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Etichettatura vino, UE cambia regole al 90°: QR code non basta, insorgono produttori

Etichettatura vino, UE cambia regole al 90° QR code non basta, insorgono produttori lista ingredienti ceev uiv unione italiana vini
Passo indietro sul QR Code: da solo non basta. Nel nuovo sistema di etichettatura dei vini va indicata la parola “ingredienti”, in modo da rendere comprensibile ai consumatori che il codice rimandi ad un’e-label contenente la dichiarazione nutrizionale completa, comprensiva dell’elenco degli ingredienti. Cambiano in questo senso, al 90° minuto, l
e linee guida della Commissione europea sulle nuove norme per l’etichettatura del vino. Pubblicate oggi, includono una nuova interpretazione della normativa UE che incide sull’aspetto delle etichette stesse, appena due settimane prima dell’applicazione delle nuove norme.

La decisione scatena l’indignazione dei produttori europei, che attraverso il Comitato Europeo delle Aziende Vitivinicole (Comité Vins – CEEV) chiedono una modifica urgente delle Linee Guida per evitare la distruzione di centinaia di milioni di etichette di vino già stampate o presenti sugli scaffali.

«Non possiamo accettare una nuova interpretazione pubblicata 14 giorni prima della data di applicazione – spiega Mauricio González Gordon, presidente della CEEV – che implicherà, da un lato, la distruzione di centinaia di milioni di etichette già stampate; dall’altro, la nostra incapacità di stampare nuove etichette in tempo per rispettare la nuova scadenza regolamentare. Chiediamo quindi alla Commissione di modificare urgentemente le Linee Guida».

CAMBIANO LE REGOLE PER L’ETICHETTATURA DEL VINO

Il Regolamento (UE) 2021/2117 pubblicato il 6 dicembre 2021, impone a partire dall’8 dicembre 2023, l’etichettatura obbligatoria dell’elenco degli ingredienti e della dichiarazione nutrizionale dei vini e dei prodotti vitivinicoli aromatizzati. Tuttavia, la legislazione dà ai produttori la possibilità di rendere disponibile la dichiarazione nutrizionale completa e l’elenco degli ingredienti per via elettronica (e-label). Le aziende si sono quindi impegnate ad implementare l’etichetta digitale rapidamente.

In buona fede e nel rispetto del Regolamento (UE) 2021/2117 e di tutte le informazioni ufficiali disponibili, la grande maggioranza degli operatori del settore vitivinicolo ha deciso di identificare i QR-code con il simboloimage.png registrato ISO 2760, universalmente noto per identificare un luogo in cui si trovano informazioni.

Ma oggi la Commissione ha pubblicato le sue Linee guida che contengono una nuova interpretazione del regolamento OCM vino in cui si afferma che la presentazione di un codice QR dovrebbe essere chiara per i consumatori per quanto riguarda il suo contenuto, che il codice QR deve essere identificato sull’etichetta con il termine “ingredienti”, «aggiungendo incertezza – sempre secondo CEEV – riguardo al regime linguistico da applicare».

UNIONE ITALIANA VINI: «EUROPA MATRIGNA CON LE IMPRESE DEL VINO»

«In tal modo – continua il Comitato Europeo delle Aziende Vitivinicole – la nuova interpretazione della Commissione mina drammaticamente il principio della certezza del diritto e delle legittime aspettative degli operatori economici e ignora la volontà politica espressa dai colegislatori all’adozione del regolamento (UE) 2021/2117. La pubblicazione delle Linee Guida a sole 2 settimane dall’entrata in vigore rende impossibile l’adeguamento degli operatori economici e ignora inoltre il principio di proporzionalità tra libera circolazione delle merci, competitività e informazione dei consumatori».

Dello stesso parere è la Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo e diversi Stati membri (tra cui Spagna, Italia, Francia e Portogallo), che hanno comunicato ufficialmente le loro preoccupazioni alla Commissione Europea e il loro sostegno all’interpretazione del CEEV. «L’interpretazione – conclude il Comité Vins – cancella il principale vantaggio apportato dal sistema di etichettatura elettronica. Stiamo valutando tutte le possibili strade per salvaguardare il mercato unico e gli interessi delle aziende vinicole fornendo al contempo adeguate informazioni ai consumatori».

Per l’Italia interviene Uiv. «C’è un’Europa che a volte si fa matrigna con le sue imprese – ha detto il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti – e purtroppo ciò sta accadendo sempre più spesso con quelle del nostro settore. Le aziende vinicole, assieme a Uiv, sono da sempre sostenitrici della trasparenza nei confronti dei consumatori, come dimostra il fatto che, per primo, l’intero comparto abbia già adottato quanto previsto dal Regolamento Ue 2021/2117. Oggi un dietrofront, con la sorpresa di una nuova interpretazione al regolamento che rappresenta un buco nero sul futuro delle nostre imprese».

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Il Congresso Ais 2023 diventa Convention “green” aperta al pubblico


Si svolgerà a Genova la Convention Nazionale dell’Associazione Italiana Sommelier 2023, giunta quest’anno alla 55ª edizione e in programma da venerdì 24 a domenica 26 novembre. L’evento biennale organizzato da Ais torna dopo 22
anni nel capoluogo della Liguria (la prima volta fu nel 2001) con un format rinnovato. Il congresso si trasforma quest’anno in una vera e propria Convention, per la prima volta aperta al pubblico. «Un contenitore ricco di appuntamenti, dibattiti, itinerari e iniziative legate al tema del “Paesaggio” – spiega il presidente Ais Sandro Camilli – quale fil rouge della nuova edizione».

Ai consueti appuntamenti istituzionali – riunione del Consiglio Nazionale e l’Assemblea dei Soci – si alternano degustazioni, visite alla città, iniziative didattiche e culturali dedicate al pubblico di appassionati. «I cambiamenti climatici, con le loro conseguenze – aggiunge Camilli – hanno messo a nudo la fragilità del Paesaggio. Sta a noi prendere coscienza del nostro impatto sul pianeta e prendercene cura».

«Il messaggio che parte dalla Convention Ais 2023 di Genova – conclude il presidente Ais – è quello che dobbiamo ritrovare l’armonia con noi stessi, con i nostri simili, con la natura e con la nostra storia e che il paesaggio può essere uno straordinario elemento di sintesi di queste dimensioni». Il programma completo della Convention Nazionale dell’Associazione Italiana Sommelier 2023 è reperibile sul sito ufficiale Ais.

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Mercato Fivi 2023: a Bologna i Migliori Vini italiani della Guida Top 100 winemag 2024

Tutto pronto alla Fiera di Bologna per il Mercato Fivi 2023, dodicesima edizione del format più imitato del settore, in Italia (malamente imitato, s’intende). Tra i vini da non perdere al Mercato dei vini e dei vignaioli indipendenti c’è soprattutto il Marche Rosso Igt Fatjà di Terra Argillosa, Miglior vino rosso italiano 2024 per la Guida Top 100 Migliori vini italiani di winemag.it (acquistabile a questo link). Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca è di 96/100.

Uvaggio di Cabernet Franc e Merlot dallo strettissimo legame col territorio in cui prende vita, nelle Marche, Fatjà di Terra Argillosa è un faro sulla produzione, sempre meticolosa, ricercata e mai banale, della cantina di Offida. Terra Argillosa sarà al Padiglione 30, fila F, stand 94 e merita un passaggio non solo per Fatjà, ma anche per scoprire più da vicino l’approccio alla viticoltura della cantina artigianale guidata da Raffaele Paolini e Sara Tirabassi.

Tra i banchi del Mercato Fivi 2023 non mancheranno le indicazioni di altri vini e cantine premiate dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it, che da sempre intende valorizzare produzioni di nicchia del Made in Italy enologico. È il caso di Vigne al Colle, la cantina di Rovolon (Padova) del vignaiolo Martito Benato. che ha espresso lo Spumante dolce dell’anno, il Fior d’Arancio Docg 2022. Un’occasione irripetibile, il prossimo Mercato dei vini 2023, per conoscere l’intera gamma di eccellenze vulcaniche dei Colli Euganei, dagli spumanti ai rossi: appuntamento al Padiglione 29, fila E, stand 58.


MERCATO VIGNAIOLI FIVI 2023: INFORMAZIONI PRATICHE
  • Orari
    Sabato 25 e domenica 26 novembre: apertura cancelli ore 11.00, chiusura ore 19.00.
    Lunedì 27 novembre: apertura cancelli ore 11.00, chiusura ore 17.00.
  • Ingressi
    Due gli ingressi (Nord ed Est Michelino), entrambi a ridosso del parcheggio multipiano Michelino. Il parcheggio Nord è riservato a chi acquisterà il biglietto in prevendita, per facilitare e velocizzare l’ingresso. Chi raggiungerà BolognaFiere con i mezzi pubblici o in taxi, in Piazza della Costituzione troverà un servizio di navette gratuite, dirette all’ingresso Est Michelino.
  • Biglietti acquistabili online sul sito ufficiale Fivi
    Intero giornaliero
    Online: € 25,00
    Acquistato in fiera: € 30.00.
  • Ingresso 2 giorni
    Online: € 40,00

    Acquistato in fiera: € 50,00.
  • Ingresso 3 giorni
    Online: € 60,00

    Acquistato in fiera: € 70,00.
  • Ridotto
    Soci AIS, FISAR, ONAV, AIES, ASPI, ASSOSOMMELIER, SCUOLA EUROPEA SOMMELIER, SLOW FOOD
  • Online e in fiera: € 20,00.
  • Operatori
    Online e in fiera: € 20,00- Biglietto acquistabile inserendo la partita Iva.
  • Carrelli
    Oltre 1.000 carrelli a disposizione del pubblico, con la possibilità di riconsegnarli direttamente al parcheggio multipiano.
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Liv-ex Power 100 2023: Bordeaux porto sicuro, Italia in bianco e nero


Bordeaux
è emerso come vincitore naturale nella classifica Liv-ex Power 100 2023. Bordeaux si conferma così porto sicuro per collezionisti di vini pregiati. È il mercato meno rischioso che esista, il meglio compreso; i collezionisti sanno cosa aspettarsi da questi vini, ovvero qualità a un certo prezzo e relativa liquidità. Lo dice chiaro l’
ultimo rapporto del London International Vintner’s Exchange (Liv-ex). Nello stesso anno, per l’Italia, perde 33 posizioni il brand Masseto. Il Bel Paese se la cava meglio sul fronte del numero di vini commercializzati, specie tra i produttori del Piemonte.

Roagna, Rinaldi, Vietti e Gaja vedono un elevato numero di etichette, alcune delle quali offrono un buon punto di prezzo rispetto a Conterno e Bartolo, attirando gli acquirenti di valore. Vietti si è piazzato al 21° posto per numero di vini commercializzati e Roagna al 38°, aumentando la sua posizione complessiva dal 158° posto del 2022 al 46° del 2023. Anche Giuseppe Rinaldi figura nella lista dei maggiori incrementi complessivi, passando dall’85° al 15° posto.

Più in generale, l’Italia ha guadagnato un marchio con Vietti, che ha registrato una performance particolarmente positiva per quanto riguarda il numero di vini scambiati. Dominio de Pingus ha raggiunto Vega Sicilia come secondo marchio spagnolo nella Liv-ex Power 100 2023, grazie a una performance positiva dei prezzi e al valore e ai volumi scambiati in borsa, in particolare delle etichette PSI e Flor de Pingus. Anche un marchio svizzero è entrato in classifica, Gantenbein, che ha brillato per la sua performance di prezzo del 10,8%.

PERCHÈ BORDEAUX SBARAGLIA LA LIV-EX POWER 100 2023

«La debolezza del mercato – commenta Justin Gibbs, vicepresidente e direttore di Liv-ex – rende la classifica 2023 particolarmente interessante. I marchi che hanno guidato il mercato fino al suo picco dell’ottobre 2022 stanno ora risentendo maggiormente della correzione. Gli acquirenti hanno affinato la loro attenzione per riflettere una maggiore avversione al rischio: sono alla ricerca di marchi stabili e liquidi, che offrano un valore relativo e che favoriscano il Bordeaux rispetto alla Borgogna e alla California».

La Power 100 è un’istantanea del panorama in continua evoluzione del mercato secondario e la lista di quest’anno ha colto il mercato in piena correzione dei prezzi. Il numero di marchi che si sono qualificati per l’inclusione nella Power 100 è diminuito del 2,1% nel 2023. Il motivo? I collezionisti hanno ristretto la loro attenzione ai vini di qualità più elevata.

Nonostante la quota commerciale della California sia rimasta relativamente stabile, la regione ha perso cinque vini nella Liv-ex Power 100 2023 rispetto all’anno precedente. L’avversione generale al rischio e gli aumenti dei prezzi registrati in Borgogna hanno fatto sì che alcuni dei marchi più “recenti” della regione, che erano entrati nella Power 100 nel 2022, siano usciti dalla classifica, in quanto i collezionisti cercano sicurezza (e profitti) nelle etichette blue chip.

