Nel cuore di Casal Di Principe , su terreni confiscati alla Camorra, da alcuni anni è attiva una cantina che fa del vitigno autoctono campano Asprinio la sua mission. Si tratta di Vitematta, guidata dalla famiglia di Vincenzo Letizia. Gli ettari complessivi sono circa 20, di cui 7 vitati. I vigneti si trovano anche a Villa Literno e Santa Maria La Fossa, oltre che nel Comune tristemente noto per le vicende mafiose. Gli altri tredici ettari sono gestiti dalla Cooperativa Eureka, che qui qui coltiva albicocche, pesche, mele annurche e prugne e vendute a “Chilometro zero”.
“Vitematta” ha alcune peculiarità che la contraddistinguono e che la fanno emergere nel panorama italiano. In primo luogo la coltivazione quasi esclusiva dell’Asprinio. Buona parte dei vini sono ottenuti da uve cresciute sulle secolari “alberate”: la vite si arrampica sino a 12 metri di altezza su intricati cavi d’acciaio, tirati tra un pioppo secolare e l’altro. La parete di foglie e di grappoli deve essere lavorata e vendemmiata con l’ausilio di strettissime scalette appoggiate ai cavi. Un’impresa non facile, ma molto suggestiva che viene svolta secondo la tradizione.
«Perché coltiviamo quasi esclusivamente Asprinio? Perché vogliamo preservare la tradizione – risponde Vincenzo Letizia – e per dare uno spunto al nostro territorio. Noi vogliamo che la zona di Casal di Principe e Villa Literno siano caratterizzate dall’Asprinio, vitigno non molto utilizzato in precedenza, ma molto versatile. Con questo vitigno si possono infatti produrre, oltre ai vini bianchi, anche spumanti, passito e grappa».
VINO E FRUTTA SUI TERRENI CONFISCATI ALLA MAFIA
Il valore aggiunto dei vini di Vitematta va ben oltre le sensazioni regalate da un calice di vino. La produzione di Asprinio nasce su due terreni confiscati alla Camorra nel territorio di Casal Di Principe. I vigneti sono stati affidati nel 2009 alla Cooperativa Eureka, creatrice di Vitematta, cooperativa sociale mista A/B aderente al Consorzio di cooperative sociali N.C.O. – Nuova Cooperazione Organizzata. Su questi terreni Eureka ha dato vita al Centro di agricoltura sociale “Antonio di Bona”, agricoltore di Casal Di Principe, vittima della Camorra.
Cogliendo la sfida del riutilizzo sociale e produttivo dei beni confiscati alle mafie, la cooperativa include nel suo team persone svantaggiate con problemi di salute mentale ed ex detenuti. Il fine è quello di contribuire al loro percorso di emancipazione e recupero. Paola D’Angelo è la collaboratrice di Letizia, responsabile della cooperativa Eureka che racconta così il progetto: «In cantina operano attualmente una decina di ragazzi, alcuni di questi assegnatici dal magistrato e che scontano la loro pena carceraria lavorando nella nostra struttura. Gli altri invece hanno problematiche psichiche e il loro impegno è davvero encomiabile. La nostra collaborazione con “Vitematta” è notevole, siamo molto orgogliosi di questa esperienza»,
Il nostro scopo è di portare avanti un’attività che non sia assistita da soldi pubblici – chiosa Vincenzo Letizia – ma che possa mantenersi con un’adeguata gestione imprenditoriale. Ed è proprio questa mentalità che noi perseguiamo. Vogliamo abbinare la qualità dei nostri prodotti, tenendo in vita la tradizione ancestrale dell’Asprinio ad una efficace mentalità imprenditoriale che possa attecchire ed emergere adeguatamente. Il tutto per rendere un favore al nostro territorio, che deve essere caratterizzato e individuato per la qualità dei suoi prodotti».
I VINI DI VITEMATTA: TUTTE LE SFUMATURE DELL’ASPRINIO
I vini di Vitematta, prima di essere imbottigliati, affinano nelle tipiche grotte secolari dell’Agro Aversano, scavate nel tufo. Così acquisiscono quel sapore marcatamente mediterraneo, leggermente aspro ma elegante, piacevole, schietto e autentico. L’Asprinio Doc Aversa 2021si presenta con un color oro molto intenso e con profumi che ricordano la frutta fresca. Al palato è fresco e gentile, ha un poco d’asprezza nel retrogusto, ma nel complesso è decisamente piacevole.
“Principe“, lo spumante Metodo classico di Vitematta, ha una produzione limitata di circa 6 mila bottiglie. Asprinio in purezza, trascorre 24 mesi sui lieviti. Viene realizzato interamente in cantina, con il metodo caro allo Champagne. Le bottiglie sono impilate sulle pupitres e gli addetti se ne occupano ogni giorno. Nessun giro pallets automatico per questa limitatissima e splendida produzione, che si presenta al calice con un colore giallo molto intenso e alla bocca con il classico aroma di crosta di pane al quale si unisce una particolarità leggermente asprigna, tipica del vitigno.
“Marhitate” è invece il Metodo italiano / Charmat di Vitrematta (la tecnica con la quale si ottiene, per esempio, il Prosecco), che conta invece su una produzione più consistente, circa 50 mila bottiglie. Il mosto trascorre quattro mesi in autoclave e il risultato è sorprendente. Il colore è giallo paglierino, più scarico del metodo classico “Principe”. Al palato sorprendono i sapori fruttati che quasi nascondono l’aspro del vitigno base. Ottimo come apritivo.
“Edonè” è il passito di Vitematta, ennesimo vino sorprendente e più che mai convincente. Alla vista si presenta di un bel giallo paglierino e al naso e in bocca scatena intensi ricordi di mandorla e miele. Un vino elegante, non certo sulla scia dei passiti “chiassosi” e stancanti. Il residuo zuccherino è molto ben bilanciato, tanto da consentirne una beva agile. Un vino dolce molto indicato per l’abbinamento con formaggi e pasticceria.
Vitematta Cantine
Via Treviso, I Traversa 81033 Casal di Principe (Caserta) info@vitematta.it +39 081 892 3880
Giornalista, ex direttore di giornali e riviste, autore di due libri, blogger, sommelier e da qualche anno viticoltore sulle colline di San Colombano al Lambro. I miei interessi sono focalizzati sul mondo del vino e del buon cibo. Proprio per questo motivo presto molta attenzione ai giusti abbinamenti.
Tokaj Gin. Non si tratta di un falso, è tutto legale. A produrlo è Seven Hills Distillery, riaprendo così – in qualche modo, seppur indirettamente – la ferita con il Friuli Venezia Giulia, a cui l’Ue ha impedito di poter chiamare “Tocai” l’uva rinominata obbligatoriamente “Friulano” dal 2007, così come il vino da essa ottenuto. Il nome della municipalità a cui deve il nome la nota regione vinicola ungherese (“Tokaj”, senza la “i” finale) campeggia in bella vista sull’etichetta del distillato.
«Tokaj Gin – si legge peraltro nella descrizione del prodotto – crea una perfetta armonia tra i profumi legnosi e floreali delle foreste e dei campi dei monti Zemplén utilizzando 21 spezie speciali, integrando agrumi e uno degli ingredienti fondamentali del Tokaji Aszú: l’uva Hárslevelű». L’avallo delle autorità ungheresi all’utilizzo del nome “Tokaj” sul Gin di Seven Hills Distillery è dunque generalizzato. Alla casa produttrice viene addirittura concessa la possibilità di menzione il “Tokaji Aszú” – vino dolce di punta della regione vinicola magiara – nella descrizione del prodotto, come evidente dal sito ufficiale della distilleria.
Oltre a fare a pugni con la decisione Ue relativa al “Tocai” friulano, il Tokaj Gin conferma le difficoltà della regione vinicola ungherese. Tokaji sta infatti attraversando quello che è forse il periodo più complicato della sua gloriosissima storia. La crisi internazionale dei consumi dei vini dolci ha investito in pieno i produttori locali e sta convincendo sempre più cantine a dedicarsi alla produzione di vini secchi (peraltro con ottimi risultati). Meno deciso, ma comunque da segnalare fra i trend della regione, il lancio di nuovi spumanti, ottenuti dalle varietà Furmint e Hárslevelű, le stesse uve alla base della produzione degli prestigiosi Aszú.
IL TOKAJ GIN DOPO LE LATTINE “MAD”
Ecco infine un Gin, a mescolare ulteriormente le carte in una regione vinicola dotata – già di per sé – di una piramide qualitativa di difficile comprensione all’estero, oltre che tra gli stessi consumatori magiari. Quello del Tokaj Gin è peraltro il secondo caso di menzione in etichetta di uno dei toponimi di quest’angolo di Ungheria. Nel periodo della pandemia, una cantina locale ha infatti lanciato sul mercato degli spritzer con la scritta “Mad“, senza colpo ferire da parte del Consorzio vini di Tokaji (Mad è appunto il nome di una delle sottozone della nota regione vinicola ungherese).
«Sul mercato – sottolinea a winemag.it Tobias Gorn, cofondatore di International Drinks Specialists, società di consulenza del settore Spirits con sede in Inghilterra – è presente qualche gin proveniente da regioni vinicole che utilizza il nome di un loro vino d’origine. Un esempio è il Bordeaux Distillers Rivington Gin. Alcuni potrebbero trovare ambigui o addirittura fuorvianti prodotti come questo o il Seven Hills Tokaj Gin. È bello vedere questi esempi, che non ritengo personalmente fuorvianti, ma sarebbe altrettanto importante distinguere questi prodotti dalla denominazione originale del vino».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Contrariamente a quanto affermato dai politici italiani e, a ruota, dall’industria del vino italiano, non è ancora detta l’ultima parola sulla querelle che vede contrapposto il Prosecco al vino dolce croato Prošek, prodotto dalla notte dei tempi in Dalmazia in quantità limitatissime. Una guerra che l’Italia sta combattendo con grande veemenza, ma al suono della vigliacca menzogna che vorrebbe ridurre il Prošek a un’imitazione del Prosecco: una presunta «minaccia al Made in Italy» che, in realtà, non esiste. Così come sono di cartapesta i tanti paladini dell’Italia scesi in campo negli ultimi anni, su questo fronte.
In particolare, a scagliarsi contro i proclami arrivati nei giorni scorsi da Strasburgo, è l’europarlamentare croato Tonino Picula. L’esponente del Socijaldemokratska partija Hrvatske invita l’Italia alla cautela, attraverso un commento inviato in esclusiva a winemag.it, da Zagabria. «È sempre deplorevole – attacca Tonino Picula – quando le interpretazioni dei testi giuridici vengono distorte da velleità politiche. Mi rattrista che i miei colleghi italiani, in particolare il signor Paolo De Castro, rifiutino continuamente di impegnarsi in discussioni concrete e significative con argomenti basati sulla realtà. Al contrario, sacrificano le nostre buone relazioni per presentarsi come combattenti per la “causa nazionale”. Trovo che questo approccio sia vuoto e non colga nel segno».
DIFESA DEL MADE IN ITALY? UN PRETESTO
Il presunto affossamento dello storico vino dolce croato Prošek, tacciato di essere un’imitazione del Prosecco, è dunque frutto dell’interpretazione (politica) di De Castro. «Attendo con ansia il nuovo regolamento – continua l’europarlamentare croato Tonino Picula – e sostengo pienamente l’emendamento che ribadisce che le omonimie (nomi con ortografia o pronuncia uguale o simile) possono essere registrate se, nella pratica, c’è una sufficiente distinzione tra le condizioni dell’uso locale e tradizionale e la presentazione delle due indicazioni omonime. Ribadisco che il Prošek e il Prosecco sono due prodotti grandi e innegabilmente diversi: diversi i vitigni, diverso il metodo di produzione, diversi la consistenza, il colore, il gusto, l’odore e il tipo di vino, diverso l’imbottigliamento, diversa la collocazione nei menu e sugli scaffali dei negozi, e infine diversi i prezzi».
«Metterei in dubbio la conoscenza di base del vino di chiunque confondesse un vino da dessert scuro e sciropposo con un aperitivo leggero e frizzante. Ancora una volta, comprendo e sostengo gli sforzi italiani per prevenire l’uso improprio del nome Prosecco, che è tra i vini europei più contraffatti. Tuttavia – conclude Tonino Picula – ciò non può giustificare questi attacchi ciechi ai piccoli produttori tradizionalicroati che applicano il nome Prošek come termine tradizionale e non come Dop». Curioso sottolineare come i due politici facciano parte dello stesso schieramento, ovvero il Gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo (S&D), nonostante le posizioni (e i toni) siano diametralmente contrapposti.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sabato 22 aprile sono stati proclamati i migliori Sauvignon Blanc 2021 al 5° Concorso Nazionale del Sauvignon, tenutosi in Alto Adige. Come primo classificato il Sauvignon Maso delle Rose Alto Adige DOC di Josef Weger, al secondo posto il Sauvignon Ombrasenzombra Colli Piacentini DOC di La Tosa e al terzo posto a pari merito il Sauvignon Praesulis Alto Adige DOC di Gump Hof e il Sauvignon Andrius Alto Adige DOC di Cantina Andriano.
Il Concorso, che si è svolto il 30 marzo a Penone, è frutto di una attenta valutazione realizzata da una giuria tecnica formata da 25 degustatori. Oltre 80 i campioni di Sauvignon Blanc dell’annata 2021 che hanno preso parte al Concorso provenienti da cantine di 9 diverse zone vitivinicole: Sicilia, Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige, Lombardia e Piemonte.
I MIGLIORI SAUVIGNON BLANC 2021 D’ITALIA
I° posto al Sauvignon Maso delle Rose Alto Adige DOC di Josef Weger II° posto al Sauvignon Ombrasenzombra Colli Piacentini DOC di La Tosa III° posto al Sauvignon Praesulis Alto Adige DOC di Gump Hof III° posto al Sauvignon Andrius Alto Adige DOC di Cantina Andriano
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Un viaggio tra i vini dell’Alto Piemonte corrisponde ad un tour nelle profondità geologiche dell’antico supervulcano della Valsesia. Ogni collina, ogni zona, ogni Doc, ogni Docg sono caratterizzate da una diversità di terreni e di dislocazioni, di temperature e di consistenze della terra. Di colori e di microclima. Ad unire tutto è il vitignoNebbiolo, che qui assume la denominazione di Spanna. Una varietà vinificata principalmente in purezza a Gattinara, Ghemme e Lessona. A Boca, Bramaterra, Colline Novaresi, Coste della Sesia, Fara, Sizzano e Valli Ossolane viene corroborato da altri vitigni, come Vespolina e Uva Rara, in percentuale diversa.
Il colore, i profumi e i gusti dei vini sono oltremodo diversi, specifici in alcuni casi, ma al tempo stesso unici per molti tratti. Alla vista i vini non sono molto carichi, rispettando le caratteristiche cromatiche del Nebbiolo. Al naso però risultano generalmente intensi e penetranti, grazie all’affinamento in botte. Al palato, i Nebbioli dell’Alto Piemonte sono forti, sontuosi, appaganti, talvolta tannici, dimostrando la possibilità di affinamento nel tempo e di una evoluzione medio-lunga, verso canoni di eleganza e maggiore morbidezza.
Una terra vocata alla produzione di vini rossi, dunque. Partendo dal Nebbiolo e dagli altri vitigni, i produttori locali danno vita anche ad ottimi rosati e persino a spumanti Charmat. Non mancano i vini bianchi, prodotti per la maggior parte con il vitigno Erbaluce (noto in zona come Greco novarese), che qui esprime molte delle sue potenzialità. Un’occasione unica per degustare questo mosaico è Taste Alto Piemonte, andato in scena il 15, 16 e 17 aprile 2023 al Castello di Novara. Di seguito i migliori assaggi di winemag.it tra i vini delle quarantasei cantine che hanno aderito all’annuale rassegna del Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte.
