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Valpolicella-Cortina: il Consorzio punta sulla ristorazione di fascia alta

Valpolicella-Cortina: il Consorzio punta sulla ristorazione di fascia altra

La Valpolicella si siede nel salotto delle Dolomiti e guarda ai Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina 2026. I prossimi 11 e 12 settembre il Consorzio di Tutela Vini Valpolicella sarà infatti il partner “in rosso” di The Queen of Taste. Manifestazione gourmet dell’estate ampezzana organizzata dall’associazione Cortina for Us e Chef Team Cortina.

Il posizionamento dei nostri vini nella ristorazione di fascia alta è tra gli obiettivi prioritari della nuova politica di promozione del Consorzio Vini Valpolicella. In questo contesto – spiega il presidente, Christian Marchesini – l’inserimento del nostro evento nel palinsesto del festival gastronomico di Cortina rientra in un percorso propedeutico che ci proietta anche verso le Olimpiadi invernali del 2026».

Nella due giorni di “Valpolicella-Cortina andata e ritorno“, il progetto del Consorzio per la quinta edizione del festival, Amarone, Valpolicella Superiore, Ripasso e Recioto saranno abbinati ai menù proposti dai maestri del gusto di alcuni locali selezionati in rappresentanza della Dolce Vita gastronomica della perla delle Dolomiti.

Piatti contemporanei, sapientemente interpretati da una squadra di chef veneti, anche stellati, oltre che dai rispettivi titolari delle cucine. Dopo questa prima tappa, “Valpolicella-Cortina” farà ritorno in Valpolicella. Un programma di incoming che coinvolgerà il team di chef protagonisti di The Queen of Taste.

LE AZIENDE PARTECIPANTI ALL’EVENTO

Cantina Valpolicella Negrar, Corte Canella, Costa Arente, Le Guaite di Noemi, Mezzo Ettaro, Piccoli. Rubinelli Vajol, Sartori di Verona, Secondo Marco, Tenuta Chiccheri, Torre di Terzolan, Vigneti Villabella.

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Ristorante Il Baslà: sui Navigli di Milano si mangia dalla “padella”, come a casa

Cinque amici, tutti appassionati di cucina, si trovano per una cena insieme. Ai fornelli lo chef Andrea Votino, che mette in tavola – inconsapevolmente – l’idea che oggi sta alla base de Il Baslà, il nuovo ristorante di via Casale 5, in zona Navigli a Milano. Votino serve gli amici le varie portate nella tipica “ciotola” milanese, nota anche col nome di “Baslott”, da cui deriva il nome al locale.

Accanto allo chef, esperto in aperture di locali del ramo food; ci sono Caterina Serio, esperta in eventi culinari, Nicola Serio, imprenditore dell’hotellerie, Riccardo Margiotta, esperto di marketing, Matteo Dolce, giovane universitario appassionato di ristorazione ed Emanuela Di Rella, manager della Grande distribuzione organizzata (Gdo).

LA CUCINA CASERECCIA È… “DI CASA” AL BASLÀ

L’offerta ruota attorno al concetto di cucina casereccia, con un tocco originale. Il macellaio segue direttamente tutte le preparazioni e si occupa personalmente della scelta e dei tagli delle carni. Il “bartender alchimista” è dedito a creare nuovi cocktail che accompagnino tutte le proposte. E l’immancabile oste accoglie a Il Baslà come fosse il proprio salotto di casa.

Un format che i cinque amici e neo soci definiscono «divertente e dedicato alla carne, per tornare alla Milano da bere». Da qui la selezione di oltre 75 gin, una quarantina di rum e una trentina tra tequila, mescal e vermouth.

UN NUOVO RISTORANTE CULT PER LA CARNE A MILANO

Particolare attenzione è riservata alla preparazione della carne, principalmente con cottura Cbt a bassa temperatura. Solo capi allevati all’aperto da piccole aziende italiane ed estere. Frollatura di oltre 45 giorni per la costata e pezzature importanti, da oltre 1 kg, per la fiorentina, marinate per oltre 24 ore in un misto di spezie dalla ricetta segreta.

Il filetto viene selezionato da pezzature di oltre 5 chili. La porchetta e la bresaola vengono realizzate rigorosamente in casa. La punta di manzo Bbq brisket viene affumicata in loco. La battuta di Fassona al coltello è servita in modalità creativa, a cheesecake. Tutto rigorosamente servito nei Baslà.

SPAZIO ALL’APERITIVO MILANESE NEL DEHORS

Ad accogliere gli ospiti, un ampio dehors che guarda sulla movida di via Casale, con divanetti e lounge per l’aperitivo e tavolini apparecchiati per la cena, tra piante e filari di luci. Dall’esterno si scorge l’ampia bottigliera, il bancone retroilluminato e le mattonelle realizzate e dipinte a mano. Con le loro forme sinuose, richiamano il concetto de Il Baslà, con un sofisticato gioco bianco e nero.

All’interno il muro in mattoncini a vista lascia il posto alla carta da parati dai colori blu, arancione e giallo. Due grandi salette possono diventare dei privée, in uno stile caldo che ricorda l’inclusività del salotto di casa. Anche qui, divertenti padelline e baslott appese come lampade: una scelta dell’architetto Nadia Martelli.

IL BRUNCH DE IL BASLÀ

Anche se il Brunch non deriva dalla cultura e dalla tradizione italiana, Il Baslà non rinuncia all’idea del pranzo domenicale rivisitato. Sarà così servito ogni domenica un tris di pancake a scelta. Tra le portate principali, il club sandwich creativo, tris di hamburger con patate crispers, il bruschettone (la bruschetta ai cereali) con uovo all’occhio di bue o l’uovo alla Benedict e dolce (25 euro).

I NAVIGLI DI MILANO E I NUOVI COCKTAIL DE IL BASLÀ

Tra i cocktail signature tanti nomi divertenti, realizzati dall’alchimista del Baslà: sono Runway Bride (Portobello gin, uva rossa, limone, lime e fiore di sambuco) e Speedy Gonzales (affascinante mix di tequila Esplon, mexcal, succo di mela, sciroppo piccante, lime e crusta di zucchero), per i viaggiatori si consiglia Trip to Peru (Pisco, Aperol, limone, miele, angostura e albume).

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KFC: impegno globale per l’uso di sole uova “cage-free”

Yum! Brands ha reso pubblico oggi un impegno a diventare 100% cage-free entro il 2026 per la maggior parte delle sue sedi. La transazione sarà completata entro il 2030 su scala globale. L’azienda è la più grande al mondo nel campo della ristorazione e conta quasi 50 mila sedi a livello globale, con i suoi brand Kentucky Fried Chicken (KFC), Pizza Hut, Taco Bell e The Habit Burger.

La policy, che sancisce l’impegno a non rifornirsi da allevamenti di galline allevate in gabbia, è stata raggiunta grazie alla campagna di sensibilizzazione internazionale guidata dalle organizzazioni che aderiscono alla Open Wing Alliance. Una coalizione internazionale che lavora per il benessere di polli e galline ancora confinati negli allevamenti intensivi di tutto il mondo.

«Con questo impegno contro le gabbie, Yum! Brands e KFC potranno fare la differenza nel ridurre la sofferenza di milioni di galline ovaiole in Italia e in tutto il mondo – ha affermato Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia – Questa policy coinvolge alcune delle catene di fast food più importanti al mondo ed è evidente che la transizione a un mondo senza gabbie sta diventando il futuro del settore agroalimentare».

Yum! Brands è l’azienda nel campo della ristorazione con il più alto numero di sedi che sia stata mai coinvolta in una campagna pubblica. Prima di oggi, Taco Bell aveva già completato la transizione cage-free in Nord America impegnandosi per le uova non provenienti da allevamenti in gabbia anche in Europa.

Il 26 agosto di quest’anno, inoltre, Yum! Brands aveva rilasciato una policy cage free per gli Stati Uniti, l’Europa occidentale e altri mercati leader. La nuova policy globale certifica l’impegno da parte dell’azienda a rifornirsi solo da uova e ovoprodotti al 100% cage-free per le sue sedi in oltre 150 Paesi. Yum! Brands ha inoltre accettato di fornire aggiornamenti su base annuale per assicurare la propria trasparenza.

LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA CAGE-FREE

Gli allevamenti in gabbia confinano le galline in gabbie minuscole e spesso sporche. Ogni individuo vive in uno spazio vitale pari ad un foglio A4. Queste gabbie sono così piccole e affollate che le galline non possono esprimersi attraverso i loro comportamenti naturali o istintivi, provocando spesso ferite e fratture agli animali.

Eliminando i sistemi basati sulle gabbie, si ridurranno notevolmente le sofferenze delle galline allevate per la produzione di uova. Un primo passo significativo per le galline ovaiole.

Poiché la domanda dei consumatori di uova cage-free continua a crescere, anche altre aziende globali leader del settore stanno abbandonando l’uso delle gabbie. Fra esse Unilever, Nestlé, Aldi, Restaurant Group International, InterContinental Hotels, Sodexo, Mondelez, Compass Group, Shake Shack, Famous Brands, Costa Coffee e Barilla.