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Vendemmia 2023 in California: un’annata eccezionale su 250 mila ettari


La vendemmia 2023 in California? «Eccezionale» secondo i viticoltori che aderiscono al California Wine Institute, l’ente fondato nel
1934 che raggruppa oltre mille cantine californiane e imprese del settore. Le abbondanti piogge invernali hanno rivitalizzato i terreni e favorito lo sviluppo della vite. Le temperature fresche in tutta la California, in primavera ed estate, hanno permesso all’uva di svilupparsi gradualmente, godendo di tempi di maturazione extra. Con i primi mosti in cantina, molti viticoltori prevedono che la vendemmia 2023 in sarà «una delle più belle degli ultimi anni, producendo vini con profili organolettici meravigliosi, acidità vibrante e notevole equilibrio».

La raccolta è iniziata tardi in tutta la California, con un ritardo da due settimane a un mese intero rispetto alla media. Molte varietà hanno raggiunto la maturità simultaneamente, determinando un raccolto compresso. Alcuni viticoltori prevedevano di continuare a raccogliere l’uva fino alla fine di novembre. La California produce circa l’80% del vino nazionale, rendendola la quarta regione produttrice di vino al mondo.

Oltre l’80% del vino californiano viene prodotto da aziende certificate sostenibili della California. Oltre la metà dei circa 615.000 acri di vigneti, pari a 248.881 ettari, sono certificati secondo uno dei programmi di sostenibilità della California (Certified California Sustainable Winegrowing, Fish Friendly Farming, Lodi Rules, Napa Green e SIP Certificato). Nel 2022, lo stato ha prodotto 599,557,535 degli 752,077,206 galloni degli Usa, pari appunto a circa l’80% della produzione complessiva (22 dei 28 milioni di ettolitri).

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Cordisco sinonimo di Montepulciano: esulta l’Abruzzo


Il Ministero dell’Agricoltura ha accolto la richiesta di reintroduzione del sinonimo Cordisco per il Montepulciano, all’interno del Registro Nazionale della Vite. Il
decreto MASAF 597594 del 26 ottobre 2023 sembra supportare la rivendicazione del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo di potere usare il termine Montepulciano solo per i vini prodotti all’interno della regione. Vietandolo a regioni come le Marche, dove il vitigno è molto coltivato, storicamente. L’utilizzo del sinonimo Cordisco, secondo l’ente abruzzese, consentirà agli altri territori italiani di «indicare correttamente i vini ottenuti da quest’uva secondo quella che è la normativa in fase di adozione».

Il presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo, Alessandro Nicodemi, si spinge oltre: «Applicando il sinonimo, altri territori potranno ottemperare al nuovo DM Etichettatura e al principio della corretta informazione, evitando illeciti utilizzi e usurpazione delle DOP in etichetta o nella pubblicità dei vini, che a nostro avviso ha il solo risultato di confondere il consumatore finale».

Il termine Cordisco come sinonimo di Montepulciano sarebbe «scomparso nella trascrizione dal registro cartaceo a quello informatizzato, alla fine degli anni Ottanta». Si avvia dunque a tornare a poter essere utilizzato nella designazione di vini a base Montepulciano, come già accade per il Calabrese e il suo sinonimo Nero d’Avola, che interessa altre due regioni del Sud Italia come Calabria e Sicilia.

CORDISCO: IL TERMINE “SCOMPARSO” DAL REGISTRO NAZIONALE DELLA VITE

Per il vicepresidente della Giunta regionale dell’Abruzzo con delega all’Agricoltura, Emanuele Imprudente: «Si tratta di un decreto che pone le basi affinché l’utilizzo del nome Montepulciano sia riservato, senza generare confusione, ai vini prodotti in Abruzzo sgombrando il campo da eventuali fraintendimenti. Con l’accoglimento della proposta di reintrodurre la dicitura Cordisco, utilizzata già in passato, per i vini prodotti con uve Montepulciano, è stata colmata una lacuna nella designazione di questa tipologia di vino e soddisfatta la nostra richiesta.

«Pur condividendo l’impianto normativo del cosiddetto “DM etichettatura” – aggiunge Imprudente – abbiamo il dovere di tutelare le specificità della nostra regione in termini di biodiversità e peculiarità delle colture. Pertanto, d’intesa con il Consorzio tutela vini d’Abruzzo, in un’ottica di sistema, ci impegneremo a far sì che la denominazione Montepulciano D’Abruzzo Doc continui ad essere espressione dei vini prodotti all’interno della regione e connoti un territorio ed una vocazione ben definiti».

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Addio a Michele Chiarlo

FOTONOTIZIA – Mondo del vino italiano in lutto per la scomparsa di Michele Chiarlo. Il noto produttore piemontese è scomparso oggi, all’età di 88 anni. Il suo nome è legato alla produzione di Barbera e Moscato, noti in tutto il mondo.

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Resistente e popolare: l’Oltrepò pavese scopre il Pinot Meunier


Non solo Pinot Nero per il Metodo classico dell’Oltrepò pavese. Negli ultimi anni, i produttori hanno scoperto il Pinot Meunier, terza varietà di uva della Champagne con 10.348 ettari. Conosciuto in Francia per la maggiore vigoria e resistenza al gelo rispetto a Pinot Noir e Chardonnay, il vitigno sta iniziando a prendere sempre più piede nei fondovalle oltrepadani. La strada per la sua definitiva consacrazione nella cuvée del Metodo classico Docg dell’Oltrepò è stata avviata dal Consorzio nei mesi scorsi. Dopo la modifica al disciplinare votata a maggioranza dai produttori nel dicembre 2022, il Meunier attende i necessari passaggi burocratici (Regione Lombardia, Roma, Bruxelles).

«Non va dimenticato – sottolinea il direttore del Consorzio di Tutela, Carlo Veronese – che ci sarà richiesto di dimostrare, a livello organolettico, le migliorie che il vitigno può apportare all’attuale cuvée della Docg». In prima fila tra i promotori c’è Oltrenero, la cantina oltrepadana della famiglia Zonin. «Al di là delle caratteristiche organolettiche – commenta il direttore Paolo Tealdi – nella discussione dell’inserimento del Pinot Meunier nella Docg fino a un massimo del 15%, c’è il fatto che è un vitigno che soffre meno le gelate. Fa molto comodo, ai nostri tempi, avere una varietà da poter impiantare nelle zone più basse, ossia nel fondovalle. Per lo stesso motivo è stato inserito il Pinot Bianco».

Grazie a “Cuvée Emme“, Oltrenero propone sul mercato un Meunier in purezza, sin dal millesimo 2017, ovviamente catalogato come Vsq – Vino Spumante di qualità. I due ettari della varietà francese sono stati impiantati nel 2012 su terreni profondi, argilloso-limoso-calcarei, con ricca presenza di marne. In commercio, al momento, c’è il millesimo 2018 (Brut Blanc de Noir, minimo 24 mesi sui lieviti). La base 2019, degustata in anteprima, alza ulteriormente l’asticella delle aspettative sul Meunier in Oltrepò pavese.

CRESCONO GLI ETTARI DI PINOT MEUNIER IN OLTREPÒ PAVESE

A crederci è anche Cantina Scuropasso, a Pietra de Giorgi. «È una varietà che abbiamo nel cuore – commenta il titolare, Fabio Marazzi – viste le grandi interpretazioni in purezza della Champagne, che conosciamo ormai da diversi anni. I produttori che piantano Meunier in Oltrepò stanno crescendo. Trovo che sia un bel segnale, ben oltre alla semplice “moda”. Noi abbiamo impiantato il nostro vigneto 6 anni fa, su terreni calcarei, scegliendo barbatelle dalla Francia e un’esposizione non troppo soleggiata. Si è ambientato molto bene: mostra una bella vigoria, con una resa di 90 100 quitali per ettaro. Abbiamo alcune prove di spumantizzazione in purezza, che abbiamo scelto di inserire nella Cuvée del nostro Blanc de Noir Roccapietra».

È Flavia Marazzi a spiegare le ragioni di questa scelta. «Ci siamo accorti che il Pinot Meunier conferisce una morbidezza e “grassezza” perfetta per essere abbinata al carattere del nostro Pinot nero. Aggiungendone il 10-15% ci consente di rispettare la nostra precisa identità stilistica, riducendo la necessità di ricorrere al dosaggio. Mi auguro che il percorso di introduzione del Meunier nel Metodo classico Docg dell’Oltrepò pavese giunga a compimento, in quanto è un vitigno nobilissimo, che dà ottimi risultati anche nella nostra zona. D’altro canto, l’apertura al Meunier offre un’opportunità in più ai produttori, senza toglie nulla in termini di territorialità e tipicità».

IL PINOT MEUNIER NELLA CUVÉE DELL’OLTREPÒ METODO CLASSICO

Della stessa opinione Alessio Brandolini: «Ho piantato mezzo ettaro nel 2013 – spiega il vignaiolo Fivi di San Damiano al Colle – in una vigna dove il Pinot Nero soffre molto il gelo, a 150 metri sul livello del mare, esposto a Nord. Sono molto contento di questa scelta: in questi anni, a parte nel 2017, non ho mai avuto problemi di gelate. Stilisticamente apprezzo il Pinot Meunier per la sua verticalità».

«Lo considero un vino da taglio – continua Brandolini – arrivando a un massimo di utilizzo dell’8% nella cuvée. Ne pianterò sicuramente altro nei prossimi anni, ma sempre nell’ottica di vitigno gregario: resto infatti convinto che in Oltrepò si debba puntare tutto sul Pinot nero. Sono stato tra i produttori più favorevoli alla sua introduzione nel disciplinare e ritengo sia molto più funzionale al territorio rispetto a vitigni come il Pinot Grigio, che non c’entra nulla».

Freschissima l’esperienza sul vitigno di Cantine Bertelegni. «Siamo tra gli ultimi ad avere impiantato questo vitigno in Oltrepò pavese – commenta Andrea Bertelegni – con lo scopo preciso di inserirlo nella nostra cuvée Metodo classico, formata così da Pinot Nero, Chardonnay e Meunier. La prima vendemmia “vera” è stata quella del 2023. Potremo dunque presentare sul mercato il nostro vino non prima di 24 mesi minimi di affinamento. L’obiettivo è arrivare a regime con a 36-48 mesi di affinamento. Più in generale, ci auguriamo che siano premiati gli sforzi del Consorzio per rendere più appetibile una Docg che, ad oggi, non lo è».

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Morto Antoni Mata, presidente di Recaredo


Lutto nel mondo del vino spagnolo per la comparsa a 81 anni di Antoni Mata, uomo immagine e presidente della nota casa spumantistica Recaredo, ai massimi livelli nella produzione del Corpinnat.
Nato il 28 aprile 1942 a Can Credo, casa della famiglia Recaredo a Sant Sadurní d’Anoia, ha portato avanti il progetto familiare con una visione globale totale e rivoluzionaria. Ad Antoni Mata si deve l’innovativa produzione di spumanti di terroir, capaci di esprimere l’identità più autentica del Penedès e di competere in prestigio e qualità con gli spumanti internazionali.

«Proveniamo da una famiglia di ceramisti – amava ricordare – e abbiamo iniziato a produrre i nostri spumanti con le uve provenienti dai vigneti dei nostri nonni materni. Più vedevamo il grande legame tra la coltivazione della vite e i Brut Nature e i Cava di lungo invecchiamento che ci piacevano, più eravamo incoraggiati a cercare le migliori tenute del Penedès». Ed è così che la sua “ossessione” di diventare un vero viticoltore lo ha portato a guidare l’ulteriore acquisizione di vigneti per la cantina di famiglia Recaredo.

Aperto all’evoluzione e ai continui cambiamenti, Antoni Mata ha privilegiato la fedeltà all’uso del tappo di sughero naturale come garante di un lungo invecchiamento in bottiglia, in un contesto storico in cui l’industrializzazione del settore ha comportato l’introduzione dei tappi a corona per lo spumante. Questa singolarità, unita al fermo impegno di creare spumanti senza liqueur, ha forgiato lo stile di un metodo classico gastronomico e soprattutto fedele al suolo, lontano da mode o correnti. «Antoni Mata – ricorda la famiglia – appartiene a una generazione educata all’austerità del tempo in cui ha vissuto. Una generazione che ha lavorato senza guardare l’orologio e con l’impegno, sempre, dell’eccellenza e del lavoro ben fatto».

