti Igt Nosiola 2016, Azienda Agricola Salvetta. Questo non è un vino, ma un concentrato di Nosiola. Discostante rispetto ad altre decine d’assaggi. Un vino diretto, vero, potente, con un filo di tannino che si allunga nel retro olfattivo.

Colli Tortonesi Doc Timorasso 2010 “Il Montino”, La Colombera. Un vino giunto a un grande equilibrio tra le componenti più tipiche del Timorasso, che mostra tuttavia ampi margini di affinamento ulteriore.

Salento Igp Verdeca 2017, Tenuta Macchiarola. Altro territorio, altro vitigno fortemente screditato dalle produzioni massive e dalla moda dei bianchi leggeri, fruttati, beverini. Bravissimo Domenico Mangione.

Vino bianco biologico 2016 “Monte del Cuca”, Menti Giovanni. Uve 100% Garganega. Un “orange” dal naso tra i più belli d’Italia. Come rotolarsi in un campo di fiori, alle pendici di un vulcano che sbuffa.

Barbagia Igt 2016 “Perda Pintà”, Cantina Giuseppe Sedilesu. Giallo luminoso come una spada laser il Perda Pintà di Giuseppe Sedilesu, ottenuto dal vitigno autoctono di Mamoiada, paesino 2.500 anime in provincia di Nuoro: la Granazza, allevata ad alberello. Avvolgente e speziato. Unico.

Toscana Igt 2015 Batàr, Querciabella. Strepitosi rossi e un bianco che lascia il segno per Querciabella. Blend suddiviso in egual misura tra uve Pinot Bianco e Chardonnay, che si fondono dopo la fermentazione in barrique, in seguito alla selezione dei migliori lotti. Un “Chianti in bianco”.

Sauvignon Blanc 2014 “Garnellen Anphora”, Tropfltalhof. Più difficile da pronunciare che da apprezzare, il vino in anfora di Tropfltalhof. Siamo a Caldaro, in Alto Adige. Uno di quegli assaggi da conservare nella cartella “Sauvignon Blanc” della memoria. Nome del file: “Eccezioni”.

Fiano Puglia Igt 2016 “Cicaleccio”, Cantina Giara. Giorgio Nicassio mette in bottiglia un Fiano più che mai sincero, non filtrato e non chiarificato. Un concentrato di Fiano, o un infuso d’uve Fiano, se preferite. Bellissimo.

Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Grüner Veltliner 2017, Weingut Ebner. Tra i migliori assaggi in Valle Isarco e tra i vignaioli da scoprire in assoluto dell’Alto Adige.

Colli di Luni Doc Vermentino “Cavagino”, Lunae Bosoni. Fa parte della linea dei “cru” della cantina di Castelnuovo Magra (SP) il “Cavagino”, uno dei due Vermentino top di gamma. Certamente uno dei migliori vini in commercio oggigiorno, Made in Liguria.

Lazio Igt Grechetto 2015 “109”, Tenuta La Pazzaglia. Tappo a vite (fatevene una ragione, va bene così) per questa splendida espressione di Grechetto che riesce a coniugare mineralità vulcanica, frutto tropicale, sentori erbacei e speziati. Il volto bello della Tuscia viterbese.

ROSATI

Rosato “Rossetto di Sangiovese”, Altura. Bellissima realtà dell’Isola del Giglio, Altura. Un tempo questo rosato fascinoso si chiamava “Chiaretto”, ma per evitare guai è cambiato. Solo Sangiovese, macerazione sulle bucce di una settimana e fine fermentazione in bianco. Boom.

Rosato 2016 “Sant’Isidoro”, Maria Pia Castelli. Un rosato da Montepulciano e Sangiovese della zona di Monte Urano, provincia di Fermo, nelle Marche, sottoposti a salasso. Non gli manca nulla, se non qualche anno in più sulle spalle: un rosè che non ha paura del tempo.

Salento Igt Rosato 2013 “Girofle”, Severino Garofano. Eros puro. Un vino magico, che gioca sui contrasti e sugli ossimori, dando un senso tanto concreto quanto poetico al lavoro che la famiglia di Copertino (LE) sta facendo da anni col vitigno Negroamaro vinificato in rosa. L’eredità di un vignaiolo che ha cambiato il modo di pensare il rosato pugliese e italiano: da centometrista a maratoneta. Da vino di “pronta beva” a vino da apprezzare nell’allungo.

Basilicata Rosato Igp 2017 “Juiell”, Camerlengo. Un’icona dei rosati italiani veri, sinceri, che parlano del territorio in cui sono prodotti. “Juiell”, il “gioiello” della cantina di Rapolla (PZ), che di tesori a base Aglianico (del Vulture) è piena. Citofonare “Antonio Cascarano”.

Rosato di Dolcetto 2017, Forti del Vento. Dolcetto vinificato e affinato in anfore di terracotta da 300 litri. Un rosato di quelli veri, di sostanza. A partire dal colore carico, senza compromessi. Mille bottiglie prodotte, in totale. Una bella chicca.

Rosato 2017 “Crêuza”, Azienda Agricola Deperi Luca. Rosato qualità prezzo, in una terra più di bianchi che di rossi come la liguria. Sensatissimo, tipico, eroico.

Alto Adige Doc Merlot rosato 2017 “Kotzner”, Armin Kobler. Un rosato tosto, tra i più “gastronomici” d’Italia. Frutto preciso e grande equilibrio al palato per un rosé importante con cui giocare a tavola.

Salento Rosato 2015 “Diciotto Fanali”, Apollonio. La casa di Monteroni di Lecce sforna vini gioiello e tra i rosati non può mancare “Diciotto Fanali”, ottenuto da vecchie vigne ad alberello. Negroamaro in purezza di gran personalità.

Riviera del Garda Classico Doc Valtenèsi Chiaretto “La moglie ubriaca” 2017, La Basia. Frutto, sostanza e mineralità ci sono tutte. Ci ha messo un po’ ad equilibrarsi, questa moglie barcollante. Ma poi è giunta in porto, nel calice. Sana e salva. Gluc.

Rosato Calabria Igt “Il Marinetto”, Sergio Arcuri. Rosato da Gaglioppo profumato e di fenomenale consistenza tattile al palato.

ROSSI

San Leonardo 2014, Tenuta San Leonardo. Cabernet Sauvignon, Carmenère e Merlot (60-30-10%) per uno dei vini più celebrati d’Italia. Tra tutte le vendemmie degustate, convince la 2014: splendida la sua concentrata essenzialità, con una grande spinta minerale calcarea da vino in progressione, fusa alla perfezione con una freschezza unica nel panorama delle varietà bordolesi. In forma anche la vendemmia 2001, tra le migliori annate di sempre della cantina trentina di Borghetto sull’Adige.

Chianti Classico Docg Riserva 2015, Agricola Querciabella. Sulla scorta del 2014, naso non proprio esplosivo che vira sulla macchia mediterranea più che sul frutto. Soffi di zafferano e di spezia completano il quadro olfattivo. In bocca conferma le attese: un vino giovanissimo, destinato a diventare immenso.

Provincia di Pavia Igt 2010 “Ghiro d’Inverno”, Azienda Agricola Martilde. Una (ex) Bonarda ferma. Una Croatina, diciamola tutta, da vero spasso. Vino giovane, da vigne vecchie.

Tai Rosso Doc 2016, Fattoria le Vegre Domenico Chiesa ci mette testa e cuore per i suoi vini. E il risultato si vede. Anzi, si sente, ad ogni sorso. Ottima tutta la linea, ma è stupendo il Tai Rosso Doc 2016, un “base” che base non è, per la sua capacità di essere al contempo croccante, consistente e concentrato in bocca.

Toscana Igt Pinot Nero 2015 “Fedespina”, Podere Fedespina. Un vino che spiega a tutti come si lavora il Pinot Nero in Toscana, al di là delle mode e di quella fastidiosa vena “enofighetta” che porta certi produttori a giocare coi vitigni, per inseguire la moda.

Barolo Bussia Docg 2013, Giacomo Fenocchio. Nebbiolo di una precisione assoluta, poco da aggiungere. Da provare. E aspettare, se possibile.

Tamurro Nero 2004, Tenuta Le Querce. Un unicum. E non solo perché il Tamurro Nero non è un vitigno che si trova dappertutto, in degustazione. Ma anche perché questo 2004 di Tenuta Le Querce è da sberle al palato.

Igt Alpi Retiche 2017, Pizzo Coca. La vera sorpresa dell’anno, Pizzo Coca. Dopo varie peregrinazioni in giro per il mondo, il giovane bergamasco Lorenzo Mazzucconi ha deciso di mettere su un’azienda propria a Ponte in Valtellina. Questo base e l’Inferno 2016 (qualità prezzo assoluta) dicono che ha fatto bene.

Vino rosso Oltrepò pavese 2016 “Barocco”, Perego e Perego. Potenza, frutto, prospettiva. Un piccolo “Brunello” in terra pavese, prodotto da un vignaiolo che come pochi tratta il vitigno: Giorgio Perego, “Mr Croatina”.

Chianti Classico Docg 2015, Borgo Scopeto. Colpisce per la gran finezza delle note di piccoli frutti di bosco, degne di un grande Pinot Noir. Un’eleganza che si ripropone con prorompente determinazione anche al palato, lunghissimo. Qualità prezzo.

Lambrusco di Sorbara 2017 “L’eclisse”, Paltrinieri. Un Lambrusco da bere col secchio, senza troppi fronzoli. Naso di fragolina non ancora matura e lampone, chiusura salina e di ribes, ben sorretta da una sapidità che invita al sorso successivo. E a un altro ancora. Altro vino qualità prezzo.

Rosso Emilia Igt 2015 “Rio Rocca Berzemèin”, Az. Agr. Il Farneto. Siamo nella Piana di Farneto, in provincia di Reggio Emilia, ai piedi dell’Appennino Tosco-Emiliano. Marzemino croccante, vivo, in evoluzione.

Flaccianello 2008, Fontodi. Intensità mista ad eleganza, come pochi in Toscana. Infinitamente lungo, anche in termini di vita a disposizione.

Amarone della Valpolicella Docg 2014, I Tamasotti. Giacomo Brusco e Sabrina Zantedeschi, giovanissimi interpreti de “I Tamasotti” sono tra i giovani da tenere d’occhio della Denominazione veneta.

Cannonau di Sardegna Doc 2016, Antonella Corda. Fate largo in cantina per un Cannonau sui generis, che ci piace definire con un neologismo: Pinotnau. Un Cannonau elegante come un Pinot Nero.

Brunello di Montalcino Docg 2013, Tassi. Raffinatezza e potenza, coniugati in un sorso instancabile.

Lacryma Christi del Vesuvio Doc Riserva 2014 “Don Vincenzo”, Casa Setaro. Seconda menzione, dopo lo spumante di Caprettone, per Casa Setaro. Piedirosso (85%) e Aglianico (15%) insieme, per un vino che riesce a esprimere e coniugare al meglio le caratteristiche dei grandi vini del Vesuvio. Un rosso che avvolge e cattura.

Sorni Rosso Trentino Dop 2015 “Grill”, Eredi di Cobelli Aldo. Teroldego, base ampelografica della Dop Sorni. Vino dall’ossatura ben definita. Tannino austero e frutto perfettamente delineato, pulito. Un altro grande vino di prospettiva.

Campania Igt Piedirosso 2016 “Pér ‘e Palumm”, Agnanum. Altra conferma anche per Agnanum, già citata tra i bianchi per la sua strepitosa Falanghina. Un vino sorprendente, capace di tradurre nel calice il vulcano. Grande mineralità, note fruttate e speziate precise, un quadro unico. Ottima prospettiva per la vendemmia 2017, ancora più fumè e salina.

Amarone Docg 2010, Azienda Agricola Monte dall’Ora. Castelrotto, Verona. Vino spaziale, che vale tutti e 70 gli euro del prezzo, per la freschezza e la tipicità del sorso che riesce ad esprimere. Splendido anche il Valpolicella Classico Superiore 2015, in commercio a partire da queste settimane.

Irpinia Doc Aglianico 2016 “Terra d’Eclano”, Quintodecimo. In commercio da dicembre 2018. Bouquet ampissimo al naso, che spazia dalle note floreali di viola a quelle fruttate di lampone e fragola, passando per terziari eleganti di tabacco e caffè. Wow.

Chianti Montespertoli Riserva Ingannamatti 2005, Podere dell’Anselmo. Complesso, raffinato, elegantissimo. Ma soprattutto “giovane”. Ops, è un 2005. Eterno.

Carmenère Riserva 2013 “Oratorio di San Lorenzo”, Inama. Degustato alla cieca sui Colli Berici, in comparazione con altri vini internazionali della stessa base ampelografica. C’è un cileno (il Carmenère Block 17 D.O. Peumo 2014 “Terrunyo” di Concha Y Toro,) che sta ancora mangiando la sua polvere. Rosso veneto accecante.

Amarone della Valpolicella 2013, Ferragù Carlo. Altro rosso importante, ma già godibilissimo. Bevibilità e struttura per un Amarone che emerge nel panorama dei nobili vini rossi della regione, grazie ai suoi tannini di velluto, il sorso pieno e lo straordinario carattere. Il classico rosso da meditazione, da stappare a fine pasto.

Etna Rosso Doc Nerello Mascalese 2015, Enò-Trio Nunzio Puglisi. Facile dire “Nerello Mascalese”, negli anni della ribalta internazionale per il vulcano che a fine anno ha fatto tremare Catania. Difficile farlo così. Nunzio Puglisi e la figlia Désirée sono un riferimento assoluto per chiunque voglia scoprire l’essenza del terroir.

Primitivo di Manduria Doc 2013 “Es”, Gianfranco Fino. Se è vero che l’Es, per Freud, sottosta a un solo principio (il piacere) allora “Es” 2013 è esso stesso il piacere. Sin dal colore, rosso carico, richiama la passione.

Calabria Igt Magliocco 2013 Toccomagliocco, L’Acino. Tutto da segnalare dalle parti di Dino Briglio Nigro. Siamo sulla Piana di Sibari, tra lo Jonio e il Tirreno, tra il Pollino e la Sila. Meglio non perdersi neppure un’etichetta di questo fiero produttore calabrese.

Cirò Riserva 2012 “Più vite”, Sergio Arcuri. Altro giro, altra giostra. Sempre in Calabria. Salire su quella di Sergio Arcuri è come catapultarsi a Cirò. Tra le vigne ad alberello di quel grande vitigno del Meridione d’Italia che è il Gaglioppo, sino ad oggi fin troppo offuscato dalla lucentezza dell’altro meridionale Aglianico.

Pinot Nero Doc, Paolo Saracco. Pinot Nero dalle tinte moscateggianti, prodotto (per passione e non per business) da uno dei maggiori interpreti del Moscato d’Asti: Paolo Saracco. Da perderci la testa.

Erasmo Castelli 2010, Maria Pia Castelli. Top di gamma della cantina marchigiana, vero pezzo da 90 tra i rossi del centro Italia. Un Montepulciano riconoscibile tra mille campioni. Splendida anche l’espressione del 2005.

Pinot Nero Provincia di Pavia Igt “Astropinot” 2013, Ca’ del Conte. Uno di quei Pinot nero d’Oltrepò che fanno rima con chapeau. Un rosso di elegante ruggenza quello prodotto a Rivanazzano Terme (PV) da Paolo Macconi e della moglie Martina.

Sagrantino 2013, Raìna. Sua maestà il Sagrantino, in una delle sue versioni migliori del panorama del momento, per fascia prezzo. E pensare che non si tratta del top di gamma di casa Raìna, dove qualità non fa mai rima con “compromesso”.

Barbera “Barla”, Case Corini. Uno scrigno a Costigliole d’Asti. E’ Case Corini, il regno di Lorenzo Corino, appassionato vignaiolo piemontese che produce uno dei rossi in più completi della regione, da un vigneto di 100 anni.

Cesanese del Piglio Docg “Torpiano” / “Collefurno” 2016, Carlo Noro. Sta facendo un gran lavoro questo ragazzo dalle parti di Piglio, in provincia di Frosinone. Una storia iniziata nel 2010, che promette capitoli interessantissimi al ritmo delle due diverse sfumature di Cesanese del Piglio.

VINI DOLCI / PASSITI

Alto Adige Gewürztraminer Doc 2009 “Epokale”, Cantina Tramin. “Epokale” di nome e di fatto. Il perfetto, divino, equilibrio tra dolcezza, freschezza e mineralità. Unico.

Passito di Pantelleria Doc 2008 e 2012, Ferrandes. Un capolavoro da esporre al museo del Louvre questo passito di Pantelleria. La vendemmia 2008 è da cori da stadio.

Moscato di Saracena 2014, Cantine Viola. Uno di quei vini che riescono ad andare al di là di un calice assoluto valore. Attorno alla riscoperta del Moscato di Saracena, Luigi Viola e la sua famiglia sono riusciti a creare un mondo.

Vino cotto Stravecchio Marca Occhio di Gallo, Cantina Tiberi David. Un unicum nel suo genere che trova nelle Marche, e in particolare nella zona di Loro Piceno, la sua patria. Vecchie e nuove vendemmie: tutti pezzi di gustosa bravura.

Igt Costa Toscana Ansonica Passito 2016 “Nantropò”, Azienda Agricola Fontuccia. Una perla dell’Isola del Giglio. Il vino passito da uve Ansonica di Fontuccia è una vera e propria chicca nel suo genere e nel panorama della viticoltura eroica. Capisci perché si chiama così (“Nantropò”) solo quando la bottiglia è finita.

Moscato di Scanzo Docg 2015, De Toma. Vendemmia che già esprime grandi potenzialità: eleganza finezza al naso, su frutti di bosco, fragolina in primis, marasca e fiori di rosa. In bocca corrispondente, con l’acidità a chiamare un sorso dietro l’altro. Chiusura di rabarbaro. Vino da meditazione.

