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Concorso “Birra dell’Anno – Harvest Beers”: ecco i vincitori

Assegnati i premi “Birra dell’Anno – Harvest Beers“, il concorso organizzato da Unionbirrai e da Italian Hops Company che premia le migliori birre prodotte con luppolo raccolto e utilizzato in tempi brevissimi. Metodo che permette di mantenerne tutta la freschezza e le note aromatiche, celebrando l’essenza più pura del luppolo. Due le categorie di birra premiate nella III edizione di Hervest Beers. Luppolo wet, fresco appena raccolto, e luppolo fresh, appena essiccato e usato entro pochi giorni.

LE BIRRE PREMIATE

A salire sul podio per la categoria Fresh Hop sono state la Fresh Hop di Picobrew di Milano. La Ponale del Birrificio Artigianale Leder di Ledro (Trento) e la Mandarango di Birrificio Legnone di Dubino (Sondrio). Per la categoria Wet Hop al primo posto troviamo la Minosse Hoppy Lager di Labeerinto di Modena. A seguire Italo, prodotta dal Birrificio Artigianale La Villana di Grantorto (Padova) e So Wet, So Bitter prodotta da Birra Bellazzi di San Lazzaro di Savena (Bologna). «Il concorso Birra dell’Anno Harvest Beers evidenzia la connessione tra la birra artigianale e la natura agricola, valorizzando le birre prodotte con luppolo fresco appena raccolto». Ha dichiarato Simone Monetti, Segretario Generale di Unionbirrai.

IL LUPPOLO FRESCO

Negli ultimi anni, il luppolo fresco è diventato protagonista nella produzione di birre artigianali, permettendo ai birrai di ottenere profili aromatici unici e vivaci. Per questo Unionbirrai ha deciso di istituire il concorso, per dare il giusto risalto a queste produzioni. In particolare, il luppolo wet viene impiegato immediatamente dopo la raccolta senza essere sottoposto a essiccazione, mantenendo un alto contenuto di umidità (75-80%).

Quello fresh viene moderatamente essiccato poco dopo la raccolta, riducendo l’umidità al 10-12%. Questo processo stabilizza il luppolo, permettendo un utilizzo più gestibile pur mantenendo gran parte dell’aroma e del profilo gustativo del luppolo fresco. Le birre prodotte con luppoli wet e fresh sono note per i sapori complessi che includono note erbacee, floreali e agrumate. Queste birre offrono un legame profondo con la stagionalità e il terroir, con aromi che variano in base alle condizioni climatiche e alla terra d’origine.

IL CONCORSO

L’evento ha avuto una giuria composta dagli UBT ed esperti del settore: Alessandra Agrestini, Marcello Giuliani, Fabrizio Guernelli, Simonmattia Riva, Lidia De Petris, Ludwing Locher, Simone Cantoni, Valeria De Petris, con il supporto di Elena Manicardi e Gabriele Paltrinieri. La giuria ha effettuato assaggi al buio per garantirne l’imparzialità. Le migliori birre sono state annunciate durante il convegno “Filiera della Birra Artigianale, stili di vita e benessere”, tenutosi a Roma presso la sede di Cia-Agricoltori Italiani.

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

L’Italia cresce a Wine Vision by Open Balkan 2024. Veronafiere Vinitaly: «Balcani mercato chiave»


Non c’è due senza tre. L’Italia aderisce sempre più in massa al “Vinitaly dei Balcani“. Wine Vision by Open Balkan 2024 segna il terzo anno della collaborazione commerciale e istituzionale che vede Veronafiere con Vinitaly capofila della missione a Belgrado, insieme ad Agenzia Ice. «L’obiettivo – spiega a Winemag l’ente di Verona – resta la promozione del vino italiano in Serbia, Macedonia del Nord e Albania. La presenza di Vinitaly a Wine Vision By Open Balkan (22-24 novembre), dove organizza e gestisce l’Area Italia, rafforza la posizione del nostro Paese come partner strategico per il comparto enologico dei Balcani». Una macro-area da oltre 320 milioni di euro di export. Una vera e propria porta di accesso al più ampio mercato dell’Europa dell’Est, sempre più attenta, nei suoi centri e città nevralgiche, al Made in Italy enologico.

VINO ITALIANO SEMPRE PIÙ APPREZZATO IN SERBIA (E NEI BALCANI)

«Vinitaly – aggiunge Veronafiere – continua dunque a investire in attività promozionali per favorire l’incontro tra produttori italiani e buyer locali, sostenendo al contempo una cultura del vino di qualità attraverso un programma di 6 importanti masterclass, guidate da Giuseppe Vaccarini, presidente di Aspi, e realizzate in collaborazione con Ice». Negli ultimi anni, il consumo di vini italiani in Serbia ha mostrato una crescita costante. Molte etichette italiane sono diventate le principali scelte dei winelovers, dalle parti di Belgrado. «Questo interesse crescente – evidenzia Veronafiere Vinitaly – rispecchia un apprezzamento per la qualità e la varietà dell’offerta italiana, nonché il successo delle iniziative che presentano il vino italiano come scelta di valore per i consumatori serbi».

AUMENTA LA PRESENZA DELL’ITALIA A WINE VISION BY OPEN BALKAN 2024

In aumento, quest’anno, le aziende vinicole che fanno parte della collettiva organizzata da Vinitaly nell’Area Italia: 57 (erano 50 nella scorsa edizione), in rappresentanza di 8 regioni italiane: Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto. Le cantine hanno già fissato un calendario di incontri b2b con operatori da Albania, Austria, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, parte del programma di incoming realizzato sempre in partnership con Ice.

«La missione a Belgrado – aggiunge Veronafiere Vinitaly a winemag.it – oltre ad accompagnare le aziende italiane in Serbia, fa parte delle attività di Vinitaly per selezionare e invitare operatori e buyer locali per la prossima edizione del salone interazionale dei vini e dei distillati di Verona, in programma dal 6 al 9 aprile 2025. Confermata la partecipazione in Fiera a Verona dei produttori di Serbia, Albania e Macedonia del Nord in un unico spazio espositivo, con le migliori etichette dei tre Paesi, riunite nell’area Open Balkan».

Cara Italia, occhio ai Balcani: missione Veronafiere in Serbia per Wine Vision by Open Balkan

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

Cotarella “ferma” la Franciacorta: ecco Chardonnay e Pinot Nero senza bollicine


Si fermi, chi può. Anche solo per un attimo. Per vedere l’effetto che fa. L
‘ultima trovata di Riccardo Coratella sono due vini fermi realizzati da Muratori Franciacorta, con le stesse piante (cloni) utilizzati per i vini con le “bollicine”. Uno Chardonnay e un Pinot nero in rosso, Muratori Setticlavio e Muratori Mantorosso, dell’ormai (quasi) dimenticata Igt Sebino. L’obiettivo del noto enologo umbro e della cantina di Adro (Brescia), per la quale presta consulenza dal 2020, non è certo quello di far rivivere l’indicazione geografica bresciana, impacchettata tra la polvere dei cassetti del Consorzio di Tutela del Franciacorta, ormai da anni focalizzato esclusivamente sulla promozione dello spumante. Si tratta, piuttosto, di due «vini di doverosa sperimentazione», come li ha definiti lo stesso winemaker in mattinata, durante il lancio ufficiale. Etichette che hanno, tuttavia, un posizionamento prezzo già rivelante.

Si parla di 45-50 euro per lo Chardonnay 2023 Muratori Setticlavio; e 70-75 euro per il Pinot Nero Muratori Mantorosso (cifre riferite all’acquisto in enoteca). I due nuovi vini saranno venduti separatamente, solo in cassetta di legno da 6 bottiglie e «senza applicazione di alcuna scontistica». A giustificare il prezzo, secondo quanto spiegato dall’azienda, sarebbe la tiratura limitata a sole 2.065 bottiglie per il bianco e 2.927 per il rosso. Un «punto di partenza», come hanno chiarito il patron della cantina, Bruno Muratori, e lo stesso Riccardo Cotarella. In futuro, sia lo Chardonnay che il Pinot Nero del progetto speciale “Nuove forme di continuità“, potranno subire variazioni produttive, su aspetti come l’utilizzo del legno e la macerazione.

MURATORI SETTICLAVIO E MANTOROSSO: UN PROGETTO SPERIMENTALE

Ma la novità sostanziale – quella che potrebbe costituire il vero salto di qualità se non del rosso, almeno del bianco – è il recente impianto di un vigneto di Chardonnay con clone della Borgogna, specifico per vini fermi. Una volta in produzione, le uve di Muratori Setticlavio non saranno più – o saranno solo in parte – quelle dello “Chardonnay da Franciacorta” attuale, ricavate dall’unità vocazionale numero 4 del parco vigneti dell’azienda di Adro (suoli morenici profondi). Diversa la sorte del Pinot Nero Muratori Mantorosso, per il quale non è previsto il medesimo “upgrade”. A meno di stravolgimenti, il vino continuerà ad essere prodotto dagli stessi ceppi adottati per la produzione dei Franciacorta Muratori. Ovvero dall’unità vocazionale 5 dei “colluvi gradonati”, con suoli argillosi, profondi e poveri di sedimenti.

Del resto, in Franciacorta la cantina gestisce 52 ettari di proprietà, con una capacità produttiva di mezzo milione di bottiglie (circa 350 mila quelle commercializzate in media all’anno, di cui 200 mila della tipologia Brut). «Fino a prima dell’arrivo di Riccardo Cotarella – ha spiegato Michela Muratori, terza generazione della cantina bresciana – l’unico ad aver pensato a un vino fermo in azienda era stato il nonno, fondatore della cantina. Il suo desiderio di produrre un vino rosso non è mai stato esaudito. Oggi sarebbe fiero di questa scelta, che si inserisce nel progetto che abbiamo voluto chiamare “Nuove forme di continuità”».

MURATORI SETTICLAVIO CHARDONNAY 2023: 92/100

13,5% vol. Giallo tendente al dorato. Bella aromaticità, tipica dell’espressione più piena del vitigno, al primo naso: frutta a polpa gialla più che bianca e agrume si mescolano con sbuffi di vaniglia e spezie orientali. Corrispondenza naso-bocca perfetta. Ingresso sul frutto giallo, prima di un netto viraggio del centro bocca e dell’allungo sull’agrume e sulla freschezza, che esalta ancor più le venature sapide. Legno che si conferma magistralmente “dosato”. Ottima la persistenza di Muratori Setticlavio, che convince anche per la chiusura di sipario giustamente asciutta, in grado di chiamare il sorso successivo. Vino di gran precisione tecnica, con la varietà al centro di ogni fase dell’assaggio.

MURATORI MANTOROSSO PINOT NERO 2022: 89/100

13,5% vol. Di un bel rubino luminoso, penetrabile alla vista. Naso tipico del vitigno, con prevalenza dei piccoli frutti rossi sui neri (fragolina, lampone). Non manca una speziatura che si fa sempre più marcata, con lo scaldarsi del nettare nel calice, così come i ricordi di burro salato. Anche in questo caso buona corrispondenza gusto olfattiva, ma col frutto che pare più maturo al palato che al naso. Chiude fruttato, su tinte vagamente mielate che non attenuano, al momento, un alcol respirabile. Un vino, secondo Riccardo Cotarella, che ha «potenzialità enormi di evoluzione» e che «esprime la Franciacorta».


Muratori Franciacorta
Via Valli, 31
25030 Adro (Brescia)
Tel. 030 745 1051
Email accoglienza@muratoriwine.it

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Campi Flegrei, 30 anni Dop e formazione: arrivano i corsi Wset


La celebrazione dei 30 anni della Dop Campi Flegrei e l’annuncio del primo polo didattico dedicato al vino in Campania: due momenti chiave per la valorizzazione del patrimonio enologico e culturale dei Campi Flegrei. Eventi e iniziative che consolidano l’importanza di questo territorio come centro nevralgico per il vino e l’enoturismo in Campania. Con uno sguardo al futuro, tra formazione e innovazione.

I 30 ANNI DELLA DOP CAMPI FLEGREI A BACOLI

Il 23 novembre 2024, la Sala Ostrichina del Parco Vanvitelliano del Fusaro a Bacoli (Napoli) ospiterà il convegno “Dalla viticoltura eroica alla città del vino”. Un evento organizzato dal Consorzio di Tutela dei Vini dei Campi Flegrei e Ischia. L’appuntamento celebra i trent’anni del riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (Dop) per i vini dei Campi Flegrei, evidenziando il ruolo fondamentale di Bacoli, recentemente entrata a far parte dell’Associazione Nazionale Città del Vino.

Un passo definito dal presidente del Consorzio, Michele Farro, come «un traguardo che valorizza il patrimonio vinicolo e culturale del territorio, rafforzandone la visibilità a livello nazionale e internazionale». Tra i relatori figurano personalità di spicco del mondo accademico, istituzionale e dell’agricoltura. Daniele Marrama, docente dell’Università Federico II di Napoli, sottolinea come l’adesione di Bacoli all’Associazione nazionale Città del Vino rappresenti un’opportunità per lo sviluppo di un turismo sostenibile, capace di integrare vino, tradizioni e ospitalità. La giornata si concluderà con una degustazione guidata dei vini del Consorzio, abbinata alle eccellenze gastronomiche locali curate dallo chef Michele Grande del ristorante La Bifora.

INNOVAZIONE E FORMAZIONE IN CAMPANIA CON CANTINE ASTRONI

Oltre alle celebrazioni per i 30 anni della Dop, i Campi Flegrei si preparano a ospitare il primo polo didattico del vino in Campania. Cantine Astroni ospiterà infatti i corsi del prestigioso Wset (Wine & Spirit Education Trust), con livelli 2 e 3 dedicati alla conoscenza approfondita dei vini e delle tecniche di degustazione. Un’iniziativa che dimostra il dinamismo dei Campi Flegrei, territorio che non si limita a custodire la tradizione vitivinicola locale, ma si proietta verso il futuro. Con il trentennale della Dop e l’avvio di un polo didattico unico in Campania, l’area si conferma punto di riferimento per il mondo del vino e per l’enoturismo in Campania.

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Valpolicella, percorso ad ostacoli per la sottozona Valle di Mezzane


Fare della Valle di Mezzane una sottozona della Valpolicella. È l’obiettivo di 13 cantine veronesi che si riconoscono sotto al nome di Vignaioli Valle di Mezzane. Tutte aziende di filiera, che producono da poche migliaia di bottiglie a un massimo di 140 mila, nell’omonima vallata ad Est di Verona compresa tra Vago di LavagnoMezzane di Sotto. Un percorso, il loro, ricco di ostacoli. Più di tipo “politico” che normativo. A complicare i giochi – non solo ai produttori della “Valpolicella Orientale” ma, più in generale, in vista del possibile riconoscimento della sottozona ad altre vallate della Valpolicella – sono i “diritti acquisiti” dai produttori della Valpantena, unica sottozona ufficiale della denominazione, istituita in simultanea con la Doc Valpolicella. Nel 1968.

Sin da allora, i produttori della Valpantena rivendicano in etichetta la sottozona basandosi sul medesimo disciplinare della Valpolicella. Il Consorzio presieduto da Christian Marchesini vorrebbe invece introdurre limitazioni di carattere produttivo (come rese inferiori e un periodo più lungo di affinamento per l’Amarone) nel disciplinare delle nuove sottozone. Per fare ciò, anche la Valpantena dovrebbe accettare regole più rigide. «Le sottozone – spiega Marchesini a winemag.it – hanno solitamente valori più restrittivi rispetto alle Doc. Per le vallate immaginiamo per esempio un periodo più lungo di affinamento dell’Amarone e rese in vigneto inferiori. Nel 1968 si decise di consentire alla Valpantena di utilizzare lo stesso disciplinare della Doc. E ad oggi, in maniera del tutto lecita, la decina di cantine della sottozona Valpantena produce i propri vini con le stesse regole, rivendicando la sottozona in etichetta».

SOTTOZONE VALPOLICELLA: POSSIBILE IL PASSO INDIETRO DELLA VALPANTENA?

Un passo indietro è possibile? «Una volta stilato un piano chiaro delle nuove sottozone – commenta ancora Marchesini – i produttori della Valpantena saranno chiamati ad accettare un disciplinare più restrittivo, in modo da uniformarsi alle regole delle altre vallate. L’auspicio è che si ragioni in termini di interesse generale. Nel 1968 io non c’ero, ma oggi la vedo come una cosa fattibile. Il percorso, però, sarà molto lungo». Non se ne parla ad alta voce. Ma, oltre alle possibili “resistenze” della Valpantena, potrebbero esserci quelle della Valpolicella Classica. Secondo indiscrezioni, alcuni produttori della zona “storica” non vedrebbero di buon grado l’istituzione di nuove sottozone, che darebbero luce (aka opportunità di mercato) ad altri areali. Segmentando ulteriormente l’offerta di etichette destinate ai mercati più attenti e a una clientela più matura.

Non solo. Con l’istituzione di nuove sottozone, potrebbero anche variare gli equilibri legati ai valori dei terreni. Ad oggi, pur con differenze tra collina e fondovalle, acquistare un terreno in Valle di Mezzane costa circa il 20% in meno rispetto alla Valpolicella Classica. Si parla di 4-500 mila euro contro i 6-700 mila euro di media. La maggior parte dei vigneti della vallata che si candida a diventare la seconda sottozona della Valpolicella è ad oggi in mano alle cooperative, dunque ai loro soci. Ma risulta che anche grandi brand come Quintarelli, Tedeschi e Allegrini raccolgano uve nella cosiddetta “Valpolicella Orientale” (definizione, questa, non particolarmente gradita ad alcuni produttori dell’areale).

Una zona, dunque, già nel mirino di grandi nomi, soprattutto per le specificità dei suoli (di matrice calcarea e addirittura vulcanica) di questa fetta della denominazione. Un aspetto sul quale puntano molto le 13 cantine del gruppo Vignaioli Valle di Mezzane (Benini Alessandro, Marinella Camerani, Falezze di Luca Anselmi, Grotta del Ninfeo, I Tamasotti, Il Monte Caro, Ilatium Morini, Le Guaite di Noemi, Talestri, Massimago, Carlo Alberto Negri, Roccolo Grassi e Giovanni Ruffo) che hanno messo a punto una Carta dei Suoli. A realizzarla, il noto pedologo Giuseppe Benciolini. Un progetto meticoloso, avviato nel 2023, che ha comportato sino a 30 carotaggi per ogni singola aziende. Campionature utili a identificare il profilo pedologico della vallata, attraverso il mosaico di specificità delle singole parcelle aziendali.

