Categorie
Birra news

Mercato Fivi 2018: birre e distillati che sorprendono

PIACENZA – Non solo ottimi vini al Mercato dei Vignaioli Indipendenti Fivi 2018. Vinialsuper ha scovato qualche chicca anche tra i distillati e le birre in degustazione lo scorso weekend a Piacenza.

LE GRAPPE
Intensa e vinosa al naso la Grappa monovitigno BarberaL’Audace” di Vigneti L’Annunziata. Figlia di viticultura Bio ed ottenuta da un singolo vigneto degli anni ’60 si presenta limpida e con chiare note fruttate al naso.

Grappa di corpo avvolge il palato durante il sorso in modo vellutato. Buona persistenza ricca di note in accordo col naso.

Molto elegante la Grappa di Vino Nobile di Montepulciano de Il Molinaccio. Distillata dalla pluripremiata distilleria Nannoni di Paganico coinvolge cui suoi profumi floreali ed erbacei. Fiori bianchi, erba tagliata e fieno. In bocca è setosa con alcol molto ben integrato e per nulla fastidioso.

Dalle Lipari Fenech propone due versioni della proprio Grappa di Malvasia delle Lipari: bianca ed affinata. È la seconda a sorprendere maggiormente: a fianco dei sentori floreali e fruttati presenti anche nella versione bianca si avverte una spezia dolce e soprattutto una nota mentolata che dona freschezza all’intero bouquet.

Pojer e Sandri presentano una grappa monovitigno di Traminer ed un Brandy, entrambi distillati internamente. Pulita ed aromatica la grappa mentre il Brandy, etichettato come “Acquavite Di Vino“, è un prodotto di grande eleganza in cui l’affinamento il legno non toglie né copre il corredo “vinicolo” dei profumi.

LE BIRRE
Due le birre che segnaliamo. Prima fra tutte “Volpe Spaziale” del Birrificio Stuvenagh (l’anima brassicola della cantina Castello di Stefanago). Si tratta di una IGA (Italian Grape Ale) su base Saison cui viene aggiunto mosto di Riesling.

Colore dorato e schiuma bianca è una birra acidula e rifrescante il cui naso gioca a nascondino fra fiori e spezie. Una birra complessa al ma contempo di facile beva.

Al proprio banchetto De Tarczal presenta Inclusio Ultima. Sviluppata con Birrificio Italiano è una birra a bassa fermentazione con aggiunta di luppoli in fiore in bottiglia per la rifermentazione e prodotta come un Metodo Classico: remuage e sboccatura per eliminare i lieviti ed aggiunta di liqueur d’expedition (in questo caso mosto).

Ne risulta una birra di grandissima eleganza. Dorata e con schiuma persistente porta in se un bagaglio aromatico fatto di crosta di pane, erbaceo fresco e frutta fresca. In bocca grande equilibrio fra la morbidezza e l’amaricante dei luppoli. Non lunghissima la persistenza, Inclusio Ultima lascia riscoprire nel retro olfattivo tutti i propri profumi.

Categorie
degustati da noi news vini#02

Mercato Fivi 2018: i migliori vini sotto e sopra 15 euro


PIACENZA – Vinialsuper a caccia di vini qualità prezzo al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2018 di Piacenza. Quelli che seguono sono i nostri migliori assaggi Fivi sotto e sopra i 15 euro (franco cantina). Più che mai alta la qualità delle etichette in degustazione tra i 600 vignaioli che hanno preso parte alla Fiera dei record (18.500 accessi nel weekend del 24 e 25 novembre).

Tra i “fenomeni” dell’edizione si segnala lo spopolare dei rifermentati, non sempre in grado di valorizzare il varietale, figli di una rincorsa alla “spumantizzazione” dai risvolti non sempre positivi, neppure tra i vignaioli. D’altro canto si consolida il movimento dei Piwi, con l’ottima Villa Persani (TN) a fare da portabandiera fuori dai confini del Trentino.

Mediamente alta, tra i vignaioli Fivi presenti al Mercato 2018, la qualità dei rosati, con tre etichette che entrano di diritto nella nostra speciale classifica qualità prezzo. Strepitosi alcuni rossi, tra cui emerge il Barolo Bussia 2013 di Giacomo Fenocchio (CN) e il sorprendente Pinot Nero toscano di Podere Fedespina (MS).

Conferma assoluta, tra i vini da dessert, per un’eccellenza tutta italiana come il Vino Cotto Stravecchio della cantina Tiberi David (MC). Tra gli assaggi del Mercato Fivi 2018 anche tanti bei vini rossi “leggeri”, “quotidiani”, tutt’altro che banali: su tutti Montepulciano “Bastian Contrario” de La Marca di San Michele (AN). Ecco la lista completa.

VINI SOTTO AI 15 EURO

Bollicine
Vino bianco Frizzante 2018 “La prima volta”, Vigne al Colle (PD): 7 euro
Vino Spumante Brut Nature Bio “Silvo”, Villa Persani (TN): 8 euro

Bianchi
Gavi Docg 2016 “Terrarossa”, La Zerba (AL): 7 euro
Colli Romagna Centrale Bianco Doc “Opera 5”, Tenuta de’ Stefenelli (FC): 8 euro
Durello Igt Veneto 2016-2017 “io Cloe”, Cantina Tonello (VI): 8 euro
Provincia di Pavia Igt “Arò”, Castello di Stefanago (PV): 10 euro
Vigneti delle Dolomiti Igt Chardonnay 2016 “Felix”, De Tarczal (TN): 10 euro
Umbria Igt Grechetto 2016 “Rigaldo”, Bettalunga (PG): 10 euro
Puglia Igt Verdeca “Striale”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Igt Terre Lariane Bianco “Brigante Bianco” 2017, La Costa (LC): 12 euro
Igt Terre Siciliane Bianco Traminer 2016, Enò-Trio (CT): 12 euro
Igt Terre Siciliane Bianco Carricante 2017, Enò-Trio (CT): 12 euro

Rosati
Puglia Igt Rosato 2017 “Ghirigori”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Rosato 2017 “Crêuza”, Azienda Agricola Deperi Luca (IM): 13 euro
Alto Adige Doc Merlot rosato 2017 “Kotzner”, Armin Kobler (BZ):14 euro

Rossi
Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc “Violin” 2017, Tosi (PV): 5 euro
Colli Euganei Doc Cabernet Franc 2017, Vigne al Colle (PD): 6 euro
Vino Rosso “Sasso”, Azienda Agricola Sandrin (TV): 6,10 euro
Colli Tortonesi Doc Barbera 2015 “Languia”, La Vecchia Posta (AL): 10 euro
Dolcetto d’Alba Doc Superiore 2016, Az. Agr.  La Contrada di Sorano (CN): 10 euro
Trentino Doc Superiore Marzemino d’Isera, De Tarczal (TN): 10 euro
Chianti Docg “Rex Rubrum”, Società Agricola Quei2 (FI), 10 euro
Umbria Igt Sangiovese 2015 “Mattata”, Bettalunga (PG): 10 euro
Puglia Igt Primitivo 2017 “Lenos”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Marche Rosso Igp 2016 “Bastian Contrario”, La Marca di San Michele (AN): 12 euro
Rosso di Montepulciano Doc 2017 “Il Golo”, Il Molinaccio (SI): 12 euro

VINI SOPRA AI 15 EURO

Spumanti
Oltrepò pavese Metodo classico Pas Dosé Docg 2015, Tenuta Belvedere (PV): ?? euro, spumante non ancora in commercio (24 mesi sui lieviti)
Lessini Durello Doc Spumante Metodo Classico “io Teti”, Cantina Tonello (VI): 15 euro
Franciacorta Docg Brut 2015, Corte Fusia (BS): 20 euro
Gavi Docg Spumante 2011 “Francesca Poggio”, Il Poggio di Gavi (AL): 25 euro

Bianchi
Offida Pecorino 2015 “Bàkchai” barrique, Vigneti Bonaventura (AP): 16 euro
Vino bianco Marche Igt 2016 “Raphael”, Tenuta Ca’ Sciampagne (PU): 15 euro
Igt Terre Lariane Bianco “Solesta”, La Costa (LC): 18 euro
Barbagia Igt 2016 “Delissia”, Cantina Canneddu (NU): 25 euro

Rossi
Alto Adige Doc Cabernet Franc 2015 “Puit”, Armin Kobler (BZ): 16 euro
Colli Orientali del Friuli Doc Pignolo 2009, Castello Santanna (UD): 30 euro
Toscana Igt Pinot Nero 2015 “Fedespina”, Podere Fedespina (MS): 35 euro
Barolo Bussia Docg 2013, Giacomo Fenocchio (CN): 45 euro
Toscana Igt Merlot 2013 “Cà”, Podere Fedespina (MS): 25 euro

Dolci
Vino Cotto Stravecchio 2006 “Occhio di Gallo”, Tiberi David (MC): 25 euro

Categorie
Gli Editoriali news

Cosa non capisco di Luca Maroni e dei suoi Migliori Vini Italiani


EDITORIALE – Varietali appiattiti, utilizzo sostenuto dei legni, standardizzazione assoluta degli assaggi. La “sagra” del mosto concentrato e dell’appassimento in pianta. Il tutto nel nome di un dogma (aleatorio) come la “piacevolezza”. E’ quanto emerge dalla degustazione de “I migliori vini italiani“, l’evento milanese di Luca Maroni.

Un “critico del vino” davvero sui generis. Maroni, di fatto, ha coniato regole proprie per la degustazione, che solo lui utilizza. Alla base dell’Annuario dei Migliori Vini Italiani di Luca Maroni c’è infatti “l’analisi organolettica-dinamica“.

Mai sentita nei vostri corsi per sommelier e degustatori Ais, Fisar, Fis, Onav? Certo che no. E’ un marchio di fabbrica maroniano. Gran parte delle etichette premiate ha poco a che fare con la qualità assoluta ricercata da altre guide.

Del resto, la presentazione degli eventi del “critico” parla chiaro: “Luca Maroni guiderà il pubblico all’acquisizione del principio della piacevolezza del vino per comprenderne l’essenza e, senza strumenti né magie, condurrà il neofita e l’appassionato attraverso un percorso di fascinazione sensoriale“. E sticazzi, epicureisticamente parlando, of course.

I PREMIATI
Tre righe che potrebbero bastare (e avanzare) per giustificare l’assegnazione di premi come “Miglior spumante d’Italia”, per due anni consecutivi, a realtà come l’Azienda Vitivinicola Vanzini.

Otto milioni di bottiglie e poca rappresentatività (nel calice) di un territorio che vanta una tradizione spumantistica eccezionale sul Metodo classico, come l’Oltepò Pavese. Per vincere è “bastato” un generico “Charmat lungo” da Pinot Nero, in versione rosé lo scorso anno, vinificato in bianco nel 2018.

Ma la spiegazione migliore di cosa è realmente “I migliori Vini Italiani di Luca Maroni” l’ha offerta, a Milano, il rappresentante di uno dei maggiori colossi del vino italiano, Schenk Italian Wineries (55,6 milioni di bottiglie vendute nel 2017):

“I nostri sono vini moderni, dissociabili dal cibo, ottenuti lavorando sulle maturazioni e sul residuo zuccherino, lavorando in vigna, sulla pianta, attraverso appassimenti. Dopo i primi esperimenti fatti con i nostri vini veneti, in particolare con l’Amarone, abbiamo esteso il progetto alle altre tenute presenti in Italia: in Puglia e Sicilia ma anche in Piemonte, dove per smussare la Barbera ricorriamo a legni dolci”.

Siamo sicuri che si producano così i “Migliori vini italiani“? Siamo sicuri che è questo il compito dei critici enologici, in un periodo in cui l’internazionalizzazione sta portando sulle nostre tavole vini di territori dalla scarsa tradizione enologica (in attesa di quelli cinesi)? Siamo sicuri che questi premi valorizzino realmente il patrimonio della viticoltura italiana?

Ma soprattutto: siamo sicuri che Luca Maroni non abbia effettuato consulenze per alcune delle aziende premiate? Qualcuno si è accorto che la valutazione assegnata da Maroni ad alcuni vini Horeca presenti nell’Annuario si discosta di pochissimo da quella di alcune etichette presenti in Discount come Md o Aldi?

Un esempio su tutti: lo splendido Amarone “La Mattonara” 2006 di Zýmē in vendita a 230 euro (98/100 Maroni) e la Croatina Provincia di Pavia Igt “Cantina Clairevue” (96/100 Maroni, in vendita a 2,99 euro da Md Discount, prodotta proprio da Schenk). Sono solo io a pormi queste domande o c’è qualcosa che non va?

Di certo è tutto lecito. Ma ai giovani e giovanissimi presenti all’evento spetta il dovere di informarsi, prima di mettere in bocca il prossimo “piacevole” calice suggerito dalla guida Luca Maroni. E allora prosit. Se son zuccheri, ci addolciremo anche noi. Domani.

Categorie
degustati da noi news vini#02

Francesco Moser, Trentodoc da borraccia. In serbo la Riserva

TRENTO – Sembra di vederlo ancora lì, “su strada”. A bruciare chilometri e avversari. Anche mentre sorride contagioso, con indosso il vestito buono. E quella camicia che lascia trasparire la maglietta della salute. Bianca. Ma per tutti ancora “rosa”, almeno di riflesso.

Un giro d’Italia e tre Parigi-Roubaix, a coronare un gran bel palmarès. Lui, la sua bicicletta. E una borraccia. Stai a vedere, piena di TrentodocFrancesco Moser non ce lo dirà mai. Ma i suoi spumanti di montagna parlano chiaro. Dritti, essenziali. Timidi, a tratti. Eppure pronti a esplodere nell’allungo. Sul traguardo. Spumanti in salita. Spumanti sudati, secchi. Verticali.

Spumanti a denti stretti, che lo zucchero è per ragazzini. Spumanti da borraccia. Dalla bici, quell’omone dagli occhi grandi e profondi, è sceso ormai trent’anni fa. Oggi supervisiona altre volate. Quelle imposte agli spumanti Trento Doc della sua cantina di Maso Warth, sopra Trento. In ogni sorso, il rigore d’un tempo.

La stessa disciplina con la quale dev’essere cresciuto Carlo, il figlio maggiore, artefice del rilancio del marchio assieme al cugino Matteo Moser, enologo, e alla sorella Francesca. Una bella famiglia, con un progetto in testa: dalla vigna alla cantina, per dare senso e compimento a una rivoluzione iniziata nel 2011.

LA NOVITA’
La gamma di spumanti Moser è ampia il giusto. I prezzi più che mai abbordabili: non sia mai che qualcuno pensi che il ciclista si sia montato la testa. O, peggio, voglia sfruttare la popolarità per un euro in più al calice. Neanche per idea. Eppure, la gemma deve ancora arrivare: uno spumante Trentodoc “Riserva”.

Una nuova etichetta, dunque. Che oggi sta riposando in cantina e attende solo il momento giusto per essere messa in commercio. Si tratterà, presumibilmente, di un millesimato 2011 o 2013 (ma è solo una supposizione). Minimo 100 mesi sui lieviti (questa, invece, è una certezza).

Ad anticiparlo è l’intera famiglia, che ieri ha accolto la stampa di settore a Maso Warth. A dare un senso all’ambiziosa etichetta del futuro, due verticali che hanno dimostrato la buona tenuta nel tempo dei nettari di casa Moser.

LA DEGUSTAZIONE
Brut Nature 2015 / 2011 e “51,151” Brut sboccatura 2015, 2014 e 2011 (indietro, dunque, fino alla vendemmia 2008). Un tasting utile a scoprire quanto sia cresciuta la cantina, in termini di consapevolezza dei propri mezzi, negli ultimi anni.