DISTILLATO DELL’ANNO

“Oltre Spigau 03”, Le Rocche del Gatto. Il Pigato 2003 in versione “Armagnac”, prodotto in quel santuario ligure che è Le Rocche del Gatto. A dir messa, da quelle parti, è Fausto De Andreis: autore e artefice di vini immortali a base Pigato e Vermentino, nella sua Albenga (SV).

Fausto ha chiamato questa “bevanda spiritosa” da 33% vol. “Oltre Spigau 03”. Un altro passo avanti verso la battaglia irriverente di un vignaiolo d’altri tempi e senza tempo. Come i suoi vini.

Qui la “TOP 100” migliori vini italiani 2019 di WineMag.it

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“Fake” brasiliano a ritmo samba. Sul catalogo Rauscedo “Prosecco”, non “Glera”


PORDENONE –
Si sposta in Friuli Venezia Giulia la nostra inchiesta sul Prosecco brasiliano e, più in generale, sul fenomeno del “falso Prosecco“. Sono proprio le autorità brasiliane a offrirci l’assist. Nell’intervista esclusiva rilasciata dall’Ibravin a WineMag.it, la referente legale Kelly Bruch segnala un elemento clamoroso.

Un fattore che gioca, per certi versi, a favore della proliferazione del “Prosecco” in Brasile e della fermezza del governo “carioca” nella difesa dei produttori locali. Sul catalogo di Rauscedo, il più grande complesso vivaistico-viticolo del mondo, la Glera non appare.

Continuano invece ad essere menzionati il “Prosecco” e il “Prosecco lungo”. Eppure risale a marzo 2009 il decreto ministeriale col quale è stato modificato il registro nazionale delle varietà di vite, in Italia.

In particolare, è stato riconosciuto il sinonimo “Glera” per la varieta’ di vite “Prosecco” ed il sinonimo “Glera lunga” per la varieta’ di vite “Prosecco lungo”. Perché i Vivai cooperativi Rauscedo non hanno aggiornato il proprio catalogo? La domanda appare per certi versi retorica. Specie se si considera la credibilità dell’interlocutore.

Parlano chiaro i numeri di Rauscedo: la produzione annuale di barbatelle innestate di Rauscedo è pari ad oltre 80 milioni di unità. Ed è ormai indiscutibile il ruolo internazionale che ha saputo costruirsi la cooperativa friulana, in quasi un secolo di attività.

Eppure, oltre alla Glera che non è stata “aggiornata” a Prosecco, sui cataloghi Rauscedo figura ancora il “Tocai”, la cui menzione è stata modificata dal Ministero due anni prima, nel 2007.

Poco da aggiungere, dunque, alla risposta rilasciata a WineMag da Monique Truant, referente di Vivai Rauscedo.

“I cloni di Prosecco citati e presenti in catalogo – evidenzia la rappresentante della cooperativa friulana – sono entrati nella procedura di selezione clonale e molti di essi omologati prima che entrasse in vigore l’obbligo di ri-denominare il vitigno con la denominazione varietale ‘Glera’.  Per questo motivo le schede varietali a catalogo sono state inizialmente pubblicate con la dicitura Prosecco”

Avremo cura di aggiornare tutta la nomenclatura all’atto della pubblicazione del prossimo catalogo”

“Poiché i provvedimenti legislativi di modifica alle denominazioni interessano diverse varietà e si susseguono con una certa frequenza nel corso del tempo, diventerebbe per noi estremamente dispendioso dover ripubblicare un nuovo catalogo ogniqualvolta venga introdotta una modifica di nomenclatura ufficiale”.

Questione di costi e di organizzazione, dunque? Così sembra. “Facciamo comunque presente che dall’entrata in vigore del cambio di denominazione da Prosecco a Glera – precisa la referente di Rauscedo – le nostre barbatelle sono state sempre commercializzate con il nome di Glera e accompagnate da documenti di vendita e etichette ufficiali riportanti tale ultima denominazione”.

“Relativamente alle esigue quantità di barbatelle di questa cultivar vendute in passato alla nostra clientela brasiliana, – conclude Monique Truant – ci siamo sempre attenuti ad utilizzare la denominazione varietale autorizzata in base alla normativa vigente negli anni in cui le barbatelle sono state fornite”.

Sintetizzando, dunque: nome sbagliato sullo “scaffale” dove si acquista “Prosecco” (ovvero sul catalogo Rauscedo) ma nome corretto sullo “scontrino fiscale”, dove appare la dicitura “Glera”. Perché c’è carta e carta. Priorità e priorità. E in Brasile, nel frattempo, si balla la samba.

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Breganze celebra il suo tesoro: domenica 20 tutti in piazza per la Prima del Torcolato


BREGANZE –
Domenica 20 gennaio Breganze celebra il suo vino più rappresentativo. Nella cittadina della provincia di Vicenza va in scena La Prima del Torcolato, la festa che vede riuniti in piazza tutti i produttori della Denominazione di origine controllata, per la tradizionale spremitura comunitaria.

È dunque giunto il momento di torchiare i grappoli di Vespaiola che a settembre sono stati vendemmiati perfettamente maturi, selezionati e messi ad appassire in ambienti arieggiati e che hanno raggiunto ora un’elevata dolcezza.

Ma la Prima del Torcolato è anche il momento in cui i produttori aprono le porte delle loro cantine, per accogliere i visitatori nell’ambito del Fruttaio Tour, alla scoperta del Torcolato e delle sue origini.

IL PROGRAMMA
Un ricco programma per la XXIVª edizione della Prima del Torcolato. Alle 9.00 l’apertura della mostra mercato dei prodotti tipici della Strada del Torcolato e dei Vini di Breganze a cura dell’Associazione Pedemontana Vicentina.

Saranno oltre 20 i produttori che, accanto allo stand del Torcolato, esporranno le specialità gastronomiche della tradizione contadina come salumi, formaggi, mieli e prodotti da forno. Dalle 10.00 alle 13.00 sarà possibile visitare le dieci cantine del Consorzio aderenti all’iniziativa Fruttaio Tour: vedi dove e come nasce il Torcolato.

In ogni azienda visite guidate, laboratori ed attività. Verranno inoltre proposti abbinamenti golosi o insoliti al Torcolato e agli altri vini della DOC. Alle 14.30 la sfilata della Magnifica Fraglia del Torcolato che proseguirà poi con la cerimonia di investitura di tre nuovi confratelli e dell’Ambasciatore del Torcolato nel mondo anno 2019 Luigi Dall’Igna, Direttore Generale di Ducati Corse.

Dalle 14.30 alle 17.00 le visite guidate alla Torre Diedo, il campanile di Breganze, per provare l’emozione di un brindisi ad alta quota. Alle 16.00 la premiazione del Concorso Realizza l’etichetta della Prima del Torcolato Vendemmia 2018 e l’asta benefica delle bottiglie della Prima del Torcolato-

Il ricavato verrà devoluto alle popolazioni montane vicentine e venete colpite dal maltempo nell’autunno scorso. Alle 16.30 la spremitura pubblica del Primo Torcolato D.O.C. Breganze Vendemmia 2018 con brindisi collettivo con il mosto appena ottenuto.

Dalle 17.00 alle 19.00, riprenderanno le visite guidate e le degustazioni nelle Cantine aderenti all’iniziativa Fruttaio Tour. Per tutte le info e il programma dettagliato delle cantine: www.breganzedoc.it.

ELENCO CANTINE FRUTTAIO TOUR

CÀ BIASI DI DALLA VALLE INNOCENTE AZ. AGR.
Via Fratte, 12 – 36042 Breganze (VI)
0445 851069
cabiasi@libero.it

CANTINA BEATO BARTOLOMEO DA BREGANZE S.C.A.
Via Roma, 100 – 36042 Breganze (VI)
0445 873112
info@cantinabreganze.it
www.cantinabreganze.it

CANTINA MACULAN
Via Castelletto, 3 – 36042 Breganze (VI)
0445 873733
info@maculan.net
www.maculan.net

COL DOVIGO S.S.
Via Brogliati Contro, 38 – 36042 Breganze (VI)
0445 874264
info@coldovigo.com
www.coldovigo.com

IO MAZZUCCATO
Via San Gaetano, 21 – 36042 Breganze (VI)
0445 308348
mazzucatoandre@gmail.com
www.iomazzucato.it

LE COLLINE DI VITACCHIO GIAMPIETRO
Via Brogliati Contro, 46 – 36042 Breganze (VI)
0445 874487
simone.vitacchio@libero.it

LE VIGNE DI ROBERTO
Via Perlena – 36030 Fara Vicentino (VI)
345 7982799
info@levignediroberto.it
www.levignediroberto.it

MIOTTI FIRMINO AZ. AGR.
Via Brogliati Contro, 53 – 36042 Breganze (VI)
0445 873006
info@firminomiotti.it
www.firminomiotti.it
(solo al pomeriggio)

TRANSIT FARM
Via Valle Zaccona, 25 – 36030 Fara Vicentino (VI)
0445 397083
info@transitfarm.com
www.transit.it

VITACCHIO EMILIO
Via Brogliati Contro, 52 – 36042 Breganze (VI)
0445 873689
mvitacchio@email.it


Prima del Torcolato in breve:
Quando: domenica 20 gennaio 2019
Dove: Piazza Mazzini – Breganze (Vicenza)
Orario Fruttaio Tour: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 19.00
Orario cerimonia di torchiatura: dalle ore 14.30
Parcheggio: gratuito

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“Champagne” Made in Veneto nell’area di Custoza: il miracolo Zamuner


SONA –
C’è un angolo di Francia in Veneto. Cinque ettari di Pinot Nero, Meunier e Chardonnay, vitigni base per la produzione dello Champagne, affondano le radici da oltre 30 anni a Sona, a metà strada tra Verona e il Lago di Garda. Lo “ChampagneMade in Veneto è stato la ragione di vita dell’ingegnere Daniele Zamuner. E lo è oggi per la figlia Alessandra, che gestisce l’Azienda agricola dal 2016, in seguito alla prematura scomparsa del padre.

Il furgone di una ditta di corrieri ha travolto Zamuner in retromarcia, sbalzandolo a 6 metri di distanza. Aveva il suo spumante in mano, nel piazzale della tipografia responsabile dell’etichettatura delle bottiglie. L’unico rumore avvertito dal conducente è stato quello del vetro in frantumi. Così, la missione di Zamuner vive oggi nell’impegno della sua famiglia.

Galeotta fu la visita in Champagne di Daniele Zamuner, negli anni 80. “La domanda che fece ai referenti dell’istituto enologico spiazzò tutti: come posso fare la stessa cosa a casa mia?”. A raccontarlo è una commossa Alessandra.

Una donna ferita da una vita che le ha riservato tanta sofferenza, ma anche un carattere di ferro per poter superare le avversità. Negli occhi azzurri di Daniela, che brillano nel ricordo del padre, sembra di vedere il luccichio dello Champagne.

Prima gli hanno chiesto quanti ettari di terreno avesse. Poi, una volta compreso che si trattava di una piccolissima proprietà, appena 5 ettari, i due interlocutori di mio padre si sono guardati. Hanno sorriso e gli hanno dettato la ‘ricetta’ dello Champagne”.

Nasce così la “cantina bomboniera” di Daniele Zamuner. In paese, come ricordano affettuosamente gli amici dell’ingegnere, tutti lo consideravano un lucido folle. Caratteristiche necessarie anche solo per pensare di produrre Champagne in Veneto, nel mezzo delle Doc Custoza, Bardolino e Chiaretto.

Da buon ingegnere, Zamuner aveva fatto i suoi calcoli. Le colline moreniche di Sona, alle pendici del Monte Spada, si prestavano (e si prestano) all’allevamento di Pinot Meunier e Pinot Nero, oltre allo Chardonnay. Fondamentale la presenza di calcare per questa Franciacorta in miniatura, generatasi in seguito al ritiro dei ghiacciai che hanno dato vita al lago di Garda.

La cantina viene affidata sin dall’inizio a una serie di enologi di fiducia. Oggi il cantiniere è una memoria storica dell’azienda, Gianfranco Meneghelli, vero e proprio braccio destro di Alessandra Zamuner. E il successo degli Champagne Made in Veneto è testimoniato dalla mastodontica porta blindata che “difende” il caveau della cantina.

All’interno sono custodite quasi tutte le annate storiche, oltre alle pupitres necessarie alla maturazione delle pregiate bollicine. Fa un certo effetto, in questa piccola località del Veneto, la vista dello scaffale dove riposano decine di bottiglie di spumante anni Ottanta, ancora da mettere in punta e sboccare.

Sono in vendita – su richiesta specifica alla cantina, che procede al dosaggio al momento dell’ordine – a circa 150 euro. Meno costosi gli anni Novanta, in vendita a 100 euro. Si scende di qualche decina di euro per gli anni Duemila, sino agli ottimi 2009 e 2008 (da poco in commercio): 18 euro. Le due Riserve a 22 euro.

LA DEGUSTAZIONE

Metodo classico Blanc de Noir Brut 2009
. Settanta per cento Pinot Nero, completato da un 30% di Pinot Meunier, 12,5%. Vino di fascino, sin dalla prima olfazione. Il primo spumante messo in commercio da Daniela e dalla sorella Cristina.

Perlage fine e persistente, naso che gioca tra la frutta matura e la crema pasticcera. Ingresso di bocca largo e cremoso, avvolgente, setoso, ma al contempo intenso. E’ come se il Meunier giocasse a fare il fantino, tenendo per le briglie l’esplosività muscolosa del Pinot Noir.

La frutta matura (pesca) e le note esotiche la fanno da padrona, conferendo una beva “pericolosa” a un calice che rischia di sparire in un soffio. Scaldandosi, il bouquet si allarga a note di liquirizia e una venatura vagamente fumé.

Sentore che in bocca di manifesta in chiusura, sotto forma di una sensazione gessosa, che compensa la vena glicerica. Una nota riscontrabile in tutta la linea di spumanti dell’Azienda Agricola Zamuner, dettata dal terroir e dal microclima dell’areale di Sona.

Metodo classico Extra Brut 2008 “Riserva del Fondatore” (ex “Villa Mattarana”). Ancora un 70% di Pinot Nero, ma questa volta con un 20% di Pinot Meunier e un 10% di Chardonnay. Perlage nuovamente persistente e fine. Naso solo lontanamente condizionato dall’affinamento in legno dello Chardonnay.

Il sorso è più elegante del precedente, anche se non si tratta dell’Extra Brut che punta tutto sulla verticalità. Dopo un ingresso dritto e minerale, il palato si allarga a note agrumate e di radice di liquirizia. La “bollicina” è avvolgente e contribuisce a conferire morbidezza al sorso, in perfetto equilibrio con le durezze.

Spumante in evoluzione, ma che mostra già un ottimo livello, soprattutto per la capacità di costruire un blend equilibrato giocando con l’epoca di maturazione delle uve che compongono l’assemblaggio.

Metodo classico Rosé Brut 2009 “Riserva del Fondatore” (ex “Villa Mattarana”). Cresce la percentuale di Pinot Nero, raggiungendo quota 80%. Chiude un 20% di Pinot Meunier, che assieme al dosaggio generoso regala un rosé dominato da note ampie di frutti rossi maturi (fragolina e lamponi), ma in grado di mantenere alta la bandiera dell’eleganza.

Si presenta benissimo alla vista, colorando il calice di un buccia di cipolla preciso e invitante. Come l’altra Riserva entra austero in bocca, per poi avvolgere il palato, mostrando pure un certo carattere. Perfetta la corrispondenza naso-palato, rinvigorita dal fil rouge della mineralità e della nota di liquirizia.

Metodo classico Blanc de Blancs Demi Sec 2009. Giallo con riflessi dorati, perlage fine e persistente per quello che è uno dei migliori italiani assoluti per dosaggio (Demi Sec). Il naso, dominato da note di pesca/albicocca sciroppata, ma anche da netti fiori di ciliegio, potrebbe far pensare al solito vino da dolce.

Ma non è così. Il sorso è elegante e delicato, la bevibilità è ai limiti della legalità: nel senso che la bottiglia (non più il calice) rischia di finire in un baleno. Abbinabile a tutto pasto, il Demi Sec 2009 di Zamuner è uno di quei vini che non stancano mai.

Il segreto è nella scelta della liqueur, che contiene una goccia di Ratafià. Ma la bellezza di questo Demi Sec è nella sua capacità di rappresentare il terroir, in una veste davvero ammaliante. Ai sentori “facili” di frutta e fiori, che allietano la beva, si affianca la consueta punta di fumé. Chapeau.

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ViniVeri Assisi 2019 in scena il 14 gennaio. Anteprima “naturale”, aspettando Cerea

Seconda edizione per ViniVeri Assisi 2019. La giornata di degustazione è in programma lunedì 14 gennaio, dalle 10 alle 17 all’Hotel Valle di Santa Maria degli Angeli (PG). Ingresso a 20 euro, comprensivo di calice.

Un appuntamento dedicato ad addetti del settore, enotecari, ristoratori, sommelier, appassionati e curiosi del vino naturale del centro Italia. Una sorta di “Anteprima” della sedicesima edizione di ViniVeri, che si terrà come di consueto a Cerea, in provincia di Verona, dal 5 al 7 aprile 2019.

A ViniVeri Assisi sono attesi 60 produttori da Italia, Francia e Slovenia, che faranno assaggiare i loro “vini senza addizioni di sostanze estranee alla frutta d’origine e al terroir che le ha generate, né fatti attraverso processi dominanti”. Saranno presenti ad Assisi ViniVeri 2019 anche 6 realtà agroalimentari.

“In natura disponiamo di tutto – dichiara Giampiero Bea, presidente del Consorzio Viniveri – operiamo fiduciosi senza aggiungere e senza togliere, in vigna come in cantina, per incontrare il terroir nel bicchiere”.

