BIBANO – I marchi tridimensionali di Bottega Gold e Bottega Rose Gold sono legittimi e di proprietà esclusiva dell’azienda di Bibano (TV). Lo ha stabilito mercoledì 8 maggio il Tribunale dell’Unione Europea presso la Corte di Giustizia di Lussemburgo, in merito ad alcuni episodi di imitazione di cui è vittima da anni la cantina veneta.
Confermata dunque la decisione dell’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (Euipo), che il 14 marzo 2018 aveva riconosciuto la validità dei marchi, la forma della bottiglia e l’effetto specchiato dei colori (oro e rosa) come “elementi propri dei marchi di Bottega, addirittura prevalenti su altre componenti in rilievo” e “l’etichetta a forma di fiammella, propria dei vini Bottega”. Dettagli che, sempre secondo la sentenza, “in quanto tali non possono essere utilizzati da terzi”.
I MARCHI BOTTEGA “Una decisione importante – commentano i vertici della casa di Bibano – che conferma una volta in più le ragioni di tutela del marchio che Bottega pone alla base delle sue rivendicazioni”. Di contrario avviso il Tribunale di Padova che qualche giorno fa ha assolto dal reato di contraffazione i responsabili dell’azienda vinicola Tombacco di Trebaseleghe (PD) sul presupposto che i marchi di Bottega hanno come unico elemento distintivo la lettera B, posta in rilievo sul collo della bottiglia.
Motivazioni, quelle della sentenza del Tribunale Ue, che non state considerate utili dal Tribunale di Padova nell’orientare e motivare la propria decisione. L’istanza di Bottega è stata infatti rigettata dal giudice padovano, che ha depositato direttamente in udienza le motivazioni della sentenza.
“Poiché la contraffazione è punita sia in sede penale che in sede civile – annuncia Bottega Spa – l’azienda proporrà sicuramente appello contro la sentenza del Tribunale di Padova, riservandosi di agire anche in sede civile considerato che lo stesso Tribunale di Padova ha prospettato l’esistenza di una possibile imitazione servile, per noi poco onorevole”.
Bottega ha ideato le bottiglie verniciate a partire dal 2001. Da allora, la cantina e distilleria trevigiana è stata vittima di diverse imitazioni in tutto il mondo. “La validità dei marchi registrati – ricordano i vertici aziendali – è stata riconosciuta in Italia e in Europa dai diversi organi competenti, anche se nel corso degli anni ci sono state delle difficoltà nella loro protezione che hanno portato Bottega Spa ad adire in diverse occasioni l’autorità giudiziaria per le azioni scorrette di alcune aziende concorrenti”.
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MONREALE – Riduzione del numero di vitigni ammessi alla coltivazione – che passano da 12 a 4 – e introduzione di nuove tipologie di vini, tra cui gli spumanti Metodo classico e Martinotti (Charmat). Cambia così la Doc Monreale.
Oggi il presidente del Consorzio di tutela, Mario Di Lorenzo, incontrerà la stampa italiana e internazionale nella cittadina patrimonio Unesco, per formalizzare le modifiche al Disciplinare di produzione in occasione di Sicilia en Primeur 2019.
Con lui una delegazione di 8 aziende su un totale di dodici che producono i vini Doc Monreale, che proporranno in degustazione le loro etichette. La vera novità è l’esclusione del Nero d’Avola dalla base ampelografica della Denominazione, in modo da convogliare tutta la produzione del vitigno nella Doc Sicilia.
Un ulteriore segno di attenzione della governance isolana nei confronti di una varietà scelta, assieme al Grillo, per rappresentare la Sicilia in Italia e nel mondo. Dalla vendemmia 2017, infatti, i due vitigni non possono più essere imbottigliati come Igt Terre Siciliane, ma solo come Doc.
LE VARIETÀ AMMESSE
Ma il Nero d’Avola non è l’unica varietà esclusa. Restano fuori dalla Doc Monreale anche Grillo, Chardonnay, Pinot bianco, Nerello Mascalese, Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot. Sarà infatti ammesso solo l’utilizzo di Catarratto e Ansonica (Inzolia) per le varietà a bacca bianca e Nero d’Avola e Perricone per quelle a bacca rossa.
Il nuovo corso della Denominazione punta dunque tutto sui vitigni autoctoni. L’unica eccezione è il Syrah, anche se il vitigno di origine francese può essere ormai considerato completamente adattato al microclima del continente Sicilia.
La revisione interessa anche le tipologie di vini che potranno essere imbottigliati come Doc Monreale. Sarà infatti introdotta la versione spumante, sia nella versione Metodo classico – quello che prevede la seconda fermentazione in bottiglia, come nel caso della Franciacorta e dello Champagne – che nella versione Charmat, tipica del Prosecco – singola fermentazione in autoclave -.
Una scelta che risponde all’incremento esponenziale di “bollicine Made in Sicily”, come dimostrano i dati forniti a WineMag.it dall’Irvo, l’Istituto regionale del Vino e dell’Olio di Sicilia. Attualmente le aziende che producono spumanti sull’isola sono una cinquantina per circa 90 etichette, di cui 22 spumanti Rosè e 67 spumanti bianchi.
LA CORSA AGLI SPUMANTI
Secondo il censimento dell’Irvo, nel 2011 le cantine siciliane che producevano vini spumanti erano solo una ventina, per circa 30 etichette. Alcune cantine che operano all’interno della Doc Monreale hanno già avviato da tempo le prime sperimentazioni.
E’ il caso di Alessandro di Camporeale, che presenterà a breve sul mercato il primo Metodo Classico da uve Catarratto. Sarà un Dosaggio Zero o un Extra Brut, vendemmia 2016. Dai primi assaggi effettuati a Sicilia en Primeur l’etichetta – al momento 24 mesi sui lieviti – si preannuncia promettente, soprattutto in termini di longevità. Quattromilacinquecento le bottiglie complessive.
La possibilità di produrre spumanti aumenterà la potenza di fuoco sul mercato della Doc Monreale, al momento ferma alla cifra non certo esorbitante di 50 mila bottiglie. Confermata inoltre la versione rosè.
In questo quadro il Perricone, varietà ostica sia dal punto di vista agronomico che enologico, potrà fungere da vera e propria chicca della Denominazione siciliana. Un autoctono capace di rispondere alla crescente richiesta di varietà locali dei consumatori più attenti.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
SIRACUSA – Sicilia capitale del vino per una settimana. Al via oggi Sicilia en Primeur, che anticipa la Giornata Internazionale del Nero d’Avola, prevista per l’11 maggio. Due appuntamenti che racconteremo in presa diretta dall’isola, con aggiornamenti che potrete seguire sulla nostra pagina Facebook. Si tratta dei due momenti dell’anno più importanti per le aziende del vino siciliano, dopo Prowein e Vinitaly.
Sicilia en Primeur prevede cinque giorni di degustazioni, visite in cantina e tour culturali per la Sicilia e i suoi Patrimoni Unesco, durante i quali oltre 100 giornalisti provenienti da tutto il mondo incontrano 50 cantine. Il tutto dal 6 al 10 maggio, come previsto dal programma di Assovini Sicilia, l’associazione che riunisce 90 aziende vitivinicole siciliane di piccole, medie o grandi dimensioni.
Venerdì 10 maggio, a chiusura dell’evento, presso l’Ex Convento del Ritiro in Ortigia (SR) a partire dalle 18 e fino alle 22, appassionati e wine lovers avranno la possibilità di degustare le novità delle cantine aderenti.
Quest’anno l’evento sarà curato dall’Associazione Italiana Sommelier Sicilia, con i professionisti della delegazione di Siracusa. Il ticket di ingresso ha il costo di 15 euro, per i soci Ais 12 euro. Per info e prenotazioni: info@aissicilia.com o siracusa@aissicilia.com.
LE 50 AZIENDE PARTECIPANTI A SICILIA EN PRIMEUR 2019
ALESSANDRO DI CAMPOREALE
FEUDO MONTONI
ASSULI
FEUDO PRINCIPI DI BUTERA
AZIENDA AGRICOLA TODARO
FINA
BAGLIO DEL CRISTO DI CAMPOBELLO
FIRRIATO
BAGLIO DI PIANETTO
GULFI
BARONE SERGIO
HORUS
BENANTI
LE CASEMATTE
CANTINE COLOSI
PALMENTO COSTANZO
CANTINE NICOSIA
PETER VINDING MONTECARRUBO
CANTINE SETTESOLI
PIETRADOLCE
CARUSO e MININI
PIETRO CACIORGNA
CASA VINICOLA FAZIO
PLANETA
CASTELLO SOLICCHIATA
RALLO
CENTOPASSI
SIBILIANA
COSTE GHIRLANDA
SPADAFORA DEI PRINCIPI
COTTANERA
TASCA D’ALMERITA
CUSUMANO
TENUTA GORGHI TONDI
CVA CANICATTI’ S.C.A.
TENUTE BOSCO
DIMORE DI GIURFO
TENUTE RAPITALA’
DONNAFUGATA
TERRA COSTANTINO
DUCA DI SALAPARUTA – CORVO – FLORIO
TORNATORE
FEUDI DEL PISCIOTTO
TORRE MORA
FEUDO ARANCIO
VALLE DELL’ACATE
FEUDO DISISA
VIVERA
FEUDO MACCARI
ZISOLA
LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEL NERO D’AVOLA
E’ invece alla seconda edizione la Giornata Internazionale del Nero d’Avola. “Il Nero D’Avola – commenta l’ideatore Carmelo Sgandurra, responsabile di Club Sommelier – rappresenta il carattere del vero siciliano, rosso, intenso, dal calore unico e dal gusto che lascia un ricordo indelebile nel palato di chiunque lo incontri. Ma soprattutto è un grande compagno della cucina internazionale”.
“Negli ultimi anni è cresciuto, è diventato un gran vino, apprezzato in ogni parte del mondo”, conclude Sgandurra. Quest’anno l’evento sarà ospitato in una location incantevole: il Castello Tafuri a Portopalo di Capo Passero.
Il momento clou della Giornata Internazionale del Nero d’Avola sarà alle ore 10 di sabato 11 maggio. Si svolgerà infatti il seminario “Il Nero D’Avola per la Sicilia nel Mondo”.
Interverranno enologi di fama mondiale, giornalisti e ospiti da Italia, Albania, Georgia, Spagna, Francia, Romania, Russia, invitati ad approfondire le peculiarità del vitigno.
Relatori principali al seminario saranno gli enologi Bruno Fina, Vittorio Festa, Corrado Gurrieri, Antonio Froio insieme a giornalisti come Ghia Parashivili (Georgia) e Davide Bortone, direttore responsabile di WineMag.it e Vinialsupermercato.it (nella foto), oltre a Marcello Battaglia, consulente internazionale.
Dalle ore 18 è prevista l’apertura dei banchi degustazione, per i quali è necessaria la registrazione sul sito nerodavolawine.com oppure via email all’indirizzo nerodavolawine@gmail.com.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Vigneti e alberi abbattuti, serre di vivai scoperchiate e prati di erbai sferzati dalla furia dei vortici d’aria. Sono i primi effetti, segnalati dai tecnici Coldiretti, della perturbazione con pioggia e forte vento che in queste ore si sta abbattendo sul Bresciano nella zona della Valtenesi, nella parte occidentale del lago di Garda tra Lonato del Garda, Padenghe sul Garda, Soiano, Moniga del Garda e Salò.
I tecnici stanno monitorando la situazione minuto per minuto, per raccogliere le segnalazioni da parte delle aziende agricole. Al momento nella zona di Lonato del Garda colpiti i prati di erbai, con il loietto schiacciato dalla forza delle correnti d’aria che ne hanno così compromesso il raccolto. Diversi gli alberi caduti tra ippocastani, pini marittimi e platani. In corso verifiche su serre e tunnel.
Nella zona tra Soiano e Moniga del Garda danni ai vigneti, con pali tiranti e alcuni filari abbattuti, mentre a Salò il vento ha sradicato serre di vivai con piante stese a terra. A Tremosine è arrivata anche la neve. Sorvegliati speciali vigneti e oliveti, per cui si temono gli effetti dell’abbassamento delle temperature che rischiano di danneggiare la produzione.
L’eccezionalità degli eventi atmosferici, come evidenzia Coldiretti, “è ormai diventata la norma e si manifesta con una più elevata frequenza di sbalzi termici significativi, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal caldo al freddo”.
Le anomalie climatiche, con il ripetersi di eventi estremi, sono costate all’agricoltura italiana oltre 14 miliardi di euro in un decennio tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne.
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ASOLO – Ebbene sì, “da avere in cantina”. Chi crede che il Prosecco non possa diventare più buono col tempo trascorso in bottiglia, evidentemente non ha mai assaggiato un Asolo Prosecco Superiore Docg. Chiaro che non stiamo parlando di un Metodo classico.
Ma all’Asolo Wine Tasting 2019, in programma dalle 10 alle 19 di quest’oggi al Palazzo Beltramini di Asolo (TV), ci sarà l’occasione di testare diverse annate di una delle “bollicine” venete più pregiate, nelle sue diverse sfumature.
Chi predilige vini morbidi potrà scegliere la versione Extra Dry o Dry, con residui zuccherini tendenzialmente compresi tra i 14 e i 25 grammi per litro. Chi invece preferisce spumanti più verticali potrà dirigersi senza indugio sulla versione Brut (dai 7 ai 12 grammi per litro).
Ancor più diretti gli Extra Brut (da 0 a 6 grammi litri di residuo zuccherino) o i Col Fondo (da 0 a 2 g/l), connotati dal tipico lievito in vista sul fondo della bottiglia.
Di seguito i migliori dieci Asolo Prosecco Superiore Docg risultati dalla degustazione alla cieca di WineMag.it su 49 campioni complessivi, suddivisi per tipologia. Non mancheranno i vini rossi del Montello Colli Asolani, di cui abbiamo parlato qui. Da non perdere quello prodotti con la rara uva Recantina, autoctona della zona di Asolo.
COL FONDO
1) Asolo Prosecco Superiore Docg Col Fondo 2016 “Il Brutto”, Montelvini: 89/100 Giallo paglierino carico. Naso profondo e fresco, che sfiora il balsamico. Si apre su tinte erbacee che ricordano la radice di liquirizia e il fieno bagnato. Un vino in continua evoluzione nel calice, tanto da arrivare a ricordi di cera d’api a diversi minuti dal servizio.
Un naso complesso, dunque, che evidenzia come il vino stesso sia in continua, positiva evoluzione. In bocca denota una bella struttura, giocata su una freschezza invidiabile in ingresso, che poi lascia spazio a un frutto preciso in centro bocca. Il tutto prima di una chiusura salina preziosa, unita a ricordi di radice di liquirizia già avvertiti al naso.
EXTRA BRUT
2) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut Biologico 2018 “Benny”, Bresolin: 89/100
Tra i campioni più completi in assoluto degustati all’interno della Denominazione asolana. In bocca sfodera una ottima freschezza, con leggeri richiami di mentuccia che si accostano a percezioni fruttate molto precise. L’allungo è sulla frutta a polpa gialla, sostenuta da una vena salina che chiama il sorso successivo. Beva che non stanca mai.
3) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2018, Giusti: 89/100 Uno spumante che fa dell’equilibrio e dell’eleganza le sue armi vincenti, senza rinunciare a una bevibilità straordinaria. Risulta infatti molto ben equilibrato in tutte le sue fasi, in un gioco prezioso tra frutto tendente al maturo e struttura resa dal terroir. Al palato sorprende, in particolare, per il retro olfattivo serioso, leggermente speziato (pepe bianco). Certamente tra gli Asolo Prosecco più complessi della Denominazione.
4) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut 2017 “Iaya”, Meridiana: 87/100 Tra gli spumanti più gastronomici in assaggio. Naso suadente, su ricordi di macchia mediterranea – rosmarino, alloro – oltre al frutto tendente al maturo (pesca e pera, tipiche della Denominazione). Bel palato che si distingue per l’apprezzabile verticalità in ingresso. Si allarga in centro bocca, senza scomporsi. Chiusura salina, precisa.
BRUT
5) Asolo Prosecco Superiore Docg Brut 2018 “Duse”, Pat del Colmèl: 88/100 Uno spumante connotato da un bel corpo, oltre da che da una gran freschezza al palato. Uno di quei calici che non stanca mai, per l’equilibrio tra tutte le sue componenti. Sorprende, ancora prima, per la complessità al naso, giocata tra note dure, gessose – che ricordano la pietra bagnata – e il frutto suadente, polposo, esotico. In bocca si ritrova lo stesso filo conduttore, in un gioco di perfetta corrispondenza impreziosita da una chiusura di sipario salina, elegante.