Splendida di fatto, tra le nuove annate, la vendemmia 2015 di Nature, non ancora in commercio: farà parlare di sé, nell’allungo, per la sua longevità e il suo stile purista, che disegna un Trentodoc dominato da note agrumate, calcaree e saline. L’essenza della semplicità, che si tramuta in complessità.

Percezione dei lieviti pressoché bandita in casa Moser, col varietale dello Chardonnay e del suo terroir sempre in primo piano (eccezion fatta per la vendemmia 2014, la più dura da “portare a casa” intatta). Ottima la 2013, sempre di Brut Nature, in commercio dal prossimo anno: naso più largo ed espressivo dei precedenti, con esotico e salino d’alga.

Note fumè e di pietra focaia nel 2012 (sboccatura 01/2018). Al naso verbena, ginestra, fiori di vaniglia. Bella spalla acida al palato, a sorreggere note pacate di miele. In forma – anche se non proprio da urlo per un utilizzo del legno troppo invasivo – la 2011, all’inizio del lavoro di conversione della produzione verso più alti standard qualitativi (presto arriverà anche la certificazione bio).

Tra le annate del Brut “51,151” a colpire è invece la 2014: quella da portare a casa, oggi. Bocca elegantemente austera, bel frutto, sapidità. Non le manca nulla. Per gli amanti delle (piacevoli) ossidazioni, da provare la 2011: colore giallo carico che fa presagire un naso mieloso, che in bocca troverà corrispondenza con l’esotico maturo.

Categorie
Analisi e Tendenze Vino news Spirits

Spirit Experience: al Merano Wine Festival sbarcano i distillati

Il Merano Wine Festival 2018 è stato anche Spirit Experience. Per la prima volta all’interno della Gourmet Arena ha fatto mostra di se una selezione di distillati, masterclass dedicate e preparazioni dei bartender presenti.

Il mondo del vino, in uno dei suoi appuntamenti più prestigiosi, ha aperto le porte al mondo degli spirits. Per la prima volta, i “distillati” hanno messo la punta del piede all’interno del mondo del vino.

Un binomio, quello fra vino e spirits, che in realtà è da sempre ben presente nella testa dei consumatori, ma che ha sempre visto contrapposti i due mondi. Quasi non ci fosse interesse reciproco. Quasi che un bevitore di spirits o di mixology non sia intenditore di vino e viceversa.

E così, mentre a Milano si teneva il Milano Whisky Festival (di cui vi abbiamo raccontato la scorsa edizione), ecco spuntare nella Passerpromenade di Merano bottiglie di superalcolici, amari e vermouth.

Non moltissime, per la verità, e con un forte sbilanciamento al “bere mescolato” piuttosto che al consumo “in purezza”. Ma per essere la prima occasione decisamente un grande successo.

LE TIPOLOGIE, GLI ASSAGGI, LA COCKTAIL COMPETITION

Qualche “incursione” dall’estero, ma sono prodotti e produttori italiani a guidare il gioco alla Spirit Experience. Primo fra tutti il più italico degli spiriti: la Grappa. Protagonista non solo dei banchi d’assaggio ma anche di una masterclass a lei dedicata.

Dalla bianca di Nardini, che propone Extrafina per i 240 della distilleria, alla bianca aromatica di Roner, monovitigno di Gewurztraminer ricca del suo varietale. Sempre Roner propone la ottima Weissburgunder (da noi già degustata a al Milano Rum Day), mentre interessanti sono le due ambrate: Selezioni, edizione limitata di Marzadro ricca di terziari legnosi e Fuoriclasse, riserva 7 anni di Castagner, che non snatura i profumi primari.

Italia che tiene banco anche sul fronte del Gin. Seven Hills stupisce per la freschezza erbacea del suo Dry mentre Greedy Gin, dal veneto, è più profondo e balsamico con note di lavanda e thè verde. Dalla Calabria è Vecchio Magazzino Doganale a sorprendere con un Gin dai sentori affumicati, mentre Gin del Professore gioca su note agrumate e Roner mette i boschi dell’Alto Adige in un Gin che profuma di pino cirmolo.

Italia che si confronta anche sugli altri spirts internazionali. Stock presenta qui il suo Brandy Riserva 20 anni per i 130 di attività, saranno 5000 bottiglie non ancora confezionate (ma abbiamo la possibilità di assaggiare una campionatura): uno spirito di gran corpo ricco di note erbacee e con un leggero tannino probabilmente dovuto ai legni dell’invecchiamento, sapido e persistente chiude in modo leggermente amaricante.


Puni
porta l’intera gamma dei suoi Whisky fra cui spicca Vina, 5 anni di invecchiamento in botte ex Marsala vergine: secco e verticale ricco di note vinose e di frutta secca. Roner tiene alta bandiera del Rum col suo R74: morbido e dolce dai sentori fruttati.

Grande carrellata di liquori della tradizione come Limoncello, Nocino, Cedro, Rabarbaro, Anice e liquori a base di frutta ma è la grande qualità dei Vermouth a cogliere l’attenzione. Martini Riserva Ambrato gioca sul dolce-amaro di miele e rabarbaro.

Roner con GW utilizza il Gewurztraminer come vino base arricchendolo con le botaniche ma senza perderne la caratteristica nota fruttata.

Gamondi (Toso) col suo Vermouth di Torino Superiore Rosso si rifà alla tradizione piemontese dove arancia amara e china donano intensità e freschezza.

Originali le due proposte di Tomaso Agnini. Vermouth al mallo di noce, più morbido e dolce, e Vermouth all’aceto balsamico, più fresco. Ottima l’intera linea di Del Professore: Bitter, Aperitivo ed i Vermouth Classico, Chinato, di Torino e di Torino Superiore.

Aziende italiane che si distinguono per la loro produzione e costante presenza nelle ricette dei bartender di tutto il mondo, come Luxardo, che oltre al famoso Maraschino qui porta anche Bitter, Sangue Morlacco ed il proprio Triple Sec, o come Varnelli coi proprio liquori, amari e distillati.

E proprio Varnelli, per la celebrazione dei 150 anni di attività, è stata la protagonista della Cocktail Competition tenutasi il 12 novembre alla Spirit Experience.

Nove giovani emergenti Bartender italiani si sono sfidati nella preparazione e presentazione di cocktail da loro ideati a base “Varnelli”. Una gara che ha visto vincitore il giovanissimo Alessandro Governatori del Bar Torino di Ancona con la sua ricetta “La merenda di nonno Italo“:

La merenda di nonno Italo
30 ml di Varnelli Anice Secco Speciale
30 ml di Vermouth uvaggio rosso
30 ml di Amaro dell’Erborista
Top Cedrata
5 ml Caffè Moka Varnelli

Categorie
news Spirits

I segreti del ghiaccio: primo ingrediente dei cocktail (di qualità)

Quanto è importante il ghiaccio nei cocktail? Se ne è parlato il 12 novembre scorso durante il Merano Wine Festival 2018 in “Cocktail, ghiaccio e servizio nell’alta ristorazione” allo spazio The Circle. Ecco quindi svelati alcuni aspetti che forse neofiti e non addetti ai lavori ignorano.

Spesso il consumatore è portato a pensare che la grande quantità di ghiaccio in un cocktail sia un espediente del barman “furbetto”, che satura il bicchiere col ghiaccio per risparmiare sugli ingredienti. In realtà il discorso è profondamente diverso.

Innanzitutto il ghiaccio stesso è un ingrediente fondamentale del cocktail, nonché l’unico ingrediente comune a pressoché tutte le preparazioni. Compito fondamentale del ghiaccio è raffreddare e tenere alla giusta temperatura gli altri ingredienti tanto in fase di preparazione quanto durante il servizio.

Come ha fatto notare Fabio Bacchi di BarTales: “Un mixologist è come uno chef che al posto di cucinare con il calore usa il freddo per preparare la sua ricetta”. E questo freddo arriva proprio dal ghiaccio.

IL “COMPITO” DEL GHIACCIO
Il ghiaccio nel bicchiere ha quindi il compito di mantenere freddo il nostro drink, ma non solo. Col suo lento sciogliersi, diluisce progressivamente il drink stesso. Questo non è un difetto. Molti drink infatti necessitano di una leggere diluizione per evolversi. Un po’ come il vino che nel calice si evolve, cambia, liberando sempre nuovi profumi e regalando nuove sensazioni.

Ecco perché i bicchieri vengono sempre serviti colmi di cubetti dal buon barman e mixologist. Lo scopo è garantire la giusta proporzione fra drink e ghiaccio. Se il cocktail è ben preparato, infatti, il ghiaccio non galleggia.

Ma anche il ghiaccio, oltre agli ingredienti del cocktail, dev’essere di buona qualità, intesa sia come composizione sia come forma. Più il ghiaccio è trasparente più è puro: è stato cioè ottenuto per lento congelamento di acqua di buona qualità.

IL GHIACCIO “IN FORMA”
Se il congelamento è troppo repentino o l’acqua contiene impurità, ecco che il ghiaccio risulterà non perfettamente trasparente. Con quelle increspature biancastre che a volte ci capita di notare.

La forma fa invece variare la superficie di contatto fra drink e ghiaccio. E quindi anche i tempi di raffreddamento e diluizione. Se il ghiaccio è di buona qualità, se il drink è stato ben preparato, se la proporzione fra liquido e ghiaccio è corretta, ecco che potremo godere di un’ottima esperienza di degustazione.

Quando avremo finito il nostro cocktail, noteremo che il ghiaccio è rimasto quasi per intero nel nostro bicchiere ormai vuoto. Segno evidente che tutto è andato per il meglio. E che barman o mixologist avranno fatto per bene il loro lavoro.

Categorie
Birra news

Merano Wine Festival: alla Gourmet Arena in scena la birra artigianale italiana

MERANO – Il Merano Wine Festival 2018 si è contraddistinto anche per l’alto livello delle birre artigianali presenti nell’area della GourmetArena.

Beerpassion” e non poteva essere diversamente; 10 birrifici a rappresentare da nord a sud, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, un’Italia in cui il fenomeno birra è oramai una certezza.

Lo dimostrano le tipologie delle birre presentate. Ecco quindi far capolino dai banchi non più solo Weiss, Blanche, Golden Ale o Stout ma anche Vienna, Barley Wine, IGA e molto altro.

Lo dimostra la qualità dei prodotti presentati. Balza subito all’occhio (meglio, al naso ed al palato) dopo pochi assaggi come le IPA siano ormai sdoganate dallo stereotipo di birra fortemente luppolata che marca solo sentori agrumati. IPA meno amare e più aromatiche, più complesse e meno stucchevoli.

I MIGLIORI ASSAGGI
Menzione d’onore per Birrificio dell’Etna che presenta la birra più originale ed armoniosa dei nostri assaggi: Poliphemus. Una Italian Grape Ale realizzata con Nerello Mascalese, il vitigno tipico dell’Etna. Scorrevole al palato ho note di frutti rossi, uva sultanina, canditi e miele d’acacia. Luppolo non invasivo. Una birra che si potrebbe abbinare bene con il tipico cannolo siciliano.


Birre pulite e con una propria identità anche le altre della linea. Ulysses è un’American Pale Ale beverina che coinvolge coi sentori luppolati di agrume e frutta tropicale. Ephesto (Belgian Double) è decisamente più complessa: frutta candita, caramello, leggera speziatura per una birra di buon corpo. Prometheus, Imperial Stout, ha note tostate di caffè e cacao che fanno da contorno ad un sentore di frutta sotto spirito.

Conferma l’alto livello della proprio produzione Birra Flea che qui porta Adelaide dal piacevole profumo erbaceo, Margherita dalla spiccata freschezza e sentori del luppolo quasi assenti e Violante, floreale al naso con bocca caramellata e chiusura amaricante.

Le tre birre di Gloria Mundi, giovane birrificio marchigiano, si distinguono per il buon corpo e la grande mineralità. Interessanti le due Vienna, quella a bassa fermentazione di Ca’ Barley, molto maltata e con note di caramello, e quella ad alta fermentazione di Nerobrigante, più tostata e luppolata.

La Morosina, birrificio agricolo lombardo di Abbiategrasso (MI), spicca per Sensia una birra gluten free che compensa il minor corpo con un’aromaticità ricca e variegata. Infine Kukà si fa notare per l’originalità di due calici: Rosa e Caviar. La prima è ottenuta con l’aggiunta di frutti rossi in fase di maltaggio.

Il risultato è una birra di colore e schiuma rosa con un ingresso in bocca fruttato e finale speziato. Caviar è invece ottenuta con l’aggiunta di caviale. Marina e salmastra al primo naso cui seguono profumi fruttati di pesca nettarina per un sorso che chiude con una nota pepata.

Categorie
degustati da noi news vini#02

Vini Corsari 2018 a Barolo: ecco l’elenco delle aziende partecipanti

BAROLO –  Il 2-3 dicembre torna per il sesto anno consecutivo Vini Corsari, il Festival Europeo dedicato al vino artigianale, ospitato nel suggestivo Castello Comunale Falletti di Barolo.

Due giorni di degustazioni e vendita al pubblico, e la possibilità di conoscere trenta vignaioli provenienti da Italia, Portogallo, Spagna, Francia, Grecia, Germania, Austria e Repubblica Ceca.

 

LE AZIENDE PARTECIPANTI

Portogallo

COZ’s (Lisboa)

Humus – Encosta da Quinta (Lisboa)

Quinta da Vacariça (Bairrada)


Spagna

Matias i Torres (Canarias)

Iago Garrido (Ribeiro)

Quinta da Muradella (Monterrei)

Tentenublo (Rioja)


Francia

Les Maisons Rouges (Loire, Jasnières)

Pierre Péters (Champagne)

Domaine Kreydenweiss (Alsace)

Chandon de Briailles (Bourgogne)

Nicolas Maillet (Bourgogne, Mâcon)

Domaine Robert Denogent (Bourgogne, Mâcon Pouilly Fuissé)

Domaine Chamonard (Beaujolais)

Château Cambon (Beaujolais)

Eric Texier (Rhône)


Germania

Weingut Wasenhaus (Baden)

Stefan Vetter (Franconia)


Repubblica Ceca

Ota Sevcik (Boretice)


Austria

Zillinger (Weinviertel)


Grecia

Dalamara (Naoussa)


Italia

Azienda Vitivinicola Barbaglia (Piemonte)

Azienda Agricola Pizzo Coca (Lombardia – Valtellina)

Azienda Agricola Boffalora (Lombardia – Valtellina)

Azienda Vinicola Barbacan (Lombardia – Valtellina)

Weingut Pranzegg (Trentino Alto Adige)

Azienda Agricola Zidarich (Friuli Venezia Giulia)

Azienda Agricola Monte dall’Ora (Veneto – Valpolicella)

Casa Coste Piane (Veneto – Valdobbiadene)

Cantina De Fermo (Abruzzo)

Fonterenza (Toscana)

Azienda Agricola Natalino del Prete (Puglia)

Tenuta di Valgiano (Toscana)

Azienda Agricola Altura (Toscana – Isola del Giglio)

Enoteca Regionale del Barolo – Assagio Barolo Istituzionale 2014

Miele

Possibila Editore


VINI CORSARI
L’idea del festival nasce alla fine del 2013 con il desiderio di creare uno spazio comune per quei produttori che condividono un approccio artigianale al vino, che credono nel valore dei vitigni locali e dei terroir, che tutelano e valorizzano attraverso una viticoltura rispettosa dell’ambiente e volta ad esercitare e approfondire i saperi e le pratiche delle generazioni passate.