La giornata di Assisi ViniVeri 2019 sarà preceduta domenica 13 gennaio da una serie di gustosi appuntamenti. Si inizia dalle 17.30 alle 20.30 con “Aperilò“, un incontro-degustazione con i vignaioli del Consorzio ViniVeri all’Enoteca Rilò 1217 di Montefalco.

Si prosegue con le Cene con i Produttori in undici ristoranti della zona: il Capanno e Cava a Spoleto; Re Tartù, Locanda del Teatro, L’Alchimista e Mordecai a Montefalco; Le Dodici Rondini a Foligno; La Fame e Società Anonima a Perugia; Enoteca Roberto Bocci a Ellera di Corciano; San Giorgio a Umbertide (sotto l’elenco con i riferimenti per la prenotazione

ELENCO AZIENDE PARTECIPANTI ASSISI VINIVERI 2019
Francia – Champagne Christophe Mignon
Francia – Champagne Olivier Horiot
Francia – Champagne Bonnet-Ponson
Francia – Champagne Charlot Pere & Fils
Francia – Champagne Pascal Doquet
Francia – Bourgogne Chapuis & Chapuis
Francia – Bourgogne Philippe Pacalet
Francia – Alsace Domaine Brand & Fils
Francia – Languedoc – Roussillon Domaine Du Traginer

Slovenia Mlečnik
Slovenia Slavček

Piemonte Giuseppe Rinaldi
Piemonte Serafino Rivella
Piemonte Andrea Tirelli
Piemonte Laiolo Reginin
Piemonte Cascina Bricco
Piemonte Cascina Fornace
Piemonte Cascina Delle Rose

Veneto  Case Coste Piane
Veneto Castello Di Lispida
Veneto Gatti
Veneto La Costa

Friuli – Venezia Giulia La Castellada
Friuli – Venezia Giulia Dario Princic
Friuli – Venezia Giulia Ronco Severo
Friuli – Venezia Giulia Vodopivec
Friuli – Venezia Giulia Zidarich

Emilia – Romagna Angol D’amig
Emilia – Romagna Crocizia
Emilia – Romagna Podere Cipolla

Toscana Fattoria La Maliosa
Toscana Le Calle
Toscana Podere Luisa
Toscana Pierini E Brugi
Toscana Poggio Di Cicignano
Toscana Carla Simonetti

Umbria Paolo Bea
Umbria Cantina Ninni
Umbria Raina

Marche Oasi Degli Angeli
Marche Valter Mattoni
Marche Allevi Maria Letizia
Marche Irene Cameli
Marche Maria Pia Castelli
Marche Clara Marcelli
Marche Aldo Digiacomi

Lazio Monastero Di Vitorchiano Suore Cistercensi
Lazio Gioacchino Milana
Lazio La Visciola
Lazio Carlo Noro

Abruzzo Praesidium
Abruzzo De Fermo
Abruzzo Feudo D’ugni
Abruzzo Francesco Massetti
Campania Boccella
Campania Casebianche

Puglia Francesco Marra

Sicilia Salvatore Ferrandes
Sicilia Fattorie Romeo Del Castello
Sicilia Il Censo

Agro-Alimentare Umbria Agrisperanza 1892
Agro-Alimentare Umbria Birrificio Dei Perugini
Agro-Alimentare Umbria Frantoio Filippi
Agro-Alimentare Abruzzo Gregorio Rotolo
Agro-Alimentare Abruzzo Lu Cavalire
Agro-Alimentare Emilia – Romagna Gipi Dei Malvisi

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Ungulati: lettera aperta del Presidente del Consorzio Vino Chianti al ministro Toninelli

FIRENZE – Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta inviata da Giovanni Busi, Presidente del Consorzio Vino Chianti,  all’Onorevole Danilo Toninelli.

La lettera è in risposta all’intervento del Ministro del 4 Gennaio scorso nel quale Toninelli di fatto relegava la questione ad un “mero” problema di recinzioni.

Egr.
On.le Danilo Toninelli
Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

“Non è accettabile dover veder morire un ragazzo di 28 anni sull’autostrada perché si è trovato davanti all’improvviso un cinghiale. Tanto meno è accettabile la sottovalutazione di un problema che oramai ha assunto i tratti di una vera e propria emergenza nazionale.

La tragedia avvenuta nei giorni scorsi in A1 dove, a causa di un improvviso attraversamento di cinghiali, ha perso la vita un uomo di 28 anni e sono rimaste ferite altre 10 persone, infatti è solo il triste epilogo di una emergenza ormai nota a livello nazione e che nessun Governo ha voluto mai affrontare con decisione: gli ungulati.

Il nostro Paese, da nord a sud, ormai è in balia di un incontrollato quanto pericoloso aumento demografico di questi animali che si rendono quotidianamente protagonisti di una migrazione verso i centri abitati che, almeno fino ad oggi, sembra non interessare nessuno.

Sono anni che chi lavora la terra, dagli imprenditori agli agricoltori, si trova costantemente a fare i conti con i danni che questi animali provocano alle varie colture, senza poter fare niente per opporsi. Un vero e proprio bollettino di guerra in cui l’uomo è spettatore inerme di un fenomeno causato da un silenzio assordante con cui la politica, ieri e oggi, ha affrontato la questione.

Lascia quindi piuttosto perplessi che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, nei giorni scorsi abbia derubricato il problema ad un mero controllo delle recinzioni, segno evidente che non ha compreso a pieno la gravità di quanto sta accadendo.

Caro ministro, le possiamo assicurare che non si tratta di un problema di reti o guardrail, ma più semplicemente di selvaggina fuori controllo che si riproduce ormai da tempo senza nessuna cura da parte del suo proprietario. Ovvero lo Stato. Il paradosso infatti sta tutto qui: gli agricoltori e i cittadini si trovano a doversi difendere da quello che è per legge considerato un bene dello Stato.

Le imprese non si dovrebbero difendere dallo Stato, ma dovrebbe essere lo Stato a difendere le imprese. E invece a causa della presenza fuori controllo degli ungulati ogni anno noi imprenditori agricoli ci troviamo a dover rivedere al ribasso le stime delle nostre produzioni con gravi ripercussioni sui mercati. Nel mondo la competizione è spietata e le aziende che rappresentano il Made in Italy dovrebbero essere considerate un patrimonio di tutta Italia e di tutti gli italiani. Invece vediamo che non solo i nostri concorrenti stranieri sono aiutati dai loro Governi, ma che noi dobbiamo pagare la tassa occulta e indiretta dei danni provocati dagli ungulati. Per questo riteniamo che sarebbe giusto prevedere una legge sulla legittima difesa degli agricoltori dagli ungulati, in maniera tale da permettere a chi fa impresa di difendere se stessi e il proprio lavoro”.

Giovanni Busi, presidente Consorzio Vino Chianti

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A Brescia Vino In-dipendente: 64 vignaioli da tutta Italia per la quinta edizione

CALVISANO (BS) – Sono 64 i vignaioli che il 3 e 4 febbraio interverranno a Calvisano, in provincia di Brescia, alla quinta edizione di Vino In-dipendente. L’appuntamento è dalle 11 alle 19 nella Sala Polivalente “Beata Cristina”, in via San Michele.

Scopo della manifestazione è “promuovere il lavoro dei vignaioli che quotidianamente faticano a farsi sentire”. Spazio anche per 8 artigiani del cibo da tutta la penisola, oltre a un ristoratore che preparerà piatti caldi. Si entra al costo di 10 euro: numero illimitato di assaggi e possibilità di acquisto dei vini.

“L’evento – spiega l’ideatore, il sommelier Stefano Belli – raggruppa vignaioli che difendono l’integrità del proprio territorio attraverso una forte etica ambientale, per produrre vino che prevede il minor numero possibile di interventi in vigna e in cantina, attraverso l’assenza di additivi chimici e di manipolazioni innaturali da parte dell’uomo”.

“Interventi – continua Belli – che portano i vignaioli a correre molti rischi, superabili solo grazie alla grande conoscenza in vigna e in cantina. Produrre vino naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando l’utilizzo di chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina, conservando l’unicità del vino dall’omologazione che chimica, tecnologia e industrializzazione hanno portato nelle aziende vitivinicole”.

ELENCO DEI PRODUTTORI 2019
Campania: Il Tufiello
Emilia Romagna: Solenghi Gaetano, Az. Vitivinicola Lusenti, Il Maiolo, Az. Agr. Bragagni, Az. Agr. Tre Rii
Friuli Venezia Giulia: Gaspare Buscemi, San Lurins, Aquila Del Torre
Liguria: Az. Agr. Santa Caterina, Az. Agr. Stefano Legnani, Terre Della Luna
Lombardia: Casa Caterina, Az. Agr. Antonio Ligabue, Scapigliata, Bressanelli Fortunato, Mario Gatta,Torrazzetta, Az. Agr. Barbara Avellino, Az. Agr. Vercesi Del Castellazzo, Josef, Az. Agr. Gualdora, La Rocchetta Di Mondondone, Colle San Giuseppe, L’ulif, Marco Vercesi, Az. Agr. Selva Pietro, Vna Wine, Agr. Villa Picta, Vigne Del Pellagroso
Piemonte: Rocca Rondinaria, La Signorina, Rocco Di Carpeneto, Tenuta Grillo, Forti Del Vento, Carussin Az. Agr., Az. Agr. Garoglio Davide, Cascina Gasparda Az. Agr., Cascina Boccia,Az. Agr. Tenuta Foresto, Cascina Bricco Ottavio, Tommaso Gallina, Cascina Voglietti
Marche: Tenuta Ca’ Sciampagne
Sardegna: Orgosa, Cantina Sa Defenza
Sicilia: Bruno Ferrara Sardo, Abbazia San Giorgio, Casa Vinicola Ferracane, Rappa Raffaella, Valdibella
Toscana: Podere Anima Mundi, Casale Az. Agr.
Valle D’aosta: Az. Vitivinicola Selve
Veneto: Daniele Piccinin, Ca’ Dei Quattro Archi, Az. Agr. La Rosi, Vini Di Luce, Tenuta Maraveja, Santa Colomba, Boschera Winkler, Az. Agr. Pezzalunga

FOOD E DISTILLATI
Abruzzo:
Azienda Agricola Biologica Rotolo Gregorio & C.
Campania: Berola’ Distillati
Emilia Romagna: Torrefazione Lady Caffe’, Az. Agr. Parizzi Fabrizio, Maurizia Gentili
Lombardia: Passion Cocoa, Capriss
Liguria: Az.Agr. La Baita
Sardegna: Orgosolo Liquori
Sicilia: Valdibella

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Max Mascia a Cortina con Veuve Clicquot. In libreria l’autobiografia sul San Domenico

CORTINA – L’anno dello chef “bistellato” Max Mascia è iniziato in una delle località sciistiche più chic dell’Inverno italiano: l’Hotel de la Poste di Cortina.

Quattro serate durante la prima settimana di gennaio che vedono protagonisti gli amuse-bouche diventati cult a Imola: i tortellini fritti proposti nel cono di bamboo, i bonbon di Parmigiano Reggiano con mousse di mortadella e i mini toast croccantissimi.

Food lovers, edonisti e gourmands si sono dati appuntamento per un assaggio sport&chic della cucina di uno dei ristoranti stellati storici d’Italia in pairing con Veuve Clicquot.

E in libreria, edito da Minerva nella collana “Ritratti di Gusto”, c’è la prima fatica su inchiostro dello chef. L’autobiografia “Massimiliano Mascia, il San Domenico di Imola. Piatti e sogni di un cuoco tra le stelle”.

Il libro racchiude la storia di uno dei ristoranti cardine della grande cucina italiana, visto con gli occhi del suo chef, oggi 34enne.

Tra i quattro menù rigorosamente stagionali troviamo le ricette cult del San Domenico, eredità dello zio Valentino Marcattilii (assieme nella foto, sotto), ma anche piatti nuovi e freschi che testimoniano il recupero della tradizione e la necessità di innovare.

Nel cilindro anche altre novità per lo chef, che annuncia un ciclo di cene al Ristorante di Identità Golose, dal 10 al 13 aprile a Milano. “Per me il rispetto della materia prima e della stagionalità sono elementi essenziali e costituiscono la base di partenza nel processo di ricerca e innovazione delle tecniche di preparazione”, spiega Mascia.

Nel capoluogo lombardo, Mascia porterà lo “sbuzzo”. Non un ingrediente segreto, bensì: “La sintesi tutta romagnola di fantasia, estro, tecnica, intuito e manualità. Lo ‘sbuzzo’ – confida lo chef – è ciò che può fare la differenza portandoti, magari, a mettere insieme una cosa che hai visto a New York, con un’altra che hai visto altrove, per farne un qualcosa di nuovo e di buono per te”. E per gli altri, c’è da scommetterci.

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ViViT, accordo “a lungo termine” con Verona Fiere per Vinitaly: nasce la “Organic Hall”


VERONA –
ViViT e Verona Fiere insieme “a lungo termine” a Vinitaly. Il 17 dicembre scorso, i vignaioli dell’associazione Vi.Te – Vignaioli e Territori hanno firmato un contratto di collaborazione con Veronafiere Spa, società organizzatrice di Vinitaly. L’accordo consentirà “un profondo rinnovamento e un’evoluzione nella promozione del mondo enologico legato alla produzione sostenibile e artigianale“.

Altro che crisi del settimo anno. Dopo sette edizioni di ViViT, l’associazione composta da oltre 150 vignaioli provenienti da Italia, Francia, Slovenia e Austria, ha “sentito il bisogno di un passo ulteriore”.

Un patto che fa bene, anzi benissimo, a tutto il mondo del vino italiano, che continua il confronto sotto lo stesso “tetto”, abbattendo qualche barriera ideologica di troppo tra le diverse filosofie produttive.

I DETTAGLI
Dal 7 al 10 aprile 2019, i vignaioli di Vi.Te – Vignaioli e Territori si presenteranno a Vinitaly nel nuovo spazio “Vi.Te”, caratterizzato dal logo e dai colori della stessa associazione, situato all’interno del neonato padiglione “Organic Hall”.

“Elemento fondamentale dell’accordo – evidenziano i vignaioli – è l’incarico assegnato da Veronafiere a Vi.Te per lo sviluppo di convegni e masterclass legati all’agricoltura e alla produzione enologica, che si svolgeranno all’interno di Vinitaly tra il 7 e il 10 aprile 2019, e che proporranno uno sguardo diverso sul rapporto tra vino, produzione e territorio d’origine”.

Ma non finisce qui. E’ confermato anche l’evento su invito AREAViTe19, destinato principalmente a buyers e importatori esteri, giornalisti e ad un limitatissimo numero di operatori del settore. Banchi d’assaggio “libero”, specialità alimentari preparate da artigiani del gusto e occasioni d’incontro “in un ambiente piacevole e rilassante a due passi dalla fiera.

AREAViTe19 quest’anno assumerà le sembianze del “Fuori Vi.Vit”: due giornate, dal primo pomeriggio di domenica 7 alla sera di lunedì 8 aprile, che culmineranno nella festa dei vignaioli di Vi.Te.

Grande la soddisfazione e le aspettative da entrambe le parti. “Un progetto – sottolinea Vi.Te – che apre nuove prospettive di approfondimento culturale, produttivo e commerciale per il tutto panorama enologico italiano e internazionale”.

“È da tempo – evidenzia l’associazione di vignaioli – che si osserva un’esplosione di interesse da parte dei consumatori per una produzione agricola ed eno-gastronomica più sana, rispettosa dell’ambiente e legata al territorio d’origine. In parallelo, però, cresce anche la confusione e la disinformazione su cosa voglia dire ‘biologico’, ‘naturale’, ‘sostenibile’, e via dicendo: tanti gli attori coinvolti e altissimi gli interessi”.

“Sempre di più, infatti, sembra che nel mondo del vino siano gli eventi e le manifestazioni a ‘legittimare’ una non ben definita ‘naturalità’ (e ancora sostenibilità, artigianalità, salubrità, ecc.) per il semplice fatto che un’azienda vi partecipi”, denunciano gli organizzatori del ViViT.

“Senza dubbio – aggiungono – si può trattare di un buon punto di partenza, data la serietà di molti organizzatori, ma che per evitare di alimentare altra confusione dovrebbe tradursi in un messaggio estremamente più definito e strutturato“.

Il compito principale di Vi.Te “è oggi quello di proseguire questo percorso di sviluppo e promozione della conoscenza e della cultura che si genera nel personale rapporto con la terra e il vino. Diversità, consapevolezza e presenza: ecco cos’è il vignaiolo naturale”.

Un obiettivo ambizioso. “La strada è ancora lunga – concludono i vignaioli – ma la possibilità di un dialogo e di un confronto costante tra così tanti soggetti che condividono esperienza e conoscenze, idee e opinioni, si traduce al tempo stesso in una solida base e in un’instancabile spinta di crescita per tutto il gruppo di Vi.Te – Vignaioli e Territori”.

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Prosecco brasiliano: si può fare, stop. Tutto quello che le autorità italiane non dicono


Il “Prosecco” brasiliano si può fare. Punto. Si può scrivere in etichetta. E si può commercializzare, come del resto avviene anche fuori dai confini del Brasile. “That is”. Così è, se vi pare. E se non vi pare fatevene una ragione, pare sostenere l’Ibravin, l’Instituto Brasileiro do Vinho interpellato in esclusiva da WineMag.

A concedere l’intervista – la prima a una testata giornalistica italiana – è Kelly Bruch, consulente legale dell’organismo che riunisce la rappresentanza del settore del vino brasiliano, riconosciuto dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv) come “responsabile per le aziende vinicole brasiliane nel mondo”.