6) Asolo Prosecco Superiore Docg Brut 2018, La Caneva dei Biasio: 86/100 Tra i più tipici ed equilibrati tra i Brut della Denominazione (tipologia che, in verità, ad Asolo non brilla). Bella spinta minerale al naso, che gioca con la frutta matura ma non sgarbata. In bocca la mineralità trova conferma assoluta. Chiuse tipico, su note pulite di mandorla amara. Migliorerà certamente col passare dei mesi.
EXTRA DRY
7) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Dry 2018 “57”, La Montelliana: 87/100 Classico vino “a gradoni”, connotato da fasi gusto-olfattive che devono ancora integrarsi tra loro alla perfezione. Piace e convince perché è giovanissimo e le sue componenti non potranno che amalgamarsi meglio col passare dei mesi, creando un quadro coraggioso per la tipologia Extra Dry.
Uno spumante, di fatto, che non gioca sulla piacevolezza commerciale data dai 17 grammi/litro di residuo zuccherino, cercando nelle durezze date dalla mineralità l’equilibrio perfetto. Lo raggiungerà col passare dei mesi.
8) Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Dry 2018, Pat del Colmèl: 86/100 Altro calice che fa dell’essenzialità il suo punto di forza. Il frutto è pulito e tutt’altro che esasperato, pur nella sua maturità. La vena minerale è un corredo preziosissimo per il raggiungimento di un buon equilibrio gusto olfattivo. Un altro spumante a cui farà bene il tempo, che finirà di amalgamare i sentori di lisi alla bella venatura citrina avvertibile – in particolar modo – nel retro olfattivo.
DRY
9) Asolo Prosecco Superiore Docg Dry 2018 “Collina 48”, Bedin: 87/100 Al naso, oltre al frutto, rari richiami alla macchia mediterranea avvertiti in un altro paio di campioni presenti in batteria. Fresco già al naso, coi suoi richiami mentolati e di salvia. In bocca la vena minerale affianca la frutta tendente al maturo: è così che convince, nel senso dell’equilibrio.
10) Asolo Prosecco Superiore Docg Dry 2018, Pat del Colmèl: 86/100 Altro campione che riesce a coniugare una gran freschezza alle note fruttate tendenti al maturo, piuttosto tipiche della tipologia Dry. Sorprende per la chiusura vagamente speziata, che conferisce ulteriore freschezza e carattere al sorso, assieme ai richiami salini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
ASOLO – Un bianco e un rosso per domani. Per diversificare l’offerta – già consolidata – di bollicine. E cavalcare l’onda della riscoperta degli autoctoni, viste le crescenti richieste di un mercato sempre più attento alla tipicità. Così il Consorzio Vini Asolo Montello punta tutto su Recantina e Rabiosa. Le due uve affiancheranno l’ormai affermato AsoloProsecco Superiore Docg nel futuro delle Denominazioni di questo prezioso angolo di Veneto.
Se il percorso della Recantina è già avviato, con il riconoscimento all’interno della Doc Montello Colli Asolani, per la Rabiosa (o “Rabbiosa”) il percorso è appena iniziato. La riscoperta di quella che viene considerata la “cugina” della Durella dei Monti Lessini – con la quale condivide la spiccata acidità, distinguendosi per il maggiore apporto zuccherino e alcolico – è ancora in cantiere.
Le caratteristiche organolettiche, unite all’ottima resistenza alle muffe, rendono la Rabiosa un’uva estremamente interessante per i produttori locali, costretti a fare i conti con i cambiamenti climatici. Se le prove di vinificazione delle prime due cantine andranno a buon fine, il Consorzio avvierà l’iter per l’iscrizione nell’elenco dei vitigni della Doc.
Due carte preziose nella manica del presidente del Consorzio, Armando Serena, che ieri ha condotto assieme al suo vice Franco dalla Rosa una masterclass sui rossi dell’Asolo Montello. Quattro assaggi di Recantina – oggi allevata da una decina di aziende per un totale di 10 ettari, in terreni magri prediletti da questa varietà – e 6 di Montello Rosso Docg, ottenuto dall’ormai storico uvaggio di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc.
“Varietà internazionali – ha ricordato Serena – che si sono perfettamente adattate al microclima locale, tanto da poter essere ormai considerate anch’esse autoctone. Se fino a un po’ di anni fa quello di Asolo era il Prosecco segreto, perché nessuno lo conosceva, oggi questa zona può offrire ai consumatori anche dei rossi unici”.
Per scoprirle c’è Asolo Wine Tasting 2019, in programma domani, domenica 5 maggio, dalle 10 alle 19 a Palazzo Beltramini di Asolo (TV). In degustazione anche alcune eccellenze gastronomiche locali, con La Fucina del Gusto.
LA DEGUSTAZIONE
Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2017, Sagrevit: 83/100 Cantina tra le più giovani della Denominazione. Colore rubino, mediamente trasparente. Frutto di bosco, ribes al naso, assieme a richiami vegetali netti. In bocca la struttura non è particolarmente accentuata. Un vino semplice, tutto sommato elegante. La gioventù dell’impianto gioca un ruolo determinante. Un patrimonio che non potrà che migliorare, di vendemmia in vendemmia.
Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2017, Ida Agnoletti: 85/100
Rosso rubino intenso, riflessi violacei. Naso sul sottobosco, ma senza il verde che ha contraddistinto l’assaggio precedente. Il frutto ne guadagna in eleganza, sia al naso che al palato, dove in particolare mostra una buona pulizia. Il tannino non è spigoloso e la parte delle durezze spetta a una spezia che ricorda il pepe. Buona bevibilità, data appunto dalla bella freschezza apportata dalla spezia, specie nel retro olfattivo.
Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2016, Giusti: 86/100 Si cresce in qualità, a riprova che il vitigno non teme affatto i giri di lancette in bottiglia. Rosso rubino tendente al violaceo. Oltre al frutto, profondo, di bosco, note terziari da caramella mou.
In bocca una bella vena salina che tende al salmastro, ma anche al torbato. Le note fresche al palato vengono attenuate dalla vinificazione in legno, che arrotonda il sorso. Bello l’equilibrio tra le componenti.
Recantina Montello e Colli Asolani Doc 2015, Pat del Colmèl: 91/100
Voto alto, per le ottime prospettive future di questa etichetta. Rosso rubino con riflessi violacei. Note di legno molto più integrate e meno invasive rispetto al precedente assaggio: la percezione è sia fresca (mentuccia) che calda (mou, fumo di pipa dolce), in un pregevole gioco che mette il naso sull’altalena.
Non manca la classica frutta di sottobosco. E’ la Recantina più tannica della batteria, ma anche quella che garantisce la maggiore pienezza al palato, nel rincorrersi tra frutto e sale. Vino giovane, come detto, che maturerà alla grande e troverà il suo perfetto equilibrio una volta assorbita la vena amaricante del tannino, in evidenza in chiusura.
Montello Rosso Docg 2016, Ida Agnoletti: 86/100
Siamo a Selva del Montello, quindi alla base del Montello. Terreno ricco di scheletro, ben drenato e caldo. Vino con buon apporto di frutto (ciliegia netta, prugna, ribes) e caratterizzato da una spezia accesa. In bocca non esplosivo, lineare, tannino piuttosto pastoso e in fase giovanile. Ottima freschezza. Vino che, al momento, guadagna in equilibrio e in eleganza nel retro olfattivo.
Montello Rosso Docg 2015, Martignago: 85/100 Ci spostiamo nel Comune di Maser, in un’area piuttosto calda, molto soleggiata, nota per la coltivazione delle ciliegie. Il vino risulta meno strutturato e fresco del precedente, più sul frutto, specie al naso. Chiude su un tannino meno evidente, ma presente, che si somma alla consueta venatura salina.
Montello Rosso Docg 2015, Le Terre: 82/100 La zona è quella di Onigo. Il naso evidenzia una spinta aromatica intensa, caratterizzata da evidenti richiami di ciliegia sotto spirito. In bocca meno evidente. L’alcol è presente e importante, non ancora supportato da una struttura all’altezza. Chiusura salina meno accentuata, che lascia spazio a una nota mentolata.
Montello Docg 2015 “Campo del Prà”, Sartor Emilio: 91/100 Azienda storica del comprensorio, situata nella zona posta davanti al Montello, tra le più vocate. Naso di frutto rosso molto preciso, caratteristico. Un Cabernet che si fa sentire col suo verde che tende più alla radice (di liquirizia) che al raspo.
Completano il quadro richiami di sciroppo di amarena e ricordi leggeri di miele. Il palato è inatteso: bella verticalità, richiami di spezia, frutto preciso in termini di maturità. Tannino vivo, in fase di distensione. Bello ritrovare in chiusura note di liquirizia e rabarbaro. Un vino che chiama il piatto: gran gastronomicità.
Montello Docg 2013 “Zuiter”, Montelvini: 84/100 Ciliegia netta, matura. Vaniglia. Vino che scorre bene in bocca ma senza lasciare il segno, giocato com’è sulle sole morbidezze. Poco complesso, si riaccende solo in chiusura, dove sfodera una buona freschezza.
Montello Docg 2015 “Umberto Primo”, Giusti (anteprima): 85/100 Nota di tabacco al naso, oltre alla classica nota di ciliegia. Nervoso, scalpitante, ancora molto giovane soprattutto per il tannino. Non ancora armonico al palato, ma è giusto che sia così: vino pensato per l’allungo, dunque da aspettare. Coraggioso.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
TORRAZZA COSTE – Guerra di nervi in Oltrepò pavese. Il Consorzio di Tutela Vini ha diramato pochi minuti fa un comunicato stampa in cui “brinda ai lavori dell’Assemblea ordinaria e straordinaria svoltasi oggi presso il Centro Riccagioia, sua sede amministrativa e operativa a Torrazza Coste (PV)”.
Nei giorni scorsi, come annunciato in esclusiva da WineMag.it, altre quattro aziende hanno annunciato l’uscita dall’ente. E il Consorzio tace su questo punto. Fa lo stesso l’assessore Fabio Rolfi, prestando pericolosamente il fianco a una dirigenza (quella attuale) che non gode a livello locale di un credito assoluto. Almeno tra produttori che negli ultimi decenni hanno portato per l’Italia e per il mondo il nome dell’Oltrepò pavese: Conte Vistarino su tutti.
L’ASSEMBLEA All’ordine del giorno di oggi la modifica dello Statuto del Consorzio, che ha deliberato su proposta dell’Assemblea di aumentare a 21 i consiglieri del CDA (conditio sine qua nondettata da Fabiano Giorgi, numero uno del Distretto dei Vini di qualità, per rientrare nel Consorzio: anche questa notizia data in esclusiva da WineMag.it).
Il Consorzio la definisce “evoluzione di un agreement fra Consorzio, Distretto e altri operatori della filiera vitivinicola dell’Oltrepò”. “Un numero che si allarga per dare voce alle nuove aziende che entrano o rientrano nel Consorzio: in termini tecnici si è modificato l’art. 16 dello Statuto”, evidenzia la nota stampa.
E’ stato poi approvato il Bilancio consuntivo 2018 e il Bilancio preventivo 2019. “Contestualmente all’approvazione del Consuntivo – recita il comunicato – l’Assemblea propone e approva di procedere con l’azione di responsabilità per i fatti avvenuti precedentemente e che hanno gravemente danneggiato l’operatività, la liquidità e l’immagine del Consorzio”.
Il riferimento, come conferma telefonicamente l’ufficio stampa del Consorzio, è all’operato di Michele Rotti ed Emanuele Bottiroli, rispettivamente ex presidente e direttore del Consorzio di Tutela. In particolare, a Bottiroli è stato dato il benservito dalla nuova dirigenza e sono in corso diversi procedimenti legali per stabilirne le responsabilità effettive. Un Bottiroli che, al momento, non rilascia dichiarazioni e preferisce non chiarire la sua posizione.
Il Consorzio di Tutela ha poi “registrato e confermato l’entrata nella compagine consortile di aziende di valore qualitativo e di rappresentatività quali: il Club Buttafuoco Storico, Cantine Giorgi, la Agriamo Agricola Srl, l’azienda Maggi Francesco e la Tenuta Elisabeth”.
I COMMENTI
“L’Assemblea del Consorzio, approvando il Bilancio consuntivo del 2018 – commenta il presidente del Consorzio Oltrepò Luigi Gatti – volta pagina all’insegna della trasparenza, della chiarezza e lo fa sottolineando una netta rottura con il passato, proponendo un nuovo modus operandi di fatto iniziato da qualche mese con il lavoro del CDA e dello staff del Consorzio che ringrazio per avere operato con serietà, con pazienza e professionalità anche in momenti complicati e tesi. Sono molto soddisfatto e ritengo che il Consorzio sia pronto ad affrontare tutte le sfide di rilancio del Territorio Oltrepò”.
“L’approvazione del Bilancio preventivo è stata preceduta dalla presentazione delle principali iniziative e attività di promozione che il Consorzio ha intrapreso per l’anno 2019. Attività che traggono spunto dai lavori che i Tavoli di Denominazione . continua Gatti – hanno elaborato e presentato al CDA del Consorzio stesso, con il coordinamento di Ersaf – Regione Lombardia”.
“Fra questi una fondamentale operazione di comunicazione con il brand consortile Armonie d’Oltrepò, pianificata come partner ufficiali della Carovana Pubblicitaria del Giro d’Italia che sarà annunciata, dopo una prima presentazione a Vinitaly, martedì 7 maggio alle ore 11,30 al Centro della Stampa Estera di Milano alla presenza dell’assessore regionale Fabio Rolfi e di importanti testimonial, brand ambassador dell’Oltrepò”.
Interviene anche Fabio Rolfi, assessore regionale lombardo all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi Verdi: “Siamo a una svolta decisiva per l’Oltrepò. Il progetto della Regione e del consorzio si rafforza e acquisisce ulteriore valore grazie a continue adesioni”.
“Continueremo a lavorare con il consorzio e con le associazioni di categoria, che ringrazio per la condivisione del percorso, per dare a questo straordinario territorio una voce unica e autorevole al fine di sfruttare al meglio le sue potenzialità e sprigionare tutte le sue energie”:
“Ora si deve lavorare per consolidare l’erga omnes su tutte le denominazioni, sulla comunicazione e sulla promozione delle bottiglie, puntando sulla qualità del vino e sul legame indissolubile con il territorio”, conclude Rolfi.
Il presidente di Terre d’Oltrepò, Andrea Giorgi, nel corso dell’Assemblea odierna ha voluto ribadire con forza che è giunto il momento per il Consorzio di prendere le distanze dalle precedenti situazioni scomode e ha dichiarato che saranno contrastate da: “Azioni di responsabilità nei confronti della precedente gestione. Nonostante il bilancio sia stato chiuso in attivo – dichiara Giorgi – pesa la situazione che si è venuta a creare con la vecchia dirigenza in quanto alcune scelte trascorse hanno portato ad una grave perdita. Avevamo bisogno di un necessario chiarimento, non solo nei confronti dei soci del Consorzio ma anche nei confronti dell’intero territorio”.
LE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA
Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Copagri apprezzano l’allargamento del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Tutela Vini da 15 a 21 membri. Tutte le sigle sindacali della provincia di Pavia sottolineano come l’entrata nel CdA del Consorzio di realtà importanti (come il Club del Buttafuoco Storico e diverse aziende del Distretto, tra cui i suoi massimi rappresentanti) sia un passo in avanti sulla strada del rilancio di tutto l’Oltrepò Pavese.
“Importante anche il fatto che il Consorzio mantenga l’erga omnes per il Pinot Grigio, per il Pinot Nero e per il Sangue di Giuda, insieme anche al coinvolgimento delle categorie istituzionali e dei Comuni di appartenenza delle cantine e delle aziende agricole. Questo potrà essere un utile partenariato per realizzare costanti iniziative di promozione dei prodotti e del territorio, con una visione di coinvolgimento di attività correlate”.
Un ringraziamento particolare da parte di tutte le Organizzazioni professionali agricole – continua la nota stampa – va all’Assessore all’agricoltura, alimentazione e sistemi verdi di Regione Lombardia Fabio Rolfi, per il concreto progetto di rilancio messo in campo e per il lavoro portato avanti in questi mesi”.
“Condividiamo quanto sottolineato dall’Assessore Rolfi – evidenziano ancora Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Copagri – il quale invita alla stretta collaborazione di tutte le componenti di settore e di rappresentanza per avviare il cammino di rinnovamento che inizia dal Consorzio e passa attraverso la redditività delle aziende, sostenute dalla gestione condivisa delle scelte territoriali”.