SARTORI: «LA VALPOLICELLA COME LA BORGOGNA, TRA 10, 50 O 100 ANNI»

«L’opportunità del riconoscimento della sottozona alla Valle di Mezzane – evidenzia uno dei portavoce dei Vignaioli Valle di Mezzane, Marco Sartori di Roccolo Grassi – è concreta. Il nostro gruppo si è raccolto sin dal 2022 attorno alla necessità di raccontare meglio l’intimità della nostra vallata, in cui si intersecano le denominazioni Valpolicella e Soave, “nero su bianco”. Soave e Bardolino, come altre denominazioni italiane, hanno già portato a compimento il lavoro su sottozone e Uga. I francesi, in questo campo, sono maestri, con una catalogazione molto rigida dei loro “cru”».

«Siamo convinti – aggiunge Sartori – che questa sia la strada anche per la sottozona Valle di Mezzane. Un modo per cominciare a mettere sul tavolo delle pedine utili a un pubblico più sofisticato di quello che cerca genericamente vini della Valpolicella. Ovvero quei professionisti del settore che, in 10, 50 o 100 anni sapranno riconoscere i vini della Valle di Mezzane fra quelli della Valpolicella. Così come oggi sa distinguere, tra loro, i Grand Cru di Borgogna. Senza nulla togliere ai grossi produttori, di cui tutti noi abbiamo un grande bisogno, le sottozone costituirebbero un elemento utilissimo soprattutto per i piccoli produttori. Cantine come le nostre vogliono mettere in bottiglia l’intimità di ogni singola parcella». Buone intenzioni che necessitano tempo. Ancor più, di cesellatura politica.

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Zenato smentisce Il Sole 24 Ore: «La cantina non è in vendita»


Zenato non è in vendita
. La cantina di Peschiera del Garda (Verona) smentisce le voci pubblicate da Il Sole 24 Ore. «Con riferimento alle notizie riportate sul quotidiano Il Sole 24 Ore del 19 ottobre 2024, ripreso da altre testate giornalistiche di settore – scrive 
Nadia Zenato, presidente del Consiglio di amministrazione di Zenato azienda vitivinicola Srl – smentisco categoricamente ogni ipotesi di cessione dell’azienda vitivinicola Zenato. I richiamati incontri sottotraccia con possibili pretendenti sono congetture giornalistiche, destituite di ogni fondamento».

«Parimenti – aggiunge Nadia Zenato – non c’è nulla di vero nelle presunte richieste di informazioni da parte di terze società vinicole, richieste mai pervenute. Dall’altro canto, rilevo con orgoglio il sempre maggior entusiasmo e il vigore con cui la nostra azienda è continuamente impegnata nella promozione della cultura del vino e del nostro territorio, anche grazie all’ideazione e allo sviluppo di importanti progetti legati alla sostenibilità e all’arte nelle sue diverse declinazioni». In altre parole, non solo Zenato non è in vendita, ma sta continuando a investire nelle tenute, nei territori del Lugana, della Valpolicella e del Bardolino.

Zenato cantina Peschiera del Garda

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Riduzione accise birra: sì dalla Commissione Agricoltura

Intervenire in modo organico e non temporaneo sulla disciplina agevolativa delle accise dovute dai produttori di birra. È questa l’indicazione fornita dalla Commissione Agricoltura della Camera nel parere approvato in merito alla Legge di Bilancio 2025, in discussione a Montecitorio. Due in particolare gli interventi segnalati. In primis dal 1° gennaio 2025 ridurre stabilmente le accise sulla birra prodotta in Italia a 2,97 centesimi grado plato.

In secondo luogo prevedere una riduzione del 50% dell’aliquota di accisa, in luogo dell’attuale 40%, per i birrifici con produzione annua non superiore a 10 mila ettolitri, del 30% per i birrifici da 10 a 30 mila ettolitri e del 20% per chi produce dai 30 ai 60 mila ettolitri. Una posizione che raccoglie l’approvazione tanto di Unionbirrai quanto di Assobirra.

«Riteniamo davvero lodevole l’attenzione dedicata al comparto brassicolo – commenta Vittorio Ferraris, direttore generale Unionbirrai –. Il parere della Comagri Camera ribadisce una proposta che il settore porta avanti da tempo e che, ci auguriamo, possa divenire realtà dopo diversi tentativi in differenti provvedimenti».

«Siamo consci che adesso si entrerà nella fase più complicata della Legge di Bilancio – afferma il Presidente di AssoBirra, Alfredo Pratolongo –. I partiti di maggioranza, cui auspichiamo si aggiungano anche quelli di opposizione, con slancio hanno ribadito che profonderanno ogni sforzo per convincere il Governo a reperire le risorse necessarie (6,9 milioni di euro) per una riduzione delle accise, che servirebbe a far crescere e recuperare competitività all’industria birraria nazionale».

IL PESO DELLE ACCISE

L’aumento delle accise sulla birra ha avuto delle conseguenze sull’intera filiera. Ha colpito i produttori, già alle prese con costi sempre molto alti e ormai divenuti strutturali, e ridotto i margini degli esercenti. Pesa inoltre anche sul consumatore, perché l’accisa è gravata d’IVA e fa parte della costruzione del prezzo lungo tutta la catena del valore. In una birra alla spina circa 80 centesimi sono imputabili all’accisa mentre su una bottiglia da 0,66 l in offerta, il formato più venduto e popolare in Italia al supermercato, questa tassa incide per circa il 40% sul prezzo di vendita.

«Le dinamiche degli ultimi 18 mesi confermano che esiste una correlazione inversa tra l’aumento delle accise e l’andamento del mercato e in particolare la competitività della produzione nazionale – spiega Pratolongo –. Dopo il primo aumento del gennaio 2023 il comparto è entrato in contrazione, protratta dopo il secondo aumento nel gennaio 2024. Nel primo semestre del 2024 i dati riportano un aumento delle importazioni da Paesi europei con tassazione fino a 4 volte inferiore a quella italiana».

L’ITER DI LEGGE

La manovra di Bilancio è entrata nel vivo questa settimana con il ciclo di audizioni in Commissione Bilancio e con i pareri che saranno espressi dalle Commissioni permanenti. L’intenzione della maggioranza è di seguire un calendario serrato per arrivare all’approvazione in prima lettura entro la prima settimana di dicembre, infatti il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato all’11 novembre.

«Siamo consci della congiuntura economica e degli sforzi che il Paese intero deve compiere per riassettare i bilanci pubblici. Questi interventi, con un dispendio economico limitato, possono – aggiunge Ferraris – concretamente sostenere le piccole produzioni nazionali emergenti, proseguendo in un percorso iniziato negli anni scorsi. L’auspicio rimane quello di una disamina completa per revisionare le norme che regolano il comparto brassicolo nazionale in maniera organica».

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Hofstätter, 2024 da incorniciare: due nuovi cru e futuro luminoso con Niklas Foradori


Due nuovi vini da cru: il Pinot Nero 2022 Barthenau Vigna Herbsthöfl e il Gewürztraminer 2022 Vigna Castello Rechtenthal. Ma soprattutto una nuova certezza, che sa di futuro luminoso: il definitivo ingresso in azienda di Niklas Foradori, 27 anni, accanto al padre Martin, alla madre Beatrix e alla sorella Emma. Tenuta J. Hofstätter, una delle cantine più iconiche dell’Alto Adige, sta per chiudere un 2024 da incorniciare. Un anno che vede consacrato su larga scala, dal Consorzio vini regionale, un approccio produttivo che da sempre appartiene ad Hofstätter. Quello legato alla valorizzazione dell’espressione della singola vigna e della singola zona, in particolare per i vini prodotti con le varietà bandiera Pinot Nero e Gewürztraminer. La recente approvazione delle Unità geografiche aggiuntive (Uga) da parte dell’ente presieduto da Andreas Kofler va proprio nella direzione intrapresa dal compianto Paolo Foradori, padre di Martin. Sin dal 1987.

IL PINOT NERO 2022 BARTHENAU VIGNA HERBSTHÖFL

Si parla ancor prima di vigna, che di varietà, al cospetto dell’ultimo vino rosso di Tenuta J. Hofstätter. Con il Pinot Nero 2022 Barthenau Vigna Herbsthöfl, la cantina fa un ulteriore passo in avanti nella profilazione del vitigno, in chiave moderna. Anzi, un passo in alto. Le uve provengono esclusivamente dalla parte più alta della Tenuta Barthenau, chiamata appunto Vigna Herbsthöfl. Un appezzamento situato a un’altitudine compresa tra i 430 e i 460 metri sul livello del mare.

Pinot Nero d’élite, frutto di una selezione massale avviata oltre 20 anni fa, a partire dal materiale genetico di Vigna Roccolo: il più antico vigneto di “Noir” dell’Alto Adige, impiantato nel 1942 e allevato a pergola. Barthenau Vigna Herbsthöfl 2022 richiama, per finezza e stratificazione, proprio il Barthenau Vigna Roccolo. Ma la maggiore escursione termica e la presenza di ghiaia calcarea nella base argillosa del terreno rendono il sorso ancora più teso e slanciato. La precisione è millimetrica, dal naso alla succosa persistenza.

Vino fresco come una lama, sostenuto da una spina dorsale minerale, veste un rosso leggermente più scarico dei “fratelli” Barthenau Vigna Roccolo e Barthenau Vigna S. Urbano. Segnale visivo di una direzione chiara, che punta a confermare Mazon non solo come la culla del Pinot Nero altoatesino, ma anche come la sua casa perpetua. Capace di resistere anche alle sirene dei cambiamenti climatici. Un vino, il Barthenau Vigna Herbsthöfl di Hofstätter di sicura longevità.

GEWÜRZTRAMINER 2022 VIGNA CASTELLO RECHTENTHAL

Cambia la varietà ma non cambia l’approccio con il Gewürztraminer 2022 Vigna Castello Rechtenthal. Cru, vigna, selezione, precisione tornano ad essere parole chiave al cospetto di un bianco prodotto, in precedenza, solo nella versione passito (lo Spätlese “Joseph”) da una parte del medesimo appezzamento. Una novità che prende vita in un “cru estremo”, con pendenze del 60%, situato a monte del cosiddetto “Rio Inferno” di Termeno, con esposizione sud. Siamo a 400 metri sul livello del mare. Non così lontano dalla Vigna Kolbenhof, altro cru di Gewürztraminer di Tenuta J. Hofstätter.

Qui le uve maturano molto lentamente, caricandosi di precursori per via dell’escursione termica elevata tra il giorno e la notte e per la presenza di correnti ventose fredde, lungo l’infernale canalone. Tutti elementi che condizionano il risultato finale, in positivo. Non un cambio di rotta, quello di Hofstätter con il Gewürztraminer 2022 Vigna Castello Rechtenthal. Piuttosto, un vino in linea con il generale trend di snellimento della varietà tipica dell’Alto Adige. Che, qui, fa fiera mostra di una freschezza affilata, pur nel contesto di un sorso che non rinuncia a peso specifico e leggiadra concentrazione aromatica.

IL FUTURO NELLE MANI DI NIKLAS FORADORI: PINOT NERO E DEALCOLATI

Non ha “messo le mani” sui due nuovi vini da cru di famiglia. Ma che Niklas Foradori abbia la stoffa e la voglia di mettersi sulle spalle l’azienda, è chiaro sin dallo sguardo. Ventisette anni da compiere il prossimo 20 novembre e un curriculum che fa invidia a molti coetanei italiani, con vendemmie in Germania (Rheingau e Baden), Francia (Borgogna), Stati Uniti (Oregon) e Sudafrica, oltre che nel Chianti Classico. Due quelle “in casa”, nel 2021 e proprio nel 2024, anno della sua definitiva consacrazione a Termeno.

È dopo gli studi classici (come il nonno) che il figlio di Martin Foradori lega a doppio filo il suo futuro alla viticoltura e all’enologia, arrivando a laurearsi a Geisenheim. Due grandi passioni: il Pinot Nero e Die Roten, la squadra di calcio tedesca Bayern di Monaco. Con netta prevalenza del primo, viste le tappe internazionali scelte per farsi le ossa: quasi tutte patrie del Noir. Giovanissimo, ma già capace di indirizzare la Tenuta. «Se abbiamo iniziato con i vini dealcolati della linea Steinbock Alcohol Free Sparkling, la nostra innovativa bollicina senza alcol base Riesling, è solo grazie a lui», ammette Martin Foradori Hofstätter.

E le novità arrivano anche su questo fronte, con l’ormai prossimo lancio sul mercato di un nuovo spumante dealcolato, prodotto ancora una volta con uve Riesling, ma da una base Kabinett. Il basso contenuto alcolico del vino base e il residuo zuccherino della categoria (circa 45 g/l naturali), più alto rispetto a quello del già noto “Steinbock Selection Dr. Fischer” (39 g/l da mcr), regalano uno dei dealcolati più preziosi reperibili in Italia. Un segmento in crescita, al palo della burocrazia italiana, su cui giovani come Niklas Foradori scriveranno certamente capitoli interi. Senza scordare il Pinot Nero, of course.

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Champagne a nudo su zucchero, cru e vigneron: il manuale anti-enofighetto


«”Io bevo solo Pas Dosé“. “Io bevo solo Extra Brut“. “Se mi dai un Brut mi suicido!”. Quante volte, al giorno d’oggi, enotecari, ristoratori e sommelier si sentono dire frasi come queste dai loro clienti?». Pietro Palma, ambasciatore italiano dello Champagne 2018, ci ha messo poco più di 30 secondi a chiarire al pubblico perché, la sua, non sarebbe stata una lezione qualunque all’Académie du Champagne, lunedì 4 novembre all’Hotel Principe di Savoia di Milano. Pronti via. Ecco subito la prima bordata a quel mondo che sta a metà tra l’enofighetto e il salutista. A quella platea di superficiali puristi della liqueur e di ninja dello zucchero, a spade alterne.

Un intervento da standing ovation, quello di Palma, in linea con la strada della “normalizzazione” – anzi, per restare in tema, della “de-fighettizzazione” – che il Bureau du Champagne Italia presieduto da Domenico Avolio sembra aver intrapreso da qualche tempo. E che, prima dell’Acadédemie, ha avuto nello Champagne Day del 25 ottobre uno dei suoi momenti più clamorosi: la proposta di abbinamento di pregiati Champagne di diversi dosaggi con 8 formaggi italiani. Nulla di ricercatissimo: tutti prodotti caseari di facile reperimento, in supermercati e gastronomie.

Dalle fette di formaggio a quelle di mercato, il passo pare breve. Che questa “rivoluzione della comunicazione” – vero esempio da imitare da quella parte di Italia dei Consorzi del vino che ha ormai virato su Fashion e Lifestyle, lontana anni luce dal mondo reale, dalla crisi dei consumi e dall’inflazione – sia pensata per far riconquistare alla denominazione francese le quote perse nell’ultimo anno nel Bel Paese (-7% nel 2023)? Una missione che Pietro Palma – tra l’altro fresco autore del libro Il suono dello Champagne – potrebbe aiutare a compiere in scioltezza. A dirlo è il successo del suo intervento all’Académie.

DOSAGGIO DELLO CHAMPAGNE E ZUCCHERO: «UN TEMA SCOTTANTE»

«Il dosaggio – ha spiegato Palma – è diventato un tema scottante per lo Champagne. È quello su cui ci sono più preconcetti di tutti. Lo zucchero sembra diventato il nemico numero uno della società. Quindi, dire che uno spumante contenga 8 grammi litro è come ammettere di voler avvelenare le persone. Poi, magari, beviamo una bibita gassata da 300 grammi litro e non ci facciamo troppo caso». Orientarsi tra le categorie è semplice, attraverso la “scala dei dosaggi” della denominazione. Ma quanti Champagne ci sono, sul mercato, con un dosaggio superiore al Brut? «Solo il 3% – ha rivelato Palma – guardando gli scaffali delle enoteche e le carte dei ristoranti».

E qual è, invece, la percentuale di Champagne con dosaggi inferiori al Brut? «La stessa – ha chiarito l’ambasciatore – ovvero il 3%. Vale a dire che il 94% dello Champagne venduto nel mondo è Brut. Contiene, dunque da 0 a 12 grammi litro di zucchero, fascia in cui può essere dichiarato “Brut” in etichetta. Uno scaffale che ha il 50% di Extra Brut e Pas Dosé è una bolla rispetto alle percentuali globali. E potrebbe avere qualche problema. Se andate in Champagne, all’affermazione “Noi beviamo solo Pas Dosé“, qualche produttore potrebbe rispondere “Vous êtes fou”, che in fiorentino si traduce “Siete grulli” (“Siete matti”, ndr). Loro bevono Brut, tutta la vita».

Dalle parole ai fatti. Con una selezione di cinque Champagne serviti alla cieca (Champagne Perrier-Jouët Grand Brut, Champagne Pommery Apanage Brut, Champagne Brice Extra Brut GC Bouzy Blanc De Noirs, Champagne Palmer La Réserve Nature e Champagne Mailly Grand Cru Brut Reserve), Palma ha dimostrato come il dosaggio possa trarre in inganno anche i migliori palati. Traendo in inganno in caso di utilizzo di vini di riserva, lunghi affinamenti sui lieviti o scelte stilistiche legate alla fermentazione malolattica, svolta dal 70% degli Champagne in commercio.

«RISCHIO BORGOGNIZZAZIONE DELLA CHAMPAGNE»

Un’altra “deriva enofighetta” legata alla denominazione spumantistica d’Oltralpe, messa a nudo dall’ambassadeur du Champagne 2018 Pietro Palma durante l’Académie, è la “moda” delle etichette da “selezione di vigneto”. «L’argomento più scottante in Champagne, dopo il dosaggio – ha evidenziato – è il “single vineyard”, il parcellare, la ricerca a tutti costi di una produzione microscopica: 200 bottiglie di quello, 300 dell’altro… Dal punto di vista del produttore, può andare bene se si ha la forza di farlo. Ma se produci solo mille bottiglie complessive e ne togli 300 per fare il “parcellare”, forse le altre 700 venderanno un po’ meno. Se elimini il filetto, non è detto che quello che resta sia vendibile come il taglio intero».