Bruch spiega nel dettaglio qualcosa di ormai assodato, ma che da noi non si dice: le richieste dell’Italia, attraverso Unione italiana vini (Uiv), Coldiretti e Ue, per citarne solo alcuni, fanno il solletico a Brasilia.

Il Paese sudamericano vince facile, grazie a una legislazione interna che avalla l’utilizzo del termine, ma soprattutto a una serie di norme internazionali che mettono in dubbio le capacità del Belpaese di tutelare i propri “brand” in sede politica.

A incoronare la spumantistica brasileira, del resto, sono sempre più concorsi internazionali.

Nel 2018 sono stati 302 i riconoscimenti ricevuti dai vini brasiliani da parte della critica mondiale. Ben 210 riguardano la categoria “spumanti”. A renderlo noto è l’Associação Brasileira de Enologia (Abe), corrispettivo “carioca” della nostra Assoenologi.

Altro dato indicativo: il prezzo medio del Prosecco brasiliano si aggira sul web tra i 70 e 120 Real: 15/27 euro. Con i nostri “base” costretti spesso a rincorrere, giocando a un ribasso fino a 50 Real (fonte: e-commerce Wine.Com.Br e Brasil Bons Vinhos) che mette in dubbio il senso stesso dell’export in Brasile.

Chissà che non convenga, allora, estendere la Doc Prosecco anche alla Sicilia, regione dove la Glera è diventata il vitigno non autoctono più allevato, come dimostrato nei mesi scorsi dall’inchiesta pubblicata sull’altra testata del nostro network, vinialsupermercato.it. Almeno, così, giocheremmo in casa. A carte scoperte.

Kelly Bruch, cosa afferma la legislazione brasiliana in merito alla produzione di Glera/Prosecco?

Il nome “Prosecco” è riconosciuto come varietà di uva fin dai tempi dei romani. È un’uva bianca proveniente dall’Italia nord-orientale, ma coltivata in diverse regioni del mondo. In Brasile questo nome viene utilizzato per identificare i prodotti varietali, proprio come con altre varietà: “Cabernet Sauvignon”, “Chardonnay”, “Merlot”, “Moscato” ecc. Questi nomi di varietà sono conosciuti in tutto il mondo, tanto che una delle più grandi cooperative produttrici di semi in Italia, VCR – Vivai Cooperativi Rauscedo, lo vende ancora oggi con lo stesso nome.

Secondo la legge brasiliana, la varietà di Prosecco è stata riconosciuta almeno dagli anni ’70. Questo può essere verificato con l’ordine ministeriale dell’agricoltura n. 1012 del 17 novembre 1978, poi modificato dall’ordinanza n. 270 del 17 dicembre 1988, entrambi in vigore, che riconoscono la varietà del Prosecco come una varietà del Gruppo II Bianco per Vitis vinifera superiore. Nel registro delle cultivar, la varietà di Prosecco è iscritta al Registro nazionale delle cultivar.

Inoltre, l’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio – TRIPS, firmato dal Brasile prima dell’Organizzazione mondiale del commercio e internalizzato attraverso il decreto presidenziale n. 1355/1994 – nel disciplinare relativo alle Indicazioni geografiche, determina all’articolo 24, punto 6, che:

Nessuna disposizione della presente sezione obbliga un membro ad applicare le sue disposizioni a un’indicazione geografica di altri membri relativi a prodotti vitivinicoli per i quali l’indicazione pertinente coincide con la denominazione usuale di una varietà di uva esistente nel territorio di tale membro alla data di entrata in vigore dell’accordo che istituisce l’OMC.

In altri termini, non vi è alcun obbligo legale che imponga ai brasiliani il dovere di astenersi dall’utilizzare la denominazione della varietà di Prosecco nei vini spumanti nel loro territorio nazionale, o di riconoscere questa indicazione geografica in Brasile.

L’Australia, nel 2013, ha negato il riconoscimento del Prosecco nel suo territorio. Ma in questo Paese lo spumante brasiliano della varietà Prosecco può essere commercializzato liberamente. Anche negli Stati Uniti il ​​Prosecco è  riconosciuto come vitigno, oltre che in Cile e in numerosi Paesi produttori di vino.

Nel contesto dei negoziati Mercosur, l’Ue ha chiesto il riconoscimento in Brasile del Prosecco come Indicazione geografica. Nel periodo di opposizione, il settore del vino brasiliano ha presentato opposizione a tale richiesta. Per quanto riguarda la Glera, non conosciamo questa denominazione.

Quanto “Prosecco” c’è in Brasile?

Secondo il Cadastro Vitícola, ovvero il catasto viticolo, lo stato del Rio Grande do Sul ha circa 275 proprietà con uve della varietà Prosecco, per un totale di 172,7 ettari vitati. Negli ultimi vent’anni, quest’area è cresciuta di sette volte. Nel 2018 sono stati trasformati 3,1 milioni di litri di vino con varietà di Prosecco. Secondo i dati ufficiali, attualmente, il 18,5% degli spumanti brasiliani contiene Prosecco.

Questa è una grande varietà, dal momento che la sua produzione è stata, ad esempio, 3.030.347 kg di uva nel 2014 e 3.319.779 nel 2015. Nel 2016 c’è stato un calo del raccolto di tutte le uve (attorno al 70% della produzione) e le statistiche 2017 non sono ancora disponibili.

Questa varietà rappresenta in Brasile oltre 3 milioni di Real (circa 675 mila euro) solo per l’acquisto di uva dal produttore rurale, che rappresenta oltre 90 milioni di Real (20,2 milioni di euro) l’anno in commercializzazione, se si considera la quantità di vini spumanti prodotti con questa varietà.

Qual è la posizione delle autorità brasiliane in merito alla presa di posizione dell’Italia e dell’Ue?

Il 1 ° agosto 2009, l’Unione europea ha riconosciuto la denominazione d’origine protetta (Dop) del Prosecco per i vini. Il termine Prosecco è stato utilizzato per designare una varietà di uva bianca della specie Vitis vinifera, con caratteristiche che lo rendono adatto alla produzione di un ottimo spumante, che si è adattato molto bene nella Serra Gaúcha. Oggi, un gran numero di aziende vinicole hanno vini spumanti fatti da questa varietà.

Il regolamento 606/2009 ha riconosciuto questo vitigno nell’Ue, prima della sua modifica (regolamento 1166/2009), che ha trasformato il Prosecco in Glera. Anche nell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv) è chiaro che questo nome si riferisce a una varietà in sette Paesi, tra cui il Brasile.

Nell’analizzare la “Lista internazionale delle varietà di uva e dei loro sinonimi”, pubblicata dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino, edizione 2013, pagina 136, ci sono 6 occorrenze di Prosecco, contenenti sinonimi come Proseco, Prošek, Teran bijeli e Glera.

Persino la Croazia, quando entrò nell’Unione Europea, ebbe lo stesso problema quando il governo italiano cercò di impedire loro di usare l’espressione millenaria Prošek per un vino bianco dolce fatto con uva prodotta nella regione della Dalmazia, nella costa orientale della Croazia: un vino noto sin dal 305 A.C., quando quest’area apparteneva all’impero romano.

Tutto questo perché l’Unione Europea è arrivata a riconoscere il Prosecco come Denominazione d’Origine Protetta dal 1 ° agosto 2009. Ciò è confermato dall’emendamento di tutta la legislazione dell’Unione Europea mediante il Regolamento n. 1166/2009, del 30 novembre.

Secondo i dati ottenuti dal sito ufficiale del blocco regionale, almeno dal 1979 esistono registrazioni riguardanti l’organizzazione del mercato del vino che menziona il Prosecco come una varietà per la produzione di vini spumanti aromatici.

In questo modo, improvvisamente, il Prosecco viene chiamato Glera per gli europei, che desiderano che accada all’istante nello stesso modo per il mondo intero. Ma la stessa Ue aveva già riconosciuto il Prosecco come varietà.

In Brasile, questa varietà è stata a lungo riconosciuta come tale, come già detto. Pertanto, il Prosecco è chiaramente trattato in Brasile come varietà di uva, tipica per la produzione di vini spumanti.

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Quello che gli enotecari non dicono

Scusa, ce l’hai il Bricco del Pisellone?
Dell’Uccellone! Bricco dell’Uccellone!
Sì, quello! Bravo!

Tutto ciò che avreste sempre voluto sapere del lavoro in enoteca, ma nessuno vi ha mai confessato. Sotto Natale, complici i regali e i vari pranzi e cene da organizzare, gli avventori nei wine shop aumentano. E non tutti i clienti sono “tecnicamente” preparati sul tema “vino”. Anzi, sono proprio i meno esperti a rivolgersi al personale delle enoteche. In cerca di aiuto e consiglio.

Ecco quindi volare gli strafalcioni e le richieste assurde, confessate a WineMag da un enotecario di Milano. L’impreparazione sui prezzi del cliente occasionale pare andare per la maggiore.

Vorrei un Amarone, possibilmente sotto i 10€. Vorrei fare un pensierino…

Ha Sassicaia 2015?
No guardi, è finito da un po’. Se vuole un supertuscan ho Tignanello, siamo sui 75€
No no! Così caro no!
????

Seconda classificata l’impreparazione tecnica. Dalla signora che afferra una bottiglia di Barolo e chiede “Ma è un vino fermo? Ah sì? Ed è secco?“. Fino al signore che chiede: “Vorrei un Gewurztraminer. Bianco mi raccomando”. “Guardi, bianco il Gewurz l’ho proprio finito. Se vuole ce l’ho rosso, va bene lo stesso?”.

C’è poi la ragazza che cerca una “bollicina morbida” per brindare col fidanzato. E dopo aver sentito (ma non compreso) la differenza tra Franciacorta e Franciacorta Saten chiede dubbiosa: “Ma è comunque vino?“.

Per non parlare di quella che il confidente enotecario di WineMag definisce “presunzione di sapere” in merito agli abbinamenti cibo-vino. L’esempio più palese?

Vorrei un bianco da abbinare al pesce
L’enotecario chiede come si intende cucinare il pesce e formula una proposta, che viene rifiutata. Formula allora una seconda proposta, anch’essa puntualmente rifiutata. Quindi una terza, alla quale il cliente risponde così: “No, no. Meglio di no. Sa cosa faccio? Mi prendo un bel Lambrusco!“. Fai come vuoi!

QUELLO CHE GLI ENOTECARI NON DICONO
Quello che gli enotecari non dicono è che, sotto sotto, gli strafalcioni enologici dei clienti sono uno spasso ed aiutano a sorridere in giornate di lavoro oggettivamente intenso. A volte, più il cliente la spara grossa e più la cosa è occasione per una battuta fra colleghi ed amici.

Quello che gli enotecari non dicono è che non è l’impreparazione dei clienti a dar fastidio. Ci sta che un cliente sia impreparato sull’argomento, così come noi lo siamo su altre questioni e chiediamo aiuto a negozianti e commessi.

Quello che infastidisce è la presunzione di taluni. Soprattutto sui “grandi nomi” del vino, senza avere effettiva consapevolezza di cosa si stia parlando. Quelli che basta spendere. Quelli che arrivano col telefonino in mano e controllano le recensioni e i punteggi di Vivino, ad ogni proposta dell’enotecario.

È questa sorta di arroganza, data da non si sa ben cosa, ad indispettire chi fa del vino una passione ed una professione. Ma è davvero il cliente il problema? Pensiamo di no.


LA CULTURA DEL BERE

Se nel 2019 l’enotecario si sente chiedere “un prosecchino di Franciacorta“, o se quando propone un Chianti Classico o un Brunello gli viene chiesto “Ma è rosso?“, se spiega la differenza fra Barolo e Amarone per le esigenze di abbinamento espresse del cliente, sentendosi dire “Ma il rosso non è semplicemente un rosso? Non son tutti uguali?“, la colpa non è del cliente. La colpa è nostra.

Enotecari, produttori, sommelier, wine journalist, blogger e influencer. Siamo noi a dover raccontare il vino (ed in generale il mondo del buon bere) nel modo più semplice e comprensibile. Siamo noi, giorno dopo giorno, proposta dopo proposta, articolo dopo articolo, post dopo post, degustazione dopo degustazione, a dover fare cultura.

A educare chi il vino lo consuma semplicemente, anche se condizionato da vaghe pretese e mode, legate ai nomi “di grido”. Troppo spesso ci si dimentica che la cultura del bere si diffonde lentamente. Molto lentamente.

Che diffondere cultura del vino non vuol dire attirare l’attenzione su di sé, ma porre il vino stesso al centro, rendendolo accessibile (e comprensibile) a tutti. Pronti per la sfida? Buon 2019 alla comunicazione del vino, da noi di WineMag.

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Io bevo così: 15 domande agli organizzatori su vini naturali, ristoranti e comunicazione


MILANO –
Entrano solo operatori Horeca e giornalisti. Porte chiuse al pubblico – forse (anche) per “tagliare fuori” le note frange di ultras del vino naturale – e arrivare dritti al punto: promuovere alla ristorazione di qualità le “piccole realtà vitivinicole artigiane e contadine”, spesso incapaci di muoversi in maniera efficace a livello commerciale.

Io bevo così, in programma lunedì 14 gennaio 2019 all’hotel Excelsior Gallia di Milano, è l’evento più garbato (e chic) del “vino naturale” in Italia, paragonabile solo a Vinnatur di Angiolino Maule. Lo organizzano per il sesto anno consecutivo Andrea Pesce e Andrea Sala, imprenditori sensibili al movimento dei vini “non convenzionali”.

Pesce ha trasformato la salumeria di famiglia in caffetteria ed enoteca, dando vita a Vini e più. Sala ha fondato la distribuzione That’s Wine, che propone a ristoranti, enoteche e bar una selezione di vini naturali.

Come è nata l’idea di “Io bevo così”?

L’idea nasce nel 2014 quando abbiamo sentito l’esigenza di portare nel nostro territorio (in particolare Lecco-Como e la Brianza) un evento che promuovesse piccole realtà artigiane e contadine legate alla propria terra e che producessero vini senza l’utilizzo di sostanze chimiche, dando così un’interpretazione quanto più fedele del territorio e dell’annata senza ricorrere a compromessi o scorciatoie.

I nostri rispettivi lavori (all’inizio eravamo in 3) sono stati un motore non indifferente per poter partire con questa idea che all’inizio ci sembrava tanto folle quanto brillante. Da allora le cose sono cambiate e sempre migliorate sino ad arrivare a oggi.

L’affluenza è cresciuta negli anni?

“Io bevo così” era inizialmente organizzato in provincia di Lecco e a Milano. Siamo passati dai 120 espositori e 1100 partecipanti del 2014 ai 1700 partecipanti e 97 produttori del 2017. A Milano, 300 persone e 30 produttori nel 2015, fino alle 400 persone (massima capienza della location) con 40 produttori del 2017. Nel 2018 un unico evento a Milano dedicato agli operatori e alla stampa di settore, all’Excelsior Hotel Gallia: 400 attività commerciali (600 persone), 100 testate giornalistiche, 90 produttori.

Ma cos’è il “vino naturale”? E’ corretto chiamarlo così?

È difficile poter dare una definizione unica e ufficiale di “vino naturale” fino a che non ci sarà un disciplinare registrato come per il biologico o il biodinamico. Quello che è il nostro pensiero e i punti di riferimento sui quali ci basiamo per la selezione delle aziende sono: l’assenza di utilizzo di pesticidi, diserbanti, prodotti sistemici, ecc in vigna (quindi vigne come minimo a regime bio o biodinamico), le fermentazioni spontanee senza utilizzo di lieviti in cantina, il non utilizzo di coadiuvanti enologici (enzimi, tannini, batteri ecc), le basse quantità di solforosa e le filtrazioni (se presenti) non sterili.

Vino naturale: c’è qualcosa da migliorare nella comunicazione al giorno d’oggi? I social sembrano popolati da ultras e intransigenti, più che da conoscitori della materia

Non crediamo esista un “modo migliore di comunicarlo”, ma il modo che più si addice alla persona che lo comunica: ognuno di noi, che si tratti di distributori, titolari di wine bar o ristoranti, enotecari, pubblico privato, blogger, appassionati, sceglie una linea di comportamento, come nel lavoro così nella vita e ognuno si prende le responsabilità di quello che dice e di quello che fa.

Ci stiamo rendendo conto che ultimamente sorgono continue polemiche sui social e su alcuni gruppi specifici e di questo ce ne dispiace molto. Dovremmo essere tutti un grande gruppo che aiuta questo piccolo, ma grande ed effervescente movimento. Non crediamo che sia utile a nessuno (ai produttori in primis) farsi coinvolgere in questo genere di battibecchi. E’ uno stile che non ci appartiene.

Vino naturale e ristorazione: quali sono i vantaggi?

Sicuramente la maggiore versatilità di questi vini sugli abbinamenti con i piatti e la possibilità di stupire il proprio ospite (sia neofita che già conoscitore). Senza dimenticare la maggiore digeribilità e “leggerezza” nella beva: caratteristiche che permettono al commensale di poter cambiare più vini durante una cena e di alzarsi il mattino dopo senza i classici mal di testa o bruciore di stomaco, che vengono nella maggior parte delle volte collegate a ciò che si mangia e non a ciò che si beve.

Vino naturale in carta: non se ne trovano, se non in pochissimi ristoranti. Come promuovere l’interesse della ristorazione e dei clienti verso questo segmento?

Certamente a tavola, ma anche e soprattutto con iniziative come la nostra, che ci permettiamo di dire UNICA nel suo genere: perché mettiamo in una giornata dedicata la ristorazione e la comunicazione di settore di fronte alle aziende che a loro volta sono pronte a farsi conoscere. Sarà poi compito della ristorazione e degli uomini che la compongono comunicare al cliente finale questa filosofia, guidarlo e aiutarlo a capire.

Vino naturale in carta: pensiate sia meglio mostrarlo assieme agli altri, oppure in una sezione propria, “indipendente” dal resto della lista?