L’Assessore Rolfi, sottolineano ancora le Organizzazioni sindacali, “si è impegnato per la ripresa dell’Oltrepò Pavese, territorio vitivinicolo e agronomico di grande storia che deve dare di sé un’immagine nuova, per una comunicazione efficace che ne rappresenti il suo grande valore anche dal punto di vista economico”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
VERONA – I migliori Morellino di Scansano in commercio nell’Horeca, ovvero in enoteca e nella ristorazione? Li abbiamo cercati a Vinitaly 2019, in occasione della degustazione alla cieca organizzata per WineMag.it dal Consorzio di Tutela del noto vino della Toscana. Ecco come è andata.
1) Morellino di Scansano Docg 2016 “Brumaio”, Tenuta Pietramora: 91/100
Rosso rubino. Al naso frutto di buona precisione. In bocca corrispondenza ottima. Tannino lungo, molto fine ed elegante che lavora bene, assieme alla sapidità, sul frutto. Chiusura lunga, fresca, tra il balsamico e il salino.
2) Morellino di Scansano Docg 2016 “Nero”, Villa Acquaviva: 89/100
Naso che, oltre al frutto, con un po’ di ossigenazione si spinge su sentori di brace. Anche in bocca si conferma in evoluzione: beva scorrevole, su tinte tra ribes e il lampone e l’agrume (arancia sanguinella, tendente al maturo). Pregevole chiusura fresca, su un tannino disteso, fine, che annuncia potenzialità di affinamento nel tempo.
3) Morellino di Scansano Docg 2017 “Asintone”, Asintone: 88/100
Rosso rubino con riflessi violacei. Naso di frutto scuro, maturo: mora in evidenza. Palato sul frutto, intenso in ingresso, che poi lascia spazio a una buona freschezza e salinità, che chiama il sorso successivo. Il tannino parla di un vino giovane, di prospettiva, anche se già godibile.
GLI ALTRI PUNTEGGI Morellino di Scansano Docg 2017 “Tore del Moro”, Azienda Santa Lucia: 88/100
Rosso rubino. Naso complesso, che guarda la terra: radice, rabarbaro, buccia di mandarino, liquirizia, speziatura e vena mentolata, balsamica. Leggero tocco di vaniglia bourbon. Bello al palato, intenso: salino sul frutto, assieme a un tannino giovane, che chiama un amaro da buccia d’agrume in chiusura di sorso e in allungo.
Il direttore del Consorzio del Morellino, Alessio Durazzi
Morellino di Scansano Docg 2017, Col di Bacche 2017: 87/100
Rubino. Frutto tendente al maturo al naso, accenni di spezia. In bocca conferma il frutto maturo, poi la spezia e l’alcol. Un Morellino potente. Tannino che prende la scena in chiusura, su vena amaricante. Da aspettare, sarà grande.
Morellino di Scansano Docg 2016 “Arsura”, Poggio Brigante: 87/100
Rubino. Frutto maturo, giustamente. Accenni di spezia e alcol un po’ prepotente. In bocca bel frutto e salinità, che giocano col tannino. Alcol che si fa sentire in chiusura, peccato. Vino comunque giovane, che non potrà che migliorare in futuro.
Morellino di Scansano Docg 2017, Tenuta Ghiaccio Forte – Castello Romitorio: 87/100
Rubino. Verde, sapidità salmastra, oltre al frutto e alla vena speziata, di pepe nero. In bocca radice di liquirizia, salinità che si ritrova in chiusura.
Pare un Morellino da terroir diverso, marino. Annotiamo questo appunto a Vinitaly, prima di scoprire l’etichetta. Avevamo ragione: la vena salina è la sua peculiarità, tanto da distinguerlo dal resto dei vini della Denominazione.
Morellino di Scansano Docg 2018, I Cavallini: 86/100
Rosso rubino piuttosto trasparente. Naso che rivela la gioventù, un po’ slegato. Frutto esplosivo al palato, spezia. Tannino che asciuga. Giovane di buone prospettive.
Morellino di Scansano Docg 2016 “Doga delle Clavole”, Borgoscopeto – Caparzo: 86/100
Rubino. Naso piacione, frutta matura, bocca più equilibrata del precedente. In bocca tannino vivo, di prospettiva. Tocco salino e balsamico, su un’alcolicità che si fa sentire, pur senza compromettere l’assaggio.
Morellino di Scansano Docg 2016, Fattoria dei Barbi: 86/100
Rubino. Frutto di sottobosco, ma anche venature tra il muschio e la radice, che con l’ossigenazione virano sul fumè. In bocca buon allungo salino, fresco, tannino di prospettiva. Morellino lineare, tipico, oseremmo dire didattico.
Morellino di Scansano Docg 2017 “8380”, Cantina 8380: 85/100
Naso di frutta matura, floreale. In bocca frutto e tannino. Un Morellino piuttosto semplice e immediato, godibilissimo.
Morellino di Scansano Docg 2017 “Poggio al Lupo”, Tenuta Setteponti Srl: 85/100
Naso delicato, tra il fiore appassito e la radice, oltre al frutto. In bocca buona vena salina. Il frutto è presente, buona freschezza. La pecca? Manca in persistenza, peccato.
Morellino di Scansano Docg 2016, Tenuta Agostinetto Manuel: 85/100
Rosso rubino. Al naso arancia amara e lampone. In bocca spinta alcolica e chiusura sul legno, vaniglia. 85/100
Morellino di Scansano Docg 2016 “Montecivoli”, Montecivoli: 84/100
Colore rubino intenso. Naso tra frutto maturo e macchia mediterranea. Corrispondente al palato. Chiusura non pulitissima, su un tannino e una spezia un po’ invadenti, che troncano il frutto.
Morellino di Scansano Docg 2017 “More”, Monterò: 84/100
Colore carico, riflessi violacei. Note di mela rossa matura, ma anche di frutto maturo. Vino a due fasi, tra il tannino e la polpa, al momento un po’ slegate. Chiude sull’alcol. Scopriamo poi che è la seconda prova col Morellino per questa azienda toscana. Attendiamo di degustare la terza, certamente migliore.
Morellino di Scansano Docg 2016, Roccapesta: 83/100
Frutto rosso, maturo, sia al naso che al palato. Poco di più. Un vino piuttosto semplice, all’apice dell’evoluzione.
LE RISERVE
1) Morellino di Scansano Docg Riserva 2014 “Madrechiesa”, Terenzi: 92/100
Rubino. Lampone al naso, netto, oltre a richiami floreali e di macchia mediterranea. Ricordi di cacao e povere di caffè, oltre all’anice stellato. In bocca gran consistenza tattile del frutto, masticabile. Il tannino asciuga la polpa, in equilibrio con l’alcol. Vino di prospettiva, pur mostrando ottimi margini di impiego immediato sulla tavola. Chapeau.
2) Morellino di Scansano Docg Riserva 2015, Alberto Motta: 88/100
La più giovane delle Riserve in batteria, scopriamo al termine della degustazione. Frutto, tannino elegante in fase di integrazione, radice, balsamicità. Chiusura salina. C’è tutto. Ottima Riserva.
3) Morellino di Scansano Docg Riserva 2016, Morisfarms: 86/100
Frutto e macchia mediterranea. Corrispondente al palato, con chiusura bella su radice di liquirizia. Una Riserva in cui vince e si esalta la goduria, più che il cerebrale.
Morellino di Scansano Docg Riserva 2015 “Massi di Mandorlaia”, Conte Guicciardini: 85/100
Frutto, radice di liquirizia e venatura leggera di selvatico. Accenno di spezie dolci. Bella bevibilità al palato, sul frutto maturo, ben coniugata alla freschezza. Non precisissimo il retro olfattivo, su quelle note di pelliccia avvertite al naso.
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Degustazione a cura di Davide Bortone e Giacomo Merlotti – WineMag.it
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
SOAVE – “Andare oltre il concetto di Anteprima, selezionare con cura i futuri messaggi portanti della denominazione e dare luce alla vera essenza del territorio”. Questi gli obiettivi, “ambiziosi ma del tutto realistici”, del Consorzio del Soave.
Dopo le tradizionali fiere internazionali della prima parte dell’anno, ecco l’annuncio: “Soave Versus“, l’evento dedicato alle migliori interpretazioni del vino Soave, allo stile e ai valori del territorio, convergerà nell’Anteprima di settembre al Palazzo della Gran Guardia di Verona. La vera novità è “Soave Stories“, a maggio.
Si tratta di una due giorni dedicata al “Mondo Soave” e alle sue sfaccettature. “A parlare della Denominazione sono stati chiamati esperti da tutto il mondo – spiega il Consorzio guidato da Sandro Gini – da Sarah Abbott MW a Kerin O’Keefe fino a John Szabo MS”.
“Ognuno di loro approfondirà una tematica comunicativa diversa per approcciare il complesso e straordinario mondo del Soave – continua Gini – Denominazione con una storia tra le più antiche d’Italia, capace di produrre vini di incredibile finezza e qualità, durevoli nel tempo. Ma anche il suo lato moderno fatto di progetti innovativi in chiave sostenibilità e studi sulle caratteristiche organolettiche dei vini a partire dai suoli”.
Dopo molti confronti con i produttori in merito al vero significato dell’Anteprima – spiega ancora Sandro Gini – abbiamo convenuto che a settembre il Soave dava il meglio, a quasi un anno dalla vendemmia.
Abbiamo quindi deciso di unire l’Anteprima a Soave Versus, un contenitore poliedrico che cade proprio alla fine dell’estate e che si adatta perfettamente a ospitare un evento dedicato a stampa, trade e appassionati e lasciare lo spazio di maggio a riflessioni importanti sulla Denominazione, che sta intraprendendo grandi passi avanti sul fronte della valorizzazione qualitativa”.
“Soave Stories” sarà anche il trampolino di lancio delle due campagne promozionali “Summer of Soave” in UK e “Soave Style” in Giappone. L’obiettivo primario è il coinvolgeranno degli operatori dei tanti ristoranti e wine bar inglesi e giapponesi, che ogni giorno hanno la possibilità di parlare del Soave agli appassionati di vino.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
ROCCA DE’ GIORGI – Un Oltrepò pavese modello Cava o meglio “Corpinnat“, il brand alternativo attorno al quale si riconoscono i produttori di qualità usciti dal Consejo Regulador della Denominazione spagnola. C’è aria di vera rivoluzione dalle parti di Pavia.
Dopo lo strappo di maggio 2018 e i tentativi di ricucitura dell’assessore regionale Fabio Rolfi e del ministro all’Agricoltura Gian Marco Centinaio, altre 4 cantine – Conte Vistarino, Perego & Perego, Prime Alture e Tenuta Travaglino – hanno abbandonato il Consorzio.
L’ente è sempre più esposto al rischio di perdere l’Erga Omnes sulle varie Denominazioni. Altri produttori avrebbero infatti “le carte pronte” per abbandonare l’organismo presieduto da Luigi Gatti.
E si parla di nomi importanti per la buona reputazione dell’Oltrepò pavese, che potranno contare anche sull’appoggio di una cooperativa come Torrevilla, già fuori dal Consorzio.
Il colosso guidato da Massimo Barbieri ha da tempo avviato un percorso virtuoso che porterà alla realizzazione di una nuova cantina, con la nascita di un brand esclusivo, “La Genisia”, per il Metodo classico da uve Pinot Nero.
“USCIAMO PER RICOSTRUIRE”
A guidare il nuovo tsunami del cambiamento è Ottavia Giorgi di Vistarino (nella foto), tenace produttrice che dopo aver rigirato come un calzino l’azienda di famiglia – trasformandola da volume oriented a value oriented – è pronta a prendere per mano tutto l’Oltrepò.
“Cosa mi ha spinto a uscire dal Consorzio? La voglia di lavorare prima di tutto su un progetto di territorio condiviso e promosso dalle aziende di qualità, che a cascata interessi tutti i livelli della piramide produttiva”, risponde Ottavia Giorgi di Vistarino.
Abbiamo perso la fiducia dopo tanti anni in cui le cose non hanno funzionato. Quindi, prima tutte le parti condividono un progetto da mettere in mano ad un amministratore delegato, che accetti questo ruolo solo dopo aver condiviso con noi i punti focali per la rinascita dell’Oltrepò. E poi rientriamo nel Consorzio, con una nuova governance”.
“Una figura, quella dell’Amministratore delegato – continua Vistarino – da individuare attraverso una specifica ricerca da parte di qualche cacciatore di teste, da incaricare appositamente”.
“Siamo tutti consapevoli che l’organismo deputato a considerare le sorti del territorio debba rimanere il Consorzio – commenta ancora la produttrice – e per questo assicuro che da parte mia non c’è alcuna voglia di creare nuove associazioni o distretti”.
“Piuttosto, se non saremo ascoltati, procederemo col nostro progetto, condividendo dei brand alternativi in cui si riconoscano le aziende di qualità dell’Oltrepò pavese, sul modello di quanto sta accadendo in Spagna col Cava“.
NO ALLE POLTRONE
“A me non interessa sentir parlare di cariche elettive – conclude Ottavia Giorgi di Vistarino – ma di contenuti. I veri produttori di filiera, hanno bisogno di progetti concreti su cui lavorare e di colleghi con cui condividerli”. Come quelli di Tenuta Travaglino, realtà da 400 ettari a corpo unico che ha abbandonato Distretto e Consorzio di Tutela.
“E’ un po’ come rimanere iscritti al tennis club di Casteggio pur sapendo che dalla doccia esce l’acqua fredda e che il campo è pieno d’erba. Ovvio che uno pensi di iscriversi al tennis club di Voghera…”, commenta con una metafora Achille Bergami, per conto dei giovani proprietari Alessandro e Cristina Cerri, fratello e sorella.
Giri di parole a parte – continua l’enologo della cantina di Calvignano – lasciare il Consorzio è stata una scelta ponderata ma molto, molto spiacevole. Purtroppo non è un organismo in grado di fornire un servizio utile a Travaglino, ma siamo pronti a ricrederci di fronte a un progetto di territorio, che includa le aziende di qualità”.
Dello stesso avviso Roberto Lechiancole (nella foto) patron di una delle cantine bandiera dell’enoturismo in Oltrepò: Prime Alture di Casteggio: “E’ ridicolo – commenta – che nel 2019 un Consorzio del vino si concentri solo sulla revisione dei disciplinari, al posto di parlare di vino di qualità che non dipende solo da un pezzo di carta, ma dalla voglia di promuovere un brand di territorio”.
All’Oltrepò – continua Lechiancole – serve un progetto promosso dalle aziende simbolo, che a cascata interessi tutti gli altri, facendo in modo che il valore dell’uva e del vino cresca a scaffale. Un progetto dal quale trarrebbero tutti benefici, nessuno escluso”.
L’ultimo in ordine cronologico ad abbandonare il Consorzio è stato Giorgio Perego: “Il Consorzio non sta assolutamente tutelando i produttori e i consumatori di vino dell’Oltrepò pavese – evidenzia il titolare della cantina Perego & Perego di Rovescala – né tanto meno le Doc. Sono pronto a rientrare domani, ma solo di fronte a un progetto serio, che guardi all’interesse di tutti e che abbia come parola d’ordine la qualità”.
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BAROLO – Uno scatto fotografico discutibile quello scelto dagli organizzatori di Collisioni Festival 2019 per lanciare sui social “BING Wines“, evento che si terrà a Barolo il 4 e 5 maggio nell’ambito del noto Festival Agrirock che coniuga musica e degustazioni di vino nel Comune delle Langhe.
Su Instagram e Facebook compare un’immagine totalmente diversa da quella utilizzata sul sito web della manifestazione: una pin-up, in canottiera e mutandine, attende a bocca larga che un grappolo d’uva lanciato in aria le caschi in bocca.
E allora viene da chiedersi se si tratta di mancanza di creatività o, più semplicemente, dello stress di uno stereotipo ormai dilagante anche nella comunicazione del vino, a livelli e in ambienti inaspettati.
Un’immagine d’impatto (sicuramente dal punto di vista maschile) destinata alla comunicazione social: una bella ragazza, giovane e provocante, che trova il modo di divertirsi in vigna.
Ma i like e i cuoricini di Instagram cosa portano a Collisioni Festival? Artisticamente l’immagine potrà essere anche gradevole, ma dal punto di vista dell’etica della comunicazione il livello è piuttosto banale, per usare un eufemismo.