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Le 30 migliori Barbera d’Asti, Alba, Monferrato e Nizza a Rosso Barbera 2023

Tutti la conoscono, tantissimi la amano, pochi lo dicono. La Barbera del Piemonte è quel vino tra le cui sicure sfumature rifugiarsi, nel bene o nel male della sua acidità appuntita e dei suoi eccessi d’alcol e legno. Un vino che ha poco di veramente “nuovo” da raccontare al grande pubblico, se non qualche coraggiosa e ben riuscita vinificazione alternativa, per esempio in anfora. Ed è forse proprio per questo che piace (a tutti, o quasi) ed è un vino di successo, ambasciatore del Made in Italy enologico (soprattutto piemontese) nel mondo. La Barbera è una certezza. Uguale a se stessa, ormai da tempo. Ecco le 30 migliori Barbera d’Asti, d’Alba, Monferrato e Nizza a Rosso Barbera 2023.

  1. Barbera d’Asti Docg 2022 Cascina Vigna, Az. Agr. Gozzelino Stefano
  2. Barbera d’Asti Docg 2018 Ricordi, Sant’Anna dei Bricchetti
  3. Barbera d’Asti Docg 2020 Romea, Az. Agr. Gozzelino Emiliano
  4. Barbera d’Asti Docg 2019 Bruna, Costa dei Tigli
  5. Barbera d’Asti Docg Pianoalto 2021 Libera, Bava
  6. Barbera d’Asti Docg 2022 San Bastian, Poderi Rosso Giovanni
  7. Barbera d’Asti Docg 2022 Pian Scorrone, Tenuta Il Falchetto
  8. Barbera d’Asti Docg 2022 La Maestra, Dacasto Duilio
  9. Barbera d’Asti Docg 2020 Margà, Vini Domanda
  10. Barbera d’Asti Docg 2021 Robiross, Prediomagno
  11. Barbera d’Asti Docg 2021 Desolina, Vinicola Arno
  12. Barbera d’Asti Docg 2022 Robiano, Az. Agr. Gatto Pierfrancesco
  13. Barbera d’Asti Docg 2022 P-Cit, La Montagnetta di Capello Domenico
  14. Barbera d’Asti Docg 2020 Rebarba, Cantine Post dal Vin
  15. Barbera d’Asti Docg 2020 Tanguera, Vada Azienda agricola di Guido Vada
  16. Barbera del Monferrato Docg Superiore 2019 Le Cave, Castello di Uviglie
  17. Barbera d’Alba Doc 2021 San Cristoforo, Marsaglia
  18. Barbera d’Alba Doc 2021 Anna, Pasquale Pelissero
  19. Barbera d’Alba Doc Superiore 2021 I Patriarchi, Francone
  20. Barbera d’Alba Doc Superiore 202o Bricco Capre, Mario Rivetti – Cascina Serre
  21. Barbera d’Alba Doc 2021 Castellinaldo, Marchisio Tonino
  22. Barbera d’Asti Docg Superiore 2019 Beneficio, Az. Vitivinicola Cascina Sciorio
  23. Barbera d’Asti Docg Superiore 2020 Litina, Cascina Castlet
  24. Nizza Docg 2020 Le Nicchie, La Gironda
  25. Nizza Docg 2020 Vialta, Az. Agr. Serra Domenico
  26. Nizza Docg 2017 Augusta, Isolabella della Croce
  27. Nizza Docg 2020 Viti Vecchie, Gianni Doglia
  28. Nizza Docg 2021 Moncucco, Dacasto Duilio
  29. Nizza Docg Riserva 2019 Quattrofilari, Beppe Marino
  30. Nizza Docg Riserva 2016, Garesio
LE MIGLIORI BARBERA DEL PIEMONTE A ROSSO BARBERA 2023

L’occasione per l’assaggio di circa 160 vini sugli oltre 300 in degustazione è stata appunto Rosso Barbera 2023, la più importante rassegna sul vitigno organizzata dal Comune di Costigliole d’Asti in collaborazione con il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, l’Associazione Produttori “Noi di Costigliole” e i sommelier Ais Asti, in scena dal 3 al 6 novembre al Castello di Costigliole d’Asti. Location per nulla casuale: si tratta del Comune più vitato del Piemonte a livello di denominazione e con più di 220 aziende dedite alla vinificazione del Barbera.

Tra i migliori assaggi figurano vini molto diversi tra loro, a conferma della grande versatilità del vitigno sulla base del microclima e delle caratteristiche del suolo. Colpisce l’uniformità dei vini proprio sulla base del territorio di provenienza, ancor più che per la tecnica di vinificazione. Il Barbera ama acciaio e cemento, regalando nettari dal frutto croccante, solo in apparenza semplici e degustabili anche col pesce. La musica cambia nelle versioni vinificate in legno, più corpose e strutturate ma sempre in grado di mostrare un ottimo equilibrio tra eleganza e potenza, almeno tra le etichette che figurano tra i migliori assaggi a Rosso Barbera 2023.

L’ALCOL DEL BARBERA NEL 2023: OCCHIO ALLA TEMPERATURA DI SERVIZIO

Un capitolo a parte è quello dell’alcol del Barbera, che merita un approfondimento. Nell’epoca in cui il consumo di vini rossi strutturati ha subito una battuta d’arresto a beneficio di spumanti, vini bianchi e vini rossi freschi, connotati dall’agilità di beva, il ruolo del marketing territoriale diventa sempre più centrale in territori contraddistinti dalla produzione di vini dall’alta percentuale alcolica. Su tutti, in Italia, la Valpolicella sta facendo di questo tema una bandiera della propria comunicazione nazionale e internazionale, sia nel confronto con la stampa sia sul fronte dei consumatori.

Ottima, dunque, la scelta di suddividere i 300 (e più) vini Barbera in degustazione sulla base della tecnica di vinificazione, oltre che della provenienza geografica e della denominazione. Ottimo anche il servizio dei sommelier Ais Asti, partner preziosissimi e fondamentali dell’evento più importante dedicato al vitigno principe del Piemonte. Ottima, infine, la presenza di vini da diversi territori del mondo, oltre che dalla vicina Lombardia (Oltrepò pavese). Ma nel 2023 si può (e si deve) fare di più, almeno a Rosso Barbera, per evitare di assaggiare vini da 15, 16 o 17 gradi a “temperatura ambiente”, incidendo sul loro profilo ancor più di quanto stiano facendo i cambiamenti climatici.

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Wine Vision by Open Balkan: Veronafiere a Belgrado con 50 cantine


Come anticipato il 27 giugno scorso da winemag.it, fa rotta sui Balcani la missione di promozione del vino italiano di Vinitaly e ICE Agenzia, che da giovedì 16 a domenica 19 novembre 2023 approda a Belgrado (Serbia) per la seconda edizione di Wine Vision by Open Balkan, prima e più grande fiera enologica nel sud est Europa che lo scorso anno ha ospitato 350 cantine provenienti da 20 Paesi e più di 30mila visitatori da 40 nazioni. Qui l’«Area Italia» conterà più di 1000 metri quadrati riservati al tricolore (la richiesta iniziale era pure superiore). Diventerà il punto di ritrovo per buyer, professionisti e opinion maker di settore, interessati a conoscere e approfondire non solo le proposte delle 50 aziende della collettiva italiana, ma anche contatti, strategie e opportunità commerciali per il vino made in Italy.

Una fiera, Wine Vision Open Balkan, che assume un ruolo sempre più centrale nel panorama degli eventi europei ed internazionali del settore. Basti pensare che, secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, nei primi 6 mesi 2023 le vendite di vino italiano nell’area dell’Est Europa (Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia Del Nord, Moldavia, Montenegro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Turchia) con l’Austria hanno registrato un aumento del 16,5%, per un controvalore nel semestre di 243 milioni di euro. Una crescita in controtendenza rispetto alle performance globali del settore nella prima metà dell’anno (-0,4%) che conferma la leadership italiana nell’area considerata.

WINE VISION BY OPEN BALKAN SEMPRE PIÙ CENTRALE

«Dopo il successo della partecipazione della delegazione Open Balkan allo scorso Vinitaly – commenta l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese – vogliamo continuare a presidiare e sviluppare il business del vino nei Balcani e nell’Est Europa, un mercato dove il vino italiano è riuscito lo scorso anno a sorpassare la Francia in quantità e valori, divenendo il principale fornitore Ue. Un primo risultato importante e da capitalizzare attraverso un’azione mirata sia di posizionamento e penetrazione, ma anche attivando il reclutamento e lavorando sugli incoming in vista di Vinitaly 2024».

«La partecipazione dell’Italia a Wine Vision – ricorda l’Ambasciatore d’Italia in Serbia, Luca Gori – si inserisce nel quadro della Settimana della Cucina italiana nel Mondo, l’iniziativa della Farnesina che promuove le eccellenze della nostra tradizione culinaria. A questo riguardo, il vino resta uno dei prodotti più apprezzati anche all’estero come dimostra il valore delle sue esportazioni che nel primo semestre del 2023 ha raggiunto i 3,7 miliardi di euro».

«I Balcani – aggiunge il presidente di ICE, Matteo Zoppas – con questa iniziativa sono al centro dell’attenzione della cabina di regia del nostro governo e la nostra agenzia punta molto su quest’area. Sono paesi ancora a forte sviluppo, dove l’attenzione per l’Italia sta crescendo, il made in Italy è molto apprezzato ed il vino è uno dei prodotti strategici. Non c’è un ristorante internazionale di livello che non abbia una importante carta dei vini italiani e ciò testimonia come l’Italia anche su questo sia un riferimento nel mondo».

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Vendemmia 2023 in Trentino: cala la quantità dell’8%

Produzione leggermente inferiore alla media dell’ultimo decennio (- 2%) per la vendemmia 2023 in Trentino. Il raccolto delle cantine che fanno capo al Consorzio Vini del Trentino ha raggiunto i 1.146.042 quintali di uva, con una riduzione dell’8% rispetto all’annata 2022. Le uve bianche rappresentano il 78% della produzione trentina, mentre le uve nere costituiscono il restante 22%.

Oltre il 70% della produzione totale di uve trentine è costituito da tre varietà bianche: Pinot grigio (36%), Chardonnay (26%) e Müller Thurgau (9%). Le principali varietà a bacca nera sono invece risultate nell’ordine: Teroldego (7%), Merlot (5%), Pinot nero (3%), Lagrein e Marzemino (2%). Le uve della vendemmia 2023 delle varietà di vite cosiddette “resistenti” o Piwi (come Solaris e Johanniter) ammontano a circa 3500 quintali.

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Dal Grillo al Syrah, la vendemmia 2023 in Sicilia: quando «Less is more»


«Less is more», direbbero gli inglesi. È un po’ questa la sintesi della vendemmia 2023 in Sicilia. Al prevedibile (e previsto) calo della quantità, con punte del 40% in alcune parti dell’isola, rispondono gli ottimi livelli analitici delle uve e dei mosti in lavorazione nelle cantine. I v
ini rossi siciliani 2023 avranno una forte identità. Dai bianchi – in primis dal Grillo – ci si attende un profilo aromatico complesso. Più in generale, sono grandi le aspettative sui vini da vitigni autoctoni, sempre più fedeli al territorio; dagli internazionali un nuovo ed interessante profilo, con il Syrah in grande spolvero.

«Nonostante le condizioni climatiche estreme e l’attacco della peronospora – commenta Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia – i viticoltori parlano di una vendemmia sfidante che però non ha compromesso la qualità del raccolto. In situazioni estreme come queste, si è rivelato vincente l’approccio di prevenzione che hanno adottato molti produttori e di gestione oculata ed attenta dei complessi fattori meteo-climatici».

VENDEMMIA 2023 IN SICILIA: «DIFFICILE GENERALIZZARE, MA…»

A entrare nel dettaglio è Mattia Filippi di Uva Sapiens. che per Assovini Sicilia cura l’annuale report vendemmiale: «La vendemmia 2023 in Sicilia ha dato risultati non omogenei dal punto di vista dei diversi territori siciliani, con variazioni di produttore in produttore. Difficile generalizzare. Ciò che abbiamo riscontrato è l’interessante risultato delle uve Grillo. Un vitigno performante nelle riduzioni di quantità, che in questa vendemmia ha dato vini dall’ampio spettro aromatico e note tropicali più pronunciate».

«La grande sorpresa – continua Filippi – è stato il vino prodotto dal vitigno Syrah, le cui uve hanno dimostrato una resistenza alle condizioni meteo-climatiche e una maturazione che si è tradotta in vini dall’eccellente equilibrio acido-zuccherino. Interessante è stata la risposta delle uve del Cerasuolo di Vittoria e di alcuni vitigni dell’Etna e del Nord Est della Sicilia».