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Kfc e Yum! Brands: stop agli allevamenti di galline in gabbia

Kfc (Kentucky Fried Chicken), Pizza Hut, Taco Bell e The Habit Burger, tutti marchi Yum! Brands, hanno comunicato l’impegno verso il 100% cage-free entro il 2026, per la «maggior parte delle sedi». La transazione sarà completata entro il 2030 su scala globale. Si tratta del più grande gruppo al mondo nel campo della ristorazione, con quasi 50 mila sedi nel mondo.

La policy, che sancisce l’impegno a non rifornirsi da allevamenti di galline allevate in gabbia, è stata raggiunta grazie alla campagna di sensibilizzazione internazionale guidata dalle organizzazioni che aderiscono alla Open Wing Alliance. Una coalizione internazionale che lavora per il benessere di polli e galline ancora confinati negli allevamenti intensivi di tutto il mondo.

«Con questo impegno contro le gabbie, Yum! Brands e KFC potranno fare la differenza nel ridurre la sofferenza di milioni di galline ovaiole in Italia e in tutto il mondo – ha affermato Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia – Questa policy coinvolge alcune delle catene di fast food più importanti al mondo ed è evidente che la transizione a un mondo senza gabbie sta diventando il futuro del settore agroalimentare».

Yum! Brands è l’azienda nel campo della ristorazione con il più alto numero di sedi che sia stata mai coinvolta in una campagna pubblica. Prima di oggi, Taco Bell aveva già completato la transizione cage-free in Nord America impegnandosi per le uova non provenienti da allevamenti in gabbia anche in Europa.

Il 26 agosto di quest’anno, inoltre, Yum! Brands aveva rilasciato una policy cage free per gli Stati Uniti, l’Europa occidentale e altri mercati leader. La nuova policy globale certifica l’impegno da parte dell’azienda a rifornirsi solo da uova e ovoprodotti al 100% cage-free per le sue sedi in oltre 150 Paesi. Yum! Brands ha inoltre accettato di fornire aggiornamenti su base annuale per assicurare la propria trasparenza.

LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA CAGE-FREE

Gli allevamenti in gabbia confinano le galline in gabbie minuscole e spesso sporche. Ogni individuo vive in uno spazio vitale pari ad un foglio A4. Queste gabbie sono così piccole e affollate che le galline non possono esprimersi attraverso i loro comportamenti naturali o istintivi, provocando spesso ferite e fratture agli animali.

Eliminando i sistemi basati sulle gabbie, si ridurranno notevolmente le sofferenze delle galline allevate per la produzione di uova. Un primo passo significativo per le galline ovaiole.

Poiché la domanda dei consumatori di uova cage-free continua a crescere, anche altre aziende globali leader del settore stanno abbandonando l’uso delle gabbie. Fra esse Unilever, Nestlé, Aldi, Restaurant Group International, InterContinental Hotels, Sodexo, Mondelez, Compass Group, Shake Shack, Famous Brands, Costa Coffee e Barilla.

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Apre la nuova “Terrazza Aperol” a Venezia

Apre ufficialmente i battenti “Terrazza Aperol” a Venezia, nuovo locale dello storico brand Aperol di Campari Group. Un locale di oltre 200 mq, di cui 90 mq in esterno, situato in Campo Santo Stefano, a pochi passi dal Ponte dell’Accademia.

Il progetto di interior è stato affidato a Vudafieri-Saverino Partners che ha disegnato un luogo che si fa portavoce dei valori veneziani e dei codici distintivi del marchio. Un lugo capace di interpretare in un solo gesto sia l’eredità lunga un secolo che la natura contemporanea dell’aperitivo con Aperol Spritz.

Un rito che, partito proprio dalle calli veneziane, si è imposto nel mondo come un momento di socialità e condivisione. Terrazza Aperol si ispira e rivisita il tradizionale bacaro, la tipica osteria veneziana, proponendo un locale di impronta cosmopolita.

IL DESIGN CONCEPT

Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino hanno disegnato uno spazio che unisce le radici veneziane a una vibrante atmosfera cosmopolita. Nel progetto, elementi della tradizione sono reinterpretati in chiave contemporanea. Troviamo così specchi veneziani che divengono monitor digitali per condividere foto con gli altri locali Aperol nel mondo.

Stucchi fatti a mano e pavimenti in legno recuperato dalle “bricole” veneziane (pali di quercia che segnalano i canali navigabili in laguna) con fughe arancioni. Un bancone, ispirato ai bar della metà del XX secolo, rivestito con pannelli di policarbonato riciclato stampati in 3d. Panche le cui forme classiche si combinano con tessuti dai toni neutri e dallo stile contemporaneo.

In omaggio al colore iconico del marchio, sono molteplici i dettagli arancioni che caratterizzano l’atmosfera estetica del locale. Dai bordi delle sedute al bagno total orange, dalle mensole agli specchi. Terrazza Aperol è uno spazio fluido, interattivo, dinamico, al cui interno coesistono due diverse aree, comunicanti tra loro, ma accessibili da ingressi separati.

Il Bacaro, ispirato alla tradizione, dove provare l’autentico aperitivo veneziano e il Bar, destinazione ideale in qualsiasi momento della giornata, dal caffè al dopocena. Entrambi gli ambienti si trovano in dialogo con la grande terrazza esterna di 90 mq che si affaccia su Campo Santo Stefano.

IL BACARO APEROL

Spazio intimo, ma dinamico e conviviale, è caratterizzato da un soffitto storico in legno alla Sansovina, tipico di Venezia. L’atmosfera richiama quella delle tipiche osterie locali.

Per questo spazio Vudafieri-Saverino Partners ha progettato ad hoc una particolare seduta. Una lunga micro panca appoggiata a muro con piccoli tavoli pieghevoli integrati che contribuiscono a creare una fruizione informale e vivace.

Elemento distintivo sono i Digital Mirrors, specchi digitali la cui forma sagomata rievoca quelli della tradizione veneziana. Questi touch point virtuali sono connessi in tempo reale con gli altri locali Aperol del mondo, creando dei punti di contatto digitali tra città e paesi diversi.

L’AREA BAR

Protagonista dello spazio è il grande bancone che si distingue per i pannelli di policarbonato riciclato stampati in 3d, retroilluminati nel caratteristico colore arancione e per il ripiano in corian bianco caldo. La forma del bancone e i frontali cannettati rimandano alla tradizione italiana del XX secolo.

Sulla parete alle spalle del bancone troneggia a tutto altezza il display delle bottiglie con il suo fondo a specchio antico, i ripiani con bordi arancioni, le nicchie per ospitare le Magnum e i dinamici accenti di luce. A illuminare lo spazio un soffitto percorso da strisce led che citano, attraverso un gioco di luci, il ritmo delle travi del vicino soffitto storico alla Sansovina e gli scenografici lampadari a sospensione su disegno, realizzati in vetro lavorato di Murano.

Il bar ospita al suo interno diverse tipologie di tavoli e sedute, da sgabelli e panche dal carattere casual a tavoli e sedie tipo bistrot per un’esperienza food & drink più rilassata. Le sedute sono in parte disegnate ad hoc e in parte di serie, ma con finiture e tessuti speciali Terrazza Aperol.

LA TERRAZZA OUTDOOR

Fluidamente connesso con l’interno attraverso ampie vetrate, lo spazio esterno presenta due aree distinte che rappresentano due diversi modi di vivere il mondo Aperol. Il dehors del Bacaro si caratterizza per tavoli alti, ideali per un aperitivo in piedi, e un accogliente e versatile zona lounge per una serata in compagnia en plein air con sedute custom made.

L’area esterna del Bar presenta invece tavoli da bistrot tradizionali e classiche poltroncine da regista: uno spazio elegante e confortevole per gustare il menù food & beverage proposto al tavolo. Trasparenza, apertura e una forte connessione tra interno ed esterno sono le caratteristiche principali della facciata.

UN LUOGO UNICO

Un’attenzione particolare è stata riservata alla proposta food, con un’esperienza che va dalla colazione al dopo cena, costruita intorno a un’offerta creata appositamente per Terrazza Aperol da Alessandro Negrini e Fabio Pisani, chef del Luogo di Aimo e Nadia, che hanno creato un menù basato sulla tradizione veneta, con materie prime italiane eccellenti e modulato sulla stagionalità, senza gerarchie rigide e di facile esecuzione.

Terrazza Aperol ospiterà anche la prima linea di merchandising firmata Aperol, interamente Made in Veneto e ispirata a celebrare i momenti di convivialità e togetherness.

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Cibus di Parma: ecco la Caprese in versione gelato

Nasce la Caprese in versione gelato. La novità sarà presentata a Cibus Parma, in programma dal 31 agosto al 3 settembre 2021. Non a caso, l’edizione annuale del Salone Internazionale dell’Alimentazione è dedicata all’innovazione e al futuro dell’ecosistema agro-alimentare.