Nel 2019 si continua ad utilizzare la leva dell’impulso sessuale per vendere cose che nulla hanno a che vedere con la materia trattata. Per attirare un pubblico più ampio (quello dei social) alla prima edizione di una degustazione che coinvolgerà oltre 100 cantine da tutte Italia con vini di vitigni autoctoni italiani si sceglie la pin-up.
Volendo però sdrammatizzare, l’immagine provocante scelta dagli organizzatori di Collisioni “Allusioni” Festival per Instagram e Facebook è forse meglio del “Gruppo Vacanze Piemonte” raffigurato sul sito web dell’evento (vedi sotto). E allora avanziamo una proposta: possibile, per l’edizione 2020, un’intelligente via di mezzo?
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
GAVI – Si chiama Cantine del Gavi, ma è anche un raffinato ristorante la location che ha ospitato una straordinaria verticale di Barbaresco Docg Angelo Gaja, a metà del mese di aprile. L’incontro ideale, tra calice e piatto, di due famiglie che hanno fatto del rispetto della “materia prima” la base attorno alla quale costruire una carriera di successi.
Da una parte Gaja, ormai sinonimo di Barbaresco, con i suoi rossi eterni delle annate 1982, 1988, 1989 e 1997. Dall’altra le portate elaborate da Roberta ed Elisa Rocchi, che hanno raccolto in maniera magistrale l’eredità del padre Alberto e della nonna Tebe.
Cucina sì, ma anche vino. Le etichette in degustazione sono infatti custodite nello scrigno di Cantine del Gavi – oltre 8 mila quelle presenti nelle “segrete” del palazzo del Settecento che ospita il ristorante – e da lì prelevate per il tasting da parte della stampa di settore. Tutte annate selezionate dal sommelier Luca Ivaldi.
Questa volta Luca ha scelto Gaja. Ma avrebbe potuto attingere da un ventaglio di 40 anni di selezioni, che hanno portato Cantine del Gavi ad avere – uno vicino all’altro – produttori come Conterno, Quintarelli, Biondi Santi, Ceretto, Bruno Giacosa e Bartolo Mascarello, per restare in Italia.
Champagne Krug, Crystal, Dom Perignon per spostarsi in Francia, tra i pregiati Champagne. Spazio, ovviamente, anche per il Gavi Docg, il bianco che qui gioca in casa in abbinamento ai salumi proposti tra gli antipasti in menu.
I piatti della grande tradizione piemontese ruotano invece attorno a selvaggina, carni di Fassona, coniglio, funghi, borragine, verdure dell’orto. Le sorelle Rocchi eccellono nella preparazione della pasta ripiena e, più in generale, nella ricerca dell’ingrediente migliore, selezionato da fornitori di nicchia.
In contrasto con la nuova gastronomia iperbolica e mediatica, il ristorante Le Cantine del Gavi è un porto in cui ritrovare l’esperienza profonda delle donne in cucina, che lavorano con immediatezza e curiosità nei confronti dei mondo che le circonda.
Ad emozionare Roberta ed Elisa è per l’esempio l’Asia, che in alcuni piatti contamina la tradizione locale, rendendola ancora più complessa e affascinante. Ma soprattutto moderna e minimalista: dritta al punto, senza fronzoli. Un sapere che i piccoli Pietro e Tommaso, futura terza generazione de Le Cantine del Gavi, sembrano aver già imparato a fare proprio.
LA VERTICALE
Barbaresco Docg 1982, Gaja: 98/100
Vino che cambia nel calice ogni 40 secondi. E questo è il minimo, un aspetto scontato per un vino così. La percezione fruttata netta al primo naso fa capire di che pasta è fatto un calice che ormai ha 37 anni.
Pian piano il quadro si allarga: sulla tela compare il risvolto selvatico del Nebbiolo, una salinità d’alga, una nota netta di fumo, di brace, di buccia di arancia. In bocca il vino entra dritto, freschissimo, su note di frutta carnosa, da masticare e assieme succhiare.
Il tannino è lungo, disteso, ma presente ed efficace. Accompagna una salinità accesa, mentre la chiusura si fa balsamica, con la freschezza che si mescola al fumo, chiamando sensazioni contrastanti, assieme dure ed eteree. Un vino di complessità stordente. Capolavoro.
Barbaresco Docg 1988, Gaja: 94/100
All’inizio molto più chiuso del 1982. Quando inizia a parlare, addomesticato da qualche frustata d’ossigeno nel calice, il nettare si apre e diventa grande. Racconta di spezie nere come il pepe, ma anche di storie d’oriente.
Spolverate di cumino e cannella, di chiodi di garofano e di erbe macerate, ma anche di carruba e di nocciola. In bocca entra diretto come uno squillo di tromba nel timpano. Dritto come un fulmine. Freschezza e salinità spingono l’acceleratore delle durezze.
Un’alcolicità accesa fa da garante per l’equilibrio del sorso, riequilibrando i piatti della bilancia. Vino scalpitante, insomma. Azzardiamo un pronostico: non reggerà, nell’allungo, come il 1982, almeno in termini di complessità.
Barbaresco Docg 1989, Gaja: 95/100
Primo naso sul legno e sui terziari, tra la vaniglia, lo zafferano, il fondo di caffè, la liquirizia dolce, il cioccolato. Poi esce un frutto più profondo di quelli percepiti nelle altre annate: siamo tra le piccole bacche di bosco, tra i mirtilli.
Poi sentori verdi e balsamici che ricordano il mirto, ma anche (nei minuti successivi) caramello e, di nuovo, qualcosa di già avvertito: quella salinità da scoglio, da brezza marina. In centro bocca equilibratissimo, tra frutto, alcol e freschezza accesa.
Vino giovane, senza minima ombra di dubbio. Il sipario, di fatto, si chiude su un tannino lungo, ancora in fase di integrazione, vivo ma rilassato, assieme a ritorni di spezia e piccoli frutti neri, sotto spirito.
Barbaresco Docg 1997, Gaja: 98/100
Il naso si divide in maniera netta su un quadro dipinto dalle spezie, tra il duro e scuro e il morbido e colorato. Tra il pepe nero e la cannella. Anche il frutto fa lo stesso e gioca di contrasti accesi, come nei paesaggi di Murnau di Kandinsky.
Tra l’acerbo e il maturo, il freddo e il caldo che quasi scotta. Tra la fragola tanto rossa da gocciolare colore e il mirtillo, ancora croccante e dalla buccia sottile. C’è anche l’arancia rossa, la sanguinella. E il fumo, dolce e leggero, di un sigaro spento. C’è una percezione alcolica non disturbante, anzi inebriante.
In bocca tannino di cioccolato, su un frutto di straordinaria precisione e avvolgenza. Un’uva che dev’essere stata perfetta, eccezionale. Ha dato vita a un vino che è un momento alla vigna. Forse l’82 ce lo racconta oggi, per come sarà fra non meno 15 anni.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Picnic, pranzi al sacco o grigliate al mare, in montagna, in campagna o nel verde, fuori e dentro le città. Secondo un’analisi della Coldiretti nazionale, sono oltre 5 milioni gli italiani che hanno scelto di trascorrere il Ponte lontani da casa. Ecco allora dieci regole per la grigliata di carne perfetta. Più in basso troverete anche cinque vini perfetti per accompagnarla.
Per avere un ottimo risultato dalla cottura con il barbecue, sottolinea la Coldiretti, la regola di base è quella di ricorrere a materie prime di qualità, molto meglio se Made in Italy, che garantiscono freschezza e genuinità.
È poi possibile risparmiare fino al 50% con l’acquisto di tagli alternativi meno conosciuti e più economici, senza rinunciare alla qualità. I tagli di carni bovine italiane sono ideali per essere cotti alla griglia, ma si prestano bene anche le braciole e le salsicce di suino italiano.
Un po’ di pazienza in più occorre per cuocere il pollo alla brace. Anche la carne di coniglio dà ottime performance. Posizionare il barbecue lontano da luoghi a rischio incendio e su un piano d’appoggio stabile sono le prime operazioni necessarie per poter lavorare in sicurezza.
Anche la strumentazione deve essere adeguata: non possono mancare graticola, pinze, pennello e guanti. Fondamentale è che il barbecue non sia mai lasciato incustodito, soprattutto in presenza di bambini che vanno tenuti a debita distanza.
Per realizzare una buona brace è consigliabile impiegare della carbonella di qualità. Il legno può trasmettere dei profumi al cibo, ma anche rovinarne i sapori se troppo ricco di resina.
La cottura delle pietanze deve essere avviata soltanto quando le fiamme sono sparite: l’ideale, precisa la Coldiretti, è la carbonella ardente coperta da cenere spenta. E’ buona norma non rigirare continuamente le pietanze sulla griglia, evitando di bucare la carne per vedere se è pronta.
Dopo la cottura i cibi vanno sistemati su un tagliere di legno con bordi scanalati e fatti riposare qualche secondo prima del taglio.
A conclusione della grigliata bisogna spegnere la carbonella per scongiurare il rischio che qualche scintilla possa innescare un incendio.
Scegliere una posizione adatta facendo attenzione a non danneggiare le aree protette o quelle coltivate, usare piatti e bicchieri biodegradabili evitando la plastica e non lasciare avanzi sul posto, fanno parte infine – conclude la Coldiretti – del bon ton del picnic perfetto che tutti dovrebbero seguire.
LE DIECI REGOLE PER UNA GRIGLIATA DI CARNE PERFETTA
1. Piano d’appoggio del barbecue stabile, sicuro e non esposto al vento
2. Attrezzatura adeguata (graticola, pinze, pennello e guanti) a portata di mano
3. Controllare sempre il barbecue per salvaguardare i presenti (in particolare bambini) ed evitare incendi
4. Impiegare carbonella di qualità, evitando il legno troppo ricco di resina
5. Cuocere i cibi alla temperatura giusta, evitando il contatto con le fiamme
6. Non rigirare continuamente gli alimenti e non bucare la carne
7. Cucinare le verdure con il calore residuo dopo la cottura della carne
8. Far riposare per qualche secondo i cibi cotti su un tagliere di legno scanalato
9. Dopo l’uso spegnere accuratamente la carbonella per evitare il rischio di incendi
10. Pulire a fondo la griglia con una spazzola di metallo e non lasciare avanzi sul posto
CINQUE VINI IN ABBINAMENTO ALLA GRIGLIATA DI CARNE
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MILANO – Occhio azzurro ghiaccio, sguardo deciso. La cravatta stretta al collo, in tinta col completo blu. Camicia bianca a quadri. Diresti tutto di un Alberto Salvadori così. Tranne che sia venuto a Milano per lanciare granate sul “suo” Lambrusco. O, meglio, su quello degli altri: “E’ ora di finirla col Lambrusco che sa di Big Babol“.
Il patron de La Battagliola non la manda a dire al Pavarotti Milano Restaurant Museum, dove ha riunito la stampa di settore per presentare le etichette della cantina di Piumazzo di Castelfranco Emilia (MO).
Che il cuore di Salvadori batta per il Lambrusco, più che per la nuova frontiera dell’Emilia Romagna enologica, il Pignoletto, è chiaro sin da quando s’alza in piedi, al centro della tavolata. Mani appoggiate alla tovaglia. Come un direttore d’orchestra che vuol sentire la carta dello spartito, sotto alle dita. Prima di dare l’attacco al tenore.
Dovremmo tutti dare un senso di immortalità alla nostra vita. Io e la mia famiglia, per farlo, abbiamo scelto di produrre un Lambrusco che si discostasse dalle mode del Big Babol, del dolciastro e del paludoso, che non corrispondono alla verità dei vitigni. Il nostro Lambrusco vuol essere gastronomico e beverino“.
“Viviamo in un mondo – continua il combattivo Salvadori – in cui questo vino non gode di un’assonanza felice. Lo troviamo in lattina o al supermercato per soli 2 euro, nei bottiglioni da 2 litri. La nostra Denominazione è in confusione, anche perché non ha seguito l’esempio del Prosecco, che può essere solo Doc, o meglio ancora Docg”.
Nella sua battaglia, anzi Battagliola, Alberto Salvadori non è solo. “Noi e una quindicina di aziende intendiamo promuovere nel mondo il ‘Fine Lambrusco‘, esaltandone la qualità e sperando che, nel frattempo, qualcosa cambi all’interno della Denominazione”.
Curioso, ma solo in apparenza, che La Battagliola abbia scelto un enologo toscano per l’elaborazione delle proprie etichette. E’ Emiliano Falsini, uno che coi rossi ci sa fare e lo ha dimostrato in metà Paese. La sfida nuova erano le “bolle”. Ma ci ha messo davvero poco ad adattarsi, addomesticandole a modo suo.
“All’inizio mi sentivo uno stranieroin terra di Lambrusco – commenta l’enologo de La Battagliola – ma ho subito compreso quale fosse l’obiettivo di Alberto Salvadori e della sua famiglia, sposandolo in pieno”.
E’ così che Falsini decide di puntare tutto su una sola varietà: il Grasparossa di Castelvetro. “Un vitigno che ha i suoi pro e i suoi contro – ammette l’enologo – per la sua capacità di essere gastronomico come il Sorbara, ma più difficile da lavorare per via dei tannini, del profilo aromatico e speziato e per la sua tendenza selvatica”.
LA DEGUSTAZIONE
Asperità che Falsini riesce benissimo a gestire, come emerge dall’assaggio dei Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Doc “Dosage 15” (88/100) e “Dosage 30” (86/100). Due diversi residui zuccherini, per incontrare un parterre di pubblico e di abbinamenti a tavola più vasto. Un fil rouge netto quello che lega le due etichette.
Precisione e croccantezza del frutto lanciano la sfida ai tanti (troppi) “Lambrusco marmellata” di cui è pieno il mercato. Il vitigno, inoltre, è al centro del sorso col suo muscolo tipico, ma in cravatta. Elegantito com’è, appunto, da una vena sapida che in chiusura chiama il sorso successivo, assieme alla freschezza. Certo, la differenza si sente.
Più verticale “Dosage 15” di “Dosage 30”, coi suoi richiami gessosi in centro bocca e il suo sipario equilibrato, giocato tra un tannino felpato, ricordi di liquirizia e una speziatura leggera. Mela matura netta per il naso di “Dosage 30”: un vino di elegante semplicità, beverino. Capace comunque di sfoderare un frutto rosso di gran precisione.
Tra gli assaggi a Milano anche il Pignoletto Doc Spumante 2018 “Le Grand Pignol” (86/100) imbottigliato a marzo 2019. Naso di frutta a polpa gialla, tra la pesca e l’esotico, che si solleva da un calice tinto di un giallo paglierino, con riflessi dorati. Belli gli sbuffi minerali, di pietra bagnata, che si fondono alle note di mela Granny Smith. Corrispondente il palato, connotato ancora una volta da una buona eleganza.
Nella gamma de La Battagliola anche un vino rosso fermo. Il Sangiovese di Romagna Doc Superiore “San Giove” (86/100) in degustazione con la vendemmia 2017. Rosso impenetrabile tipico, il colore. Naso con richiami floreali di viola e frutta tendente al sotto spirito, impreziosito da rintocchi di pan pepato e di un cacao appena accennato.
Un naso che anticipa la gran freschezza del palato. Bella vena sapida in centro bocca, prima di ritorni fruttati, di cacao, su sferzate di un tannino ancora in fase di completa integrazione. Un vino gastronomico, che si presta ad abbinamenti importanti. Prezioso a fine pasto, con un pezzo di cioccolato di qualità.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
ASOLO – Il Consorzio Vini Asolo Montello si prepara per l’ottava edizione dell’Asolo Wine Tasting 2019, il banco d’assaggio in programma domenica 5 maggio, dalle 10.00 alle 19.00 a Palazzo Beltramini, cuore della cittadina della provincia di Treviso annoverata tra i Borghi più belli d’Italia.
In degustazione ci sarà l’Asolo Prosecco Superiore Docg nelle sue diverse versioni, alcune uniche nel panorama del Prosecco come l’Extra Brut, oltre al Col Fondo, il Prosecco rifermentato in bottiglia e senza sboccatura, come da tradizione di queste zone.
Nello stesso weekend la cittadina trevigiana ospiterà anche Fucina del Gusto, rassegna gastronomica dedicata alle eccellenze locali, che con Asolo Wine Tasting ha in comune la volontà di valorizzare il territorio e i suoi prodotti.
Proprio in un’ottica gastronomica, spazio anche ai rossi del territorio come la Recantina Doc, vitigno praticamente scomparso all’inizio del Novecento e recuperato grazie a un lavoro di ricerca seguito dal Consorzio, e il Montello Docg, ottenuto dal classico taglio tra Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon.