Vini Corsari si ispira inoltre all’opera Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini: un omaggio allo scrittore e alla raccolta dei suoi articoli che condannano l’omologazione culturale e la perdita di diversità e di individualità locali italiane a favore del consumismo e delle mode. L’ambizione pasoliniana di un approccio ancorato alle tradizioni e agli aspetti identitari dei territori è lo stesso che si rivendica quando ci si accosta al tema del vino.

Lungo questa rotta, Vini Corsari intende sorpassare il contesto nazionale, mettendo in luce il patrimonio vinicolo e culturale europeo che i vignaioli serbano e valorizzano.

Il Castello Comunale Falletti di Barolo ospiterà i vignaioli corsari con il loro spirito filibustiere e goliardico nei giorni di domenica e lunedì, così da permettere a tutti, appassionati di vino e lavoratori nel settore enogastronomico, di partecipare al Festival e conoscere le diverse aziende che cambiano di anno in anno.

Categorie
Analisi e Tendenze Vino news

Tenuta La Floriana: la Marche autoctone di Boccadigabbia

Poco più di un anno è passato da quando Vinialsupermercato ha visitato e parlato di Boccadigabbia, cantina Marchigiana che nella storia dei propri titolari può vantare anche un discendente di Napoleone Bonaparte.

Ma Boccadigabbia è anche Tenuta La Floriana, piccola proprietà di circa 30 ettari, di cui 24 vitati, acquisita dalla famiglia Alessandri nel 1996. Ed è Elvidio Alessandri, istrionico titolare dell’azienda, a parlarci di La Floriana tenuta maceratese che deve il suo nome a Pietro Paolo Floriani; storico personaggio del XVII secolo (è del 1626 il primo documento ove si menziona espressamente la messa a dimora di viti) che diete notorietà alla citta di Macerata grazie alle sue competenze di architettura militare.

Il progetto “La Floriana”, portato avanti in collaborazione con l’enologo Emiliano Falsini, punta sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni in primis Verdicchio (anche se non è possibile la menzione in etichetta), Ribona e Montepulciano.

Uso controllato del legno, ricerca di longevità nei bianchi e di morbidezza nei rossi, utilizzo di fermentazioni spontanee. Queste le linee guida che danno vita alle 15.000 bottiglie di La Floriana, equamente divise fra mercato nazionale ed internazionale (in particolare Giappone e Stati Uniti).

LA DEGUSTAZIONE
Marche Bianco IGT 2016. Verdicchio 70%, Ribona 30%. Uso di barrique di secondo passaggio. Immediatamente floreale al naso, cui segue un leggero ma ben presente sentore minerale. Frutta bianca e gialla matura con un tocco di miele. L’utilizzo del legno è appena avvertibile ed occorre andarselo a cercare col naso. In bocca è morbido e di grande freschezza, sapido e dotato di buona persistenza. Chiude il sorso con una nota leggermente amaricante che ricorda la mandorla.

Marche Bianco IGT 2015. Verdicchio 85%, Ribona 15%. Uso di barrique nuove. Come per il 2015 il legno è appena percettibile al naso. Molto più marcata invece la vena minerale. Comunque florale con una piacevole nota di camomilla cui segue, appena il calice si apre, frutta gialla matura, un tocco di frutta esotica ed un leggero sentore di erbe aromatiche. Leggera nota agrumata che accompagna nel sorso la buona acidità e grande morbidezza ben bilancia la sapidità.

Marche Rosso IGT 2013. Montepulciano in purezza di cui una parte con appassimento di circa 40 giorni, 2 mesi di contatto con le bucce a cappello sommerso. Intenso al naso con evidenti note fruttate di mora, ciliegia ed arancia rossa. Terziario non invasivo fatto di spezie, radice di liquirizia ed un tocco mentolato. In bocca è morbido e pieno, dotato di un tannino setoso che accompagna la bella persistenza. Anche in questo caso un vino che non fa pesare il passaggio in legno e che non tradisci gli anni che ha, lasciando intuire una buona prospettiva.

Categorie
Analisi e Tendenze Vino news

Intervista a Marco Barbetti, miglior Sommelier FISAR d’Italia

Classe 1984, sommelier dal 26 maggio 2009. Marco Barbetti è il Miglior Sommelier FISAR d’Italia, nominato lo scorso 28 ottobre. Un vanto per la piccola delegazione del neo campione: Bareggio, 130 associati alle porte di Milano. Abbiamo avuto occasione di intervistarlo.

Sommelier dal 2009, poi dopo 9 anni ti è scattata la molla per partecipare al concorso.
Meno di 9 anni, diciamo 7 o 8 perché ho iniziato a prepararmi già da metà 2017.

Cosa ti ha spinto a provare il concorso come miglior sommelier?
Penso sia stato più per me stesso. Per riuscire a superare una sorta di blocco che ho nei confronti dei concorsi legata ad esperienze precedenti. È stato uno scatto per dire a me stesso di essere bravo, per dimostrarlo ufficialmente giudicato da altri. Questo il motivo principale …e poi non lo so.

Come ti sei preparato? Quale è stato il tuo approccio al concorso?
Mi ero fatto subito una scaletta. Gli argomenti del terzo livello (abbinamento cibo-vino) li ho iniziati ad approfondire già da metà 2017 perché mi sentivo zoppicante. Da ottobre a dicembre ho letto il libro di Luigi Moio “Il respiro del vino”, da cui ho capito meglio come affrontare la degustazione, e che spiega bene com’è la stratificazione dei profumi del vino.

Lì mi sono portato a casa sia questo che i vari componenti chimici che donano il profumo al vino, tant’è che una domanda del compito era “che cosa porta il sentore di banana?”, risposta “l’acetato di isoamile”, e quella la sapevo grazie al libro. Da dicembre a maggio ho ripassato tutto ciò che rientra nel primo livello.

Da giugno a settembre il secondo livello per quanto riguarda l’estero e poi la viticoltura italiana in ultimo. C’è da dire che essendo direttore di corso e quindi seguendo i corsi ripetutamente si parte avvantaggiati, il più è approfondire le tematiche.

Sei il Miglior Sommelier d’Italia. Sei sommelier da parecchio tempo. Sei direttore di una importante squadra di servizio e sei docente della lezione sulle funzioni del sommelier. Cosa vuol dire per te essere sommelier, in generale, e cosa vuol dire essere il Miglior Sommelier, quindi anche la “front page” di FISAR?
Innanzi tutto devo correggere gli errori che mi hanno fatto notare sul servizio, aspetto cui tengo molto. Sicuramente ci sarà tanta visibilità. Però secondo me non basta aver raggiunto l’obiettivo ma dovrò andare avanti a studiare per migliorarmi perché  bisogna dimostrare di essersi meritato la vittoria in tutte le occasioni che la FISAR metterà a disposizione. Mi sono riposato due giorni ma il terzo ho iniziato subito a ripassare perché avevo paura di dimenticarmi tutto.

Al di là del titolo. Fine 2018 inizio 2019: in questo periodo storico secondo te chi è il sommelier e che cosa deve fare, al di là dei canoni di un concorso. La sommelierie, oggi, cos’è per Marco Barbetti?
Domanda difficile. Sicuramente il sommelier deve essere un comunicatore, uno che riesca a capire il vino e metta in grado l’utente finale di capire quel vino. Se il sommelier si limitasse a capire il vino ma non riuscisse a capire chi ha davanti, e quindi a comunicare correttamente quel vino, non sarebbe altrettanto efficace. Inoltre dovrebbe, nella parte del servizio, dare il valore aggiunto al vino grazie alla proprio professionalità.

Dare il dettaglio, spesso gratuito, che fa la vera differenza fra “stappare una bottiglia” e “servire un vino”. È il sommelier che con la sua ritualità impreziosisce il vino qualunque sia il valore della bottiglia. E sicuramente non deve dare un giudizio personale.

Ti faccio la domanda politica. Sei stato nominato in concomitanza con l’elezione del nuovo Direttivo FISAR. Secondo te la FISAR in questo momento storico cosa deve fare e dove deve andare anche in un ottica allargata? Quali sono le sfide della FISAR 2.0?
Secondo me è importante che il direttivo vada d’accordo. Poi che scelgano di fare A o B io mi attengo alle direttive. Io non sono un politico e quindi non intervengo sul cosa si decida ai massimi livelli. Indubbiamente i nuovi soci che si iscrivono sono sempre più generazioni meno legate alla carta e più alla interattività, quindi per andare incontro alle nuove generazioni, che sono i soci del futuro, bisognerebbe anche andare verso questa direzione. Non è detto che sia la soluzione migliore, ci sono tanti pro e contro e non spetta a me valutarli.

Da quello che dici sembra che il sommelier doverebbe essere meno “in smoking” e più “in jeans”, un sommelier più smart.
No. Il sommelier deve fare il sommelier. Cioè comunicare il vino. Decidere invece come gestire le risorse, come gestire la didattica, la comunicazione e che tipo di supporti dare non è più competenza del sommelier ma è competenza di chi gestisce.

C’è qualcosa che vorresti dire per auto-commentare il risultato? Difficoltà particolari o cose che ti hanno reso particolarmente felice nell’affrontare la sfida?
Felice nell’affrontare la sfida, no! Perché è stata tosta! (ndr, sorride divertito) Tosta sia a livello pratico che a livello mentale, tant’è che dopo lo scritto in realtà pensavo di avere perso. Sicuramente la preparazione della prova ha dimostrato le persone che ci tengono davvero, persone (ndr. Marta, Valerio, Daniela, Giacomo, Raffaele, Micaela) che si sono strette intorno a me e mi hanno supportato e sopportato.

Ed è stato bello vedere tante persone che pur non essendo dovuto nulla hanno impiegato del loro tempo per me. Questa è stata sicuramente una bella dimostrazione di amicizia. Mi da noia, molta noia, aver sbagliato alcune cose sul servizio, ma non si finisce mai di imparare. È stata veramente tosta!

Ti stai godendo il successo?
No, perché ho già iniziato a ripassare! E poi c’è da studiare la nuova scheda che non avevo ancora iniziato ad affrontare.

Giusto. Perché al concorso siete stati valutati sulla vecchia scheda. Come vedi la scheda nuova in un’ottica di evoluzione della FISAR?
Bene, è più snella. È un miglioramento su tutta la linea, forse c’è qualcosa che inizialmente può sembrare leggermente più complicato, ma l’aver semplificato ed uniformato i descrittori facilita e rende meno difficoltoso memorizzarla.

Gli brillano gli occhi mentre parla della sfida che ha affrontato e del successo, ed ha un sorriso divertito ma velatamente amaro mentre parla degli errori in servizio che ha fatto. Sintomo della spinta al miglioramento continuo che contraddistingue solo i migliori sommelier.

Categorie
news Spirits

Whisky & Rum Day 2018: Milano capitale dei distillati

Si è tenuto lo scorso 28 e 29 ottobre a Milano presso il Megawatt Court The Whisky Day e The Rum Day 2018. Evento aperto ad appassionati e professionisti del settore che hanno potuto scoprire, confrontarsi e degustare tanto le novità del mercato quanto le grandi conferme. Proprio la trasversalità degli avventori è la chiave di lettura dell’evento.

Ecco quindi che fra i banchi d’assaggio non troviamo eccellenze assolute o rare bottiglie da collezione, ma prodotti di ottima fattura nati per soddisfare il consumatore, tanto l’esperto quanto il neofita, siano esse consumate “streight” o attraverso le sapienti mani di un “mixologist”. Ecco quindi far capolino fra whisky e rum anche altri distillati.

I MIGLIORI ASSAGGI
Al solito è impossibile raccontare l’intera manifestazione in poche righe, ci limitiamo quindi a raccontarvi gli assaggi che più hanno colpito la nostra attenzione.

Michter’s, dal Kentucky, porta una interessantissima selezione di Bourbon e Rye. Sette prodotti diversi per tipologia di legno utilizzata e durata di invecchiamento.

Fra tutti svettano il Bourbon 10yo ed il Rye 10yo, pieni morbidi e strutturati, con menzione d’onore al Streight Rye Toasted Barrel Finish che alterna all’acidità del Rye una spiccata nota di frutta secca netta e pulita anche nella breve persistenza.

Sempre dagli Stati Uniti Jack Daniel’s presenta Single Barrel Rye. Un Rye da singolo barile prodotto col tipico processo di mellowing. Un Rye dolce e vanigliato, perfetta declinazione della segale secondo lo stile JD.

Dall’Irlanda si fanno notare Redbreast 12yo, un pot still ben equilibrato pulito fresco e consistente, ed le due release di Mitchell & Son Green Spot, fresco e speziato, e Yellow Spot 12yo, più dolce e morbido.

Ancora l’Irlanda protagonista con Teeling che a fianco degli ormai noti imbottigliamenti (veri punti di riferimento per gli appassionati) presenta Brabazon, finissato in botti di Porto rotondo e vinoso, e Trois Rivières Small Batch.

Quest’ultimo attore di un gioco curioso: se Teeling ha usato botti ex rum agricole della distilleria Trois Rivières per il suo whisky al capo opposto della sala troviamo al bachetto di Trois Rivières un rum finito in botti ex Teeling. Un Whisky che profuma di Rum ed un Rum che profuma di Whisky che valgono la degustazione incrociata.

Fra i rum oltre alle grandi conferme di Damoiseau si distinguono le due release di Hampden, rum dalle forti note secondarie prima ancora che terziarie, e la bella verticale 12yo, 18yo e 25yo di Flor de Cana in un crescendo di rotondità e dolcezza.

Spicca l’idea di Roner, distilleria di Termeno in Alto Adige, di produrre due rum, uno bianco ed uno scuro. Quest’ultimo in particolare invecchiato nelle botti che hanno contenuto Caldiff il famoso distillato di mele di Roner.

Un rum dallo stile Alto Atesino. Ma ancor più Alto Atesino sono il gin, ottenuto con botaniche locali che profuma di bosco, e la grappa da Weissburgunder (pinot bianco) unica nel suo genere.

Sempre piacevoli e ben fatti Nikka Coffey Gin e Nikka Coffey Vodka della giapponese Nikka. Menzione d’onore per l’imbottigliamento 18yo di Longmorn dell’imbottigliatore indipendente Duglas Laing.

Categorie
degustati da noi news vini#02

Il Sangiovese “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni. Ovvero perché Chiusi vale bene una Doc

SIENA – Non chiamatelo profeta senza patria. Perché una patria, Fabio Cenni, ce l’ha. Si chiama Chiusi. Il patron dell’Azienda agricola Colle Santa Mustiola si presenta a Sangiovese Purosangue con una verticale 1997-2010 da far tremare i Brunelli.

E col sostegno del giornalista Andrea Gabbrielli chiede una Doc, ovvero una Denominazione di origine controllata, per una delle aree “meno considerate dalla critica enologica italiana”. Chiusi, per l’appunto. Molto più di una boutade goliardica.

Un “torto” che non ha ragione d’esistere, vista la forma strepitosa di tutte le annate in degustazione ieri pomeriggio al foyer del Teatro dei Rinnovati, presso il Palazzo comunale di piazza del Campo, a Siena.

“Chiusi – ha spiegato Davide Bonucci, one man company di Enoclub Siena e ideatore del format sul re dei vitigni toscani – è uno di quei territori non particolarmente mediatici che meritano invece di essere celebrati attraverso i vini lì prodotti. Un’area che non fa massa critica come altre e, forse per questo, non gode della considerazione che merita”:

LA DEGUSTAZIONE
Se non lo hai mai incontrato prima, il Sangiovese “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni (nella foto sopra) rischia di sembrarti piombato sul Pianeta Terra come Superman. Un meteorite nel calice. A maggior ragione dopo aver degustato – meno di 24 ore prima – oltre 200 sfumature del vitigno all’anteprima di Purosangue 2018, rinvenendo “solo” un 10% dei campioni sopra i 90 punti.