Il Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop sarà presente con la “Mozza-Mobile” nel Padiglione 2, Stand G008. In programma dimostrazioni di filatura dal vivo e cooking show tutti da gustare, incentrati sul racconto della versatilità in cucina della mozzarella Dop.

In linea con il tema dell’innovazione scelto da Cibus, la Bufala Campana sarà rivisitata e diventerà un gelato con le creazioni dello chef fiorentino Simone Bonini, volto tv e pioniere dell’arte del gelato gastronomico in Italia.

Bonini proporrà la mozzarella Dop in stick, abbinandola a un sorbetto di pomodoro. Nasce così la Caprese in versione gelato. Infine la Bufala sarà degustata accanto ad altri grandi prodotti Dop della cucina italiana.

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Villány, Baranja ed Erdut: la “Terra del vino” che unisce Ungheria e Croazia

VillányBaranja ed Erdut. Ovvero l’Ungheria meridionale dei vini rossi eleganti e generosi, che punta tutto su Cabernet Franc e taglio bordolese. E la Croazia nord-orientale, lontana dal mare, abbracciata dai fiumi Danubio e Drava: terra di vini bianchi a base Graševina e varietà a bacca rossa tipiche di Bordeaux. Non è stato ribattezzato per caso “Land of wine“, “Terra del vino“, il progetto di promozione transfrontaliero che unisce la regione vinicola magiara di Villány e le due sottozone croate della macro regione di Podunavlje.

Un matrimonio che si consuma a nord e a sud di una delle tante strisce tracciate dalla geopolitica, tra Pannonia e Balcani. Per l’esattezza, lungo gli ultimi 60 degli oltre 320 chilometri di confine tra Ungheria e Croazia; verso est, sino a lambire la Serbia.

La forma a grappolo d’uva che si ottiene unendo idealmente il tracciato di VillányBaranja ed Erdut racconta tutto, o quasi. A partire dalla cartina geografica. Oggi solo i serrati controlli alla frontiera dettati dalle misure anti Covid-19 interrompono la continuità, non solo paesaggistica, tra gli areali.

Una morbida discesa dalle “vette” di Villány (140-350 metri sul livello del mare) alla pianura croata, modellata sul letto paludoso del Danubio. Dal sud dell’Ungheria si rotola giù fino ad Osijek, quarta città della Croazia per numero di abitanti – oltre 100 mila – e nuova capitale storica, culturale ed economica della Republika Hrvatska.

THE LAND OF WINE: VILLÁNY, BARANJA ED ERDUT

Novanta metri sul mare, sulla sponda sud del fiume Drava, per un centro che fa della cultura green e del turismo su due ruote il suo punto forte. L’immenso “Giardino urbano” (Gradski Perivoj) di Osijek è menzionato sin dal 1.750. Lo conoscerà bene Davor Šuker, uno dei più grandi calciatori croati di tutti i tempi, che qui è nato.

Una terra simbolo del multiculturalismo, in cui non è difficile trovare tre chiese per paese. Cattolici, calvinisti e ortodossi le distinguono dalla forma del tetto, nonché dalla presenza, o meno, della croce sul campanile.

Una storia ben simboleggiata dal Máriagyűd kegyhely di Siklós, santuario e luogo di pellegrinaggio riconosciuto dalle diverse confessioni religiose, ad appena 16 chilometri dal capoluogo vinicolo Villány. Appena al di là del confine ungherese, il melting pot è evidente nel bilinguismo e nelle assonanze dell’enogastronomia.

Un puzzle che si fa ancora più complesso se si considera l’influenza della Serbia, con cui la Croazia ha condiviso le sanguinose vicende dell’ormai ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Il monumento alla Battaglia di Batina, con il suo obelisco di 26,5 metri sull’altopiano di Gradac, celebra la “Vittoria” dell’Armata rossa in occasione della cosiddetta Krvava kota 169, l’«elevazione sanguinosa 169» del 1944, tra gli scontri più violenti della II Guerra mondiale.

Nell’ossario che fa da basamento, i resti di 1.297 combattenti. Perlopiù contadini ucraini, arruolati in fretta e furia dalle forze armate sovietiche per arrestare l’avanzata dell’esercito tedesco. Appena sotto e all’orizzonte, una vista mozzafiato sul Danubio che, proprio in questo tratto dei suoi 2.860 chilometri, unisce le sponde di Croazia e Serbia. Con l’Ungheria sullo sfondo.

VILLÁNY E IL CABERNET FRANC UNGHERESE: CLASSICUS, PREMIUM E SUPER PREMIUM

Seconda solo a Tokaji per notorietà internazionale e acclamata terra dei vini rossi ungheresi, la regione vinicola di Villány si estende su circa 2.400 ettari (2.333,64 secondo l’ultimo censimento) nella macro regione di Baranya. Con i suoi 322,25 ettari, il Cabernet Franc si è ritagliato negli anni il ruolo di varietà simbolo.

Si tratta di uno dei rari casi al mondo di vinificazione in purezza del vitigno. L’esempio è quello della Loira francese (Breton), con cui quest’angolo d’Ungheria condivide le caratteristiche del terreno (argilla, sabbia, limo e loess). Il marchio ungherese si chiama Villány Franc. Alla base, un rigido sistema di classificazione identificato nel 2014 dal locale Consorzio di tutela, il Villányi borvidék.

La stragrande maggioranza dei vini viene imbottigliata come Classicus. Ma sono le tipologie Premium e Super Premium a dare le maggiori soddisfazioni nel calice. Il segreto? Le rese delle uve, provenienti da singoli vigne e cru, vengono contenute sino a meno di un terzo dei 100 ettolitri potenziali.

I vini Villányi Franc Premium (massimo 60 ettolitri / ettaro) prevedono l’affinamento in botte di un anno (la media è di almeno due). Per i Villányi Franc Super Premium, commercializzabili anche solo col nome di Villányi Franc (35 ettolitri / ettaro), il vino trascorre almeno un anno in botte e un altro anno in bottiglia (tre anni sono la media tra vendemmia e inizio della commercializzazione).

Il nuovo sistema di classificazione interessa soprattutto i le uve di Cabernet Franc prodotte in vigneti simbolo come Bocor, Dobogó, Fekete-hegy, Jammertal, Konkoly, Kopár, Mandolás e Ördögárok, per citarne solo alcuni. Tra i produttori spiccano gli storici Tiffán, Gere, Polgár e Bock.

Interessante il fermento riscontrabile tra le cantine di Villányi sul fronte della proposizione di vini meno opulenti, frutto non solo del controllo delle rese in vigneto ma anche dell’esaltazione di frutto più croccante e meno maturo-marmellatoso. Eleganza e finezza, assieme a freschezza e agilità di beva, sono le caratteristiche che premieranno i Villányi Franc di domani.

I MIGLIORI CABERNET FRANC DI VILLÁNYI: LA SELEZIONE DI WINEMAG.IT

Per mantenere alta l’attenzione dei produttori, dal 2015 il Villányi borvidék 0rganizza un tasting dei vini atti a divenire Premium e Super Premium. Tra i 12 selezionati nel 2021, alcuni brillano in particolare per la loro capacità di esaltare il terroir d’elezione del Cabernet Franc ungherese, tanto quanto una necessaria chiave interpretativa moderna del vitigno-vino.

A differenza di Bordeaux, dove il Conseil Interprofessionnel du Vin ha da poco varato l’introduzione di quattro nuove varietà a bacca rossa per contrastare i cambiamenti climatici (Touriga Nacional, Marselan, Castets, Arinarnoa), la regione di Villány sembra intenzionata a risolvere il problema – almeno al momento – attraverso una sapiente gestione del vigneto.

Sarà il mercato, nell’arco dei prossimi 10 anni, a dire chi avrà avuto ragione. Nel frattempo, i calici migliori parlano tutti la stessa lingua. A preoccupare, piuttosto, sono diverse interpretazioni che privilegiano il legno al frutto, nel solco di una standardizzazione ed omologazione che non fa bene al futuro.

 

Agancsos Pincészet – 2017 (14% vol)

Gran bella scorrevolezza e materia per questo Cabernet Franc in purezza vinificato in legno grande da 500 litri. Il sorso è tipico e abbina l’usuale generosità del frutto a una croccantezza rara, che si traduce in una succosità seducente. Convince anche per la gestione composta dei terziari, finissimi e in grado di incomplessire magistralmente il profilo di un’uva coccolata in vigna e poi preservata (ed esaltata) in cantina. Un grande lavoro, in definitiva, sulla varietà, sul terroir e sulla longevità.

A. Gere Pincészet – Ördögárok-dűlő 2017 (14,5%)

I lieviti selezionati all’interno dei vigneti di proprietà, per l’esattezza 3 dei 7 considerati migliori dai test fermentativi, conferiscono uno stile unico ai vini di Attila Gere Pincészet. Nello specifico, il Franc è ottenuto dal cru di Ördögárok, che nel 2017 (come per molti vini ungheresi dell’annata) ha dato risultati eccezionali.