Tutti vitigni internazionali, che in questi luoghi assumono un’identità ben precisa. Vini che nascono in luoghi in cui è tutelata la biodiversità, dove la vite e altre coltivazioni convivono con boschi e fonti d’acqua, disegnando un paesaggio unico.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La notizia circola da inizio anno, ma abbiamo compiuto approfondite verifiche, attendendo che le acque si placassero. Soprattutto abbiamo assaggiato a Prowein 2019 tutti i Cava disponibili. Per affermare che le “bollicine” spagnole di qualità non esistono più. O quasi. E’ l’effetto principale della decisione dell’Associació d’Elaboradors i Viticultors “Corpinnat” (Avec), che ha annunciato l’uscita dalla Denominación de Origen Protegida Cava. QUI IL REPORTAGE di WINEMAG.IT NEL PENEDÈS
Sotto il tetto di Avec, costituita nel settembre 2017 e presieduta da Xavier Gramona, operano le 9 cantine bandiera del Cava di qualità, che non potranno più utilizzare questa dicitura. Si tratta di Gramona, Llopart, Nadal, Recaredo, Sabaté i Coca e Torelló, cui si sono poi aggiunte Can Feixes, Júlia Bernet e Mas Candí.
Un duro colpo alla Denominazione di origine controllata della Spagna che esporta il maggior numero di bottiglie, pari al 60% della produzione, in 100 Paesi. Riunendo 38 mila ettari di vigneti, 6.800 viticoltori e 380 cantine.
IL NUOVO BRAND
Gli spumanti prodotti da Avec, come ha annunciato la portavoce Recaredo sul proprio sito web, stanno iniziando a circolare in questi giorni con la marca collettiva “Corpinnat”. Un brand già riconosciuto dall’Unione Europea per i “Vinos Espumosos de Calidad” prodotti dalle 9 aziende aderenti ad Avec.
L’idea – spiegano gli scissionisti – è quella di garantire la qualità e la tipicità dei spumanti della Regione del Penedès, qualcosa che la DO Cava non poteva garantire. Le nove cantine associate a Corpinnat sono state costrette ad abbandonare la DO pur avendo creato il marchio con la chiara volontà di vivere e operare all’interno della Denominazione”.
L’ultima proposta presentata dal Consorzio è inaccettabile per Corpinnat, “poiché richiede una serie di deroghe che mettono in discussione la natura stessa del marchio collettivo”, che riguardano la delimitazione territoriale o l’uso o dei controlli di qualità esterna.
Anche grazie alle pressioni dei 9 produttori di qualità, il Consejo Regulador del Cava guidato da Javier Pagés ha avviato negli ultimi mesi alcune azioni volte al miglioramento qualitativo dei Cava, come il progetto di zonazione.
Ma le trattative tra i due organismi, come riferisce la stessa Recaredo, hanno subito una pesante battuta d’arresto nell’agosto dello scorso anno, “quando il Consorzio ha approvato una modifica al regolamento per rendere impossibile la presenza del marchio ‘Corpinnat’ all’interno della DO Cava”.
Corpinnat mira a valorizzare l’eccellenza degli spumanti realizzati nel cuore del Penedès con una delle più severe normative di produzione al mondo, che certifica i più alti standard di qualità.
La missione di CORPINNAT è promuovere ed energizzare l’intero settore in termini di prestigio e posizionamento, un obiettivo perfettamente compatibile con Cava. Tuttavia, poiché il Consiglio regolatore del DO Cava non è stato compreso in questo modo”.
“Senza chiudere alcuna porta in futuro – continua Recaredo come portavoce di Avec – Corpinnat inizia una nuova tappa con l’impegno di continuare a lavorare per il bene dell’intero settore, a favore del viticoltore come motore di cambiamento e trasformazione e con l’obiettivo di posizionare i grandi spumanti che vengono prodotti nel cuore di Penedès tra i migliori del mondo”.
Tra le richieste unilaterali di Corpinnat al Consorzio del Cava c’è l’obbligo di lavorare con uve 100% biologiche e raccolte a mano, un minimo di 18 mesi di affinamento in bottiglia (attualmente i mesi sono solo 9), il riconoscimento del ruolo del viticoltore nella catena del Cava e la garanzia che il 100% del processo di vinificazione venga effettuato all’interno della proprietà.
LE REAZIONI
Apparentemente serafica la risposta dell’industria del Cava. Tutti i principali attori – dal Consejo Regulador de Cava all’Institut del Cava, passando per Pimecava, le cooperative, l’Asociación de Viticultores del Penedés e l’Unió de Pagesos y Joves Agricultors i Ramaders de Catalunya (JARC) – hanno mostrato compattezza di fronte agli scissionisti.
La dimostrazione che gli interessi delle parti sono troppo diversi. Ma le spallucce potrebbero essere motivate anche dai numeri di Corpinnat, irrisori all’interno del mare di Cava spagnolo. Le 9 aziende, di fatto, aggregano solo lo 0,94% della produzione complessiva.
“Difenderemo il Cava e saremo fermi sul fatto che nessuno usi l’etichetta né il marchio Cava se non fa parte della Denominazione”, ha sentenziato il presidente del Consorzio della DO, Javier Pagés.
Anche se alcuni membri hanno deciso di andarsene – ha aggiunto – dobbiamo accettare come normale che in un settore così vasto come il Cava ci siano discrepanze. Tuttavia l’importante è continuare con la nostra roadmap, introducendo cambiamenti per il consumatore per ottenere competitività e leadership”.
Pagés ha poi annunciato che il Consorzio sta lavorando “a un progetto eccitante”, che include “l’offerta al consumatore di una migliore differenziazione delle qualità del Cava con una scala di valore nell’etichettatura, aggiungendo l’origine nei Cava Premium per evidenziare la singolarità del territorio, incoraggiare il consumo e garantire che le nuove regole siano ben regolate dalla DO”.
Un lavoro necessario, che forse porterà i Cava a incrementare il proprio valore a scaffale, anche in Spagna. Di fatto, la maggior parte degli spumanti Metodo Classico della DO degustati da WineMag.it a Prowein 2019 hanno un prezzo medio che supera di poco i 3 euro. E una qualità in linea con le politiche di pricing.
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Non basta alla Georgia il primato sulle prime tracce storiche di viticoltura al mondo. I ricercatori dell’ex Repubblica Sovietica stanno studiando il modo di produrre il primo vino sul pianeta Marte. E’ il “IX Millennium project“. La notizia rimbalza in Italia dal quotidiano inglese Telegraph.
Le uve Rkatsiteli, autoctone della Georgia, sarebbero particolarmente resistenti ai raggi ultravioletti. Da qui l’idea del rettore dell’Università dell’Economia e della Tecnologia, Nino Enukidze, di portarle su Marte per verificarne la risposta. “IX Millennium” si è consultato con l’Agenzia spaziale europea e spera di lavorare anche con la Nasa, che ha promesso di portare gli uomini su Marte entro i prossimi 10 anni.
LO STUDIO
Per ora Enukidze sta portando avanti il progetto in collaborazione con l’Agenzia di Ricerca Spaziale georgiana e la startup “Space Farms“, ovvero “Fattorie dello Spazio”. Si comincia dall’uva per arrivare poi ad altri tipi di frutta e verdura.
Abbiamo in programma di ricercare tutte le possibilità che consentano agli astronauti di sedersi comodamente su Marte e bere vino georgiano“, spiega senza giri di parole Nino Enukidze.
Come riferisce sempre il Telegraph, la Business and Technology University della Georgia aprirà entro fine anno un laboratorio che simula le condizioni del pianeta Marte, quarto Pianeta del Sistema Solare, ricco di ossidi di ferro che ne determinano il tipico colore rosso. Un po’ come certe terre della nostra viticoltura.
Un ricercatore del progetto sta già allevando batteri partendo da microbi raccolti dalle sorgenti calde solforose della Georgia e da altri ambienti estremi, che potrebbero potenzialmente aiutare le piante a fissare l’azoto nel terreno marziano.
Al contempo, la startup “Space Farms” sta sviluppando dei semi per l’agricoltura verticale in grado di crescere con l’ausilio di luci idroponiche. Gli astronauti sarebbero così in grado di coltivare uva e altri alimenti “in biodiversità ristretta”, su Marte.
“Oltre all’esplorazione delle condizioni di coltivazione su Marte – evidenzia ancora Nino Enukidze – il progetto ‘IX Millennium’ andrà a beneficio dei produttori di uva e dell’economia locale georgiana, mostrando che le uve sono resistenti agli effetti dei cambiamenti climatici”.
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Venticinque euro e quaranta centesimi all’ora. A tanto ammonta il costo della sicurezza notturna degli stand al Prowein di Düsseldorf. Una spesa che le singole aziende, anche attraverso i Consorzi, devono affrontare in maniera autonoma. E i tedeschi non prevedono, al contrario di Veronafiere per Vinitaly, un’assicurazione per i furti di vino.
Se la cavano così in Germania. I vigilanti notturni, di fatto, controllano esclusivamente le aree alle quali sono stati assegnati. E i furti, secondo quanto raccontato da diversi produttori italiani, dal Piemonte al Veneto, avvengono comunque: nelle aree attigue a quelle presidiate.
Nel 2018, dal magazzino chiuso a chiave di un Consorzio del Veneto sono sparite 600 bottiglie di vino. La porta è stata divelta nottetempo e i ladri hanno agito indisturbati. La prova che i tedeschi non sono (sempre) meglio di noi italiani, quantomeno nella gestione della sicurezza nelle Fiere.
La polizia tedesca parla di un vero e proprio mercato nero che si anima durante la settimana del Prowein. Al centro dell’interesse di bande organizzate, che agiscono all’interno dei padiglioni, non ci sono solo le bottiglie di vino, ma anche pentole e attrezzi utili in cucina.
Ma se a Vinitaly ai produttori viene assicurata una copertura attorno al 40% del valore dei furti di vino, già all’interno della quota di iscrizione, a Düsseldorf non resta che la disperazione. E i costi di gestione dello stand, già tutt’altro che economici, lievitano per via della necessità di dotarsi di vigilantes.
Le cantine arrivano a pagare sino a 12 euro al pezzo per il noleggio delle sputacchiere. Gli stand più attrezzati, che chiedono un allacciamento idraulico all’organizzazione di Prowein, devono pagare un obolo che si aggira attorno ai 480 euro. Non è economico neppure il ghiaccio, utile a mantenere a temperatura il vino, nelle glacette: 7 euro per una scatola da 5 chili. Insomma, non è tutto oro quello che brilla lontano da Verona.
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EDITORIALE – “Il Cerasuolo d’Abruzzo non è un rosato ma un vino rosa“. Questa la frase d’esordio della verticale organizzata dal Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, a Vinitaly 2019. Si è trattato della prima uscita ufficiale di Rosautoctono, che ha di fatto indirizzato sul nuovo canale del “vino rosa” la comunicazione dell’evento.
Cos’è Rosautoctono? E’ l’Istituto del Vino Rosa italiano che vede impegnati in un progetto di promozionecomune i Consorzi del Bardolino Chiaretto, del Valtènesi Chiaretto, del Castel del Monte Rosato e Bombino Nero, del Salice Salentino Rosato, del Cirò Rosato e, appunto, del Cerasuolo d’Abruzzo.
Da qui i dubbi: ha davvero senso promuovere a livello di marketing e comunicazione una dicitura come “vino rosa”, quando metà dei vini dei Consorzi aderenti a Rosautoctono si chiamano ufficialmente “rosati”? A chi giova?
Ma sopratutto chi la spiega, di fronte a uno scaffale di vino – che sia del supermercato o di un’enoteca, poco importa – la differenza tra “vino rosa”, “vino rosé” o “vino rosato”? Davvero in Italia serve complicarsi la vita con azioni di marketing e comunicazione non coerenti con l’etichetta dei vini, né tantomeno con le Denominazioni?
In realtà, per Franco Cristoforetti, presidente del nuovo Istituto, è tutto chiaro. “Perché vino rosa? Innanzitutto perché in Italia facciamo Chiaretto sul Lago di Garda, Cerasuolo in Abruzzo e Rosato in Puglia e Calabria”, commenta.
“Però se io dico ‘rosato’ – continua Cristoforetti – penso al Sud Italia, non certo al Lago di Garda. Quindi il nome di tutti è il nome di nessuno. Tutti facciamo piuttosto ‘vini rosa’ ma nessuno li chiama così. L’Istituto nasce proprio per valorizzare i ‘vini rosa’ d’Italia”.
In favore di questa tesi anche altri elementi. “In Italia parliamo di ‘vini rossi’ e di ‘vini bianchi’. Perché allora parliamo di ‘vini rosati’ e non di ‘vini rosa’? Se lei mette una cravatta rosa non le dico che mette una cravatta rosata, ma una cravatta rosa”.
“E’ anche un messaggio volutamente diverso, per dare dignità a una categoria di vini da sempre considerata un sottoprodotto dei vini rossi. Una categoria, tra l’altro, che ha un problema nelle nomenclature doganali, essendo confusa con i vini rossi: un elemento che non ci consente di avere statistiche chiare sul peso del vino rosa prodotto in Italia ed esportato”.
Nessun problema, per il presidente Cristoforetti, neppure sul fronte consumatori. “Siamo convinti che la dicitura ‘vino rosa’ non crei problemi – spiega – e l’Istituto si chiama Rosautoctono per simboleggiare il colore del vino, ma anche che si tratta di vino autoctono. Le singoli Denominazioni rischierebbero di perdere la propria identità se tutti in etichetta indicassimo ‘vino rosa’. Vogliamo invece continuare a valorizzare le tipicità di ognuna”.
Per questo, spiega ancora il presidente dell’Istituto, “il payoff della nostra comunicazione è ‘vino rosa autoctono italiano‘, accanto al nome di ogni singola Denominazione, dal Chiaretto al Cirò. Poi ognuno di noi ha la propria identità che deve continuare a spingere con forza”. Ai posteri l’ardua sentenza.
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MILANO – Il Consorzio del Buttafuoco Storico entra a far parte del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò pavese. Un passo fondamentale nell’ottica Erga Omnes per l’ente di Torrazza Coste (PV), anche se non definitivo. E’ la novità più rilevante del “Tavolo Oltrepò” di questa mattina in Regione Lombardia.
Un incontro a cui hanno partecipato l’assessore all’Agricoltura Fabio Rolfi, il presidente del Consorzio Oltrepò Luigi Gatti, il presidente del Distretto del Vino di Qualità Fabiano Giorgi e il presidente del Club del Buttafuoco Storico Marco Maggi.
Presenti anche il presidente di Terre d’Oltrepò Andrea Giorgi, Ruggero Invernizzi (presidente VIII Commissione Agricoltura), il direttore di Ersaf Massimo Ornaghi e i rappresentanti delle Associazioni di categoria Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, CIA e di Camera di commercio di Pavia. Al vaglio lo “studio di mezzi nuovi da azionare in modo corale”.
Una scelta non leggera, quella del Consorzio del Buttafuoco Storico, che arriva dopo settimane di discussioni interne. Al centro del dibattito il futuro del Buttafuoco dell’Oltrepò pavese, che col tempo sarà identificato dalla sola versione ferma, come annunciato nei mesi scorsi dallo stesso presidente Marco Maggi (nella foto) a WineMag.it, in un’intervista esclusiva.
Superata, di fatto, la sbalorditiva empasse causata da una sola azienda oltrepadana, restia ad abbandonare la versione frizzante per i chiari interessi, soprattutto nella Grande distribuzione organizzata.
Il progetto di unità territoriale – dichiara l’assessore Fabio Rolfi – sta facendo presa in Oltrepò. Andiamo avanti con determinazione convinti che l’obiettivo sia giusto e che l’intento sia quello di dare una voce unica alla provincia pavese del vino. Serve dare un’immagine nuova per una comunicazione efficace che rappresenti il rilancio di questo mondo”.
“Il decreto enoturismo – conclude Rolfi – è un’opportunità unica per l’Oltrepò. Per sfruttarlo serve una voce unica, autorevole e concreta. Lanciamo un appello anche alle associazioni agricole in favore dell’unità di un Consorzio di qualità che possa consentire al territorio di fare la svolta che merita”.
“Oggi in Regione abbiamo fatto il punto ripercorrendo dall’inizio il lavoro fatto – aggiunge il presidente del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò, Luigi Gatti – soprattutto grazie ai Tavoli di Denominazione che hanno fatto chiarezza come non mai”.