Tra gli ultimi a presentare etichette “da cru”, proprio in Italia, sono stati non a caso Jacquart (Mono Cru Ay) e Alexandre Bonnet (Hardy e Les Vignes Blanches): non certo due micro maison. Dal canto suo, Pietro Palma ha un termine preciso per definire questa tendenza: «Siamo al cospetto di una “Borgognizzazione della Champagne” che va, in realtà, contro alla storia e alla tradizione della Champagne stessa, che è quella dell’assemblaggio. Un po’ come succede, e lo dico da toscano, a Montalcino, al Chianti Classico: sono terre dove il brand è sempre andato davanti al vitigno e alla singola vigna, quindi si va contro la loro storia e la loro tradizione cercando di fare una piccola Borgogna. Purtroppo una parte del mercato va in questa direzione. Si preferisce a volte bere 600 bottiglie medio-cattive di uno qualunque, ultimo arrivato, piuttosto che 3 milioni buonissime, di chi fa quel vino da 400 anni».

LA «VIGNERONIZZAZIONE» DELLE GRANDI MAISON

Ed è proprio sui numeri e sulla capacità produttiva che si è concentrata la terza ed ultima “bordata” di Pietro Palma agli enofighetti “bevitori di etichette”. «Récoltant-Vigneron e Maison – ha rimarcato – erano due entità separatissime. Il Vigneron possiede il 90% della terra e le Maison il 10%. Ma le Maison hanno il 70% del mercato e i Vigneron il 30%. Ognuno, quindi, ha bisogno dell’altro. Se fino a qualche anno fa il loro rapporto era commerciale, con i vigneron che vendevano le uve alle maison, dando loro la possibilità di portare avanti anche il loro brand, oggi c’è una contaminazione molto più profonda».

Le maison, spinte dal mercato, hanno cominciato a produrre Champagne parcellari e ad avere produzioni più limitate, territoriali. «Hanno iniziato, in qualche maniera, a vigneronizzarsi», per dirla con le parole di Pietro Palma. Mentre «i vigneron si sono aperti mondo, allargando lo sguardo, senza più essere come 30 anni fa, contadini murati in casa, intenti a produrre il loro Champagne». «Ora sanno che cosa sono diventati – ha aggiunto l’ambasciatore italiano della denominazione francese – girano il mondo. E usufruiscono della notorietà che le grandi maison hanno costruito, nonché del loro know-how. Le due categorie, piano piano, si avvicinano: non a livello numerico, ma mentale».

Ancora una volta cinque gli Champagne scelti per suffragare la tesi, ancora un volta serviti alla cieca: Champagne Rédempteur Couvée Nouvel R 2013, Champagne Collard Picard Racines Pinot Meunier Extra Brut, Champagne Laurent-Perrier Héritage, Champagne Lanson Black Reserve e Champagne Louis Roederer Collection 244.

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Masi Agricola, Fondazione Enpaia compra altre quote dei fratelli Boscaini


Masi Agricola
– società quotata su Euronext Growth Milan e tra i leader italiani nella produzione di vini premium in Italia – rende noto che Fondazione Enpaia ha rafforzato la propria presenza nel capitale sociale di Masi. Il consolidamento è avvenuto nel mese di ottobre 2024 e consiste nell’aumentando della partecipazione fino al 9,2%, mediante un acquisto di azioni dai Fratelli Boscaini, che restano in forte maggioranza con una quota complessiva dell’82,8%. L’azionariato relativo a quote di partecipazione almeno pari al 5% è ora così suddiviso.

Azionista significativo

N. di azioni detenute

Percentuale del capitale sociale

Sandro Boscaini

8.876.856

27,61%

Bruno Boscaini

8.876.856

27,61%

Mario Boscaini

8.876.856

27,61%

Fondazione Enpaia

2.962.755

9,22%

ENPAIA CRESCE IN MASI AGRICOLA

«La decisione di aumentare la quota di partecipazione nel capitale sociale di Masi – fa sapere Enpaia – conferma la scelta della Fondazione di investire nell’economia reale per sostenere le aziende agricole che costituiscono l’ossatura della nostra Cassa di previdenza. Una scelta dettata dalla volontà di generare valore duraturo per i nostri iscritti e di contribuire allo sviluppo di aziende leader del settore dell’agroalimentare Made in Italy. In questo modo – aggiunge la Fondazione – Enpaia non solo tutela il valore del patrimonio dei propri iscritti, ma contribuisce anche alla crescita e allo sviluppo del sistema economico italiano».

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Dealcolazione: AssoDistil contro produttori di vino sulle accise dell’alcole residuo


L’Associazione Nazionale Industriali Distillatori di Alcoli ed Acquaviti (AssoDistil) ha sollevato il proprio dissenso riguardo alla recente richiesta di alcune associazioni vitivinicole italiane, che premono affinché l’alcole residuo derivato dalla dealcolazione del vino venga classificato come rifiuto, escludendolo così dagli oneri fiscali legati alle accise. In una lettera indirizzata ai ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Francesco Lollobrigida (Agricoltura) e Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente), AssoDistil espone le criticità economiche, fiscali e ambientali che tale decisione potrebbe comportare.

Secondo AssoDistil, l’alcole residuo dalla dealcolazione del vino non può essere considerato un semplice “scarto”. Con una concentrazione alcolica che può superare il 95%, questo sottoprodotto rientra nella definizione di alcole prevista dalle normative vigenti. «Il rispetto della legalità è alla base delle nostre valutazioni», sottolinea Antonio Emaldi, presidente di AssoDistil. «L’accisa sull’alcole etilico si applica al momento della sua fabbricazione e incide per oltre 10 euro al litro.

L’ALTERNATIVA ASSODISTIL: IMPIEGO DEL BIOETANOLO

Escludere i produttori di vino dealcolato dal pagamento delle accise aprirebbe la porta a potenziali frodi fiscali di portata rilevante», avverte Emaldi. AssoDistil sostiene che tutti i produttori di alcole etilico, anche se in maniera subordinata, debbano essere sottoposti alla stessa normativa, per evitare disparità di trattamento e garantire equità fiscale.

Sul fronte ambientale, AssoDistil avanza una proposta sostenibile: destinare l’alcole residuo derivato dalla dealcolazione alla produzione di bioetanolo per carburanti. Tale scelta, osserva l’associazione, contribuirebbe a soddisfare la domanda di bioetanolo, attualmente insufficiente per rispondere agli obiettivi previsti dalla normativa europea entro il 2030. «L’utilizzo dell’alcole come bioetanolo», continua Emaldi, «si allinea perfettamente agli obiettivi di economia circolare e valorizzazione energetica dei materiali di scarto, promossi sia dall’Italia sia dall’Unione Europea».

LA DECISIONE IN MANO AL GOVERNO

Questa soluzione permetterebbe inoltre ai produttori di ottenere un ricavo dalla vendita dell’alcole, evitando l’imposizione di un costo per il suo smaltimento qualora venisse considerato rifiuto. Per AssoDistil, classificare l’alcole residuo come rifiuto rappresenterebbe non solo uno svantaggio economico, ma anche una scelta in contrasto con i principi di sostenibilità e circolarità che orientano le politiche ambientali attuali.

La lettera di AssoDistil accende i riflettori su un tema di forte impatto per il settore vitivinicolo e distillatorio. La palla passa ora ai Ministeri competenti, chiamati a valutare con attenzione le implicazioni di una misura che, se approvata, potrebbe cambiare radicalmente il trattamento fiscale e ambientale dell’alcole residuo dalla dealcolazione del vino in Italia. Negli scorsi mesi, AssoDistil aveva invece espresso la propria preoccupazione per l’importazione di etanolo dal Pakistan.

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Quiliano celebra “Granaccia & Rossi di Liguria” 2024


A Quiliano torna la rassegna dedicata ai grandi rossi e rosati liguri, “Granaccia & Rossi di Liguria“. L’evento, giunto alla sua 19ª edizione, è in programma il 17 novembre 2024 a
l Palasport del comune della provincia di Savona. Saranno presenti oltre 50 cantine provenienti da tutta la regione. Oltre alle degustazioni libere, la manifestazione prevede una Masterclass esclusiva intitolata “Rossi di Liguria: mediterranei, eroici, rari e di grandi potenzialità”, condotta da alcuni esperti del settore. Un modo per approfondire il posizionamento dei vini liguri nel panorama nazionale, mettendo in luce le qualità uniche dei rossi locali.

L’organizzazione, a cura della rete di imprese Vite in Riviera e del Comune di Quiliano, mira a valorizzare i rossi liguri e a promuovere il territorio attraverso il vino. «Granaccia & Rossi di Liguria 2024 – commenta Massimo Enrico, presidente di Vite in Riviera – vede nuovamente Quiliano come ambasciatrice delle nostre eccellenze, grazie alla presenza dei produttori e di importanti figure del settore. L’obiettivo è puntare sull’alta qualità dei prodotti, raccontando il territorio attraverso i suoi vini».

LA GRANACCIA IN PROVINCIA DI SAVONA

La manifestazione non si limita al solo giorno dell’evento. A partire dal 15 novembre, infatti, saranno organizzate iniziative collaterali che coinvolgeranno l’intera comunità locale, tra cui una visita guidata a Villa Maria, un concerto di musica celtica e aperitivi a tema presso vari bar locali il 16 novembre. Inoltre, i ristoranti della provincia di Savona e di altre zone della Liguria proporranno, per tutto il mese, piatti e menù speciali in abbinamento al vitigno Granaccia, noto a livello nazionale anche come Cannonau, Alicante o Tai Rosso, a seconda della regione.

INGRESSO E INFORMAZIONI

Per accedere ai banchi di degustazione il costo è di 25 euro, comprensivo di calice e tasca. Sono previste riduzioni per alcune categorie di professionisti, come sommelier e ristoratori, previa registrazione. Informazioni dettagliate sull’evento sono disponibili sul sito ufficiale di Vite in Riviera, viteinriviera.it.

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L’Enoteca online Esselunga è conveniente?


L’Enoteca online di Esselunga è conveniente? Per rispondere a questa domanda abbiamo messo a confronto alcuni prezzi dell’e-commerce di vino e distillati dell’insegna di Limito di Pioltello (Milano) con quelli di altri competitor del settore, come Tannico, Callmewine e Bernabei. Non hai mai sentito parlare dell’Enoteca Esselunga? Ecco tutto quello che devi sapere, alla vigilia del primo anno dall’attivazione del sito web dedicato. Il sito è infatti online dal 14 novembre 2023, con oltre 1.000 referenze tra cui scegliere.

COS’È L’ENOTECA ONLINE ESSELUNGA

L’Enoteca Esselunga è un servizio esclusivo per l’acquisto online di vini, spirits e liquori. Permette di scegliere tra centinaia di etichette con consegna dedicata. Il servizio è rivolto ai soli utenti maggiorenni, titolari di Carta Fìdaty, ovvero della carta fedeltà Esselunga. Online, come spiega l’insegna milanese, si trova una selezione «frutto di un meticoloso lavoro realizzato in collaborazione con oltre 350 aziende produttrici». L’enoteca online Esselunga è stata sviluppata nell’intento di «uscire dai confini del negozio fisico per entrare in una dimensione più ampia, quella del negozio virtuale, con la consueta attenzione per la qualità e accuratezza nella proposta che caratterizzano Esselunga. Un valore aggiunto per i clienti finali e una vetrina per le aziende produttrici».

ENOTECA ESSELUNGA E SPESA ONLINE IN UNA SOLA CONSEGNA

Al di là del prezzo e della convenienza dei prezzi dell’Enoteca online Esselunga, il vero valore aggiunto è la possibilità di ricevere a casa la spesa di beni alimentari e generici insieme ai vini dell’e-commerce. «Chi sceglie lo stesso giorno e la stessa fascia oraria di consegna dell’ordine effettuato su spesaonline.esselunga.it – spiega l’insegna – potrà dunque ricevere gratuitamente la consegna degli articoli acquistati sul sito enoteca.esselunga.it insieme alla spesa». In questo caso non sarà richiesta una soglia minima di acquisto.

Ed è proprio da servizio di consegna a domicilio “Esselunga a Casa” che è nata l’idea di implementare l’offerta con la sezione “Grandi Vini”. «Da questo percorso – spiega Esselunga – si è delineata l’idea di raggiungere tutta Italia, portando a casa dei clienti etichette esclusive di vini e spirits attraverso un viaggio che parte da un magazzino a temperatura controllata, dove viene conservata ogni bottiglia proveniente direttamente dai produttori. Una filiera corta che permette di consegnare ovunque in modo veloce e garantito: è nata così Enoteca Esselunga».

CONSEGNA A CASA IN (QUASI) TUTTA ITALIA

La consegna con il furgoncino Esselunga è prevista solo nelle zone già raggiunte dal servizio online. La consegna con corriere è invece attiva su tutto il territorio nazionale, ad esclusione di: Livigno (SO), Campione d’Italia (CO), Repubblica di San Marino e Stato del Vaticano. Un altro segnale dei grandi passi avanti fatti sul fronte del vino da Esselunga dalla fine degli anni 90, quando presso il negozio di Casalecchio di Reno (Bologna) fu inaugurata una nuova modalità espositiva. Un’area dedicata in cui le bottiglie venivano posizionate non solo in verticale ma anche inclinate. Oggi, negli ottantotto superstore Esselunga e negli otto caveau del format laEsse, l’enoteca ha una sua forte identità caratterizzata anche dalla presenza di un sommelier a disposizione della clientela.

COSTI DI CONSEGNA ENOTECA ESSELUNGA

Il limite minimo per l’inoltro dell’ordine è di 40 euro, al netto delle spese di consegna. Il contributo di spedizione è gratuito per i nuovi registrati, che inoltrano il primo ordine. I costi ordinari di spedizione con il furgoncino Esselunga sono pari a 7,90 euro per acquisti inferiori a 110,00 euro. La cifra scende a 6,90 euro per acquisti superiori a tale importo. Per la consegna tramite corriere è invece previsto un costo di 7,90 euro. Si può usufruire della consegna gratuita degli articoli Enoteca Esselunga senza la soglia minima di spesa qualora l’ordine sia effettuato successivamente alla spesa con il servizio Esselunga Online, scegliendo lo stesso giorno e fascia oraria di consegna.

PREZZI ENOTECA ONLINE ESSELUNGA: SONO CONVENIENTI?

Ma torniamo al nocciolo della questione: i prezzi dei vini dell’Enoteca online Esselunga sono davvero convenienti? A giudicare dalla nostra ricerca, il nuovo servizio è molto competitivo, in numerosi casi, considerando soprattutto la possibilità di sommare la spesa “generica” alla spesa “enoica”. Con o senza costi di spedizione dei competitor, ecco cosa abbiamo scoperto su una selezione di 30 vini, scelti online in due categorie: “Vini da 245 a 20 euro” e “Vini più economici”. La vera differenza, dunque, è la selezione: molto più profonda sugli storici siti di vendita di vino online e, dunque, molto più accattivante per chi cerca vini particolari e “chicche” sui portali e-commerce .

VINI DA 245 A 20 EURO

  • Dom Perignon 2015, Champagne Brut Vintage (con astuccio): 245 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 212 euro (senza costi di spedizione) – 230 euro (inclusi i costi di spedizione).
  • Perrier-Jouët, Champagne Blanc de Blancs (con astuccio): 89 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 92 euro (con/senza costi di spedizione).
  • Ferghettina, Franciacorta Brut 2020 Milledì Magnum (con astuccio): 65 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 64,90 euro (con/senza costi di spedizione).

  • Pol Roger, Champagne Brut Reserve S.A. con astuccio: 54 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 61 euro (senza costi di spedizione) – 65,90 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Louis Latour, Bourgogne Cuvée Rouge 2021: 31 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 27,60 euro (senza costi di spedizione) – 34,59 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Rainoldi, Valtellina Superiore Inferno Riserva 2019: 29,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 30,90 euro (senza costi di spedizione) – 37,70 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Cà Maiol, Lugana 2020 Fabio Contato: 29 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 25,12 euro (senza costi di spedizione) – 33 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Saint Clair, Pinot Nero 2022: 28 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 28,50 euro (senza costi di spedizione) – 34,40 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Tormaresca, Furia di Calafuria 2023: 24 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 21,60 euro (con/senza costi di spedizione).

  • Carpineto, Toscana Cabernet Sauvignon Farnito 2019: 23,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 23 euro (senza costi di spedizione) – 30,95 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Schiopetto, Friulano 2021: 21,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 19,70 euro (senza costi di spedizione) – 27,60 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Pieropan, Valpolicella Classico 2021 Ruberpan: 21,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 22,90 euro (senza costi di spedizione) – 28 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Abbazia di Novacella, Gewürztraminer 2022 Praepositus: 21,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 19,90 euro (senza costi di spedizione) – 25 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Vigneti Massa, Derthona 2022: 20 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 19,30 euro (senza costi di spedizione) – 25,20 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Fritz Haag, Riesling Mosel QbA Kabinett Brauneberger Juffer 2022: 19,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 21 euro (senza costi di spedizione) – 28,95 euro (inclusi i costi di spedizione).

VINI PIÙ ECONOMICI

  • Casale del Giglio 2023 Satrico: 8,20 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 8,20 (senza costi di spedizione) – 13,10 (inclusi i costi di spedizione).

  • Bisol 1542, Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Jeio S.A.: 9,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 9 euro (senza costi di spedizione) – 14,90 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Cavicchioli, Lambrusco di Sorbara 2022 Vigna del Cristo: 9,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 9,90 euro (senza costi di spedizione) – 14,90 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Vespa, Fiano Salento 2023: 10,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 10,40 euro (senza costi di spedizione) – 17,20 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Duca di Salaparuta, Vermentino Sentiero del Vento: 12,80 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 9,50 euro (senza costi di spedizione) – 16,30 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Bortolomiol, Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Senior 2023: 11,40 (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 9,11 euro (senza costi di spedizione) – 16,90 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Frescobaldi, Alìe 2023: 11,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 9,90 euro (senza costi di spedizione) – 15,80 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Olivini, Lugana 2023: 11,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 12,50 euro (senza costi di spedizione) – 19,30 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Argiolas, Cannonau Arjola 2023: 12,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 15 euro (senza costi di spedizione) – 22,95 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Pievalta, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Dominè 2021: 13,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 13,50 euro (senza costi di spedizione) – 20,30 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Feudi di San Gregorio, Greco di Tufo Riserva Cutizzi 2022: 14,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 12,18 euro (senza costi di spedizione) – 19,10 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • La Valentina, Trebbiano Superiore Spelt 2021: 15,50 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 12,90 euro (senza costi di spedizione) – 18,70 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Feudi del Pisciotto, Cerasuolo di Vittoria 2021 : 16,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 17 euro (senza costi di spedizione) – 24,95 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Cantina Altemasi, Trentodoc Brut 2020: 16,90 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 16,90 euro (senza costi di spedizione) – 23,80 euro (inclusi i costi di spedizione).