Una chicca che convince per l’eleganza estrema della componente verde del vitigno, tra ricordi di macchia mediterranea, speziatura dolce e fresca e vibrante acidità. Tannini presenti ma elegantissimi, integrati e di gran prospettiva. Tra le componenti morbide, il frutto si rivela materico e succoso, ancora croccante. I terziari giocano un ruolo di secondo piano e lasciano spazio a una delle migliori espressioni territoriali del vitigno. Vino con una grande vita davanti.

 

Bock – Fekete-hegy Selection 2015 (14,5%)

Fekete Hegy, ovvero “Montagna nera”, è una delle selezioni della cantina di Villány guidata dall’iconico József Bock. Un vino che viene prodotto solo nelle annate migliori. E la 2015 sta lì a dimostralo, con la sua stratificazione e complessità, nonché attraverso il chiaro messaggio sulla longevità dei Cabernet Franc ungheresi prodotti nella zona.

Alle classiche note fruttate del vitigno, qui generose e rotonde (ciliegia, lampone, fragolina di bosco), fa eco una freschezza che accompagna dal naso al retrolfattivo, giocata anche su ricordi di erbe della macchia mediterranea.

Bel tannino elegante, integrato e di prospettiva, che contribuisce a rendere la beva agilissima e super gastronomica. Vino pronto, con margini di crescita. Così come sarà grande un altro Cabernet Franc in purezza di Bock: il Siklós ottenuto dalla vigna di Makár, al momento ancora in affinamento in barrique.

Riczu Tamás – 2017 (15%)

Vino ottenuto dalle vigne di Villány con una resa inferiore ai 50 quintali ettaro. Non spaventino i 15% vol., perché il quadro è quello di uno dei vini di rara concentrazione e precisione degli aromi, in cui l’alcol gioca un ruolo fondamentale, proprio per la sua perfetta integrazione.

Il frutto rosso e nero polposo invita agli straordinari un tannino di seta, elegantissimo. A contribuire all’equilibrio del nettare anche una freschezza data da ricordi di mentuccia. Colpisce (anzi strabilia) per l’opulenza, abbinata appunto a freschezza, definizione elegante degli aromi e persistenza da vendere. Un faro per il futuro dei Villányi Franc.

  

Ruppert – Diósviszló 2016 (14,5%)

Piante di 20 anni e resa che fatica a raggiungere il chilogrammo per ceppo nel vigneto di Diósviszló. Se il calice del Cabernet Franc di Ruppert è eccezionale lo si deve soprattutto al grande amore che questa famiglia di produttori riversa in ogni singola attività produttiva. Non a caso è tra i pochi disponibili anche in Italia.

Colpisce per la stratificazione del naso e del sorso, che accosta frutto, spezie, freschezza, eleganza. Una fermentazione rigorosa e volta a favorire l’espressione dei primari, unita a un utilizzo garbato dei legni, regala un sorso al momento piacevolissimo, nonché di assoluta prospettiva.

Sauska – Siklós 2017 (14,5%)

Quattordici gradi e mezzo (abbondanti, si direbbe) e un’acidità pari a 6.1 punti: certi vini si comprendono ancora meglio con i numeri alla mano. Quelli del Cabernet Franc Siklós di Sauska, di fatto, parlano da soli. Si tratta dell’assemblaggio delle vigne Kopár, Konkoly e Makár. La parola d’ordine è “equilibrio”, sul filo di una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.

Note di chiodo di garofano, mentuccia, anice e un tocco di rabarbaro ben si accostano alla pienezza di un frutto grondante di succo, a bacca rossa e nera (lampone, ribes, mora). Vino di rara pienezza e gastronomicità, nonché fulgido esempio di quanto il Cabernet Franc di Villány possa ritagliarsi uno spazio (anche) tra i grandi vini internazionali “da meditazione”. Oltre a piatti elaborati di carni rosse, un buon libro come accompagnamento ideale.

 

Szende Pince – Kopár 2017 (15%)

Botte grande da 500 litri per due anni, una scelta territoriale che inizia dai legni: rigorosamente Trust ungherese. La selezione del vigneto Kopár di Szende è uno di quei vini che cattura sin dal primo sguardo e, subito dopo, dal primo naso.

Il frutto è delizioso e i terziari perfettamente integrati. Un quadro elegante e gioioso su cui danzano freschi ricordi di erbe della macchia mediterranea. Al palato, una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva e tannini in cravatta: soffici, ma di prospettiva assoluta.

Tra i migliori Cabernet Franc ungheresi non può mancare quello degustato durante l’Hungarianwines Gettogether 2021 del 19 agosto, al castello medioevale di Siklós. Una manifestazione a cui aderiscono annualmente diversi produttori provenienti da tutte le regioni vinicole dell’Ungheria.

Heumann – Trinitás 2016 (15%)

Vino ottenuto da Cabernet Franc in purezza di rara eleganza e stratificazione nel panorama dei Villány Franc dell’annata 2016. Si tratta del frutto dell’assemblaggio delle uve di Vokány (Trinitás, per l’appunto) e Diosviszlo (Nagyhegy), pensato dalla coppia svizzero-tedesca Evelyne & Erhard Heumann. Come pochi altri colpisce per l’integrazione assoluta dell’alcol, utile spalla dell’assoluta freschezza.

Precisissimi ricordi di piccoli frutti a bacca rossa e nera (mirtillo, ribes) ancora croccanti si concedono tanto al naso quanto al palato, arricchiti da tannini soffici e ricordi di cioccolato e tabacco. Tasso di gastronomicità alle stelle, senza rinunciare a una beva gustosa, golosa, instancabile. Potenziale d’affinamento lunghissimo.

DOVE MANGIARE A VILLÁNY

  • A. Gere Mandula Restaurant (Diófás utca 4-12, Villány)

Non solo vino per la cantina A. Gere. La famiglia chiude il cerchio dell’ospitalità con il Crocus – Resort & Wine Spa, nonché con un ristorante di assoluto livello: il Mandula Étterem – Bisztró & Wine Bar, proprio nel cuore del villaggio di Villány.

Il ristorante porta nel piatto un concetto di “Alta cucina regionale”, rispondente alla tradizione Swabian, ovvero della Svevia, la regione della Germania da cui provengono i Gere, così come molte altre famiglie della zona.

Un lavoro che si fonda sulla creatività, all’insegna dell’attività più importante: la produzione di vini di alta qualità. Al Mandula Étterem – Bisztró & Wine Bar si sperimenta un viaggio tra i vini di Attila Gere, a cui la componente gastronomica vuole fare da spalla.

  • Bock Óbor Étterem (Batthyány utca 15, Villány)

Nel solco dell’enoturismo e dell’ospitalità anche la cantina Bock, che a Villány propone un hotel 4 stelle, l’Ermitage, e un ristorante, l’Óbor Étterem, che si distingue per l’ambiente informale, a cavallo tra la trattoria e i masi con stube del Trentino Alto Adige.

Un po’ come sentirsi a casa, all’insegna degli abbinamenti cibo-vino studiati attorno alla ricchissima produzione della famiglia di origini sveve. Il tutto curato dall’executive chef Barbara Nemesné e dalla coppia di sous-chef György Róbert e Hadnagy Attila.

  • Sauska 48 (048/10 hrsz, Villány)

Si chiama Sauska 48 l’elegante ristorante della cantina Sauska. Oltre ai piatti, si distingue per la vista mozzafiato sulla collina di Villány, specie dalla terrazza, perfetta per l’estate e per le calde e assolate giornate primaverili. Il perché del nome? Presto spiegato: il ristorante ha 48 posti a sedere.

Nel piatto, le specialità della regione interpretate in chiave moderna, con ingredienti provenienti dalle aziende agricole biologiche del circondario. Il tutto condito dalla vasta gamma di vini targati Sauska che comprende, oltre a Villány, anche la produzione della seconda cantina, a Tokaji (vini disponibili anche in Italia).

BARANJA ED ERDUT: “GIÙ” IN CROAZIA, TRA GRAŠEVINA E CABERNET

Venti minuti, direzione sud. Cofano dell’auto e calici rivolti verso Petlovac. O, meglio, Baranjsko Petrovo Selo. Il valico tra Ungheria e Croazia meridionale dista appena 19 chilometri da Villány. Dall’altra parte, ecco la Baranja. Poco cambia, se non una consonante, rispetto alla Baranya ungherese.

Già, perché il progetto di promozione territoriale dei due Paesi si fonda proprio sulla sostanziale unità geografica delle due aree del Transdanubio. Simili anche nel numero di abitanti (circa 350 mila) nella densità di popolazione (attorno ai 75 / Km²) e per la superficie (circa 4 mila Km²). Senza dimenticare che, appena al di là del confine, in Croazia, vivono ancora circa 10 mila ungheresi, secondi solo a serbi (29 mila) e ai padroni di casa croati (oltre 275 mila).

L’influenza “enologica” della Baranya, in Baranja, si sente eccome. Più che nel calice – il terroir di Villány è decisamente più vocato e in grado, da solo, di offrire vini di maggiore spessore – nelle varietà. Basti pensare che la Graševina, la varietà più allevata non solo nella regione vinicola di Podunavlje ma in tutta la Croazia, altro non è che l’Olaszrizling ungherese, ovvero il Riesling italico.