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Cresce il valore ma calano le vendite: il 2023 del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg

Nonostante la flessione nelle vendite, calate del 10%, il 2023 del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg si chiuderà con un +4,7% in valore. Soddisfatto il Consorzio di Tutela che, nel presentare il Rapporto economico 2023, definisce la denominazione «stabile e in salute». Le anticipazioni sull’andamento dei mercati, curate dal Cirve dell’Università di Padova, sono state presentate oggi pomeriggio a Villa Brandolini d’Adda, a Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso). «L’anno che stiamo per chiudere – commenta Elvira Bortolomiol, presidente del Consorzio di Tutela – è stato molto complesso, ma alla complessità e all’evolversi repentino degli eventi ormai siamo abituati. Il 2023 si chiuderà con circa il 10% in meno delle bottiglie vendute rispetto al 2022».

VENDITE GDO IN CALO, TIENE LA RISTORAZIONE

«Dopo un inizio anno molto lento – continua la numero uno del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg – abbiamo recuperato negli ultimi mesi. Oggi registriamo una flessione rispetto al 2022, assestandoci nuovamente sui valori pre-pandemici. Lo scorso anno infatti ha rappresentato un’eccezionalità. E i dati di oggi sono più fedeli alle reali potenzialità della denominazione. Rileviamo una riduzione delle vendite in volume all’estero (circa -6%), cui corrisponde comunque un aumento del valore del 4,5%. Quest’ultimo dato ci rassicura e ci conferma che il lavoro sul posizionamento del prodotto continua a essere vincente».

La riduzione dei volumi venduti nel 2023 è il risultato di comportamenti diversi osservati nei vari canali di distribuzione. Sul mercato italiano la ristorazione, sostenuta soprattutto dalla crescita del flusso di turisti stranieri, sta mantenendo i volumi. Dal Rapporto economico 2023 si evince invece il calo nella grande distribuzione. Il volume di vendite in Gdo tra l’ottobre 2022 e l’ottobre 2023, risulta inferiore del 6,5% rispetto a quelle dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma l’aumento in valore è pari al 2,3%. Con il passare dei mesi, tuttavia, la domanda nel 2023 si sta riallineando con quella dell’anno precedente. Nel trimestre luglio, agosto, settembre 2023, le vendite in grande distribuzione sono cresciute rispetto al 2022 del 3,4% in volume e del 6,8% in valore.

IL 2022 DEL CONEGLIANO VALDOBBIADENE PROSECCO DOCG

In giornata sono stati sottolineati anche i risultati del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg nell’anno solare 2022. Lo scorso anno sono state vendute 100.081.088 bottiglie, per un valore di quasi 607 milioni di euro. Il mercato italiano, che rappresenta il 60,2% delle vendite, nel 2022 ha assorbito 57 milioni di bottiglie, per un valore pari a 365,5 milioni di euro. Rispetto alla suddivisione per aree geografiche, il Nord est assorbe ancora la quota maggiore di prodotto con il 37,3% dei volumi.

Segue il Nord ovest con il 30,7%, il Centro con il 22,1% e chiude il Sud e le isole con il 9,9%. Per quanto riguarda il mercato estero, ancora saldamente in testa il Regno Unito con una quota del 23,1% (quota del mercato a valore) del mercato estero si conferma il Paese che importa più prodotto (10.300.000 di bottiglie) e che rende il maggior valore (€ 56mln). Segue la Germania con 8,1 mln di bottiglie per 50,7 mln di euro in valore e la Svizzera con poco più di 6.300.000 di bottiglie per più di 33,4 milioni di euro.

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Istruttoria Antitrust impennata costi del vetro: 9 aziende nel mirino


L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha avviato un’istruttoria nei confronti di Berlin Packaging Italy, Bormioli Luigi, O-I Italy, Verallia Italia, Vetreria Cooperativa Piegarese, Vetreria Etrusca, Vetri Speciali, Vetropack Italia e Zignago Vetro per una presunta intesa restrittiva della concorrenza nella vendita delle bottiglie di vetro. Secondo l’Autorità, le società si sarebbero coordinate, almeno a partire dal 2022, nel richiedere ai propri clienti «analoghi aumenti di prezzo delle bottiglie di vetro nello stesso arco temporale». L’istruttoria è stata avviata grazie ad alcune segnalazioni, una delle quali pervenuta tramite la propria piattaforma di whistleblowing di Agcm.

«Questo coordinamento – spiega l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – potrebbe essere il risultato di un accordo o di una pratica concordata per evitare il confronto concorrenziale tra i principali operatori del settore». I funzionari dell’Autorità, con l’ausilio del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, hanno svolto ispezioni nelle principali sedi delle società e di altri soggetti ritenuti in possesso di elementi utili all’istruttoria, tra cui Assovetro, l’Associazione nazionali degli industriali del vetro.

La stessa che, sul finire di settembre, aveva definito il Decreto proroghe «una norma che impedisce la pianificazione finanziaria e rimuove quanto già concesso, cancellando con due mesi di anticipo il sostegno alle aziende energivore, togliendo certezza e la possibilità di programmazione ad un sistema produttivo, dal vetro alla ceramica, già sotto pressione nell’attuale quadro congiunturale».

IL COMMENTO DI CONFCOOPERATIVE FEDAGRIPESCA

«L’impennata dei prezzi del vetro è elemento di forte criticità che da anni grava sulle imprese agroalimentari e che impatta direttamente anche sull’aumento dei prezzi dei beni alimentari, dal vino alle conserve. Se il costo del vetro non subirà riduzioni, si rischia di compromettere seriamente la competitività di molte nostre imprese. Ben venga quindi l’avvio dell’indagine avviata dall’Antitrust per far luce su un’eventuale intesa sui prezzi del vetro». Così il presidente di Confcooperative Fedagripesca Carlo Piccinini commenta la notizia resa nota oggi dall’Antitrust relativa all’istruttoria in corso su alcune aziende produttrici di vetro per il vino, per un presunto cartello nella vendita delle bottiglie.

«Il continuo aumento dei prezzi del vetro – prosegue Piccinini – assume una valenza ancora più impellente nell’attuale congiuntura che vede incombere sulle imprese le possibili ripercussioni del nuovo Regolamento sugli imballaggi attualmente in discussione in Europa. Il nuovo impianto normativo obbligherà infatti le imprese che utilizzano contenitori non riutilizzabili, di passare al vetro, con un aggravio di costi difficilmente sopportabili».

«Sarebbe pertanto auspicabile – conclude il presidente di Confcooperative Fedagripesca – che l’impatto del costo del vetro sull’industria alimentare venga affrontato al più presto, facendone oggetto di un confronto allargato nell’ambito del tavolo istituito dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso sul carrello anti-inflazione. Speriamo che si faccia presto chiarezza anche sul costo degli imballaggi di vetro utilizzati per altri prodotti alimentari, dalle conserve ai succhi».

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Gaspari: «Signorvino? Zýmē non in vendita. E su Quintarelli e Dal Forno dico che…»


«Non ho venduto niente a nessuno, Zýmē non è in vendita». È quanto dichiara Celestino Gaspari, patron della prestigiosa cantina di San Pietro in Cariano, in Valpolicella. Smentite così, dal diretto interessato, le voci (molto insistenti) che circolano da qualche settimana in merito a un possibile acquisto da parte del Gruppo Signorvino, già agli onori delle cronache per l’operazione La Giuva della famiglia Malesani (andata ufficialmente in porto nel febbraio 2023).

Nell’affidare la smentita ufficiale in esclusiva a winemag.it, Celestino Gaspari va oltre. «Ho diversi pretendenti, anche nomi prestigiosi – dichiara – ma ad oggi non ho venduto Zýmē e non ho intenzione di vendere. Le voci che circolano in Valpolicella dimostrano che è il mio giro. Un po’ di anni fa è stato il turno di Quintarelli, poi quello di Dal Forno e adesso è il mio… Cosa devo farci? Non ho venduto e non sono in trattativa per farlo». Quel che è certo, è invece che la cantina di via Cà del Pipa 1 stia affrontando un periodo di profonda «ristrutturazione».

«Quello che sto facendo – chiarisce Gaspari – è avere le idee più chiare, aspettando che mio figlio diventi grande. Compirà 4 anni a gennaio 2024, quindi ho altri vent’anni davanti. Il mio compito adesso è ristrutturare bene l’azienda, a fronte di una serie di cambi avvenuti nell’ultimo periodo. Il mio obiettivo è avere per ogni comparto una persona referente di cui veramente mi fido, con capacità certe. Il tutto per ritagliarmi più spazio per muovermi e più spazio per me stesso. Questa è l’idea: fare in modo che mio figlio trovi un’azienda strutturata, per andare avanti e fare ancora meglio. Se invece vorrà fare altro, persino il calciatore, sarà libero di vendere al giusto valore».

DALLA SMENTITA AL FUTURO, «MA NON COME QUINTARELLI E DAL FORNO»

Gaspari commenta poi le sorti di altri due marchi storici della Valpolicella, allargando il campo ad alcune rivelazioni scottanti. «Onestamente – dichiara – non mi piacciono tanto le soluzioni adottate dai miei più stretti colleghi Quintarelli e Dal Forno. Anche loro hanno tirato, tirato, tirato… Poi si sono stancati e hanno fatto scelte un po’ tristi. Nel caso di mio suocero (Quintarelli, ndr) all’epoca ho proposto di fare una società in cui le quattro figlie sarebbero rimaste proprietarie. Ci sarebbe stata una certa liquidità da reinvestire e, contemporaneamente, liquidare un’altra parte. In questo modo si sarebbe data all’azienda una struttura tale da poterla fare crescere, anche in volumi, oltre che in prestigio. Alla fine, invece, la scelta è ricaduta su una figlia sola».

E sulla Dal Forno Romano: «Idem – chiosa Celestino Gaspari – con tre figli. Due hanno deciso di spostarsi altrove e fare dell’altro. A loro avevo proposto di acquistare un’azienda sui Colli Berici. I Berici, come i Colli Euganei, sono due zone che sono la “Bolgheri del Nord”. Hanno suoli e terreni importanti, hanno un microclima e vitigni importanti, storici. Gli ho detto di andar là, carichi dell’esperienza ricevuta dal papà e del nome che si portano sulle spalle, per fare un’azienda nuova: una cantina, da quelle parti, al giorno d’oggi costa ancora relativamente poco».

«Avrebbero fatto parlare della zona e di loro – continua il patron di Zýmē – come “primi” giunti sul posto. L’alternativa sarebbe stata quella di fare Amarone e Valpolicella sperando che il mercato dicesse loro di essere più bravi del fratello. Non il massimo, insomma». Insomma, altra carne sul fuoco sempre accesso della Valpolicella, che si conferma tra gli areali vitivinicoli più dinamici degli ultimi anni, in Italia. Dentro e fuori dal calice.

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Miglior vino vegan italiano 2024: Franciacorta Docg Brut Vegan di Quadra Franciacorta


Il Miglior vino vegan italiano dell’anno è uno spumante della Lombardia: il Franciacorta Docg Brut Vegan di Quadra Franciacorta, cantina con sede a Cologne, in provincia di Brescia.
Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it è di 91/100. Si tratta di un vino vegano prodotto in prevalenza con uve Chardonnay (70%) e un saldo di Pinot Bianco e Pinot Nero. Una rarità nel panorama della spumantistica italiana ed internazionale, grazie alla certificazione DTP 107 – “Qualità Vegetariana®” di CSQA Certificazioni Srl di Thiene (VI), per «assenza di ingredienti, coadiuvanti tecnologici, ausiliari di fabbricazione derivati da animali».

IL MIGLIOR VINO VEGAN ITALIANO È IL FRANCIACORTA DI QUADRA

Alla vista, il Franciacorta Docg Brut Vegan di Quadra Franciacorta presenta un perlage finissimo, persistente. Naso dominato da ricordi floreali freschi e frutta a polpa bianca, come la mela e pera. Più in sottofondo, ricordi di erbe aromatiche della macchia mediterranea. Palato corrispondente, fresco, sapido e setoso, su ritorni fruttati che si arricchiscono di una nota ammandorlata, tipica dello Chardonnay.

Il Pinot nero conferisce invece alla cuvée muscolo e una certa struttura, specie in centro bocca. Chiusura fresca e suadente, leggermente sapida, ancora una volta su ricordi di mandorla. Un Franciacorta che affina oltre 30 mesi sui lieviti, abbinando agilità di beva e carattere. Tratti distintivi della cantina Quadra, che in questo caso aggiunge il “plus” della certificazione vegana, capace di accogliere le richieste di una fetta crescente di consumatori.