  • Lunae, Colli di Luni Vermentino Etichetta Nera 2023: 17 euro (Esselunga). Prezzo più basso su altri e-commerce di vino: 15 euro (senza costi di spedizione) – 20,10 euro (inclusi i costi di spedizione).

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Vini rossi di lusso made in Italy in crescita negli Usa

Mentre il mercato dei vini rossi negli Stati Uniti mostra segnali di declino, c’è un segmento che va in controtendenza: i vini di lusso italiani. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly sui dati SipSource di agosto, le etichette di fine wine italiani rossi, dal prezzo di distribuzione superiore ai 50 dollari hanno registrato una crescita del 3% in valore tra gennaio e agosto. Il tutto nell’ambito di una performance negativa del segmento luxury globale (-7%), con i vini francesi a -16% e quelli americani in linea con la media di mercato. I dati sono stati presentati durante Vinitaly.USA a Chicago, il 20-21 ottobre.

Questo sorprendente posizionamento dei rossi di alta gamma made in Italy, pur rappresentando una piccola fetta del 2% in termini di volume delle vendite di rossi italiani negli Stati Uniti, costituisce ben il 14% del valore complessivo di questi vini. La quota sale al 23% se si considerano anche i rossi super-premium, con un prezzo compreso tra i 24 e i 50 dollari, a fronte di una quota di volume del 6%.

FRESCOBALDI, USA: TURISMO E BRAND SPINGONO I VINI ROSSI ITALIANI

Secondo Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), intervenuto a Chicago, il successo dei rossi italiani di lusso negli Usa si basa su due pilastri: la riconoscibilità dei brand territoriali italiani, ormai iconici per gli appassionati americani, e l’esperienza del turista americano in Italia, che alimenta la fedeltà al vino italiano una volta rientrati in patria. Non è un caso che siano le etichette toscane a dominare il segmento, con una quota del 45,5% del mercato dei rossi luxury made in Italy negli Stati Uniti, in crescita del 13% nei primi otto mesi del 2023.

A guidare le preferenze degli appassionati statunitensi è il Brunello di Montalcino, che detiene una fetta del 32% del mercato dei rossi di lusso. Seguono a distanza Bolgheri (11,5%) e Chianti Classico (2%). Anche i vini piemontesi occupano una posizione di rilievo, con il Barolo al secondo posto con il 16%, mentre il Barbaresco, con il 4%, è appena fuori dal podio, subito dopo il Bolgheri Superiore (7%). Al contrario, regioni vinicole che in passato hanno dominato il segmento luxury, come Bordeaux (-37%), Borgogna (-12%) e Napa Valley (-24%), stanno affrontando un periodo di difficoltà.

I NUOVI TREND DEL VINO: L’INNOVAZIONE ARRIVA DAGLI USA

Oltre ai vini di lusso, emergono nuovi trend dal mercato statunitense, come evidenziato da Marzia Varvaglione, presidente di Agivi (Associazione dei giovani imprenditori vitivinicoli italiani), durante l’inaugurazione di Vinitaly.USA. Varvaglione ha sottolineato come fenomeni come i ready-to-drink e i vini low e no-alcohol stiano conquistando i consumatori globali.

«È importante non avere pregiudizi e non temere il nuovo che avanza. Come produttori italiani dobbiamo comprendere i trend emergenti e comunicare il vino in modo più inclusivo. Il nostro ruolo è identificare le nuove opportunità, specialmente nel mercato statunitense. Parlare di giovani è una responsabilità – ha concluso Varvaglione – perché saranno loro la prossima generazione di appassionati di vino; attenti alla qualità sia nel bicchiere che nel piatto».

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Champagne Alexandre Bonnet presenta Hardy e Les Vignes Blanches 2019

Due nuove Cuvée, entrambe blanc de noirs, entrambe figlie di singolo vigneto in una delle zone forse meno conosciute della Champagne. A presentarle è Domaine Alexandre Bonnet, nella veste del suo Presidente Arnaud Fabre e di Alessandro Sarzi Amadè, distributore per l’Italia. Siamo a Les Riceys, nella Côte de Bar, la sotto zona più a sud della Champagne praticamente al confine con la Borgogna.

Una zona soprannominata la “Champagne sauvage“, la Champagne selvaggia, lontana dal lusso dorato delle grandi Maison di Reims o Epernay. Un territorio decisamente più rurale, bucolico, privo di industrie e ricco di biodiversità. Tematiche a cui presta notevole attenzione Domaine Alexandre Bonnet attraverso progetti di agricoltura rigenerativa. Approccio ben oltre il concetto di “bio” e volto alla cura dei terreni e delle specie indigene, animali e vegetali, che lo popolano.

IL TERROIR DI LES RICEYS

Un comune, quello di Les Riceys, che nel corso dei secoli di storia francese ha cambiato la propria appartenenza amministrativa palleggiato fra le due grandi regioni vinicole: Borgogna e Champagne. Storia e tradizioni diverse che si riflettono ancora oggi nella realtà vitivinicola. Les Riceys è infatti l’unico comune della Champagne che nei suoi 844 ettari vitati racchiude ben 3 denominazioni (Champagne, Coteaux-Champenois e Rosé-des-Riceys).

Commistione territoriale-culturale che si evidenzia ancor più nel terroir. Il suolo di Les Riceys è calcareo Kimmeridgiano, come quello che caratterizza i vicini Grand Cru di Chablis. Suoli su cui però si coltiva in prevalenza Pinot Noir, come nella vicina Borgogna. Pinot Noir che però viene vinificato prevalentemente in bianco per la creazione delle basi spumante degli Champagne. Parliamo del territorio più collinare dell’intera Champagne con versanti che offrono esposizioni varie e sfaccettate nonché con le pendenze più ripide dell’intera denominazione.

“HARDY” 2019 E “LES VIGNES BLANCHES” 2019, LE NUOVE CUVÉE DI ALEXANDRE BONNET

Dai 50 ettari di Alexandre Bonnet, tutti di proprietà e condotti direttamente dal Domaine (quello che si dice un Récoltant Manipulant) secondo il proprio approccio rigenerativo, nascono oggi due nuovi Champagne parcellari, entrambi da sole uve Pinot Noir.

CHAMPAGNE HARDY BLANC DE NOIRS EXTRA BRUT 2019

Hardy, come “arduo”, “difficile” (“hard” direbbero gli anglofoni). Il nome di questa parcella racconta la difficoltà nella sua gestione e coltivazione. Esposta a nord ad un’altitudine di circa 320 m presenta suolo fossilifero combinazione di calcare e marne del Giurassico Kimmeridgiano. Terreni che donano complessità al Pinot Noir da selezione massale di Domaine Alexandre Bonnet.

Colore dorato e naso elegante e complesso. Note floreali di giglio e gelsomino ed una marcata nota di agrumi, scorza d’arancia e lime, unite a sentori di frutti rossi maturi, frutta gialla fresca ed erbacei. Al palato è elegante, vibrante, verticale. Molto fresco e sapido riempie il sorso regalando una balsamicità retro olfattiva non avvertita al naso. Uno Champagne che lascia un lungo ricordo di sé.

CHAMPAGNE “LES VIGNES BLANCHES” BLANC DE NOIRS EXTRA BRUT 2019

Les Vignes Blanche deve il proprio nome non ai suoli “bianchi”, bensì al fatto che in passato la parcella era dedicata alla coltivazione di vitigni a bacca bianca. Oggi questa contrée, esposta ad est ad un’altitudine di 220 m, è il regno del Pinot Noir, sempre da selezione massale di Alexandre Bonnet.

Si presenta di un bel colore dorato con vaghi riflessi buccia di cipolla a ricordarci le sue origini da bacca rossa. Leggere note floreali che lasciano presto il posto a note di frutta gialla matura, frutta esotica fresca, un vago accenno di spezie e frutto rosso croccante. In bocca è potente e scalpitante senza perdere di nobiltà. Di gran corpo e con una spina dorsale minerale che sostiene il sorso e ne sottolinea la freschezza. Finale lungo.

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Pinot Grigio delle Venezie bocciato in Scienze: «Non può essere resistente»


In un futuro neppure troppo lontano, potrà avere un tenore alcolico più basso. Potrà quindi ridurre ulteriormente i già moderati livelli di calorie. Ma, al momento, il Pinot Grigio delle Venezie non può diventare “resistente”, con l’intervento dell’uomo. A chiarirlo è Michele Morgante, professore ordinario di Genetica all’Università di Udine e direttore scientifico dell’Istituto di Genomica Applicata, tra i relatori del convegno che ha riunito gli stakeholder della prima denominazione italiana per estensione (27 mila ettari tra Veneto, Fvg e Trentino) nella città capoluogo del Friuli Venezia Giulia, sabato 26 maggio, su invito del Consorzio guidato da Albino Armani. «
Il Pinot Grigio resistente? Mission impossible – ha tagliato corto Morgante – perché, in un certo senso, è un unicum. È un mosaico genetico, con alcuni strati cellulari originari del Pinot Nero e altri mutati al punto da impedire la produzione di antociani (ovvero delle sostanze coloranti, ndr)».

«PINOT GRIGIO RESISTENTE? MISSION IMPOSSIBLE»

Il professor Morgante ha offerto al pubblico un’accurata spiegazione. «Nella pianta ci sono tre strati cellulari: L1, L2 e L3. L1 dà origine all’epidermide, L2 alla sub-epidermide. L3 alle parti vascolari. Nel Pinot Grigio, L1 è rimasto quello del Pinot Nero: da qui il colore ramato della buccia. L2, che nel Pinot Nero è sempre meno e produce antociani, qui è mutato con uno strano riarrangiamento cromosomico, ed è diventato bianco. L2 è anche lo strato che dà origine a polline e alle cellule uovo. Una strada per un Pinot Grigio resistente potrebbe essere quella di produrlo per incrocio. Ma se lo incrociassimo otterremo una varietà bianca, non uguale al Pinot Bianco ma comunque a polpa bianca e non riusciremmo a ricreare questo particolare mosaico che è tipico del Pinot Grigio».

Non si può neppure procedere con le Tea, ovvero le Tecniche di Evoluzione Assistita. «Anche nel campo delle nuove tecnologie genomiche – ha spiegato sempre il professor Michele Morgante – c’è un passaggio in cui, alla fine, occorre riuscire a rigenerare l’intera pianta che contiene la mutazione da introdurre, da un’unica cellula. Una cellula che sono riuscito a riportare allo stato semi-staminale/embrionale, da cui riesco a generare un’intera pianta. Ma in un caso mi ridarà Pinot Nero e in un altro mi ridarà la varietà bianca, senza riprodurre il mosaico tipico del vitigno. Non escludo che in futuro saremo in grado di raffinare la tecnologia. Al momento, purtroppo, per il Pinot Grigio resistente non abbiamo una risposta».

IL PINOT GRIGIO, UN MOSAICO GENETICO IRREPLICABILE

In realtà, tutte le varietà di vite sono mosaici genetici ed è impossibile riportare l’interezza del patrimonio genetico, “tale e quale” in un “incrocio”. Ma la differenza con il Pinot Grigio è sostanziale. «Perché se per le altre varietà andiamo a perdere caratteristiche poco rilevanti ai fini commerciali ed enologici – precisa ancora il professor Morganti – nel caso del Pinot Grigio il mosaico è centrale e senza una delle sue caratteristiche di base perde la sua essenza». Passi avanti si potrebbero invece fare su altri fronti.

«La ricerca può fare molto in termini di sostenibilità, per ovviare ai cambiamenti climatici in viticoltura – ha evidenziato Morganti – soprattutto in assenza di barriere anacronistiche che, al posto di guardare al risultato, guardano al processo che porta al miglioramento genetico con tecniche innovative. Il cambiamento climatico, oltre a portare con sé la possibilità di nuovi patogeni e l’aggravarsi di quelli noti come la peronospora, è legato al tema delicatissimo del contenuto alcolico dei vini. In Francia questa è un’ossessione: il settore pare molto più terrorizzato che in Italia.

TEA AL PALO IN EUROPA, TRA OGM E NEGAZIONE DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

La scienza, oggi, potrebbe aiutare a modulare il metabolismo della vite. «Intervenendo su quello primario – ha chiarito Morganti – che porta alla produzione degli zuccheri e, dunque, dell’alcol; e agendo poi su quello secondario, che riguarda polifenoli, terpeni, eccetera. Il mondo della ricerca può fare molte cose, ma poi serve un corpus normativo razionale ed efficiente e l’accettazione da parte del consumatore. Nel 2021 abbiamo superato il problema dei Piwi che, sino ad allora, non potevano essere inclusi nelle Doc e ora la palla passa ai Consorzi. Sul fronte delle Tea in viticoltura il problema attuale è duplice».

«Bisogna in primis evitare che le varietà vengano assoggettate agli Ogm tradizionali – ha concluso il docente e referente dell’Istituto di Genomica Applicata di Udine – in quanto portarle sul mercato costerebbe dai 30 ai 50 milioni di euro, cifre impensabili per la vite. Infine, in Italia ci sono già in campo varietà Tea resistenti alla peronospora prodotte dall’Università di Verona, ma in base alla normativa attuale non possono essere soggette a protezione della proprietà intellettuale, nonostante abbiano un valore commerciale gigantesco. Perché? Perché sono cloni di Chardonnay. La normativa che regola le varietà vegetali in Europa, di competenza del CPVO, deve adeguarsi, altrimenti nessuno vorrà investire in questa direzione».

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Pinot Grigio delle Venezie: un “caterpillar” che può crescere ancora. Ecco come


Il Pinot Grigio delle Venezie “Tra nuovi modelli e sfide di mercato” è una denominazione in salute, che guarda al futuro con ottimismo, da diverse angolature; non senza qualche grattacapo da risolvere, per continuare a volare nell’export e crescere in Italia, anche grazie a nuove strategie da adottare in collaborazione con la grande distribuzione organizzata nazionale. È quanto emerge dall’omonimo convegno andato in scena in mattinata, al Castello di Udine. A fare gli onori di casa il presidente del Consorzio Tutela Vini Doc delle Venezie, Albino Armani, che per il secondo anno consecutivo ha raccolto gli stakeholder della prima denominazione italiana per estensione: 27 mila ettari di vigneto tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Trento.

Territori viticoli che producono l’85% del Pinot Grigio italiano. E il 43% di quello mondiale. Un caterpillar che può crescere ancora, adottando (forse) scelte “impopolari”. Il destino è nelle mani dell’ente di tutela costituito nel 2017, che assume un ruolo ancora più centrale a fronte della riforma del sistema delle Indicazioni geografiche, che rafforza il ruolo dei Consorzi.

«AGGREGATEVI»: L’INVITO DI RICCI CURBASTRO AL SISTEMA PINOT GRIGIO DELLE VENEZIE

Ed è proprio su questo fronte che è arrivato l’intervento più sferzante del convegno, da parte di Riccardo Ricci Curbastro. «Se analizziamo tutte le denominazioni del vino italiano – ha dichiarato il presidente di Efow, European Federation of Origin Wines – ci accorgiamo che alcune funzionano e altre no. Probabilmente funzionano meno quelle i cui produttori, nella stesura del disciplinare, non hanno voluto assumersi sufficienti responsabilità rispetto a un piano di produzione, di qualità e di promozione. Ogni tanto ci vuole il coraggio di fare quello che nessuno ha mai pensato di fare, come nel caso dell’operazione Glera-Prosecco, molto simile per dimensioni a quelle del Pinot Grigio delle Venezie. Ci vuole il coraggio, dei produttori da una parte e della politica dall’altra, per fare questo salto».

«ISTITUTO MARCHIGIANO VINI – IMT, UN ESEMPIO DA SEGUIRE»

Parole poi chiarite meglio da Ricci Curbastro: «Dobbiamo metterci in testa che dobbiamo fare massa critica. Il Pinot Grigio è un esempio, da questo punto di vista. Non è facile gestire Consorzi troppo piccoli. Anzi, oggi è diventato impossibile. Esempi di aggregazione come l’Imt, l’Istituto marchigiano Vini, sono purtroppo ancora troppo rari. Aggregarsi – è l’invito sussurrato dal presidente di Efow alle tante anime del Pinot Grigio – non significa rinunciare alla denominazione o alla propria identità […]. Fare fronte comune, o pensare di diventare una sottozona di una denominazione più ampia, preserva il legittimo desiderio di comparire in etichetta con il proprio “campanile”, aggregando compiti e facendo massa critica, nell’ambito di una denominazione più ampia». Un passo indietro per farne dieci avanti, consolidando ulteriormente una denominazione da 230 milioni di bottiglie, per il 95% destinate all’export. Frutto del lavoro di 6.141 viticoltori, 575 imprese di vinificazione e 371 aziende di imbottigliamento.

VERSO UN “PIANO MARSHALL DEL PINOT GRIGIO” TRA DOC E REGIONI

Il commento del presidente Albino Armani non si è fatto attendere. «Tra gli impegni che ci prendiamo per il futuro – ha dichiarato il numero uno dell’ente che ha sede operativa a Verona – c’è quello di continuare ad essere visionari. All’inizio sembrava pazzesco traslare un’Igt in una Doc, alla quale abbiamo addirittura assicurato il valore aggiunto della fascetta di stato, che certifica la filiera ed è molto apprezzato dai buyer internazionali. Arriveranno novità anche sul fronte della gradazione alcolica e delle calorie in etichetta».

«E siamo pronti a un piano di coordinamento tra Doc e Regioni – ha aggiunto Armani -. Una sorta di Piano Marshall del Pinot Grigio, a cui non si era mai pensato e grazie al quale saranno affrontati i temi nodali, senza toccare gli interessi di altre Doc. Un altro fronte di dialogo fondamentale sarà quello con la Gdo, coordinandoci con le insegne su promozione e comunicazione e rendendo il Consorzio un attore primario nel segmento. Tutte scelte che mostrano il nostro dinamismo, nell’ambito del mosaico culturale che sta alla base della nostra denominazione».