Sul fronte dei rossi, riecco il Cabernet Franc, altro “volto noto” transfrontaliero. Non mancano le altre varietà del taglio bordolese: Cabernet Sauvignon e Merlot, vinificati in purezza o in uvaggio. Colpisce l’approccio croato al vitigno, che nelle migliori espressioni è molto diverso da quello ungherese.

Se a Villány si tende a produrre vini rossi potenti ed eleganti, impreziositi da una mano di legno e terziari più o meno invasivi, in Baranja, così come a Erdut, si sceglie – al momento – la via del residuo zuccherino. Un elemento troppo spesso strabordante, tanto da standardizzare la beva e renderla ancor meno territoriale. Le due subregioni della Podunavlje vivono un’era che può essere considerata d’oro per la viticoltura.

Respinto il sistema mono partitico comunista all’inizio degli anni Novanta, sono molte le aziende che si sono date da fare nel settore. Tra queste, ne spiccano alcune intenzionate distinguersi «sul modello di qualità della vicina Villány», spiega a WineMag.it Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia. Ecco dunque i 10 vini da non perdere tra Baranja ed Erdut.

Cabernet Sauvignon 2012 “Premium”, Vina Kalazić (13,5%)

Una delle cantine con le idee più chiare sul futuro, la Vina Kalazić di Zmajevac. La produzione, certificata biologica, si divide in tre linee. Si passa dai vini quotidiani alle due linee premium, tra cui spicca il Cabernet Sauvignon 2012. Gran pulizia del frutto, tannini finissimi e un sorso che fa presagire ancora un quinquennio ad alti livelli per il bordolese di casa Kalazić.

Pinot Grigio 2019, Vina Gerštmajer (13,5%)

Si resta a Zmajevac, ma si cambia completamente registro con Vina Gerštmajer. Una realtà famigliare che vale di pena conoscere e approfondire, soprattutto per la rivoluzione in atto grazie ad Ivan Gerštmajer. Il giovane, rappresentante della quarta generazione, ha iniziato a ridurre parzialmente i residui zuccherini di una realtà interamente vocata alla produzione di vini da vendemmia tardiva.

Il risultato più fulgido è l’esaltante equilibrio fresco-zuccherino di uno dei Pinot Grigio più attraenti del momento, almeno in scala mitteleuropea. Agli 8 grammi di residuo, perfettamente integrati, rispondono 12 punti di acidità. Il sorso è teso e freschissimo, tanto quanto morbido e suadente.

Uno dei classici vini “buoni da soli”, eccezionali anche a tavola. L’esempio più fulgido di quanto un giovane vignaiolo con lo sguardo sul mondo possa dare la svolta alla produzione di una famiglia che, negli anni, si è ritagliata un posto d’onore nella produzione dei migliori vini della Croazia.

Cabernet Sauvignon 2019, Vina Gerštmajer (14%)

Il vino che chiude il cerchio della rivoluzione. Se l’approccio di Ivan Gerštmajer alle varietà a bacca bianca da sempre presenti nel vigneto di famiglia è quello di semplificare senza ridurre, nel bouquet di vini della boutique winery di Zmajevac non poteva mancare un rosso in grado di mostrare l’altra faccia della medaglia.

Tra i vini carichi di terziari e qualche standardizzante sbrodolata sul residuo zuccherino (non a caso tanto amato da mercati come quello cinese) in Baranja brilla l’interpretazione del Cabernet Sauvignon 2019 del giovane Ivan.

Nella sua semplicità e immediatezza, chiara sin dal colore e poi fulgida all’assaggio (frutti rossi croccanti, speziatura elegantissima, beva agilissima ma tutt’altro che banale) c’è tutta la concretezza di un’idea che va ben oltre il vino. Quella di chi vuole scrivere la storia, in una regione enologicamente giovane, che ha un disperato bisogno di personalità a cui aggrapparsi per distinguersi.

Graševina 2020 “Premium”, Vina Belje (13,5%)

Vina Belje è il produttore di vino croato dotato del parco vigneti più vasto: ben 650 ettari, tutti in Baranja. Splendido il corpo aziendale storico, con una serie di cunicoli pronti a sorprendere gli enoturisti. Sul fronte della produzione, nel 2011, l’azienda ha investito risorse pari a 20 milioni di euro per un nuovo polo produttivo all’avanguardia.

Un’azienda attentissima al marketing e al giudizio internazionale, che sta dando (e darà) un grande aiuto alla denominazione e al territorio, soprattutto in termini di visibilità. Tra i vini, tutti enologicamente ineccepibili e pensati per centrare i gusti moderni, ben oltre i confini nazionali, spicca la concretezza e tipicità della Graševina.

Graševina 2020, Vina Antunović (12,5%)

«One woman company». Così si presenta la “donna del vino” più intraprendente della Croazia. Jasna Antunović Turk (nella foto sopra) è a capo della prima azienda vinicola del paese fondata e condotta da una donna. È a Dalj, nella regione di Erdut, a due passi dal confine con la Serbia, che l’ex manager del settore finanziario ha cambiato vita.

Una fortuna per l’intera regione di Podunavlje poter contare oggi sui suoi vini, in grado di evidenziare nel calice le sfumature del terroir locale. Per l’esattezza, Jasna Antunović Turk ha dato avvio nel 2004 all’impianto dei vigneti (8 ettari complessivi) contando sull’esempio del padre. Nel 2009 ha inaugurato la piccola cantina artigianale, a poche centinaia di metri dal Danubio.

La gamma è ricchissima di gemme, tra cui la Graševina 2020. Un vino non filtrato, allo scopo di preservare le gentili caratteristiche del vitigno. Al giallo paglierino luminoso con riflessi verdolini fanno eco frutto e materia da vendere, prima al naso poi al palato.

Spiccano note citriche e di frutta a polpa gialla, nonché fiori che contribuiscono a creare un bouquet elegante e ricercato. Uno di quei vini che assomigliano tanto a chi li produce, dividendosi nello specifico tra charme e concretezza, equilibrio e carattere.

Graševina 2015 Premium, Antunović (12%)

Quando può “invecchiare” una Graševina? Risponde Jasna Antunović Turk, con la sua Premium 2015. Sei anni abbondanti e non sentirli per questo bianco affinato sapientemente in legno grande, che si presenta nel calice con una veste dorata, luminosa. Tutto tranne che il bianco “grasso” e “pesante” che ci si potrebbe aspettare. Un nettare che conserva delicatezza e fragranza, all’insegna di una filosofia produttiva chiara: elevare il vitigno grazie alla tecnica.

Naso e bocca in perfetta corrispondenza, su preziosi ricordi floreali e generosi e polposi richiami fruttati. La componente agrumata tende il sorso come una corda, mentre il legno gioca a riequilibrare il sorso con la vena cremosa. Un vino bianco dall’elevatissimo tasso di gastronomicità, tanto da chiamare il piatto e l’abbinamento ad ogni sorso.

Cuvée Rosé 2020, Antunović (12%)

Poteva mancare un rosé nella cantina della prima donna winemaker della Croazia? Certamente no. Quello di Jasna Antunović Turk, per di più, è un rosato che travalica persino il facile (anzi, triste) luogo comune del rosato che fa impazzire le donne. Ottenuto da un uvaggio Pinot Noir, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, si presenta nel calice di un rosa provenzale luminoso.

Il naso è delicato, sui fiori di rosa e i piccoli e croccanti frutti rossi. Si spazia dal ribes alla fragolina di bosco, per poi virare su ricordi più pieni e maturi di frutta a polpa bianca e gialla, come la pesca e il melone. Si ritrova tutto al palato, in un quadro di perfetta corrispondenza che vede nella freschezza e nella vena salina del sorso (lunghissimo per la tipologia, in termini di persistenza) uno dei punti forti.

Chardonnay 2017, Antunović (13%)

Altro vino che esalta la varietà, il territorio e il savoir-faire enologico di Vina Antunović. Uno Chardonnay che convince per la riconoscibilità assoluta del vitigno, interpretato in chiave Erdut e, per questo, ancora più prezioso. Naso e sorso si concedono tra eleganti ricordi floreali e di frutta esotica. Pregevole la vena minerale-salina che fa da spina dorsale, unita all’esaltante freschezza che controbilancia la morbidezza del frutto. Vino equilibrato e gioioso, dotato di gran carattere e visione locale.

Graševina 2020, Vina Erdut

Vina Erdut, l’azienda guidata da Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia (nella foto sopra) è la cantina leader, in termini di fatturato ed ettari vitati disponibili della subregione di Erdut (513 di cui 490 a corpo unico, un record in Croazia). Merita la visita per l’imponenza della struttura di chiara matrice comunista, con vista spettacolare sul Danubio. La cantina, dotata dei più moderni sistemi di vinificazione, è stata inaugurata nel 1984.