Riteniamo che creare una sezione a parte in una carta vini sia un po’ ghettizzare. Sarebbe come dire “noi lo facciamo diverso e stiamo in una sezione a parte”. Qui dunque ritorna il ruolo fondamentale del front man di sala o del wine bar che deve conoscere a fondo la propria proposta e capire le esigenze de cliente. Invece troviamo un’idea più giusta indicare a fianco delle referenza in lista (con un simbolo o altro) se si tratta di un vino naturale (vero, artigiano).

Vino naturale a Milano: quali sono i locali consigliati?

Ci sono numerosi locali che hanno dedicato una buona parte, se non la totalità delle proprie referenze al “naturale”. Se dobbiamo citarne alcuni possiamo dire Vinoir, Vinello, Surlì, Bicerin, Champagne Socialist, Forno Collettivo (ce ne sarebbero molti altri) e per i ristoranti ci piace citare Mu Dim Sum, alta cucina cinese con una carta vini davvero interessante, e il “neonato” ristorante di Eugenio Boer, Bu:r, il cui sommelier, Yoel, ha fatto scelte ben precise e mirate.

Io bevo così: e gli altri, perché dovrebbero “così”?

Per ritrovare il gusto del vino, dello stupirsi ogni volta che si stappa una bottiglia perchè è importante quanto quello che mangiamo.

Un hotel 5 stelle a ospitare l’edizione 2019. E’ la risposta naturilista “enofighetta” a LiveWine e La Terra Trema, o qualcosa di diverso? Tradotto: si entra solo in giacca e cravatta e con la “r” moscia?

Non è nostra intenzione fare la “guerra” a nessuno: dal 2015 vi è sempre stata un’anteprima milanese a gennaio dedicata ai soli operatori che vedeva la partecipazione di circa 40 aziende: rappresentava il preludio alla due giorni di maggio che si svolgeva in provincia di Lecco e che ospitava oltre 100 espositori.

Dal 2018 abbiamo deciso di spostarci con un unico grande evento a Milano dedicato ai soli operatori. La scelta della location è molto semplice: riteniamo sia la migliore per spazi, logistica, posizione e servizi per quello che è il nostro intento.

La decisione di aprire solo agli operatori non è una scelta fighetta che implica giacca e cravatta o “r” moscia: ci sono moltissime belle fiere in Italia dedicate al vino naturale (tra cui il Live Wine) e che sono aperte al pubblico. Parlando spesso con i produttori ci siamo resi conto che sono stanchi di dover girare l’Italia (con tutto ciò che comporta anche  a livello di spese).

Da noi possono fare tutto in un giorno, con poche bottiglie, arrivando comodamente in treno o in macchina e senza dovere obbligatoriamente stare fuori due giorni. E soprattutto hanno la possibilità di fare contatti con l’operatore finale: che è il loro principale scopo.

A volte con la presenza del privato si crea troppa confusione e l’operatore che ha generalmente poco tempo non riesce ad assaggiare i vini nelle giuste condizioni. Tutti gli operatori a Io Bevo Così entrano su invito senza alcuna spesa: se ci pensate per noi è anche anti-economico non aprire al pubblico. Ma siamo fermamente convinti che questa sia la direzione giusta.

Bere “naturale” fa figo? Quanta “moda” c’è nel fenomeno?

Da quello che vediamo recentemente non crediamo che faccia figo bere naturale, ma più farsi vedere a stappare bottiglioni di blasone con sciabole, telefonini, forchette e chi ne ha più ne metta. Sembrano quel genere di cose a fare tendenza.

Vino naturale e “puzzette”. Il vino naturale puzza?

Ecco il domandone che ci aspettavamo: argomento davvero troppo complesso, perché per alcune persone quelle che sono puzze insostenibili sono invece per altri massima espressione di territorio o di stile o di altro. Certamente alcune imperfezioni nel vino a volte sono le cose che rendono quel vino ancor più accattivante.

Facciamo questa riflessione: perché se un formaggio artigianale ha profumi “particolari”, magari di stalla o di fieno, allora è riconosciuto come autentico/artigianale/senza trucchi e perché con un vino che presenta magari dei profumi di cantina non si è altrettanto clementi?

Tre etichette che avete bevuto a Natale e/o berrete a Capodanno

Se ci dobbiamo limitare a sole 3 etichette: il Metodo classico Revolution Pas Operé 2012 di Cà del Vènt (il vero e unico che non ci fa sfigurare di fronte ai grandi francesi), lo Chardonnay di Borgogna L’Ecart 2005 da vigne centenarie di Gilles e Catherine Vergè e il Buchepale 2016 di Jason Ligas (Ktima Ligas) da uve autoctone Xinomavro di montagna coltivate in permacultura nel nord della Grecia.

Il futuro del vino naturale: su cosa devono puntare i produttori?

Crediamo che i produttori debbano puntare in primis a una totale trasparenza nei confronti dei propri clienti e consumatori finali. Insomma, a nostro avviso vi è la necessità che i produttori facciano gruppo e che spingano tutti insieme e con forza per arrivare a una certificazione ufficiale e unica di “vino naturale”, basata su seri principi. Vinnatur ci sta provando da tempo, incrociamo le dita. Ultimamente assistiamo alla comparsa dei “produttori naturali dell’ultimo momento” su cui nutriamo molti dubbi.

Chi beve naturale può bere e apprezzare anche i vini convenzionali

Bella domanda. Nel mio caso (Andrea Sala) il percorso è stato quello di partire dai convenzionali e iniziare circa 10 anni fa a bere vini naturali. Una strada senza ritorno. Io credo che il vino vada assaggiato senza preconcetti e facendo parlare il bicchiere. Ritengo ci siano moltissimi vini convenzionali molto buoni e che hanno fatto la storia, ma non mi emozionano più. Diciamo che apprezzare un vino è una cosa. Emozionarsi quando lo si beve è un’altra.

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Made in Italy delle Feste: vino e food sul tetto del mondo

E’ record storico per il Made in Italy alimentare sulle tavole delle festività di tutto il mondo con l’export di vini, spumanti, panettoni, formaggi, salumi ma anche caviale che solo per il periodo di Natale supera i 3,4 miliardi di euro, in aumento dell’1%.

E’ quanto emerge dall’analisi Coldiretti sulla base delle proiezioni relative al mese di dicembre 2018 su dati commercio estero dell’Istat. Ad aumentare è il valore delle esportazioni di tutti i prodotti più tipici del Natale, dallo spumante al caviale, dai tortellini e cappelletti fino ai dolci e panettoni e alle grappe e acquaviti, ma crescono anche i tutti i vini, i salumi e i formaggi.

LA CLASSIFICA
A guidare la classifica di questo Natale all’estero è lo spumante italiano, con una crescita del 13% delle vendite. Mai così tanti brindisi come quest’anno nel mondo sono stati (e saranno, dal momento che manca l’evento clou di Capodanno) Made in Italy.

Con la domanda che, sottolinea la Coldiretti, è aumentata in valore del 5% in Gran Bretagna e del 13% negli Stati Uniti che si classificano rispettivamente come il primo e il secondo mercato di sbocco delle bollicine italiane, le quali però vanno forte anche in Francia, patria dello Champagne, dove si registra un incremento degli acquisti del 21%.

“Si tratta di risultati che trainano l’intero settore dei vini – precisa la Coldiretti – per i quali si registra complessivamente un aumento del 3% in valore dell’export. Ad essere richiesti sono anche il caviale made in Italy, che fa segnare una crescita boom sui mercati internazionali con un +39%, e i dolci nazionali come panettoni, altri prodotti della pasticceria tipica delle feste, in aumento dell’1 per cento in valore”.

Aumento a doppia cifra (+12%) per le paste farcite tradizionali del periodo freddo, come tortellini e cappelli. In salita anche la domanda di formaggi italiani che fanno registrare un aumento in valore delle esportazioni del 4%, così come quella di prosciutti, cotechini e salumi (+1%).

“Il record fatto segnare sulle tavole del Natale straniere è significativo delle grandi potenzialità che ha l’agroalimentare italiano che traina la ripresa dell’intero Made in Italy”, ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

“L’andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare da una più efficace tutela nei confronti della ‘agropirateria’ internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale”, conclude il numero uno della Coldiretti.

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Sul perché non dovremmo dare retta alle classifiche di Vivino


Gigi ha 20 anni e vuole darsi un tono con la fidanzatina. Non capisce nulla di vino. Ma lo affascinano i “grandi”, che vede seduti ai tavolini della “Milano bene”, a sorseggiare calici di Champagne. O di quello che lui crede sia Champagne. Gigi, da qualche tempo, ha installato l’app Vivino sul cellulare.

E vota, vota, vota. Due stelle a questo. Quattro a quest’altro. Cinque stelle a ‘sto francese: l’etichetta è bellissima. Una stella al Tavernello: non fa figo. Anzi, fa figo dargli una stella. C’è un solo problema. Gigi gira per enoteche, bar e negozi che espongono vino. Fotografa le etichette e le vota su Vivino.

Non solo Gigi non ha nessuna cognizione di causa in materia. Quei vini, Gigi, non li ha neppure bevuti. Ma vota. Ovviamente solo le etichette più blasonate. Quelle note. Quelle che costano di più e, dunque, sono buone per forza. E alla fine dell’anno, qualcuno farà delle classifiche. Basandosi anche sui voti di Gigi.

Gigi, perfetto idiota enofighetto, fa media su Vivino. Così come il sommelier, l’enologo o il professionista del settore Wine che dà voti coerenti e tecnici. Vivino è il Tripadvisor del vino internazionale. Scegliete il ristorante dove cenare basandovi sulle recensioni di Tripadvisor?

Tutta questa manfrina per dare il peso giusto alle cose, dal momento che per qualcuno, nell’enomondo, la foto a un’etichetta postata su un social avrebbe valore scientifico. O una rilevanza giornalistica. Secondo noi, non è così.

E non ce l’abbiamo col Tignanello, risultato tra l’altro tra i più “popular” del 2018 su Vivino.  Ovvero tra i più fotografati, non per questo tra i più bevuti. A offrire qualche buon motivo, sono gli stessi utenti di Vivino. Roba da far rabbrividire pure Gigi.

Buon prosecco, sorprendente vista la dislocazione geografica. Da utilizzare come vino per aperitivo o anche da abbinare a del buon pesce”, dice l’utente Diego del “Perla di vitigno Brut N.V.“, spumante Charmat di Toso, che su Vivino appare catalogato in Emilia Romagna. Ebbene: non è Prosecco e non è emiliano.

Dice l’utente Vasta del “Furfante” di Rivera: “Fin troppo frizzante, sembrava quasi uno spumante“. Ed è colpa anche di Vivino, che non distingue tra “Frizzanti”, “Spumanti Champenoise / Metodo Classico” e “Spumanti Charmat / Martinotti”, confondendo ulteriormente il consumatore meno esperto.

“Va bene come lozione per spazzolare i cavalli“, commenta l’utente Max sul Nero d’Avola 2017 di Feudi Branciforti dei Bordonaro, valutandolo con 2 stelle Vivino. Dino non è d’accordo: “Ottimo vino per una bella serata”. In medio stat virtus?

Elena, del Lambrusco “Centenario” di Cleto Chiarli dice “Ottimo vino, peccato per il prezzo un po costoso”. Quanto costa? 5,70 euro a bottiglia. Del Bombino Bianco “Panascio” di Giancarlo Ceci, quella cima dell’utente Simone (che su Vivino ha già dato altri 293 voti, dice cose altissime: “Vinello discreto, leggerino di sapore che te manda subito a piscià“. Può bastare.

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Birra artigianale: accordo ICQRF – Unionbirrai per tutela e promozione

ROMA – Tutelare la birra artigianale a salvaguardia dei consumatori e promuoverne la filiera. Accordo raggiunto su più fronti tra l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e l’Associazione Unionbirrai, che raggruppa i Piccoli Birrifici Indipendenti Italiani (PBII) e i piccoli produttori.

Una collaborazione che si sviluppa dalla definizione stessa di “birra artigianale”, sancita dalla legge 154/20165: “La birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione”.

Nello specifico, l’accordo riguarda la condivisione delle linee guida volontarie per gli associati ad Unionbirrai, relativamente alle pratiche di microfiltrazione e ai processi produttivi, l’attività di formazione a beneficio di produttori e consumatori, e soprattutto la possibilità di segnalare all’ICQRF abusi nell’uso della denominazione “Birra artigianale”.

Alla luce del notevole successo che sta riscuotendo la birra artigianale in Italia, con questa collaborazione, il Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo intende valorizzare e riconoscere tutte le realtà grandi e piccole della filiera, promuovere i produttori italiani e sensibilizzare i consumatori di fronte alle eccellenze del nostro Paese.

UN 2018 DA INCORNICIARE
Un accordo che arriva a pochi giorni dalla riduzione delle accise per i birrifici artigianali, ormai in fase di approvazione definitiva con la Legge di Bilancio 2019. Una chiusura d’anno positiva, dunque, per l’intero movimento della birra non “industriale”.

A confermarlo sono i dati forniti da Coldiretti. I birrifici artigianali erano poco più di 200 nel 2008. Oggi, in Italia, sono oltre 860. Tradotto: + 330%. Con una produzione annuale stimata in 55 milioni di litri. L’approvazione dell’emendamento prevede una riduzione delle accise del 40% per chi produce fino a 10 mila ettolitri all’anno.

A spingere la nascita di nuove attività sono i consumi di birra, diventati negli anni sempre più raffinati e consapevoli. Con la ricerca di varietà particolari e numerosi esempi di innovazione, dalla birra aromatizzata alla canapa a quella pugliese al carciofo. Ma c’è anche quella alle visciole, al radicchio rosso tardivo Igp o al riso.

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Eruzioni e terremoto: l’Etna vissuto dai vignaioli di Randazzo


RANDAZZO –
Sembra essersi assestata la situazione sull’Etna, dopo le eruzioni e le scosse di terremoto che hanno generato il panico tra gli abitanti. A Zafferana Etnea e Acireale, due dei centri più colpiti dal sisma, gli sfollati stanno trovando ricovero in alcuni alberghi messi a disposizione dalla Regione Sicilia.

Notizie confortanti arrivano anche da Randazzo, sul versante Nord. Abbiamo raggiunto telefonicamente Nunzio, Stefany e Désirée Puglisi, padre e figlie che conducono l’azienda vitivinicola Enò-Trio in Contrada Calderara. Una famiglia che ama la propria terra, temendo il vulcano ma rispettandolo al punto da metterlo in etichetta.

Qualche minuto prima della scossa iniziale – racconta Désirée – mi trovavo in pescheria, a completare gli ultimi acquisti per la cena della Vigilia di Natale. A un tratto una signora in fila si accorge del terremoto. Eravamo in 10 circa e nessuno si è allarmato. Abbiamo fatto subito collegamento alla Montagna: ‘Scassau a muntagna’ dicevano tutti”.

Rientrando a casa, la giovane produttrice posta sul profilo Facebook della cantina la foto dello spettacolo offerto dal vulcano. Non senza preoccupazione. “Mio zio che abita a Linera, a pochi chilometri da Zafferana Etnea, ha iniziato a inviare diverse foto e video della nube di cenere che stava colorando le strade e le case, senza nessun avvertimento”.

“Tutto il giorno semplice spettacolo – ricorda Désirée – ma lo stesso zio, in piena notte, scrive di trovarsi per strada con la sua famiglia perché c’è stato un terremoto fortissimo. Tutta la popolazione si trova nei punti di ritrovo, racconta di panico e di ansia generale. Ma per fortuna nessun danno, nel suo Comune. Solo il rumore tremendo e le immagini di una casa che sta per crollargli addosso”.

A Randazzo invece, dove vive Désirée, il terremoto “si è avvertito poco, senza nessun allarme particolare”. Cosa si prova al cospetto dell’Etna in eruzione? “Non si può descrivere – commenta la vignaiola – è una sensazione a metà tra l’essere ansiosi e l’essere sbalorditi. Preoccupazione per i parenti che stanno dall’altro lato, pronti a fuggire in caso di necessità”.

Ma noi viviamo qui. Questo è il nostro modo di vivere. E sappiamo che accade tutto questo, ogni tanto. Il problema si pone quando l’Etna non si fa sentire”

Secondo quanto riferisce l’Osservatorio Etneo dell’INGV (Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia) sulla base delle attuali manifestazioni, sarebbero esclusi, al momento, problemi alle popolazioni ed alle principali infrastrutture.

“L’effusione lavica prodotta si riversa dalla base del Nuovo Cratere di Sud-Est entro l’ambiente desertico dell’ampia Valle del Bove. Tuttavia, sebbene le evidenze vulcanologiche più superficiali indichino una diminuzione dell’attività eruttiva generale, le informazioni desunte dai segnali geofisici non permettono di escludere una possibile alimentazione, tuttora in corso, del dicco che si è intruso”.

“Sulla base della distribuzione della sismicità attuale – continua l’Osservatorio – tale dicco potrebbe interessare un settore diverso dall’attuale teatro eruttivo, con l’apertura di nuove fratture eruttive a quote più basse di 2400 metri, in coincidenza della parete occidentale ed in quella meridionale della Valle del Bove”.

L’Osservatorio Etneo dell’Ingv sta monitorando senza sosta l’evolversi dei fenomeni in stretto contatto con il Dipartimento della Protezione Civile e tutte le Autorità di Protezione Civile.

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Schenk investe nel Prosecco Docg: nuova cantina e vigneti per Bacio della Luna

ORA – Tempo di bilanci per Schenk Italian Wineries, gruppo di Ora (BZ) dal potenziale superiore ai 50 milioni di bottiglie annue (52 milioni nel 2017). L’obiettivo del 2019 è raggiungere quota 10 milioni di bottiglie con i marchi Premium e Territorio. Ma non solo.