PINOT GRIGIO DELLE VENEZIE RE AL SUPERMERCATO

Un segmento, quello della Grande distribuzione italiana, dove il Pinot Grigio performa (già) bene, pur con numeri risicati rispetto al potenziale della Doc. Con il 30% delle quote, il “Delle Venezie” si conferma leader di mercato nei numeri snocciolati da Tiziana Sarnari di Ismea – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, seguito dalle Dop Friuli (23%, aggregate), Trentino (20%) e Alto Adige (11%). L’analisi delle performance del vitigno tra le corsie dei supermercati italiani rivela «forti incrementi» nei primi mesi 2024, ma volumi ancora bassi.

«Ampio, dunque, il margine di crescita», garantisce l’esponente di Ismea. Rispetto alle Dop che includono il Pinot Grigio, la ripartizione delle vendite delle Igp è molto più variegata, con la Igp Dolomiti molto forte in Gdo, con un peso del 58%. Segue a grande distanza la Lombardia, nello specifico con il Pinot Grigio Igp Provincia di Pavia (6%). Terzo gradino del podio per l’Abruzzo, con il 5% della Igp Terre di Chieti.

GRANDI GRUPPI E COOPERATIVE INVESTONO NEL PINOT GRIGIO

L’analisi di “competitor su base varietale”, nello specifico dello Chardonnay – dinamiche e performance decisamente peggiori, sia sul fronte delle Dop che delle Igp – conferma il grande ruolo assunto in un periodo relativamente breve dal Pinot Grigio (e, in particolare, dal Pinot Grigio delle Venezie). Non a caso, anche gli interventi di Silvano Nicolato di Cantine Vitevis e Pierluigi Guarise di Collis Veneto Wine Group hanno dimostrato quanto i grandi gruppi e le cooperative italiane credano in futuro roseo per il vitigno nella grande distribuzione organizzata italiana. Nicolato lo definisce «un vitigno che è ormai considerabile un autoctono del nostro territorio, il Veneto».

VOLA IL VALORE DEL PINOT GRIGIO SFUSO: +30% IN 4 ANNI

«Dei nostri 2.700 ettari complessivi – ha sottolineato – 400 sono di Pinot Grigio, in grado di produrre 5 dei 15 milioni di bottiglie complessive del gruppo. Il Pinot Grigio è al centro del nostro progetto vitivinicolo sin dal 2010». Guarise ha invece puntualizzato che dei 6 mila ettari complessivi a disposizione, oltre 1.100 sono di Pinot Grigio delle Venezie. «Tra questi – ha sottolineato – ben 483 aziende agricole sono certificate Equalitas, con responsabilità che vanno dunque oltre alla sostenibilità ambientale, interessando anche la sfera sociale ed economica». Cresce anche il valore dello sfuso: +30% sul mercato europeo negli ultimi 4 anni – dai 0,80 euro del 2020 a 1,10 euro al litro a fine 2024 – secondo le analisi di Patric Lorenzon di Med.&A. – Associazione nazionale agenti d’affari in mediazione e agenti di commercio.

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degustati da noi Esteri - News & Wine news news ed eventi vini#02

Champagne Day: abbinamento perfetto con 8 formaggi italiani


Se è vero che ogni giorno è buono per aprire una bottiglia di Champagne, un po’ meno scontato è il suggerimento del Bureau du Champagne Italia, che per lo Champagne Day di oggi, venerdì 25 ottobre, suggerisce l’abbinamento delle pregiate bollicine francesi con i formaggi italiani. Niente Camembert, Roquefort o Brie. In occasione della giornata internazionale dedicata allo Champagne, l’Italia gioca in casa con alcuni dei suoi pezzi da novanta del settore caseario. Formaggi facilmente reperibili anche al supermercato, perfetti per alcune tipologie precise di Champagne. Provare per credere: Gorgonzola Dolce, Fontina, Taleggio, Caciocavallo, Pecorino, Robiola, Bitto e Burrata sposano benissimo l’iconico spumante d’Oltralpe.

CHAMPAGNE E FORMAGGI ITALIANI: 8 ABBINAMENTI DA PROVARE

Champagne Blanc de Blancs brut nature e Gorgonzola Dolce 

Il Gorgonzola Dolce è un formaggio erborinato a pasta molle, con una texture cremosa e un sapore delicato, dolce e leggermente burroso, arricchito dalle note della muffa nobile nelle sue venature blu-verdi. Il contrasto tra la freschezza minerale e l’austerità del Blanc de Blancs in versione Brut Nature e la dolcezza untuosa del Gorgonzola crea un equilibrio gustativo perfetto.


Champagne Blanc de Blancs brut e Fontina di alpeggio

La Fontina di alpeggio è formaggio estivo, delicato, con richiami alla flora alpina, di consistenza quasi fondente; la scelta di un Blanc de Blancs intenso, sfaccettato ma estremamente fine, serve a esaltarne la luminosità, in un continuo gioco di rimandi tra formaggio e vino, che si equilibrano in un finale dove convergono le note di tostatura di entrambi. Abbinamento di luminosità e charme.


Champagne Rosé brut e Taleggio

Il Taleggio è un formaggio a crosta lavata, morbido e dalla consistenza cremosa, con aromi leggermente pungenti, ma un sapore dolce, burroso e con un retrogusto acidulo. Uno Champagne rosé brut contrasta e bilancia il carattere grasso e fondente del Taleggio. Il profilo del rosé si armonizza con la dolcezza del formaggio, mentre l’acidità dello Champagne si bilancia con grassezza e consistenza.


Champagne Rosé brut e e Caciocavallo Silano di Grotta

Formaggio deciso, dove la dolcezza del caciocavallo, durante la stagionatura in grotta, si sviluppa i sentori di bosco e frutta secca, con leggeri richiami speziati. Il rosé va ad aggiungere una serie di note di freschezza, agrumata, con un tocco di lampone, per mantenere la tensione ed esaltare la complessità del formaggio. Abbinamento di intensità e dinamismo.


Champagne Blanc de Noirs brut e Pecorino Fiore Sardo

Il Pecorino Fiore Sardo è un formaggio ovino sardo tradizionale, dal gusto sapido, leggermente affumicato e ricco di note lattiche e vegetali. Se non troppo stagionato, mantiene un buon equilibrio tra dolcezza e sapidità, con una texture compatta, ma ancora morbida. Il Blanc de Noirs offre corpo e intensità che contrastano e allo stesso tempo esaltano il carattere complesso del Pecorino. Le note di frutta matura di un Blanc de Noirs evoluto si legano perfettamente al sapore deciso del formaggio, senza sovrastarlo.


Brut Sans Année e Robiola di Roccaverano

La Robiola è cremosa, molto minerale e con punte di acidità. Un gusto complesso che si può abbinare a un Brut sans année dal gusto bilanciato, pieno ed elegante, capace di non sovrastare il gusto del formaggio.


Champagne Brut Millesimato e Bitto

Il Bitto è un formaggio d’alpeggio con una pasta dura e granulosa che varia di intensità a seconda della stagionatura. Un Bitto più giovane ha sapori di latte, erba e burro, mentre uno più stagionato sviluppa note di frutta secca, caramello e un sapore deciso e persistente. Uno Champagne millesimato, ampio e aromatico, può essere un accompagnamento in grado di esaltare la profondità e la complessità del formaggio aggiungendo freschezza.


Demi-Sec e Burrata

Le note dolci dello Champagne Demi-Sec accompagnano la morbidezza della burrata e in particolare della panna. Un abbinamento per assonanza che trasforma l’assaggio quasi in un dessert senza rinunciare ad acidità e sapidità.

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A novembre il weekend di Rosso Barbera 2024


Il primo appuntamento enoico da non perdere a novembre è Rosso Barbera 2024.
Dall’1 al 4 novembre, il Castello di Costigliole d’Asti si trasformerà nella capitale della Barbera, accogliendo un format unico nel panorama italiano. Il banco d’assaggio, cuore pulsante di Rosso Barbera 2024, è senza precedenti: sarà possibile degustare oltre 400 etichette di Barbera provenienti da circa 200 cantine. Un’occasione unica per esplorare le infinite sfumature di uno dei vitigni più amati d’Italia, guidati dall’esperienza dei sommelier di Ais Piemonte, delegazione di Asti.

L’APERTURA A PIANETA GRAPPA

La manifestazione prenderà il via venerdì 1° novembre alle 18:30 con l’inaugurazione ufficiale. Poco dopo, alle 19:30, si terrà la terza edizione di Pianeta Grappa, una rassegna interamente dedicata alla grappa italiana, con degustazioni curate dall’ANAG. La suggestiva aula di cioccolateria dell’ICIF, situata all’interno del castello, farà da cornice perfetta per questo percorso sensoriale dedicato agli appassionati di distillati.

Non solo vino: Rosso Barbera si propone come un’immersione a tutto tondo nella cultura locale. Sabato 2 e domenica 3 novembre sarà possibile partecipare al tour gratuito “Il giro della Rocca”, un percorso guidato alla scoperta degli edifici storici di Costigliole d’Asti. Durante queste giornate, i banchi d’assaggio riapriranno dalle 11:00 e torneranno anche le degustazioni di Pianeta Grappa alle 11:30.

ROSSO BARBERA 2024: PROFESSIONAL DAY E CONVEGNI

Lunedì 4 novembre sarà dedicato agli operatori del settore, con un Professional Day che includerà un interessante convegno dal titolo “Vino. Un futuro come bene di lusso”. Relatori di spicco affronteranno i principali trend globali e locali del mercato del vino, offrendo spunti per il futuro di questo settore in continua evoluzione. Anche i banchi d’assaggio apriranno alle 10:00, riservando agli esperti un momento di confronto.

L’edizione 2024 sarà arricchita da una serie di eventi collaterali. Tra questi, il Mercatino della Rocca, che animerà le vie del paese il 2 e 3 novembre, e la Barbera Academy, con workshop e approfondimenti a cura di sommelier, enologi e giornalisti. Per i buongustai, non mancheranno abbinamenti gastronomici grazie a Barbera Gourmet, che proporrà prodotti tipici locali come salumi, carne cruda, formaggi e ravioli. Inoltre, sarà possibile ammirare le annate storiche della Barbera nella sala Barbera Forever, una celebrazione delle etichette che hanno segnato la storia di questo vino.

BIGLIETTI D’INGRESSO

Anche quest’anno il RossoBarbera Cooking World Tour porterà la Barbera nei ristoranti di Tokyo, San Paolo, Taiwan e altre città internazionali, grazie al network degli ex allievi dell’ICIF. Per i più golosi, l’evento Dolce e Barbera, curato dalla Federazione Internazionale Pasticceria Gelateria e Cioccolateria (FIPGC), esplorerà il legame tra dolci e Barbera, offrendo un’esperienza sensoriale unica. I ristoranti locali aderenti a “I ristoranti della Barbera” proporranno menu speciali, studiati per esaltare l’abbinamento con i vini protagonisti della manifestazione.

Il biglietto d’ingresso, in promozione fino al 20 ottobre al prezzo speciale di 20 euro anziché 25, è acquistabile online. Gli associati Ais, Onav, Fisar e di Barbera&Barbere potranno beneficiare di tariffe agevolate. Per facilitare l’afflusso dei visitatori, saranno disponibili pullman Granturismo con partenze da Torino, Milano e Genova. Tutte le informazioni relative ai trasporti sono reperibili sul sito ufficiale di Rosso Barbera. Qui i migliori assaggi dell’edizione 2023.

Le 30 migliori Barbera d’Asti, Alba, Monferrato e Nizza a Rosso Barbera 2023

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Prosecco, Carpenè Malvolti: addio ad Etile Carpenè, aveva 80 anni


Lutto nel mondo del Prosecco per la morte di Etile Carpenè, avvenuta il 23 ottobre 2024 a Conegliano, all’età di 80 anni. Lascia la moglie Nicoletta, la figlia Rosanna e la nipote Etilia. A dare la notizia è la famiglia Carpenè, insieme ai dipendenti della Carpenè Malvolti, prima al mondo a produrre il vino spumante delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene.
Nell’ultimo periodo aveva lasciato la guida della Carpenè Malvolti alla figlia Rosanna, attuale Amministratore Delegato della Spa di famiglia, che porterà avanti l’operato del padre «con amore e passione».

La cerimonia di commemorazione si terrà sabato 26 ottobre alle ore 10 presso la Chiesa Parrocchiale dei Santi Martino e Rosa, via Francesco Fenzi 28, Conegliano (Treviso). Etile Carpenè ha dedicato la sua vita alla ricerca e alla cultura enologica, ispirando generazioni di studenti e professionisti con la sua passione e il suo impegno nel promuovere il rispetto per il territorio.

CHI ERA ETILE CARPENÈ

Etile Carpenè, quarta generazione della più longeva casa spumantistica italiana Carpenè Malvolti, si era diplomato al Liceo Scientifico di Rosenberg in Svizzera per poi frequentare un corso di specializzazione in Enologia all’Università̀ di Talence a Bordeaux. Proseguì il suo percorso accademico iscrivendosi all’Università̀ di Ferrara dove ottenne la Laurea in Chimica Pura. Dopo il percorso di studi iniziò l’attività nell’impresa di famiglia divenendone in seguito Amministratore delegato e Presidente. Fu in quel ruolo che emerse la sua vocazione a portare l’azienda sulla scena mondiale.

Espanse la produzione, amplificò e potenziò la distribuzione, riorganizzò e rinnovò la rete vendita sostenendo l’immagine della marca con campagne pubblicitarie in televisione e sulla stampa. Tra gli incarichi rivestiti da Etile Carpenè al di fuori del contesto aziendale, la Presidenza dell’Istituto Metodo Classico dal 1990 al 2001 nel 1992 ottenne la carica in Federvini, prima come Consigliere e poi come Vice Presidente Sindacato Vini Spumanti, nonché nello stesso anno fu nominato Consigliere nel Consorzio Tutela Prosecco, carica rinnovata per due mandati consecutivi. Era anche stato nominato Accademico emerito dell’Accademia della Vite e del Vino.

MORTO ETILE CARPENÈ: IL CORDOGLIO DEL CONSORZIO

«Apprendiamo con tristezza della scomparsa di Etile Carpenè. Ci lascia un uomo che ha rappresentato integralmente lo spirito della nostra denominazione, visionario e curioso, sempre impegnato a promuovere la qualità e l’autenticità del nostro prodotto. Il suo impegno, la sua passione e la sua visione continueranno a ispirarci e a guidarci nel nostro lavoro quotidiano». Così Franco Adami, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg. «A nome dell’ente – aggiunge Adami – esprimo le mie più sentite condoglianze alla famiglia Carpenè e a tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di lavorare con lui. In questo momento di dolore, onoriamo il suo ricordo continuando a lavorare per mantenere alta la bandiera del Conegliano Valdobbiadene Prosecco, come lui avrebbe voluto».

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La Terra Trema 2024 contro agricoltura 4.0 e intelligenza artificiale


La Terra Trema 2024
– Fiera Feroce di vini, cibi, relazioni tornerà al Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito dal 29 novembre al 1° dicembre (in fondo all’articolo la lista dei vignaioli presenti). Un luogo simbolico, tuttora minacciato di sgombero, diventa esso stesso il simbolo della consueta volontà degli organizzatori di “sgomberare il campo” dal mainstream del vino.
«In preda ad astratti furori»: così si ripresenta La Terra Trema, riaffermando una visione critica e politica che abbraccia la gastronomia, l’agricoltura e la cultura materiale che – volente o nolente, favorevoli o contrari – non ha uguali nel panorama italiano, neppure tra chi prova a proclamare la propria difesa del mondo agricolo-vinicolo dalle pagine di una “Guida lenta”, con risultati al limite del grottesco.

LA TERRA TREMA 2024, UNA RISPOSTA AL «CAPITALISMO DIGITALE»

La Terra Trema 2024 sarà un’occasione per celebrare l’incontro tra le molteplici realtà della produzione agricola e vinicola, non solo italiana, ma internazionale. L’evento in programma al Leoncavallo dal 29 novembre al 1 dicembre non si limita ad esaudire la voglia di rivedersi, ma si propone come «un momento di riflessione collettiva, in cui agricoltori, vignaioli e cittadini possono confrontarsi in un dialogo orizzontale, libero da preconcetti e limitazioni». In un contesto in cui economia, clima e guerre premono su tutti, La Terra Trema prova a rispondere al «capitalismo digitale» che, come sostengono gli organizzatori, «sta travolgendo territori e persone, vigne e campi, scuole e quartieri, generazioni intere». La fiera si oppone a un’agro-industria che, in sostanza, promette false soluzioni, mentre genera «nuovi mostri e deserti» a favore dei propri interessi, monopolizzando semi, produzioni e mercati.

LA TERRA TREMA CONTRO DIGITALIZZAZIONE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE

«Il valore d’uso, le apparenti comodità, i miti mendaci imposti dalla digitalizzazione e dalla sua potenza di calcolo – recita il comunicato di presentazione de La Terra Trema 2024 – stanno progressivamente, in modo esponenziale e veloce, limitando le nostre competenze, le nostre conoscenze, la nostra creatività, le nostre intelligenze, i nostri sensi, la nostra sensibilità di fronte agli orrori che ci circondano. L’intelligenza artificiale, così brava a calcolare le connessioni, non ha però fatto ancora i conti con la nostra capacità di fare associazioni improbabili, con la nostra capacità relazionale. Capacità che dobbiamo salvaguardare con grande determinazione e impegno».

«Il controllo di ciò che seminiamo, coltiviamo e mangiamo è sempre più nelle mani di poche aziende», si legge ancora. Un sistema che, attraverso l’industrializzazione e la digitalizzazione dell’agricoltura, rischia di soffocare la produzione contadina, lasciando dietro di sé paesaggi standardizzati e agricoltura di precisione che aliena l’uomo dalla terra. «Le nostre competenze e creatività», spiegano gli organizzatori de La Terra Trema, sono sempre più limitate dalle comodità imposte dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale. Strumenti che non hanno ancora «fatto i conti con la nostra capacità di fare associazioni improbabili e relazioni umane».