Quadra Franciacorta
Via Sant’Eusebio, 1 – 25033 Cologne (BS)
Email: info@quadrafranciacorta.it
Telefono +39 030 71 57 314
www.quadrafranciacorta.it

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Vendite vino italiano al supermercato: Stati Uniti, Germania e Regno Unito in timida ripresa


Le vendite di vino italiano nei supermercati di Stati Uniti, Germania e Regno Unito virano timidamente in territorio positivo: +0,4% nei volumi (era a -0,2% nel semestre), per un valore totale di oltre 3,3 miliardi di euro. Nel complesso, nei tre Paesi scende a volume la domanda tendenziale degli sparkling tricolori (-2%) mentre salgono dell’1,2% i fermi (2,15 miliardi di euro), per un totale di 3,4 milioni di ettolitri pari a 452 milioni di bottiglie da 0,75/litri. È quanto emerge dalle elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Nielsen-IQ relative ai primi 9 mesi dell’anno nella Grande distribuzione dei 3 principali Paesi buyer.

Il rendimento stazionario si riscontra in tutti i mercati, tra alti e bassi a seconda delle tipologie. Tra le buone notizie, la crescita volumica degli spumanti negli Usa (+3,7%) e quella del mercato dei vini fermi in Germania e Uk (attorno al +4%), grazie anche a sensibili miglioramenti di Primitivo, Montepulciano e Nero d’Avola. Per contro, nel primo mercato al mondo soffrono i fermi del Belpaese (-6,6%), mentre le variazioni degli spumanti in Uk e Germania sono negative e si attestano rispettivamente a -5,9% e a -1,4%. Il computo finale segna Uk stabile (+0,1%), Germania in terreno positivo (+3,9) e Usa ancora in calo (-3,5%).

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Rottensteiner principe di abbinamenti d’alta cucina al Sissi di Andrea Fenoglio

Se ogni principessa ha il suo principe, Sissi ha trovato Rottensteiner. Almeno per un pranzo, d’alta cucina. Lo scorso weekend, al noto ristorante di Merano è andato in scena l’abbinamento gourmet tra i vini della Tenuta di Bolzano, fondata nel 1950 da Hans Rottensteiner, e i piatti dello chef Andrea Fenoglio. Un matrimonio andato ben oltre i canoni classici del riuscitissimo wine pairing. A “sfidarsi”, tra il calice e le forchette, ecco diverse annate di Pinot Bianco, Schiava, Lagrein, Santa Maddalena e Gewürztraminer. Tutti vini con un comune denominatore: il porfido. La roccia rossa di origine vulcanica che caratterizza gran parte del suolo dei vigneti di Rottensteiner si tramuta in vini dal netto profilo sapido-minerale, tesi e al contempo profondi. Certamente longevi.

Il porfido è una caratteristica intrinseca allo stesso cognome che identifica la Tenuta: dal tedesco “Rot” significa “Rosso” e “Steine” vuol dire “Pietre”. Ma l’occasione è di quelle che spostano l’attenzione dal particolare al generale. Il pranzo dimostra l’estrema versatilità dei vini dell’Alto Adige nell’abbinamento con ingredienti e piatti della tradizione italiana – come trota salmonata, vitello tonnato, guancia di vitello, pollo e Strudel di mele – rivisitati con richiami orientaleggianti (wasabi, Dashi, Katsuobushi) e intriganti connotazioni fumé (tuberi e radici affumicate). Non certo una prova semplice quella a cui si sono sottoposti i vini di Rottensteiner. Un po’ come studenti volontari per l’interrogazione del lunedì, che risultano promossi a pieni voti. Sia da soli che nel pairing.

I VINI DI ROTTENSTEINER ALLA PROVA DELL’ALTA CUCINA

Ad aprire le danze ecco un classico del ristorante Sissi: la “Pizza liquida“, abbinata a una bollicina. Manca uno spumante nella gamma di Toni, Hannes, Judith ed Evi Rottensteiner, dunque la scelta ricade su una certezza assoluta per il Metodo classico dell’Alto Adige: Arunda. Un messaggio chiaro, quello della famiglia di produttori altoatesini, in accordo con lo chef Andrea Fenoglio: la produzione vinicola dell’Alto Adige è giunta a punte di qualità tali da poter consentire l’esordio a tavola con uno Champenoise locale, al posto uno Champagne o di qualsiasi altro Metodo classico italiano; proseguendo poi con bianchi e rossi, per finire con un passito. Tutto “Made in Bolzano“.

Con l’antipasto del Sissi “Avanti con il Vitello Tonnato” la sfida inizia a entrare nel vivo. Nel calice ci sono due annate del Pinot Bianco “Carnol”, la 2022 e la 2012. Neppure a dirlo, è la vendemmia con qualche anno sulle spalle a convincere di più nell’abbinamento. Il colore è ancora splendido, d’un giallo paglierino intenso con riflessi dorati. Rintocchi leggeri di idrocarburo aprono il naso insieme a note mentolate e di erbe come timo e verbena.

Ma è al palato che si gioca la partita perfetta per il piatto, grazie a una componente glicerica che ne sostiene il sapore deciso e sapido, legandosi alla consistenza cremosa data dalla parziale lavorazione del vino in barrique. Carnol 2022 è giovane e di gran prospettiva. Freschezza, agrumi, balsamicità e una gran sapidità lo rendono già bevibilissimo, consigliando però di tenere da parte qualche bottiglia in attesa di una sicura, positiva terziarizzazione degli aromi.

ROTTENSTEINER DAL PRIMO AL DOLCE: GLI ABBINAMENTI GOURMET DEL SISSI

Il primo del Sissi, Trota salmonata con Dashi e Katsoubushi, è il piatto della svolta. L’abbinamento Rottensteiner-Fenoglio giunge a livelli di piacevolezza estremi, grazie all’Alto Adige Schiava Doc Vigna Kristplonerhof 2022. Tendenza umami e wasabi si legano alla spezia dosata della Schiava, con i suoi tannini sottili e la sua slanciata sapidità. Ma quel che sorprende è la perfetta concordanza tra la croccantezza e la pulizia estrema delle note fruttate del vitigno e i sapori delicati del pesce, ben diffuso in fiumi, torrenti e laghi altoatesini. Fondamentale nella buona riuscita del pairing è la temperatura di servizio della Schiava, leggermente fresca.

Fascino assoluto anche con i “Tuberi e Radici affumicate” dello chef del ristorante Sissi, a sposarsi con due annate (2022 e 2016) dell’Alto Adige Santa Maddalena Classico Doc Vigna Premstallerhof. Il pairing funziona alla perfezione con entrambi i vini, ma sono la maggiore densità e peso specifico della straordinaria annata 2016 ad avere la meglio al traguardo, al fulmicotone, controbilanciando divinamente il carattere sapido e fumé del piatto.

Più didattici, ma comunque ottimamente riusciti, gli abbinamenti dell’Alto Adige Santa Maddalena Classico Doc Vigna Premstallerhof Select 2022 con il “Pollo di Vigna, Maionese allo zafferano, Salsa alla liquirizia e peperone crusco” (qui il Paradiso è assicurato anche dal contrasto tattile tra le consistenze cremose e croccanti con quella “liquida” del nettare targato Rottensteiner) e dell’Alto Adige Lagrein Gries Riserva Doc Select 2021 e 2010 con la Guancetta di Vitello al Lagrein proposta da Andrea Fenoglio (ottimo il pairing con entrambe le vendemmie). Indiscutibili, infine, lo Strudel di Mele moderno e i “Dolci a caso” accostati a uno dei vini simbolo di Rottensteiner, l’Alto Adige Gewürztraminer Passito Doc Cresta 2020. E vissero tutti, felici e contenti.

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«Nel nome del Trebbiano Spoletino»: la Doc Spoleto si allarga a Montefalco?


Allargare la zona di produzione della Doc Spoleto nei territori della Doc Montefalco, per aumentare il numero di bottiglie di Trebbiano Spoletino e farlo conoscere a un numero più vasto di consumatori, in tutto il mondo. È l’obiettivo della proposta presentata nelle scorse ore al Cda del Consorzio Vini Montefalco e Spoleto da Gianluca Piernera, presidente della Commissione tecnica della Doc Spoleto e titolare di Cantina Ninni Spoleto. Quella sul tavolo dell’ente presieduto da Giampaolo Tabarrini, che dovrà valutarla insieme ad altre, è un’idea rivoluzionaria: «Includere i comuni di Bevagna, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria nella Doc Spoleto, consentendo ai produttori locali di etichettare il loro Trebbiano Spoletino come “Doc Spoleto”, al posto dell’attuale Montefalco Bianco Doc».

Quest’ultima, stando sempre alla proposta di Piernera, dovrebbe essere eliminata, al pari della Doc Spoleto Bianco. «Così facendo – spiega il vignaiolo in esclusiva a winemag.it – riusciremmo a portare in giro per il mondo il Trebbiano Spoletino, vino simbolo della Doc Spoleto che sta riscuotendo sempre più successo da parte della critica. Attualmente ne vengono prodotte solo 200 mila bottiglie, ma con l’allargamento della denominazione ai tre comuni si consentirebbe a un numero maggiore di produttori di imbottigliare Trebbiano Spoletino utilizzando la sua denominazione simbolo, nata nel 2011».

ALLARGAMENTO DELLA DOC SPOLETO PER IL TREBBIANO SPOLETINO?

Il progetto della Doc Montefalco Bianco, che prevede un minimo del 50% di Spoletino, non convince – al momento – tutti i produttori. Ne sono una riprova i numeri risicati degli imbottigliamenti e la decisione di ricorrere all’Umbria Igt, piuttosto che alla Doc di Montefalco, per i vini prodotti fuori dalla Doc Spoleto con il Trebbiano Spoletino. La proposta di Gianluca Piernera – tra i protagonisti e fautori, nel 2019, dell’ingresso della Doc Spoleto nel Consorzio Vini Montefalcova nella direzione opposta: «Sono certo che, con l’ingresso nella Doc Spoleto, le uve provenienti dai vigneti di Bevagna, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria sarebbero rivendicate con la Doc simbolo del vitigno. Con questa operazione, nel giro di 5 anni, le bottiglie totali passerebbero da circa 200 mila a oltre un milione, se non a un milione e mezzo. Con benefici assoluti per tutto il territorio».

Un impulso che sarebbe in linea con gli ultimi trend di consumo, che vedono i vini bianchi e gli spumanti crescere esponenzialmente, nel mondo, a discapito dei vini rossi. Nonostante il cambio di rotta riscontrabile in occasione delle ultime Anteprime – nella direzione di vini più “pronti” e dai tannini più integrati – il Montefalco Sagrantino Docg, grande vino rosso da invecchiamento, non sta infatti attraversando uno dei suoi periodi di maggiore splendore, soprattutto sul fronte dell’export. Non un caso isolato, come dimostrano i report di mercato più aggiornati relativi alle spedizioni di vini italiani nel mondo, che dipingono una crisi del Made in Italy enologico nei 12 Paesi Top importer.

PRESTO IL VIA LIBERA A RISERVA, SPUMANTE E MACERATO DA SPOLETINO

«I tempi sono maturi – sottolinea Gianluca Piernera – per poter far conoscere questo meraviglioso vitigno a un numero più vasto di consumatori. È un dato di fatto che le bottiglie attuali non siano abbastanza. L’allargamento del territorio della Doc Spoleto darebbe fiducia ai produttori e a una zona dalle immense potenzialità, in parte non ancora esplorate. Il tutto senza snaturare le caratteristiche del Trebbiano Spoletino, che sarebbero preservate anche in altri territori. Sarà poi il consumatore a scegliere il prodotto di una zona o dell’altra».

Nel frattempo procedono a passo spedito, verso l’approvazione ministeriale, le modifiche al disciplinare che porteranno all’ufficiale riconoscimento della Riserva (che andrebbe a sostituire ed eliminare il Superiore), nonché dei metodi alternativi al sughero per la tappatura dello Spumante (sarà incluso il tappo corona) e del Macerato ottenuto con uve Trebbiano Spoletino all’interno della Doc Spoleto. Tutte specifiche di cui potrebbero beneficiare anche i produttori di Bevagna, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria, qualora la “linea Piernera” prevalesse in Consorzio. Un dibattito che si preannuncia aperto ed avvincente.

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L’Italia perde il primato della quantità di vino prodotto in Europa e nel mondo


L’Italia perde il primato della quantità di vino prodotto in Europa e nel mondo in concomitanza con la vendemmia 2023. Lo rileva l’annuale report vendemmiale dei Paesi europei targato Copa Cogeca, l’Organizzazione di rappresentanza degli Agricoltori e delle Cooperative Europee, presentato in giornata. Il Bel Paese lascia il posto alla Francia, che cresce – anche se di poco – insieme al Portogallo. In calo anche i volumi della Spagna e della Germania. Il
totale della produzione di vino in Europa nel 2023 è di poco superiore a 150 milioni di ettolitri, con un calo del -5,5% rispetto alla media quinquennale.