Già. Qui siamo di fronte a una delle migliori sublimazioni del Sangiovese in purezza. SI tratta, di fatto, del risultato di un lungo lavoro di selezione clonale che ha portato Cenni a selezionare 28 cloni “Superman” di Sangiovese. “Quelli che mi assicuravano longevità”, spiega il produttore con un filo d’orgoglio, mentre i calici cominciano a tingersi d’un rosso rubino lontano dalle tinte attese per le annate più vetuste.

E’ lì che si inizia a capire di che razza sono i vini di Chiusi. Dall’esame visivo. Zero “unghie aranciate” per dirla alla Treccani del sommelier. Tenuta perfetta. E quando al naso la vendemmia 1997 butta fuori richiami mielosi leggerissimi e garbati, ad accompagnare note di scorza d’arancia, ginger candito e cuoio, capisci di esser davanti a un supereroe di rosso. Un moikano toscano.

Peccato non alzi altrettanto la cresta al palato, che evidenzia solo reminiscenze della gloria che fu, neppure troppo tempo fa: bella concentrazione ma corredo monocorde, col sorso ormai troppo teso sulla sola freschezza. Resta comunque un assaggio da ricordare, pur non in termini di complessità.

Strepitosa, invece, la vendemmia 2002. Colore carico, naso che si accende come il semaforo verde della Formula Uno, alla griglia di partenza. Frutto rosso carnoso, succoso, ma anche toffee e macchia mediterranea, con alloro e salvia a conferire balsamicità, prima al naso e poi al sorso. Fresco e sapido, per tornare al forziere della linguistica sommelier. Col fiore che vira dalla rosa appassita alla viola, per azione di sua Provvidenza, l’Ossigeno. Miglior annata assoluta della verticale.

Una nota verde netta contraddistingue invece il naso della vendemmia 2003, unita alle ormai consuete tinte balsamiche e iodiche, che si mescolano a una speziatura sul filo del rasoio del “piccante”. Un tannino integrato, ma vivo, asciuga forse troppo presto il sorso su note di buccia di arancia disidratata.

La vendemmia 2004 è l’altra annata da ricordare. E pensare che parte chiusa, timida, impacciata. Poi, il Sangiovese inizia a fare il Sangiovese. Ti prende per mano il naso sulla macchia mediterranea, con un gioco d’alloro, rosmarino e mentuccia. Poi di liquirizia e di cuoio, che non coprono del tutto la carnosità del frutto rosso.

In bocca, quest’annata di “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni si rivela compatta, strong. Tattile. Chiusura splendida, sapida e fruttata. Il patron di Colle Santa Mustiola ci crede talmente tanto da averne conservate 2 mila bottiglie, pronte ad essere messe in commercio nei primi mesi del 2019: obbligatorio accaparrarsene almeno un paio.

Vendemmia 2005, quella del giro di boa. Naso tra i più “morbidi” della batteria, ma non è vaniglia: è frutto. Succo di frutto di cloni di Superman Sangiovese. Corrispondenza gusto olfattiva perfetta, su note tendenti al maturo garbato, dosato, centellinato.

Segno di una raccolta e di una selezione perfetta dei grappoli, in vigneto. Che goduria quando il naso vira sul tabacco, mentre in bocca la percezione del tannino pare perfetta per controbilanciare il frutto. Chapeau.

Bel palato fresco e sapido per le vendemmie successive (2006 / 2010), le più “giovani” presenti alla verticale, ancora non pronte ma già in grado di dire più di una parola sull’andamento delle annate e sulle prospettive future.

Di fatto, si distinguono bene l’una dall’altra. La 2009 ricorda per certi versi la 2005, con i suoi richiami di frutta matura: sorprende, addirittura, come una delle più godibili già oggi, potendo contare su una freschezza invidiabile e una chiusura di sale e spezie. La 2007 è certamente tra le espressioni più eleganti del “Poggio ai Chiari”, ma deve ancora assestarsi il tannino, che domina il finale.

Anche le vendemmie 2008 e 2010 paiono simili nel calice, per il loro timido affacciarsi al mondo esterno: è troppo presto per giudicarle, ma saranno sicuramente all’altezza di un nome, “Poggio ai Chiari”, che merita – se non una Doc – almeno la ribalta delle cronache enologiche.

Categorie
degustati da noi news vini#02

Ecco Troy, lo Chardonnay di montagna di Cantina Tramin


MILANO –
Metti nel calice 8 Chardonnay internazionali e prova a “beccare” quello di Tramin. Stile inconfondibile, impresa tutto sommato facile. Anche per chi di cognome non fa “Gardini”. E’ andata più o meno così, martedì pomeriggio, al Vun di Andrea Aprea.

Cantina Tramin ha scelto l’elegante ristorante di via Silvio Pellico, due stelle Michelin nel cuore di Milano, per presentare l’Alto Adige Doc Chardonnay Riserva 2015 “Troy“. L’ultimo gioiello dell’invidiabile collezione della cooperativa di Termeno (BZ), prodotto in 90 Magnum e 3120 bottiglie da 0,75, con un  prezzo medio in enoteca di circa 65 euro.

Carte, pardon “calici”, mescolati sul tavolo per mostrare l’identità montana dell’etichetta Tramin, oltre al suo valore. Alla cieca sono stati serviti Maltendinger Bienenberg Magnum 2015, Gaia & Rey Langhe Chardonnay Dop 2015, Troy Chardonnay Riserva Sudtirol Alto Adige Doc 2015, Cervaro della Sala Umbria Igt 2015, HdV Hyde Vineyard Chardonnay 2015, Chardonnay Mount Eden Vineyards 2013, Chassagne-Montrachet 1er Cru “Les Vergers” 2015, Croton-Charlemagne Grand Cru 2015.

Un’idea, appunto, di Luca Gardini. Che ha condotto i giochi, assieme al kellermaister di Tramin, Willi Stürz e al direttore commerciale Wolfgang Klotz. Se è vero che “Troy”, nell’antica lingua locale, significa “sentiero” – nome scelto da Tramin per evocare il lungo percorso compiuto dalla fondazione, avvenuta nel 1898 – dall’altro la nuova etichetta di Chardonnay è risultata il “cavallo di Troia” del tasting.

LA DEGUSTAZIONE
Giallo oro intenso, naso che spazia dagli agrumi ai fiori di vaniglia, fino al completo sbocciare del carattere alpino e minerale di “Troy”, giocato tra la menta e la liquirizia.

Consueta eleganza al palato, nel pieno stile Tramin: muscoli e cravatta per il rincorrersi di note agrumate ed esotiche mature, bilanciate da gran freschezza e percezioni iodiche eleganti che accompagnano il lungo finale.

Non a caso le uve Chardonnay utilizzate per Troy erano impiegate finora come importante componente della prestigiosa cuvée Stoan.

Le prove per una vinificazione in purezza della selezione sono iniziate nel 2002. Svolta decisiva nel 2014 e prima uscita ufficiale l’anno successivo. I vigneti si trovano in località Sella, sul versante orientale del massiccio della Mendola.

Si collocano tra 500 e 550 metri d’altezza, quindi in posizione più avanzata rispetto a quelli di Gewürztraminer con cui si produce Epokale, il primo vino bianco italiano premiato con 100/100 dalla guida Robert Parker Wine Advocate.

Hanno un’età media di 25 anni e sono allevati in parte a guyot e in parte attraverso la pergola semplice aperta, con pendenze che vanno anche oltre il 30%. L’’esposizione è a sud-est e gode di giornate calde e soleggiate, con forti escursioni termiche notturne e la presenza di correnti fredde provenienti dalle montagne. I terreni sono composti da ghiaia calcarea mista ad argilla.

“Nel nostro territorio – evidenzia Willi Stürz – per molti anni lo Chardonnay coltivato a quote elevate non era apprezzato, a causa della sua struttura esile. Con il passare del tempo abbiamo compreso come le piante potevano trovare il proprio equilibrio e ad avere basse rese in modo naturale, con un minimo intervento di regolazione delle quantità. Questo ci ha consentito di raggiungere i risultati odierni, di cui siamo molto soddisfatti”.

LA SFIDA INTERNAZIONALE

Per la prima edizione di Troy è stata scelta la vendemmia 2015, annata eccellente per i vini bianchi dell’Alto Adige. Durante la raccolta le uve sono state attentamente selezionate, con un controllo acino per acino.

La fermentazione è avvenuta in barrique, dove il vino ha sostato per undici mesi sui lieviti, compiendo anche la fermentazione malolattica. Troy è stato dunque travasato in contenitori di acciaio per un’ulteriore maturazione sui lieviti di 22 mesi. La chiarificazione è avvenuta quindi per precipitazione spontanea prima dell’imbottigliamento.

“Lo Chardonnay – aggiunge Wolfgang Klotz – è la varietà con cui si producono alcuni tra i più grandi vini bianchi del mondo, ma al tempo stesso è anche una tra le più diffuse ad ogni latitudine. Un vitigno che ci fornisce spettacolari esempi di versatilità e che noi vogliamo arricchire con la nostra interpretazione: un’inconfondibile espressione della terra alpina in cui viviamo”.

In tavola si abbina a carpaccio di pesce, salmone marinato o capesante. Troy è perfetto poi con primi piatti saporiti, come un risotto al limone o un tagliolino al tartufo, oppure piatti della tradizione alpina, come canederli ai funghi, Salmerino di Fontana al forno, tartara di vitello o formaggi di capra.

Categorie
news Spirits

Gin Agricolo, il figlio del terroir: Franco Cavallero in tre assaggi

Agricolo perché tutti gli elementi che lo compongono sono figli del territorio. Agricolo perché è una precisa scelta quella di coltivare le materie prime e monitorarne l’intera filiera. Agricolo perché è artigianale. È così che Franco Cavallero ha pensato, voluto e realizzato il suo gin.

L’idea è relativamente recente, l’esperienza di Franco no. Subentrato nella direzione dell’azienda di famiglia, Cantine Sant’Agata di Scurzolengo (Asti), insieme al fratello all’inizio degli anni ’90 Franco “si fa le ossa” nel mondo del vino scommettendo sul Ruchè, il vitigno locale.

Ma è durante i suoi viaggi volti a promuovei i propri vini che Cavallero scopre il mondo affascinante del gin, decidendo da prima di proporlo nella propria enoteca/cocktail bar di Asti, Il Cicchetto, ove ne propone più di 100 tipologie diverse e poi di cimentarsi con la produzione.

L’idea di fondo però non è quella di produrre semplicemente “un gin” ma di realizzare un distillato che sia figlio del territorio. Franco ha quindi iniziato a sfruttare i terreni non atti alla vite della propria azienda per coltivare in proprio le botaniche necessarie.

Sperimentazioni e prove che hanno portato all’identificazione delle corrette tecniche di coltivazione e del metodo di produzione più adatto al concept. Ecco quindi la scelta del “Distilled”, tecnica che da gin meno fini della “London Dry” ma che permette di meglio conservare le caratteristiche delle erbe utilizzate.

25.000 bottiglie/anno la maggior parte, oltre l’80%, destinate all’export soprattutto verso Asia, Canada e Finlandia. Tre i gin attualmente in gamma che andiamo a degustare, tutti con gradazione del 47%.

LA DEGUSTAZIONE
Gadan. Gin bianco, dall’aroma fine ed elegante anche se non particolarmente intenso. Al naso colpisce subito la spiccata nota di ginepro che la fa da padrone senza però coprire essenze floreali di rosa e lavanda.

L’ingresso in bocca è leggermente pungente ma la componente alcolica si smorza durante il sorso cedendo il passo ad un finale lungo e leggermente amaricante. Ottima base cocktail non disdegna di essere bevuto liscio.

Blagheur. Colore lievemente ambrato. Naso fine ricco di note erbacee di menta ed erba tagliata cui fa eco una piacevole nota speziata. Pepe bianco, rafano, coriandolo che giocano a nascondino col ginepro.

In bocca è morbido e secco. Retro olfattivo equilibrato, intenso e corrispondente al naso. Chiusura fresca e persistente. Al contrario di Gadan sembra più portato ad essere assaporato da solo, anche se può dire la sua nel bere mescolato.

Evra. Sorprendente colore rosso per il gin che non ti aspetti. Il ginepro c’è ma è quasi sovrastato da una incredibile nota fruttata di frutti rossi.

Lamponi e ciliegia che cedono il passo a note erbacee fresche di menta e salvia e ad un leggera spezia morbida. Avvolgente in bocca, con quella nota fruttata che lo rende quasi dolce. Un gin “femminile” direbbe qualcuno capace di coinvolgerti su quel lato che non ti aspetti, quello della morbidezza. Se stupisce bevuto liscio senza ombra di dubbio può donare profumi e sfumature particolari in qualunque preparazione.

Categorie
news Spirits

The Spirit gioca d’azzardo: nella nuova drink list un cocktail analcolico

MILANO – The Spirit Milano, giocando anche su un inatteso cocktail analcolico, apre le porte per presentare la nuova drink list.

Porte nere e pesanti, da cui fa capolino solo un timida luce attraverso degli oblò. Porte quasi anonime, nel caos della “Grande mela” italiana. Porte che rimandano agli Speakeasy americani dell’epoca proibizionista.

All’interno, il calore e la pacatezza di uno dei migliori cocktail bar di Milano. Scelta di materie prime d’eccellenza, sapienza nell’abbinarle e dosarle. Un fil rouge che lega le varie preparazioni. Così nasce la nuova lista di cocktail, pensati per stupire.

LE NOVITA’
È con vivo entusiasmo che Fabio Bacchi, bar manager di The Spirit, introduce il quarto cambio stagionale. Quattordici i cocktail che vanno ad affiancarsi alle 4 preparazioni fisse, per creare la Drink list Fall Winter 18 di The Spirit a tema “Il Gioco“. Il gioco in tutte le sue forme: gioco di società, gioco d’azzardo, gioco territoriale. Ecco quindi far capolino nomi che rimandano ai giochi da tavolo come Shanghai o Checkmate (scaccomatto).

Nomi che ricordano il gioco d’azzardo come The Joeker, Rien ne va plus (nelle due versioni Rosso e Nero) e Bluff. Il gioco rappresentato sul grande schermo con scene memorabili da cui traggono il nome Goldfinger e Russian Roulette. Il gioco raffigurato nell’arte con I Bari (noto quadro di Caravaggio) o il gioco come identità culturale in Pachinko (gioco tradizionale giapponese).

Una drink list con una precisa idea di fondo, non lunghissima (ed è un bene) e nella quale ognuno può trovare il bicchiere che incontra i propri gusti, se serve consigliato dai professionisti del The Spirit.

GLI ASSAGGI
Abbiamo avuto modo di degustare tre di questi “giochi”, primo fra tutti Bluff. Bluff perché ti inganna. Entra in bocca fruttato, fresco e speziato. Avvolge il palato e lascia una piacevole persistenza.

Ma, inaspettatamente, è analcolico. La base infatti è Memento (distillato di acqua aromatizzata alle erbe), cui si sommano shrub di agrumi, tè matcha, aloe vera, miele di melata e sciroppo di melagrano e pepe rosa.

Segue Not a Club Soda. Plymouth Gin, Falernum, lemongrass, habanero cordial, acqua e King’s Ginger gli ingredienti ma lo si capisce davvero solo assaggiandolo. Fresco, molto aromatico ma anche incredibilmente beverino e con una leggera ma decisa piccantezza che arriva solo a fine sorso. Equilibrato in tutte le sue note è terribilmente pericoloso nella sua facilità di beva.