IL MONDO DEL VINO VISTO DA LA TERRA TREMA

Nel corso degli anni, La Terra Trema ha affrontato le sfide imposte da un’economia sempre più complessa e da dinamiche sociali ed ecologiche che influenzano il mondo del vino. La manifestazione ha sempre discusso di questioni cruciali come prezzo, distribuzione e modalità produttive, con approccio critico e indipendente, certamente divisivo e a tratti eclatante. Così come singolare è la visione di un’agricoltura contadina che, a detta degli organizzatori, rischia di estinguersi sotto i colpi dell’agroindustria e della cosiddetta “Agricoltura 4.0“, fatta di «trattori hi-tech, droni, algoritmi e nuovi Ogm».

Un sistema «sostenuto da finanziamenti statali e comunitari», che soffoca l’agricoltura di prossimità, quella «fatta di terra e persone», già alle prese con l’emergenza dei cambiamenti climatici. Eppure, c’è speranza. «Là dove la conoscenza delle pratiche agricole persiste», dove questo sapere viene tramandato autonomamente tra le generazioni, esiste un’enorme ricchezza. È proprio in queste realtà che si trova l’antidoto ai monopoli, e da qui bisogna ripartire per fronteggiare le minacce ambientali. «Fare cultura significa costruire momenti di confronto, a partire da tutto questo», spiegano gli organizzatori de La Terra Trema 2024. Un’edizione che non passerà inosservata.

LA LISTA DEI VIGNAIOLI PRESENTI A LA TERRA TREMA 2024

Abruzzo

McCalin, Martinsicuro (TE)

Podere San Biagio, Controguerra (TE)

Alto Adige

Brunnenhof, Egna (BZ)

Basilicata

Ripanero – Rionero in Vulture (PZ)

Calabria

Gianni Lonetti – Melissa (KR)

Campania

Cantina Del Disordine – Cautano (BN)

Casa Brecceto – Ariano Irpino (AV)

Davide Campagnano – Castel Campagnano (CE)

Il Tufiello – Calitri (AV)

Podere Veneri Vecchio – Castelvenere (BN)

Terre Caudium – Cautano (BN)

Emilia Romagna

Baccagnano – Brisighella (RA)

Filarole – Pianello (PC)

Podere Cipolla – Coviolo (RE)

Friuli Venezia Giulia

Nicolini Giorgio – Muggia (TS)

Pinat Marco – Povoletto (UD)

Prât dali’ Vîs, Castions di Zoppola (PN)

Škabar Miloš – Repen (TS)

Zahar – San Dorligo della Valle (TS)

Lazio

Occhipinti Andrea – Gradoli (VT)

Poggio Bbaranèllo – Montefiascone (VT)

Liguria

Il Foresto di Vernazza, Vernazza (SP)

Lombardia

Alpi Adamello – Edolo (BS)

Alziati Annibale – Rovescala (PV)

Barbacàn – Teglio (SO)

Beltrama Stefano – Albosaggia (SO)

Il Castello II – Fortunago (PV)

Il Gabbiano – Sondrio (SO)

Orto Tellinum – San Giacomo di Teglio (SO)

Piccolo Bacco dei Quaroni – Montù Beccaria (PV)

Pietro Selva – Castione Andevenno (SO)

Torre degli Alberi – Colli Verdi (PV)

Marche

Aurora, Offida (AP)

Ca’liptra, Cupramontana (AN)

Fiorano, Cossignano (AP)

Lalé, Apiro (MC)

Sciauerta, Cossignano (AP)

Tomassetti, Senigallia (AN)

Vigneti Vallorani, Colli del Tronto (AP)

Piemonte

Agricola Garella, Masserano (BI)

Buganza Renato, Piobesi d’Alba (CN)

Cascina Boccia, Tagliolo Monferrato (AL)

Cascina del Monastero, La Morra (CN)

Cascina Gasparda, Olivola (AL)

Cascina Gentile, Capriata d’Orba (AL)

Cascina Zerbetta, Quargnento (AL)

Cesca Daniele, Moncalvo (AT)

Daglio Giovanni, Costa Vescovato (AL)

Eraldo Revelli, Farigliano (CN)

Garage dell’Uva, Settimo Rottaro (TO)

Ghëddo, La Morra (CN)

Giachino Claudio, Montelupo Albese (CN)

Granja Farm, Chiomonte (TO)

Il Mongetto, Vignale Monferrato (AL)

La Casaccia, Cella Monte (AL)

La Tommasina, Frassinello Monferrato (AL)

La Viranda, San Marzano Oliveto (AT)

LeViti, Dogliani (CN)

Manera, Alba (CN)

Monfrà, Vignale Monferrato (AL)

Piatti Antonella, Mazzè (TO)

Tenuta Grillo, Gamalero (AL)

Terre di Maté, Pasturana (AL)

Umaia, Cornigliasca, Carezzano (AL)

Valli Unite, Costa Vescovato (AL)

Puglia

Cantina Pantun, Mottola (TA)

Podere ai Contadini, Ostuni (BR)

Tenuta Patruno Perniola, Gioia del Colle (BA)

Sardegna

Cantina Orgosa, Orgosolo (NU)

Sa Defenza, Donori (CA)

Sicilia

Alice Bonaccorsi, Randazzo (CT)

Bosco Falconeria, Partinico (PA)

Cantina del Malandrino , Mascali (CT)

Cantina Malopasso, Zafferana Etnea (CT)

Le Furie, Messina (ME)

Le Sette Aje, Santa Margherita di Belice (AG)

Terra Tinta, Alcamo (TP)

Toscana

Cantina della Luce, Sorano (GR)

Fattoria Majnoni Guicciardini, Barberino Val d’Elsa (FI)

Fratelli Barile, Capalbio (GR)

I Botri di Ghiaccioforte, Scansano (GR)

Il Cerchio, Capalbio (GR)

Paterna, Terranuova Bracciolini (AR)

Podere Ranieri, Massa Marrittima (GR)

Prato al Pozzo, Cinigiano (GR)

Sàgona, Loro Ciuffenna (AR)

Sant’Agnese, Piombino (LI)

Terra d’Arcoiris, Chianciano Terme (SI)

Terre Apuane, Marina di Carrara (MS)

Trentino

Maso Bergamini, Cognola (TN)

Umbria

La Casa dei Cini, Pietrafitta (PG)

Malauva Casa Agricola, Castel Giorgio (TR)

Veneto

Aldrighetti Lorenzo e Cristoforo, Marano di Valpolicella (VR)

Davide Xodo, Nanto (VI)

Le Bignele, Marano di Valpolicella (VR)

Rarefratte, Breganze (VI)

AUSTRIA

Back to Eden Winery, Neusiedl am See (Burgenland)

FRANCIA

La Cabrery – Longo Mai, Limans (Alta Provenza)

Sébastien Fezas – Domaine Jeandaugé, Courrensan (Occitania)

GEORGIA

TDWinery, Khidistavi (Kartli)

K&K Wines, Zestaponi (Imereti)

SPAGNA

La Gutina, Sant Climent Sescebes (Catalunya)

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

Amarone 2009 Costa delle Corone, Monteci: premio speciale Vecchia annata Guida Winemag 2025


L’
Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone di Monteci si aggiudica il Premio speciale “Vecchia annata” della Guida Winemag 2025. Il vino top di gamma della cantina di Pescantina (Verona), appartenente alla Linea Monteci Selezioni, si è aggiudicato 96/100 in occasione delle degustazioni alla cieca. Convince per la vitalità, la precisione e l’integrità del sorso, a distanza di ben 15 anni dalla vendemmia (avvenuta un anno prima dell’assegnazione della Docg alla pregiata denominazione veronese). L’Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone, per ammissione della stessa cantina, è la «massima espressione dell’identità di Monteci», nonché «la sintesi di un vigneto quasi inaccessibile», da cui prende il nome. Un appezzamento inerpicato sulle colline della Valpolicella Classica, in cui affondano le radici le piante di Corvina, Rondinella e Molinara.
Di seguito il profilo del vino.

AMARONE DELLA VALPOLICELLA DOC CLASSICO 2009 COSTA DELLE CORONE, MONTECI

  • Fiore: 9
  • Frutto: 9.5
  • Spezie, erbe: 9.5
  • Freschezza: 8
  • Tannino: 7.5
  • Sapidità: 7
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 10
  • Facilità di beva: 9.5
  • A tavola: 10
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Punteggio Winemag: 96/100 (Premio speciale “Vecchia annata” per la Guida Winemag 2025)

Monteci Viticoltori

Via San Michele, 34
37026 Pescantina (VR)
Tel.+39 (045) 7151188
Email info@monteci.it

AMARONE COSTA DELLE CORONE 2009, MONTECI

DENOMINAZIONE Amarone Classico della Valpolicella Doc
UVAGGIO Corvina, Rondinella, Molinara
ZONA DI PRODUZIONE Valpolicella Classica
TECNICA DI VINIFICAZIONE Appassimento delle uve per circa 5 mesi. Dopo la pigiatura 30 giorni di contatto mosto/bucce. Segue fermentazione alcolica e fermentazione malolattica. La fermentazione avviene in parte in acciaio e in parte in tini di rovere.
AFFINAMENTO In botti di rovere da 50 ettolitri per 60 mesi.
IMBOTTIGLIAMENTO In bottiglia per almeno 5 anni.
TEMPERATURA DI SERVIZIO 18-20° C
ABBINAMENTI Selvaggina da pelo o nobile da piuma, “pastissada” di cavallo, brasati, arrosti, formaggi stagionati o piccanti, risotto all’Amarone. Grande vino da meditazione.
PUNTEGGIO WINEMAG 96/100 (PREMIO SPECIALE “VECCHIA ANNATA” – GUIDA WINWMAG 2025)
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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Ami il Riesling? Devi scoprire l’Imereti: il volto fresco dei vini georgiani


Al mercato centrale della città vecchia, in Shota Rustaveli Ave, i colori dei foulard delle donne si confondono con quelli delle spezie, dei formaggi e delle strisce di Churchkhela, dolce tradizionale georgiano a base di succo d’uva, frutta secca e farina. C’è anche qualche bottiglia di vino dell’Imereti, conservata chissà come. Camminare per Kutaisi, terza città del Paese, 220 chilometri a ovest della capitale Tbilisi, è come immergersi in un barattolo di vernice. Ne esci colorato, felice. Stordito.
Inebriato da profumi e istantanee di storia, cultura. Orgoglio. Mito. È la terra degli Argonauti, della caccia al Vello d’Oro. Del fiume Rioni e del Ponte Bianco. Del Monastero Motsameta, immerso nel silenzio della natura incontaminata e selvaggia di una regione vinicola che vuole farsi largo, sulla scena internazionale. Levandosi di dosso l’ombra, pesante, del più noto Kakheti, con circa 5 milioni di bottiglie prodotte su una superficie di circa 2.350 ettari.

I VINI DELL’IMERETI: GRANDE FRESCHEZZA E ALCOL MODERATO

I vini dell’Imereti somigliano un po’ a quel mercato centrale. Alla città caoticamente ordinata che lo ospita. Colori intensi, quasi fluorescenti. Proprio come quelli delle spezie. Ogni bottiglia, una sorpresa. Si passa dal giallo paglierino all’ambra luminosa, o dal rosso rubino al viola impenetrabile, con la stessa facilità con la quale la scritta “Ti amo” compare su un muro di Kutaisi, riprodotta un centinaio di volte nelle tre lingue parlate dagli abitanti del posto. Espressioni diverse, per esprimere lo stesso concetto. Così come diverse sono le coniugazioni delle uve, in vinificazione: con o senza utilizzo di qvevri o legno e ricorrendo, o meno, a macerazioni sulle bucce più o meno prolungate.

Ma per capire i vini dell’Imereti, occorre innanzitutto partire dalla conformazione del territorio. L’Imereti ha un clima più umido e mite, influenzato dalla vicinanza al Mar Nero e da una viticoltura che si sviluppa fino a oltre 500 metri sul livello del mare, in ambienti di alta collina. I suoli sono prevalentemente argillosi-pietrosi e bianchi, calcarei; ricchi di carbonato di calcio e dotati di una buona capacità di trattenere l’umidità. Giusto, dunque, aspettarsi vini più freschi, con maggiore acidità rispetto a quelli del Kakheti. Lì, il clima più caldo e secco dà vini più potenti e, soprattutto, più alcolici. Il suolo, nel Kakheti, è molto più vario di quello dell’Imereti, con presenza di argille, rocce e terreni alluvionali che contribuiscono a restituire vini complessi, strutturati, dalle spalle larghe.

I VITIGNI DELL’IMERETI E LE LORO CHANCE INTERNAZIONALI

Differenze sostanziali, che trovano conferme anche nella base ampelografica della regione. I vitigni dell’Imereti, infatti, sono diversi da quelli del Kakheti. In quest’angolo di Georgia si trovano varietà autoctone poco conosciute, come Tsolikouri, Krakhuna, Tsitska e Kvishkhuri (a bacca bianca) e Otskhanuri Sapere, Aladasturi e Ojaleshi (a bacca rossa). Cosa aspettarsi dai vini prodotti con questi vitigni? Gran acidità, e dunque freschezza, soprattutto dai vini bianchi “in purezza”, ovvero da singole uve. Una caratteristica che risulta più attenuata nei blend, con il terzetto Tsolikouri-Krakhuna-Tsitska che può infatti fregiarsi dell’unica Doc dell’Imereti: Sviri Pdo (Protected Denomination of Origin).

Ogni uva apporta benefici al blend: Tsolikouri e Tsitska per la vibrante acidità; Krakhuna per la componente aromatica e per il corpo. Interessante, anche dal punto di vista agronomico, il Kvishkhuri: con la sua buccia spessa e l’ottima resistenza alle temperature più rigide, ha un ruolo di prim’ordine nell’Alto Imereti, la fascia più settentrionale della regione. I vini bianchi dell’Imereti, generalmente, ricordano al naso e al palato agrumi come l’arancia e il mandarino, le nespole. Evidenziano accenni di frutta tropicale, frutta bianca come la pera e tinte erbacee e talcate, soprattutto in presenza della varietà Krakhuna. Curioso invece come la Tsitska riporti spesso alla mente il Sauvignon Blanc, specie se non sottoposta a macerazione.

IMERETI: VINI BIANCHI (MEGLIO) IN CUVÉE. ROSSI IN PUREZZA

Quanto ai vini rossi, l’Otskhanuri Sapere è considerabile l’alter ego del Saperavi kakhetiano. Il “Colorato di Otskhana”, questa la traduzione letterale del nome, in onore della città d’origine del vitigno, ha un’acidità generalmente alta, una struttura armonica e un corpo più che dignitoso: caratteristiche che portano i vini ad affinare bene, nel tempo, muovendosi su note terziarie rispetto ai primari di ciliegia, bacche rosse e nere di bosco e prugna matura.

L’Aladasturi convince per la capacità di saper leggere i suoli, ricordando talvolta certe espressioni rare del Syrah sul granito. Generalmente dà invece vini freschi e beverini, dal corpo leggero, in cui la maturità dei tannini gioca un ruolo fondamentale nell’equilibrio del calice. La vera sorpresa è l’Ojaleshi, che riporta alla mente una buona parte del profilo maturo del Refosco dal Peduncolo Rosso e delle espressioni giovanili dello Schioppettino di Prepotto. Una varietà sempre più riscoperta e vinificata dalla settantina di cantine dell’Imereti.

L’UTILIZZO DELLE ANFORE IN TERRACOTTA (QVEVRI / CHURI) NELL’IMERETI

Se è ormai molto facile reperire un vino georgiano all’estero, Italia compresa, risulta invece più complicato degustare un vino prodotto nell’Imereti. Il Kakheti la fa da padrone nelle scelte dei buyer, anche perché è ormai simbolo del metodo tradizionale di vinificazione in qvevri, grandi anfore di terracotta interrate che affascinano i consumatori di tutto il mondo con la loro tradizione millenaria. Il “Metodo Kakhetiano” è, di per sé, sinonimo di “vini georgiani”. Ed è quello su cui si concentra la stragrande maggioranza del marketing nazionale, all’insegna del claim che promuove la Georgia come “The cradle of wine“: “La Culla del vino” internazionale, dove ha avuto origine la viticoltura (un primato, a onor del vero, messo in discussione dalla vicina Armenia).

Anche in Imereti si utilizzano le qvevri, localmente chiamate churi. Ma il metodo di vinificazione tradizionale differisce da quello di Kakheti. Nell’Imereti solo una parte delle bucce – molto più raramente i raspi – vengono utilizzati durante la fermentazione. Un approccio più delicato, che ben si misura con le caratteristiche delle uve e la volontà di produrre vini più leggeri e freschi, perfetti per gli amanti di varietà come il Riesling. Il “Metodo imeritiano” tende a conservare maggiormente l’acidità naturale dei vini e a dar vita a vini più freschi. Ma soprattutto meno tannici rispetto a quelli di Kakheti, dove invece il mosto fermenta e matura a lungo nelle qvevri con tutte le parti solide dell’uva (buccia, vinaccioli, raspi), restituendo tannini marcati, struttura e complessità.

IMERETIAN WINE CHALLENGE: DA QUI PASSA IL FUTURO DEI VINI GEORGIANI

Proprio per contribuire a dare un’identità precisa ai vini dell’Imereti, premiando i più elevati standard produttivi e promuovendo l’unicità della zona a livello internazionale, è nata la Imeretian Wine Challenge (IMT). Una competizione enologica ideata da Ketie Jurkhadze, direttrice dell’Imeretian Wine Association, che raggruppa una settantina di cantine della zona ed è nata nel 2022, con il supporto di Dmo Imereti (Destination Management Organisation Imereti).A inizio ottobre 2024 il concorso è giunto alla sua seconda edizione, ospitata proprio Kutaisi, terza città georgiana per numero di abitanti e capitale della regione vinicola dell’Imereti. I risultati della competizione, non ancora ufficiali, confermano l’assoluta validità del percorso intrapreso dai viticoltori, che nella Georgia occidentale possono contare anche su iniziative imprenditoriali importanti. È il caso di Labara Winery che sorge a Vartsikhe, frazione della municipalità di Baghdati.