I MIGLIORI ASSAGGI A TASTE ALTO PIEMONTE 2023
Colline Novaresi Doc Nebbiolo 2020, Cantina la Smeralda
Nebbiolo al 100%. Al naso sembra poco intenso, nonostante i sei mesi trascorsi in barrique di rovere francese, e il colore appare piuttosto scarico, ma al palato esplode in una serie di gusti di rosa passita e viola, di cuoio e tabacco. Spettacolare. Chissà tra qualche anno…
Nebbiolo al 100%. Al naso sono molto evidenti le note di vaniglia e di frutta rossa. In bocca esplode una sensazione di prugne rosse e ciliegie sotto spirito, è un vino forte e potente che stupisce e che è molto indicato con arrosti o con carni alla brace.
Coste della Sesia Doc Nebbiolo 2015 “Castellengo”, Centovigne – Castello di Castellengo
Nebbiolo al 100%. Al naso è intenso e molto elegante, il calice sprigiona note floreali e balsamiche in maniera molto intensa. In bocca il vino conferma le premesse olfattive e si conferma vino elegante, con tannini delicati e senza peccati di giovinezza. Austero, signorile, affascinante, davvero molto piacevole.
Boca Doc 2013 Vigna Cristiana, Podere ai Valloni
Nebbiolo70%, Vespolina 20%, Uva Rara 10%. Vino che al naso già lascia prevedere le sue qualità: intenso, con piacevoli note fruttate e di boisè, di cuoio e di vaniglia, compie 36 mesi in botte di rovere e 12 mesi in bottiglia e l’affinamento porta a realizzare un vino d’autore. Il gusto ricorda frutti rossi e di sottobosco, viola di campo e lampone, ciliegie sotto spirito. Eccellente.
Nebbiolo 70%, Croatina 20%, Vespolina 7%, Uva Rara 3%. E’ un vino che mantiene le premesse e le speranze che vengono riposte in un prodotto proveniente da uno dei terreni più scoscesi dell’Alto Piemonte. Al naso è un vino fortemente balsamico e floreale, che penetra nel naso con la forza della sua giovinezza e del suo tannino nemmeno troppo tagliente. In bocca conferma le sue peculiarità e le caratteristiche già espresse al naso, piacevole e decisamente pronto alla beva.
Fara Doc 2020 “Barton”, Boniperti Gilberto
Nebbiolo 70% Vespolina 30%. Questo giovane vino realizzato con Nebbiolo e Vespolina si caratterizza per la sua aromaticità e per l’impatto dei suoi profumi nell’analisi olfattiva. Merito dei 20 mesi trascorsi nella botte grande di Slavonia che ha affinato il tannino, mentre l’analisi del palato fa risaltare tutto il meglio, come le spezie e i sentori di frutti rossi: ciliegie, fragole e more su tutto.
Gattinara Docg 2017, Az. Agr. Vegis Stefano
Nebbiolo 100%. Questo vino si impone subito per il suo profumo intenso e piacevole, corroborante e ricco di sfumature di frutti rossi e vaniglia. In bocca riecheggiano note di mandorla, frutti rossi, viola e lamponi appena colti. Il tannino è delicato e morbido, in bocca scivola con facilità ed appare decisamente persistente, ha le sembianze, nemmeno troppo nascoste, di un vino da meditazione. O forse lo è.
Ghemme Docg 2015 “Victor”, Cà Nova
Nebbiolo al 100%. Il Nebbiolo in purezza è forte e potente, e si rivela come una chicca da osservare e da pregustare solo con una analisi sensoriale attraverso il calice. Dal quale scaturiscono piacevoli profumi di frutti rossi, intensi e ricchi di sfumataure. La degustazione conferma le speranze riposte nell’analisi olfattiva. Il vino ha un bouquet ricco ed elegante, tannino morbido, sapienti riferimenti al sottobosco e alle ciliegie sotto spirito. Decisamente intrigante.
Ghemme Riserva Docg 2018 Ronco Maso Riserva, Platinetti Guido
Nebbiolo al 100%. Il calice dal quale scaturiscono effluvi molto intensi lascia ben sperare per la successiva degustazione. In effetti questo nebbiolo conferma gli auspici ben riposti, e si presenta con gusti molto avvolgenti di liquirizia e di frutti rossi, confetture di more e gelso, con sfumature leggermente ferraginose.
Lessona Doc 2015, Az. Vitivinicola La Badina
Nebbiolo al 100%. Vino dalla consistenza aromatica spiccata e piacevole, ricca di riferimenti ai fiori e alla frutta rossa, alla vaniglia e al cuoio, con note speziate che colpiscono nel profondo. È un Nebbiolo che piace, affascina, che in bocca fa scaturire la sua migliore dimensione di vino che ha trascorso quasi due anni in botti di rovere e il resto dell’affinamento in bottiglia. La conseguenza è un vino che piace, e che si beve bene con secondi piatti forti e succulenti, di carne sugosa, proprio per la sua aromaticità e la sua maturazione.
Sizzano Doc 2015, Vigneti Valle Roncati
Nebbiolo 70%, Vespolina 20%, Uva Rara 10% prodotto da una delle aziende presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Vino maturo, ricco di sensazioni piacevoli e note aromatiche speciali. Qui il Nebbiolo viene integrato con Vespolina e Uva Rara e il risultato si stabilizza verso una sensazione di aromaticità speziata piuttosto evidente. Frutto anche dell’invecchiamento di due anni in botti grandi di rovere francese. Al palato è ricco di belle sensazioni e molto piacevole, gustoso, in cui travalicano i profumi di viola, mammola speziata e frutti rossi.
Valli Ossolane Nebbiolo Superiore Doc 2019 Prunent, La Cantina di Tappia
Nebbiolo al 100%. Nonostante la giovane età questo Nebbiolo a 14,5% sorprende e si fa apprezzare per la sua maturità gustativa. Colore rubino, profumi di frutta rossa e di sottobosco, di boisé nemmeno troppo sfumati frutto di dodici mesi in barrique, questo Prunent (dal nome del clone di Nebbiolo) si distingue per la sua fragranza e per la sua innata capacità di piacere e di farsi ammirare da parte dei suoi stimatori.
TASTE ALTO PIEMONTE 2023: I MIGLIORI VINI ROSATI
Il Nebbiolo e i vitigni utilizzati per la realizzazione dei vini dell’Alto Piemonte ben si prestano per produrre vini rosati. E varie cantine offrono proposte interessanti. Vini molto piacevoli, sia al naso che in bocca. Qualche esempio.
Il Rosato di Ioppa si chiama “Rusin” – Lucca Ioppa ne aveva raccontato qui l’epopea a winemag.it, nel gennaio 2020 – ed è un Nebbiolo tradizionalmente vinificato in rosa, con un colore tenue, delicato, ma ricco di profumi fruttati. Ioppa è una cantina secolare che ha recentemente sviluppato la sua zona ospitalità e ampliato la zona dedicata alle vasche d’acciaio. Siamo nel cuore del Ghemme, e Ioppa nella sua politica di espansione e rinnovo ha ricreato una gigantesca vasca riservata al rosato, capace di contenere 1225 ettolitri. Segno che l’azienda punta molto su questa varietà di vino che è molto ricercato proprio per la sua piacevolezza e la sua capacità di accompagnare tutto –o quasi- il pasto.
Il rosato di Cogo, piccola cantina a Gattico-Veruno (Colline Novaresi) che fa coltivazione biologica, è Nebbiolo al 100% si chiama “Il Sornino” ed ha un colore rosa intenso, quasi rosso, di una potenza visiva davvero superiore alla media. Merito delle 12 ore che passa sulle bucce. Il naso e il gusto confermano le aspettative: il vino, realmente stuzzica la curiosità e rivela una percezione di profumi e di gusto davvero inimitabile. E’ un vino giovane come Stefania, la sua curatrice, e fa scaturire un ricco bouquet di sensazioni che fa rimanere soddisfatti.
Nelle Colline Novaresi si staglia Il Roccolo di Mezzomerico, cantina che vinifica in bio. Oltre a produrre rossi di grande spessore propone “La chimera”, un freschissimo rosato. Un vino dai profumi di frutta fresca, ribes, mandorla, e violetta, mentre in bocca è ricco di piacevoli sensazioni. Sarà che “La Chimera” è espressamente dedicata al Monte Rosa, che dai vigneti si scorge in lontananza, ma nel calice è un certezza, più che un desiderio lontano. Della stessa cantina, splendido il Gilgamesh, passito di Nebbiolo, per accompagnare adeguatamente tutti i formaggi ed i biscotti della tradizione novarese.
In Val d’Ossola, a Domodossola, la cantina Edoardo Patrone cala il poker con due tipologie di rosati. Il primo è il Rosato “Testa Rϋsa”, vino fermo, dal colore salmone intenso, e aromatizzato quanto basta per goderne della sua bellezza e della sua bontà. Ha sentori molto evidenti di pesca, albicocca, fiori bianchi e persino di frutti agrumati. Ottimo per accompagnare pesci di lago e formaggi. Il secondo è uno spumante extra dry “Basin”, un’ottima interpretazione di come il Nebbiolo possa trasformarsi in autoclave e diventare speciale. Il colore ricorda il salmone, e si gusta piacevolmente quando sprigiona in bocca sapori di fragole, e di frutti delicati. Perfetto come aperitivo.
I MIGLIORI VINI BIANCHI A TASTE ALTO PIEMONTE 2023
A farla da padrone tra i vini bianchi dell’Alto Piemonte è il vitigno Erbaluce, chiamato l’Innominata o più semplicemente Greco / Greco novarese. Ecco alcune cantine in cui trovare un ottimo bianco che può essere abbinato a pesce di lago o di mare, perfetto anche per gli aperitivi.
La Piemontina è una realtà recentissima, dalla sede si coglie in lontananza la bellezza austera del Monte Rosa e ha una splendida vista sui vigneti della cantina. La Piemontina è situata a Ghemme, e produce alcuni interessanti prodotti fra cui un bianco delle colline novaresi che fa il paio con un ottimo metodo classico, entrambi con uvaggio Erbaluce che qui fa da padrone. Si tratta di vini freschi, piacevoli, profumati, che al palato raccontano una storia fatta di sole, aria fresca, venticello alpino e profumi proveniente dal verde delle colline.
Il bianco fermo della cantina La Smeralda di Eleonora Menaggia a Briona, Colline novaresi doc, è l’esempio che la qualità può essere raggiunta anche da piccole realtà che gestiscono tutta la filiera con un lavoro familiare. La produzione è limitatissima, solo 600 bottiglie, ma i profumi delicati e campestri, oltre al gusto sapido, minerale, e strutturato conquistano al primo sorso.
“Longitudine 8.10” è l’etichetta del bianco di Villa Guelpa. La cantina si colloca nel centro di Lessona, a pochi passi dall’arco alpino, ed è un complesso che abbina la lavorazione dell’uva all’ospitalità, le visite alla cantina al relax. In un ambiente naturale e tranquillo. Il bianco è notevolissimo, piacevole, fresco, profumato, che dice molto della realtà in cui viene imbottigliato.
Giornalista, ex direttore di giornali e riviste, autore di due libri, blogger, sommelier e da qualche anno viticoltore sulle colline di San Colombano al Lambro. I miei interessi sono focalizzati sul mondo del vino e del buon cibo. Proprio per questo motivo presto molta attenzione ai giusti abbinamenti.
La riforma delle Ig europee condannerebbe un vino storico della Croazia, il Prošek, nome ritenuto «evocativo del Prosecco». È quanto emerge oggi dalle parole di Paolo De Castro, relatore dell’Europarlamento per il nuovo regolamento Ue sui prodotti Dop e Igp. Nel commentare l’approvazione all’unanimità del testo in commissione Agricoltura, l’europarlamentare Pd ha citato proprio il vino dolce tipico della Dalmazia, tra gli esempi di «sfruttamento indebito della reputazione delle nostre Indicazioni geografiche».
«Il Parlamento europeo – evidenzia De Castro – continua a far evolvere un sistema senza eguali nel mondo, capace di generare valore senza bisogno di investire alcun fondo pubblico, rafforzando il ruolo dei consorzi, la protezione di Dop e Igp, e la trasparenza verso i consumatori». Ora l’iter prevede, prima dell’estate, la discussione in sede plenaria del Parlamento europeo e infine, entro l’anno, gli incontri del trilogo Parlamento, Commissione e Consiglio per approvare definitivamente il nuovo testo unico europeo sulle produzioni di qualità.
IL PROSEK NON PUÒ ESSERE REGISTRATO
Nel testo adottato – rivendica De Castro – abbiamo introdotto l’obbligo di indicare sull’etichetta di qualsiasi prodotto Dop e Igp il nome del produttore e, per i prodotti Igp, l’origine della materia prima principale. Non solo, su spinta dei nostri produttori di qualità, abbiamo potuto eliminare quelle falle del sistema che consentono di sfruttare indebitamente la reputazione delle nostre indicazioni geografiche, come nel caso dell’aceto balsamico sloveno e cipriota, o addirittura del Prosek made in Croazia».
«In particolare – continua De Castro – è stato chiarito come menzioni tradizionali come Proseknon possano essere registrate, in quanto identiche o evocative di nomi di Dop o Igp. I prodotti Dop e Igp beneficeranno di protezione ex-officio anche online. Nel caso in cui vengano utilizzati come ingredienti, sarà invece necessaria un’autorizzazione scritta da parte dei rispettivi consorzi di tutela, a beneficio dei quali proponiamo anche di semplificare le norme per la registrazione e la modifica dei disciplinari di produzione”.
IL NODO DELL’UFFICIO BREVETTI EUIPO
L’Europarlamento ha preso una posizione anche su uno dei punti più discussi del regolamento, e cioè il ruolo dell’Ufficio europeo dei brevetti, l’Euipo: «Con il testo adottato oggi, con cui andremo al negoziato con i ministri già prima dell’estate – dichiara De Castro – chiariamo che l’Euipo dovrà avere un ruolo puramente consultivo e su questioni tecniche, mentre l’interlocutore principale dei produttori resterà la Direzione Generale agricoltura della Commissione Ue, consolidando il legame tra i marchi della qualità europea e lo sviluppo delle aree rurali».
«La Dop Economy – conclude l’europarlamentare Paolo De Castro – vale, a livello europeo, quasi 80 miliardi di euro. Non si tratta più di una semplice questione culturale di qualche Stato membro, ma di un vero patrimonio economico, sociale e politico europeo. Con questo regolamento creeremo un vero testo unico europeo sulle produzioni di qualità, che rafforzerà la protezione, la promozione e la sostenibilità delle nostre Indicazioni geografiche, conosciute in tutto il modo come sinonimo di qualità ed eccellenza, grazie alla passione e alla competenza dei nostri agricoltori e produttori».
Prošek-Prosecco, la Croazia alza la voce a Bruxelles: parole di fuoco sui politici italiani
Prošek-Prosecco, la Croazia alza la voce a Bruxelles: parole di fuoco sui politici italiani. Intervista esclusiva a Tonino Picula
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È la città dell’amore, ma anche delle cantine a portata di bicicletta. Il vigneto urbano di Verona, con i suoi 1.300 ettari, non è solo il più vasto d’Italia ma anche tra i più fruibili per enoturisti, amanti delle due ruote e delle passeggiate nel verde. Le cantine raggiungibili in pochi minuti dal centro storico di Verona sono moltissime, a sottolineare quel legame inscindibile tra la città capoluogo di provincia del Veneto e la Valpolicella, casa dell’Amarone, del Recioto, del Ripasso e degli altri vini rossi tra i più amati e riconosciuti a livello internazionale.
«Il vigneto urbano di Verona – commenta il presidente Christian Marchesini – è una scoperta fatta in Consorzio 7, 8 anni fa, analizzando la suddivisione degli ettari vitati della Valpolicella. Il Comune di Verona è l’unico in Italia a poter contare su questo numero di ettari, pari al 15% della denominazione. Un altro motivo di orgoglio è che molti giovani si sono messi in gioco ultimamente per valorizzare il vigneto urbano veronese, portando alla nascita di nuove cantine che hanno tra i loro punti forti quello del recupero di vigne abbandonate, promuovendo sostenibilità e biologico».