Chiude Shanghai. Un drink inusuale. Servito caldo in una teiera. Ingredienti base sono infatti tè bianco (per l’appunto caldo) e Koval grain spirit (whisky di grano non passato in legno) cui seguono fiori di tè, pepe di Sichuan, Triplum Luxardo, Bitter Bianco, Luxardo, Chai Walla bitters ed olio di zagara.

Intenso al naso ha note balsamiche che rimandano la mente alle radici aromatiche (rabarbaro e liquirizia), alle erbe aromatiche ed alla macchia mediterranea. In bocca è morbido ed avvolgente con un finale amarognolo e vagamente agrumato.

Categorie
Gli Editoriali news Spirits

The Spirit Milano, nuova drink list. Un angolo di “spirito” nel caos della metropoli

*EDITORIALE*The Spirit Milano si nasconde. Non fa rumore. Capisci solo quando entri il senso di quel portone nero, schivo. Una nota muta, nel frastuono di una metropoli dove vince chi fa più rumore.

Pare l’ingresso di una cattedrale. La luce fluo traspare mistica e delicata, da tre oblò. Salire a bordo è come farsi prendere per mano da una persona di cui ti fidi, dopo aver chiuso gli occhi. Una persona che hai appena incontrato, ma che sembra conoscerti da una vita.

È il richiamo infallibile e minimal di un locale che mi ha completamente stregato. Fuori, dentro. E dietro al bancone. Da martedì 16 ottobre sarà disponibile la nuova drink list. Saprà “di inverno e azzardo”, anticipa il fondatore Fabio Bacchi.

Nell’attesa, ieri sera ho viaggiato su quella barca. Sono stato in Veneto, ad assaggiate la Grappa più delicata e avvolgente che io abbia mai provato (non a caso utilizzata dai migliori mixologist).

Sono stato in Spagna e da lì ho preso un altro volo, per il Messico del Mezcal. In sottofondo le parole dei preparatissimi barman, pronti a cullare i drink con le loro spiegazioni precise, comprensibili anche da un neofita dei distillati come me.

Ieri sera ho scoperto che per prendere l’aereo, a Milano, non serve fare il check-in. Ma solo sedersi al bancone del locale giusto. Chiedere ai comandanti la destinazione. E godersi il viaggio. Ovunque ti porti.

THE SPIRIT MILANO
VIA PIACENZA 15
MILANO

Categorie
Analisi e Tendenze Vino Gli Editoriali news

Milano Wine Week 2018 : Uiv protagonista al Wine Business Forum

Milano – “Unione Italiana Vini interverrà da protagonista alla Milano Wine Week, un evento che potrà diventare una nuova interessante vetrina per il nostro settore, alla quale guardiamo con interesse e attenzione. Auspichiamo che durante questa settimana ricca di incontri e di confronti, venga favorita la ricerca di proficue sinergie tra i vari operatori del settore. Con questo obiettivo, domani, un importante team di imprenditori di aziende associate interverrà al Wine Business Forum. Le sintesi dei dibattiti saranno raccolte in un documento ufficiale che, in serata, verrà consegnato al Ministro Gian Marco Centinaio per condividere con Lui esigenze ed urgenze del nostro comparto, così rilevante per l’economia del Paese”.

Con queste parole Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini è intervenuto  in occasione  dell’inaugurazione ufficiale della prima edizione della Milano Wine Week, in programma dal 7 al 14 ottobre 2018 a Milano.

Evento in cui la principale associazione di categoria del settore vitivinicolo italiano interverrà da protagonista.

L’AGENDE UIV
Martedì 9 ottobre 2018 alle ore 19.45, è previsto l’incontro con Gian Marco Centinaio, Ministro delle Politiche Agricole e del Turismo, al quale verrà consegnato il documento prodotto al termine del think thank “Milano Wine Business Forum”. Nel testo ufficiale confluiranno le riflessioni e le richieste dei leader del settore-vino, divisi in cinque tavoli di lavoro (Internazionale, Innovazione, Finanza e Credito, Comunicazione e Commercio), che si riuniranno durante la mattinata.

Dopo il dibattito politico, uno degli appuntamenti più attesi della settimana, sarà quello con la tavola rotonda “Il vino in Italia. C’era una volta…”, in programma il 12 ottobre alle ore 17.00 presso Palazzo Bovara (Corso Venezia 51, Milano), durante la quale sarà presentato in anteprima un estratto del volume ‘antologico’ per celebrare i 90 anni di storia del Corriere Vinicolo, realizzato in collaborazione con il Corriere della Sera, dal titolo: “Si pubblica il sabato. 90 anni di storia del Corriere Vinicolo”.

“Il momento più significativo per noi durante questa edizione della Milano Wine Week – ha continuato Ernesto Abbona – sarà la celebrazione dei 90anni del Corriere Vinicolo. Avremo occasione di riflettere sulla storia del vino e della nostra associazione ripercorrendo, dalle origini ad oggi, la vita del nostro giornale. Il Corriere Vinicolo è stato, e continua ad essere, il miglior testimone dei vari cambiamenti che il settore vitivinicolo ed il vino italiano hanno vissuto a partire dagli anni ‘30 del secolo scorso. Per rendere omaggio a questa lunga vicenda editoriale – ha concluso– stiamo realizzando un volume che ci aiuterà ad analizzare e comprendere le trasformazioni intervenute, nel corso di tanti anni, nel comparto enologico, a partire naturalmente dal vigneto per giungere alla cantina, ai mercati ed allo stile di raccontarne le esperienze e le vicende”.

Durante l’incontro di venerdì interverranno: Ernesto Abbona (presidente UIV), Giulio Somma (direttore de ‘Il Corriere Vinicolo’) Luciano Ferraro (caporedattore centrale de ‘Il Corriere della Sera’), Federico Gordini (presidente Milano Wine Week), Attilio Scienza (professore di Viticoltura Università degli Studi di Milano), Luigi Moio (professore di Enologia Università degli Studi di Napoli), Daniele Cernilli (giornalista e direttore di Doctor Wine) ed è previsto l’intervento di Giovanni Mantovani (direttore generale Veronafiere).

Seguirà una degustazione dedicata ai vini presentati dalle “aziende del novantesimo”. 14 imprese di lunga tradizione, protagoniste della storia del vino italiano: Marchesi di Barolo, Frescobaldi, Ruffino, Gruppo Italiano Vini, Zonin1821, Vinicola Decordi, Cavit, Mezzacorona, Schenk Italian Wineries, Rivera, Banfi, Botter, Mondo del vino, Vite Colte Terredavino.

WINE BUSINESS FORUM – PARTECIPANTI AI TAVOLI DI LAVORO PER UNIONE ITALIANA VINI

Tavolo Internazionalizzazione
Sandro Sartor – Ruffino srl
Enrico Zanoni – Cavit s.c.
Nicola Tinelli – Unione Italiana Vini, Policy Officer

Tavolo Innovazione
Domenico Zonin – Casa Vinicola Zonin spa
Luigi Bersano – Mgm Mondo del Vino
Stefano Ferrante – Casa Vinicola Zonin spa

Tavolo Comunicazione
Chiara Giannotti – Agivi
Giovanna Lazzari – Casa Vinicola Zonin spa
Sara Pascucci – Caviro sca
Julianne Clark – Mgm Mondo del Vino

Tavolo Commercio
Giuseppe Di Gioia – Casa Vinicola Zonin spa
Stefano Ricagno – Cuvage srl
Emilia Nardi – Tenute Silvio Nardi s.s.
Federico Castellucci – Azienda Agricola Federico Castellucci
Carlo Pietrasanta – Azienda Agricola Carlo Pietrasanta

Tavolo Finanza e Credito
Federico Terenzi – Società Agricola Terenzi srl
Giulio somma – Unione Italiana Vini, direttore de “Il Corriere Vinicolo”

Categorie
news Spirits

Whisky da record: un milione di euro per un Macallan

EDIMBURGO – È la bottiglia di whisky più costosa di sempre. Battuta all’asta per 848.750 sterline. Circa 958 mila euro, per intenderci. Si tratta di un rarissimo Macallan di 60 anni, prodotto in sole 24 bottiglie. Il precedente record di 857 mila euro apparteneva a un’altra bottiglia della stessa serie.

Il pezzo da guinness reca un’etichetta disegnata dall’artista pop italiano Valerio Adami, che ha firmato 12 delle 24 bottiglie. Le altre 12 sono state realizzate dal britannico Peter Blake.

Il whisky Macallan in questione è stato distillato nel 1926 e invecchiato in botte fino al suo imbottigliamento, avvenuto nel 1986.

È il terzo primato per la casa d’aste Bonhams, che già in altre due occasioni aveva battuto ogni record. “È un grande onore aver stabilito un nuovo record mondiale – ha dichiarato Martin Green, esperto di whisky per Bonhams – e particolarmente esaltante è il fatto che sia stato fatto qui in Scozia, la casa del whisky”.

L’acquirente, secondo quanto dichiara Bonhams, è un compratore dell’estremo Oriente, area nella quale è crescente l’interesse verso per gli Spirits.

UN WHISKY DI 60 ANNI
Dimentichiamoci per un momento il costo. Tralasciamo l’effetto “fashion” della bottiglia rara ed introvabile. Sorvoliamo sul glamour di un bene per pochi, anzi pochissimi, facoltosi miliardari. Riflettiamo invece su cosa davvero contiene quella bottiglia (augurandoci che chi ha potuto aggiudicarsela riesca a capirla fino in fondo!).

Macallan è famoso per il suo carattere, la sua eleganza, finezza e costanza qualitativa. Ma non è solo questo ad esser stato imbottigliato. Ciò che troviamo in quella bottiglia è una vera e propria macchina del tempo.

Distillato nel 1926, quel whisky nasce in un periodo storico in cui il single malt sostanzialmente non esisteva. Il whisky lo si beveva blended e le distillerie lavoravano esclusivamente per i blenders, veri protagonisti del mercato.

Imbottigliato del 1986 (e peraltro il primo record fu proprio di un Macallan 60 anni, venduto nel 1987 a 5.500 sterline) proprio all’inizio di quel fenomeno che porterà – di lì a poco – all’esplosione mondiale dei single malt (grossomodo fine anni ’80, primi ’90).

LA FOTOGRAFIA DI UN’EPOCA
Un prodotto che, coi suoi 60 anni, va oltre qualunque invecchiamento normalmente degustato. Consentendo di viaggiare nel tempo e osservare una “fotografia” del 1986, quando ciò che oggi chiamiamo “single malt scotch whisky” era sul punto di diventare famoso. Ma anche una fotografia del 1926 quando nessun Master Distiller lavorava pensando che quel suo spirit sarebbe stato bevuto in purezza.

A chiunque abbia avuto facoltà di acquistare questa rarità auguriamo di cuore di possedere non solo il potere d’acquisto per potersela permettere, ma soprattutto il background cultural-degustativo per poterla davvero “osservare” col naso e col palato. E se poi avesse voglia di raccontarcela saremo ben lieti di ascoltare le sue note di degustazione e dar voce alla sua recensione. Slàinte!

Categorie
Cantine news

Terraviva e De Fermo: l’Abruzzo del vino, al naturale

E’ una delle regioni dal maggior background storico in fatto di viticoltura, l’Abruzzo. Terra contadina e di uomini caparbi per eccellenza. Con la cultura dell’agricoltura e del “vino naturale”, quando ancora non era “di moda”. Basti pensare ad Edoardo Valentini ed Emidio Pepe, ma anche a Terraviva e De Fermo.

Oggi l’Abruzzo è una terra troppo spesso dimenticata quando si parla di grandi vini. Ma è il luogo dove tanti viticoltori hanno ripreso in mano l’umile lavoro dei propri avi, nobilitandolo. Allontanandosi dal mero commercio per riportare la terra e la pianta al centro del progetto.

Anche per questo l’Abruzzo può essere considerato la patria dei vini naturali. Abbiamo scelto due cantine per raccontarvelo. Due realtà animate dagli stessi principi, in due zone regionali opposte: una affacciata sul mare, l’altra sul Gran Sasso.

AZIENDA AGRICOLA TERRAVIVA
Tenuta Terraviva nasce nelle splendide colline di Tortoreto, in provincia di Teramo, in un fazzoletto di terra affacciato sull’Adriatico ad immagine e somiglianza dell’Abruzzo, dal carattere duro e dalle meravigliose sinuosità.

Siamo a due passi dal mare, in una accenno di collina confinante con un oasi naturale. I terreni qui sono sabbiosi e misti ad argilla. Azienda a carattere familiare, composta da una  squadra giovane, ricca di entusiasmo e passione, consapevole dell’importanza di portare avanti il lavoro e la filosofia dei padri e dei nonni.

Qui si coltiva a tendone e a spalliera Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano d’Abruzzo, Passerina e Pecorino,  tutti vitigni autoctoni. Filosofia biologica, naturale, poche contaminazioni in cantina, solforosa al minimo.

Nessuna filtrazione, rese basse e massimo rispetto per il terreno. Circa 24 ettari vitati, con vigne di quasi 50 anni d’età. Ad accoglierci è Federica, la figlia di Pietro che assieme alla moglie Annalisa ha intrapreso questa attività dal 2006. 

I MIGLIORI ASSAGGI
Petit 2014, Spumante Brut

11% vol. primo e unico esperimento aziendale di creare un Metodo classico da uve Trebbiano. La 2014 non è stata certo un’annata da ricordare. Molto fredda, con maturazioni tardive che hanno portato Pietro a pensare di fare una bolla. L’acidità del Trebbiano quell’anno poteva regalare una bottiglia inaspettata.

Un metodo classico 18 mesi sui lieviti, bassa C02 in bottiglia, dalle parti franciacortine si direbbe un saten. Vendemmia ad inizio Agosto , decantazione statica del mosto dopo pressatura soffice dei grappoli interi.

Fermentazione ed affinamento in acciaio con lieviti indigeni. Presa di spuma in bottiglia secondo il metodo classico. Una bella bollicina, fine e persistente, al naso note fragranti di fieno e pasticceria, in bocca richiami di fiori di campo, finale rotondo ma mai pesante.

Giusi 2017, Cerasuolo d’Abruzzo Doc
12.5% vol. Montepulciano 100%, 2500 bottiglie prodotte. La pigiatura non è molto energica per rispettare l’integrità degli acini. La separazione dei raspi avviene in questa fase. Le uve pigiate vengono sottoposte ad una pressatura soffice. Il mosto ottenuto viene messo a decantare.

La fermentazione alcolica, effettuata con lieviti indigeni, ha una durata di 8-10 giorni ed avviene ad una temperatura di 22°C. Il vino riposa per 6 mesi in acciaio e almeno 3 mesi in bottiglia. E’ un vino  come diciamo nel nostro gruppo di amici da bere a “secchiate” , specie in questa stagione. Colore ipnotico come il naso.

Rosa cerasuolo carico, naso di lampone, fragoline e melograno. In bocca freschezza e acidità ben bilanciate con la struttura . un sorso energico , vigoroso , per nulla scontato. La pulizia finale e il retro olfattivo  continuano a richiamare il sorso.

Mario’s 44 Trebbiano d’Abruzzo superiore Doc  2016
13% vol. Non ancora in vendita. Da un piccolo vigneto vocato. il numero nel nome indica il numero della vendemmia quindi la 44° per questo vigneto. Lo vediamo affacciandoci alla finestra della sala di degustazione, splendente nel suo tendone.

Vendemmia a metà settembre, un mese di macerazione sulle bucce poi 9 mesi in acciaio e 9 mesi in botte grande usata ad affinare. Giallo paglierino, naso con classici sentori di fieno, paglia, erbe officinali, fiori di campo, camomilla.

In bocca ha mineralità e sapidità portate dal mare e dal terreno, gran corpo, ottimo l’ingresso e il centro bocca. Finale pulito e lungo. Un vino completo in ogni sua parte, dalle potenzialità di invecchiamento. Da stoccare in cantina e riprovare magari una volta l’anno per scoprire ogni volta qualcosa di nuovo.