“Per la prima volta – ha concluso Gatti – abbiamo tutti le idee chiare sull’identità di un nome, quello dell’Oltrepò, che diventa bandiera anche di un vino, il Metodo classico. Un nome portabandiera che di fatto ridefinisce il Territorio. Una scelta consapevole e logica di identificazione precisa”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
VERONA –Verticale orizzontale. Questa la corretta definizione della degustazione organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Montefalco per WineMag.it, a Vinitaly 2019. L’assaggio ha previsto diverse annate di Sagrantino di Montefalco dei produttori che meglio hanno rappresentato la Denominazione umbra, negli ultimi 20 anni.
Un tasting che giunge a pochi mesi dall’Anteprima Sagrantino 2015, andata in scena a Montefalco a metà febbraio e raccontata qui da WineMag. Ecco come è andata invece a Vinitaly: in assaggio 14 campioni di 6 annate.
Sagrantino di Montefalco 2001, Rocca di Fabbri: 94/100
Colore granato. Vino sui terziari, frutto rosso ancora presente, note di miele ma anche di cuoio. Macchia mediterranea, spezia. Buccia d’arancia. In bocca in perfetto stato di grazia. Freschezza e salinità che, unite al frutto rosso e ai tannini dolci, rendono il sorso pieno, agevole e piacevole.
Sagrantino di Montefalco 2005, Perticaia: 89/100
Rosso tendente al granato. Naso con risvolti “selvatici”, poi frutto tendente al sotto spirito, balsamicità. Tannino che si fa sentire in chiusura, asciugando il sorso, prima di una chiara salinità. La percezione alcolica fa da bilancia tra sensazioni morbide e dure, riequilibrando il sorso in maniera decisiva.
Sagrantino di Montefalco 2005, Di Filippo: 86/100
Rosso tendente al granato. Naso “animale”, tocco brettato al limite della piacevolezza, che aggiunge complessità al naso. Non mancano risvolti ossidativi, richiamati anche da sentori di miele. Più semplice al palato, con tannino che ancora una volta si fa sentire in chiusura, sotto forma di una nota amaricante.
Sagrantino di Montefalco 2007 “Exubera”, Terre de La Custodia: 83/100
Rosso rubino impenetrabile. Frutto rosso e forte percezione di legno e alcol. Anche in bocca il sorso è condizionato da un tannino piuttosto duro.
Sagrantino di Montefalco 2008, Antonelli: 90/100
Rosso rubino luminoso. Primo naso di matrice salina, che si unisce al frutto rosso tipico del vitigno e alla spezia. Non mancano ricordi d’agrumi, d’arancia candita. In bocca grande equilibrio, con tannini piuttosto dolci che mostrano al contempo margini di positiva evoluzione. La buona componente alcolica, ben integrata, arrotonda il sorso e lo rende piacevole, su note di frutti di bosco e agrumi.
Sagrantino di Montefalco 2008 “Colle del Saraceno”, Az. Agraria Francesco Botti: 85/100
Naso non esplosivo, tra risvolti “animali” e fruttati maturi. In bocca ingresso caldo, su frutto maturo già avvertito al naso. Poi il tannino, che chiude assieme a un accenno salino. Vino semplice, tutto sommato di facile beva.
Sagrantino di Montefalco 2008, Scacciadiavoli: 92/100
Rosso rubino carico. Naso di frutta rossa, ma anche di mela rossa. Con l’ossigenazione il vino guadagna in balsamicità, oltre a sfoderare una vena erbacea e un leggero fumè.
Molto bene al palato, di gran consistenza: torna il frutto, di una maturità precisa, assieme a un’ottima freschezza e a una preziosa vena salina, che chiama il sorso successivo. Tannini di cacao.
Sagrantino di Montefalco 2008 “Carapace”, Tenute Lunelli (Magnum): 90/100
Rosso rubino tendente al granato. Naso su terziari (cuoio) e frutto (rosso) che vira verso la piena maturità. Accenni balsamici in centro bocca e in chiusura che, assieme al tannino, conferiscono austerità al sorso. Alcolicità e frutto, che anche al palato si conferma più che maturo, rendono la beva snella ma non banale.
Sagrantino di Montefalco 2008 “Colle Grimaldesco”, Tabarrini: 94/100
Rosso rubino tendente al granato. Naso tipicissimo che si divide tra frutto preciso, terziari di brace e cuoio, speziatura, oltre a vaghi accenni d’agrume, mentuccia e talco.
In bocca si conferma un gran vino, giocato sulla freschezza. Il tannino è ordinato e di prospettiva e fa capolino in seguito a un ingresso precisissimo, sul frutto rosso e sull’agrume. Lungo sulla freschezza e su una piacevole salinità.
Sagrantino di Montefalco Docg 2009 “Ugolino”, Terre de Trinci: 78/100
Scarsa pulizia e precisione, volatile, note ematiche sgarbate. In bocca tannino e alcol, slegati.
Sagrantino di Montefalco 2009, Colle Ciocco: 86/100
Rosso rubino. Naso sul frutto, più che altro, con richiami leggeri balsamici. In bocca corrispondente, semplice, fresco beverino.
Sagrantino di Montefalco 2009, Romanelli: 94/100
Rosso rubino. Altro naso tipicissimo, giocato sull’eleganza dell’essenzialità: frutto rosso di gran precisione, agrume, accenni balsamici e speziati. In bocca corrispondenza totale. Il tannino si rivela giustamente dolce e integrato nel suo gioco con il frutto polposo, anche se ha margini di ulteriore evoluzione. Preziosissima chiusura salina, che chiama il sorso successivo.
Sagrantino di Montefalco 2009 “Bartoloni”, Le Cimate: 82/100
Rubino carico, impenetrabile. Naso piuttosto verde, che copre la vena fruttata. In bocca un altro vino: morbido, tendenzialmente giocato sulla semplicità della beva. Non manca la freschezza, su cui chiude il sorso.
Sagrantino di Montefalco 2010, Goretti: 85/100
Colore rubino mediamente trasparente. Naso che si divide tra sentori terziari (caramella mou, brace), fruttati, floreali e minerali, salini. In bocca dimostra un’ottima bevibilità, cui manca però un po’ di spalla acida. Vino semplice, immediato. Da bere oggi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MILANO – Non sarà come la galoppata di Garibaldi e dei suoi Mille, prima della partenza per la Sicilia da Talamone (se non altro perché la direzione è inversa). Ma la determinazione che muove cinque produttori di Orvieto, uniti per il rilancio della Denominazione, suona già come una mezza vittoria.
Brindò con l’Orvieto – nel lontano 1860 – l’Eroe dei due Mondi, per benedire il viaggio verso il Meridione. E hanno brindato con l’Orvieto i titolari di Cantine Neri, Madonna del Latte, Palazzone, Sergio Mottura e Tenuta di Salviano, che a Milano hanno presentato alla stampa il loro progetto di qualità.
Un fronte comune – spiegano i cinque produttori – per sostenere un modo condiviso di fare vino: assoluto rispetto ed esaltazione del territorio, minimo impatto ambientale, sapiente gestione del vigneto. E, in cantina, un’attenzione maniacale per conservare in maniera naturale il patrimonio varietale che rappresenta il carattere di questa terra”.
Facile a dirsi, più difficile a farsi. Specie in una terra che ha visto trasformare il suo vino bianco d’elezione, noto sin dall’epoca degli etruschi, in merce di bassa lega. Degna solo dei grandi serbatoi dello sfuso e dei commercianti del vino. La chiave nella riscoperta di varietà locali, come il Procanico, il Verdello e il Drupeggio, accanto alle più note Malvasia Toscana, Grechetto e Trebbiano Toscano.
CINQUE AMICI, UN PROGETTO
Un progetto di collaborazione, quello delle cinque cantine orvietane, in cui ognuno mantiene la propria personalità. Come cinque amici al bar, che al posto di sfidarsi giocano la stessa partita a carte, col mondo del vino seduto a capotavola. Non ancora una vera e propria Associazione, la cui costituzione non viene comunque esclusa.
C’è la Cantina Neri di Bardano: un’azienda familiare che conta circa 80 ettari di terreno, di cui cinquanta vitati. C’è poi la Tenuta di Salviano, realtà storica arroccata sulle rive del Lago di Corbara. Focalizzata sui vitigni autoctoni.
Madonna del Latte è la vera principessa “verde” del gruppo, che ha trovato casa tra Orvieto e il Lago di Bolsena. Palazzone la cantina dal nome che evoca grandeur: un’azienda che sorge a pochi passi da Orvieto, capace di disegnare nel calice la grande eterogeneità del terreno, sin dalla fine degli anni Sessanta.
E infine Sergio Mottura, storico sostenitore degli autoctoni. Ha sempre ricercato e sperimentato sul campo diversi aspetti della vinificazione e della gestione della vigna, con l’intento di esaltare le potenzialità del territorio.
Tra le leve di promozione dell’Orvieto c’è la sua longevità, dimostrata dalla degustazione di alcune vecchie annate delle cinque cantine. “L’obiettivo – sintetizza Enrico Neri – non è proporre vini pronti dopo 15 anni, ma gridare al mondo i due volti dell’Orvieto: buono a pochi mesi dalla vendemmia e, ancor di più, con qualche anno sulle spalle”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
CAVEDINE – Ha tutte le carte in regola del vino vincente, anche dal punto di vista commerciale. E’ raro. Di qualità assoluta, comprovata dalla straordinaria longevità. Ha una storia da raccontare. E ha alle spalle un gruppo di produttori affiatati e determinati. Eppure, il Vino Santo Trentino, soffre. Anche a casa sua.
Ecco allora l’appello dei vignaioli rivolto alla ristorazione locale e, più in generale, a quella italiana: “Mettete il Vino Santo del Trentino nelle carte dei vini“. Se è vero che Nemo propheta in patria, questo è un caso per il quale vale la pena (davvero) di fare un’eccezione.
A sostenere la campagna del Consorzio Vignaioli del Trentino, riunitisi sabato 13 aprile alla Gino Pedrotti di Cavedine (TN) per una degustazione di annate storiche (dal 1967 al 2011) prima del tradizionale Rito della Spremitura delle uve Nosiola appassite, è anche Roberto Anesi, miglior sommelier d’Italia 2017 per l’Ais (nella foto, il primo a destra).
IL TESTIMONIAL
Un naso e un palato fine, che parla anche in qualità di titolare di “El Pael”, il suo Wine Restaurant di Canazei (TN): “Il Vino Santo Trentino offre la straordinaria opportunità al ristoratore di raccontare, attraverso il calice, la storia di un territorio, oltre a quella di un prodotto eccezionale e unico nel panorama dei vini dolci italiani“.
Non è un gran momento per questa categoria nel nostro Paese – continua Anesi – e la colpa è anche della ristorazione. Quella trentina e, più in generale, quella italiana, dovrebbero prendere in seria considerazione il Vino Santo. Sarebbe utile anche averlo ovunque in mescita, al calice, per diffonderne la conoscenza tra i consumatori”.
“Un’idea – aggiunge il vignaiolo Giuseppe Pedrotti – potrebbe essere quella di inserire il ‘calice di Vino Santo Trentino’ al termine delle carte dei dolci, ovvero tra i dolci. Perché il Vino Santo, oltre a offrire un caleidoscopio infinito di abbinamenti, è buono anche da solo, a fine pasto”.
AL VAGLIO LA DOCG
Del resto, un calice di Vino Santo Trentino è un vero e proprio microcosmo. Pochi vini raccontano il territorio così bene. Ci si ritrovano i profumi e le verticalità delle Dolomiti di Brenta e del Monte Bondone. Le brezze che solleticano il Lago di Garda, salendo verso la Valle dei Laghi, tra il Basso Sarca e Terlago.
E i ricordi salini e salmastri di un terroir di derivazione marina, con ampie fasce di calcare. Ma a rendere davvero unico e speciale il Vino Santo del Trentino è la Nosiola, l’uva con cui è consentito produrlo, dotata di grande acidità.
Sessantatré ettari vitati complessivi, a un’altezza compresa tra i 250 e i 600 metri. Nei vigneti più in quota della Valle di Cavedine il cuore della produzione. Mentre più a valle (comprese le aree di sostanziale pianura), a farla da padrone, sono il Müller Thurgau e lo Chardonnay, spesso utilizzati per le basi spumante trentine.
Il Vino Santo Trentino – evidenzia l’enologo Luciano Groff (a destra, nella foto con Giuseppe Pedrotti) – è un vino che soffre. Soffre per le superfici vitate rosicchiate nel tempo da altre varietà più redditizie. Soffre dal punto di vista commerciale, appunto per la sua poca redditività. Soffre come tutte le cose rare, che rischiano di scomparire, anche per la difficoltà di doverle raccontare per farle conoscere meglio”.
Al vaglio, proprio per la particolarità ed esiguità della produzione (circa 30 mila bottiglie annue, da parte di sole 8 cantine) anche l’upgrade a Docg del Vino Santo Trentino, oggi semplicemente Doc. Una scelta avallata dal Consorzio Vignaioli, che però si scontra con le logiche commerciali.
Gli interessi maggiori ruotano attorno al Trento Doc, relegando il Vino Santo Trentino a seconda scelta per l’eventuale istituzione della prima Docg del vino della regione. Un passo che, secondo fonti locali, “prima o poi sarà comunque compiuto”.
Nel frattempo l’Associazione dei Vignaioli del Vino Santo Trentino ha eletto il suo nuovo presidente. Si tratta di Enzo Poli, titolare della Maxentia Distillatori Artigiani e Vignaioli di Vezzano (TN). L’annuncio è avvenuto domenica, durante il Rito della Spremitura delle uve Nosiola all’Azienda Agricola Gino Pedrotti.
LA DEGUSTAZIONE
Vino Santo Trentino Doc 2011, Maxentia Colore dorato, luminoso. Al naso note di albicocca. Ma anche, immediata, la percezione di una gran freschezza che, come una brezza sottile, solleva profumi di spezie orientali, calde e rincuoranti.
Con l’ossigenazione, il nettare guadagna straordinariamente in termini di complessità: liquirizia dolce, frutta secca, una notte netta di miele millefiori. Al palato gran bevibilità. Il residuo zuccherino è controbilanciato dalla vena acida, in un quadro di perfetto equilibrio. Chiusura di bocca su una confettura precisa e una pregevole vena salina.
Vino Santo Trentino Doc 2002 “Nobles”, Francesco Poli vignaioli in San Massenza Colore dorato, luminoso. All’attesa freschezza e alle note di frutta sciroppata risponde una venatura marina, tendente al salmastro. In bocca l’ingresso è più ampio rispetto al precedente assaggio.
In un quadro di perfetta corrispondenza gusto olfattiva, sono le noti fruttate mature a prende il sopravvento. In centro bocca il vino si accende in termini di freschezza. Riecco anche la sapidità, che chiama il sorso successivo.
Vino Santo Trentino Doc 1996 “Emblemi d’Amor”, Giovanni Poli (magnum) Colore ambrato. Naso che va netto sulla frutta secca: nocciola, arachidi. Così come sul fondo di caffè e la caramella mou. Retaggi, questi, dell’affinamento in legno. Sbuffi vegetali, tra la spezia dolce e la mentuccia. Ma anche sottofondo di cereali, che fa pensare al marcatore di certi whisky.
In bocca la dolcezza è sostenuta, così come la riequilibrante freschezza. Netta anche la nota salmastra, che dal naso si trasferisce al palato. Un vino eccezionale per consistenza tattile. Un vino grande, come il formato in cui è stato servito.
Vino Santo Trentino Doc 1985, Gino Pedrotti Altro colore ambrato. Corredo olfattivo tipicissimo e complesso: nota salmastra che ricorda l’oliva nera in salamoia, frutta matura, ma soprattutto frutta secca. Al palato una gran freschezza e salinità, ma anche richiami di erbe mediche e liquirizia, già avvertite al naso. Lunghissimo, principalmente su sale e spezie leggere, calde, avvolgenti.
Vino Santo Trentino della Valle dei Laghi 1982, Az. Agr. Pravis Colore splendido per l’età del vino, ancora luminoso e invitante. Naso sulla frutta secca, in particolare sull’arachide. Si fa sentire anche la frutta fresca, come l’albicocca sciroppata. In bocca colpisce per densità e per l’ottima corrispondenza. Chiusura su note di cioccolato bianco e sale. Un vino snello, agile, ma vivo e in evoluzione.
Vino Santo Trentino Doc Classico della Valle dei Laghi 1977, Fratelli Pisoni Colore ambrato, scuro, ma pur sempre luminoso. Naso su note di caffè nette, ma anche sulla buccia d’arancia amara, sullo zenzero, sul cioccolato e sul caramello leggermente bruciato. Una nota, quest’ultima, che con l’ossigenazione si evolve in ricordi di brace spenta.