È in grado di accogliere 6 milioni di litri di vino. Al suo interno, una botte di rovere di Slavonia finemente intagliata, con scene di vita rurale che fanno da contorno all’Ultima Cena. Tra i vini secchi e fermi convince la Graševina. Un bianco a tutto pasto giocato sull’esuberanza della componente fruttata, ben riequilibrata dalla freschezza.

Icewine 2012, Vina Erdut

Una delle sorprese per chi si ritrova a sondare le cantine della regione vinicola del Podunavlje: un icewine croato ottenuto da uve Gewürztraminer, raccolte a fine dicembre. Trenta grammi litro di residuo davvero ben integrati, in un sorso suadente e fresco, ben terziarizzato. Un vino perfetto per accompagnare soprattutto formaggi saporiti, oltre ai dolci.

DOVE MANGIARE IN BARANJA

  • Josić Restaurant & Winery – Vina Josić (Planina 194, Zmajevac)

Cucina tipica della Baranja con uno sguardo particolare sul mondo, in particolare sull’Italia, dove Damir Josić si sta tuttora formando, per nobilitare il menu del Josić Restaurant, annesso alla boutique winery di famiglia, Vina Josić. Un’avventura iniziata nel 1999, con l’acquisto di una delle tante antiche case di Zmajevac dotate di grotta (sarduk) per la conservazione del vino (prodotto in maniera casalinga) e dei generi alimentari.

  • Hotel Lug – Restaurant & Vinoteka (Šandora Petefija 64, Lug)

Eleganza e ambiente ricercato si riversano nei piatti di Hotel Lug – Ristorante e Vinoteka. Una storica realtà dell’omonima frazione del comune di Bilje, nell’Osijek-Baranja, da poco rilevata e in rampa di lancio. Nell’edificio da cui sono stati ricavati hotel, cantina e ristorante, fino a due secoli fa, viveva una famiglia tedesca. Al momento sono 67 etichette le etichette di vino in carta. L’obiettivo è di raggiungere le 150, per offrire un ventaglio completo sul vino della Croazia, da abbinare a piatti molto curati, non ultimo dal punto di vista estetico.

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  • Baranjska kuća (Kolodvorska 99, Karanac)

Un luogo magico e da non perdere, per tutti quegli enoturisti che vogliono vivere un’esperienza autentica. Il Baranjska kuća di Kneževi Vinogradi è situato nella frazione di Karanac e offre molto più di una cucina tradizionale di altissimo livello.

Il ristorante dell’hotel è interamente ricavato all’interno della Ulici zaboravljenog vremena, la Via del Tempo dimenticato attorno alla quale si sviluppano gli edifici del vecchio villaggio di Karanac, tra case e botteghe dei mestieri ormai in disuso.

Nei calici del ristorante Baranjska kuća, per scelta del giovane titolare Stanko Škrobo (nella foto gallery), solo vini prodotti nella regione della Baranja. Tra le specialità, anche la farina di mais prodotta in casa e utilizzata per confezionare il pane di questo angolo unico al mondo, in cui la modernità dello street food è legata a doppio filo alla tradizione.

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Bolzano: riapre lo storico Stadt Hotel Città grazie a Forst e Podini

Riapre, dopo un’accurata ristrutturazione durata soli sei mesi, lo storico Stadt Hotel Città in Piazza Walther a Bolzano. Il progetto nasce grazie alla collaborazione tra Birra Forst Spa e Podini Spa, due grandi realtà imprenditoriali altoatesine accomunate da una lunga tradizione famigliare.

«Adoriamo gli hotel di tradizione, quelli che hanno una storia da raccontare, ma soprattutto quelli che hanno un’anima», dichiarano Cellina von Mannstein di Birra Forst e Giovanni Podini della Podini Spa, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato della società Hotel Città Srl.

IL NUOVO STADT HOTEL CITTÀ

Facciata in stile neobarocco dalle linee pulite. 91 stanze completamente rinnovate. Un’area benessere, una zona fitness e una nuova brasserie con dehors, aperta a pranzo e cena, i punti di forza del nuovo Stadt Hotel Città.

Uno spazio urbano e raffinato che si completa con un cafè affacciato su Piazza Walther. Un ambiente chic-urbano in cui trovare ospitalità, cucina mediterranea, tutte le specialità birrarie Forst ed una accurata selezione di vini.

Il progetto è stato realizzato dallo Studio Bizzarro di Ravenna, specializzato nel campo della progettazione di strutture alberghiere di prestigio, su precise indicazioni dei due committenti.

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Argiolas chiama, gli chef rispondono: Alessandro Taras e Massimiliano Conti a Serdiana

Due appuntamenti da non perdere in Sardegna per gli isolani e per i tanti turisti che stanno affollando il mare cristallino della provincia di Cagliari. Argiolas ospita presso la cantina di Serdiana Alessandro Taras, chef di Is Paulis Serdiana e Massimiliano Conti del ristorante La Ciccia di San Francisco.

L’incontro, in programma la sera di mercoledì 28 luglio, si giocherà sui cavalli di battaglia di entrambi; i punti di incontro tra le due cucine. Dall’ostrica in tempura alla zuppetta di pomodoro e anguria con polpo scottato, dalla fregola al ragù di molluschi e zafferano al tonno scottato con melanzane affumicate e salsa al Carignano.

A seguire, il 10 agosto, arriva Calici di Stelle da Argiolas che quest’anno si estenderà dal vigneto Iselis alla nuova zona collinare di Pie Monti. Una zona in cui sono protagoniste le uve autoctone a bacca bianca Vermentino, Nuragus e Nasco.

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XXXIV rassegna Müller Thurgau Vino di Montagna: si potrà ammirare i vigneti eroici da un elicottero

Meno di quarantott’ore all’avvio della XXXIV rassegna Müller Thurgau: Vino di Montagna. La kermesse, nata per valorizzare il Müller Thurgau e il territorio della Valle di Cembra, celebra la culla della viticoltura eroica trentina e gli oltre 700 km di muretti a secco.

In programma nel piccolo comune di Cembra, in provincia di Trento, degustazioni libere e guidate dentro e fuori Palazzo Maffei. Oltre 60 vini in rassegna, oltre a momenti di approfondimento, visite nelle cantine del territorio, trekking e biciclettate tra i vigneti.

Tra gli appuntamenti da non perdere, anche la cena sotto le stelle lungo il viale di Cembra e la possibilità di ammirare i terrazzamenti vitati della Valle di Cembra, a bordo di un elicottero. Il tutto partire dalle ore 18 del 29 luglio e fino al 1 agosto 2021.

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Starbucks Milano e il caffè freddo Cold Brew Lemon Sour: il drink rinfrescante dell’estate 2021

Si chiama Cold Brew Lemon Sour ed è uno dei drink analcolici più rinfrescanti dell’estate 2021 di Milano. La bevanda, che vede protagonista il caffè e il succo di limone, è disponibile da Starbucks Reserve Roastery di Piazza Cordusio, 3.

In cosa consiste questo cocktail analcolico? L’ingrediente più importante è uno dei 20 caffè Starbucks Reserve, estratto a freddo per 24 ore. La macinatura utile al Cold Brew (letteralmente “infuso freddo“) è a grana grossa. Occorre un filtro molto resistente, metallico o a calza.

L’altra frazione (consigliato il 50-50) è, ovviamente, quella del Lemon Sour. Una sorta di “spremuta di limone”, con aggiunta (a piacere) di zucchero di canna. In Piazza Cordusio 3, gli esperti di Starbucks Roastery Milano aggiungono anche un ingrediente segreto: un goccio di sciroppo d’acero, utile a rendere cremosa (silky, “setosa”) la texture.

Il risultato è un drink dalla beva spasmodica, servito in un elegante bicchiere Old Fashioned (tumbler basso). Si tratta degli stessi bicchieri utilizzati generalmente per il whisky. Come decorazione, un colorato sorriso di scorzetta di limone e un bacio di marasca nera.

Per i più esigenti, sempre da Starbucks Milano, è disponibile il percorso Cold Craft Discovery Flight. Una degustazione di tre drink a base di caffè e agrumi: Nitro Cold Brew, Cold Brew Lemon Sour e Arancia Rossa. Un’esclusiva riservata ai clienti milanesi di Starbucks.

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Fipe: il dibattito su eventuali restrizioni preoccupa i pubblici esercizi

Preoccupazione. È quanto emerge dall’analisi congiunturale condotta dal Centro Studi di Fipe-Confcommercio, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, sul sentimento delle imprese.

Nonostante la stagione estiva stia per entrare nel suo pieno, cresce la preoccupazione degli imprenditori a causa dell’incertezza generata dal dibattito sulla possibilità di introdurre nuove restrizioni alla mobilità dei cittadini.

Questo nonostante il generale aumento della fiducia, tornata ai livelli dello stesso periodo del 2019, e una buona capacità di ripresa dimostrata dalle performance economiche registrate nel II trimestre di quest’anno.