Schenk annuncia l’acquisto di nuovi vigneti nell’area del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg. Per l’esattezza a Vidor (TV), dove opera “Bacio della Luna Spumanti Srl”, casa spumantistica che fa parte del gruppo.

La cantina sarà ampliata con un piano triennale d’investimento di oltre 4 milioni di euro. Fondi a pioggia anche sulle altre aziende del Gruppo Schenk, con lo sviluppo e il rinnovamento delle cantine di Lunadoro a Montepulciano e Kellerei Auer ad Ora.

I NUMERI
“Solo nel mercato Horeca – dichiara Daniele Simoni, Amministratore delegato di Schenk Italian Wineries – abbiamo già superato le 600 mila unità per queste etichette e credo arriveremo in anticipo ad 1 milione. Risultato, questo, che avevamo prefissato per la fine 2020″.

I successi raggiunti in questo anno complesso e l’ottima vendemmia 2018 fanno preannunciare quindi un 2019 davvero straordinario, dove non avremo alcuna restrizione in termini quantitativi e potremo andare sul mercato aumentando i volumi e mantenendo altissima la qualità”.

“Grande soddisfazione – continua Simoni – ci hanno inoltre dato tutti i nuovi prodotti, in particolare quelli della linea Masso Antico, che sono stati recepiti in modo straordinario a livello di vendite. Nonostante mercati come Stati Uniti e Nord Europa abbiano registrato una flessione a livello generale, i numeri di Schenk Italian Wineries, raccolti fino ad ora, raccontano di un quadro molto positivo sulla distribuzione dei marchi e sull’export”.

Un team, quello di Schenk, che ha visto un rinnovamento con l’ingresso di nuove figure giovani, tra tecnici, enologi, agronomi, analisti. “Persone – commenta l’ad Simoni – che hanno portato innovazione ed entusiasmo, con una ristrutturazione totale della forza vendita interna e un ampliamento di spessore della rete degli agenti”.

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degustati da noi news news ed eventi vini#02 visite in cantina

I vini della Valle Isarco in 60 assaggi delle 19 cantine. E’ l’Alto Adige da scoprire


BRESSANONE –
Immaginate un lungo e stretto canalone dai fianchi ripidi, che lascia poco spazio all’uomo e tanto alla natura più selvaggia. Rotta solo dalle geometrie precise dei vigneti, fin sopra gli 800 metri d’altezza. Sarà capitato anche a voi di finire imbottigliati nel traffico della Valle Isarco, sull’arteria autostradale che collega Bolzano all’Austria.

E’ la legge del contrappasso di una delle terre del vino meno conosciute d’Italia. Tanto toglie in quel po’ di pianura concessa all’uomo, tanto regala sui clivi mozzafiato, grazie all’opera laboriosa di un gruppo ristrettissimo di viticoltori. Diciassette piccole cantine e due cooperative.

Sono loro l’anima della Valle Isarco. Forti e uniti in un’unica voce, in cui si distinguono le sfumature dei differenti terroir. Vignaioli che sanno di non essere né a Termeno né a Caldaro. Né a Cortaccia né a Santa Maddalena.

Ma non per questo in un territorio meno unico o meno meritevole di essere raccontato, “dalla montagna al calice”. Un’unione sancita da EisacktalWein, che dal 2015 ha fatto suo questo slogan.

E’ nato così un Consorzio che riunisce 19 produttori di vino della Valle Isarco e diverse strutture di accoglienza, ristorazione e promozione, “con l’intento di incoraggiare lo sviluppo del territorio favorendo i contatti interni tra i diversi soci e lo scambio di esperienze e informazioni”. Quando si dice “fare rete“.

A presiederla c’è il giovane Armin Gratl, già direttore generale di Eisacktaler KellereiCantina Valle Isarco, una delle due cooperative sociali della zona (l’altra è Kloster-Neustift, l’Abbazia di Novacella). Da soli, i due colossi controllano poco più della metà degli ettari vitati complessivi della Valle Isarco (400).

Un’area dall’anima bianchista, vista la predominanza dei vitigni a bacca bianca (89,25% contro i 10,75%). Tra questi gioca un ruolo dominante il Kerner (82 h – 20,5%), seguito da Sylvaner (69 h – 17,25%), Müller Thurgau (59 h – 14,75%), Gewürztraminer (51 h – 12,75%), Riesling (28 h – 7%) e Grüner Veltliner (25 h – 6,25%), seguiti a ruota da Pinot grigio (Grauburgunder), Pinot bianco (Weissburgunder), Sauvignon e Chardonnay.

Sul podio dei vitigni a bacca rossa lo Zweigelt (17,0 h – 4,25%), seguito da Blauer Portugieser (10 h – 2,5%), Schiava / Vernatsch (8 h – 2 %) e Pinot nero / Blauburgunder (8 h – 2%). Le bottiglie prodotte sono 2,2 milioni, con l’Italia che resta il mercato principale (75%) seguito da Europa (Germania e Svizzera in primis) e Paesi terzi quali Usa e Giappone (10%).

Si parla ovviamente di vini destinati all’Horeca, con le cooperative impegnate solo marginalmente nella Grande distribuzione organizzata, con cifre che sfiorano il 10% del totale prodotto. Del resto, lo stato di salute finanziaria delle “big” è buono.

Cantina Valle Isarco segna quest’anno un +6,5% sul fatturato, passando da 5,9 a 6,3 milioni di euro. Bene anche la cantina dell’Abbazia di Novacella: bilancio a 7,5 milioni, su un giro d’affari complessivo di 10,5.

Interessanti i progetti di sviluppo delle due cooperative. Cantina Valle Isarco punterà ancor più sulla specializzazione della produzione, attraverso la micro vinificazione in acciaio delle singole parcelle dei 135 conferitori.

Novacella, sotto la guida dell’enologo Celestino Lucin, ha inaugurato da poco la nuova cantina e mira a un incremento fino a 1 milione di bottiglie. Tra le novità del 2019 potrebbe esserci anche un’etichetta di Pinot nero vinificato in anfora.

I MIGLIORI ASSAGGI CON PUNTEGGI

Complessivamente alto il livello dei vini proposti in degustazione durante il nostro tour in Valle Isarco. Promettono bene anche i nettari ancora in vasca, o in affinamento in botte.

E le vecchie annate danno la misura del gran lavoro delle 19 cantine aderenti al circuito EisacktalWein, impegnate nel costante innalzamento qualitativo della Denominazione.

I fari della Valle Isarco, oltre alle due cooperative, sembrano essere ben definiti tra i vignaioli. Su tutti colpisce l’eclettico Florian Unterthiner, alla guida di Weingut Ebner. Benissimo anche Günther Kerschbaumer di Köfererhof Weingut.

Splendida tutta la linea di Markus Prackwieser (Gumphof): vero genio, in grado di produrre vini visionari, di grande longevità. Manni Nössing è invece il re del Kerner. E Bessererhof, grazie al duo Otmar e Hannes (padre e figlio da poco in cantina) regala il miglior Chardonnay della vallata.

Tra le sorprese, da assaggiare il Blaterle 2017 di Rielinger. E c’è anche la “bollicina” che non t’aspetti: sensata, verticale, minerale e “di terroir”, nel segno dei migliori Charmat italiani: il Brut “Isaras” di Cantina Valle Isarco, base Müller Thurgau e Sylvaner.

KERNER
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2017, Manni Nössing: 96/100
Südtirol Alto Adige Doc Kerner 2006 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella: 95/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2017, Köfererhof Weingut: 94/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2016 “Sabiona”, Eisacktaler Kellerei – Cantina Valle Isarco: 91/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner Passito 2016 “Nectaris”, Cantina Valle Isarco: 90/100

SYLVANER
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017 “Lahner”, Taschlerhof: 96/100
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017, Taschlerhof: 94/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Sylvaner 2010 “Sabiona”, Eisacktaler Kellerei – Cantina Valle Isarco: 90/100
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017, Weingut Garlider: 88/100
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017 “Gols”, Griesserhof: 86/100

MÜLLER THURGAU
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Müller Thurgau 2017 “Sass Rigais”, Manni Nössing: 88/100

GEWÜRZTRAMINER
Igt Mitterberg Gewürztraminer Kerner Passito 2015 “St. Cyrill”, Villscheider: 90/100

RIESLING
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Riesling 2016, Köfererhof Weingut: 96/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Riesling 2009, Köfererhof Weingut: 95/100
Südtirol Alto Adige Doc Riesling 2013 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella: 92/100
Igt Mitterberg Riesling 2017 “Viel Anders”, Rockhof – Weingut Rock: 90/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Riesling 2016, Rielinger: 89/100

GRÜNER VELTLINER
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Grüner Veltliner 2017, Weingut Ebner: 95/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Grüner Veltliner 2017 “Gail Fuass”, Rockhof – Weingut Rock: 92/100
Südtirol Alto Adige Doc Grüner Veltliner 2016 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella: 91/100
Igt Mitterberg Grüner Veltliner 2016 “Muga Selection”, Spitalerhof: 88/100

PINOT GRIGIO / GRAUBURGUNDER
Südtirol Alto Adige Pinot Grigio Doc 2017, Wassererhof: 90/100

PINOT BIANCO / WEISSBURGUNDER
Südtirol Alto Adige Pinot Bianco Doc 2017, Weingut Ebner: 94/100
Südtiroler Alto Adige Pinot Bianco Doc Riserva 2016 “Fellis”, Bessererhof: 94/100
Südtirol Alto Adige Pinot Bianco Doc Riserva 2012 “Renaissance”, Gumphof – Markus Prackwieser: 94/100

SAUVIGNON BLANC
Südtirol Alto Adige Sauvignon Blanc Doc 2014 “Praesulis”, Gumphof – Markus Prackwieser: 92/100

CHARDONNAY
Südtiroler Alto Adige Chardonnay Doc Riserva 2016 “Fellis”, Bessererhof: 94/100
Südtiroler Alto Adige Chardonnay Doc Riserva 2004 “Fellis”, Bessererhof: 90/100

PINOT NERO / BLAUBURGUNDER
Südtirol Alto Adige Pinot Nero Doc 2016, Weingut Ebner: 92/100

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Luca Maroni, 92 punti al Fragolino di Aldi (bevanda aromatizzata a base di vino)


Esultino “le nari”, squillino i tromboni, se sul tavolo del Natale hai il Fragolino di Maroni. Il noto critico ha valutato con 92 punti la bevanda aromatizzata a base di vino in vendita nei discount Aldi. Non è uno scherzo.

Novantadue punti a una “bevanda” in vendita sugli scaffali dell’hard discount tedesco a 1,59 euro. Il Fragolino in questione fa bella mostra di sé sul catalogo delle Feste di Aldi, col “maroniano” bollino d’oro a invogliarne l’acquisto. Game. Set. Match.

La descrizione di Maroni non lascia spazio a interpretazioni: “Uno stupendo aroma di Fragola (maiuscolo rafforzativo, ndr) inonda senza mai risultare esagerato le nari. Merito della fragranza e dell’intensità olfattiva dell’uva di base, che brioso e vivido rendono un sì meraviglioso profumo”.

Pura poesia. Peccato che l’aroma tipico del “Fragolino”, ovvero la fragola – come suggerisce il nome stesso della bevanda – è dato dall’aggiunta di specifici aromi al mosto di uve sottoposte a “frizzantatura” in autoclave! Gli aromi “primari” o “secondari”, per intenderci, sono un’altra cosa.

Ma noi di WineMag vogliamo stare al gioco. E nei prossimi giorni, se vi va – ma solo se vi va, e in quel caso fatecelo sapere – inizieremo a recensire Coca Cola, gazzosa e aranciata in vendita nei discount. Bevanda per bevanda, tanto vale andare sul sicuro.

IL “FRAGOLINO” E’ ILLEGALE
Già, perché in realtà la vendita di “Fragolino”, inteso come vino ottenuto dalla vinificazione di “uva americana”, è vietata in Italia e in Europa sin dagli anni Trenta. Da un lato per preservare le varietà autoctone europee. Dall’altro per via dei tenori elevati di metanolo dati dalla vinificazione dell’uva americana, nota anche come “uva fragola”.

Ecco perché il “Fragolino” in vendita nella maggior parte dei supermercati italiani non è quello “originale” (lo si può trovare per esempio in Austria). Si tratta piuttosto di un “surrogato” del vino. Una vera e propria bevanda, che deve il suo sapore all’aggiunta di aromi alla fragola.

E allora oggi, 25 dicembre 2018, brindiamo tutti col Fragolino da 92 punti Luca Maroni, in vendita nei discount Aldi. In alto i calici, in attesa di poter consultare la prima edizione dell’Annuario dei migliori Succhi italiani.

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Tappo di sughero? “Superato”. Le 7 tesi di Walter Massa sulla tappatura del vino

MONLEALE – “E’ da coglioni mettere in vendita 50 mila bottiglie che hanno 50 mila sfumature diverse a causa del tappo, quando uno accarezza la vigna e tratta la cantina come un museo o un santuario per tutto il resto dell’anno”.

Non usa giri di parole Walter Massa, per spiegare il perché della sua ultima battaglia. Nel mirino, questa volta, i problemi dati dalla tappatura del vino con il tradizionale sughero, a fronte di metodi alternativi meno graditi dai consumatori. Più efficaci e, addirittura, più salubri.

A pochi giorni da Natale, giovedì 20 dicembre, il vignaiolo che ha fatto conoscere al mondo il Timorasso ha imbottigliato con 7 tappi diversi 6.600 bottiglie (50 ettolitri) del suo Derthona 2017, vino simbolo dei Colli Tortonesi.

Sette “tesi” differenti, come le ha definite Massa. Per dimostrare analiticamente che una tappatura efficace può aumentare la vita del vino, favorendo un perfetto affinamento in bottiglia. E riducendo al contempo i quantitativi di solforosa: i tanto temuti “solfiti”, che fungono da “conservanti” del vino.

LE SETTE TESI

Un’anteprima della scelta definitiva di Massa, che ha deciso di imbottigliare in sette modi differenti le 60 mila bottiglie di Derthona della vendemmia 2017: 25 mila con Stelvin (tappo a vite), 15 mila con Nomacorc (due tipologie), 15 mila con Diam, 4 mila con Mureddu Sugheri e mille con Bourrassé. Chiudono il cerchio 60 bottiglie di tappo corona: la pennellata finale dell’artista del vino Walter Massa.

Le analisi compiute nel laboratorio della cantina di Monleale, a pochi minuti dall’imbottigliamento, parlano chiaro: con lo Stelvin i livelli di solforosa libera si sono assestati su 22 mg/l, con la solforosa totale a soli 39 mg/l. Valori ben inferiori ai limiti di legge, stabiliti in 200 mg/l per i vini rossi e in 250 mg/l per i vini bianchi in agricoltura convenzionale.

“Il tappo – sottolinea Walter Massa – è la chiosa di tutto il circuito. Non capisco perché dobbiamo continuare, nel 2018 o 2019 che dir si voglia, a giocare a testa e croce. Io sono un artigiano artista del vino e della vigna. Ma la scienza è fondamentale per far godere dell’Italia tutto il mondo, con il vino almeno”.

Sempre giovedì, nella cantina di Massa, era presente Antonino La Placa, Sales manager Italy dell’azienda Vinventions (Nomacorc), specializzata nella produzione di tappi a base vegetale e altre soluzioni come lo Stelvin, garantiti e addirittura personalizzabili dal punto di vista estetico.

Grazie alla somma di Totale Pacchetto di Ossigeno (Tpo), solforosa libera utilizzata dal produttore e tipologia di chiusura scelta – ha spiegato il tecnico – è possibile calcolare in maniera scientifica la shelf-life del vino, ovvero quanto sarà in grado di conservarsi ad ottimi livelli in bottiglia”

Da diversi anni sono sul mercato dei tappi speciali, in grado di garantire scientificamente una micro ossigenazione controllata del vino, in base alle necessità di affinamento. Strumenti che, nella maggior parte dei casi, risultano meno costosi del sughero di qualità.

E IL TAPPO DIVENTA TESI UNIVERSITARIA
Che la questione del tappo del vino sia molto attuale, lo dimostra anche l’attenzione dei giovani studenti italiani di Viticoltura ed Enologia. Carlo Trezzi si laureerà il prossimo anno alla Statale di Milano, dopo il tirocinio effettuato proprio nella cantina piemontese di Walter Massa.

“Ho scelto di improntare la mia tesi sulle varie tappature di Derthona perché ho capito che un vino, per evolversi nel tempo, ha bisogno di uno strumento, il tappo, che non conosciamo ancora appieno”.

“Penso che in Italia ci sia molta disinformazione a riguardo – conclude lo studente – il sughero è un’opzione, ma non è l’unica. Esistono altri metodi, soprattutto per un vino bianco, che possono esaltarlo ancora meglio”.

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Approfondimenti Gli Editoriali news

Nuovo “Codice della Vite e del Vino”: 2 mila pagine e 18 capitoli

Oltre 2 mila pagine e 18 capitoli per il nuovo “Codice della Vite e del Vino”, giunto alla quattordicesima edizione e curato da Antonio Rossi, responsabile del Servizio giuridico di Unione italiana vini (Uiv).

La legislazione vitivinicola è in continua evoluzione e, per seguire la dinamicità dei mercati, necessita di ritocchi e profonde innovazioni, per rispondere in modo puntuale e preciso alle esigenze del mondo produttivo. Questo il senso del “Codice”.

Uno strumento per gli addetti ai lavori, utile a facilitare la consultazione dell’elevato numero di norme nazionali ed europee che regolano il settore della “Vite e del Vino”.

Il volume contiene la rielaborazione e l’aggiornamento dell’intero panorama legislativo nazionale, significativamente mutato dopo l’emanazione del Testo Unico del Vino (legge n. 238 del 12 dicembre 2016) e l’approvazione di gran parte dei corrispettivi decreti attuativi.