VERONA E LA VALPOLICELLA “A PORTATA DI MANO” DAL LAGO DI GARDA
Verona è l’«hub della denominazione» e punta a un ruolo sempre più centrale, anche in vista del riconoscimento Unesco della tecnica della messa a riposo delle uve. «Un premio al nostro vigneto urbano e non solo – sottolinea Marchesini – che ci consentirà di dare ulteriore spinta all’enoturismo. Verona viene visitata da circa 2 milioni di turisti all’anno e dobbiamo fare in modo che una fetta sempre più importante di questi visitatori sia invogliata a spingersi anche nelle nostre cantine».
Nel mirino, oltre agli italiani, ci sono i tanti turisti stranieri che popolano il Lago di Garda. Oltre 27 milioni le presenze registrate nel 2022 tra i comuni gardesani delle tre province Verona, Brescia e Trento. «Molti dei quali – ricorda Christian Marchesini – provengono da Paesi target per l’export dei vini della Valpolicella come Germania, Olanda, Danimarca, Belgio. In 15 minuti dal centro città si arriva in diverse cantine: dobbiamo renderlo sempre più chiaro a chi vista Verona, città che per noi ha centralità assoluta, come dimostrato anche dal nuovo format Amarone Opera Prima».
IL VIGNETO URBANO DI VERONA: LE CANTINE E I VINI DA NON PERDERE (Distanze medie calcolate da piazza delle Erbe, nel centro Verona)
🚲 14 minuti
🦶 52 minuti
🚌 18 minuti (di cui 7 a piedi) 🚗 12 minuti
A un quarto d’ora circa dall’Arena ecco Cantine Giacomo Montresor, condensato di 130 anni di storia in città. Una realtà che ha da poco inaugurato un nuovo wine-shop e un Museo del vino utile a ripercorrere le tappe della propria storia, proprio nel segno del legame con la città di Verona e con la Valpolicella.
🚲 24 minuti
🦶 1,25 ore 🚌 32 minuti (di cui 16 a piedi) 🚗 15 minuti
Parola d’ordine “biodiversità” per questa cantina di 30 ettari totali, di cui solo 10 vitati. Ogni etichetta rappresenta un elemento naturalistico, a sottolineare la forte connessione con la terra di questa giovane cantina. I vini di Roccolo Callisto, la cui prima vendemmia risale solamente al 2019, sono un condensato del terroir della Valpolicella.
PICCOLI (strada dei Monti 21/B, Parona di Valpolicella – Verona) info@piccoliwine.it
🚲 34 minuti
🦶 1,38 ore 🚌 52 minuti (di cui 36 a piedi) 🚗 17 minuti
Le sorelle Veronica e Alice portano avanti oggi l’azienda di famiglia suddividendosi i compiti tra vigna, cantina e commercializzazione. Al loro fianco i genitori Daniela e Tiziano, eredi dei vigneti avviati dalla nonna. Una piccola realtà famigliare molto ben organizzata in termini di ospitalità, con visite in cantina e degustazioni che sono alla base della “Piccoli Wine Experience”.
🚲 32 minuti 🦶 1,21 ore 🚌 47 minuti (di cui 28 a piedi) 🚗 18 minuti
Molto più di una visita in cantina: fare tappa da Pietro Zanoni significherà immergersi in un concentrato di nozioni di viticoltura ed enologia, nel segno della meticolosa attenzione che questo appassionato vignaiolo della Valpolicella ripone in ogni singola bottiglia.
🚲 25 minuti
🦶 55 minuti 🚌 23 minuti (di cui 7 a piedi) 🚗 16 minuti
Vista mozzafiato sulla città di Verona dall’Agriturismo San Mattia, cuore pulsante dell’attività di Giovanni Ederle. Il vignaiolo classe 1987 ha fatto della “diversificazione” (in ottica green) il cavallo di battaglia della propria attività, mescolando con sapienza ospitalità, ristorazione e produzione di vini biologici. Da non perdere la piscina in fase di inaugurazione, prossima sede di alcuni tra gli aperitivi più sensazionali di tutta la città (e non solo).
🚲 25 minuti 🦶 1,29 ore
🚌 26 minuti (di cui 5 a piedi)
🚗 17 minuti
Mauro, Patrizia, Sofia ed Elia: in una parola, Corte Figaretto. Nel cuore del vigneto urbano di Verona si trova una della cantine familiari che meglio stanno interpretando il cambio di passo dell’Amarone e dei vini della Valpolicella. Alla base del lavoro della famiglia Bustaggi c’è una grande attenzione in vigna, capace di regalare vini originali e genuini, fedeli interpreti del territorio della Valpantena.
CANTINE MENEGOLLI WINES (via Ponte Florio, 47, 37141 Verona) info@menegolli.net 🚲 24 minuti
🦶 1,19 ore 🚌 34 minuti (di cui 17 a piedi) 🚗 15 minuti
Cantine Menegolli val bene la visita per il Guinness World Record detenuto «per la più grande botte di vino del mondo». Un capolavoro che si erge al centro della barricaia, a 12 metri di profondità, capace di contenere 42.909 litri di vino. È il grande tesoro di Luigi Menegolli, della moglie Flavia e dei figli Dario ed Elsa. Una famiglia pronta a mostrare, inoltre, alcune tra le bottiglie più “glamour” della Valpolicella, brandizzate da noti marchi internazionali.
🚲 44 minuti 🦶 2,16 ore 🚌 46 minuti (di cui 21 a piedi)
🚗 21 minuti
Cambia – e di parecchio – il colpo d’occhio ad Antiche Terre Venete, cantina che potrebbe fare della viticoltura eroica un cavallo di battaglia. Pendenze mozzafiato dall’alto dei vigneti che sovrastano la modernissima cantina, con terrazza in grado di ospitare feste ed eventi. Il progetto comune di Luciano Sancassani e Roberto Degani e il loro progetto di «archeologica industriale» procede spedito sia sul fronte della produzione che dell’ospitalità in cantina.
🚲 24 minuti
🦶 1,19 ore 🚌 28 minuti (di cui 10 a piedi) 🚗 15 minuti
Risponde al nome di “Tezza Experience” la proposta di degustazione e visita della cantina Tezza Wines, in Valpantena. I cugini Vanio, Flavio e Federico, terza generazione di vignaioli, portano avanti un progetto che si fonda sul “Km Zero”, ovvero è la famiglia ad occuparsi interamente delle fasi di produzione, nel segno di una “filiera corta” volta a garantire la qualità assoluta del prodotto. Ciliegina sulla torta è la comoda pista ciclabile che lambisce i vigneti di Tezza, alle spalle della cantina.
🚲 24 minuti
🦶 1,24 ore 🚌 30 minuti (di cui 5 a piedi) 🚗 19 minuti
Molto più di una degustazione di vini della Valpolicella è quello che può offrire Villa San Carlo. Dall’alto del Monte Martinelli, la dimora che dà il nome alla Tenuta domina il caratteristico paese di Montorio. Siamo a pochi chilometri ad est di Verona, in un borgo di origine preromana che ha fatto dell’acqua un valore assoluto: risorgive e piccoli canali sono uno spettacolo ancora attuale. In questo contesto naturalistico, i titolari di Villa San Carlo hanno voluto recuperare una parte degli edifici dell’area “Ex Sapel” (via della Segheria, 1/H), convertendoli a wine-shop e uffici, nel cuore del paese. L’ennesima location da non perdere, a pochi passi dal centro di Verona, è dunque quella con le numerose “Experiences” offerte dalla cantina ai visitatori.
🚲 40 minuti 🦶 2,17 ore 🚌 55 minuti (di cui 27 a piedi) 🚗 25 minuti
Tra le ultime cantine nate in Valpolicella c’è Lavagnoli, interprete dello splendido micro terroir della Val Squaranto. Vero, ci si allontana dal centro della città. Ma la visita, per gli enoturisti più sportivi, saprà ripagare le fatiche del viaggio. Appena 15 mila le bottiglie prodotte da questa realtà artigianale, capace di assicurare un’ospitalità tipica delle “Rame”, le abitazioni dove un tempo era possibile entrare e chiedere un fiasco di vino. Un’occasione, per dirla con le parole di Andrea Lavagnoli, «per respirare più lentamente all’ombra delle vigne». Prima di ripartire.
TORRE DI TERZOLAN (via Trezzolano 4, 37141 Mizzole) hospitality@torrediterzolan.it 🚲 1 ora 🦶 2,46 ore 🚌 34 minuti (di cui 8 a piedi) 🚗 25 minuti
Per giungere a Torre di Terzolan ci si “arrampica” tra le curve costellate da vigneti e oliveti tipiche della Val Squaranto. Un altro viaggio che vale la fatica. Ad attendere i visitatori, sul posto, l’antica dimora del cardinale Ridolfi, famiglia patrizia di origine veneziana. Gli attuali proprietari hanno messo a disposizione degli ospiti quattro lussuose suite, disponibili insieme all’intera villa per eventi business. I vini di Torre di Terzolan rispecchiano fedelmente l’involucro in cui prendono vita: volti eleganti e sinceri della Val Squaranto, una delle zone in cui la Valpolicella è destinata a produrre i suoi migliori vini.
🚲 28 minuti
🦶 1,36 minuti 🚌 32 minuti (di cui 9 a piedi) 🚗 19 minuti
Altro giro, altra azienda giovanissima che si affaccia alla viticoltura in Valpolicella. I vigneti di Massimo Bronzato e della sua famiglia sono situati nell’alta Val Squaranto, ma la cantina si trova a Montorio, ben collegata con il centro di Verona e raggiungibile piuttosto agilmente sia in bicicletta sia con i mezzi pubblici. L’interpretazione della Valpolicella di Bronzato è legata alle espressioni dei differenti suoli a disposizione, connotati da basalto, biancone della Lessinia e selce. La piccola cantina, tuttora in fase di organizzazione, offre degustazioni in un ambiente sincero e famigliare.
🚲 1,28 minuti 🦶 3,22 ore
🚌 59 minuti (di cui 25 a piedi)
🚗 31 minuti
Contrada Palui è un’altra giovanissima realtà della Valpolicella che, sin dalla prima vendemmia, sta mettendo in luce il grande potenziale dell’Alta Val Squaranto. Deus ex machina di Contrada Palui è Hannes (Hans Karl) Pichler, imprenditore altoatesino del settore delle energie rinnovabili da sempre affascinato dal mondo del vino. Qui, nella selvaggia vallata a nord di Verona, Pichler ha trovato la sua dimensione ideale, tra la piccola vigna impiantata su terre vergini e una minuscola cantina in cui sperimenta (anche) con le anfore. Il risultato? È di quelli che valgono la visita, per l’approccio essenziale e modernissimo al vino della Valpolicella e alla viticoltura. Una cantina che farà parlare molto di sé.
DOVE MANGIARE A VERONA: PRANZO O CENA NEL VIGNETO URBANO
SIGNORVINO VALPOLICELLA
(via Preare, 15, 37124 Verona)
🚲 15 minuti
🦶 57 minuti
🚌 24 minuti (di cui 11 a piedi) 🚗 12 minuti
Piatti della tradizione italiana e un assortimento di oltre 1500 etichette Made in Italy al prezzo di cantina, servite in un ambiente informale. Cambia l’indirizzo ma non cambia la formula di Signorvino, anche nel ristorante-enoteca immerso tra i vigneti della Valpolicella, peraltro a pochi metri dal nuovo Museo del Vino di Cantine Montresor.
BAR THE BROTHERS – BIGOLERIA (Viale Olimpia, 1, 37023 Grezzana) emy4.sal@gmail.com
🚲 41 minuti 🦶 2,27 ore
🚌 33 minuti (di cui 3 a piedi)
🚗 22 minuti
Bar, Bigoleria, Birreria, Enoteca e Musica Live. Offre tutto questo Bar The Brother, a Grezzana. Uno dei luoghi più caratteristici della città di Verona, da non perdere durante la visita delle cantine della Valpolicella. La cucina completa un’offerta a 360 gradi, capace di spaziare dalla colazione al dopo cena. Ma il piatto forte sono i bigoli, pasta tipica veronese che da The Brothers è possibile gustare in accompagnamento a una decina di sughi diversi. Altro focus della cucina è la carne, tra cui molti tagli a “Km 0”.
TRATTORIA IL FEUDO (Piazza G. Marconi, 1, 37030 Mezzane di Sotto – Castagné) info@trattoriailfeudo.com
🚲 1,16 ore
🦶 3,13 ore
🚌 36 minuti (di cui 3 a piedi) 🚗 39 minuti
Parola d’ordine “gnocchi” da Trattoria Il Feudo, da scegliere in particolar modo durante la visita delle cantine della zona di Montorio. Poco più di 20 posti a sedere, per garantire pranzi e cene in relax e tranquillità. La cucina, al di là degli gnocchi, propone taglieri di salumi e piatti regionali.
TRATTORIA AL POMPIERE (vicolo Regina D’Ungheria, 5, 37121 Verona) info@alpompiere.com
🚲 2 minuti 🦶 9 minuti 🚌 9 minuti
Semplice ma di classe. Tra i ristoranti da non perdere a Verona c’è sicuramente Trattoria Al Pompiere, al civico 5 del centralissimo vicolo Regina d’Ungheria. La cucina, aperta dalla metà dello scorso secolo, serve piatti di carne e pasta in una sala da pranzo accogliente e dallo stile rustico, costellata da foto in bianco e nero e a colori che ripercorrono la storia del locale e di Verona. Grande attenzione nella selezione dei vini, con ampia scelta di etichette della Valpolicella e del Veneto.
🚲 2 minuti
🦶 4 minuti “4 cuochi” come i quattro soci – di cui due allievi di Giancarlo Perbellini – che nel 2012 hanno scelto di proporre, nel cuore storico di Verona, la cucina italiana di qualità, abbinata a una carta vini preziosa che valorizza alcune delle “chicche” della produzione della Valpolicella. Quattro matite e tanta carta a disposizione su ogni tavolo per lasciare il proprio segno con un doodle, un ritratto, un pensiero scritto. Tra una portata e l’altra (e un calice e l’altro), s’intende.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La Sicilia si conferma una regione strategica nel settore del vino. È uno dei dati che emergono dallo studio UniCredit-Nomisma “Gli asset che creano valore per la filiera vitivinicola italiana: mercati, territori, imprese”, presentato oggi a Palermo. Oggi l’export di vino italiano si concentra principalmente sul mercato Europeo e quello Nord Americano mentre l’Asia è ancora marginale, seppur in crescita. Stesso vale in proporzione per la Sicilia: i 5 mercati più significativi sono infatti la Germania, gli Stati Uniti, la Svizzera, il Regno Unito e il Belgio.
Da sottolineare in particolare la crescita tra il 2021 e il 2022 dell’export siciliano verso Stati Uniti (+28%) e Svizzera (+24%). E’ comunque da precisare che i dati Istat di export tengono conto del luogo di spedizione all’estero, per cui sfuggono i quantitativi di vino siciliano che non partono direttamente dalla Sicilia per l’estero, ma partono da porti ubicati in altre regioni alle quali questi volumi di prodotto vengono computati come export vinicolo. Per cui si stima che in realtà il commercio estero di vini e mosti siciliani sia superiore rispetto ai dati ufficiali Istat.
L’EXPORT DEL VINO SICILIANO
Negli ultimi 10 anni l’Italia ha riqualificato il proprio portafoglio vini esportati, riducendo la componente di vini sfusi (da 31% al 19%), compensando con l’aumento degli spumanti; questo ha premiato a livello di prezzo medio all’export (da 2,22 euro/litro a 3,60 euro/litro). Se guardiamo i DOP tuttavia lo scarto con la Francia risulta ancora troppo marcato: il peso dei vini DOP sul totale export imbottigliati (69%) è ancora significativamente al di sotto rispetto alla Francia (84%), con prezzi medi all’export anche qui nettamente inferiori: dai Bianchi di Borgogna prezzati mediamente a 16€/litro, ai Bianchi del Trentino Alto Adige e del Friuli VG venduti a 5,17€/litro ed ai Bianchi di Sicilia, prezzati a 3,76€/litro. Anche i Rossi di Sicilia sono abbastanza allineati ai Bianchi, con un prezzo medio al litro di 3,56€.