Tra la batteria dei rossi il nostro miglior assaggio è indiscutibilmente il CO2 Montepulciano d’Abruzzo Doc 2017. 13,5% vol. Vigne giovani di circa 15 anni. Una settimana di macerazione carbonica del grappolo intero. Successiva pigiatura con tutti i raspi, passaggio in acciaio dove rimane per qualche mese a decantare e poi in bottiglia senza filtrazioni.

E’ la versione “Beaujolais” del Montepulciano, che ne esalta il varietale, le note fruttate e dolci golose del vitigno. E’ un vino fresco e dal consumo immediato, caratterizzato da una beva piacevole. Colore rosso rubino. Al naso esprime aromi fragranti d’amarena e frutta rossa.

Al palato è piacevolmente fruttato, succoso, con freschezza e tannini delicati che non ne appesantiscono il sorso. Servitelo fresco a 12°, non ve ne pentirete e non potrete più farne a meno.


AZIENDA AGRICOLA DE FERMO

L’Azienda Agricola De Fermo si trova a Loreto Aprutino, località che ogni appassionato di vino che si rispetti conosce perfettamente. Siamo nell’entroterra pescarese, a due passi dal mare Adriatico e dai monti della Maiella e del Gran Sasso.

Troviamo Stefano Papetti Ceroni intento a dirigere i lavori di ristrutturazione al primo piano della zona sovrastante la cantina. Ci accoglie invitandoci subito a oltrepassare il vecchio portone che ci conduce proprio al suo interno, luogo fresco in questo periodo dell’anno.

La sua storia di viticoltore è molto strana. Bolognese di nascita incontra la sua futura moglie Nicoletta De Fermo durante gli studi Bolognesi.Una volta approdato a Loreto scopre che proprio dietro questo portone del vecchio casale di famiglia si trovano ancora tutte le attrezzature, botti e vasche di cemento comprese che il vecchio nonno di Nicoletta andato in pensione aveva deciso di non utilizzare più.

La famiglia De Fermo produceva vino da decenni, conferendolo alla cantina sociale e ad altri vinificatori. Ma Stefano non ha il minimo dubbio su quale sarà il suo futuro quando apre quel portone.

L’azienda è nata ufficialmente nel 2009 e attualmente dispone di 17 ettari di vigneto. Circa un ettaro Pecorino, quattro a Chardonnay, il resto Montepulciano d’Abruzzo. La coltivazione segue i principi della biodinamica ma l’azienda non si limita alla produzione di solo vino ma anche di olio, grano con cui si produce pasta, cereali e legumi.

La filosofia di Stefano è molto semplice: cercare di seguire la storia di questo territorio riportando tecniche di allevamento e vinificazione che da sempre si sono usate qui. Rispetto del luogo, del suolo e della tradizione contadina. Per fare questo ha studiato, si è documentato, ha sfogliato archivi, rintracciato testimonianze scritte e orali. L’amore e il rispetto sono la sua filosofia.

Non andiamo in vigna solo perché sono le 2 del pomeriggio e in questa giornata di fine luglio il caldo è veramente terribile. Ci accomodiamo subito in luoghi più freschi. In cantina troviamo sulla sinistra i caratelli dove affina il vino passito a base pecorino e, subito dopo sulla stessa fila, due tonneaux  (usati per il bianco) e due grandi botti di Garbellotto dove sta “riposando” il Prologo.

Più avanti le bellissime ed antiche vasche di cemento rimesse a nuovo. Niente acciaio. L’unico contenitore che vediamo viene usato al massimo per far transitare il vino durante i travasi. In un’altra zona più nuova ci sono altre vasche di cemento, 5 per l’esattezza di cui 2 di cemento grezzo con cui Stefano sta provando a sperimentare.

La fermentazione dei vini, ovviamente, segue la pratica naturale per cui niente uso di lieviti selezionati, nessuna aggiunta di coadiuvanti enologici, nessuna filtrazione, chiarifica e uso della solforosa al minimo indispensabile.

I MIGLIORI ASSAGGI
Launegild 2016 , Chardonnay Colline Pescaresi igt
12% vol. La prima domanda nasce spontanea. Perchè uno Chardonnay a Loreto? Perché qui lo Chardonnay c’è sempre stato. Questo clone ha origini antichissime ed è unico esemplare dello stivale. Non è il classico Chardonnay. La degustazione ce lo conferma.

Terreni calcarei, da un quintale di uva si ottengono circa 52 litri di vino. Altitudine sui 350 m s.l.m. Due note di vinificazione: torchiato coi raspi, quella che per Stefano è una vinificazione a grani tondi. Fermentazione in botte grande, a seguire un travaso per togliere le fecce grandi e rimettere il vino su quelle fini. Batonnage settimanale e poi 8/10 mesi  sempre in legno.

Nessuna filtrazione. Dalle botti di 2000 litri Stefano lascia sul fondo gli ultimi 50. Li tiene per se, imbottigliandoli come consumo interno e per la gioia dei suoi ospiti. Colore giallo paglierino con riflessi dorati. Naso elegante, per nulla carico dei toni classici dello Chardonnnay.

Legno impercettibile. Frutta gialla, fiori di campo, melone. Note balsamiche di eucalipto, di ananas e una fresca vena floreale. Berlo è stupefacente, la bocca è scossa da un bel nervo acido, lungo, cangiante, dal succo di pompelmo alla pesca, dal frutto giallo alla vena sapida e minerale poi ancora note floreali di cappero.

Richiama continuamente il sorso, perché ogni volta sembra un vino diverso e sempre più bello, complesso e completo quanto scorrevole. Assaggio avvincente, appagante.

Le Cince 2017 , Cerasuolo d’Abruzzo Superiore
13,5 % vol. Uve Montepulciano in purezza. Vinificazione in bianco, niente salassi. Uve torchiate morbidamente e messe a fermentare in botte grande da 20 HL per sei mesi per poi essere imbottigliato così com’è, senza filtrazioni e chiarifiche.

Fresco e delicato, profumatissimo di fragoline, lampone e rose, di grande eleganza e sapidità in bocca. Vino come mi piace definirlo da “h 24”. Lo puoi bere sempre in ogni occasione, da solo o accompagnandolo con ogni tipo di cibo. E’ un vino che ha freschezza, acidità, accenno di un corpo che è pur sempre del Montepulciano, quindi con nervo e persistenza. E’ minerale, è sapido, è lunghissimo.

Concrete 2017, Montepulciano d’Abruzzo Doc
13,5% vol. Montepulciano 100%. Stesso vigneto del Montepulciano top aziendale il Prologo, che segue vinificazione e affinamento classici. Vendemmia leggermente anticipata. Diraspato ma non pigiato.

Si lascia a fermentare l’acino intero, in una sorta di macerazione carbonica alla Beaujolais. Dopo 5/6 giorni di fermentazione, mentre ancora il processo è attivo, si svina e la fermentazione prosegue senza bucce. Da li in cemento per almeno 10 mesi.

Questo assaggio è una sorta di test perché il Concrete 17 è in bottiglia solo da poco più di un mese. Dal colore porpora con riflessi violacei al naso parte ridotto ma si pulisce rapidamente per sprigionare poi in aromi di fiori come peonie e viole e poi frutta rossa come fragolina e marasca.

Tutto il naso è un gioco di aromi primari e secondari spinti all’infinito. In bocca una sottilissima carbonica, a dimostrazione della giovinezza del vino. L’acidità tiene il sorso caratterizzato da un tannino appena accennato. Bella persistenza.

E’ un Montepulciano semplice, da merenda con pane e salame, niente surmaturazioni, niente complessità e robustezze di corpo, tannini soffici, sorso dissetante e allo stesso tempo appagante, non banale. Leggero ma presente, c’è e si sente, come una carezza che rassicura il palato.

Categorie
news Spirits

Grappa del Trentino: 2018 di quantità e qualità

TRENTO – Più quantità e buona qualità. A circa un mese dall’accensione degli alambicchi, l’Istituto di Tutela Grappa del Trentino fa il punto della situazione sull’annata 2018.

“Naturalmente è presto per tirare una somma complessiva – spiega il presidente Mirko Scarabello – ma da un sondaggio sulle nostre distillerie possiamo senz’altro dire che siamo di fronte a un’annata positiva sia dal punto di vista della qualità che della quantità, naturalmente legata alla produzione di uva e quindi di vinacce”.

“Come noto – precisa il numero uno dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino – il nostro disciplinare rispetto agli altri in Italia prevede la chiusura degli alambicchi entro il 31 dicembre, ma per novembre le vinacce trentine saranno già distillate”.

L’ANNATA 2018
Facile produrre più del 2017, vendemmia compromessa dalla siccità. Le prime stime parlando di un 20% in più di grappa alla fine della distillazione, per l’annata 2018.

Il lavoro del distillatore, che trasforma un’ottima materia prima in un ottimo distillato, produrrà risultati tangibili solo tra circa un mese e mezzo, quando la grappa si sarà “riarmonizzata”.

Sempre secondo l’Istituto di riferimento, “l’annata in Trentino è particolarmente favorevole per le uve a bacca rossa, visto l’andamento climatico e il buon grado di maturazione raggiunto”. Anche nelle valli a prevalenza di vitigni a bacca bianca “le rese sono buone e la qualità della vinaccia notevole, con profumi di grande livello”.

Categorie
Analisi e Tendenze Vino news

Chianti in Cina: perché marchio Shiandi 基安蒂 è ottima trovata

Diciamocelo chiaramente. Ha suscitato qualche ilarità – cosa grave, anche tra una buona fetta di addetti ai lavori – la registrazione del marchio “Shiandi” (基安蒂) per il Chianti in Cina. Una mossa volta a favorire l’export, che ha riacceso facili ironie di caratura calcistica.

Passata la fase di autoindotto solletico ascellare italiota – pratica che investe tutte le “cose nuove” che si verificano in un Paese notoriamente allergico all’innovazione e alla presa di coscienza del reale Anno Domini – la trovata del Consorzio di Tutela fiorentino non può che essere giudicata positivamente.

PIZZA E COCA-COLA
Abbiamo infatti approfondito il discorso. Scoprendo che molte parole, in Cina, godono di “translitterazioni” simili a quelle utilizzate dal team toscano capitanato da Giovanni Busi. Tecnicamente si chiamano loanword, ovvero “parole in prestito”. A Pechino si comunica senza un vero e proprio alfabeto e con un complesso sistema di caratteri e fonemi.

E allora ecco che 披萨 si tradurrebbe “PY pīsà”: ovvero “pizza“. Due simboli: “PY”, ovvero “tagliare”, e “SA”, una parola senza significato particolare – come potrebbe essere un cognome – utilizzata solo per l’assonanza fonetica.

Ancora più chiaro l’esempio con la bevanda più famosa del mondo: la Coca-Cola可口可乐, ovvero “Kĕkŏu Kĕlè”. I caratteri usati per traslitterare il marchio sono interpretabili in diversi modi. Ma in mandarino, guarda caso, rappresentano una “deliziosa felicità”. Tutto tranne che burloni, quelli del Consorzio del Chianti. O no?

http://www.vinialsupermercato.it/chianti-registrato-in-cina-il-marchio-shianti-per-export/

Categorie
Analisi e Tendenze Vino news

Franciacorta protagonista alla Milano Wine Week

MILANO – Franciacorta sotto i riflettori al debutto della prima settimana del vino milanese. La novità si chiama Milano Wine Week e dal 7 al 14 ottobre trasformerà Milano nel paradiso di tutti i winelover che tra palazzi, quartieri, ristoranti e bar potranno sbizzarrirsi in un palinsesto ricchissimo di avvenimenti dedicati al mondo del vino.

Per acquistare i biglietti in prevendita basta cliccare qui. Per gli iscritti alla newsletter del Consorzio, peraltro, è previsto uno sconto del 15%.

IL PROGRAMMA FRANCIACORTINO
Franciacorta Day – Giovedì 11 Ottobre
Due eventi, doppia soddisfazione! Nella stessa giornata Franciacorta propone l’appuntamento con la tappa milanese dei Festival itineranti Franciacorta e l’inedito Franciacorta Stories.

Il Festival Franciacorta, nel suo format consueto, riunisce nella location di Palazzo Bovara 40 produttori franciacortini per l’incontro con operatori, esperti del settore ed eno-appassionati attraverso banchi d’assaggio e degustazioni.

Dalle 15.00 alle 17.30 – Ingresso riservato a stampa e operatori
Dalle 17.30 alle 20.00 – Apertura al pubblico.

Franciacorta Stories: dalle 19.30 alle 22.30, a pochi metri di distanza nei piani del Brian & Barry Building, Franciacorta si racconta attraverso i diversi volti del territorio.

Tanti temi e tanti vini distribuiti sui diversi piani in un divertente saliscendi alla scoperta delle bollicine simbolo dell’eccellenza italiana. Per questo evento è obbligatoria la prevendita.

Franciacorta Wine District – Dal 7 al 14 Ottobre
I ristoranti ed i locali dell’affascinante e raffinato quartiere di Brera ospiteranno degustazioni di Franciacorta, creeranno ad hoc menù in abbinamento ed apriranno le porte a tutti coloro che vorranno scoprire la versatilità delle bollicine franciacortine.

Franciacorta Masterclass
Presso Palazzo Bovara, due diverse masterclass dedicate alla scoperta territorio e dei suoi segreti attraverso la degustazione di 6 Franciacorta.

– 9 OTTOBRE – Ore 19.00 “FRANCIACORTA DOSAGGIO ZERO” – Diverse interpretazioni della tipologia che meglio racconta il terroir Franciacorta
Biglietto d’ingresso unico € 15
– 13 OTTOBRE – Ore 17.00 “SATÈN, UNICITÀ IN FRANCIACORTA”

Degustazione della tipologia più elegante e morbida prodotta esclusivamente in Franciacorta. Biglietto d’ingresso unico € 15.

Categorie
Analisi e Tendenze Vino degustati da noi news vini#02

Basilicata vs Veneto: scontro (amichevole) fra tradizioni enologiche

Cosa succede se proviamo ad accostare l’Aglianico del Vulture a ai rossi del Veneto? Ha provato a rispondere alla domanda Cantina di Venosa con una sorta di sfida amichevole fra due dei propri vini e due vini, veneti per l’appunto, di cantina Balestri Valda.

La degustazione, guidata dal presidente Ais Basilicata Eugenio Tropeano, è stata una sorta di sfida amichevole fra due territori e due tradizioni distanti non solo geograficamente. Una sfida senza vincitori né vinti. Una comparata che ha dato modo di apprezzare le sfumature di due terroir.

LA DEGUSTAZIONE
Terre di Orazio Aglianico del Vulture, 2015. Cantina di Venosa. Vinificazione in acciaio ed affinamento in botte grande per 15 mesi. Un vino strutturato dal colore da colore rubino, quasi purpureo. Subito al naso di frutti rossi maturi, a tratti frutta macerata.

Poi pepe, caffè, fava di cacao. In bocca entra deciso, i 14% si fanno sentire ma sono immediatamente vestiti dalla piacevole morbidezza e freschezza. Scorre bene in bocca ed il tannino è perfettamente integrato nella struttura del vino.

Veneto Igt “Scaligero”. Cantina Balestri Valda. Uve Cabernet Sauvignon e Merlot. Fermentazione alcolica e malolattica in acciaio, affinamento per 24 mesi in barrique. Rosso rubino per nulla trasparente. Evidente nota vegatale al naso, erbacea e di peperone verde.

Fruttato evidente ed una nota speziata più marcata rispetto al vino precedente. Rotondo e morbido al palato ha un tannino ben integrato nel sorso. Meno persistente del Terre di Orazio.