A causa delle conseguenze del cambiamento climatico – inverno secco, grandinate, inondazioni e una stagione primaverile piovosa – si è registrato un forte calo della produzione anche in altri Paesi produttori europei come Austria (-6%), Grecia (-23%), Croazia (-31%) e Slovacchia (-20%) rispetto al 2022. «Da diversi anni il settore si trova ad affrontare sfide importanti – commenta il presidente del Gruppo di lavoro “Vino” del Copa Cogeca, Luca Rigotti – non ultime le conseguenze della pandemia di Covid, gli eventi climatici e il forte aumento dei costi di produzione, a cui si aggiunge un significativo aumento dei tassi di interesse. Ciononostante, i coltivatori europei continuano a dare risultati e a dimostrare la loro resilienza».

FRANCIA PRIMO PRODUTTORE DI VINO AL MONDO NEL 2023

Nel 2023, la Francia è diventata il primo produttore europeo di vino con una produzione stimata di 45 milioni di ettolitri. Un aumento dell’1,47% rispetto all’anno precedente. La Francia è stata tuttavia colpita dalla peronospora e dalla siccità, soprattutto nel Sud. Ma è riuscita a non soccombere, grazie alle misure di crisi messe in atto, come gli aiuti alla distillazione. In Portogallo si è registrato un aumento dell’8,6%, con una produzione di poco inferiore ai 10 milioni di ettolitri, grazie all’attuazione di misure di distillazione. In particolare, l’aumento è dovuto alla diminuzione dell’8% del raccolto del 2022, che ha pareggiato il totale.

Per la prima volta in sette anni, l’Italia ha perso il primato di produttore di vino con una produzione stimata di 43,9 milioni di ettolitri. Il che rappresenta una perdita dell’11,92% rispetto allo scorso anno. Le forti piogge primaverili, che si sono trasformate in alluvioni specialmente nella regione Emilia Romagna, nonché i pesanti episodi di peronospora, in particolare nel Centro e nel Sud del Paese, spiegano questo importante calo. Tra i primi commenti nazionali, quello di Coldiretti: «Le previsioni aggiornate del Copa Cogeca dimostrano come sempre più la vitivinicoltura si trova a fare i conti con il clima. Il vino Made in Italy, tuttavia, conferma il successo nell’export anche in Francia con un balzo del +21% in valore delle esportazioni nei primi sette mesi del 2023 (elaborazioni Coldiretti su dati Istat)».

LA VENDEMMIA 2023 IN SPAGNA E GERMANIA

Con una produzione stimata di 30,8 milioni di ettolitri, la Spagna è rimasta il terzo produttore europeo, nonostante la diminuzione della produzione rispetto allo scorso anno (-14,42%). Le condizioni climatiche avverse, con un autunno, un inverno e una primavera secchi, con forti piogge nell’ultima parte della primavera, ondate di calore durante l’estate e grandine, hanno fatto sì che i vigneti spagnoli soffrissero molto in termini di produzione.

Tuttavia, grazie alla bassa umidità, le viti erano relativamente sane e hanno fornito uve di alta qualità. In Germania, la produzione stimata è stata di 8,86 milioni di ettolitri, con una perdita del 2,1% nella produzione di vino a causa dell’inflazione e degli alti costi di produzione lungo tutta la filiera. D’altra parte, non si sono verificate diminuzioni significative a causa delle condizioni climatiche, che sono rimaste abbastanza stabili.

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Fenocchio esorcizza il 2023: il Barolo Bussia Riserva 2008 90dì è sul mercato


Se «le parole sono importanti», a volte, i numeri, lo sono ancor di più. Come il “2023” per la famiglia Fenocchio, scelto per l’esordio sul mercato del
Barolo Bussia Riserva 2008 90dì: 2023, 2008, 90. Numeri che si accavallano, pezzi fondamentali (non gli unici, peraltro) di un’unica storia. Macerazione di 90 giorni (da lì il nome) per il Nebbiolo che non venne all’epoca commercializzato, «per attendere il momento opportuno per rilanciarlo». Eccoci quindi ad oggi. Il 2023, con il carico di significati che si porta dietro, è per Claudio Fenocchio «il momento migliore per “l’uscita ufficiale” di un vino prodotto in numeri limitati».

«Ho deciso di rimetterlo sul mercato – spiega il vignaiolo – proprio perché è un anno veramente importante per la nostra famiglia». Il 2023 rappresenta in primis l’anno del centenario dalla nascita di Giacomo Fenocchio. Ma anche i 60 anni di Claudio ed i 20 di Eleonora, una delle due figlie di Claudio. Un anno, dunque, che racchiude passaggi fondamentali tra le generazioni. Incroci frutto del caso, che sembrano studiati a tavolino. Del resto, il Barolo Bussia Riserva 2008 90dì, ha sempre guardato alla tradizione. Senza snaturarla.

Quindici anni fa – ecco un altro numero – Claudio Fenocchio decise di fare una prova di lunga macerazione, alla maniera del papà; nel “cru del cuore” della famiglia, che proprio lì vive da sempre. Duecento bottiglie, in vendita solo in cantina, proprio in Località Bussia 72, a Monforte d’Alba. «Celebrare con grandi eventi e feste non è proprio il tono di voce che mi contraddistingue, insieme a mia moglie Nicoletta e alle mie figlie Letizia ed Eleonora». In fondo, nulla parla davvero di un vignaiolo e della sua famiglia come un vino.

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Ricetta schietta per un croccante ed inutile gala di vino


EDITORIALE –
Prendi un gruppo di personalità del settore più o meno conosciute, certamente più famose di te. Scegli bene, bilanciando ruoli e associazioni. Per ognuno, crea un premio ad hoc, possibilmente così banale da sembrare stupido ed inutile. Nessuno se ne accorgerà. Nessuno lo giudicherà tale. E tu centrerai il tuo unico obiettivo: brillare della loro luce, almeno di riflesso. Tu, che sei un emerito nessuno, premia uno famoso. Così lui parlerà di te, almeno una volta all’anno.
Considera l’indotto: anche quelli della sua “cerchia” faranno lo stesso. Parleranno di te sui social. Pioveranno like e cuoricini. Tu sembrerai un fenomeno. Quelli più “famosi” ti diranno «grazie»: diranno «grazie» proprio a te, che sei nessuno.

Semplice, no? Ma non basta, devi fare meglio. Puoi fare meglio, tu che venderesti il ghiaccio agli eschimesi. Fare di più vuol dire essere glamour. Pesca dal cestello della tua regione una location che sia il più fancy e instagrammabile possibile e stabilisci lì il tuo palco. Già, un bel palco. È questo che vuole la gente del settore, al giorno d’oggi (e tu lo hai capito): salire su un palco a farsi premiare, per qualcosa. “Qualcosa” cosa? Non importa. Ciò che conta è che chi premia ti abbia messo lì, a ricevere una pergamena o una targa, in cui ci sia scritto un nome e un cognome, a lettere cubitali: “Pinco Palla miglior Vattelapesca italiano 2024”.

Altra regola da non sottovalutare, nella Ricetta schietta per un croccante ed inutile gala di vino: nell’atto della premiazione del nulla, vesti elegante. Mascherati di glamour. Giacca e cravatta, meglio ancora un papillon. Alla cerimonia invita premiati e colleghi, facendo loro pagare viaggio, vitto e alloggio per partecipare alla loro stessa premiazione (che le sedie di un gala coi gran fiocchi mica si regalano a nessuno, nel 2023 dell’apparire per l’essere). Pagheranno, perché salire su quel palco a ricevere quell’inutile riconoscimento, fine a te stesso, apporterà comunque – per cinque interminabili minuti – il beneficio più bramato dall’uomo medio del vino italiano del 2023: nutrire l’ego. Con chicchessia o qualsivoglia.

Purché ci sia una pergamena, un palco, almeno uno col papillon. E, tra il pubblico in sala, più di un consapevole coglione come quello che stai premiando. Ad applaudire forte al nulla. Ricetta schietta per un croccante ed inutile gala di vino. Prosit.

[Immagine di copertina dell’articolo: Wine o Clowns di Robert Schippnick]

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Nel nome del Bio: la vendemmia di chi non vendemmia


Niente vendemmia 2023 per Podere Casanova di Montepulciano. La decisione dei titolari Susanna Ponzin e Isidoro Rebatto – imprenditori giunti in Toscana dal Veneto, nel 2016 – è maturata il 3 luglio scorso ed è stata resa pubblica in mattinata. In quella data sono stati
interrotti i trattamenti contro la peronospora, gettando la spugna per l’intera vendemmia 2023: «Il rame utilizzato in tale data risultava pari a 1,8 kg per ettaro e per noi è impensabile fare più trattamenti di quelli che ci siamo prefissati per essere davvero Azienda ecosostenibile e biologica».

«Considerato che, per scelta aziendale, utilizzano al massimo il 50% del rame consentito in agricoltura biologica per la Regione Toscana, ovvero 6kg/cu/ha – evidenziano i titolari di Podere Casanova Montepulciano – andare avanti avrebbe significato oltrepassare sia il loro limite che quello normativo. Cerchiamo sempre di ridurli il più possibile: nel 2021 abbiamo utilizzato 0,83 kg di rame per ettaro e nel 2022 appena 0,37 kg».

PODERE CASANOVA, NIENTE VENDEMMIA 2023 CAUSA PERONOSPORA

Susanna Ponzin e Isidoro Rebatto gestiscono 17 ettari di vigneti e producono 10 etichette, con il marchio Equalitas che lo certifica azienda agricola ecosostenibile. Dal 2021 Podere Casanova è in conversione biologica, con una sperimentazione in atto dal 2019 che tende a portare l’utilizzo del rame a quantità ridotte sino all’abolizione totale. Nel 2023, per il terzo anno consecutivo, i vigneti sono coltivati in modalità naturale, con una bassissima quantità del metallo pesante.

«Ci spiace – proseguono – non è stata una decisione facile quella di non effettuare le vendemmia 2023, ma ne siamo fermamente convinti. Una scelta coerente con la nostra visione, che mette in primo piano tutela dell’ambiente e salute di chi beve i nostri vini. Lo stop alla vendemmia ci ha permesso di concentrarci maggiormente su molti altri importanti aspetti del nostro lavoro, sia in vigna che in cantina, e siamo più che mai motivati a proseguire sulla nostra strada di produrre un vino sano, corretto, giusto. Un Vino Nobile di Montepulciano unico per il suo carattere, piacevole da gustare, emozionante, che porti in sé il timbro del nostro stupendo territorio, che contribuiamo a salvaguardare». L’appuntamento è quindi con l’annata 2024. Peronospora permettendo.

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Abruzzo, produttori in piazza per la «catastrofe peronospora»?


I produttori di vino dell’Abruzzo si dicono pronti a «scendere in piazza» e a «riconsegnare le tessere elettorali» per via della «catastrofe peronospora» registrata in occasione della vendemmia 2023. Al loro fianco
gli attori della filiera produttiva del mondo del vino abruzzese, che oggi si sono riuniti a Pescara per lanciare «l’ennesimo appello al mondo politico con la speranza di ricevere finalmente risposte concrete alla gravissima situazione causata dalle abbondantissime precipitazioni  dei mesi di aprile e maggio». Piogge che, in alcune aree, hanno superato anche i 200 mm/mese: «Circa il triplo della media del periodo, con conseguenze catastrofiche dal punto di vista produttivo» per l’Abruzzo vitivinicolo, comparto che conta più di 15 mila aziende per 32.500 ettari vitati.

«Siamo tutti d’accordo nel dire che questo è davvero l’ultimo appello che il mondo vitivinicolo abruzzese rivolge alla classe politica della Regione Abruzzo, di qualsiasi “colore” essa sia», avvertono all’unisono Assoenologi, Associazione Città del Vino, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Copagri, D.A.Q. vino, Legacoop, Liberi Agricoltori e Movimento Turismo del Vino. «A vendemmia ormai conclusa – continua la filiera del vino abruzzese – possiamo confermare, con assoluta certezza, un calo medio della produzione di uve di circa il 70%. Un dramma che interessa in maniera diffusa e più o meno omogenea tutte le aziende vitivinicole delle quattro provincie».

VENDEMMIA 2023: 380 MILIONI DI DANNI DELLA PERONOSPORA DA IN ABRUZZO

«Dopo mesi di proclami, promesse e false aspettative – continuano le varie sigle – la classe politica e dirigente della Regione Abruzzo ad oggi non è in grado di dare risposte chiare a sostegno del settore. Per questo saremo costretti a scendere in piazza. Tutti noi in questi mesi abbiamo avanzato specifiche richieste a supporto del mondo produttivo e fornito indicazioni operative in merito all’emergenza peronospora, ma a nulla sono serviti. Siamo pronti anche a riconsegnare le tessere elettorali». Le risorse sin ora erogate vengono giudicate «scarsissime e assolutamente insufficienti per affrontare la difficile situazione del momento».