Il prezzo medio dell’export dei vini DOP italiani è cresciuto nell’ultimo decennio del 22,8%, con un’ottima performance dei Bianchi siciliani con il +30,6%, grazie ad un focus importante sulla qualità (In Sicilia ad oggi sono state riconosciuti 24 vini DOP, di cui 1 DOCG e 23 DOC, e 7 vini a IGT), sulla segmentazione/ differenziazione dei prodotti, sullo sviluppo di strategie multicanale, su un maggiore presidio dei mercati. La Sicilia ha ancora molti margini di miglioramento riguardo al posizionamento dei vini (fermi) DOP nella GDO: le vendite del prodotto siciliano pesano ca. il 4% sulle vendite totali della grande distribuzione italiana ma tiene bene il prezzo medio di vendita, ben al di sopra della media Italia (5,01 €/bottiglia 0,75l vs 4,20€ in Italia).
SICILIA: I VINI GENERICI
Con riguardo ai vini generici, in Sicilia, come in molte altre regioni del Sud, la quota di questo prodotto è ancora molto significativa (ca. 24% della produzione sul totale regionale vs 16% media Italia) ma comunque in riduzione importante nell’ultimo decennio (-9 pp). La Sicilia è la terza regione (con il 31% vs 19% Italia) con riferimento all’incidenza della coltivazione di vino BIO sul totale superficie vitata regionale, anche se con margini di crescita minori dal 2011 al 2021 rispetto ad altre regioni (97% vs 138% a livello Italia).
La Sicilia è nelle top 5 regioni vinicole in Italia per redditività media delle società di capitale. Sul mondo dei Social le cantine siciliane hanno un buon posizionamento, certamente migliorabile: ciascuna ha in media ca. 16,4 mila followers, coprendo ca. il 10,3% del totale nazionale. La Sicilia è al 4° posto in Italia per acquisizioni nel settore vitivinicolo (8% sul numero totale del periodo 2016-2022); con riferimento alla denominazione target, l’Etna è grande protagonista, al 4° posto in Italia, e al di sopra di denominazioni come il Chianti Classico, il Valpolicella e il Barbera d’Asti.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Una bottiglia di vino rosso Isola dei Nuraghi Igt ai nuovi nati del 2023 a Sennori, comune di 7.300 abitanti della provincia di Sassari, nel Nord della Sardegna, affacciato sulla sul Golfo dell’Asinara. È l’iniziativa promossa dalla locale amministrazione comunale, che ha deciso di aderire con una precisa delibera all’idea lanciata da una cantina locale, con il patrocinio dell’Associazione nazionale Città del Vino.
Sull’etichetta della bottiglia omaggio c’è la scritta “Benennidos“, ovvero “Benvenuti”, insieme a un’immagine realizzata dall’artista sassarese Angelo Maggi. Sul retro, lo spazio in cui scrivere il nome del nuovo nato, la data di nascita e la firma del sindaco. Il tutto «per omaggiare il lieto evento della tua nascita, momento intriso di emozioni forti, complessità individuali e relazionali e grandi cambiamenti».
Il vino Isola dei Nuraghi Igt donato ai nuovi nati 2023 può invecchiare (anzi, «evolversi»), secondo le stime della cantina produttrice, per 18 anni: «Il neonato di oggi potrà brindare alla maggiore età con una bottiglia a lui dedicata». Il Comune di Sennori celebra in questo modo originale la sua appartenenza alle Città del Vino italiane.
Un contributo, spiegano gli amministratori, «alla cultura del vino, educando ad un consumo consapevole e favorendo buone pratiche agronomiche e di sostenibilità». Come stabilisce la delibera n. 53 del 7 aprile approvata dalla giunta comunale, le spese del vino sono interamente a carico dell’azienda vitivinicola produttrice. L’amministrazione di Sennori avrà il compito di personalizzare l’etichetta e di consegnare al nuovo cittadino il pregiato omaggio di benvenuto.
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“Le litrò de Gi.Gi.“. Si chiama così l’ultimo vino in bottiglia da 1 litro firmato dal “Camerlengo” Antonio Cascarano, custode di antichi vitigni riportati alla luce e salvati dall’oblio, in Basilicata. Siamo a Rapolla, nel Vulture, per una novità che non arriva a caso dopo il periodo di pandemia, in cui si è assistito alla riscoperta dei “grandi formati”.
Non sono casuali neppure gli accenti sul nome di fantasia scelto per il nuovo vino. «Con il nome “Le litrò de Gi.Gi.” mi diverto un po’ a scimmiottare i francesi – spiega a winemag.it Antonio Cascarano – giocando col loro accento e scegliendo, per di più, il formato da 1 litro, tipico della cultura contadina italiana. Ma soprattutto è il primo vino che dedico a me stesso, dopo averne dedicati altri a persone a me care e al mio cane».
Fuori da Rapolla mi conoscono tutti come Antonio, nome che ho ereditato dal nonno paterno. Ma all’anagrafe ho anche altri due nomi: Luigi, perché sono nato il 21 giugno, giorno di San Luigi; e Giovanni, come il nonno materno. In paese mi hanno sempre chiamato “Luigino” o “Gigino”: da qui l’idea di “Gi.Gi.”. Il punto dopo la “G” sta a indicare… Beh, è facile da capire: ha a che fare con le donne!».
IL VINO NATURALE E LA RISCOPERTA DEI GRANDI FORMATI
L’ultima annata, generosa, ha consentito a Cascarano di produrre 1000 bottiglie di “Le litrò de Gi.Gi.”. Un numero destinato a ridursi ben presto, in vista della presentazione ufficiale della nuova etichetta in programma proprio il 12 giugno 2023. «Sarà una festa – anticipa il patron dell’Azienda agricola Camerlengo – con i piatti di Riccardo Barbera all’Agriturismo Masseria Barbera di Minervino Murge. La nuova etichetta sarà poi commercializzata su assegnazione, perché voglio assicurarmi che ce l’abbiano un po’ tutti, dall’importatore americano ai distributori italiani».
“Le litrò de Gi.Gi.” è un vino macerato ottenuto dalle rare uve Santa Sofia e Cinguli, che si dividono in maniera esatta l’uvaggio (la prima è nota anche come “Fiano del Cilento”; la seconda è molto simile al Trebbiano toscano). «Un vino da tutti i giorni – spiega Antonio Cascarano – da bere in totale spensieratezza. Un vino contadino, che mi rappresenta e che invoglia all’assaggio di altri vini in bottiglia da 1 litro. Uno su tutti il “Litrò Rosso” da uve Ciliegiolo e Sangiovese prodotto a Montemelino, in Umbria, dalla cantina Conestabile della Staffa». Un altro vino con l’accento e un altro vino contadino. Pardon, “contadinò”. Prosit.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Chi può “sfidare” il Sangiovese della Toscana? Ci hanno provato addirittura in Ungheria, con un vino chiamato “Tabunello” (no, non c’è scritto Brunello). A produrlo (tuttora) è un vignaiolo ungherese, Csaba Török, che coltiva poco più di due ettari a nord del Lago Balaton, poco lontano da Budapest. Convincere il Consorzio Vini di Montalcino che si trattasse di una «scelta d’amore per il Sangiovese Grosso» è stata un’impresa fallimentare. Anche perché il sito web della cantina, denominata 2HA, era “brunello.hu”, ed è stato eliminato dopo una causa legale avviata dal Consorzio. Non si è arrivati neppure in Tribunale.
Come documentato qui da winemag.it, l’impressionante lista di avvocati internazionali messa in campo dall’ente toscano ha spento ogni velleità dell’appassionato vignaiolo Csaba Török. Che resta comunque, tutt’oggi, un grande fan del Brunello di Montalcino. Ma la battaglia per la “next generation Sangiovese“, capace di stare al passo della qualità di quelli toscani, non è finita. La nuova sfida per i produttori tradizionali non è più in Ungheria, ma si trova esattamente dall’altra parte della collina, in una sorta di revival delle guerre tra città e città che hanno costellato la storia della Toscana.
LA “NUOVA” ROMAGNA DEL SANGIOVESE
A sfidare il Sangiovese più famoso del mondo – quello toscano, per l’appunto – ci pensano i vicini di casa dell’Emilia Romagna. Il salto di qualità della regione del centro Italia è stato impressionante negli ultimi anni. E sta iniziando a dare i suoi primi frutti, in particolare, a Predappio. Il Comune di 6.200 abitanti della provincia di Forlì-Cesena è tra i più promettenti delle 16 Sottozone del Romagna Sangiovese Doc, create nel 2011 dal Consorzio Vini di Romagna.
Un’opportunità che Predappio – famosa per ospitare la casa natale di Benito Mussolini, oltre alla cripta di famiglia e a un numero ingente di edifici di grande pregio architettonico, alcuni dei quali ancora da riqualificare – sta cogliendo appieno, grazie alle ultime generazioni di viticoltori.
All’interno della sottozona, che si allunga longitudinalmente da nord-ovest a sud-est, dall’areale pianeggiante di Forlì al tortuoso entroterra di Galeata e Strada San Zeno, racchiusa tra le altre tre sottozone di Castrocaro, Bertinoro e Meldola, si producono vini molto diversi tra loro. Ma tutti in grado di mostrare le peculiarità di un’areale che ha le carte in regola per competere con la Toscana.
SANTANDREA: «PREDAPPIO TRA I PRIMI A CREDERE NELLE SOTTOZONE DEL SANGIOVESE»
«Predappio – sottolinea Ruenza Santandrea, presidente del Consorzio Vini di Romagna – è una delle zone che per prima ha manifestato interesse allo status di “sottozona” ed è tuttora una delle più vivaci. Nel futuro della regione c’è il racconto delle peculiarità del Sangiovese dell’entroterra, una zona poco raccontata e ancora poco conosciuta, che vogliamo rendere sempre più nota a turisti e a amanti del vino italiani ed internazionali. Il rigido disciplinare, con il 95% minimo di Sangiovese, aiuta a legare ancor più questa uva al territorio, sottolineando come in Romagna, da sempre, il Sangiovese venga vinificato in purezza, a differenza dei blend più comuni in Toscana».
I Romagna Doc Sangiovese di Predappio, promossi dall’Associazione Terre di Predappio (nella foto sopra i produttori aderenti) risultano più corpulenti e larghi nella zona nord-orientale, per poi tendersi sempre più come la corda di un arco man, mano che ci si avvicina alla dorsale dei monti Appennini. Qui, esattamente “al di là della Toscana”, nascono caratterizzati da venature ancora più minerali e speziate. Cambiano i vini perché cambiano i suoli. E il Sangiovese di Romagna si dimostra, come tutti i più grandi vitigni del mondo, capace di leggere all’ennesima potenza le peculiarità microclimatiche e pedologiche, in una parola del “terroir”.
ROMAGNA DOC SANGIOVESE: I SUOLI DELLA SOTTOZONA PREDAPPIO
All’interno della stessa Predappio possono essere infatti identificati almeno quattro differenti conformazioni di suolo, che tagliano la sottozona da nord a sud, in maniera piuttosto verticale. Spostandosi dalla zona costiera verso gli Appennini, si trovano i Terrazzi di Fondovalle composti da sabbie, ghiaie e argille alluvionali (Olocene) al caratteristico “Spungone“, nome con il quale in Romagna si definiscono le sabbie cementate con vene di calcare arenaceo poroso (Pliocene medio). Il cuore di Predappio è costituito da arenarie tenere, ovvero marne arenacee (Tortoniano).
Di grande interesse, sempre in quest’area, la formazione gessoso-solfifera dei sedimenti evaporitici (Messiniano). Infine, appena al di là della Toscana – o appena al di qua della Romagna, a seconda dei punti di vista – ecco le arenarie a strati che danno vita a una sorta di effetto torta millefoglie (epoca del Tortoniano e del Serralunghiano).
Una geografia, quella delle 16 “Sottozone del Romagna Sangiovese Doc” che stravolge l’immaginario collettivo della Romagna, considerata da molti una terra “piatta”, contraddistinta da forme di coltivazione intensiva, a un passo dalla costiera del mare Adriatico. Nulla di più sbagliato. Il territorio di Predappio è un crocevia di curve che si aprono su paesaggi collinari incantati, in cui regna la biodiversità. Spesso i vigneti, che si spingono fin oltre i 400 metri di altitudine, sono affiancati da oliveti e boschi.
ROMAGNA DOC SANGIOVESE PREDAPPIO: I VINI DA NON PERDERE
E se c’è una cantina su tutte che può mostrare quanto variegato sia il territorio di questa fetta di Italia, quella è l’Azienda agricola Pandolfa, che destina i vigneti “di quota” alla produzione dei vini della linea Noelia Ricci. Il nome rende onore alla donna che, tra le prime, diede impulso alla viticoltura a Predappio, costruendo negli anni Settanta una cantina nei sotterranei della Pandolfa, villa del Settecento situata a Fiumana (FC), nella zona nord-orientale della sottozona. Oggi l’azienda si è dotata di un polo produttivo a sé stante, ai piedi della collina dominata da Villa Pandolfa, ed gestita da Marco Cirese e dalla moglie Alice Gargiullo.
Si raggiunge la vetta, a circa 350 metri sul livello del mare, solo a bordo di un fuoristrada. Qui il territorio pianeggiante lascia spazio a ripidi vigneti e a un pianoro di Sangiovese ad alberello, fortemente voluto da Marco Cirese. L’uva giova di un’escursione termica importante e i vini Noelia Ricci si riconoscono a vista, dal colore meno scuro e dalle note che delineano un Sangiovese d’Appennino. Lo stesso stile che contraddistingue i due vini prodotti dalla giovane Chiara Condello, tra le viticoltrici italiane più dinamiche oggi presenti nel variegato mondo del Sangiovese. Una star emergente, capace di regalare un Predappio 2020 che abbina pienezza del succo e verticalità minerale, con la delicatezza del petalo di viola e di un tannino fitto ma finissimo.
LA SVOLTA GIOVANE DEL SANGIOVESE DI ROMAGNA
Altro giovane da non perdere, in zona, è Pietro Piccolo-Brunelli, che con il suo “Cesco” 2020 da Sangiovese allevato a 350-400 metri sul livello del mare, suggerisce accostamenti concettuali con la stilistica dei grandi Pinot Nero internazionali: eleganza è la parola d’ordine assoluta. Per trovare una mineralità quasi vulcanica, certamente sulfurea, il riferimento è Fattoria Nicolucci: il “Tre Rocche” 2020 di Alessandro Nicolucci fa da degno contraltare alla Riserva “Vigna del Generale”, con ricordi umami a giocare attorno a un succo polposo e ai ricordi di erbe aromatiche.
Tra le cantine da non perdere nell’annata della svolta (la 2020, per l’appunto) utili a comprendere quanto reali siano le chance di Predappio nella “Next generation Sangiovese”, ci sono poi Drei Donà di Ida ed Enrico Drei Donà, con il loro caldo e polposo “Notturno”; Stefano Berti, con l’intrigante e slanciato “Ravaldo”; Rocca Le Caminate di Antonio Fabbri, con il suo “Sbargoleto”, sapido e goloso.
E ancora: Cantina La Fornace delle famiglie Pazzi e Valentini, con il saporito e ben estratto “Cassiano”; Francesco Zanetti Protonotari Campi di Villa i Raggi, col suo “Colmano di Predappio”, che nel suo essere ancora contratto mostra tutta la longevità del Sangiovese di Predappio. E Filippo Sabbatini con “Mezzacosta”, tutto frutto rosso e fiori. La Toscana è avvisata.