Sono altresì presenti le disposizioni nazionali che disciplinano l’attività di produzione e commercializzazione delle bevande, anch’esse parte della complessa realtà legislativa nella quale si inserisce il lavoro quotidiano degli operatori vitivinicoli.

Nelle sezioni dedicate alle normative europee, sono riportati anche i nuovi regolamenti Ue di esecuzione n. 273 del 2018 e delegato n. 274 del 2018, che hanno sostituito e aggiornando le precedenti norme del sistema autorizzativo degli impianti viticoli, dello schedario viticolo, dei documenti di accompagnamento e della certificazione, del registro delle entrate e delle uscite e delle dichiarazioni obbligatorie.

Inoltre, sono illustrati i regolamenti comunitari collegati all’OCM Vino (reg. 1149/16 e 1150/16) e tutte le disposizioni statali applicative collegate alle misure di sostegno.

Nel testo viene poi dato ampio spazio alla disciplina italiana e comunitaria in materia di sistema autorizzativo degli impianti vitati, in particolare ai recenti aggiornamenti al decreto attuativo nazionale e le relative circolari interpretative.

Il “Codice della Vite e del Vino” è frutto di un notevole sforzo editoriale che Unione Italiana Vini porta avanti dal 1977, attraverso il proprio Servizio giuridico-normativo, con l’obiettivo di raccogliere tutte le leggi europee e nazionali di settore, comprese anche le circolari inedite e poco conosciute che, spesso, forniscono indispensabili elementi interpretativi.

Accanto al volume, UIV mette a disposizione il servizio di consultazione legislativo online e la newsletter legislativa, strumenti forniti all’operatore professionale per ricevere tempestivamente le ultime news sulla pubblicazione di nuovi provvedimenti nazionali ed europei.

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degustati da noi news vini#02

Valtellina e Alto Piemonte: il Nebbiolo che convince a Vini Corsari 2018

BAROLO – Tutto bellissimo. Come in un omaggio onirico al re del “Barolo Contadino”, Beppe Rinaldi. Sfumature di Nebbiolo meno note rispetto a quelle delle Langhe, ma in grande spolvero a Vini Corsari 2018. Sembra quasi fatto apposta. Ma non lo è.

Le cantine della Valtellina e dell’Alto Piemonte illuminano la scena del Festival Europeo dei “vini artigianali” di Barolo a pochi mesi dalla scomparsa del “Citrico”. Avrebbe abbozzato un sorriso anche lui, degustando i rossi dei vicini di casa.

Una trentina i produttori artigianali intervenuti anche quest’anno su invito di Marta Rinaldi e dell’Associazione Culturale Giulia Falletti. Tanto spazio all’estero, come di consueto, per dimostrare che il vino abbatte le barriere e le stupide convenzioni dell’uomo. Francia, Portogallo, Spagna, Germania, Austria, Grecia, Repubblica Ceca. Tutti lì, sotto alle volte del castello. Ma anche tanta Italia, a tener alta la bandiera dei vini “non convenzionali”, con etichette di assoluta qualità.

Più alta, rispetto altri anni, l’incidenza di difetti nei vini stranieri. Un dato da tenere a mente per comprendere quanto il movimento dei “naturali” del Bel Paese stia crescendo, al netto della schiera di imbecilli e ultras che danneggiano l’immagine di onestissimi e validissimi produttori.

La palma di Corsari Doc, quest’anno, va alla Valtellina di Pizzo Coca, Barbacàn e Boffalora. Tre cantine che si muovono spesso assieme nelle fiere, in grado di rappresentare alla grande la tipicità eroica del Nebbiolo della Valtellina, localmente noto come Chiavennasca.

NEBBIOLO SUPERSTAR
La vera sorpresa – ma non per i lettori di Vinialsuper – è Pizzo Coca. Dopo varie peregrinazioni in giro per il mondo, il giovane bergamasco Lorenzo Mazzucconi ha deciso di mettere su un’azienda propria a Ponte in Valtellina.

Oggi è in grado di offrire un quartetto di assoluto rispetto, che va da un super “base” Igt Alpi Retiche 2017 (appena 9 euro in cantina, un affare) a un Inferno 2016 (25 euro), passando per Rosso di Valtellina e Grumello.

Vini che evidenziano lo stile di Mazzucconi, elaborato nel massimo rispetto del terroir e del vitigno: frutto e freschezza sempre centrali, in ogni assaggio. Ottima anche la batteria del più esperto Barbacàn (Angelo Sega e i figli Luca e Matteo). Splendido il Valgella “Pizaméj” 2016, succoso e di gran prospettiva.

Altissimi livelli anche per l’intera linea dell’Azienda Agricola Boffalora di Guglielmo Giuseppe, che raggiunge il picco col Valtellina Superiore Docg 2015 “La Sàsa”: frutto grasso, maturo e tannino giovane a riequilibrare un sorso lungo, ancora una volta giovane e promettente.

Un trio da nazionale, questo della Valtellina. Ma si difende benissimo, sempre col Nebbiolo, anche l’Alto Piemonte dell’Azienda Vitivinicola Barbaglia di Cavallirio (NO). A dir la verità, di questa cantina novarese, convince davvero tutto: dalla Croatina al Boca. Ma è “Il Silente” Nebbiolo 2016 a dare la cifra del gran lavoro di Silvia Barbaglia.

Altro vino da dimenticare in cantina, ma già in grado di dire tanto, specie se abbinato bene a tavola. Con la mineralità salina tipica della zona a fare da valore aggiunto a un frutto di gran precisione. Chapeau.

GLI ALTRI ASSAGGI DA RICORDARE
Tra i vignaioli italiani di Vini Corsari 2018 spicca anche l’Azienda Agricola Monte dall’Ora di Castelrotto (VR). L’Amarone Docg 2010 è spaziale e vale davvero tutti e 70 gli euro del prezzo, per la freschezza e la tipicità del sorso che riesce ad esprimere.

Splendido anche il Valpolicella Classico Superiore 2015, degustato in anteprima. Sarà in commercio da gennaio 2019 e conviene fare già la scorta (16 euro più Iva): altro rosso giocato sulla freschezza, con un tocco si spezia e di balsamicità a completare un frutto rosso croccante, da mordere.

Da mani nei capelli tutta la linea di De Fermo, produttore “naturale” dell’Abruzzo (Loreto Aprutino, per l’esattezza) incontrato da Vinialsuper, nei mesi scorsi. Su tutti, il Pecorino “Don Carlino” (17 euro) e l’eccezionale Montepulciano d’Abruzzo 2015 “Prologo” (27 euro), oltre al commovente Pecorino Passito “Pie’ di Tancredi” (17 euro).

Fuori dai confini italiani, sbandando tra una volatile alle stelle e l’altra, si incontrano ottimi produttori come Eric Texier. Siamo nella parte Nord della Valle del Rodano. A convincere è il Saint-Julien en Saint-Alban 2016, biologico non filtrato di Syrah su suolo granitico, da vigne vecchie. Prezzo eccezionale per un vino di prospettiva come questo:  14 euro.

Molto buono anche il Mâcon Verzé 2017 “Le Chemin Blanc” di Nicolas Maillet, vignaiolo della Borgogna. Un bianco adatto a chi ama le percezioni saline forti, dure, con la mineralità iodica a spingere sin dalla prima olfazione e ad accompagnare tutto il sorso. Splendida la chiusura su una dosata percezione di tannino, dovuta alla raccolta volutamente anticipata dello Chardonnay in vigne di oltre 80 anni.

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Mercato Fivi 2018: birre e distillati che sorprendono

PIACENZA – Non solo ottimi vini al Mercato dei Vignaioli Indipendenti Fivi 2018. Vinialsuper ha scovato qualche chicca anche tra i distillati e le birre in degustazione lo scorso weekend a Piacenza.

LE GRAPPE
Intensa e vinosa al naso la Grappa monovitigno BarberaL’Audace” di Vigneti L’Annunziata. Figlia di viticultura Bio ed ottenuta da un singolo vigneto degli anni ’60 si presenta limpida e con chiare note fruttate al naso.

Grappa di corpo avvolge il palato durante il sorso in modo vellutato. Buona persistenza ricca di note in accordo col naso.

Molto elegante la Grappa di Vino Nobile di Montepulciano de Il Molinaccio. Distillata dalla pluripremiata distilleria Nannoni di Paganico coinvolge cui suoi profumi floreali ed erbacei. Fiori bianchi, erba tagliata e fieno. In bocca è setosa con alcol molto ben integrato e per nulla fastidioso.

Dalle Lipari Fenech propone due versioni della proprio Grappa di Malvasia delle Lipari: bianca ed affinata. È la seconda a sorprendere maggiormente: a fianco dei sentori floreali e fruttati presenti anche nella versione bianca si avverte una spezia dolce e soprattutto una nota mentolata che dona freschezza all’intero bouquet.

Pojer e Sandri presentano una grappa monovitigno di Traminer ed un Brandy, entrambi distillati internamente. Pulita ed aromatica la grappa mentre il Brandy, etichettato come “Acquavite Di Vino“, è un prodotto di grande eleganza in cui l’affinamento il legno non toglie né copre il corredo “vinicolo” dei profumi.

LE BIRRE
Due le birre che segnaliamo. Prima fra tutte “Volpe Spaziale” del Birrificio Stuvenagh (l’anima brassicola della cantina Castello di Stefanago). Si tratta di una IGA (Italian Grape Ale) su base Saison cui viene aggiunto mosto di Riesling.

Colore dorato e schiuma bianca è una birra acidula e rifrescante il cui naso gioca a nascondino fra fiori e spezie. Una birra complessa al ma contempo di facile beva.

Al proprio banchetto De Tarczal presenta Inclusio Ultima. Sviluppata con Birrificio Italiano è una birra a bassa fermentazione con aggiunta di luppoli in fiore in bottiglia per la rifermentazione e prodotta come un Metodo Classico: remuage e sboccatura per eliminare i lieviti ed aggiunta di liqueur d’expedition (in questo caso mosto).

Ne risulta una birra di grandissima eleganza. Dorata e con schiuma persistente porta in se un bagaglio aromatico fatto di crosta di pane, erbaceo fresco e frutta fresca. In bocca grande equilibrio fra la morbidezza e l’amaricante dei luppoli. Non lunghissima la persistenza, Inclusio Ultima lascia riscoprire nel retro olfattivo tutti i propri profumi.

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degustati da noi news vini#02

Mercato Fivi 2018: i migliori vini sotto e sopra 15 euro


PIACENZA – Vinialsuper a caccia di vini qualità prezzo al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2018 di Piacenza. Quelli che seguono sono i nostri migliori assaggi Fivi sotto e sopra i 15 euro (franco cantina). Più che mai alta la qualità delle etichette in degustazione tra i 600 vignaioli che hanno preso parte alla Fiera dei record (18.500 accessi nel weekend del 24 e 25 novembre).

Tra i “fenomeni” dell’edizione si segnala lo spopolare dei rifermentati, non sempre in grado di valorizzare il varietale, figli di una rincorsa alla “spumantizzazione” dai risvolti non sempre positivi, neppure tra i vignaioli. D’altro canto si consolida il movimento dei Piwi, con l’ottima Villa Persani (TN) a fare da portabandiera fuori dai confini del Trentino.

Mediamente alta, tra i vignaioli Fivi presenti al Mercato 2018, la qualità dei rosati, con tre etichette che entrano di diritto nella nostra speciale classifica qualità prezzo. Strepitosi alcuni rossi, tra cui emerge il Barolo Bussia 2013 di Giacomo Fenocchio (CN) e il sorprendente Pinot Nero toscano di Podere Fedespina (MS).

Conferma assoluta, tra i vini da dessert, per un’eccellenza tutta italiana come il Vino Cotto Stravecchio della cantina Tiberi David (MC). Tra gli assaggi del Mercato Fivi 2018 anche tanti bei vini rossi “leggeri”, “quotidiani”, tutt’altro che banali: su tutti Montepulciano “Bastian Contrario” de La Marca di San Michele (AN). Ecco la lista completa.

VINI SOTTO AI 15 EURO

Bollicine
Vino bianco Frizzante 2018 “La prima volta”, Vigne al Colle (PD): 7 euro
Vino Spumante Brut Nature Bio “Silvo”, Villa Persani (TN): 8 euro

Bianchi
Gavi Docg 2016 “Terrarossa”, La Zerba (AL): 7 euro
Colli Romagna Centrale Bianco Doc “Opera 5”, Tenuta de’ Stefenelli (FC): 8 euro
Durello Igt Veneto 2016-2017 “io Cloe”, Cantina Tonello (VI): 8 euro
Provincia di Pavia Igt “Arò”, Castello di Stefanago (PV): 10 euro
Vigneti delle Dolomiti Igt Chardonnay 2016 “Felix”, De Tarczal (TN): 10 euro
Umbria Igt Grechetto 2016 “Rigaldo”, Bettalunga (PG): 10 euro
Puglia Igt Verdeca “Striale”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Igt Terre Lariane Bianco “Brigante Bianco” 2017, La Costa (LC): 12 euro
Igt Terre Siciliane Bianco Traminer 2016, Enò-Trio (CT): 12 euro
Igt Terre Siciliane Bianco Carricante 2017, Enò-Trio (CT): 12 euro

Rosati
Puglia Igt Rosato 2017 “Ghirigori”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Rosato 2017 “Crêuza”, Azienda Agricola Deperi Luca (IM): 13 euro
Alto Adige Doc Merlot rosato 2017 “Kotzner”, Armin Kobler (BZ):14 euro

Rossi
Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc “Violin” 2017, Tosi (PV): 5 euro
Colli Euganei Doc Cabernet Franc 2017, Vigne al Colle (PD): 6 euro
Vino Rosso “Sasso”, Azienda Agricola Sandrin (TV): 6,10 euro
Colli Tortonesi Doc Barbera 2015 “Languia”, La Vecchia Posta (AL): 10 euro
Dolcetto d’Alba Doc Superiore 2016, Az. Agr.  La Contrada di Sorano (CN): 10 euro
Trentino Doc Superiore Marzemino d’Isera, De Tarczal (TN): 10 euro
Chianti Docg “Rex Rubrum”, Società Agricola Quei2 (FI), 10 euro
Umbria Igt Sangiovese 2015 “Mattata”, Bettalunga (PG): 10 euro
Puglia Igt Primitivo 2017 “Lenos”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Marche Rosso Igp 2016 “Bastian Contrario”, La Marca di San Michele (AN): 12 euro
Rosso di Montepulciano Doc 2017 “Il Golo”, Il Molinaccio (SI): 12 euro

VINI SOPRA AI 15 EURO

Spumanti
Oltrepò pavese Metodo classico Pas Dosé Docg 2015, Tenuta Belvedere (PV): ?? euro, spumante non ancora in commercio (24 mesi sui lieviti)
Lessini Durello Doc Spumante Metodo Classico “io Teti”, Cantina Tonello (VI): 15 euro
Franciacorta Docg Brut 2015, Corte Fusia (BS): 20 euro
Gavi Docg Spumante 2011 “Francesca Poggio”, Il Poggio di Gavi (AL): 25 euro

Bianchi
Offida Pecorino 2015 “Bàkchai” barrique, Vigneti Bonaventura (AP): 16 euro
Vino bianco Marche Igt 2016 “Raphael”, Tenuta Ca’ Sciampagne (PU): 15 euro
Igt Terre Lariane Bianco “Solesta”, La Costa (LC): 18 euro
Barbagia Igt 2016 “Delissia”, Cantina Canneddu (NU): 25 euro

Rossi
Alto Adige Doc Cabernet Franc 2015 “Puit”, Armin Kobler (BZ): 16 euro
Colli Orientali del Friuli Doc Pignolo 2009, Castello Santanna (UD): 30 euro
Toscana Igt Pinot Nero 2015 “Fedespina”, Podere Fedespina (MS): 35 euro
Barolo Bussia Docg 2013, Giacomo Fenocchio (CN): 45 euro
Toscana Igt Merlot 2013 “Cà”, Podere Fedespina (MS): 25 euro

Dolci
Vino Cotto Stravecchio 2006 “Occhio di Gallo”, Tiberi David (MC): 25 euro

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Gli Editoriali news

Cosa non capisco di Luca Maroni e dei suoi Migliori Vini Italiani


EDITORIALE – Varietali appiattiti, utilizzo sostenuto dei legni, standardizzazione assoluta degli assaggi. La “sagra” del mosto concentrato e dell’appassimento in pianta. Il tutto nel nome di un dogma (aleatorio) come la “piacevolezza”. E’ quanto emerge dalla degustazione de “I migliori vini italiani“, l’evento milanese di Luca Maroni.

Un “critico del vino” davvero sui generis. Maroni, di fatto, ha coniato regole proprie per la degustazione, che solo lui utilizza. Alla base dell’Annuario dei Migliori Vini Italiani di Luca Maroni c’è infatti “l’analisi organolettica-dinamica“.

Mai sentita nei vostri corsi per sommelier e degustatori Ais, Fisar, Fis, Onav? Certo che no. E’ un marchio di fabbrica maroniano. Gran parte delle etichette premiate ha poco a che fare con la qualità assoluta ricercata da altre guide.

Del resto, la presentazione degli eventi del “critico” parla chiaro: “Luca Maroni guiderà il pubblico all’acquisizione del principio della piacevolezza del vino per comprenderne l’essenza e, senza strumenti né magie, condurrà il neofita e l’appassionato attraverso un percorso di fascinazione sensoriale“. E sticazzi, epicureisticamente parlando, of course.

I PREMIATI
Tre righe che potrebbero bastare (e avanzare) per giustificare l’assegnazione di premi come “Miglior spumante d’Italia”, per due anni consecutivi, a realtà come l’Azienda Vitivinicola Vanzini.