Ex equo. Due vini troppo diversi per poter decretare un vincitore il primo round si chiude con un nulla di fatto: 1 a 1, palla al centro in attesa dei fuoriclasse.

Carato Venusio Aglianico del Vulture 2013. Il top di Cantina di Venosa. Vinificazione e fermentazioni alcolica e malolattica in acciaio, affinamento in piccole botti (carati, per l’appunto) di rovere francese per due anni e per minimo 12 mesi in bottiglia. Vino di grande spessore dal colore rosso rubino tendente al granato. Naso elegante. Frutti rossi maturi che giocano a nascondino con la ciliegia sotto spirito. Spezie a volontà, pepe, liquirizia, tabacco, cuoio.

Grande balsamicità ed una nota mentolata a chiudere uno spettro olfattivo di grande eleganza. Morbido, molto sapido e di grande freschezza. Tannino setoso. Un vino di grande prospettiva, ottimo servito a tavola, darà il meglio di sé dimenticato in cantina per un po’ di anni.

Amarone della Valpolicella 2012. Punta di diamante di Cantina Balestri Valda. Di colore più scarico dell’Aglianico è meno scorrevole nel bicchiere. Cacao, caffè, tabacco dolce. Frutta sotto spirito. In bocca è caratterizzato da grande freschezza e morbidezza. Il tannino è levigato ed accarezza il palato in modo vellutato. Anche in questo caso un vino dalle ottime prospettive.

Anche qui è impossibile decretare un vincitore. Due terroir, due tradizioni. Vitigni e metodi di vinificazione così diversi che è impossibile porli a paragone. Interessante però l’esperienza e la possibilità di giocare arricchendo la propria esperienza.

Categorie
Cantine news

La Puglia di Cantina Posta Pastorella: anfore, barrique e “naturalità”

Poco più di 2,5 ettari di vigna a 3 km dal mare del Gargano a Vieste (FG). Una produzione di circa 18 mila bottiglie per Cantina Posta Pastorella, una piccola realtà che lavora e produce in un territorio più votato a turismo, pesca ed olio che non alla viticoltura.

È Antonio Pastorella ad accoglierci. È lui che una ventina di anni fa ha deciso di andare oltre la sua laurea in ingegneria meccanica per dedicarsi a questo vigneto le cui prime informazioni risalgono al 1983. Un vecchio vigneto che Antonio ha recuperato, convertito a regime biologico dal 2000, e dalle cui pergole ricava le uve per i suoi vini.

Poco Bombino, Trebbiano e Malvasia Bianca da cui si ricava l’unico bianco della cantina. Il resto è Montepulciano che regala i rossi ed i rosati di Cantina Posta Pastorella.

“Posta” perché la sede della cantina era anticamente una stazione di cambio cavalli per il servizio postale. Siamo infatti a metà strada fra Vieste e Peschici lungo un tratto di costa di grande bellezza.

Mare e terreno sabbioso-argilloso che donano alle uve le loro caratteristiche. Nessun ausilio chimico in cantina, neppure l’azoto per le colmature. Il risultato lo abbiamo nei calici.

LA DEGUSTAZIONE
Bianco della Posta (2017). L’unico bianco della cantina accoglie con profumi fruttati e di macchia mediterranea. Sapido in bocca e di buona acidità, non eccessivamente persistente.

Tre i rosati a base Montepulciano. Rosa della Posta (2017) è vinificato in acciaio, 12 ore di macerazione. Cerasuolo intenso ricco di profumi di frutti rossi e ciliegia, fresco in bocca con un tannino appena avvertibile ed un finale breve ma piacevole.

Damanera Rosato (2015) soggiorna in anfora di terracotta per un anno. Colore leggermente ossidato, è molto pulito al naso. Sentori di ciliegia matura e frutta a polpa gialla matura. In bocca si rivela fresco e scorrevole sul palato. Ad una nota tannica leggermente amaricante risponde un finale morbido, quasi dolce.

Donna Elda ha la stessa base ma viene affinato un anno e mezzo in barrique di rovere francese. È un rosato che gioca a fare il rosso. Se il naso ha la balsamicità ed i terziari tipici di un rosso che fa legno in bocca rivela la freschezza e l’agilità tipica di un rosato. Sul finale arriva un piacevole tannino ben integrato.

Ampia la gamma dei rossi. Rosso della Posta (2012) è vinificato in solo acciaio. Entry level della gamma ha un naso molto ricco di frutti a bacca rossa e gialla ed una leggera nota verde. Il tannino è vivo. Un vino pronto ma che non disdegna di essere dimenticato in cantina per un po’.

Damanera Rosso (2012), come il gemello rosato affina in anfora. Appena versato è un po’ chiuso e timido al naso ma col tempo rivela un bouquet ampio che spazia dalla frutta al fieno finanche ad una nota di biscotti al burro. In bocca è fresco e morbido con una leggera nota di ossidazione sul finale che ben accompagna i sentori retro nasali.

Don Carlo è vinificato in acciaio ed ottenuto dalle vigne più vecchie del vigneto. Due le annate degustate, 2010 e 2008. Il primo ha naso ricco in cui alla frutta si accostano spezie morbide (pepe bianco, cannella), tannino morbido e buona acidità. Nel 2008 emergono di più i terziari, radice di rabarbaro e liquirizia. Altrettanto equilibrato in bocca.

Chiude la degustazione Tennika (2006). Rosso con 36 mesi di affinamento in barrique di rovere francese. confettura di frutti rossi, vaniglia, salvia, rosmarino, nota balsamica ed un sentore di brace per un naso complesso ed accattivante. In bocca il legno non è invasivo. Morbido e caldo non si scompone durante la lunga persistenza.

Categorie
degustati da noi news vini#02

Ferrari punta sul Pinot nero Trento Doc: Giulio Ferrari Rosé Riserva del Fondatore 2006

TRENTO – Cantine Ferrari punta sul Pinot Nero e annuncia la novità dell’anno per i Trento Doc: il Giulio Ferrari Rosé Riserva del Fondatore 2006.

Una tappa importante nella storia ultrasecolare della cantina, in un 2018 già ricco di novità, come l’acquisizione del marchio dell’amaro Re Laurino e i nuovi vini di Podernovo, la tenuta toscana della famiglia Lunelli.

“Una testimonia dell’ossessione per l’eccellenza e l’indissolubile legame con il territorio”, commentano dalla casa trentina.

Tiratura limitata per la novità di casa Ferrari: solo 5 mila bottiglie. E obiettivo chiaro: “Diventare l’icona delle bollicine italiane rosé”. Il prezzo? Circa 160 euro

LA NOVITA’
Il Giulio Ferrari Rosé è un Trento Doc dalla vibrante intensità, sintesi perfetta del carattere del Pinot Nero e dell’eleganza dello Chardonnay, frutto di un’attenta selezione nei vigneti di famiglia in alta quota alle pendici dei monti del Trentino.

Nasce solo negli anni degni di una grande Riserva. La prima annata è frutto della vendemmia 2006 ed è quindi rimasta per undici anni in affinamento sui lieviti, nel buio e nel silenzio della cantina, confermando la capacità dei vigneti di montagna di esprimere vini in grado di vincere la sfida del tempo.

LA STORIA
Ognuna delle 5 mila bottiglie sarà custodita in un raffinato cofanetto, destinato alla vendita nell’alta ristorazione e alle enoteche più esclusive in Italia e nel mondo. Era il 1902 quando Giulio Ferrari decise di dare forma al suo sogno: creare nel suo Trentino bollicine capaci di suscitare emozioni uniche.

Nel 1980 la famiglia Lunelli ha dedicato a lui e al suo sogno l’etichetta più prestigiosa della casa, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. Visione, coraggio e passione rivivono ora nella versione rosé di quella che si è nel frattempo affermata come la bollicina più premiata d’Italia.

Categorie
Cantine news

Klet Brda, la cooperativa slovena che fa incetta di premi al Mondial des Vins Extrêmes

TORINO – Difficile da pronunciare, facilissima da bere. E’ Klet Brda, cooperativa vinicola della Slovenia che ha fatto incetta di premi al Mondial des Vins Extrêmes 2018. Sette le medaglie consegnate ieri dal Cervim al direttore Silvan Peršolja, in occasione della cerimonia di premiazione avvenuta a Palazzo Madama, in centro Torino.

Tra i riconoscimenti spicca la Gran Medaglia d’oro al Zgp Goriska Brda Merlot 2013 “Bagueri“. Medaglia d’oro per il Zgp Goriska Brda Cabernet Sauvignon 2016 “Quercus” e per un altro rosso, il Zgp Goriska Brda Pinot Nero 2016 “Krasno“.

Tra i bianchi di Klet Brda che hanno convinto a giura del Mondial des Vins Extrêmes 2018 c’è la Zgp Goriska Brda Rebula 2014 “Krasno”. Premiati anche due vini da dessert: Zgp Goriska Brda 2013 “Markiz” (blend 80% Rebula, 20% Chardonnay) e Zgp Goriska Brda Muskat 2017 “Peneci” (spumante base Moscato Giallo).

“Siamo una cooperativa di oltre 400 famiglie di viticoltori del Collio sloveno – ha spiegato il direttore direttore Silvan Peršolja alla consegna del premio – di cui solo 30 vivono esclusivamente di viticoltura. Per tutti gli altri si tratta di un’attività secondaria, portata avanti da generazioni”.

“Quello che ci preme sottolineare – ha aggiunto Peršolja – è che il nostro combustibile non è tanto l’economia generata dal vigneto, bensì la passione che ci guida ogni giorno. La viticoltura eroica, per noi, è una missione”.

La media si aggira attorno ai due o tre ettari di terreni per famiglia, situati perlopiù su versanti ripidi, lavorabili solo mano e senza l’ausilio di grandi macchinari. Difficoltà che non impediscono a Klet Brda di risultare il maggiore produttore ed esportatore di vino della Slovenia.

E convincono tutti i vini premiati al Mondial des Vins Extrêmes 2018. Il fil rouge che li lega è quello dell’eleganza e della centralità del frutto: vini croccanti e verticali che non stancano mai.

In particolare, tra i rossi, colpiscono il Cabernet Sauvignon 2016 “Quercus” e il Pinot Nero 2016 “Krasno”. Ottimo anche il vino da meditazione “Markiz”, blend Rebula-Chardonnay vendemmia 2013. Da provare.

Categorie
Analisi e Tendenze Vino Cantine news

Tutti in Georgia, ma perché? Pregi e falsi miti del vino georgiano


TBILISI –
Alzi la mano chi ha un amico che è stato in Georgia, o che sta progettando un viaggio alla scoperta dei vini georgiani. La percentuale è alta se si considera che il vino, in Georgia, è una questione tutto sommato recente. Intendiamoci.

Se da un lato è vero che l’ex colonia zarista e sovietica ha avviato da tempo una massiccia operazione di comunicazione internazionale, dall’altro va considerato che non esiste ancora una mappa catastale completa del “vigneto Georgia“. La National Wine Agency ha iniziato questo lungo lavoro solamente nel 2014.

Il riconoscimento come patrimonio Unesco del metodo tradizionale di produzione del vino in anfore Qvevri e il ritrovamento delle più antiche tracce di viticoltura al mondo – risalenti a 8 mila anni fa – aiutano. Ma non bastano.

Il governo di Tbilisi si sta dando un gran da fare per non perdere il treno del vino e dell’enoturismo. E la Georgia sarà certamente uno dei Paesi emergenti che farà sentire la loro voce sul mercato internazionale, nei prossimi decenni.

Ad attirare tanti curiosi ed esperti in questo magnifico Paese del Caucaso – tutto da scoprire anche dal punto di vista naturalistico – è l’immagine da “Culla del vino” ormai legata alla Georgia, a livello internazionale.

GEORGIA, THE CRADLE OF WINE

Non a caso, il nome prescelto dall’agenzia nazionale del vino georgiano lo scorso anno, per l’allestimento di 4 mesi alla Cité Du Vin de Bordeaux, è stato “The cradle of wine“. Una metafora che rafforza ulteriormente l’altro caposaldo della comunicazione governativa: la grande varietà di vitigni autoctoni presenti sul territorio georgiano. Oltre 500.

Ma c’è addirittura chi parla di 800. Tra il 5 e l’8% dei vitigni mappati al mondo, circa 10 mila in totale, sarebbero dunque originari della Georgia. Meno di 400 quelli mappati in Italia. Il grande errore, a differenza di quanto capita nel nostro Paese, è aspettarsi di poterli trovare tutti, una volta sbarcati ai piedi del Caucaso. E magari degustarli. Quello che non si dice, infatti, è che di questa grande varietà di vitigni è rimasto ben poco.

La Georgia, negli anni del colonialismo russo, è stata letteralmente depredata dei suoi tesori enologici. La maggior parte degli autoctoni sono stati espiantati in favore delle varietà più vigorose e produttive. Per decenni, di fatto, la Georgia ha funto da “cantina” dei russi. O, meglio, da serbatoio. Il vino georgiano, sotto controllo della Russia, non godeva certo di buona fama. Si trattava di vino spesso adulterato, carico di pesticidi o “allungato” con acqua, in mano a poche compagnie controllate da uomini d’affari senza scrupoli.

LA SVOLTA

Le cose hanno iniziato a cambiare in seguito all’indipendenza della Georgia, ottenuta nel 1991. Ma a dare la vera e propria sferzata al settore è stato l’embargo operato dai russi nel 2006. Fino a quell’anno, Mosca ha continuato a servirsi della produzione vitivinicola georgiana, senza farsi troppe domande.
L’export verso la Russia, di fatto, si assestava su cifre imponenti, tra l’80 e il 90%. L’improvvisa attenzione dei russi per il mercato armeno – l’unico in zona in grado di supportare le richieste – in sfavore di quello georgiano e moldavo ha avuto effetti immediati devastanti per l’economia locale.

Sette compagnie nazionali hanno chiuso i battenti, accusate dal Cremlino di esportare in Russia vini adulterati e tossici. Ma, alla lunga, l’embargo è stato la vera chiave di volta per l’enologia della Georgia. Le grandi compagnie nazionali, sopravvissute alla ritorsione, hanno cominciato a rivolgersi a mercati più maturi di quello russo.

Finendo per confrontarsi con Paesi ben più alfabetizzati e, soprattutto, produttori di vino. In Georgia si comincia così a parlare di qualità. Fondamentale l’attività di scouting da parte delle più grandi aziende del Paese, a caccia di consensi anche nei Concorsi internazionali.

Diversi enologi di fama, tra cui molti italiani e francesi, finiscono per dare il loro contributo alla crescita qualitativa del settore. E ancora oggi sono molte le “firme” italiane presenti addirittura sulle etichette del vino Made in Georgia. Quasi come marchi di garanzia. Ma non è (ancora) tutto oro quel che luccica.

Tra le pratiche enologiche consentite c’è, per esempio, l’aggiunta di trucioli di legno nel vino in fermentazione o in affinamento in acciaio. Si tratta delle cosiddette “chips”, che consentono di dare al vino un “effetto legno” pressoché immediato, senza attendere i tempi di naturale estrazione in botte. Una pratica (purtroppo) legale in molti Paesi, ma non in Italia (almeno per i vini Doc).

Ad ammettere senza problemi l’utilizzo delle “pastiglie” di tannini sono grandi gruppi che operano a livello industriale. Come KTV (Kakhetian Traditional Winemaking), che di “traditional” – in verità – non ha più moltissimo. La compagnia è una delle più visitate dagli enocuriosi a caccia di chicche in Georgia e la qualità dei vini prodotti è alta, nonostante si tratti di una realtà da 600 ettari complessivi (di proprietà) distribuiti tra Askana ad Akhasheni, da ovest a est del Paese.