Un netto miglioramento, dunque, rispetto al periodo buio del lockdown, eppure le recenti discussioni, unite all’assenza di turismo internazionale, appaiono come una possibile doccia fredda agli occhi degli esercenti che solo da poche settimane hanno potuto riprendere a lavorare con un minimo di continuità.

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Peck apre a Forte dei Marmi il suo quarto “club di sbafatori”: gastronomia più enoteca

È un incontro tra storie di qualità, quello tra Peck e Forte dei Marmi. Il fascino antico della costa Toscana, tra borghi di pietra, pinete secolari, il mare degli Etruschi e uno stile di vita che ha saputo affascinare generazioni di italiani celebri.

A partire da Gabriele d’Annunzio che per primo seppe unire tutti i piaceri della vita in un unico gesto estetico. Proprio D’Annunzio costituisce il trait d’union tra queste due storie di qualità.

Fu infatti protagonista ed esploratore della Versilia ante litteram e fondatore dello storico Sbaffing Club di Peck. Letteralmente, il “club di sbafatori“. Ovvero un gruppo di letterati che si incontravano da Peck, gustando le specialità che avrebbero reso celebre questo marchio nel mondo.

Oggi Peck sceglie Forte dei Marmi per inaugurare la sua nuova Gastronomia ed Enoteca, posta nel cuore del borgo antico, allo stesso tempo vicino al centro, alla piazza del famoso mercato e a pochi passi dal mare.

È il quarto negozio Peck in Italia, il primo fuori dalla città di Milano, dove è già presente con lo storico flagship store di via Spadari e i due punti vendita a CityLife e Porta Venezia.

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Davide Oldani, due stelle Michelin e quel piatto da leccare

EDITORIALE – «Il piatto va preso con due mani e leccato, dal basso verso l’alto. Avete capito bene: leccato. Davide racconta che la sua bambina lo fa sempre, a casa. L’idea gli è venuta così». Inizia in modo inusuale l’esperienza al “nuovo” D’O di Davide Oldani, a Cornaredo.

Lo chef non smette di sorprendere, neppure dopo aver conquistato la seconda stella Michelin. Nel solco delle più nobili e rare doti dei tempi moderni (semplicità e umiltà) Oldani continua a portare l’aria di casa in un ambiente ricercato come quello del ristorante “stellato”.

Lo fa dentro e fuori dal piatto, girando più volte per i tavoli a caccia di pareri sinceri, come lui. Lo fa in un angolo semi sconosciuto di provincia, territorio snobbato da tanti grandi nomi che preferiscono agi e pubblico delle grandi città e delle metropoli italiane.

In una società dominata da fake e artifizi, ogni scelta semplice risulta straordinariamente “destabilizzante”. Perché ricorda il valore incommensurabile dei gesti veri e genuini, che vengono dal cuore. Come un piatto leccato da un bambino felice (nello specifico: aceto di mele ridotto, salsa verde alla rucola e orzo). Evviva.

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ViniVeri Ristoranti 2021, appuntamento con 70 vignaioli in tutta Italia

«Insieme», ma non in unico luogo e sotto lo stesso tetto.  ViniVeri Ristoranti 2021 è il nuovo “evento diffuso” organizzato dal Consorzio ViniVeri per la ripartenza. Una risposta alla cancellazione delle ultime due edizioni di ViniVeri Cerea.

Due giorni, lunedì 28 e martedì 29 giugno, che vedranno protagonisti oltre 70 vignaioli e 18 ristoranti. Un abbraccio ideale che coinvolge tutt’Italia, dalla Sicilia all’Alto Adige. Per la prima volta l’evento sconfina anche in Europa, con due appuntamenti in Slovenia e Spagna.

«RIVIVE L’ATMOSFERA DI CEREA»

«Tanti appuntamenti regionali e oltreconfine – spiega Paolo Vodopivec, presidente del Consorzio ViniVeri – in cui far rivivere l’atmosfera e lo spirito di condivisione di storie ed esperienze che anima da 17 anni la nostra manifestazione annuale a Cerea».

Ma soprattutto un evento straordinariamente diverso – continua il numero uno del Consorzio – che è insieme un omaggio a chi ci è stato sempre vicino e il nostro modo di sostenere i tanti ristoratori che hanno lottato per tenere aperte le porte dei loro locali durante l’emergenza».

ViniVeri Ristoranti 2021 prevede cene e degustazioni delle nuove annate dei vini del Consorzio, in compagnia dei produttori. Il programma completo è disponibile sul sito web degli organizzatori.

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Fipe-Confcommercio: «Zona bianca è ossigeno per 36mila lavoratori»

Con l’ingresso in zona bianca, i Pubblici esercizi del Friuli Venezia Giulia, della Sardegna e del Molise ripartono a pieno regime. Da oggi nei 9 mila bar di queste tre regioni è possibile finalmente ricominciare a bere il caffè al bancone.

Una boccata d’ossigeno, in particolare per i 4 mila locali che fino ad oggi sono stati costretti a stare chiusi o a lavorare soltanto con l’asporto, non avendo spazio all’esterno.

Ossigeno anche per i 36 mila lavoratori dei Pubblici esercizi di queste regioni che potranno riprendere il loro posto dietro il bancone dei bar, in cucina o tra i tavoli dei 7.200 ristoranti pronti a riaprire al pubblico le loro sale interne.

«Senza la possibilità di somministrare il caffè al banco – spiega Luciano Sbraga, vicedirettore di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi – i locali italiani hanno perso, in media, il 40% dei loro fatturati. Ma al di là dei freddi numeri, è importante sottolineare come si tratti di un piccolo, importante passo verso un ritorno alla normalità».

«In questi 14 mesi – prosegue Sbraga – molti di quei gesti quotidiani cui eravamo abituati ci sono stati proibiti. Oggi, piano piano, i divieti stanno cadendo e ci stiamo riappropriando dei nostri spazi di socialità. Come Fipe abbiamo lanciato #ilsolito, una campagna digital destinata a chi ha voglia di riprendersi la propria vita e tornare a condividere. Perché dopo tante incertezze e difficoltà, abbiamo tutti voglia di un po’ di normalità».

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Sempre più api e arnie in vigna, ma come si comincia? L’esempio di Fosso degli Angeli

Api e arnie conquistano sempre più spazio in vigna, almeno nelle cantine più attente al tema della biodiversità. Ma come si comincia? Cosa fare se uno sciame trova rifugio tra i filari? Se lo chiedono molti vignaioli, in un periodo in cui la diversificazione del business si è rivelata una chiave di sopravvivenza fondamentale, al cospetto della pandemia Covid-19. A dare l’esempio, in Campania, è la cantina Fosso degli Angeli.

Erano anni che pensavo alle api – commenta Marenza Pengue, che conduce la cantina con la sorella Dina e il cognato Pasquale Giordano – ma il progetto di installare delle arnie è sempre finito in secondo piano, per via di altre priorità e del fatto che siamo davvero una piccola realtà a conduzione famigliare.

Quanto capitato il 22 aprile è la ciliegina sulla torta dell’ecosistema che abbiamo costruito attorno alla cantina, in questi anni: noi facciamo tutto per natura e la natura fa tutto per noi. L’arrivo di questo sciame è un segno del destino. Un modo in cui madre natura vuole dirci che sì, andrà tutto bene».

L’ARRIVO DELLE API IN VIGNA

La vigna da cui nasce il Sannio Dop GrecoMorgia” di Fosso degli Angeli – 400 metri sul livello del mare nel Comune di Casalduni (BN) è stata infatti scelta da uno sciame in cerca di una nuova casa per l’ape regina.

Un’occasione che la famiglia beneventana non si è lasciata scappare. «Abbiamo chiamato diversi apicoltori della zona – spiega Marenza Pengue – che per un motivo o per l’altro si sono rifiutati di aiutarci a recuperare lo sciame. Così, abbiamo deciso di fare da soli».

«Abbiamo contattato un falegname della zona che produce arnie – continua la vignaiola Fivi Campania – e, grazie alle istruzioni telefoniche del nostro amico apicoltore calabrese Gregorio Assisi, abbiamo steso a terra un lenzuolo bianco e abbiamo iniziato a scuotere la pianta, riversando le api nell’arnia. Il tutto facendo attenzione a non far loro del male».

Nel video dell’evento, si nota Marenza Pengue catturare le piccole operaie una ad una, a mani nude. «Nel frattempo abbiamo preparato una miscela, chiamata in gergo “sciroppo”, utile a far trovare subito nutrimento alle api già finite nell’arnia. Qualcosa di molto semplice da preparare, portando ad ebollizione un litro di acqua in cui si fa sciogliere un Kg di zucchero, lasciandolo poi raffreddare. Così le api trovano da mangiare e non sciamano».

L’operazione è andata a buon fine, con circa 4 mila api recuperate sul totale di circa 5-6 mila che generalmente formano uno sciame. La nuova casa dei preziosi insetti è stata poi collocata tra l’orto e la vigna da cui nasce il Sannio Dop Fiano “Chiusa” di Fosso degli Angeli.