LOCANDA APPENNINO: OVVERO DOVE MANGIARE (E DORMIRE) A PREDAPPIO
Locanda Appennino (via Strada Nuova, 48) è la location da scegliere ad occhi chiusi come base per la scoperta del territorio di Predappio e del Romagna Doc Sangiovese. Un immobile del 1958 completamente ristrutturato dal titolare, Jacopo Valli, imprenditore che vanta numerosi locali di successo anche all’estero. Locanda Appennino è il frutto della passione per la ristorazione e l’ospitalità di un gruppo di professionisti del settore, che lavorano in grande sinergia per regalare agli ospiti un’esperienza a 360 gradi.
Alla base del progetto c’è il ristorante, che sotto la direzione dello chef Alan Bravaccini offre – ça va sans dire – una cucina tradizionale romagnola con prodotti stagionali e selezionati del territorio. Gettonatissimo anche il “reparto” pizzeria, con forno a legna. La cantina della Locanda, curata dal sommelier Roberto Celli, è il vero cuore pulsante del locale, con ampia scelta di vini delle migliori realtà locali (e non solo).
La panoramica sul Sangiovese romagnolo, in primis su quello di Predappio, è davvero profonda. Non mancano ovviamente le denominazioni italiane ed estere più ricercate, tra cui lo Champagne. Cinque le camere di Locanda Appenino, ognuna pensata per far rivivere un «angolo di casa».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Un territorio, un vitigno, un vino. Suona più o meno così il mantra del successo internazionale delle regioni vinicole francesi, che in questo modo si rendono più “comprensibili” agli occhi dei consumatori internazionali, valorizzando meglio i loro gioielli enologici.
Eppure, mentre l’Italia sembra fare sempre più suo questo concetto – nonostante le numerosissime resistenze che zavorrano diverse regioni vinicole, sprovviste persino di una vera e propria “piramide della qualità” a livello consortile – le ultime mosse in tema di comunicazione dei cugini d’Oltralpe fanno pensare a una svolta della Francia verso una certa… “italianizzazione“.
L’IGP PAYS D’OC, PATRIA DEI ROSATI FRANCESI
Due le regioni che stanno propendendo per un allargamento dei propri confini concettuali e comunicativi. La prima è Languedoc-Roussillon che con l’Igp Pays d’Oc, al suono dello slogan Liberté de style, “Libertà di stile”, punta ora ad andare ben oltre il ruolo di regione numero uno dei rosé francesi (272,9 milioni di bottiglie e 34% del market share della tipologia, contro i 139,5 milioni della Provenza).
Il 50% dei vigneti della regione (120 mila ettari su 240 mila totali) sono dedicati alla produzione di vini varietali – non solo rosé – ottenuti da uve come Merlot, Chardonnay e Grenache Noir, ma anche Cabernet Sauvignon, Sauvignon Blanc, Cinsault e Viognier.
Ed è questa gran varietà di scelta che sta puntando tutto il Syndicat des Producteurs de Vin de Pays d’OcIgp e la locale Interprofession. Il tutto, insieme – e non è un aspetto secondario – all’ottimo rapporto qualità prezzo dei vini, che ne sta favorendo la notorietà sui mercati internazionali, in momenti in cui altre regioni francesi hanno raggiunto picchi inarrivabili.
LA SVOLTA IN BIANCO DEL MÉDOC
La seconda regione francese alla svolta della comunicazione è il Médoc. Nella nota Aoc dell’areale di Bordeaux è in atto un forte polemica per la proposta di inclusione di vitigni come Chardonnay, Chenin blanc, Viognier e Gros Manseng nella versione bianca del Médoc. Un’iniziativa che sta creando non pochi conflitti con le regioni vinicole francesi in cui queste varietà sono maggiormente rappresentative, come Borgogna e Loira.
A proporre la modifica del disciplinare e la svolta “in bianco” è niente meno del Consorzio vini Médoc, Haut-Médoc e Listrac-Médoc, che fa notare come i suoli di matrice ghiaiosa e argillo-calcarea della regione siano perfetti per la produzione di grandi vini bianchi, al pari dei rossi già noti internazionalmente (e forse meno bevuti d’un tempo, aggiungiamo noi).
Un cambio di passo connesso ai nuovi trend di consumo, che avvicina sempre più la Francia a una sorta di italianizzazione delle proprie denominazioni. D’altro canto, per la regione si tratterebbe di un ritorno al passato entro il 2025, ovvero a quell’Aoc Médoc Blanc per il quale diversi produttori nutrono nostalgia, pur potendo imbottigliare i loro bianchi come Aoc Bordeaux. Giusto o sbagliato, lo dirà solo il tempo. E allora Santé. Anzi, alla salute.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il 30 novembre 2022 l’Ue ha pubblicato la proposta di regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio che contiene disposizioni in materia di riduzione, riuso, riciclo ed etichettatura. «La proposta della commissione europea -sottolineano Confagricoltura e Federvini – presenta numerose criticità. Quelle che più preoccupano sono indubbiamente il ricorso al riuso anziché al riciclo e la standardizzazione degli imballaggi».
La proposta di regolamento prevede dal 1° gennaio 2030 l’obbligo del riuso: ciò significa che su 100 bottiglie immesse nel mercato europeo, da 5 a 10 bottiglie dovranno essere riutilizzabili. L’Azienda avrà l’obbligo di contribuire alla realizzazione e mantenimento di un regime che raccoglie, lava, sanifica e riconsegna le bottiglie agli utilizzatori.
«Attenzione – spiega Micaela Pallini, Presidente di Federvini – la riciclabilità sarà misurata in base a criteri di progettazione che saranno stabiliti successivamente dalla Commissione europea, senza la consultazione degli operatori. Se fra questi criteri sparirà quello legato alla funzione di presentazione del prodotto, rischiamo di perdere le forme e il design che oggi caratterizzano molti dei nostri prodotti».
L’OBBLIGO DI MINIMIZZAZIONE DI PESO E VOLUME DELLE BOTTIGLIE
Un’altra insidia si annida nell’obbligo di minimizzazione. Entro il 1° gennaio 2030, infatti, tutti gli imballaggi dovranno ridurre al minimo peso e volume. «Nel nostro settore gli imballaggi, le bottiglie – mette in guardia Micaela Pallini – svolgono una funzione peculiare. Non sono solo un mero contenitore, sono veicolo di presentazione al consumatore di prodotti unici, che si differenziano gli uni dagli altri per territorio di provenienza, storia, tradizioni. Inoltre, le moderne tecnologie hanno permesso di ridurne il peso di oltre il 30%».
Gli imballaggi impiegati nel settore vitivinicolo sono prevalentemente bottiglie di vetro – quindi riciclabili al 100% – inoltre, l’Italia nel 2023 ha raggiunto un tasso di riciclo del vetro pari all’88%, a fronte di un obiettivo UE al 70% entro il 2025. Studi universitari (Università di Wageningen e Politecnico di Milano) dimostrano che il riuso ha performance ambientali migliori del riciclo (vuoto a rendere vs vuoto a perdere) solo entro brevi distanze (non più di 175-200 km), e il vino è un prodotto vocato all’export.
L’ETICHETTATURA DEGLI IMBALLAGGI
«Dati che non solo vanificano i benefici attesi dai commissari europei – afferma il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – ma evidenziano in modo inequivocabile la necessità di valutare con molta attenzione l’introduzione di divieti su alcune tipologie di imballaggio, di tassi obbligatori di materiale riciclato e di obiettivi e target di riutilizzo. Tutte queste misure andrebbero ponderate avvalendosi di evidenze scientifiche a supporto delle decisioni anche in relazione alle ricadute economiche di settori strategici e iconici come quello del vino e considerando tutte le esternalità ambientali e anche quelle in termini di sicurezza alimentare e qualità organolettiche, determinanti per il settore».
Per quanto riguarda l’etichettatura, la Commissione Ue propone di inserire su tutti gli imballaggi informazioni armonizzate per consentirne una corretta gestione e smaltimento. «Sosteniamo l’armonizzazione delle indicazioni relative all’etichettatura ambientale degli imballaggi da fornire tramite gli strumenti digitali. «Oggi – precisa ancora Giansanti – abbiamo chiesto al Governo e ai deputati italiani al Parlamento europeo di mobilitarsi per tutelare le imprese del settore e l’intero sistema produttivo del Paese, in tutte le sedi del negoziato, affinché vengano superate le rilevanti criticità riscontrate nella proposta di Regolamento».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Mentre il governo dà il via libera al Decreto siccità, con l’istituzione di una Cabina di regia e la nomina di un Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi all’emergenza idrica, i viticoltori italiani accendono fuochi in diverse zone, per difendere i vigneti dalle gelate. Il rischio è quello di perdere gemme preziose, dopo un inverno caldo e secco caratterizzato dal 30% in meno di piogge e una temperatura di 1,38 gradi in più, nel Nord Italia. Primo fra tutti a muoversi in questo senso, come documentato qui da winemag.it, è il Consorzio di Tutela del Prosecco superiore di Conegliano Valdobbiadene, che ha già trovato l’accordo per lo studio di fattibilità di un “piano invasi” in 15 comuni della Docg.
Siccità e gelo si “incontrano” così in un aprile, quello 2023, che porta comunque buone n0tizie, almeno sul fronte istituzionale. Il crollo delle temperature notturne sotto zero che sta colpendo il Paese alla vigilia di Pasqua, si verifica durante l’ennesima situazione di piena emergenza siccità. Con il Po mai così basso, neve dimezzata sulle montagne e livelli dei laghi ai minimi. I numeri parlano da soli. Il Po è a -3,6 metri sotto lo zero idrometrico, con le sponde ridotte a spiagge di sabbia al Ponte della Becca, in provincia di Pavia. La neve, fra Lombardia e Piemonte, è calata di oltre il 50%, tagliando le riserve idriche per l’estate. I laghi boccheggiano, con il Garda che è ai minimi storici del periodo. Ampiamente sotto la media i livelli di Lago di Como e Lago Maggiore.
TRA GELATE E SICCITÀ: VITICOLTORI ITALIANI NELLA MORSA DEL CLIMA
Una tenaglia climatica tra freddo e siccità che, come sottolinea la Coldiretti, «si abbatte su una natura in tilt, con le coltivazioni che si erano risvegliate prima del solito ingannate dalle temperature anomale, con il rischio adesso di perdere i raccolti di un anno di lavoro». In funzione i ventilatori antigelo, che mescolando gli strati più caldi dell’aria a 14 – 15 metri sopra il terreno con quella più fredda che circonda gli alberi, permettono di creare una “barriera protettiva” in grado di salvare i piccoli frutti in maturazione.
Ma dall’assalto del gelo gli agricoltori si difendono anche usando il freddo stesso, con dei vaporizzatori d’acqua che creano una patina su rami e frutticini, utile a ghiacciare senza soffocare o bruciare la pianta, proteggendola al tempo stesso dal crollo eccessivo delle temperature. Con i raccolti sempre più esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici – sono stimati in oltre 6 miliardi di euro i danni all0agricoltura italiana, solo nell’ultimo anno – le associazioni di categoria accolgono con grande favore il Decreto Siccità a cui a dato il via libera il Consiglio dei Ministri, nelle scorse ore.
«È importante intervenire per fronteggiare il grave problema della siccità che sta interessando l’intero Paese – evidenzia il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – con circa 300 mila aziende agricole che si trovano nelle aree più colpite dall’emergenza. La situazione più drammatica è nel bacino della Pianura Padana, dove nasce quasi un terzo dell’agroalimentare Made in Italy e la metà dell’allevamento».
COLDIRETTI E CONFAGRICOLTURA PLAUDONO AL DECRETO SICCITÀ
L’Italia perde ogni anno l’89% dell’acqua piovana. Sempre secondo Coldiretti, «è dunque necessario intervenire sulla manutenzione e realizzare una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, per conservare l’acqua e distribuirla quando è necessario ai cittadini, all’industria e all’agricoltura». Ad esprimere soddisfazione per l’approvazione del Decreto Siccità appena varato dal Governo è anche Confagricoltura. Convincono l’istituzione della Cabina di regia e l’identificazione della figura del Commissario straordinario. Particolare apprezzamento anche per la misura volta al riutilizzo delle acque reflue depurate ad uso irriguo, attraverso il rilascio di un provvedimento autorizzativo unico, «un intervento fortemente auspicato da Confagricoltura».
«Le procedure semplificate per la realizzazione di infrastrutture idriche, tra cui i progetti di desalinizzazione, e per la realizzazione di invasi aziendali – evidenzia la confederazione – sono per gli imprenditori agricoli concreti manifesti di un iniziale impegno da parte del Governo in carica di cercare di risolvere le future carenze di approvvigionamento della “risorsa blu”. Un segno di ulteriore sensibilità del Governo emerge altresì dall’istituzione degli Osservatori distrettuali permanenti sugli utilizzi idrici e per il contrasto dei fenomeni di scarsità idrica presso ciascuna Autorità di bacino distrettuale. Questi organismi saranno determinanti per la raccolta, l’aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all’utilizzo della risorsa idrica nel distretto idrografico di riferimento».
FEDERVINI SUL DECRETO SICCITÀ: «BENE CABINA DI REGIA E COMMISSARIO»
Come di consueto, non usa giri di parole neppure Federvini. «Finalmente qualcosa si muove», è il commento della presidente Micaela Pallini all’iniziativa del Governo di varare il Decreto siccità. Anche per l’organizzazione italiana di riferimento dei principali produttori e importatori di vini, liquori, acquaviti e aceti, aderente a Federalimentare e Confindustria, è positiva «la nascita della Cabina di regia incardinata presso la presidenza del Consiglio dei ministri e presieduta dal Ministro delle Infrastrutture, nonché la nomina di un Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica».
«Abbiamo raccolto da tanti associati le grida di aiuto – aggiunge Pallini -perché per mesi non ha piovuto anche in regioni tradizionalmente senza problemi. E non sono stati previsti strumenti compensativi. In molte zone c’è quindi rischio serio di compromettere il raccolto. Dopo un 2022 caratterizzato da scarse precipitazioni e un inverno povero di neve, il 2023 si annuncia complicato anche per il settore vitivinicolo, che da solo vale 13 miliardi di fatturato, di cui 8 miliardi da export. Abbiamo rappresentato la gravità della situazione ai molti esponenti del Governo in occasione del Vinitaly e ricevuto rassicurazioni di un pronto intervento, di cui abbiamo avuto il primo positivo riscontro con il via libera al Decreto Siccità».
«Vengono finalmente adottate – ha proseguito Pallini – misure capaci di rendere più efficace l’azione del Governo e delle Regioni, dando la priorità alla realizzazione degli interventi più urgenti e di rapida attuazione. Anche le semplificazioni per la costruzione di invasi per trattenere le acque piovane, le attività di riutilizzo delle acque reflue depurate e per la realizzazione di impianti di desalinizzazione sono salutate dal nostro mondo come utili se non addirittura indispensabili. Inoltre – conclude la numero uno di Federvini – la nomina di un Commissario straordinario, dotato di poteri sostitutivi consentirà interventi qualora si verificassero ritardi nella realizzazione. I nostri vigneti non possono attendere i tempi lunghi, o a volte addirittura i tempi morti, della burocrazia».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Basso tenore alcolico, ottimi livelli di acidità, discreta resistenza alle malattie e, udite bene, alla siccità. È più facile elencare i pregi della Nosiola che i suoi difetti, unico tra i quali sembra essere l’incomprensibile gap tra i pregi stessi e la scarsa considerazione di cui gode il vitigno. Nosiola e Rebo, varietà a bacca rossa ottenuta a fine anni Quaranta dall’incrocio di Merlot e Teroldego da parte dell’agronomo Rebo Rigotti, sono fratello e sorella in Valle dei Laghi, a una ventina di minuti da Trento. Gli Hänsel e Gretel della viticoltura trentina, distratta dal successo dei vitigni internazionali, anche nelle carte dei vini dei ristoranti locali.