Giusto visitare KTV per comprendere le punte tecnologiche raggiunte dalla Georgia nel winemaking process. Non a caso, Kakhetian Traditional Winemaking non manca da diversi anni al Prowein Trade Fair. Ed è una delle flag company che stanno contribuendo maggiormente all’accrescimento della notorietà del vino georgiano nel mondo. Tra le aziende visitate durante il nostro tour ce ne solo altre da visitare a tutti i costi:

  1. Mildiani Winery
  2. Zangaura Georgian Wines
  3. Lapati Wines
  4. Winery Chelti
  5. Ruispiri Biodynamic Vineyard
  6. Iago’s Wine – Iago Bitarishvili
  7. Khareba Winery
  8. Vellino – Beka Jimsheladze
  9. Nika Vacheishvili’s Marani and Wine Guest House

LE DEGUSTAZIONI

Cantine, quelle citate sopra, di dimensioni diverse. Ma tutte reali interpreti dei valori del vino, considerato “sacro” in Georgia.
Tra queste, la più nota tra gli amanti degli “orange wine”, anche in Italia, è la cantina di Iago Bitarishvili (nella foto), vero e proprio interprete assoluto del Chinuri, il vitigno a bacca bianca più diffuso della regione del Kartli.

Meritevole di essere scoperta Lapati Wines, l’avventura georgiana di due giovani francesi che hanno iniziato a produrre spumanti metodo ancestrale con le uve locali Rkatsiteli, Chinuri, Avkveri e Gorula (linea Kidev Erti), oltre a un potente Saperavi.

Ottimo il lavoro che sta portando avanti, sempre nella nicchia dei Raw Wines, anche Beka Jimsheladze. La sua cantina è stata ultimata da poco e il brand Vellino inizia a imporsi sul mercato: già un anno fa i suoi vini ci sono sembrati pronti per poter affrontare le sfide internazionali, pur senza perdere il marchio di fabbrica territoriale.

LE CANTINE DA NON PERDERE IN GEORGIA

Vale lo stesso discorso per Ruispiri Biodynamic Vineyard, il gioiello biodinamico di Giorgi Aladashvili. Uno capace di dormire (letteralmente) accanto alle qvevri durante la fase di realizzazione del nuovo Marani, nel Kakheti. Menzione particolare, tra le cantine visitate, anche per il “giocattolino” dell’ex ministro della Cultura della Georgia, NikolozNika” Vacheishvili.

Nei suoi vini, in particolar modo i bianchi, tutti i profumi delle vallate che circondano il “Marani and Wine Guest House”, a Didi Ateni. Splendidi. E tra i locali da non perdere, nella capitale Tbilisi c’è il Bina N37: un vero e proprio appartamento in cima a un palazzo di 8 piani, dove poter ammirare le 43 qvevri in produzione sul terrazzo e gustare i piatti della tradizione georgiana.

Cosa aspettarsi, in generale, dal vino georgiano? Grandi profumi e complessità, anche per i bianchi. Una beva non banale, dovuta alla vinificazione e macerazione in qvevri. Nonché ossidazioni più o meno marcate che, se ben controllate dal produttore, regalano vini unici. Quel che è certo è che la Georgia non è il paradiso degli enofighetti, intesi come amanti dei vini “per forza” limpidi, “per forza” organoletticamente “puliti” e di immediata comprensione. Tutt’altro.

Così come non è stato da “fighetti” il nostro soggiorno di una settimana: ospiti del giovane Shotiko (futuro produttore di vino) e della sua famiglia a Kakabeti, un villaggio sperduto a 70 chilometri a est di Tbilisi. E’ lui che ci ha condotto in un viaggio di una settimana, a bordo di una Mercedes rossa del 2001. Ricordi indelebili di persone indelebili in un Paese indelebile. Come i sapori dei vini georgiani.

Categorie
Gli Editoriali news

Come si diventa influencer nel food & wine: (pessime) istruzioni dal Gambero Rosso

/// EDITORIALE /// “Gambero Rosso International ha iniziato a seguirti”. Wow. “Follow back” scontato, per me che sono da poco su Instagram col simpatico account @the.wine.traveller. Peccato duri poco. Due giorni, per l’esattezza. Dal 15 settembre ad oggi, 17 settembre, il Gambero ci ripensa. Zac. Passo dal (presunto) colpo di culo al doloroso (ma anche no) colpo di chela. Il crostaceo più educato d’Italia mi toglie il “follow”. Sperando che non me ne accorga.

Fanno tutti così, o quasi, gli ormai noti influencer del food & wine. Una pratica internazionale per alzare la “media” di uno degli elementi statistici fondamentali per giudicare la “social reputation”: il rapporto tra follower e account seguiti.

Il fatto è che molti di questi account sono gestiti da veri e propri professionisti dei social media. Che al posto di concentrarsi sulla proposizione di contenuti seri, originali, professionali, perdono tempo zigzagando come bisce a caccia di inutili fan sui social.

COME SI CUCINA IL GAMBERO
Il gioco, tutto sommato, è semplice. Non ci vuole una laurea in marketing. Per incrementare la reputazione social di un brand, gli espertoni delle agenzie specializzate iniziano a seguire tutti quegli account potenzialmente interessati agli argomenti e contenuti trattati dal cliente di turno.

Il “follow back” da parte del popolo dei social, specie su Instagram, è pratica ormai scontata. Il brand si ritrova così, in poche ore di follow compulsivi, con un gruzzolo di fan in più. Che non conteranno un cazzo, nella maggior parte dei casi, in termini di conversione del “like” in acquisti, visite. Ma che fanno figo, accanto all’immagine del profilo e alle ultime Instagram Stories.

Dopo qualche giorno – a volte addirittura dopo poche ore – quel brand smette però di seguirli. Che figura ci farebbe Gambero Rosso International, al di là della sua indubbia credibilità mediatica, se seguisse tutti gli account da cui è seguito? Un “giochino”, questo, che dovrebbe far ragionare le aziende del settore Food & Wine sulla loro scelte in campo di comunicazione.

I RIMEDI
Ma non tutto è perduto. Esistono delle app come Follow Cop – per chi come me ha Smartphone con sistema Android – che consentono di smascherare le centinaia di furbetti (cantine, aziende o singoli fenomeni) che ogni giorno provano a costruirsi un ruolo da influencer, ovviamente a scopo di lucro.

L’app consente di togliere il “follow” a chi non vi segue. Vi aiuta, insomma, a sgamare gli “Unfollowers“. Consentendo, così, di scegliere coscientemente se continuare a seguire qualcuno che ci ha aggiunto solo per sfoggiare un punto in più nel rapporto tra “follower” e “account seguiti”.

Non avendo mire da influencer, bensì da umile informatore del settore vino in Italia, uso Follow Cop ogni due giorni per scremare tra chi è realmente interessato ai contenuti che propongo su vinialsuper – e veicolo appunto attraverso i social – da chi, invece, vuole usare il mio “follow” per guadagnare credibilità e denaro.

Detto ciò, dopo queste rivelazioni apocalittiche e rivoluzionarie (!) siete tutti invitati a seguire il mio nuovo account Instagram. Senza che poi vi segua a mia volta. Ma questo era scontato.

Categorie
news Spirits

Roma capitale del Rum con la ShowRUM Cocktail Week

ROMA – Oltre 80 brand tra rum tradizionali, rum agricole, selezionatori e cachaca per degustazioni, la STC – ShowRUM Tasting Competition, i cocktail, masterclass e seminari, ma anche la ShowRUM Cocktail Week, il Premio dedicato a Silvano Samaroli e il Trade Day, il manuale sul rum, per la sesta edizione del festival diretto da Leonardo Pinto, uno dei più grandi eventi al mondo dedicati al rum e alla cachaca.

Si tiene a Roma, domenica 30 settembre e lunedì 1 ottobre 2018, presso il Centro Congressi dell’A.Roma – Lifestyle Hotel & Conference Center (via Giorgio Zoega, 59) la sesta edizione di ShowRUM – Italian Rum Festival, uno dei più importanti eventi al mondo e primo in Italia dedicato al Rum e alla Cachaca.

La rassegna, promossa da Isla de Rum in collaborazione con SDI Group, è diretta da Leonardo Pinto, riconosciuto a livello mondiale come uno dei migliori esperti di rum in Europa, trainer e consulente per le aziende. Il programma completo, il calendario delle attività e delle masterclass e la lista espositori e brand presenti al festival al link www.showrum.it.

IL FESTIVAL
Diecimila partecipanti, 50 Paesi coinvolti, 400 etichette e 9mila litri di rum versati: questi alcuni dei numeri del successo del festival che quest’anno presenta oltre 80 stand, rendendo ShowRUM una delle più grandi fiere al mondo con una crescita costante di anno in anno e una presenza sempre più importante di nuovi produttori di rum e cachaca.

Tra le iniziative dell’evento, il Premio ShowRUM Taster of the Year 2018, assegnato a Glenda Valenti e Ivan Castillo per essersi distinti nell’esame di degustazione del Rum Master di Isla de Rum, un percorso formativo completo sul rum in due livelli. Il premio è dedicato a Silvano Samaroli, ‘Signore degli Spiriti’, storico imbottigliatore di rum e whisky, scomparso nel febbraio 2017 e membro storico della giuria della STC – ShowRUM Tasting Competition.

Spazio ai libri, con la presentazione in anteprima de “Il Mondo del Rum”, manuale scritto dal direttore artistico Leonardo Pinto, con rivisitazioni di cocktail storici ad opera di Paolo Sanna e Gianni Zottola. Il volume è edito da Tecniche Nuove, con le foto di Marco Graziano e Alessandro Rossetti e la copertina a cura di Studio Futuroma.

Tra gli altri eventi dello ShowRUM 2018, la consueta STC – ShowRUM Tasting Competition, unica Blind Tasting Competition italiana dedicata a Rum e Cachaca, nella quale i due distillati vengono divisi per anni di invecchiamento e per alambicchi di provenienza, oltre che per tipologia di materia prima. Unica al mondo, inoltre, a premiare, grazie a una giuria di esperti nazionali e internazionali solo il best in class per ogni categoria.

Tra i premi, quello dedicato al Best Packaging. Saranno quindi protagoniste le degustazioni guidate delle più grandi etichette presenti sul mercato italiano e internazionale, alla presenza di master distiller, esperti, distributori e brand ambassador che permetteranno ai visitatori di compiere un affascinante viaggio nel variegato mondo del rum.

Quindi, i cocktails, con la presenza di uno spazio dedicato alle bottiglie rare e d’epoca e con masterclass dedicate. Il bar della rassegna, in pieno stile tropicale, sarà curato dal bar manager Paolo Sanna, in collaborazione con il Singita Miracle Beach.

Dai bartender ai grandi buyer, passando per gli importatori, i distributori, la stampa, oltre agli appassionati e ai neofiti del rum animeranno la rassegna che prevede il tradizionale Trade Day, lunedì 1 ottobre, giornata interamente dedicata agli operatori e professionisti del settore, focalizzata sulla formazione professionale, ricca di appuntamenti e seminari con ospiti d’eccezione.

LA COCKTAIL WEEK
La settimana di ShowRUM sarà accompagnata dalla ShowRUM Cocktail Week, nuovo format ideato da Cleide Bianca Strano e realizzato in collaborazione con Head to Head Bartender Competition.

La Cocktail Week si svolge da mercoledì 26 settembre a lunedì 1 ottobre in dodici tra i migliori locali di Roma: Baccano, Banana Republic, Chorus Cafè, Club Derriere, Freni e Frizioni, Marco Martini Cocktail Bar, Meccanismo, Pantaleo, Pimm’s Good, Romeo Chef & Baker, Tyler, La Zanzara.

Al termine della settimana, una giuria guidata da Fabio Bacchi della rivista Bartales proclamerà il Drink Ufficiale della ShowRUM Cocktail Week 2018 tra i signature proposti. ShowRUM sarà presentato alla stampa presso l’A.Roma Lifestyle Hotel (via G. Zoega, 59) a Roma, giovedì 27 settembre a partire dalle ore 18:00 con l’evento di rum Diplomatico che proporrà una verticale di tutti i suoi single vintage dal nuovo del 2004 a quello del 1998 e a seguire buffet e banco di assaggio con i cocktail.

“Siamo giunti – dichiara Leonardo Pinto, fondatore e direttore di ShowRUM – alla sesta edizione di un festival che è riuscito a posizionarsi negli anni come punto di riferimento nel settore a livello internazionale, anche grazie alla doppia anima”.

“Da un lato trade – spiega Pinto – con la presenza importante del mondo del bar, della ristorazione, delle enoteche, dei grossisti ed in generale di tutti gli operatori che ruotano intorno al circuito food and beverage, dall’altro la platea di appassionati e curiosi che, attraverso ShowRUM, riescono a comprendere e apprezzare un distillato che, per troppo tempo, è stato ‘relegato’ solo alla miscelazione”.


Orari e prezzi
Giornata per il pubblico – domenica 30 settembre 2018 – dalle ore 14:00 alle 21:00 (ingresso 10 euro in prevendita, 15 euro in loco)
Trade day – lunedì 1 ottobre 2018 – dalle ore 11:00 alle 19:00 (ingresso gratuito)

Location
A.Roma – Lifestyle Hotel & Conference Center
Centro Congressi
Via Giorgio Zoega, 59 – Roma

Categorie
Analisi e Tendenze Vino news

Mondial des Vins Extrêmes: il 23 Settembre la premiazione a Torino

Foto di repertorio

TORINO – Si terrà il 23 Settembre a Torino, a Palazzo Madama, la Cerimonia di premiazione della 26esima edizione del Mondial des Vins Extrêmes organizzata dal Cervim.

La premiazione si svolgerà durante il Salone del Gusto-Terra madre in corso dal 22 al 24 Settembre.

Inaugurerà la giornata, alle ore 11, la tavola rotonda “Linguaggi e forme efficaci per promuovere la viticoltura eroica”.A seguire, alle 12.30, la Cerimonia di premiazione che vedrà coinvolti ben 227 vini.

I PREMI
Saranno assegnate 5 Gran Medaglie d’Oro, 130 Medaglie d’Oro, 92 Medaglie d’Argento ai finalisti del concorso selezionati dalla giuria internazionale del concorso internazionale dedicato ai vini eroici che si è tenuta a Sarre (Valle d’Aosta) dal 12 al 14 luglio.

Una selezione delle iniziali 723 etichette partecipanti provenienti da 279 aziende di 19 Paesi vitivinicoli eroici di tutto il mondo: Italia, Austria, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Stato di Palestina, Svizzera, con le novità di Capo Verde, Cile, Israele, Polonia, Repubblica di Macedonia e Slovacchia e con i graditi ritorni del Libano e Kazakistan.

L’elenco completo dei vini premiati è online e disponibile su: http://www.mondialvinsextremes.com/news/l-elenco-dei-vini-premiati-2018.

Tutte le etichette saranno anche in degustazione e a disposizione dei winelovers nelle giornate di sabato 22 e domenica 23 settembre, dalle 12 alle 24, mentre lunedì 24 settembre dalle 12 alle 19.

IL MONDIAL DES VINS EXTREMES
Il Mondial des vins Extremes è organizzato dal Cervim, in collaborazione con l’Assessorato Agricoltura e Ambiente della Regione Autonoma Valle d’Aosta, la Vival (Associazione Viticoltori Valle d’Aosta) e la sezione Ais – Valle d’Aosta, con il patrocinio dell’Oiv (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin) di Vinofed (Federazione Internazionale dei Grandi Concorsi enologici), e la relativa autorizzazione del Ministero alle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo.

Exit mobile version