Nel dettaglio, le perdite vengono calcolate in circa di 2,7 milioni di quintali di uva, pari a circa 2 milioni di ettolitri di vino, che in termini di imbottigliato equivalgono a circa 260 milioni di pezzi. «Se dovessimo fare una stima del mancato reddito delle aziende – chiosa il gruppo pronto a scendere in piazza – possiamo indicare in circa 108 milioni di euro la perdita sulle uve, 130 milioni sullo sfuso e 520 milioni circa sull’imbottigliato. Una stima prudenziale induce a ritenere che la filiera vitivinicola della regione Abruzzo subirà un danno economico non inferiore ai 380 milioni di euro».

LE TRE CONDIZIONI DEI PRODUTTORI ABRUZZESI

In occasione della riunione di Pescara sono stati condivisi tre punti principali «sui quali si potrebbe e dovrebbe intervenire in maniera più che tempestiva». «Sospensione pagamento dei mutui e finanziamenti in essere (conto capitale e interessi) per almeno due anni – elenca la filiera del vino abruzzese – senza porre in primis le “garanzie bancarie” (come è stato fatto durante l’emergenza COVID) che renderebbero automaticamente le aziende richiedenti inaffidabili di fronte alle banche, per almeno 24 mesi, quindi inabili a qualsiasi tipologia di nuovi finanziamenti; sospensione e/o riduzione dei contributi INPS; azzeramento dei tassi d’interesse per finanziamenti acquisto scorte a reintegro con un’istruttoria semplificata e che non tenga conto dei finanziamenti già in essere».

Nei primi due casi, la competenza spetterebbe al governo, mentre, nel terzo, il ruolo della regione risulta fondamentale. «Ci auguriamo che quest’ultima sia portavoce degli interessi del mondo vitivinicolo abruzzese anche su tavoli nazionali – conclude il gruppo -. Tutta la filiera produttiva vuole fare questo ultimo appello, prima di procedere con le manifestazioni di piazza alla presenza di centinaia di migliaia di produttori stremati dalla difficilissima situazione e che, se non adeguatamente aiutati e supportati, rischiano di vedere vanificare decenni di duro lavoro».

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L’Armenia del vino è risorta: fotografia dalla periferia del mondo


«Vedi l’asfalto nuovo di zecca? Lo hanno appena steso, in tutto il quartiere. Ho vissuto qui più di 30 anni e c’è sempre stata la polvere…». Si avverte ancora l’odore del catrame davanti alla casa in cui Aram Machanyan è cresciuto e ha visto trasformarsi in realtà il sogno di diventare produttore di vino in Armenia. Inizia a imbrunire nella periferia della capitale Yerevan. I profumi che si mescolano nell’aria, ancora calda, sembrano un tuffo nelle tazze di tè locali.

La luce dei lampioni illumina quattro ragazzini che hanno trasformato la via in un campo di pallavolo, tirando una corda bianca da una parte all’altra della strada, a un metro e mezzo d’altezza. Ora che c’è l’asfalto è più semplice mantenere l’equilibrio ed evitare di sbucciarsi le ginocchia. L’Armenia del vino, nel 2023, assomiglia tutta al frammento di una storia di periferia catturata per caso, più con l’anima che con gli occhi. A metà ottobre.

È il frutto di visone, investimenti. Attaccamento alla vita e voglia di riscatto. È coraggio ed è follia. Come quella volta in cui Aram e i fratelli Samvel e Hrachya hanno preso l’auto e si sono diretti in Turchia, per cercare il vigneto appartenuto al capostipite Gevorg Machanyan, superstite del genocidio del 1915 che lo costrinse ad abbandonare la terra natia (da profugo). E ricominciare da capo, nell’attuale capitale armena.

Da quelle barbatelle, rinvenute tra rocce e sterpaglie, è nato un nuovo, micro vigneto. Pochi filari, al centro del cortile della casa di Yerevan che è stata teatro dei primi esperimenti di vinificazione “garagista” dei fratelli Machanyan, oggi sul mercato con il prestigioso brand di vini naturali Alluria Wines. L’ultima creazione è “The Beast“, “La Bestia”. Un vino “fortificato” di cui poco si sa. E poco, in fondo, serve sapere: «Deve stupire chi ha il coraggio di avvicinarcisi, superato il Rubicone del pregiudizio», taglia corto Samvel.

IL RINASCIMENTO DEL VINO ARMENO

È un Rinascimento silenzioso ma fiero, quello del vino armeno. Nelle cantine del Paese, piene zeppe di macchinari italiani – dalle vasche d’acciaio alle presse, passando per i filtri e le diraspatrici di un noto brand del Veneto – nonché di consulenti agronomi ed enologi provenienti dal Bel Paese, si respira l’aria rarefatta di una bolla appannata, in cui si corre con fiducia verso il traguardo, pur non smettendo mai di guardarsi le spalle. Entusiasmo e timore si mescolano a fronte dei numerosi riconoscimenti internazionali conquistati dalle cantine armene nell’ultimo decennio, soffocati dall’instabilità di una nazione sovrana costantemente sotto attacco. Su più fronti.

Ad Est, la superiorità militare dell’Azerbaijan e il silenzio immobile di Europa e Stati Uniti di fronte alla vergogna della pulizia etnica, è costata l’abbandono forzato della regione del Nagorno-Karabakh a 100 mila armeni, sul finire di settembre 2023. L’enorme schiera di profughi lasciati senza casa, cibo e vestiti da Baku e dal suo presidente Ilham Aliyev è il volto più tragico dell’ennesimo conflitto che obbliga il Paese a rimboccarsi le maniche. Senza piangersi addosso. E a farne le spese è anche il settore del vino, già alle prese con la ricerca di nuovi sbocchi di mercato, vista l’ormai scarsa affidabilità del partner principale (la Russia).

Dall’occupato Nagorno-Karabakh, noto anche col nome di Artsakh, proviene gran parte del legno utilizzato per la produzione di barrique e tonneau armene, capaci di sposare alla perfezione i caratteri di vitigni autoctoni a bacca rossa come Haghtanak e Sev Areni; oltre a conferire grassezza e stratificazione ad uve bianche autoctone come Kangoun e Voskehat. Proprio dai territori annessi dall’Azerbaijan nel silenzio complice della comunità internazionale proviene un imprenditore vitivinicolo che è considerato un eroe, in Armenia: Grigori Avetissyan.

L’ABBANDONO FORZATO DEI VIGNETI IN ARTSAKH (NAGORNO-KARABAKH)

Costretto a lasciare la propria cantina in Artsakh nel 2020, dopo aver combattuto in prima linea contro l’avanzamento delle truppe azere nel villaggio di Togh, questo partigiano-vignaiolo ha trasferito l’attività produttiva del suo Domaine Avetissyan e del brand Kataro Wines nel Vayots Dzor, per l’esattezza ad Areni. Qui, in una cantina moderna, sotto la supervisione del talentuoso enologo Andrànik Manvelyan, vengono prodotti alcuni tra i migliori vini armeni dalle varietà locali.

In commercio c’è anche l’ultima annata dei vini prodotti con le uve provenienti dall’Artsakh. Dei vigneti e della cantina originaria non resta più nulla. I militari azeri hanno recapitato a Grigori Avetissyan i video dello sversamento delle vasche e delle botti di legno, «nel nome di Allah». Uno sgarro alla prima nazione al mondo ad adottare il Cristianesimo (ancora oggi il 95% della popolazione armena, pari a 2,3 milioni di persone, è cristiana). Una ferita aperta nel cuore del produttore, che non smette di credere di poter tornare, un giorno, a coltivare i suoi vigneti nelle terre occupate.

LA FORZA DELLE DONNE ARMENE NEL SETTORE DEL VINO

Nel frattempo, i vignaioli armeni si fanno forza l’un l’altro, uniti sotto al “cappello” della Vine and Wine Foundation of Armenia, la Fondazione della Vite e del Vino armeno che coopera con GizDeutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit, principale agenzia di sviluppo tedesca nel campo della cooperazione internazionale. A guidare l’organismo governativo interprofessionale è Zaruhi Muradyan, donna che ha segnato il cammino di molte produttrici nel Paese del Caucaso meridionale. La sua Zara Wines è diventata un caso all’ingresso sul mercato in Armenia, nel 2012. Da allora, nel settore, l’imprenditoria femminile è esplosa.

Ed oggi non è affatto difficile scoprire che, dietro ai migliori vini armeni, ci sia il tocco di una donna. Su tutte è il caso di Alina Mkrtchyan, co-fondatrice di Voskeni Wines nell’Ararat Valley, che firma un Areni Riserva da favola. Ma anche quello di Arusyak Tadevosyan, winemaker del colosso del brandy Manukyan che, dal 2016, è sotto i riflettori internazionali con i suoi tagli tra le varietà locali e quelle internazionali, in pieno stile bordolese. Oltre a coordinare l’export, cresciuto del 50% tra il 2021 e il 2022, le attività della Vine and Wine Foundation of Armenia si spingono sin dentro il tessuto sociale, con risvolti positivi sui consumatori.

I CONSUMI DI VINO E IL PRIMO WINE BAR DELL’ARMENIA: INVINO


A dispetto dei trend internazionali, i consumi di vino nel Paese stanno vivendo un momento d’oro. Negli ultimi 7 anni sono passati da 2 a circa 4,5 litri pro capite. Lo sa bene Mariam Saghatelyan, che nel dicembre 2012 ha fondato a Yerevan il primo wine-bar dell’Armenia: InVino. L’ennesima donna di successo sulla scena del vino armeno. «La scelta di aprire un’enoteca con mescita – spiega Mariam, che all’epoca aveva solo 19 anni – è stata rivoluzionaria. Martiros Saryan Street, in cui ci troviamo, era la “via della tecnologia” della capitale; quella in cui comprare computer e affini. Ci abbiamo messo 3 anni a convincere la gente ad entrare, a suon di wine tasting con i migliori produttori e tanta tenacia. Io studiavo di giorno e lavoravo di sera, fino a tardi».

Il locale è cresciuto insieme al livello dei vini armeni. «All’inizio – ammette Mariam Saghatelyan, fresca del titolo di Miglior Sommelier dell’Armenia – avevamo solo 10 vini armeni che consideravamo “bevibili”. Oggi ne abbiamo circa 350 a scaffale. Il problema era la costanza qualitativa tra bottiglie, troppo disomogenea. Difetti ormai risolti, grazie agli investimenti in tecnologia delle nostre cantine. Oltre all’interesse nei confronti dei vini nazionali, noto ora una crescente curiosità per i vini esteri, in particolare orange wine, spumanti, Champagne e vini naturali. Quello che conforta è che in Armenia la gente sta bevendo sempre più vino, in generale. E sta iniziando adesso a familiarizzare con il food pairing».

IL VINO ARMENO CON GLI OCCHI DEGLI INVESTITORI ESTERI

Se è vero che il fermento del vino armeno ha radici profonde come la storia della viticoltura mondiale – la “cantina” più antica del mondo si trova proprio in Armenia, presso il complesso di grotte note col nome di Areni Cave-1, 111 chilometri a sud della capitale Yerevan: tappa obbligata per chiunque voglia toccare con mano la storia del vino e dell’umanità (nella foto in basso) – il Rinascimento dell’enologia armena è dovuto anche agli ingenti investimenti giunti dall’estero. Tra i più illuminati imprenditori stranieri attivi nel Paese c’è lo svizzero Jakob Schuler, volto noto in Italia per le quote di maggioranza di Castello di Meleto a Gaiole in Chianti, in Toscana, nonché per Maison Gilliard a Sion, nella sua Svizzera.

«Ho scoperto l’Armenia dopo la grande delusione avuta in Georgia con il Saperavi – spiega l’imprenditore dal quartier generale della sua Noa Wine, nella regione vinicola di Vayots Dzor – e sono rimasto sorpreso dal lavoro di aziende come Armas, Armenia Wine CompanyVedi-Alco, per le loro dimensioni ragguardevoli e per la modernità delle loro tecnologie. Ma i vini erano prodotti con varietà internazionali. Nel Vayots Dzor ho assaggiato per la prima volta l’Areni, varietà autoctona a bacca rossa che mi ha fatto perdere la testa e per la quale ho deciso di investire in Armenia. Ho iniziato a importare in Svizzera questi vini, per poi convincermi ad acquistare delle terre e stabilire qui una nuova cantina». Noa Wines è l’unica realtà armena che, grazie alla consulenza di professionisti italiani come Valentino Ciarla e Giacomo Sensi, può contare su una vera e propria zonazione dei vigneti.