Dodici ettari di vigneti incastonati tra il Mar Nero e il Caucaso, in una piana ricca di argilla e calcare all’esatta confluenza dei fiumi Rioni e Khanitskali. Krakhuna, Otskhanuri  Sapere, Tsolikouri, Tsitska, Ojaleshi e Aladasturi hanno trovato in Dato GaguaShalva Sikharulidze due grandi interpreti. Entrambi impegnati a livello professionale negli Stati Uniti, hanno deciso di fare ritorno in Georgia e fondare la cantina nel 2017, «per aiutare il Paese a sfruttare e sviluppare i suoi 8 mila anni di storia nel vino». Anche in chiave enoturistica. La parola “Labara”, che dà il nome alla cantina, significa infatti “Luogo soleggiato pieno di vita”. Un inno a Vartsikhe, villaggio di antica tradizione vinicola che Dato Gagua e Shalva Sikharulidze vogliono trasformare in meta turistica, oltre che areale di produzione dei migliori vini dell’Imereti.

Il Sole presente su tutte le etichette simboleggia il sogno dei due imprenditori. Circa 20 mila le bottiglie prodotte attualmente, con la vendemmia 2024 che è da considerarsi come quella del vero esordio, con i frutti dei giovani vigneti di proprietà. Lo stile e l’impronta della piccola Labara Winery è comunque già chiaro: grande cura nella selezione delle uve, vinificazione e affinamento in qvevri (o, meglio, churi) e in botti di legno usato; e desiderio di esprimere i caratteri primari di ogni singola varietà nel calice. Un faro non solo per l’Imereti ma per l’intera Georgia del vino, soprattutto con l’orange wine (macerato) 2020 “Circum Solem” da uve Tsolikouri, l’Otskhanuri  Sapere Reserve 2022 e l’Ojaleshi 2023.

LABARA WINERY, LA NOVITÀ. WINERY KHAREBA, UNA CERTEZZA

Per una cantina artigianale georgiana che nasce e che, certamente, saprà affermarsi a livello internazionale, una che è già un simbolo dei vini georgiani nel mondo. Winery Khareba è un colosso da 17 milioni di bottiglie che, sotto la direzione tecnica ed enologica del winemaker Vladimer Kublashvili, si è posta come obiettivo quello di abbracciare tutto il territorio nazionale con il proprio parco vigneti (1.500 gli ettari attualmente a disposizione). Già ben solida nell’olimpo dei big del Kakheti, Khareba sta investendo sempre più energie, negli ultimi anni, nella crescita dell’Imereti e delle sue varietà autoctone. L’approccio dell’enologo Vladimer Kublashvili è sartoriale. Millimetrico.

Ne è una riprova l’ultimo progetto della cantina, denominato K’Avshiri, კავშირი, che in georgiano significa “alleanza”, “unione”. Si tratta infatti del progetto comune del winemaker di Winery Kareba e del consulente e wine critic britannico Robert Joseph. Un vino bianco e un vino rosso ottenuti – guarda caso – da un blend. K’Avshiri White è una miscela di otto vitigni georgiani con Moscato e l’Aligoté. K’Avshiri Red racchiude invece nove varietà, tra cui due uve bianche georgiane co-fermentate con Saperavi e Aladasturi, lasciate appassire per 10 giorni prima della fermentazione. Entrambi i vini sono ottenuti da vinificazione parziale in qvevri e acciaio, con l’utilizzo del legno per il solo uvaggio rosso.

K’AVSHIRI: MOLTO PIÙ DI UN SEMPLICE VINO

«Pur volendo creare un vino decisamente “georgiano” – spiegano Kublashvili e Joseph – non ci scusiamo per aver incluso un po’ di Aligoté e Moscato nella miscela bianca. Produrre il miglior vino possibile era molto più importante che rispettare qualsiasi tipo di regola che imponesse la “purezza” regionale. Allo stesso modo, i rossi assemblaggi 2022 e 2023 contengono sfacciatamente un po’ di Merlot (5%). Molti produttori in Paesi con varietà autoctone interessanti oggi hanno una visione simile, ma preferiscono non menzionare il loro utilizzo di piccole quantità di varietà “internazionali”, seppellendole nel 15% di “altre uve” legalmente consentite. Abbiamo preferito essere aperti su ciò che accade esattamente in K’Avshiri».

Una visione, quella di questo insolito duo, che si confà al clima di un Paese a caccia d’identità e che, anzi, in quella ricerca s’inserisce in punta di piedi, con due vini di grande spessore enologico e di grande provocazione intellettuale. E non succede a caso in Georgia, nazione che diverte – e che sembra essa stessa, forse inconsapevolmente, divertirsi – nello sfoggio di logiche e interpretazioni tra loro contrastanti, capaci di convivere in un clima di ordinato caos, sul confine geografico esatto col paradosso e con l’ossimoro. Come i foulard di quelle donne, che si mescolano ai mille colori delle spezie, al mercato centrale della città vecchia di Kutaisi. O quella scritta “Ti amo”, in tre lingue diverse su un muro, poco lontano dalle bancarelle. Imereti, Georgia, mondo. Tutto sommato, confine.

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Miglior vino piwi italiano Guida Winemag 2025: Venezia Giulia Igt Limine, Terre di Ger


Il Miglior vino Piwi italiano è Limine 2022, Venezia Giulia Igt bianco della cantina Terre di Ger. È il risultato delle degustazioni alla cieca della Guida Winemag 2025, Top 100 Migliori vini italiani. Limine di Terre di Ger si aggiudica uno dei “premi speciali”, dedicati alle varietà resistenti alle malattie fungine della vite (l’acronimo con cui si identifica la tipologia è “Piwi”). Terre di Ger, a Pravisdomini, in provincia di Pordenone, si conferma la cantina italiana più avvezza alla tipologia, forte dell’esperienza maturata in anni di sperimentazioni dal titolare,
Gianni Spinazzè. Di seguito il profilo del Miglior vino Piwi italiano, ottenuto da uve resistenti della varietà Soreli.

VENEZIA GIULIA IGT BIANCO LIMINE 2022, TERRE DI GER

  • Fiore: 8
  • Frutto: 8.5
  • Spezie, erbe: 8
  • Freschezza: 8.5
  • Tannino: 0
  • Sapidità: 7.5
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 8
  • Facilità di beva: 8.5
  • A tavola: 8
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Premio speciale: miglior vino Piwi italiano per la Guida Winemag 2025

Terre di Ger

Via Strada della Meduna – Frattina di Pravisdomini
33076 Pordenone (italia)
Tel. +39 0434.644452
Email info@terrediger.it

TERRE DI GER, LA CASA DEI PIWI

Terre di Ger nasce dalla passione per la viticoltura di Gianni Spinazzè, che fin da bambino andava nei vigneti che la famiglia gestiva in mezzadria di alcune proprietà dei Bellussi, proprietari del trevigiano. Negli anni Sessanta, Gianni, per meglio strutturare le palificazioni delle “Bellussere” del Piave ha avviato una produzione di pali in cemento, dando il via alla lunga storia dell’azienda Spinazzè, oggi affermata nel settore viticolo e frutticolo mondiale. La vera svolta per l’azienda avviene nell’ultimo decennio. Il merito è di un nuovo progetto agronomico ed enologico , con l’impianto di vitigni a varietà resistenti Piwi e una profonda ricerca sulle potenzialità dei vini da esse ottenuti.

L’obiettivo di Terre di Ger è di ridurre l’impatto ambientale dei trattamenti fitosanitari, salvaguardare la natura e avviare una coltivazione a regime biologico, puntando sulle diversità organolettiche. Nascono nuove opportunità e i confini si allargano, diventa interessante il confronto e la coesistenza con altri territori e si arriva ad acquisire la tenuta “La Boccolina” nel cuore delle colline di Jesi e a gettare le basi per il progetto “Dolomiti” nelle Coste del Feltrino.

MIGLIOR PIWI ITALIANO GUIDA WINEMAG: LIMINE TERRE DI GER

Limine di Terre di Ger è il miglior vino piwi italiano per la Guida Winemag 2025 – Top 100 milgiori vini italiani. Un nome di fantasia che è sinonimo di “confine”. Esattamente come in una poesia di Montale, questo è un vino che sta “sulla soglia” e che ha permesso di varcare il confine e di andare oltre il biologico, guardando al futuro. Denominazione: Venezia Giulia Igt 2022. Uve: Soreli, varietà Piwi resistente alle malattie fungine della vite.

In cantina: sulle fecce fini per circa sei mesi con frequenti bâtonnageDegustazione: Vino dal colore giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso presenta note di miele e frutta esotica. Vino strutturato dalla lunga persistenza aromatica, lascia in bocca un piacevole retrogusto di menta. Si accompagna a primi piatti di pesce, formaggi e ricette di carni bianche. Gradazione: 14% vol. Servizio: 12-14° gradi.

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Terre d’Oltrepò espelle alcuni soci: «Hanno conferito ad altre cantine»


Terre d’Oltrepò
ha avviato il processo di esclusione di alcuni soci morosi o in conflitto con l’obbligo di conferimento esclusivo di tutte le uve della propria azienda agricola alla cooperativa Tdo. Lo avrebbe annunciato in una lettera il direttore generale, Umberto Callegari. Senza mezzi termini, verrebbe definito «doloso e ingiustificato» il mancato conferimento a Terre d’Oltrepò della produzione delle uve della vendemmia 2024, tra le più scarse di sempre in Oltrepò pavese. In primo piano
il sospetto che alcuni soci abbiano deliberatamente scelto di non conferire le uve allo stabilimento di Santa Maria della Versa, ben al di là delle difficoltà legate all’andamento climatico dell’annata, che ha decimato le rese.

Secondo Terre d’Oltrepò, che già ad agosto aveva proclamato «tolleranza zero per disonesti e sparlatori», si configurerebbe così lo svolgimento di attività in concorrenza con la cooperativa, in ragione del conferimento integrale delle uve prodotte ad altre cantine. Accuse pesantissime, che porterebbero il management di Terre d’Oltrepò alla decisione di escludere i soci dalla società, con decorrenza immediata. Una burrasca che, insieme alle continue «critiche ingiustificate» all’operato della dirigenza, avrebbe anche portato Callegari a minacciare di rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa. Con conseguente richiesta della penale per violazione del patto di stabilità e la proposizione di azioni individuali risarcitorie nei confronti di alcuni membri della cooperativa.

BILANCIO TERRE D’OLTREPÒ IN DISCUSSIONE

Intanto, nel pavese, montano le polemiche attorno al bilancio di esercizio di Terre d’Oltrepò, chiuso il 30 giugno 2024 e in dirittura di essere presentato ai soci (e approvato), nell’assemblea generale convocata per il 5 novembre. Secondo il ceo Umberto Callegari, i numeri dimostrerebbero un significativo progresso delle performance dell’azienda, confermano le previsioni nonostante un calo strutturale di tutto il mercato dei vini rossi di circa il 40%. L’azienda ha mantenuto le valutazioni più alte del territorio e previste senza alcun accesso al credito bancario per pagare le uve e ha distribuito oltre 15 milioni di euro ai soci per le uve conferite, senza procedere ad alcun aumento di capitale.

Molto più cauti alcuni soci, che si sono rivolti al collegio sindacale di Terre d’Oltrepò, dopo aver chiesto ad alcuni professionisti di fiducia un parere sui bilanci di esercizio precedenti. «Essendo assai preoccupati per l’attuale andamento della nostra cooperativa, che ci pare incontrare sempre maggiori difficoltà e ritardi nella remunerazione delle uve conferite dai soci – si legge nella missiva – abbiamo recentemente chiesto di esaminare l’ultimo bilancio d’esercizio disponibile al pubblico, quello chiuso al 30/06/2023, predisposto dal Consiglio di Amministrazione ed approvato dall’Assemblea dei Soci in data 06/11/2023, e di confrontarlo con quelli degli esercizi precedenti. Da tale comparazione, a parere dei nostri consulenti, sono emersi taluni aspetti critici che trovano le proprie radici tanto nelle decisioni gestionali degli esercizi precedenti quanto in quelle in corso di esecuzione».

CDA TERRE D’OLTREPÒ: ANCHE GIUDITTA BRANDOLINI RASSEGNA LE DIMISSIONI

I dettagli saranno discussi durante l’assemblea generale del 5 novembre. Non sarà presente, tra i consiglieri, Giuditta Brandolini, ultimo membro del consiglio di amministrazione di Terre d’Oltrepò a rassegnare le dimissioni. Una decisione, quella della responsabile Accoglienza di Tenuta Mazzolino, formalizzata lo scorso mercoledì. Le sue dimissioni dal cda di Terre d’Oltrepò seguono quelle di Gabriele Faravelli, Michele Vitali, Giulio Romanini e Alessandro Fiamberti. Tanto che all’ordine del giorno della prossima assemblea c’è anche l’approvazione della delibera di ratifica della nomina dei consiglieri cooptati, che andranno a sostituire i cinque consiglieri dimissionari.

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Leonardo Palumbo nuovo vicepresidente dell’Union Internationale des Oenologues


Parla sempre più italiano la l’Unione internazionale degli enologi. Leonardo Palumbo è stato infatti nominato vicepresidente dell’Union Internationale des Oenologues, che riunisce le sedici associazioni nazionali di enologi ed enotecnici di Germania, Argentina, Austria, Brasile, Canada, Cile, Croazia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Giappone, Portogallo, Slovenia, Svizzera e Uruguay. Palumbo, direttore tecnico della cantina pugliese Torrevento, già presidente della sezione Puglia-Basiliata-Calabria di Assoenologi e per molti mandati consigliere nazionale di Assoenologi, ricoprirà l’incarico insieme a Didier Fages. L’attuale presidente dell’Union Internationale des Oenologues è Emilio Renato Defilippi (Italia). Al suo fianco Pierre-Louise Teissedre (Francia) e Santi Jordin (Spagna).

I presidenti emeriti sono Riccardo Cotarella, Serge Dubois ed Edmund Diesler. L’Union Internationale des Oenologues è nata a Milano nel 1965, a fronte della «necessità di contatti sempre maggiori tra categorie di paesi diversi, la consapevolezza del ruolo crescente che l’enologo stava acquisendo e l’importanza che la categoria assumeva per il costante miglioramento e progresso del settore». La fondazione si deve a Gabriel Humeau, presidente dell’Unione degli Enologi francesi, deciso a riunire a livello mondiale le associazioni degli enologi e degli enotecnici.

L’UNION INTERNATIONALE DES OENOLOGUES

Un’idea che fu accolta molto favorevolmente da Antonio Carpenè, allora presidente di Assoenologi, che si è subito dichiarato disponibile a collaborare alla sua realizzazione. Il progetto di costituzione dell’Unione Internazionale degli Enologi fu presentato e discusso nel corso di due incontri svoltisi a Narbonne (Francia) e Madrid (Spagna), nel 1964, alla presenza di delegati dell’Argentina, del Cile, della Spagna, degli Stati Uniti, Francia, Italia e Portogallo. In quell’occasione furono redatti l’atto costitutivo e il programma operativo del nuovo organismo.

L’Unione Internazionale degli Enologi è stata quindi ufficialmente fondata a Milano, il 24 aprile 1965, dopo l’approvazione dello statuto sociale. Le associazioni fondatrici sono state quelle di Argentina, Cile, Spagna, Francia, Italia e Portogallo. Il primo presidente dell’Union Internationale des Oenologues fu Gabriel Humeau. Vicepresidente Antonio Carpenè e carica di segretario generale affidata allo spagnolo Luis Albalate. La sede dell’Uioe. si trova a Parigi e ha due sedi ausiliarie: Madrid e Milano. Gli obiettivi di ieri sono ancora oggi riportati nello Statuto dell’Unione.

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Sei cantine italiane in vendita: ecco quali


«Riparte il valzer delle acquisizioni tra le cantine italiane». Come riportato dal Sole 24 Ore, sei cantine italiane sarebbero in vendita. Le recenti riduzioni del costo del denaro stanno favorendo una nuova campagna di acquisizioni in tutto il Paese, da Nord a Sud, con un crescente interesse per le realtà vinicole di alta qualità e forte identità territoriale. Mentre il mercato del vino fermo di fascia media mostra segnali di difficoltà nei consumi, gli spumanti e le bottiglie provenienti da aree a denominazione, con un posizionamento medio-alto, continuano a suscitare grande appeal tra gli investitori.

CASTELLO DI NEIVE IN VENDITA?

Tra le aree di maggiore interesse spiccano le Langhe, dove tornano a circolare voci su un possibile cambio di proprietà del Castello di Neive, storica cantina del Barbaresco. Nei mesi scorsi si era già parlato di un interesse da parte della cantina Argiano di Montalcino, ma di recente sarebbero emersi nuovi potenziali acquirenti. Tuttavia, la situazione interna dell’azienda risulta complicata, con Carolina Stupino, erede del fondatore, pronta a vendere, ma sarebbe – sempre secondo Il Sole 24 Ore – in contrasto con un altro azionista di rilievo, il finanziere greco Giorgio Psacharopulo, titolare del 30% delle quote. Le prossime settimane saranno decisive per capire se verrà raggiunto un accordo tra i soci.

ZENATO NEL MIRINO DI SANTA MARGHERITA, FERRARI E FANTINI GROUP?

Cantine italiane in vendita anche in Valpolicella, altra denominazione di grande prestigio nel mirino degli investitori. La cantina Zenato, noto marchio del vino italiano grazie a prodotti come Amarone, Ripasso della Valpolicella e Lugana, sarebbe nel mirino di diversi pretendenti. Nonostante un apparente accordo interno che ha portato alla nomina di Lorenzo Miollo come amministratore, proseguono incontri sottotraccia con grandi gruppi vinicoli italiani, tra cui Santa Margherita Gruppo Vinicolo, Cantine Ferrari e Fantini Group. Zenato rappresenta un brand di notevole valore, capace di attirare l’interesse di molti per la sua forza commerciale e la solidità dei suoi prodotti.

QUADRA FRANCIACORTA E MIRABELLA SUL MERCATO?

Non meno dinamica è la situazione in Franciacorta, dove alcune cantine potrebbero presto cambiare proprietà, spinte dalle difficoltà nel passaggio generazionale. È il caso di Quadra Franciacorta, azienda sul mercato per mancanza di eredi pronti a succedere al fondatore Ugo Ghezzi, e che sembra aver attirato l’interesse del Gruppo Unipol, già presente nel settore vinicolo con diverse realtà in Toscana e Umbria. Si confermerebbe coì difficilissimo, a Quadra, sostituire Mario Falcetti. Anche la cantina Mirabella potrebbe finire sul mercato, con il socio Giuseppe Chitarra intenzionato a cedere il suo 24%, nonostante l’opposizione della famiglia fondatrice Schiavi e di altri azionisti di rilievo.