Otto milioni di bottiglie e poca rappresentatività (nel calice) di un territorio che vanta una tradizione spumantistica eccezionale sul Metodo classico, come l’Oltepò Pavese. Per vincere è “bastato” un generico “Charmat lungo” da Pinot Nero, in versione rosé lo scorso anno, vinificato in bianco nel 2018.

Ma la spiegazione migliore di cosa è realmente “I migliori Vini Italiani di Luca Maroni” l’ha offerta, a Milano, il rappresentante di uno dei maggiori colossi del vino italiano, Schenk Italian Wineries (55,6 milioni di bottiglie vendute nel 2017):

“I nostri sono vini moderni, dissociabili dal cibo, ottenuti lavorando sulle maturazioni e sul residuo zuccherino, lavorando in vigna, sulla pianta, attraverso appassimenti. Dopo i primi esperimenti fatti con i nostri vini veneti, in particolare con l’Amarone, abbiamo esteso il progetto alle altre tenute presenti in Italia: in Puglia e Sicilia ma anche in Piemonte, dove per smussare la Barbera ricorriamo a legni dolci”.

Siamo sicuri che si producano così i “Migliori vini italiani“? Siamo sicuri che è questo il compito dei critici enologici, in un periodo in cui l’internazionalizzazione sta portando sulle nostre tavole vini di territori dalla scarsa tradizione enologica (in attesa di quelli cinesi)? Siamo sicuri che questi premi valorizzino realmente il patrimonio della viticoltura italiana?

Ma soprattutto: siamo sicuri che Luca Maroni non abbia effettuato consulenze per alcune delle aziende premiate? Qualcuno si è accorto che la valutazione assegnata da Maroni ad alcuni vini Horeca presenti nell’Annuario si discosta di pochissimo da quella di alcune etichette presenti in Discount come Md o Aldi?

Un esempio su tutti: lo splendido Amarone “La Mattonara” 2006 di Zýmē in vendita a 230 euro (98/100 Maroni) e la Croatina Provincia di Pavia Igt “Cantina Clairevue” (96/100 Maroni, in vendita a 2,99 euro da Md Discount, prodotta proprio da Schenk). Sono solo io a pormi queste domande o c’è qualcosa che non va?

Di certo è tutto lecito. Ma ai giovani e giovanissimi presenti all’evento spetta il dovere di informarsi, prima di mettere in bocca il prossimo “piacevole” calice suggerito dalla guida Luca Maroni. E allora prosit. Se son zuccheri, ci addolciremo anche noi. Domani.

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degustati da noi news vini#02

Francesco Moser, Trentodoc da borraccia. In serbo la Riserva

TRENTO – Sembra di vederlo ancora lì, “su strada”. A bruciare chilometri e avversari. Anche mentre sorride contagioso, con indosso il vestito buono. E quella camicia che lascia trasparire la maglietta della salute. Bianca. Ma per tutti ancora “rosa”, almeno di riflesso.

Un giro d’Italia e tre Parigi-Roubaix, a coronare un gran bel palmarès. Lui, la sua bicicletta. E una borraccia. Stai a vedere, piena di TrentodocFrancesco Moser non ce lo dirà mai. Ma i suoi spumanti di montagna parlano chiaro. Dritti, essenziali. Timidi, a tratti. Eppure pronti a esplodere nell’allungo. Sul traguardo. Spumanti in salita. Spumanti sudati, secchi. Verticali.

Spumanti a denti stretti, che lo zucchero è per ragazzini. Spumanti da borraccia. Dalla bici, quell’omone dagli occhi grandi e profondi, è sceso ormai trent’anni fa. Oggi supervisiona altre volate. Quelle imposte agli spumanti Trento Doc della sua cantina di Maso Warth, sopra Trento. In ogni sorso, il rigore d’un tempo.

La stessa disciplina con la quale dev’essere cresciuto Carlo, il figlio maggiore, artefice del rilancio del marchio assieme al cugino Matteo Moser, enologo, e alla sorella Francesca. Una bella famiglia, con un progetto in testa: dalla vigna alla cantina, per dare senso e compimento a una rivoluzione iniziata nel 2011.

LA NOVITA’
La gamma di spumanti Moser è ampia il giusto. I prezzi più che mai abbordabili: non sia mai che qualcuno pensi che il ciclista si sia montato la testa. O, peggio, voglia sfruttare la popolarità per un euro in più al calice. Neanche per idea. Eppure, la gemma deve ancora arrivare: uno spumante Trentodoc “Riserva”.

Una nuova etichetta, dunque. Che oggi sta riposando in cantina e attende solo il momento giusto per essere messa in commercio. Si tratterà, presumibilmente, di un millesimato 2011 o 2013 (ma è solo una supposizione). Minimo 100 mesi sui lieviti (questa, invece, è una certezza).

Ad anticiparlo è l’intera famiglia, che ieri ha accolto la stampa di settore a Maso Warth. A dare un senso all’ambiziosa etichetta del futuro, due verticali che hanno dimostrato la buona tenuta nel tempo dei nettari di casa Moser.

LA DEGUSTAZIONE
Brut Nature 2015 / 2011 e “51,151” Brut sboccatura 2015, 2014 e 2011 (indietro, dunque, fino alla vendemmia 2008). Un tasting utile a scoprire quanto sia cresciuta la cantina, in termini di consapevolezza dei propri mezzi, negli ultimi anni.

Splendida di fatto, tra le nuove annate, la vendemmia 2015 di Nature, non ancora in commercio: farà parlare di sé, nell’allungo, per la sua longevità e il suo stile purista, che disegna un Trentodoc dominato da note agrumate, calcaree e saline. L’essenza della semplicità, che si tramuta in complessità.

Percezione dei lieviti pressoché bandita in casa Moser, col varietale dello Chardonnay e del suo terroir sempre in primo piano (eccezion fatta per la vendemmia 2014, la più dura da “portare a casa” intatta). Ottima la 2013, sempre di Brut Nature, in commercio dal prossimo anno: naso più largo ed espressivo dei precedenti, con esotico e salino d’alga.

Note fumè e di pietra focaia nel 2012 (sboccatura 01/2018). Al naso verbena, ginestra, fiori di vaniglia. Bella spalla acida al palato, a sorreggere note pacate di miele. In forma – anche se non proprio da urlo per un utilizzo del legno troppo invasivo – la 2011, all’inizio del lavoro di conversione della produzione verso più alti standard qualitativi (presto arriverà anche la certificazione bio).

Tra le annate del Brut “51,151” a colpire è invece la 2014: quella da portare a casa, oggi. Bocca elegantemente austera, bel frutto, sapidità. Non le manca nulla. Per gli amanti delle (piacevoli) ossidazioni, da provare la 2011: colore giallo carico che fa presagire un naso mieloso, che in bocca troverà corrispondenza con l’esotico maturo.

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Spirit Experience: al Merano Wine Festival sbarcano i distillati

Il Merano Wine Festival 2018 è stato anche Spirit Experience. Per la prima volta all’interno della Gourmet Arena ha fatto mostra di se una selezione di distillati, masterclass dedicate e preparazioni dei bartender presenti.

Il mondo del vino, in uno dei suoi appuntamenti più prestigiosi, ha aperto le porte al mondo degli spirits. Per la prima volta, i “distillati” hanno messo la punta del piede all’interno del mondo del vino.

Un binomio, quello fra vino e spirits, che in realtà è da sempre ben presente nella testa dei consumatori, ma che ha sempre visto contrapposti i due mondi. Quasi non ci fosse interesse reciproco. Quasi che un bevitore di spirits o di mixology non sia intenditore di vino e viceversa.

E così, mentre a Milano si teneva il Milano Whisky Festival (di cui vi abbiamo raccontato la scorsa edizione), ecco spuntare nella Passerpromenade di Merano bottiglie di superalcolici, amari e vermouth.

Non moltissime, per la verità, e con un forte sbilanciamento al “bere mescolato” piuttosto che al consumo “in purezza”. Ma per essere la prima occasione decisamente un grande successo.

LE TIPOLOGIE, GLI ASSAGGI, LA COCKTAIL COMPETITION

Qualche “incursione” dall’estero, ma sono prodotti e produttori italiani a guidare il gioco alla Spirit Experience. Primo fra tutti il più italico degli spiriti: la Grappa. Protagonista non solo dei banchi d’assaggio ma anche di una masterclass a lei dedicata.

Dalla bianca di Nardini, che propone Extrafina per i 240 della distilleria, alla bianca aromatica di Roner, monovitigno di Gewurztraminer ricca del suo varietale. Sempre Roner propone la ottima Weissburgunder (da noi già degustata a al Milano Rum Day), mentre interessanti sono le due ambrate: Selezioni, edizione limitata di Marzadro ricca di terziari legnosi e Fuoriclasse, riserva 7 anni di Castagner, che non snatura i profumi primari.

Italia che tiene banco anche sul fronte del Gin. Seven Hills stupisce per la freschezza erbacea del suo Dry mentre Greedy Gin, dal veneto, è più profondo e balsamico con note di lavanda e thè verde. Dalla Calabria è Vecchio Magazzino Doganale a sorprendere con un Gin dai sentori affumicati, mentre Gin del Professore gioca su note agrumate e Roner mette i boschi dell’Alto Adige in un Gin che profuma di pino cirmolo.

Italia che si confronta anche sugli altri spirts internazionali. Stock presenta qui il suo Brandy Riserva 20 anni per i 130 di attività, saranno 5000 bottiglie non ancora confezionate (ma abbiamo la possibilità di assaggiare una campionatura): uno spirito di gran corpo ricco di note erbacee e con un leggero tannino probabilmente dovuto ai legni dell’invecchiamento, sapido e persistente chiude in modo leggermente amaricante.


Puni
porta l’intera gamma dei suoi Whisky fra cui spicca Vina, 5 anni di invecchiamento in botte ex Marsala vergine: secco e verticale ricco di note vinose e di frutta secca. Roner tiene alta bandiera del Rum col suo R74: morbido e dolce dai sentori fruttati.

Grande carrellata di liquori della tradizione come Limoncello, Nocino, Cedro, Rabarbaro, Anice e liquori a base di frutta ma è la grande qualità dei Vermouth a cogliere l’attenzione. Martini Riserva Ambrato gioca sul dolce-amaro di miele e rabarbaro.

Roner con GW utilizza il Gewurztraminer come vino base arricchendolo con le botaniche ma senza perderne la caratteristica nota fruttata.

Gamondi (Toso) col suo Vermouth di Torino Superiore Rosso si rifà alla tradizione piemontese dove arancia amara e china donano intensità e freschezza.

Originali le due proposte di Tomaso Agnini. Vermouth al mallo di noce, più morbido e dolce, e Vermouth all’aceto balsamico, più fresco. Ottima l’intera linea di Del Professore: Bitter, Aperitivo ed i Vermouth Classico, Chinato, di Torino e di Torino Superiore.

Aziende italiane che si distinguono per la loro produzione e costante presenza nelle ricette dei bartender di tutto il mondo, come Luxardo, che oltre al famoso Maraschino qui porta anche Bitter, Sangue Morlacco ed il proprio Triple Sec, o come Varnelli coi proprio liquori, amari e distillati.

E proprio Varnelli, per la celebrazione dei 150 anni di attività, è stata la protagonista della Cocktail Competition tenutasi il 12 novembre alla Spirit Experience.

Nove giovani emergenti Bartender italiani si sono sfidati nella preparazione e presentazione di cocktail da loro ideati a base “Varnelli”. Una gara che ha visto vincitore il giovanissimo Alessandro Governatori del Bar Torino di Ancona con la sua ricetta “La merenda di nonno Italo“:

La merenda di nonno Italo
30 ml di Varnelli Anice Secco Speciale
30 ml di Vermouth uvaggio rosso
30 ml di Amaro dell’Erborista
Top Cedrata
5 ml Caffè Moka Varnelli

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I segreti del ghiaccio: primo ingrediente dei cocktail (di qualità)

Quanto è importante il ghiaccio nei cocktail? Se ne è parlato il 12 novembre scorso durante il Merano Wine Festival 2018 in “Cocktail, ghiaccio e servizio nell’alta ristorazione” allo spazio The Circle. Ecco quindi svelati alcuni aspetti che forse neofiti e non addetti ai lavori ignorano.

Spesso il consumatore è portato a pensare che la grande quantità di ghiaccio in un cocktail sia un espediente del barman “furbetto”, che satura il bicchiere col ghiaccio per risparmiare sugli ingredienti. In realtà il discorso è profondamente diverso.

Innanzitutto il ghiaccio stesso è un ingrediente fondamentale del cocktail, nonché l’unico ingrediente comune a pressoché tutte le preparazioni. Compito fondamentale del ghiaccio è raffreddare e tenere alla giusta temperatura gli altri ingredienti tanto in fase di preparazione quanto durante il servizio.

Come ha fatto notare Fabio Bacchi di BarTales: “Un mixologist è come uno chef che al posto di cucinare con il calore usa il freddo per preparare la sua ricetta”. E questo freddo arriva proprio dal ghiaccio.

IL “COMPITO” DEL GHIACCIO
Il ghiaccio nel bicchiere ha quindi il compito di mantenere freddo il nostro drink, ma non solo. Col suo lento sciogliersi, diluisce progressivamente il drink stesso. Questo non è un difetto. Molti drink infatti necessitano di una leggere diluizione per evolversi. Un po’ come il vino che nel calice si evolve, cambia, liberando sempre nuovi profumi e regalando nuove sensazioni.

Ecco perché i bicchieri vengono sempre serviti colmi di cubetti dal buon barman e mixologist. Lo scopo è garantire la giusta proporzione fra drink e ghiaccio. Se il cocktail è ben preparato, infatti, il ghiaccio non galleggia.

Ma anche il ghiaccio, oltre agli ingredienti del cocktail, dev’essere di buona qualità, intesa sia come composizione sia come forma. Più il ghiaccio è trasparente più è puro: è stato cioè ottenuto per lento congelamento di acqua di buona qualità.

IL GHIACCIO “IN FORMA”
Se il congelamento è troppo repentino o l’acqua contiene impurità, ecco che il ghiaccio risulterà non perfettamente trasparente. Con quelle increspature biancastre che a volte ci capita di notare.

La forma fa invece variare la superficie di contatto fra drink e ghiaccio. E quindi anche i tempi di raffreddamento e diluizione. Se il ghiaccio è di buona qualità, se il drink è stato ben preparato, se la proporzione fra liquido e ghiaccio è corretta, ecco che potremo godere di un’ottima esperienza di degustazione.

Quando avremo finito il nostro cocktail, noteremo che il ghiaccio è rimasto quasi per intero nel nostro bicchiere ormai vuoto. Segno evidente che tutto è andato per il meglio. E che barman o mixologist avranno fatto per bene il loro lavoro.

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Merano Wine Festival: alla Gourmet Arena in scena la birra artigianale italiana

MERANO – Il Merano Wine Festival 2018 si è contraddistinto anche per l’alto livello delle birre artigianali presenti nell’area della GourmetArena.

Beerpassion” e non poteva essere diversamente; 10 birrifici a rappresentare da nord a sud, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, un’Italia in cui il fenomeno birra è oramai una certezza.

Lo dimostrano le tipologie delle birre presentate. Ecco quindi far capolino dai banchi non più solo Weiss, Blanche, Golden Ale o Stout ma anche Vienna, Barley Wine, IGA e molto altro.

Lo dimostra la qualità dei prodotti presentati. Balza subito all’occhio (meglio, al naso ed al palato) dopo pochi assaggi come le IPA siano ormai sdoganate dallo stereotipo di birra fortemente luppolata che marca solo sentori agrumati. IPA meno amare e più aromatiche, più complesse e meno stucchevoli.

I MIGLIORI ASSAGGI
Menzione d’onore per Birrificio dell’Etna che presenta la birra più originale ed armoniosa dei nostri assaggi: Poliphemus. Una Italian Grape Ale realizzata con Nerello Mascalese, il vitigno tipico dell’Etna. Scorrevole al palato ho note di frutti rossi, uva sultanina, canditi e miele d’acacia. Luppolo non invasivo. Una birra che si potrebbe abbinare bene con il tipico cannolo siciliano.


Birre pulite e con una propria identità anche le altre della linea. Ulysses è un’American Pale Ale beverina che coinvolge coi sentori luppolati di agrume e frutta tropicale. Ephesto (Belgian Double) è decisamente più complessa: frutta candita, caramello, leggera speziatura per una birra di buon corpo. Prometheus, Imperial Stout, ha note tostate di caffè e cacao che fanno da contorno ad un sentore di frutta sotto spirito.

Conferma l’alto livello della proprio produzione Birra Flea che qui porta Adelaide dal piacevole profumo erbaceo, Margherita dalla spiccata freschezza e sentori del luppolo quasi assenti e Violante, floreale al naso con bocca caramellata e chiusura amaricante.

Le tre birre di Gloria Mundi, giovane birrificio marchigiano, si distinguono per il buon corpo e la grande mineralità. Interessanti le due Vienna, quella a bassa fermentazione di Ca’ Barley, molto maltata e con note di caramello, e quella ad alta fermentazione di Nerobrigante, più tostata e luppolata.

La Morosina, birrificio agricolo lombardo di Abbiategrasso (MI), spicca per Sensia una birra gluten free che compensa il minor corpo con un’aromaticità ricca e variegata. Infine Kukà si fa notare per l’originalità di due calici: Rosa e Caviar. La prima è ottenuta con l’aggiunta di frutti rossi in fase di maltaggio.

Il risultato è una birra di colore e schiuma rosa con un ingresso in bocca fruttato e finale speziato. Caviar è invece ottenuta con l’aggiunta di caviale. Marina e salmastra al primo naso cui seguono profumi fruttati di pesca nettarina per un sorso che chiude con una nota pepata.

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