VARIETÀ AUTOCTONE VS INTERNAZIONALI

Una trentina gli ettari a disposizione, per una produzione che ha lo scopo (ben riuscito) di esaltare al massimo le potenzialità delle varietà autoctone armene – e in particolare dell’Areni – anche grazie al contributo del giovane e promettente winemaker Pavel Vartanyan. Lo spazio per le nuove generazioni di enologi non manca in Armenia. E anche un “mostro sacro” come Karas Wines non fa eccezione. Qui si incontra Gabriel Rogel, argentino, classe 1985, con le idee molto chiare su come dare seguito alle volontà del fondatore Eduardo Eurnekian – imprenditore vitivinicolo di origini armene residente in Argentina – e della nipote Juliana Del Aguila Eurnekian. Il tutto sotto la supervisione di un enologo di fama internazionale: Michel Rolland.

Il progetto enologico di 400 ettari in Armenia, incentrato agli esordi (ben vent’anni fa) più sulle varietà internazionali che su quelle autoctone (le cose, oggi, sono cambiate) è quello che ha aperto la strada al vino armeno in tutto il mondo. Eurnekian punta su un nome, “Karas“, che richiama le tradizionali anfore con le quali viene prodotta una parte del vino in Armenia. Contenitori di terracotta interrati per il 70%, in cui avviene generalmente la fermentazione e, in alcuni casi, l’affinamento. La cantina si trova in un ecosistema unico, circondata da vigneti che affondano le radici in suoli vulcanici. La vista sul monte Ararat, qui, nella regione di Armavir, è mozzafiato.

L’ARMENIA DEL VINO: REGIONI VINICOLE E VARIETÀ


Del resto, il 70% del territorio armeno è costituito da montagne. Ed è piuttosto comune trovare intere regioni con terreni di matrice vulcanica, nonché vecchie viti a piede franco di età superiore ai 100 anni,
ad altitudini proibitive molto simili a quelle del Sud America. L’altitudine media del vigneto armeno è di 1.200 metri sul livello del mare, con impianti che si spingono anche sopra i 1.800 metri.

Le regioni principali sono cinque: Armavir (900-1100 m), Ararat (800-1000 m), Aragatsotn (900-1.400 m), Tavoush (400-1000 m) e Vayots Dzor (1000-1800 m), per un totale di 13 mila ettari vitati in Armenia. Alla conta andrebbe aggiunta anche la regione vinicola di Syunik, al centro degli interessi dell’Azerbaijan e della Turchia per la creazione del cosiddetto “corridoio Zangezur”.

Viticoltura fiorente anche attorno alla capitale Yerevan, considerabile un areale a sé stante e un vero e proprio laboratorio per le nuove cantine, grazie all’attività contoterzista di cantine urbane-incubatore come Wine Works Company. Il ruolo di questa firma, fondata dall’illuminato imprenditore armeno Vahe Keushguerian, è centrale anche sul fronte agronomico, per la gestione di due vigneti sperimentali – ad Astghadzor e Khramort – utili alla salvaguardia e allo sviluppo dello straordinario patrimonio ampelografico armeno.

DALLA POLVERE AL CEMENTO: IN ARMENIA 350 VARIETÀ DI VITE AUTOCTONE

Già perché sono circa 350 le varietà autoctone armene oggi identificate, di cui 55 ampiamente coltivate (30 bianche, 25 rosse). Trentuno vengono utilizzate per la vinificazione, 21 per la produzione di uva da tavola e 3 per quella dell’uva passa. Le più note sono Sev Areni, Voskehat, Kangoun, Haghtanak, Milagh, Lalvari, Khatoun Kharji e Khndoghni (Sireni). Splendida, in particolare, la versatilità dell’Areni. Un’uva in grado di dare vini rossi freschi e beverini, tanto quanto rossi strutturati e corposi – pur elegantissimi – grazie alla vinificazione in legno. Una varietà che ricorda, per certi versi, il Frappato siciliano. Senza dimenticare che l’Areni risulta straordinario anche nella produzione dei vini rosati.

Il suo contraltare è il Voskehat (“Acino d’oro”), uva a bacca bianca capace di vini freschi e verticali, agrumati e tesi. Piuttosto comuni anche l’Haghtanak (incrocio tra Sorok Let Oktyabrya e Saperavi, con la prima varietà che, a sua volta è ottenuta dal crossing di Kopchak e Alicante Anri Buch) e il Khndoghni (Sireni). Nel calice li accomuna un frutto scuro ancor più che rosso, tannini pronunciati, ottima struttura, spezia (pepe) e un gran potenziale in termini di affinamento.

Frammenti macroscopici del puzzle infinito che è l’Armenia del vino, nel 2023. Polvere divenuta asfalto, come davanti alla casa in cui è cresciuto Aram Machanyan. Estrosa come quel campo di pallavolo improvvisato con un filo bianco, a un metro e mezzo d’altezza, in mezzo alla via; nella periferia di una Yerevan che, oggi, è anche un po’ la periferia del mondo. Così lontana, eppure sempre più vicina al centro, purché ce ne si accorga. Quasi un dovere, adesso che è più difficile sbucciarsi le ginocchia. Kenats.

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Regolamento imballaggi Parlamento Europeo: il vino è salvo. Sventato il rischio per le magnum

Le bottiglie di vino sono state esentate dalle norme sugli imballaggi europei. Confermata lesenzione agli obblighi di riutilizzo, con il rischio di una standardizzazione delle bottiglie per la riduzione indiscriminata del loro peso, eliminando di fatto il formato magnum ma anche le tipologie scelte dai produttori per identificare i vini più “importanti” della gamma, secondo logiche di marketing. La battaglia si sposta ora nella seduta del Parlamento europeo in plenaria, previsto per la settimana del 20 novembre. «L’obiettivo – commenta Coldiretti – è migliorare un testo che è ancora fortemente penalizzante per alcuni settori dell’agroalimentare». Cinquantasei i voti a favore, 23 contrari, 5 le astensioni.

«Il vino – aggiunge Uiv – è l’unica bevanda alcolica fuori dai vincoli previsti dalla riforma della normativa Ue sugli imballaggi (Ppwr) che prevede la ridefinizione dei target di riuso per i vari materiali di imballaggio, tra cui il vetro. Il testo del regolamento votato oggi dalla Commissione per l’Ambiente, la Sanità pubblica e la Sicurezza alimentare (COMENVI) rappresenta un primo step importante per il vino in attesa del voto in plenaria e del Trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commissione; un risultato importante, raggiunto in particolare grazie al costante lavoro degli eurodeputati italiani vice-relatori di questo dossier, che sottolinea sia le specificità del vino sia gli sforzi già in atto da parte della filiera per garantire uno sviluppo sostenibile del settore.

«Un voto in chiaroscuro quello di stamattina sulla revisione della Direttiva Imballaggi – commenta invece la presidente di Federvini, Micaela Pallini -. Se i vini, grazie al fondamentale lavoro condotto dalla delegazione italiana, possono finalmente tirare un sospiro di sollievo, è ancora tanto il lavoro da fare per scongiurare l’impatto estremamente oneroso che il riuso potrebbe determinare per il comparto degli aperitivi, amari, liquori e distillati italiani. Come Federvini siamo determinati a proseguire con fermezza in tutte le sedi istituzionali gli sforzi per tutelare le nostre imprese e auspichiamo che possa esservi una revisione nel voto già in occasione dell’Assemblea plenaria del Parlamento europeo previsto in novembre».

IMBALLAGGI UE: VINO SALVO, MA È ALLARME PER L’ORTOFRUTTA 

Se il vino è salvo dopo l’adozione da parte della Commissione Ambiente del Parlamento europeo della relazione sulla proposta di regolamento della Commissione imballaggi e rifiuti di imballaggio, lo stesso non si può dire dell’ortofrutta. Confermato infatti il limite di imballaggio, fissato a 1 chilogrammo. Una soglia che, secondo Coldiretti, «rischia di cancellare dagli scaffali dei supermercati l’insalata in busta, i cestini di fragole, le confezioni di pomodorini e le arance in rete di peso inferiore al limite». 

«Nella forma attuale – commenta Coldiretti – il testo apre ad una serie di problemi dal punto di vista igienico-sanitario, della conservazione e degli sprechi, che potrebbero aumentare, come potrebbero aumentare anche i costi per i consumatori e per i produttori. Ma si rischia anche un effetto negativo sui consumi, dove i prodotti di quarta gamma, dalle insalate in busta alla frutta confezionata, sono ormai entrati profondamente nelle abitudini degli italiani, con il pericolo di ridurne il consumo, già calato del 10% per la frutta e del 6% per gli ortaggi nel primo semestre del 2023, con un impatto pericoloso sulla salute».

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Montepulciano d’Abruzzo: fusione tra Colline Teramane e Consorzio Vini d’Abruzzo


Nel nome del Montepulciano d’Abruzzo è fusione tra il Consorzio di Tutela Vini Colline Teramane e il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo. La novità riguarda la prima Denominazione di origine controllata e garantita (Docg) abruzzese, che produce circa 600 mila bottiglie su 172 ettari, nonché la Doc Controguerra, piccola denominazione della provincia di Teramo. Passano entrambe sotto il controllo e la tutela dell’ente che ha sede a Palazzo Corvo, ad Ortona (Chieti), dal peso produttivo ben più importante: 100 milioni di bottiglie. L’unione mira a «rafforzare nel mondo la percezione di eccellenza della produzione teramana». Il percorso è stato avviato più di un anno fa ed è stato «fortemente sostenuto da tutti i soci del Consorzio Colline Teramane, con l’obiettivo di aumentare la produzione, potenziare la promozione e la valorizzazione del nome».

Proprio oggi, al termine del suo mandato, il presidente del Consorzio Colline Teramane, Enrico Cerulli Irelli, approfondisce i contorni della fusione: «Crediamo fermamente che questa sia la direzione giusta. La decisione a cui siamo giunti dopo attente riflessioni si dimostrerà lungimirante laddove i mercati internazionali richiedono sempre più forza professionale. Ciò che iniziò come un sogno nel 2003 per 33 produttori è diventato, in due decadi, un baluardo di qualità e identità nella regione. Con oltre 600 mila bottiglie prodotte, un incremento del 50% negli ultimi due anni e 172 ettari di vigneto, Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo si è fatto interprete di un terroir unico, incastonato tra il Mare Adriatico e le maestose montagne del Gran Sasso e dei Monti della Laga».

NICODEMI: «ABRUZZO ANCORA PIÙ ATTRATTIVO SUI MERCATI»

Unirsi al Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo presieduto da Alessandro Nicodemi – continua Enrico Cerulli Irellisignifica credere nella collaborazione tra i diversi attori della produzione vitivinicola abruzzese, ciò che in un passato non troppo lontano sarebbe stato inimmaginabile. Una mossa che testimonia l’unità e la visione condivisa tra i produttori della regione».

Soddisfazione viene espressa anche da Alessandro Nicodemi: «Sono da sempre convinto che l’unione faccia la forza – afferma il presidente del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo – e soddisfatto per l’inserimento di questa importante Denominazione, insieme alla Doc Controguerra, tra quelle tutelate dal Consorzio. Il Montepulciano d’Abruzzo, con i suoi oltre 100 milioni di bottiglie – è senz’altro il più rappresentativo tra i vini abruzzesi, oltre ad essere tra i primi tre vini Doc prodotti in Italia. Questi nuovi ingressi ci consentiranno di essere ancora più attrattivi sui mercati. La viticoltura regionale sarà ulteriormente rafforzata da questa nuova sinergia e il Consorzio, con la Docg Colline Teramane e la Doc Controguerra, andrà ad arricchire di nuove sfaccettature il racconto dello straordinario territorio e dei vini che ne derivano».

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I viticoltori francesi dell’Aude dichiarano guerra al vino spagnolo: «Concorrenza sleale»


Scene da guerriglia al confine tra Francia e Spagna. Nelle ultime ore, i viticoltori francesi aderenti al Syndicat des Vignerons de l’Aude hanno sversato a terra migliaia di litri di vino spagnolo (Cava e rosato) e dato fuoco a decine di pneumatici a Boulou, città di confine tra i due Paesi. Circa 500 i vignaioli scesi in strada per bloccare le autobotti spagnole e protestare contro quella che definiscono «concorrenza sleale».
Il vino spagnolo importato in Francia costerebbe attorno ai 40 euro all’ettolitro, mentre quello francese costa circa 80 euro.

Il sindacato di viticoltori dell’Aude, presieduto da Frederic Rouanet, avrebbe trovato l’appoggio di Alain Ginies, numero uno del Département de l’Aude, il Consiglio regionale da sempre schierato con i suoi vignerons. La protesta si sposta così dalle strade a Parigi, nonché a Madrid. Il tutto avviene in una delle zone vinicole più produttive della Francia, nel territorio dell’Aude Igp, in cui vengono prodotte anche le Aop Corbières, Minervois e Limoux.

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