A denunciarlo, per l’ennesimo anno consecutivo, è l’Associazione Vignaioli del Vino Santo Trentino Doc, protagonista lo scorso weekend di “DivinNosiola – quando il Vino si fa Santo” 2023, culminata con il tradizionale “Rito della spremitura” a Santa Massenza (sotto il video). Il passaggio di consegne alla presidenza da Enzo Poli (Maxentia) al subentrante Alessandro Poli (Az. Agr. Francesco Poli) si è svolto nel solito clima di incredulità rispetto alle sorti della Nosiola e del Vino Santo. Un sentimento condiviso anche da Roberto Anesi, sommelier Ais che ha condotto una masterclass dal sapore nuovo.
DALLA NOSIOLA SECCA AL VINO SANTO DEL TRENTINO
Per la prima volta, accanto a quattro etichette di Vino Santo delle annate 2008 (Pravis), 2003 (Gino Pedrotti), 1998 (Francesco Poli) e 1983 (Fratelli Pisoni) sono state presentate due Nosiola secche. I vini, prodotti da Giovanni Poli e Maxentia, entrambi dell’annata 2022, hanno mostrato la grande versatilità del vitigno, capace di regalare vini freschi e tesi, con potenziale assoluto di affinamento. Vini che entrano perfettamente nelle corde del consumatore moderno, a caccia di etichette dal basso tenore alcolico, immediate ma non banali, fresche e che privilegino la facilità di beva.
Un contraltare perfetto per i più ricchi e complessi Vino Santo, che nell’orizzontale hanno confermato l’attesa longevità, nonché sottolineato – ancora una volta – l’incredibile occasione persa dai ristoratori locali (e nazionali), che indugiano a presentarli in mescita nelle loro carte vini. E non è una questione di prezzo, considerando che il Vino Santo “d’annata”, in cantina (dunque tasse incluse), si aggira attorno ai 34 euro. «Vini – ha sottolineato Roberto Anesi – che si conservano a lungo una volta aperti, il che non fa altro che sottolineare l’occasione persa da molti ristoranti».
LA NOSIOLA NELLA SFIDA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Con la giusta comunicazione a livello internazionale, la Nosiola potrebbe diventare la “New thing” del Trentino del vino. Anche perché, come dimostrano alcune versioni – da provare, su tutte, quella dell’Azienda agricola Francesco Poli di Santa Massenza – il vitigno si presta pure in versione “bollicina”, in particolare come rifermentato in bottiglia. Quanti altri vitigni possono contare su una trasversalità tale, dalle versioni “frizzanti” ai vini fermi, chiudendo con vini dolci di gran pregio? Su tutti, il paragone della Nosiola con il Furmint di Tokaji è immediato, nonostante il secondo sia molto più noto, ricercato e ben considerato su scala globale.
Diverso è anche il “peso” del vigneto di Nosiola, che conta poco più di 70 ettari, meno dell’0,1% degli ettari vitati complessivi del Trentino (la varietà più allevata, con 2.550 ettari, è il Pinot Grigio). «Eppure – commenta Erika Pedrini (nella foto, sopra) dell’Azienda agricola Pravis – è un’uva incredibile. Ha il grande vantaggio di mantenere una bella acidità, anche in annate molto calde e siccitose come queste ultime, ed è dunque una varietà a cui i cambiamenti climatici fanno meno paura. Ed è proprio grazie a questa bella freschezza che si presta bene all’appassimento e a lunghi affinamenti».
DAL REBO AL REBORO
E il Rebo? Come detto, è il “fratello” trentino della Nosiola, con cui non condivide il patrimonio genetico, bensì le sorti di “vitigno-vino di nicchia“. In Valle dei Laghi, l’associazione locale lo propone soprattutto nella sua versione “Reboro“, marchio registrato che indica i vini rossi ottenuti da leggero appassimento del Rebo sfruttando, per l’appassimento naturale su graticci, lo stesso vento che favorisce la produzione del Vino Santo: l’Ora del Garda. Il Reboro trascorre un lungo periodo di permanenza sulle bucce e passa in rovere, prima di essere imbottigliato. Ne nasce un vino piuttosto corpulento, che necessita di abbinamenti importanti a tavola.
Eppure, a sorprendere ancor più del Reboro, sempre in ottica di modernità e capacità (potenziale) di catturare il gusto dei consumatori internazionali del giorno d’oggi, sono le versioni più semplici e beverine del Rebo, che non subiscono alcun appassimento, con vinificazione in acciaio. Vini dal colore mai troppo carico, capaci di mostrare appieno le caratteristiche dei due vitigni originari, Merlot e Teroldego. Varrebbe la pena parlarne di più, anche a livello locale. Perché se il “vino dolce” e il “passito” non sono (più) per tutti, un buon rosso “da piscina” è quello che il consumatore chiede, al giorno d’oggi. Specie se, alle spalle, ha una bella storia da raccontare. Anche attraverso i volti dei vignaioli del Trentino.
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FOTONOTIZIA – Vinitaly si è chiuso oggi con 93 mila presenze complessive, di cui 29.600 straniere. La crescita rispetto all’ultima edizione è stata quasi totalmente determinata dagli ingressi di buyer esteri (+20% circa) provenienti da 143 Paesi, che in questa edizione hanno rappresentato un terzo del totale degli operatori accreditati. Lo rende noto Veronafiere nel comunicare anche le date di Vinitaly 2024, che andrà in scena a Verona dal 14 al 17 aprile 2024.
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La crescita generalizzata del Metodo classico in Italia non spaventa, anzi: «Avvantaggia». La sfida da vincere, piuttosto, è quella della «desiderabilità». Lo Champagne conquista sempre più il Bel Paese e cresce nel gradimento dei consumatori italiani attraverso una formula che dà per acclarata la qualità, ormai internazionalmente riconosciuta. E punta tutto sulla sfera del «desiderio», da solleticare giocando sull’unicità del prodotto, pilastro fondante dello storytelling. Lascia sul tavolo molto più della fredda matematica la visita a Milano dei vertici del Comité Champagne, che mercoledì 29 marzo hanno presentato in un noto hotel del centro i numeri di un 2022 che vede l’Italia grande protagonista.
In termini di importazioni si tratta di un doppio record storico, sia a volume che a valore, grazie a 10,6 milioni di bottiglie di Champagne spedite nel Bel Paese (+11,5%) e un giro d’affari di 247,9 milioni di euro (valore franco cantina e tasse escluse), in crescita del 19,1%. L’Italia rappresenta oggi il quarto mercato dell’export mondiale dello Champagne a valore, davanti a Germania e Australia. Dati che dimostrano che, da Trento a Ragusa, chi sceglie le bollicine francesi per antonomasia è generalmente «esperto, curioso». E, soprattutto, «orientato alle cuvée di alta gamma».
Presenti a Milano David Chatillon, presidente dell’Union des Maisons de Champagne e co-presidente del Comité Champagne; Maxime Toubart, presidente del Syndicat général des vignerons e co-presidente del Comité Champagne; e Charles Goemaere, direttore generale del Comité Champagne. L’ente che rappresenta Maison e Vigneron della regione non ha dubbi: «I consumatori italiani si confermano grandi conoscitori di Champagne, amano scegliere e sanno muoversi all’interno della profondità di gamma offerta dai marchi».
I millesimati, le cuvée speciali e i rosé nel 2022 hanno rappresentato quasi un terzo delle bottiglie di Champagne giunte in Italia, raggiungendo complessivamente il 31% delle importazioni a valore, con performance per queste categorie superiori a quelle di mercati quali il Regno Unito e la Germania».
IN ITALIA CRESCONO GLI CHAMPAGNE A BASSO DOSAGGIO
Da segnalare per l’Italia la crescita degli Champagne a basso dosaggio, che costituiscono oggi il 5,1% a valore delle importazioni. E confermano, sempre secondo l’analisi del Comité, «l’evoluzione dei gusti degli italiani». I dosaggi inferiori al Brut, infatti, rappresentavano 15 anni fa lo 0,1% del totale delle spedizioni. «I gusti degli italiani – ha dichiarato Charles Goemaere – si distinguono da sempre nel panorama mondiale del consumo di Champagne per la particolare domanda di bottiglie di pregio».
«In questo scenario – ha aggiunto – il settore Horeca ci appare particolarmente dinamico. Dopo la crisi legata alla pandemia, nel 2022, i consumi in bar, hotel e ristoranti fanno presumere una netta ripresa, confermando che il fuori casa rappresenta ormai un’abitudine consolidata per i consumatori italiani di Champagne. I positivi dati delle spedizioni confermano inoltre che l’offerta è riuscita a soddisfare la domanda».
«Il dinamismo a cui stiamo assistendo – ha spiegato David Chatillon – è dovuto essenzialmente allo sviluppo di nuovi mercati e di nuovi momenti di consumo. Lo Champagne resta il vino delle celebrazioni, ma prende sempre più piede un consumo che potremmo definire informale, in cui lo Champagne è sempre più il vino che riesce a rendere straordinario un momento ordinario. È questa la sfida della desiderabilità che dobbiamo continuare a vincere. E da questo punto di vista l’Italia è senza dubbio un osservatorio privilegiato sugli stili di consumo».
I DATI GLOBALI DELLO CHAMPAGNE NEL 2022
A livello globale, nel 2022 le spedizioni totali di Champagne hanno raggiunto i 325,5 milioni di bottiglie, in crescita dell’1,5% rispetto al 2021 e del 9,5% rispetto al 2019. Si tratta del miglior risultato a volume, secondo solo al picco del 2007. L’export rappresenta il 57% delle spedizioni, con 187,5 milioni di bottiglie, in crescita del 4,3%. Il 2022 segna un nuovo record a valore, con un giro d’affari che supera complessivamente per tutti i mercati i 6,3 miliardi di euro.
La classifica a valore dei principali mercati all’export per lo Champagne, vede al primo posto gli Stati Uniti con 946,9 milioni di euro e 33,7 milioni di bottiglie. Seguono il Regno Unito (548,9 milioni di euro e 28 milioni di bottiglie) e il Giappone (432,1 milioni di euro e 16,5 milioni di bottiglie).
L’Italia, al quarto posto, precede la Germania (245,1 milioni di euro e 12,2 milioni di bottiglie), Australia (188,3 milioni di euro e 10,5 milioni di bottiglie), Belgio (179,7 milioni di euro e 10,2 milioni di bottiglie), Svizzera (145,3 milioni di euro e 6,3 milioni di bottiglie) e Spagna (115,4 milioni di euro e 4,9 milioni di bottiglie). Chiude la classifica dei primi 10 mercati a valore il Canada, con un giro d’affari di 97,6 milioni e 3,5 milioni di bottiglie.
«La nostra ambizione – ha precisato Maxime Toubart – non è di cercare di fare di più, ma di fare ancora meglio, a beneficio delle generazioni future. Nei prossimi 10 anni, rafforzeremo notevolmente le nostre risorse con l’obiettivo che lo Champagne sia sempre disponibile, desiderabile e un punto di riferimento per i consumatori».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Canelli, culla del Moscato, sarà Docg. Giovedì 6 aprile si concluderà l’iter di riconoscimento del disciplinare di produzione e il suo nome sarà “Canelli Docg”. Giunge così al termine un percorso avviato nel 2001 da un gruppo di produttori locali. Il sogno nel cassetto è ora l’inizio della commercializzazione del Canelli Docg Riserva, con almeno 30 mesi di affinamento.
Le uve dei vigneti di Moscato bianco che potranno accedere alla nuova Denominazione di origine controllata e garantita, saranno quelle provenienti da 17 comuni attorno alla sottozona Canelli, punto di passaggio tra Langhe e Monferrato. L’annuncio è stato dato oggi al Vinitaly dal Consorzio Asti Docg.
La media rivendicata negli ultimi anni è di circa 100 ettari, per una produzione di quasi un milione di bottiglie, ma l’area offre un potenziale molto più alto. Nel 1865, con Carlo Gancia, a Canelli è nato lo spumante metodo classico, antesignano dell’Asti spumante legato al 100% con le uve di Moscato.
IN ARRIVO ANCHE CANELLI DOCG RISERVA
Da lì ha avuto origine la filiera della spumantizzazione, che grazie alle tecnologie di elaborazione del vino si esprime oggi nelle tipologie Asti spumante e Moscato d’Asti. In particolare, l’elaborazione di un vino aromatico, dolce, con una leggera sovrapressione e una bassa gradazione saranno i tratti distintivi anche del Canelli Docg nella tipologia Riserva.
La coltivazione della vite, e del Moscato è la coltura predominante nell’area di Canelli fin dal 1300. Poi lo sviluppo, soprattutto nei primi anni del ‘900 con Federico Martinotti che perfezionò il procedimento di preparazione del vino destinato alla fermentazione.
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Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Committente della ricerca: Regione Campania. Esecutore: Nomisma Wine Monitor. Risultato: «Un consumatore di vino su due non conosce i vini campani». Ha del clamoroso l’esito dell’indagine utile alla «comprensione delle dinamiche di mercato dei vini della Campania». Il tutto mentre l’assessore regionale all’Agricoltura Nicola Caputo sta portando avanti la proposta di istituzione di una Dop Campania per il vino regionale, al momento “frammentato” in diverse Denominazioni di origine. Queste ultime, secondo l’assessore, avrebbero una «scarsa notorietà fuori dai confini regionali».
Un problema risolvibile con il passaggio «delle piccole denominazioni territoriali attuali» alla «creazione di una Doc regionale che possa attivare sinergie collettive in materia di comunicazione e promozione all’estero». Secondo l’assessore Nicola Caputo, lo studio Nomisma Wine Monitor è «destinato ad essere decisivo per il futuro delle produzioni vitivinicole regionali». L’obiettivo? «Migliorare il posizionamento della nostra produzione enologica attraverso l’introduzione di un brand Campania Dop».
L’indagine viene definita una «prima tappa di un percorso che proseguirà nei prossimi mesi», non senza numerose resistenze a cui sta andando incontro la proposta. Ad opporsi sono numerosi produttori, tra cui i massimi rappresentanti regionali della Federazione italiana vignaioli indipendenti. Ma ad esprimere dubbi sulla proposta di una Dop Campania che fagociti le cosiddette «piccole denominazioni territoriali attuali», sono anche organizzazioni di categoria, come Confagricoltura. Posizioni riportate nel dettaglio da winemag.it, nell’articolo qui di seguito, datato 10 febbraio 2023.
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LA STRATEGIA PER IL FUTURO DEL VINO DELLA CAMPANIA
Ma l’assessore di Regione Campania Nicola Caputo tira dritto. «I risultati emersi dall’indagine sui consumatori oggi ci consentono già di fornire a produttori e Consorzi una valutazione complessiva del livello di awareness legato alle proprie Dop e Igp – sottolinea l’esponente ex Pd, oggi con Renzi in Italia Viva – ma soprattutto di definire una strategia per costruire una mappa valoriale collegata al brand e alle singole denominazioni territoriali.
Tanto è stato già fatto, grazie alla vitalità degli imprenditori e al dialogo con i Consorzi – come dimostra la costante crescita dell’export in valore – ma restano ancora dati sui quali riflettere: un consumatore di vino italiano su due, non conosce i vini campani; il 54% degli italiani dichiara di non aver consumato vini campani negli ultimi 12 mesi perché non li riconosce, pur avendoli già acquistati e degustati».
Un intervento avvenuto nel corso della presentazione a Vinitaly 2023, in anteprima nazionale, del progetto di ricerca realizzato da Nomisma sul posizionamento dei vini campani a denominazione sul mercato nazionale e internazionale. «Abbiamo il dovere di rendere più riconoscibili i vini campani – ha concluso Nicola Caputo – soprattutto fuori dai confini regionali. Dobbiamo avere più ambizione e individuare nuovi mercati per essere maggiormente competitivi». Per realizzare la survey sui comportamenti di acquisto dei consumatori, Nomisma Wine Monitor ha coinvolto «1500 consumatori di vino rappresentativi della popolazione italiana, di cui 300 consumatori di vino residenti in Campania».