In bocca il nettare si esprime ancora su note di frutta fresca, tra la confettura e lo sciroppo, oltre a sfoderare una vena di sale che invoglia il sorso. Chiusura tra le più accattivanti della batteria: vivissimo, rinvigorito da pizzichi di spezia leggera, tra il pepe bianco e il cumino.
Vino Santo di Toblino 1967, Cantina di Toblino Colore ambrato didattico. Al naso, su tutto, una vena salmastra capace addirittura di ricordare lo scoglio. Impreziosiscono il quadro note nette di erbe di montagna, che anticipano la freschezza gustativa.
Sempre al naso, grazie all’ossigenazione, emergono note di liquirizia e caffè. In bocca gran equilibrio tra zuccheri e freschezza. Un ritmo scandito da richiami di datteri, fichi e ricordi di muschio e terra di sottobosco. Un vino infinito.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
CANELLI – Canelli è Docg. Il Consorzio per la Tutela dell’Asti Docg ha approvato il provvedimento nel tardo pomeriggio di oggi, lunedì 15 aprile 2019. Quella che fino a ieri era una sottozona del Moscato d’Asti Docg, Canelli per l’appunto, diventa una Denominazione di origine controllata e garantita indipendente.
Si chiamerà Canelli Docg o Moscato di Canelli. La scelta, almeno nei primi mesi di vita della nuova Docg, sarà lasciata ai singoli produttori che poi potranno omettere la parola “Moscato”, in etichetta. Il provvedimento è il frutto di cinque anni di lavoro dell’Associazione Produttori Moscato di Canelli, riattivatasi nel 2014.
Un percorso già visto in Piemonte, in epoca recente. Il passaggio del Moscato di Canelli da sottozona a vera e propria Docg ricorda infatti quello del Nizza Docg, prima relegata al ruolo di sottozona della Barbera d’Asti Docg.
“Solo un punto di inizio – commenta il presidente Gianmario Cerutti – che ci vedrà impegnati nei prossimi mesi a seguire i passaggi in Regione, al Governo e poi a Bruxelles, in attesa della prima bottiglia di Canelli Docg, che potrà essere etichettata nel 2020“.
Poi – continua Cerutti – passeremo alla promozione della nuova tipologia proposta dal Disciplinare: la Riserva, con almeno 30 mesi di affinamento, di cui almeno 20 in bottiglia. Il nostro Moscato si differenzia dagli altri per la sua capacità di migliorare nel tempo. In particolare, dopo tre anni giunge a un percorso di terziarizzazione che conferisce nuovi aromi al nettare, rendendolo davvero unico nel genere”.
Anche per questo il presidente vuole rivolgere un invito ai consumatori, in vista dell’ormai prossima Pasqua 2019: “Bevete un Moscato di Canelli 2017 e vi renderete conto che è ancora più buono di quello d’annata!”
Il Moscato Bianco di Canelli trova il suo abbinamento perfetto con la pasticceria secca, le creme e i dolci a base di frutta. Ingiustamente relegato all’esclusivo consumo con i dessert si sposa in realtà alla perfezione anche a piatti salati, dai formaggi erborinati, alla Robiola di Roccaverano, ai salumi.
LA NUOVA DOCG
La zona del Canelli Docg o Moscato di Canelli è ristretta a 18 Comuni. Restano esclusi Alba, Rocchetta Belbo, Serralunga, Treiso e Trezzo Tinella. Tutti in provincia di Cuneo.
Sarà dunque possibile produrre il Canelli Docg col solo vitigno Moscato Bianco, nei Comuni di Bubbio, Calamandrana, Calosso, Canelli, Cassinasco, Castagnole Lanze, Coazzolo, Costigliole d’Asti, San Marzano Oliveto, Moasca e Loazzolo per la provincia di Asti.
Per quanto riguarda la provincia di Cuneo, i Comuni sono quelli di Camo, Castiglione Tinella, Cossano Belbo, Mango, Neive, Neviglie, Santo Stefano Belbo. Il nuovo disciplinare, tuttavia, interessa solo parzialmente i territori dei 18 Comuni in cui è ammessa la produzione.
“In questi anni – sottolinea il presidente Cerutti – il nostro lavoro si è concentrato studi di tipo geologico e microclimatico, utili a identificare solo le aree più vocate alla produzione di Moscato. Un vero e proprio lavoro di ricamo: la Docg vuole infatti essere un provvedimento ulteriormente migliorativo della qualità del nostro Moscato”.
Il disciplinare prevede la possibilità di allevare il vitigno storico di Canelli a partire da un’altezza di 165 metri sul livello del mare e fino a 500 metri. Sono stati esclusi tutti i vigneti con esposizione a Nord, a partire dai 400 metri.
I NUMERI DEL MOSCATO DI CANELLI I dati più aggiornati della sottozona, riferiti a dicembre 2018, parlano di mezzo milione di bottiglie di Moscato d’Asti Docg Canelli. Ventitré le aziende produttrici, anche se a possedere vigneti all’interno del comprensorio della Docg sono 68 aziende.
“I numeri, in crescita dal 2014 – sottolinea ancora Gianmario Cerutti – dimostrano quanta attenzione ci sia stata a livello locale per questo progetto. Il numero stesso dei produttori iscritti all’Associazione è cresciuto dai 10 del 2014 ai 18 del 2019, interessando anche vignaioli dei Comuni limitrofi”. La riprova che il Canelli Docg è un vero progetto di territorio.
Del resto, la coltura della vite in questo angolo di Piemonte è attestata fin dell’epoca romana. Nel Medioevo, il Moscato arriva nella regione del Nord Italia per trovare una delle sue terre d’elezione. La sua presenza si concentrerà pian piano nelle zone più vocate di Canelli e dintorni, al punto da confondersi nel corso dei secoli, con la vita stessa della comunità.
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PALERMO – Che la Sicilia abbia una tradizione culinaria straordinaria non è una novità. Patria del buon vino, è tra le regioni d’Italia in cui si mangia meglio. Eppure sommelier, pasticceri e chef de rang sono le figure “hard to feel” tra gli annunci di lavoro online: rimangono aperte per 60 giorni o più, senza essere coperte.
Lo dimostra l’analisi fatta da Indeed, sito numero 1 al mondo per chi cerca e offre lavoro. Con 92 mila ricerche di lavoro pubblicate ogni mese, 3,5 milioni di visitatori unici e oltre 2,4 milioni di curriculum vitae caricati, Indeed è il primo sito per la ricerca di lavoro anche in Italia.
Riuscire ad attrarre i talenti migliori e assicurarsi personale con le giuste competenze – ha commentato Dario D’odorico, Country Manager di Indeed in Italia (nella foto sotto) – non è facile per le aziende di nessun settore. A maggior ragione per un settore di altissimo profilo quale è l’industria del food & beverage siciliano. Il ruolo di portali come il nostro è proprio questo. Facilitare l’incontro tra domanda e offerta”.
L’ANALISI Indeed ha preso in esame le categorie di annunci postati in Sicilia negli ultimi 12 mesi. Il food & beverage è secondo solo alle vendite, canalizzando più dell’8% delle offerte di lavoro di tutta la regione.
Inoltre, andando ad analizzare il “talent mismatch”, ovvero la discrepanza tra domanda e offerta, l’analisi evidenzia come in Sicilia, per questo settore, esista un surplus di domanda da parte dei datori di lavoro.
Ci sono infatti più posizioni aperte che persone in cerca di lavoro, con un tasso del 2,5. In media, il 45% degli annunci afferenti all’area food rimane scoperto per 60 giorni o più, a indicare una mancanza di risorse adatte per ricoprire queste posizioni. Ma per quali figure gli annunci rimangono scoperti così tanto?
Il pasticcere si colloca sul gradino più alto del podio con il 77% delle ricerche che rimangono scoperte per 60 gg o più. Una professione creativa, ma che al tempo stesso richiede tecnica, precisione e un’elevata specializzazione.
DALLA RISTORAZIONE ALLE ENOTECHE Un dato leggermente inferiore si registra per gli annunci rivolti ai sommelier (65%) una professione dalle molteplici applicazioni: dalla ristorazione alle enoteche, nonché alla consulenza agli attori del mercato vinicolo.
Chef de rang: si tratta di un cameriere professionista che segue tutte le fasi del servizio, una figura centrale della brigata di sala che ha il compito di ricevere i clienti. Sono richieste capacità di coordinamento e supervisione, competenze organizzative e una spiccata sensibilità per il dettaglio.
Per questa figura rimangono scoperte il 54% delle ricerche. Rimangono scoperti a lungo anche gli annunci per camerieri (53%), barman (50%) e commis di cucina (47%).
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
NOVARA – Archiviata anche la terza edizione di Taste Alto Piemonte al Castello di Novara, uno dei maggiori eventi dedicati ai vini di questa eccellente zona vinicola.
Grande affluenza ai banchi d’assaggio presidiati da oltre cinquanta vignaioli, che hanno portato le ultime annate delle loro produzioni.
Un territorio, quello dell’Alto Piemonte, che sta vivendo un vero e proprio rinascimento: produzioni in costante miglioramento, intelligente attività promozionale del Consorzio e fattiva sinergia tra produttori.
Un esempio, insomma, per molte altre realtà italiane. Difficile bere male, livello mediamente alto a tutti i banchi. Ecco una selezione dei migliori assaggi di quest’anno.
I MIGLIORI ASSAGGI A TASTE ALTO PIEMONTE 2019
Boca Doc 2015, Azienda Agricola Barbaglia Non è che si possa parlare sempre bene di loro, ma non sbagliano un colpo e sono sempre in crescendo. Scherziamo con Silvia, donna del vino dal sorriso contagioso. Bisognerebbe scrivere tra i miglior assaggi “i vini di Barbaglia tutti”. Ma a questo giro parliamo del Boca.
Vino vulcanico, da porfidi rosa, blend 80% Nebbiolo, 20% Vespolina. Una produzione che stanno incrementando a circa 8000 bottiglie. Un matrimonio tra i due vitigni che inizia già dalla vinificazione.
La Vespolina viene raccolta manualmente al giusto grado di maturazione, prima che precipiti e pigiata insieme al nebbiolo. Tre anni di affinamento di cui due in botte grande. Un vino in frac, austero ed elegante con un bouquet di fatto di piccoli frutti scuri, speziature, sbuffi minerali e che al palato è a dir poco sontuoso.
Ricco di estratto ma non pesante. Tannino fitto, un vino dalle ampie potenzialità di invecchiamento, ma in piena armonia tra corpo, alcolicità e sapidità. Un calice che si distingue anche nella veste, la bottiglia deformata piemontese.
Gattinara Riserva 2012 Docg, Luca Caligaris Azienda nata nel 2002 che ad oggi, a seconda dell’annata, arriva a produrre circa 10.000 bottiglie. La Riserva 2012 è la seconda prodotta da Luca, la prima nel 2007, l’ultima nel 2017.
La riserva si fa se c’è quantità e gradazione, perché va dichiarata subito, ma soprattutto se c’è qualità. Luca è molto rigoroso in questo, un vignaiolo che ci mette testa e cuore, un metronomo alla Demetrio Albertini.
Questo nebbiolo affina 5 anni in botti e fa un altro anno tra acciaio e bottiglia. Naso tipico di frutti rossi, erbe aromatiche, speziatura” sapiente”. Il tannino si fa ancora sentire, scalpitante, ma non troppo. In bocca ampio, grande sapidità, elegante, grintoso nella progressione al palato. Finale lunghissimo.
Coste della Sesia Nebbiolo Vallelonga 2016, Fabio Zambolin Fabio Zambolin è davvero un personaggio. Papillon di legno, sguardo da Gian Burrasca, è titolare di una piccola azienda che produce circa 3000 bottiglie. Uno che si è fatto da solo, un garagista del vino.
Il Coste della Sesia Nebbiolo Vallelogna è ricavato per il 60/70 % da viti vecchie ed il restante da viti nuove. Nebbiolo in purezza, prodotto in parte in acciaio, in parte in legno con fermentazioni naturali e lieviti indigeni.
Regala immediatezza e piacevolezza nel suo tipico varietale senza fronzoli. Bella freschezza, bella mineralità. Il 90% della produzione (circa 1800 bottiglie) però finisce negli States. Una chicca. Well done!
Colline Novaresi Vespolina Il Ricetto 2018, Mazzoni Una delle migliori Vespolina in purezza offerta ai banchi d’assaggio. Quando si tratta di Mazzoni, la loro fama li precede. L’annata 2018 è fresca fresca di imbottigliamento e fa solo acciaio.
Nel calice rosso rubino ha un naso intenso di fragolina di bosco e di lamponi. Di ottima corrispondenza gusto olfattiva, al palato è tutto frutto e freschezza. Altissima bevibilità. Ci siamo ricascati.
Lessona Doc Pizzaguerra 2015, Colombera & Garella 95% di Nebbiolo e 5% di Vespolina affinate per circa due anni in barriques. Naso intrigante di frutti rossi, a tratti ematico e balsamico. Sorso di spessore, tannino “gengivale” e scia sapida al palato. Ottima persistenza. Il binomio Colombera & Garella è relativamente giovane, le loro prime etichette sono targate 2013. Due giovani intraprendenti, altro che bamboccioni.
Fenrose 2018, Poderi Garona Un rosato fresco e beverino blend di Nebbiolo, Vespolina ed Uva rara decisamente in antitesi per leggerezza e semplicità rispetto al Boca 2013 che comunque è un altro dei migliori assaggi.
Accantoniamo per un attimo tannini e longevità e ci facciamo affascinare stavolta da questo rosa tenue nel calice, sofisticato. Agrumi e fiori freschi al naso. Scende una bellezza, si può dire? Il Fenrose dei Poderi Garona strizza l’occhio all’estate: terrazza vista mare e cruditè.
Colline Novaresi Doc Vespolina 2018, Francesco Brigatti Vespolina in purezza imbottigliata da meno di una settimana. Sia al colore che al naso rivela tutta la sua giovinezza. Rosso violaceo ha un naso fresco, fruttato con leggere sfumature speziate.
Bello, pulito e schietto il sorso centrato sul frutto, ma con la spezia che ritorna. Tannino vivace, ottima bevibilità. Piacevolezza che si ritrova pressochè in tutta la sua gamma.
Gattinara Docg 2014, Mauro Franchino Sosta obbligata quella da Franchino, dove troviamo Alberto, da poco subentrato allo zio nella gestione. Macerazione di 20 giorni più 1 anno in cemento e tre anni in botte grande.
Il 2014 è da poco in bottiglia e a breve sarà in commercio. Da questa vendemmia, seppur notoriamente piovosa è nato comunque un Gattinara con la “G” maiuscola. Di struttura, dal tannino irruente e da approcciare con infinita pazienza. Ma che cosa saprà regalare poi?
Prunent Stella 2017, Edoardo Patrone Entriamo nel territorio delle Valli Ossolane. Edoardo Patrone. E qui la storia è obbligatoria. Giovane enologo con esperienza langarola ed australiana torna in Italia e diventa un moderno startupper. Il progetto è recuperare vigne di cui i proprietari anziani non più in grado di occuparsene.
Lo definiamo il “badante” delle vigne eroiche. Ben 17 gli appezzamenti di questa Monopoli vitata. Edoardo così ha la possibilità di capire quali sono i terreni più vocati per ciascun vitigno. E sperimenta da Archimede (anarchico) qual’è, addirittura un vino da ben 15 vitigni.
Vini tutti piacevoli dal più semplice a quello che rappresenta il “Parco della Vittoria” per restare in tema Monopoli: il Prunent Stella. Elegante, bel frutto polposo, fine speziatura, mineralità, ruffiano quanto basta. Non gli manca nulla.
Boca 2012, Cascina Montalbano Un altro Boca tra i migliori assaggi di questa edizione, nell’anno del cinquantesimo della Doc. Anche Cascina Montalbano ha una storia da raccontare. E’ quella di un recupero, di una vigna, di una storia, di un sogno.
Di un progetto che si era purtroppo arenato, perché la vita non è sempre dritta, come certi vini. Ma per fortuna, il progetto è stato recuperato. Due i Boca al banco d’assaggio, annata 2012 e 2013, molto simili.
Nel calice troviamo frutti rossi, note pepate ed un tocco balsamico fresco. Al palato grande pulizia, sorso vibrante, e dinamico. Tannini virili quanto basta. Bell’equilibrio davvero e tanta prospettiva.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il bello è che potrebbe tirarsela come pochi in Italia, Matteo Ascheri. Invece, il presidente del Consorzio del Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani ti saluta con quel sorriso contagioso. Si libera presto dei buyer americani coi quali sta colloquiando. E ti concede l’intervista con una ventina di minuti d’anticipo rispetto all’orario prefissato a Vinitaly.