VARVAGLIONE COMPRA CLAUDIO QUARTA? RUMORS SU CONTE SPAGNOLETTI ZEULI

Sul fronte delle cantine italiane in vendita, il Sud Italia non resterebbe escluso. In Puglia, la famiglia Varvaglione sarebbe vicina all’acquisto delle tre cantine di Claudio Quarta, due delle quali situate in Salento e una in Irpinia. Si tratta di Tenute Eméra, nelle terre del Primitivo di Manduria (Marina Di Lizzano, Taranto), Cantina Moros nella zona del Negroamaro (Guagnano, Lecce) e Cantina Sanpaolo, nel cuore dell’Irpinia (Tufo, Avellino).

Non resterebbe indenne dalla girandola di interessi e potenziali cambi di proprietà la Murgia. Sempre secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore, l’azienda e i vigneti di proprietà del Conte Spagnoletti Zeuli, ad Andria (Tenuta Zagaria e Tenuta San Domenico) potrebbero passare nelle mani di Casillo Group, nota nel settore agroalimentare per marchi come Molino Casillo e Birra Molina. Anche in questo caso, le trattative sarebbe vicine a una conclusione.

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La lezione di Jac


Jac
 come Jacopo (Di Battista). Diminutivo, non acronimo: chi si aspetta Just another cabernet, insomma, sbaglia due volte. Si chiama così l’ultimo vino della cantina Querceto di Castellina. Un Toscana Igt Cabernet Franc 2021 con cui l’azienda agricola bio di Castellina in Chianti (Siena) si proietta fuori dalla dimensione del Gallo Nero in cui ha già dimostrato di saper eccellere, con il Chianti Classico Gran Selezione “Sei” (vero capolavoro, di annata in annata).

Jac, sì. Tre lettere e una dedica personale, che Jacopo Di Battista si regala subito dopo il giro di boa dei 25 anni di Querceto. Come a voler provare d’essere maturo. D’essere cresciuto, esorcizzando quel nomignolo, Jac, che gli veniva affibbiato dagli amici, da ragazzino. D’esser pronto a spingersi oltre. Misurandosi con i grandissimi (toscani e non solo) che già interpretano il Cabernet Franc in purezza. Un vino, Jac, che è prima di tutto coraggioso e sfidante.

JAC CABERNET FRANC: IL NUOVO VINO DI QUERCETO DI CASTELLINA

Di fatto sbaglia, assai, chi cerca analogie. Jac non è come gli altri toscani. Non è come i Franc della Loira: non è né léger, né complexe. E non è neppure come i francesi di Bordeaux, il territorio “galeotto” che diede a Jacopo Di Battista, agli inizi degli anni Duemila, l’idea di produrre un Cabernet Franc in purezza a Castellina in Chianti, divenuta realtà oltre 20 anni dopo, reinnestando la varietà su 3 mila ceppi di un vigneto di oltre 10 anni. Cos’è, allora, Jac? Se stesso e basta. Un vino che ti sbatte in faccia la propria unicità, un secondo prima d’iniziare a farti pensare a qualsiasi paragone.

Illude, è vero, quel gran bel frutto che si presenta al naso, più sulla bacca rossa croccante, che nera. Illude pure quella bella speziatura candida, elegantissima, in sottofondo. Cosa sarà? Chi sarà il modello? Il palato non mente. Porta dritto in azienda, a Castellina in Chianti. Alla verticalità e alla tensione acida che contraddistingue tutti i vini di Querceto e la mano (leggera, dosatissima) dell’enologa Gioia Cresti, capace di restituire nel calice le specificità dei terreni al confine esatto con Radda.

L’ETICHETTA DI JAC

Jac è tutto tranne che qualcun altro. È un Cabernet Franc divisivo, che può piacere tanto quanto deludere nell’annata specifica (la 2021, prima annata ufficiale), proprio per quel suo essere carico d’aspettative tradite dall’impossibilità d’un assonanza. Jac è se stesso. Il via libera a una nuova frontiera per i vigneti “d’altitudine” del Chianti Classico, al di là del Sangiovese? Un Franc quasi “di montagna”, lontano dalle logiche e dai cliché sul vitigno. Quasi sottile, per quel tannino fitto che non sembra trovare il giusto contraltare nella polpa, al di là della spiccata gioventù attuale.

Eppure bello da bere, nel suo essere fresco e rusticamente raffinato. Ossimori che si riflettono persino sull’etichetta realizzata «dopo quasi un anno di ricerca» dallo studio milanese Aldo Segat & Partners. C’è chi ci vede un soffice grappolo d’uva; chi una sequenza d’acini (di Franc?) maturi. E chi, giustamente, la stilizzazione di un motore V8 cilindri, a sintetizzare la grande passione di Jacopo Di Battista per le auto e i motori. Cosa s’era detto? Tutto tranne che Just another cabernet, il buon Jac. Sin dall’etichetta.

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Oltrepò, senti il sommelier stellato: «Vini top ma listini troppo bassi. Serve più squadra»


Classe 1989. Romagnolo d’origine. In giro per lo stivale ormai da 6 anni. Luca Giuliano Salvigni è il sommelier dell’unico ristorante stellato dell’Oltrepò pavese, nonché uno dei due stellati dell’intera provincia di Pavia: il Villa Naj di Stradella. Numeri da capogiro per la carta vini: circa 400 etichette, che la “Rossa” sintetizza come «un’approfondita selezione di bollicine locali e francesi e un’ottima scelta di Marsala». «
Vengo da una famiglia di ristoratori, mamma e babbo sono entrambi chef», racconta Salvigni a Winemag. Un’intervista esclusiva che abbraccia la sfera professionale del 35enne sommelier, ma soprattutto riguarda il futuro del vino dell’Oltrepò pavese.

Luca Giuliano Salvigni, sommelier dello stellato Villa Naj. Quali sono le tappe che ti hanno portato in Oltrepò pavese?

Sostanzialmente ho seguito le orme dei miei genitori, innamorandomi della sala. Tant’è che il primo piatto in sala l’ho portato a 4 anni, durante la cena per la comunione di mia sorella. Nonostante gli studi informatici, sentivo che comunque la mia strada era nei ristoranti. Così, tra le stagioni estive – che in Romagna vogliono dire o bagnino al mare o ristorazione – durante gli studi e le esperienze nei locali come primi lavori, ho preso in gestione il mio primo ristorante nel 2012, con mia sorella. Ristorante che abbiamo tenuto fino al 2018, quando mi sono trasferito a Milano, chiamato da Felix Lo Basso per gestire la sala del suo ristorante stellato, in Duomo.

Terminata quell’esperienza, ho fatto consulenze un anno in Piemonte, durante la pandemia, per poi approdare a maggio 2021 a Stradella, chiamato da Lella e Marco Viglini per seguire la Cantina del loro ristorante e mia attuale casa, Villa Naj. Negli anni ho seguito il percorso Ais e Wset. Sono sempre stato curioso nella vita e nelle due formazioni ho trovato metodo ed ispirazione per le mie ricerche e l’accrescimento culturale. Non mi sento mai arrivato e son sempre alla ricerca di qualcosa che non conosco.

Chi sono, oggi, i clienti di Villa Naj?

Non essendo in una località turistica, lavoriamo quasi esclusivamente con clientela nazionale. Qualche tavolo estero al mese c’è, con Svizzera e Francia in testa sul fronte della provenienza. Abbiamo tanta clientela lombarda, ma la cosa che ci rende molto orgogliosi è vedere sempre più clienti che si fanno anche due ore di viaggio per venirci a trovare. L’altra cosa che notiamo è tanta clientela “fidelizzata”. Clienti che tornano più volte durante l’anno, tanto da considerarli ormai amici, più che clienti. L’età media, ultimamente, si sta abbassando tanto. Vediamo tanti giovani e giovanissimi approcciarsi al fine dining, che è una notizia bellissima per la ristorazione “gourmet”. Vuol dire che c’è voglia di scoprire, di fare un’esperienza. Voglia di conoscenza.

Con quanta probabilità i clienti chiedono una bottiglia di vino, un calice o un percorso di abbinamento cibo-vino a Villa Naj?

Quello che ho notato in questi tre anni e mezzo a Villa Naj è che nella clientela cresce sempre più la voglia e la curiosità del menù degustazione (90% della scelta) e di affidarsi a me nel percorso di abbinamento cibo-vino, che oramai copre il 60% delle comande. In ogni caso, la parte restante, difficilmente guarda la carta dei vini. Si affida piuttosto a me per la scelta della bottiglia.

Parliamo appunto della carta vini di Villa Naj: quali sono le linee guida?

La mia carta è molto variabile. Attualmente ho circa 400 etichette divise fra locale (Oltrepò pavese), nazionale ed estero. Ho cercato di aver zone più “classiche”, ma anche zone in Italia e nel mondo più particolari, sconosciute, per far divertire ed emozionare i clienti, con vini che meriterebbero più visibilità per qualità e territorialità. Quello che cerco in un vino è il suo carattere. Il calice mi deve raccontare chi è, il territorio, mi deve raccontare dell’amore e dei sogni di chi quel vino l’ha prodotto. Amo la storytelling e, tendenzialmente, ho conosciuto di persona tutti i produttori dei vini che ho in carta. Amo raccontare proprio quello, il “backstage” del vino.

E restringendo il campo all’Oltrepò pavese?

Per quanto riguarda  l’Oltrepò pavese, ho scelto una settantina di referenze tra bolle, bianche e rossi. Sono le etichette che ritengo dare una grande espressione del territorio. Oltre a questo, sono tutti produttori che in qualche modo sono legati alla mia “storia” nella sommellerie. Non ho comunque limiti, se mi innamoro di un prodotto, di uno stile o di una storia, se supportati dalla qualità, lo spazio in carta c’è sempre.

Come è cambiata negli anni, se è cambiata, la tua selezione Oltrepò? Su che direttive ti sei mosso?

Quando sono arrivato da Villa Naj c’era una carta veramente ampia dell’Oltrepò. Negli anni ammetto di averla ridotta. Non per una questione di qualità, ma per una questione di feeling con stili e idee.

Proporre vini dell’Oltrepò pavese alla clientela di Villa Naj è complicato?

Nessun problema nel proporre il nostro territorio, anzi. Parto sempre consigliando un “tour” locale. Avendo tanta clientela che viene da fuori, credo sia parte del mio ruolo quello di far conoscere un territorio che non ha da invidiare niente a nessuno. Mettendoci la faccia in prima persona, anche i clienti più diffidenti alla fine rimangono colpiti. Poi, certo, se un cliente mi chiede di muoversi dall’Oltrepò, allora andiamo insieme ad esplorare altre zone.

La clientela conosce i vini dell’Oltrepò?

La clientela è sempre più informata e sempre più curiosa. Quindi sì, conosce già qualcosa in Oltrepò, cosa che ritengo essere sempre positiva. Magari conoscono le etichette più famose o più presenti nel territorio nazionale, ma le persone stanno iniziando a capire che non solo in Oltrepò si fa vino, ma che si fa anche vino di alta qualità.

Qual è la tua opinione sulla zona? Punti di forza, debolezze?

La zona non avrebbe da invidiare niente alle zone più blasonate. Ha colline splendide, scorci bellissimi, ha varietà di climi e terreni, ha tanti produttori con una gran mano. Quello che manca, forse, è un’idea comune per venire fuori, per farsi conoscere veramente per quello che questo territorio è. Manca una rete vera e delle strutture per l’hospitality, per fare arrivare gli enoturisti e far loro conoscere questo territorio. E far conoscere questa zona al di fuori, per la qualità che ha.

Qual è la tua opinione sulla qualità media dei vini dell’Oltrepò pavese?

Ogni anno che passa la qualità media migliora. Anche quest’anno ho assaggiato calici ai vertici dell’enologia nazionale. Hanno tanta potenzialità non ancora sfruttata al massimo. E questo è un segnale forte di dove possono arrivare i vini.

Quali sono le tipologie che, a tuo avviso, possono aiutare il territorio ad affermarsi?

L’Oltrepò pavese è la terza zona al mondo per produzione di Pinot Nero di qualità. Questo basta, secondo me, per capire quale sia la cosa su cui puntare per farsi conoscere al mondo. Ritengo che l’Oltrepò meriti di essere considerata la “Bollicina d’Italia”. Non che le altre zone spumantistiche italiane non meritino, o non abbiano la qualità. Ma qui c’è qualcosa in più, oltre al fatto che il Pinot Nero vinificato in rosso incontra molto i gusti dei consumatori attuali, nelle tavole di casa e nei locali. C’è questa fortuna di avere questo vitigno e di saperlo lavorare. Bisogna continuare su questa strada.

Il vino dell’Oltrepò molto “battuto” anche dalla Grande distribuzione organizzata: qual è la tua opinione a riguardo?

La Gdo ha fatto fortune con territori come l’Oltrepò, perché ci sono esigenze diverse di clienti diversi. Il problema è che se non hai un territorio forte nel comunicare che in zona si fanno sì vini da 3 o 4 euro a scaffale, ma soprattutto una viticoltura di altissima qualità, ti trovi ad essere considerato una grande vasca da sfuso. E non passa quello che sei, in realtà Ti ritrovi ad essere la zona dei vini da tavola dove si spende poco.

Con estrema franchezza, come piace a me: i listini delle cantine oltrepadane da te selezionate sono conformi alla qualità del prodotto, o il “rapporto qualità prezzo” è sbilanciato anche nell’Horeca?

Questo è un problema enorme in Oltrepò, ne parlo spesso con le cantine quando ci incrociamo. I listini delle cantine sono troppo bassi. Ho trovato prodotti pazzeschi sotto i 7 euro ivati. Vini che, in altre zone, sarebbero venduti ad almeno il doppio. Secondo me, facendo così, si svaluta il proprio lavoro e la propria qualità. Ma capisco anche che si venga da un passato in cui c’era la guerra del prezzo. E ci vuol tempo ad invertire la rotta.

Il nodo dei listini e dei prezzi è centrale, a mio avviso. Mi risulta che ci siano diverse cantine oltrepadane che vendono vini a prezzi molto aggressivi. E non mi riferisco agli imbottigliatori e alle cooperative, ma soprattutto a cantine medio-piccole. Perché, a tuo avviso, l’Oltrepò pavese non riesce ad affermarsi e a costruire vero “valore comune” attorno alle proprie produzioni, preferendo troppo spesso “svendere” a “vendere”? Di chi è la responsabilità? Come risolvere questo problema, che interessa in maniera preoccupante anche le nuove generazioni di produttori pavesi?

Come dicevo prima, se tu costruisci negli anni (involontariamente) la tua immagine come “la terra dei vini da poco” non è semplice cambiare il percepito. La responsabilità è di tutti, dai produttori di uva all’ultimo dei sommelier e dei vari comunicatori di vino. Non è giusto attribuirle le colpe a qualcuno in particolare. La colpa è comune. Bisogna invece cercare il modo per invertire questo trend. E lo si inverte facendo rete, facendo squadra in maniera seria, vera e collaborativa. E facendolo su tutta la linea. Ognuno deve fare il proprio. Ci vorranno anni, ma son sicuro che prima o poi, e spero molto “prima”, il mondo capirà quale tesoro vitivinicolo c’è qui.

Vedi dunque un futuro roseo per l’Oltrepò pavese del vino, della ristorazione e dell’alta ristorazione?

Ogni giorno che passa l’Oltrepò cresce. E credo che lo farà per tanto. Poi, per quanto in alto arriverà, bisognerà vedere quanta squadra sarà in grado di fare.

Per costruire un’identità di territorio occorrono una base solida e idee chiare. Se potessi costruire una ideale “piramide della qualità” del vino dell’Oltrepò, quali tipologie di vino inseriresti dai vertici alla base? Punteresti più sul nome delle varietà o su quello del territorio?

Io sono sempre dell’idea che sia il territorio che deve venire fuori, non la varietà. Guardiamo le zone più importanti d’Italia: leggi Barolo e sai che è Nebbiolo; leggi Brunello e sai che è Sangiovese. Anche al sud è cosi. Bisogna arrivare a leggere Oltrepò e sapere che è Pinot Nero, sia che parliamo di bollicine, sia che parliamo di rosso, senza scriverlo in etichetta. Se parlassimo di bianco, vorrei leggere Oltrepò e che tutti sapessero che si parla di Riesling. Penso che prima di parlare di “piramidi di qualità” bisognerebbe insegnare al mondo questo. Le piramidi vengono di conseguenza.

Domanda da grande appassionato di Riesling italico internazionale: cosa pensi dell’espressione di questa varietà in Oltrepò pavese? Non pensi che sia arrivato il momento di fare chiarezza, nei disciplinari, tra “Riesling italico” e “Riesling renano”, dal momento che la maggior parte degli ettari presenti in Oltrepò sono  di “Italico” (oltre 1.200) e che la quota di “Renano” è pari a circa a un terzo?

Penso che il Riesling sia il grande bianco in Oltrepò e ci sono espressioni splendide. Andrebbero valorizzate le due varietà per quello che sono, valorizzandone la vigna e la tipicità nel territorio, senza confronti d’Oltralpe. Dei Renani dell’Oltrepò, quello che amo è la capacita di beva e di essere immediato. Amo la nota agrumata e piacevole dei renani giovani e la sapidità dei Renani pi evoluti fatti, soprattutto, ad Oliva Gessi. Trovo il Renano oltrepadano estremamente sottile. Mentre dell’Italico amo la freschezza, che mantiene per tanti anni. L’Italico meriterebbe più spazio. Da qualche tempo ho in mente un’idea, ma per ora non posso svelare nulla!

Abbiamo dimenticato qualche tematica a te cara?

Abbiamo parlato di Pinot nero, di Renano ed Italico. Ma vorrei ricordare a tutti un altro vino enorme dell’Oltrepò: non dimentichiamoci mai del Buttafuoco! Negli anni, i produttori, soprattutto sullo storico, hanno portato tanta eleganza e tanta modernità su un vino enorme come struttura e potenza. Questo è il vino che l’Oltrepò non deve mai dimenticare, perché è una chicca che abbiamo in Italia e di cui dobbiamo sempre parlare.

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