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Angelo Gaja ha espiantato circa 1,14 dei 4,34 ettari di vecchie piante di Nebbiolo del suo vigneto Sorì San Lorenzo. Si tratta della parcella dalla quale nasce l’omonimo Barbaresco, tra i vini simbolo della cantina, nonché icona della regione vinicola piemontese. Un vino ricercato da collezionisti di tutto il mondo, entrato nel mito per il suo legame viscerale con il noto produttore. Forse anche per questo, Gaja è restio a commentare la decisione.
«La mia cantina non ha un sito web, figurarsi se voglio comunicare i dettagli sui lavori in corso al vigneto», sono le pochissime parole che l’imprenditore classe 1940 concede al telefono prima di riagganciare, salutando con la fretta di chi non vuole rilasciare alcuna dichiarazione. Un invito (indiretto) ad approfondire ancora più da vicino la notizia. Sul posto, di fatto, il (nuovo) colpo d’occhio del vigneto parla da sé.
Gli 1,14 ettari estirpati di Sorì San Lorenzo, nel cru Secondine, si presentano come la tavola spoglia di un ristorante stellato. Una macchia di colore marrone chiaro, con venature biancastre, tra le verdi file delle piante risparmiate dall’estirpo, e il bosco che scivola a valle. Il suolo si trova da giorni sotto l’assedio di pesanti cingolati. Sono almeno due gli operai intenti a livellare il vigneto, molto ripido, in attesa del probabile reimpianto.
Un cumulo di vecchie viti strappate dalla terra fa mostra di sé prima della fine della strada, a pochi passi dal cartello che indica il Cru Secondine. Una seconda catasta si trova sotto un albero, ai piedi del vigneto. È l’immagine perfetta di un pezzo di storia che se ne va. Un po’ per vecchiaia. Un po’, forse, per via una scelta imprenditoriale che sta facendo certamente discutere in tutta la zona. Senza spiegazioni ufficiali, è solo possibile ipotizzare quali siano le ragioni che hanno portato Angelo Gaja a sradicare un terzo del suo iconico vigneto di Nebbiolo.
GAJA E L’ICONICO BARBARESCO SORÌ SAN LORENZO
Siamo sul versante occidentale della denominazione, a pochi passi dalle sponde del fiume Tanaro, che divide Langhe e Roero. Una zona mitigata dalla presenza del corso d’acqua, in cui le piante di Nebbiolo, con età media di 75 anni, maturavano prima rispetto a molte altre zone di Barbaresco. Qualche vicino racconta come Gaja fosse tra i primi a raccogliere le sue uve in zona, raggiungendo ottimali gradi di maturazione senza il rischio di compromettere la qualità, a causa delle piogge. Quello che anni fa poteva essere un vantaggio, potrebbe poi essere diventato un ostacolo a fronte dei cambiamenti climatici.
Ecco perché è possibile ipotizzare che l’estirpo degli 1,14 ettari di Sorì San Lorenzo possano essere dettati, oltre che dall’anzianità delle piante, anche dalla scelta di impiantare un diverso clone di Nebbiolo, a maturazione tardiva: del resto sono 95 quelli ammessi all’interno della Denominazione. Da escludere, in merito al prossimo colpo d’occhio del vigneto, l’ipotesi del cosiddetto “ritocchino”, non più praticabile nelle Langhe divenute patrimonio Unesco.
Questa tecnica, infatti, prevede sì la disposizione dei filari nel verso della massima pendenza (nel caso specifico si raggiunge almeno il 30%) ma causa tuttavia problemi di erosione. Gli stessi che sono già ben visibili nella parte alta della porzione di vigneto espiantata, di proprietà di proprietà di altri vignaioli, dove è presente una scarpata piuttosto ripida.
GLI ALTRI PRODUTTORI DEL CRU SECONDINE
Di fatto, Angelo Gaja non è il solo a possedere vigneti all’interno del cru Secondine. Oltre a lui, capace di dare notorietà alla zona proprio grazie al suo vino Sorì San Lorenzo, ci sono La Spinona, i Produttori di Barbaresco e, da qualche anno, Stefano Sarotto, che alleva il vigneto di proprietà della moglie, Nora Negri (il primo Barbaresco, secondo indiscrezioni, porterà l’annata 2020 in etichetta).
Piccolissime porzioni sono poi di proprietà di altri privati. Non c’è solo Nebbiolo nel Cru Secondine, situato tra i 170 e i 245 metri sul livello del mare. Del 76% attualmente piantato a vigna, solo il 70% è da iscrivere al vitigno principe delle Langhe del Barolo e del Barbaresco. Il 15% è Barbera, l’8 a Langhe rosso 8% (Freisa, per esempio).
La parte restante è a Langhe Bianco, dunque a varietà di uve a bacca bianca (per esempio Chardonnay). I ben informati sanno che è lo stesso Gaja ad aver prodotto nella storia, in alcune annate, il suo Sorì San Lorenzo come Langhe Nebbiolo, al posto di Barbaresco. Il tutto giustificato con l’aggiunta di un 5% di Barbera al Nebbiolo. Una scelta che, almeno potenzialmente, avrebbe consentito un cospicuo surplus di produzione, calcolabile in media attorno al 25% in più.
Il tutto senza cambiare il prezzo, essendo Sorì San Lorenzo un vino icona, entrato nella storia dei grandi vini rossi italiani capaci di conquistare il mondo. E se è vero che “Sorì”, in piemontese, indica la porzione di vigneto più calda, perché ben esposta al sole, il futuro non potrà che essere luminoso. Anche in seguito all’estirpo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84 mila euro, quattro volte più della media delle superfici agricole. Lo rileva l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly con una ricognizione sui valori dei 674 mila ettari del vigneto nazionale che da Nord a Sud della Penisola generano un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno e rappresentano al contempo uno degli investimenti più redditizi in assoluto sul piano fondiario. Con il mercato che risponde con un boom di transazioni, dettate in particolare da fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana e Piemonte.
Le quotazioni massime più alte dei filari italiani – a volte sopra il milione di euro per ettaro – si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500.000 euro a ettaro per la zona di produzione del Trento Doc, la Valpolicella, Bolgheri e la Franciacorta. Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, secondo le rilevazioni elaborate dal Crea, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).
TERRITORI VOCATI A PRODUZIONI DI SUCCESSO
L’alto valore medio a ettaro del vigneto Italia (dato dalla presenza di ampi territori vocati a produzioni di successo, come Prosecco, Valpolicella, Lugana, Pinot grigio, Valdadige) associato all’estensione del vigneto (100.000 ettari circa) pone il Veneto in testa alla classifica generale dei valori fondiari. Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi: «Il vigneto Italia è ormai un brand globale specie nei suoi territori più vocati, e questo è un elemento di forza a cui gli investitori non possono sottrarsi. Notiamo come in genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana sia in primo luogo una questione di prestigio, poi certamente un bene rifugio o un elemento di diversificazione degli asset».
Ma alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che di aderire a un progetto remunerativo nel breve-medio periodo con il solo valore della produzione. In Italia si assiste a questo – ha concluso Frescobaldi -, e non è un caso se Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha recentemente acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa».
Per l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese: «Il vino italiano è un capitale strategico del Paese e Vinitaly lo ha ribadito con un rapporto realizzato dall’Osservatorio assieme a Prometeia con i nuovi numeri di una filiera da 31,5 miliardi di euro l’anno. Il settore, che vanta la miglior bilancia commerciale tra tutti i comparti del made in Italy tradizionale, ha una propensione all’export doppia rispetto all’agroalimentare e questo ha un peso anche sul valore fondiario di un prodotto sempre più globale, sempre più riconosciuto come bandiera dell’Italian style. Non è un caso se per l’azienda leader mondiale nella consulenza nel settore real estate, il volume degli investimenti nel vigneto Italia è segnalato in crescita in tripla cifra nell’ultimo biennio».
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
«Un ettaro di vigneto consuma mediamente circa 500 millimetri di acqua a stagione, cinquemila metri cubi pari a 5 milioni di litri. Occorre fare rete tra comuni limitrofi agendo insieme, dando priorità anche al problema della dispersione dell’acqua». È quanto sottolinea il presidente Città del Vino, Angelo Radica, alla vigilia del Vinitaly (2-5 aprile Veronafiere), dove l’Associazione nazionale che rappresenta 430 comuni sarà presente con 11 eventi in programma, fra cui la presentazione dei dati dell’Osservatorio del Turismo del Vino, con un focus di 145 comuni italiani. Il tema della siccità in viticoltura sarà centrale.
È drammatico per il futuro dei territori del vino italiano – prosegue Radica – constatare che riusciamo a raccogliere solo l’11 % dell’acqua piovana a causa di una rete infrastrutturale non adeguata, mancanza di piccoli invasi e perdite idriche del 42%.
Oltre agli investimenti già previsti per 3,9 miliardi di euro (di cui 2,9 mld dal PNRR) per rendere efficienti, sicure e durature nel tempo le infrastrutture idriche; occorre investire in ricerca ed innovazione, valorizzando il ruolo dei vitigni “antichi” resistenti alla siccità, ma anche sperimentarne di nuovi che siano resistenti e che abbiano bisogno di minore risorsa idrica. Sempre con una gestione intelligente dell’acqua».
IL RUOLO DEI COMUNI NELLA GESTIONE IDRICA
Il riferimento, molto chiaro, è dunque anche ai vitigni Piwi, resistenti alle malattie fungine e anche a condizioni meteo estreme: dal gelo al caldo torrido e alla siccità. Sempre secondo Città del Vino è «necessario programmare strategie sul breve e lungo periodo, facendo sinergia fra Comuni, Governo, Regioni, Università e centri di ricerca». «In occasione dell’ultima vendemmia – sottolinea il presidente Radica . l’emergenza idrica ha avuto risvolti estremi in alcuni areali, per certi versi drammatici. Questo impone nuove strategie di gestione delle risorse idriche».
Su questo tema i sindaci sono chiamati a svolgere «un ruolo strategico», attivando «nuove iniziative per una gestione più intelligente e condivisa della risorsa acqua». La s0luzione è sul tavolo dell’Associazione nazionale Città del Vino. «In molte aree – spiega Angelo Radica – sarebbero utili dei micro-invasi per una più regolare distribuzione nei periodi estivi».
Per risolvere l’emergenza siccità in viticoltura, bisogna anche «attivare tutte le sinergie per il recupero delle acque reflue, che non devono più essere considerate un problema ma una risorsa». Inoltre, sempre secondo Città del Vino, «i comuni possono favorire, compatibilmente con gli strumenti di pianificazione regionale, una minore burocrazia ed uno snellimento delle autorizzazioni nei casi in cui non c’è un chiaro impatto paesaggistico ed ambientale».
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«Piwi subito nelle Igt come “palestra”, poi nelle Doc»: Italia svegliati, la Francia corre. Appello del prof. Attilio Scienza
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«Ho scoperto che il vino naturale non è facile da trattare, perché richiede una grande attenzione, dalla spedizione dalla cantina al trasporto, fino alla porta dei clienti. I vini naturali hanno una qualità fragile, ma squisita, che va preservata». A parlare è Yasuko Goda, titolare di Racines, importatore giapponese di vini naturali tra i più noti al mondo. L’azienda, fondata nel 2003 in Giappone con il socio Masaaki Tsukahara, vede l’Italia grande protagonista. La selezione comprende big del calibro di Monte dei Ragni (Valpolicella), Le Due Terre (Prepotto), Rivella Serafino (Barbaresco) e Valentini (Abruzzo). Tutte e 150 mila bottiglie importate annualmente da Racines possono contare sulla maniacale attenzione alla qualità del trasporto che fa di questo importatore un unicum, nel controverso mondo dei “vini naturali”.
Stanca di assaggiare vini difettati e compromessi dalle condizioni di spedizione, Yasuko Goda ha realizzato quello che potrebbe essere definito un “disciplinare di importazione”. Regole molto semplici, ma applicate in maniera ferrea su tutta la filiera, che partono proprio dal concetto di «qualità fragile» dei vini naturali, privi delle “protezioni” chimiche – pur legali – che caratterizzano invece i vini prodotti su scala industriale.
In concreto, le cantine selezionate da Racines sono chiamate a consegnare al corriere, oltre al vino, anche un termometro digitale Sensitech che registrerà le temperature in tutte le fasi di trasporto, sino alla consegna in Giappone. Convinta che il vino naturale sia “materia viva”, Yasuko Goda e il suo team di degustatori concede «tempo per riassestarsi» alle partite di vino che hanno subito sbalzi di temperatura. In alcuni casi, prima di prendere una decisione definitiva su vini risultati compromessi all’arrivo nel Paese del Sol Levante, può trascorrere anche un anno e mezzo dall’ordine.
IL DESTINO DEL VINO NATURALE COMPROMESSO, IN GIAPPONE
Emblematico quanto accaduto ad alcuni pallet giunti dall’Italia a Tokyo nel maggio del 2021, per un totale di 3.720 bottiglie. Il team di Racines, come si apprende dalla documentazione fornita a winemag.it da Yasuko Goda, ha conclamato il difetto dovuto al «fatale, errato trasporto su un normale camion, a una temperatura più alta di quella rigorosamente misurata in precedenza». Ma ha atteso sino a dicembre 2022 per degustare nuovamente la partita, riunendo un team di 7 esperti. Solo a quel punto, alla cantina italiana è stato chiesto il permesso di distillare l’intero ordine.
Non abbiamo la minima idea di buttare i vostri vini, anche se con gravi difetti – recita l’email inviata da Racines ai produttori – perché non solo sarebbe uno spreco di risorse, ma anche un tradimento nei confronti dell’affetto che voi e noi stessi nutriamo per il vino. Ci permettiamo invece di suggerire la distillazione di tutti i vini danneggiati.
In questo modo, crediamo che i vostri vini avranno un’altra vita e speriamo che i consumatori più attenti possano godere delle reminiscenze dei vostri vini nell’acquavite. Al contempo vogliamo il vostro parere, perché temiamo altrimenti di ferire il vostro amore parentale per ciascuno dei vostri vini».
IL VINO NATURALE SECONDO YASUKO GODA (E RACINES)
«Il vino naturale – spiega Yasuko Goda – per me equivale a un’esperienza che definirei molto difficile, eppure la più interessante di tutte. Mi sono innamorata del vino naturale al primo sorso, a Parigi, più di 20 anni fa, quando ancora selezionavo vini per un altro distributore. Allora il mondo del vino naturale mancava di informazioni affidabili: era come navigare senza una mappa. Ritengo che ancora oggi non ci siano abbastanza informazioni e valutazioni accurate sul vino naturale. Tutti questi elementi hanno portato a una marea di cosiddetti “vini naturali” di qualità inferiore, o con difetti evidenti, molto lontani dagli standard che esigiamo a Racines».
Da qui l’attenzione maniacale al trasporto, nell’ottica di preservare quella «qualità fragile» che contraddistingue i vini naturali. Un concetto di base nella filosofia dell’attento importatore giapponese. «Presentare vini danneggiati ai nostri clienti – chiosa Yasuko Goda – non solo li deluderà, ma minerà anche la loro fiducia nella cantina e nel relativo marchio: due aspetti che cerchiamo di consolidare con grande impegno». D’altro canto, Goda non nasconde che «i danni da calore durante il trasporto si verificano frequentemente, specie negli ultimi anni». I vini giunti a Tokyo ormai compromessi non vengono sempre distillati.
Siamo soliti offrire questi vini danneggiati solo a un numero limitato di ristoranti fidati, a prezzo ridotto – sottolinea l’importatrice – a patto che il numero di bottiglie danneggiate non sia cospicuo. Nel caso della partita di 3.720 bottiglie, risultava impossibile terminare le scorte in un periodo di tempo breve».
IL MODELLO RACINES, ISPIRATO ANCHE DALL’ENOTECA PINCHIORRI
C’è una bella fetta di Italia nel rigido “metodo Racines“. «La qualità dei vini italiani – sottolinea Yasuko Goda – è migliorata rapidamente tra gli anni Ottanta e Novanta, grazie alla comparsa di molti nuovi produttori. Ma il mercato giapponese, all’epoca, era rimasto piuttosto obsoleto. Molti amanti del vino non erano in grado di vivere questo fermento. La qualità media dei vini italiani non industriali presenti in Giappone era generalmente scarsa, deteriorata proprio dalle condizioni di trasporto nei container, non appropriate».