Se è vero che l’eleganza non è farsi notare ma farsi ricordare, Ascheri ha imboccato la strada giusta. Per sé. E per il Barolo. Da tutti i punti di vista. Già, perché quella che sta apportando al Consorzio piemontese è una vera e propria Rivoluzione.
Culturale, d’immagine, di metodo. D’approccio. Ma soprattutto di comunicazione del Barolo, in Italia e nel mondo. Una rivoluzione vera, concreta. Fatta di parole e di fatti. Una “Revolution” che parte da un semplice assunto.
Per anni, il Consorzio del Barolo e del Barbaresco ha affidato la comunicazione alle aziende, chiamate a raccontare le Denominazioni in piena autonomia. Poi si è concentrato sul trade. Adesso è arrivato il momento di parlare al consumatore finale“.
Come? Le strade pensate da Ascheri sono molteplici. La più interessante, per chi ha sete di Barolo – ebbene sì, il Barolo si produce ma poi va bevuto – è la partnership con Vivino. “Chiederemo alle aziende del Consorzio di mettere a disposizione da un minimo di 6 a un massimo di 12-18 bottiglie di Barolo, da vendere a un prezzo interessante, stilato dalle stesse cantine”.
Una sorta di “operazione flash” pensata, appunto, per il consumatore finale. Che per un breve periodo potrà acquistare online dei grandi Barolo. E si parla di etichette di gran valore. Anche perché c’è di mezzo un risvolto Charity.
Riteniamo che questo sia un modo molto efficace e diretto per promuovere la Denominazione e ampliare il parterre del pubblico a persone che pensano di non potersi neppure avvicinare al Barolo”, spiega Ascheri. La somma raccolta sarà poi devoluta in beneficenza dal Consorzio di Tutela a un ente bisognoso, ancora da stabilire. Chapeau.
IL BAROLO NEI DISCOUNT Un modo come un altro per far parlare di Barolo. E arginare il fenomeno del ribasso negli hard discount. “Parliamoci chiaro – sottolinea il presidente del Consorzio – questa non è una battaglia alla Grande distribuzione o ai consumatori che, per motivi di portafoglio, fanno la spesa al discount. Il nostro obiettivo è controllare l’offerta, arginando fenomeni speculativi che danneggiano l’immagine della Denominazione”.
Eppure Ascheri sa bene che il fenomeno del Barolo al Lidl o all’Eurospin, o quello del Barolo in promozione a 10 euro sugli scaffali di altre insegne della DO, è frutto di un sistema in perfetto equilibrio.
“Il meccanismo che genera questo tipo di prezzi è assolutamente sostenibile a tutti i livelli – commenta il presidente – perché è redditizio per il contadino, redditizio per l’insegna della grande distribuzione e, soprattutto, vantaggioso per il consumatore finale”.
Quindi o ci lamentiamo e basta, aspettando che la cosa degeneri – chiosa Matteo Ascheri – o facciamo qualcosa. E non si tratta di scacciare i mercanti dal tempio, perché in fondo siamo tutti mercanti. Piuttosto dobbiamo fare in modo che le aziende trovino altri canali di vendita per le loro uve, in modo da colmare il vuoto in cui si inseriscono imbottigliatori che condizionano il prezzo del Barolo negli hard discount”.
I dati, del resto, parlano chiaro nelle Langhe. Su oltre 650 aziende produttrici di Barolo associate al Consorzio, oltre 350 fanno parte della categoria “imbottigliatori“. Non va meglio al Barbaresco, dove il gap si riduce ancora: qui sono più della metà dei 300 produttori consorziati.
SOLUZIONI? “ANCHE L’AUTOTASSAZIONE”
“L’offerta di uve Nebbiolo e, di conseguenza, di Barolo come vino finito – evidenzia Ascheri – è cresciuta a livello esponenziale. In 20 anni siamo passati da 1.200 a 2.200 ettari vitati e da 6 a 14,5 milioni di bottiglie“.
E’ arrivato il momento di governare questa crescita. Abbiamo bloccato fino al 2022 i nuovi bandi per i vigneti e abbiamo intenzione di intervenire quanto prima anche sulle rese, magari introducendo la riserva vendemmiale“, annuncia Ascheri a WineMag.it.
Se necessario, per portare avanti il progetto di avvicinamento del Barolo al grande pubblico dei consumatori, il Consorzio è pronto all’autotassazione. “Abbiamo programmato investimenti per 3 milioni di euro in tre anni – ribadisce il presidente – finanziati dall’Erga Omnes”.
“Se non bastassero siamo pronti ad attingere dalle nostre tasche: in questo modo saremmo ancora più autonomi circa l’utilizzo dei fondi, focalizzandoli sugli obiettivi che ci siamo preposti”, precisa Ascheri.
E non finisce qui. Al vaglio del Consorzio di Tutela c’è anche la creazione di una “Barolo & Barbaresco Wine School“. Una sorta di Accademia, in stile Chianti o Valpolicella, in cui formare i professionisti chiamati alla comunicazione e alla vendita del Barolo e del Barbaresco, in Italia e nel mondo.
Il tutto a corollario dell’evento internazionale che segnerà il prossimo triennio della gloriosa Denominazione piemontese: Barolo & Barbaresco World Opening, l’Anteprima mondiale delle nuove annate (2016 e 2017) in programma a New York.
Prevista per febbraio 2020 e pensata come un vero e proprio spettacolo dedicato ai due rossi piemontesi, l’iniziativa sarà la vera sintesi della volontà del Consorzio di “cambiare passo e strategia sulla promozione delle Denominazioni che rappresenta”. Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
VERONA – Ci sono storie, nel mondo del vino, che hanno titoli strani. E trame complicate. Prendi lo Schioppettino di Prepotto e prova a premere “Play”, sul telecomando. Il titolo pare un’onomatopea. E infatti, bum. Nella prima scena “scoppietta” un acino.
Un bell’acino. Di quelli gonfi e maturi. Con la buccia tesa, sottile. Pronto per un’accurata vendemmia. Il film si gira a Prepotto. Dall’inizio alla fine. A Prepotto soltanto. In provincia di Udine. Settecentosessantanove abitanti. Dieci più, dieci meno.
Seconda scena, la camera allarga lo zoom. Eccoli. Siamo sui Colli Orientali del Friuli, che danno la Doc allo Schioppettino di Prepotto. Close up improvviso. Scena numero tre. Consiglio comunale in corso in municipio, nel piccolo borgo udinese.
LA STORIA
Sindaco, giunta e consiglieri sono riuniti in seduta straordinaria. Un solo punto all’ordine del giorno: la difesa dello Schioppettino, che sta scomparendo. L’alzata di mano non lascia spazio a interpretazioni. All’unanimità si vota per inserirlo nell’elenco dei vitigni autorizzati. Sullo schermo appare l’anno: è il 1977.
Quattro anni dopo, nel 1981, quel plebiscito si concretizza nero su bianco. E nel 1987, dopo l’avallo della Comunità Europea, lo Schioppettino di Prepotto – noto sul posto anche come “Ribolla Nera” o “Pokalça” – diventa Doc.
Ancora oggi, a Prepotto, qualcuno non ha cambiato canale. Sono i 30 produttori locali che lavorano circa 40 ettari, distribuiti in maniera longitudinale tra i 100 e i 150 metri sul livello del mare. La media annuale si aggira sui 130 ettolitri, che equivalgono a 80-90 mila bottiglie complessive.
Venti le cantine che fanno parte dell’Associazione Produttori Schioppetino di Prepotto, che a Vinitaly ha proposto a WineMag.it una degustazione di 12 etichette: 7 della vendemmia 2016 e 4 della vendemmia 2015. Un film mai visto prima, che vede i vignaioli impegnati nella comune promozione dell’antico e raro vitigno.
L’associazione, presieduta dalla produttrice Anna Muzzolini, condivide il disciplinare produttivo che prevede una versione “base” dello Schioppetino di Prepotto (in commercio non prima di due anni dopo la vendemmia) e una versione Riserva (4 anni minimo di affinamento in cantina).
LA DEGUSTAZIONE
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Ronco dei Pini: 87/100 Rosso rubino. Vino fresco, in fase giovanile ma già molto piacevole ed equilibrato. Ottima corrispondenza gusto olfattiva, giocata sul frutto rosso come il ribes, accenni di macchia mediterranea e pepe nero. Gran beva. Vino di gran precisione, scultoreo.
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Marinig Valerio: 84/100 Rosso rubino. Primo naso più sulla spezia che sul frutto di bosco. Accenni vinosi e “foxy” dosati, che rendono il quadro olfattivo piacevolmente verticale e scalare. In bocca sorprende ancora, per il gioco tra frutto e mineralità salina. Chiusura speziata rinfrescante. Vino vivo, in evoluzione.
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Antico Broilo: 88/100 Rosso rubino. Naso molto intenso e profondo, su spezia e macchia mediterranea, con l’immancabile frutto di bosco. Bella beva, tra il salino spiccato e il fruttato preciso, masticabile. Chiusura nuovamente sulla spezia, tra il pepe verde e quello nero. Vino decisamente complesso e fase crescente.
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Vigna Lenuzza: 86/100 Rosso rubino. Spezia in primo piano, al naso. Pepe nero e richiamo netto di origano, sul frutto di bosco che tende al maturo, senza sforare nella confettura. Completa l’olfatto un marcatore vinoso, che poi si ritrova in un palato piuttosto giovane e scontroso, sferzato da un tannino giovane. Vino futuribile.
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Vie d’Alt: 84/100 Rosso rubino. Meno freschezza del frutto al naso rispetto ai precedenti campioni, anche se conserva la venatura speziata. Tende alla confettura il palato, anche troppo scorrevole. Vino pronto.
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Stanig: 87/100 Rosso rubino. Si torna sul consueto standard di frutto e di spezia, ma il naso qui rivela caratteristiche uniche: di terra, di muschio, di fungo, in un contorno di pepe nero e frutto come ribes e mirtillo. Un quadro molto piacevole, come piacevole è il sorso, che rivela per di più un’ottima freschezza.
Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Grillo Iole: 86/100 Rosso rubino. Vino che nella sua semplicità si rivela molto tipico: scorrevole ma consistente la beva, su tinte corrispondenti al naso: frutto giustamente maturo, tannino che gioca a smorzare la spinta glicerica. Di prospettiva.
Schioppettino di Prepotto Doc 2015, Vigna Traverso: 87/100 Mora selvatica e spezia nera al naso. Sentori molto chiari, netti, precisi. Palato corrispondente. Chiusura leggermente amaricante, sul disegno tratteggiato da un tannino vivo, in fase di integrazione. Giovanissimo.
Schioppettino di Prepotto Doc 2015, RoncSoreli: 88/100 Frutto tendente al maturo al naso, ma in maniera precisa. Accenni vinosi ed evolutivi come il cuoio, che evidenziano l’anno in più sulle spalle. In bocca frutto e spezia, con il corredo della macchia mediterranea, rimasto appena accennato all’olfatto. Chiude su note di liquirizia dolce. Un vino di gran gastronomicità.
Schioppettino di Prepotto Doc 2015, La buse del lôf: 84/100 Ovvero “la tana del lupo”. Un vino che si rivela di beva piuttosto agile e semplice, anche se non banale, sul frutto e sulla spezia leggera. Buona corrispondenza tra naso e palato.
Schioppettino di Prepotto Doc 2015, Vigna Petrussa: 89/100 Vino di gran equilibrio, giocato più sull’eleganza che sulla potenza. Frutto e spezia sottile, quasi sussurrata. Chiusura preziosa, su note precise, minerali e saline, nonché di liquirizia. Una vino con ottimi margini di positivo affinamento.
Schioppettino di Prepotto Doc 2015 “Gli Stormi”, Colli di Poianis: 85/100 Naso elegante, dal taglio enologico internazionale, giocato sul ribes e sul frutto di bosco giustamente maturo. Non è questo che lo “porta” all’estero ma l’esuberanza dei tratti vagliati. In bocca un tannino felpato, setoso, con la frutta un po’ penalizzata dai ritorni della tostatura.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
ROMA –Francesco Apreda è il nuovo Chef di Idylio, il ristorante – che aprirà le sue porte nella seconda metà di aprile – del The Pantheon / Iconic Rome Hotel, il prestigioso 5 stelle sito a pochi passi dal Pantheon, nel pieno centro storico di Roma (in via di S. Chiara 4/A). A darne l’annuncio ufficiale è la proprietà, il Gruppo Tridente Collection, di cui sono soci i fratelli Emidio e Fabrizio Pacini e Andrea Girolami. Apreda ricoprirà inoltre nei prossimi anni il ruolo di Chef Ambassador dell’intero Gruppo.
“Nelle ultime settimane si sono rincorse le voci – spiega Emidio Pacini – e quindi ci sembra giunto il momento di intervenire in modo ufficiale. È con grande soddisfazione che accogliamo Francesco Apreda nella nostra famiglia, affidandogli la guida di Idylio ma anche il ruolo di Chef Ambassador delle diverse strutture proprietà di Tridente Collection e realizzate da Pacini Group. Quella con Francesco è un’intesa perfetta che, ne siamo fermamente convinti, porterà a ottenere dei grandissimi risultati”.
Di origine napoletane, globetrotter della cucina (diverse le esperienze, tutte di spessore, tra Londra, Tokyo, Mumbai e New Delhi), ma ormai romano d’adozione dati i diversi anni di lavoro nella Capitale, ad Apreda spetterà l’ambizioso compito di dare una linea comune, di altissima qualità, alle varie strutture del Gruppo Tridente Collection. Una regia che porterà su queste ultime, a partire da Idylio, punta di diamante della proprietà, quel mix tra sapori mediterranei e influenze orientali tanto apprezzate sia dalla critica di settore che dal pubblico.
“Da tempo sognavo di poter vivere un’esperienza come questa – dichiara Chef Apreda – e di poter intraprendere un percorso variegato e stimolante. Idylio sarà la mia nuova casa per moltissimi anni ma, al tempo stesso, costituisce il primo passo del percorso che intendo intraprendere con il Gruppo Tridente Collection. E sarà bello farlo accanto a persone con le quali condivido passioni e principi. E avendo nella mia squadra professionisti che mi seguono da tempo ma anche nuovi amici come lo Chef Luca Ludovici, già in forza nell’organico e anche per questo prezioso punto di riferimento”.
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EDITORIALE – Aprile 2018. Le televisioni e il web iniziano a mettere in onda lo spot di Caviro, l’azienda che produce il famoso Tavernello. Si vedono mani sporche di terra e ragazze con “troppo trucco” e le “curve troppo al posto giusto per rappresentare contadine e vignaiole”, sostengono i benpensanti.
Uno spot fortemente criticato, che causa a Caviro l’infamante accusa di “sessismo”: tanto lapidaria da andare ormai di moda, specie tra i logorati blogger di gossip, o intra-giù di lì.
I “Tavernello guys” se ne fregano e non cambiano di una virgola la campagna pubblicitaria, lasciando in onda la versione originale (cosa per nulla scontata: pensate al Buondì Motta, o alla recente corsa ai ripari del Mamertino).
E’ passato un anno e un altro Vinitaly è ormai nel cassetto, da poche ore. Nessuno, però, si è sognato di dire la sua (criticamente) sulla presentazione della nuova campagna del Consorzio Garda Doc, avvenuta proprio tra i padiglioni di Verona Fiere, nei giorni scorsi. Eccola.
E’ titolata “The Gods and the lake” (“Gli Dei e il lago”) ed è stata presentata lunedì all’ingresso di Vinitaly, con un flashmob. C’è il Dio Nettuno, con le sue addominali. Ci sono le dee Venere e Diana, mitologicamente e ostentatamente in déshabillé. C’è il tridente.
E ci sono i calici pensati per il Trento Doc: gli Etoilé Sparkle di Italesse, opera di Luca Bini ormai evidentemente sdoganata. Lo hanno chiamato “Fashion Film“. Ed evidentemente è piaciuto a tutti. Tutti convinti dall’effettiva necessità di un simile storytelling, per raccontare una denominazione del vino.
Cinque minuti la durata complessiva. Il video è stato proiettato in tutte le piazze di Verona, in occasione della rassegna Vinitaly and The City. Su maxischermo. Pensate se l’avesse fatto Caviro: apriti cielo, a proposito di Dei. Ma non è tutto Tavernello quel che è della zona di Soave, o giù di lì. E allora God save… the Garda Doc. Cin, cin.
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