Ma non dappertutto. «Quando l’Enoteca Pinchiorri aprì nel quartiere dello shopping di Ginza, a Tokyo – spiega l’importatrice giapponese – ebbi l’occasione di bere i grandi vini italiani con sapori e profumi autentici, molto simili agli originali. Mi riferisco per esempio a Le Pergole Torte 1982 di Montevertine, oppure al Montepulciano 1978 di Valentini, davvero in ottime condizioni». Uno scrigno del Made in Italy enologico che chiuse i battenti, nel 2012.
«Eppure quegli assaggi – rivela Goda – mi convinsero che si potevano importare vini italiani di una certa qualità, preservandone l’integrità con un sistema di trasporto e di distribuzione a bassa temperatura, sempre inferiore ai 15°, dalla cantina al tavolo del ristorante o del privato. Grazie a questo approccio, anche il consumatore giapponese ha potuto, sin dagli esordi di Racines, conoscere la qualità dei veri vini italiani prodotti da piccoli e selezionatissimi produttori». Una mission che continua, ormai da 20 anni.
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Entrano a Vinitaly mischiandosi tra la folla, acquistando il ticket “operatori”, oppure con i pass di altre aziende. Non hanno uno stand in cui esporre. In compenso introducono a Veronafiere valigie piene dei loro vini. Poi, nelle zone comuni o tra gli stessi padiglioni, trascorrono le giornate a proporre assaggi dei loro vini a buyer e visitatori. Suona più o meno così il Vinitaly dei produttori furbetti: costi ridotti all’osso e obiettivo comunque centrato, approfittando della più importante fiera del settore in Italia, in programma nel 2023 a Verona, dal 2 al 5 aprile.
Una pratica tanto comune da passare ormai quasi inosservata, in alcuni padiglioni. La segnalazione arriva a winemag.it da alcuni produttori, stanchi di pagare la retta di Veronafiere per vedere poi colleghi portare a casa lo stesso risultato. Nell’ombra. Sempre secondo le fonti di winemag.it, i produttori furbetti del Vinitaly agirebbero con la complicità di altri espositori paganti. La notizia non viene confermata da Veronafiere, che si dice all’oscuro del fenomeno.
VERONAFIERE AVVISA: «SALE RISERVATE AGLI ESPOSITORI ISCRITTI»
Alla richiesta di un commento, l’ufficio stampa dell’ente veronese risponde piuttosto piccato: «Apprendiamo con sorpresa della pratica che sarebbe ormai piuttosto comune a Vinitaly, in base alla quale diversi produttori senza stand hanno preso l’abitudine di intrufolarsi tra i padiglioni e nelle aree comuni per far assaggiare i loro vini, portati all’interno della Fiera con valigie e trolley».
«Atteso che non abbiamo avuto mai alcuna evidenza né segnalazione in tal senso, chiediamo alle vostre fonti di rivolgersi direttamente a noi, così da consentirci di conoscere i presunti fatti e porre in essere le dovute verifiche. Per il resto – conclude Veronafiere – non possiamo che ribadire come durante Vinitaly le sale per incontri, degustazioni e/o convegni sono riservate agli espositori regolarmente iscritti, a tutela dei quali sempre agiamo con il massimo impegno».
Da ulteriori approfondimenti di winemag.it, risulta che qualcuno abbia già preso da anni provvedimenti per evitare che i vini di produttori non paganti finiscano per essere degustati tra i padiglioni di Veronafiere. Si tratta di Fivi che, sin dalle edizioni precedenti la pandemia, ha chiesto ai propri associati di non favorire il proliferare di etichette di vignaioli non presenti agli stand. Pena per l’ospitante, la perdita del diritto al banchetto. Furbetto avvisato, furbetto salvato.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«In Piemonte abbiamo sulle palle 8 mila ettari di Barbera che non hanno dignità economica. E per di più non esiste l’assessorato all’Agricoltura in Regione, perché un tizio che governa circa 3 milioni di ettolitri di vino prodotti e 15 milioni di ettolitri di vino comprati non può essere chiamato assessore all’Agricoltura, bensì al Commercio». Walter Massa ha appena finito di deliziare gli ospiti del Ristorante Montecarlo di Tortona con uno dei suoi pezzi da novanta – un Monleale 2000 in formato magnum – quando chiede l’attenzione della stampa presente in sala nell’ambito dell’Anteprima Derthona Due.Zero 2023. Il discorso è di quelli che lasciano il segno. Tema: la Barbera piemontese.
«Dobbiamo smettere di chiamarla “Barbera d’Asti” per poi vedere quella prodotta da Caldirola a 1,99 al supermercato, con tanto di fascetta. Se lo Chardonnay a Meursault si chiama “Meursault“, se la Malvasia puntinata a Frascati si chiama “Frascati“, se la Garganega a Soave si chiama “Soave“, un motivo c’è. Smettiamo di chiamare “Barbera” il vino fatto con l’uva Barbera. Diamogli nomi di fantasia, piuttosto. Dobbiamo imparare dalla Borgogna, dalla Francia, non dall’Oltrepò pavese: a Tortona nasce la rivoluzione della Barbera, che qui si chiama “Monleale” e basta». Walter Massa, in sostanza, invita tutti i “barberisti” a seguire l’esempio del Nizza Docg.
Ma anche il vitigno simbolo dei Colli Tortonesi, il Timorasso, è stato oggetto negli ultimi anni di un profondo restyling “concettuale”. I vini prodotti con uve Timorasso sui Colli Tortonesi potranno presto chiamarsi semplicemente “Derthona“, dall’antico nome romano della città capoluogo della regione vinicola, Tortona. Il tutto a partire dalla vendemmia 2022, grazie alla ratifica delle modifiche al disciplinare di produzione della Doc, che già prevedeva la sottozona “Monleale” per i vini ottenuti da Barbera (min. 85%; 72 quintali di resa per ettaro).
Derthona Timorasso sempre più “bianco di Langa”: i 10 migliori 2021 in anteprima
Derthona Timorasso sempre più “bianco di Langa”: i 10 migliori 2021 in anteprima a Derthona Due.Zero 2023, verso i 3 milioni di bottiglie
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Diciotto anni di ViniVeri Cerea. Dal 31 marzo al 2 aprile 2023 l’Area Exp di Cerea, a pochi chilometri da Verona, è pronta a ospitare vini, vignaioli, storie e territori della 18ª edizione di ViniVeri, Vini secondo natura. Una manifestazione che, fin dagli esordi nel 2004, è stata in grado di porre sotto i riflettori una nuova idea di vino e di agricoltura. E che, quest’anno, presenta diverse novità.
A ViniVeri Cerea 2023 faranno il loro esordio due vignaioli d’oltralpe apprezzati nel mondo del vino naturale e non solo. Si tratta dell’iconico produttore dello Champagne Vouette & Sorbée, Bertrand Gautherot e del giapponese Kenjiro Kagami che, in pochi anni, grazie al vigneto di 3 ettari acquistato nel 2011 a Grusse, ha fatto diventare i vini della sua Domaine des Miroirs uno dei punti di riferimento dello Jura. Accanto a loro, i nuovi vignaioli che hanno aderito e sottoscritto “La Regola del Consorzio ViniVeri”.
A VINIVERI CEREA 2023 I “VINI SECONDO NATURA”
ViniVeri Cerea 2023 animerà per tre giorni l’Area Exp di Cerea diventando il fulcro di degustazioni, incontri, approfondimenti, proiezioni di film, eventi gastronomici. Un ricco programma che «non solo intende far conoscere vini e produttori ma vuol coinvolgere e far interagire appassionati, wine lover e addetti al settore con i poliedrici aspetti del mondo del vino secondo natura».
«La riconoscibilità di ViniVeri è data dalla nostra storia quasi ventennale – sintetizza il presidente del Consorzio ViniVeri, Paolo Vodopivec – che abbiamo deciso di tutelare registrando, pochi giorni fa in Italia, l’immagine e il nome ViniVeri». Tutti i dettagli dell’evento sul sito ufficiale del Consorzio ViniVeri.
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Il Consorzio Tutela Lugana Doc ha un nuovo direttore: è Edoardo Peduto, 44 anni, nominato in occasione dell’ultima riunione del Consiglio di Amministrazione dell’ente di Peschiera del Garda. Peduto assume così la «figura del Wine Globetrotter, con la responsabilità della promozione e valorizzazione della Denominazione» che ha raggiunto i 28 milioni di bottiglie nel 2022.
Classe 1978, studi in Marketing e Comunicazione, Edoardo Peduto ha acquisito una consolidata esperienza nella promozione internazionale, a seguito di una lunga collaborazione con Vinitaly International prima, e con il Consorzio del Grana Padano, poi. Il nuovo direttore, oltre ad occuparsi della cura dei rapporti con gli associati e con gli enti esterni, si impegnerà nel consolidare e sviluppare l’immagine e la notorietà del marchio Lugana, sia sul mercato nazionale che internazionale.
«Con l’ingresso di Edoardo Peduto – commenta il presidente Fabio Zenato – la nostra Denominazione si arricchisce di una figura dirigenziale di alto profilo. Una scelta corale del Consiglio di Amministrazione». «Sono felice e onorato – sottolinea Peduto – di iniziare questa nuova esperienza professionale all’interno di uno dei Consorzi più promettenti del panorama italiano di oggi. Punti di forza sia in Italia sia all’estero sono senza dubbio le grandi potenzialità del vitigno Turbiana e la posizione unica sulle sponde del Lago di Garda».
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Le rese dei vigneti erano quelle dei vini da tavola e dei vini Igt. Ma le uve venivano poi spacciate per Doc, alimentando così il florido mercato del Prosecco e del Pinot Grigio, senza il rispetto dei relativi disciplinari di produzione. Questo l’impianto d’accusa che ha portato i Funzionari dell’Icqrf (Ispettorato Repressione Frodi) e i Carabinieri del Nas a indagare i titolari di due cantine situate tra le province di Udine, Pordenone, Gorizia e Treviso. Nell’inchiesta anche una persona giuridica la cui attività ha sede tra Friuli e Veneto. Dovranno rispondere di frode in commercio e della falsificazione di documenti utile al disegno criminale.
L’operazione, come spiegano i carabinieri del Nas di Udine a winemag.it, è scattata in mattinata ma è tutt’ora in corso. Non si esclude che il cerchio possa allargarsi ulteriormente, sin dalle prossime ore. Per il momento, i funzionari della Repressione Frodi e i carabinieri del Nucleo anti sofisticazione, stanno dando esecuzione ai decreti di perquisizione emessi dalla Procura della Repubblica di Udine nei confronti di circa una trentina tra cantine, imprese agricole, abitazioni e ditte di trasporto.
L’indagine, volta al contrasto alle frodi ai danni dei consumatori ed alla tutela della qualità delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche di prodotti agroalimentari, nello specifico Prosecco e Pinot Grigio, non ha rivelato potenziali rischi per la salute pubblica. Le partite di uva “gonfiate” in termini di rese, superiori a quanto prescritto dai disciplinari, conduce infatti a una minore qualità dei mosti, ma non a pericoli di carattere sanitario.
FALSO PROSECCO E PINOT GRIGIO TRA FRIULI E VENETO
Le indagini, come rivelano gli inquirenti a winemag.it, hanno preso avvio nei mesi scorsi, a partire da un normale controllo di routine compiuto dagli ispettori dell’Icqrf in collaborazione con i carabinieri del Nas. La documentazione presentata da una cantina di Udine, confrontata con i quantitativi immessi sul mercato, ha insospettito le forze dell’ordine, che hanno così scoperto l’illecito relativo alle rese dei vigneti.
L’inchiesta è stata poi allargata ad altre cantine della zona, spingendosi poi nelle province di Pordenone, Gorizia e Treviso. Un vaso di pandora che vede coinvolte alcune delle denominazioni italiane più note nel mondo, ovvero Prosecco e Pinot Grigio, per la cui promozione in Europa e nel mondo vengono spesi ogni anno centinaia di migliaia di euro, in parte finanziati dall’Ue. Ma non è tutto.
Tra le ipotesi investigative c’è anche quella che i vini prodotte dalla quindicina di cantine finite nella rete delle forze dell’ordine siano stati ottenuti in parte con uve di varietà e provenienza diversa da quella dichiarata, non rientranti nei disciplinari di produzione. Gli inquirenti escludono, al momento, un collegamento causa-effetto tra il taglio di 1.100 viti ai danni di un viticoltore di Bertiolo e l’inchiesta scattata in mattinata.
Vandali o malavita in azione in una “Città del Vino” del Friuli: tagliate 1.100 viti
Vandali o malavita in azione in una “Città del Vino” del Friuli: tagliate 1.100 viti. Danno da 30 mila euro per il viticoltore Adriano Grosso
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Vinitaly 2023 scalda i motori. La 55° edizione è ai nastri di partenza e si preannuncia da record. Secondo le stime di Veronafiere ed Ice-Agenzia, saranno presenti «più di 1.000 top buyer (+43% sul 2022) da 68 Paesi selezionati, invitati e ospitati» a Verona. Business, internazionalizzazione e posizionamento saranno le tre direttrici di Vinitaly 2023, «pronto a diventare, dal 2 al 5 aprile, la più grande “ambasciata” del vino, con oltre 4 mila aziende da tutta Italia e da più di 30 nazioni», sempre secondo le stime degli organizzatori.
L’edizione 2023 del salone internazionale dei vini e dei distillati organizzato da Veronafiere è stata presentata oggi a Roma da Federico Bricolo, presidente di Veronafiere SpA, e Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere Spa. Alla conferenza stampa sono intervenuti anche Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Matteo Zoppas, presidente di Ice-Agenzia, Giuseppe Schirone, economista e manager di Prometeia, e Carlo Flamini, wine observatory manager di Unione Italiana Vini. «Sarà un Vinitaly 2023 di servizio – anticipa il presidente di Veronafiere Spa, Federico Bricolo – sempre più funzionale alle esigenze delle aziende che operano sui mercati. Una evoluzione prevista dal piano industriale, con l’obiettivo di potenziare ulteriormente l’identità e la centralità della manifestazione, oggi riconosciuta quale brand in grado di trainare la promozione del vino italiano a livello internazionale. Il risultato della campagna straordinaria di incoming realizzata quest’anno ci proietta verso il Vinitaly del futuro, leva per la competitività e la crescita di questo settore strategico del made in Italy».
In contemporanea, sugli oltre 100mila mq netti di superficie espositiva tra padiglioni fissi e tensostrutture al completo, anche gli altri due saloni professionali – Enolitech con Vinitaly Design e Sol&Agrifood con B/Open e Xcellent Beers – che portano così il totale espositivo in quartiere a più di 4.400 aziende.
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FOTONOTIZIA – Un progetto a metà tra l’enoturismo e la solidarietà, la cui realizzazione non potrà tuttavia prescindere dalla pace tra Ucraina e Russia. A proporlo è l’Associazione nazionale Città del Vino, che ha intenzione di sostenere il rilancio delle Strade del Vino dell’Ucraina, Paese in cui si allevano 180 vitigni.
A sottoporre al consiglio nazionale il progetto è stato il Consorzio Vini Colli Euganei, che ha trovato l’appoggio del presidente dell’associazione Città del Vino, Angelo Radica. Complessivamente gli ettari vitati in Ucraina erano 41.300 prima della guerra (1,33 milioni di ettolitri).
Oltre alla Trascarpazia, i vigneti si concentrano nelle regioni del sud vicino ad Odessa e nella zona a sud del fiume Dnieper, nei pressi di Kherson, dove il conflitto ha impattato in maniera fortissima. Proprio in questa zona si concentra la maggior parte delle 7 Strade del Vino dell’Ucraina.
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