LA POSIZIONE DELL’ARNIA

«Non abbiamo scelto a caso questa posizione – spiega a WineMag.it Marenza Pengue – dal momento che la vigna è esposta a Sud. L’arnia è stata collocata a sud est, consentendole di prende sole sin da inizio mattina. Le api vogliono il caldo e, così facendo, in inverno saranno in pieno sole, per tutto il giorno».

Quale futuro per il progetto? «Per ora l’aspetto fondamentale sarà la loro sopravvivenza. Cercheranno di fare il miele per l’inverno, ovvero le loro scorte. In seguito ce ne sarà anche per noi, per autoconsumo. Successivamente potremmo iniziare a venderlo, in quantità limitate».

«Ma la cosa cosa che davvero ci sta a cuore – conclude la vignaiola beneventana – è che le api fanno bene ai frutti e agli ortaggi e sono il simbolo della biodiversità. Qui non usiamo insetticidi o diserbanti, siamo certificati biologici dal 2016 e attorno a noi è pieno di campi di erba medica, che le api amano. Non potete immaginare quanto sia bello, quasi commovente, vedere le api che guardano la vigna. Qualcosa di emozionante».

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Zou – Zapap Officine Urbane: vini naturali e birre artigianali si incontrano a Bologna

L’hanno chiamato Fervér. Un vocabolo che evoca non solo il carducciano «ribollir dei tini», ma soprattutto un «ribollir degli animi». Fermenti alcolici, certo. Ma prima di tutto sociali. L’evento che a Bologna (re)inaugura Zou – Zapap Officine Urbane, locale giovane che, senza il Covid, avrebbe oggi compiuto un anno e mezzo di vita, in via Zago 16, sancisce l’incontro tra vini naturali e birre artigianali. A fargli da sfondo, non a caso, una delle città culturalmente più ribollenti d’Italia. Dentro o fuori dal calderone della pandemia.

Fervér – Di Vite e di Vini” è molto più di un taglio del nastro, o di un segno di rivalsa nei confronti del Coronavirus. È la formula attorno alla quale si svilupperà, dal 4 giugno al 3 luglio 2021, «una serie di appuntamenti sul vino e sulle fermentazioni».

Nulla di nuovo. Se non fosse che il teatro dell’iniziativa è il locale aperto in zona stazione centrale da un birrificio artigianale della città dei portici. Rimasto aperto un mese, lo scorso anno. Subito vittima dei lockdown, per un anno abbondante. Oggi pronto alla riscossa. Con la pancia e col cuore. Ma anche con la testa.

Considerarla una banale decontestualizzazione o contaminazione in risposta alla pandemia, è riduttivo. Perché i due mondi – quello dei vini naturali e della birra artigianale – si parlano eccome. Da sempre. Zou – Zapap Officine Urbane va oltre.

È esso stesso il luogo (meta)fisico che sancisce l’incontro tra il mondo di Christian Govoni, proprietario e mastro birraio del Birrificio Zapap di Bologna (fondato nel 2013) e quello di Ivan Giglio, appassionato di vini naturali e artefice della contaminazione eno-brassicola da cui scaturisce “Fervér – Di Vite e di Vini”.

LA RIPARTENZA

«La storia che vogliamo raccontare – spiega Govoni (nella foto) – è una storia di vini, ma anche una storia di persone. Di vignaioli che vogliono “condividere”, attraverso tutti i loro prodotti e le loro idee sempre in fermento. Così come in fermento sono i loro vini, conosciuti dal grande pubblico come “vini naturali“».

Ecco dunque pronto a scendere in campo, in via Zago 16, l’esercito dei vigneron artigiani di distribuzioni vicine al mondo dei natural wines come Gusto Nudo Srl di Bologna (4-5 giugno), GluGlu Wine di Torino (11-12 giugno), Into the Wild (18-19 Giugno), PortoFranco Bologna (25-26 giugno) e Arkè di Gambellara (2-3 luglio).

«Zou – commenta il mastro birraio Christian Govoni – non è solo l’ultimo progetto nato in casa Zapap, ma la sintesi della storia dell’azienda. Un birrificio artigianale titolare del marchio “Birra Bologna” che ha sempre creduto nel territorio. Ed è da questa convinzione che è nato il locale in cui convivono birre, lievitati, prodotti del territorio e vini».

Il tutto è inserito in un giardino cittadino, un’architettura in stile industriale. Per non dimenticarci che il nostro quartiere è ancora un luogo popolare, in cui è possibile sognare in grande.

In questi mesi, infatti, abbiamo incontrato virtualmente delle persone stupende, con cui abbiamo sognato insieme. Sono le persone con cui abbiamo organizzato Fervér – Di Vite e di Vini».

Anche il nome dei singoli appuntamenti sarà simbolico. Sarà racchiuso in una sigla o nelle parole che i vignaioli hanno scelto per comunicare al meglio il loro approccio produttivo.

«Progetti – spiega Christian Govoni – fatti di esseri umani speciali che vivono di vigna e di terra. Che combattono per far conoscere i loro territori. Capire un territorio è un percorso che attraversa spazi e persone che in quei luoghi sudano, sorridono, soffrono, amano».

I PROTAGONISTI

«Capire un territorio – continua il mastro birraio nel dare appuntamento a Zou – Zapap Officine Urbane – è un percorso che parte dalla materia prima e da chi la lavora. Loro ci saranno, porteranno i loro vini. A voi non rimane che venirci a trovare e lasciarvi guidare dai loro vini e dalle loro storie».

Già resi noti i protagonisti dei primi due incontri da Zou – Zapap Officine Urbane. Gusto Nudo Bologna porterà in assaggio le cantine Valli Unite, Rocco Di Carpeneto, Terre dei Gaia, Gualdora, Vigna Cunial, Tre Rii, Podere Cervarola, Inula, L’upupa, Vigne di San Lorenzo, La Calcinara, La Marca di San Michele, Castelsimoni, Ausonia, Cantina del Malandrino, Rocco di Carpeneto, Poggio Bbaranello – Az. Agr. Le Poggere.

A GluGlu Wine il compito di raccontare Crocizia, Macea, Camiliano, Fabbrica di San Martino, Podere Ortica, Sequerciani, Weingut in der Eben, Divella e Meggiorano. Dress code? Come pare ad ognuno. Purché non si lasci a casa il cuore. Per ascoltare e assaggiare.

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Chef Franco Aliberti al fianco di Bartolini dopo la chiusura del Tre Cristi Milano

Chiusa l’esperienza al ristorante Tre Cristi Milano, è tempo di nuove sfide per lo chef Franco Aliberti. Il classe 1985, new entry del team di Enrico Bartolini, ha trovato casa a Milano Verticale | UNA Esperienze, hotel 4 stelle superior che si pone come «nuovo punto di riferimento dell’ospitalità meneghina».

L’hotel Milano Verticale (173 camere, 600 mq di spazi ristorativi e 1000 mq di giardino interno) apre al pubblico oggi tra via De Cristoforis e via Rosales. Siamo nel distretto di Porta Nuova, in zona Garibaldi – Corso Como.

Franco Aliberti entra nel team in triplice verste. Sarò lui a curare il ristorante fine dining, l’osteria contemporanea e il cocktail bar, in qualità di chef resident del team Bartolini.

Un progetto nel progetto, quello della tavola d’eccellenza, che vuole essere «il vero fiore all’occhiello di Milano Verticale». Una proposta gourmet non a caso declinata nei tre concept affidati allo chef Franco Aliberti.

I TRE CONCEPT GOURMET DI MILANO VERTICALE

A unificare i tre “luoghi pubblici” del food & beverage, aperti alla città così come agli ospiti dell’hotel, è il grande soffitto a tegole inclinate. Uno spazio che si contrae e si dilata rendendo i tre ambienti fluidi, collegati tra loro. Ma allo stesso tempo perfettamente identificabili.

Il primo spazio è quello di Vertigo, Osteria Contemporanea. un ambiente aperto, dall’atmosfera informale. vista sulla cucina e naturale propensione a proiettarsi verso l’esterno, nel dehors e nel giardino. Il Bar con urban garden offre una carta cocktail&drink creata con la consulenza di Mattia Pastori. Il food pairing è curato dalla stessa cucina.

Passando dal cocktail bar al ristorante fine dining Anima, l’atmosfera diviene più intima e serale. Dieci tavoli gourmet, circondati da un ambiente di grande eleganza e due salette private da sei e otto posti.

GIOCO D’ATMOSFERE

Alla continuità visiva esterno-interno si contrappone la discontinuità sonora. Fuori il rumore della città. Dentro solo il brusio dei clienti. In sottofondo, il suono rassicurante dello scorrere dell’acqua.

Proprio il canale d’acqua che attraversa il giardino definisce lo spazio. Qui sono ordinatamente disposti i tavoli del bar e del ristorante. Uno luogo informale, da déjeuner sur l’herbe, che lascia spazio all’espressione della natura.

Lo spazio outdoor attrezzato ad uso di bar e ristorante si tramuta inaspettatamente in un’area di carattere paesaggistico, fortemente informale. Tra le specie che lo popolano: aceri grigi, Liridendron tulipifera, Gleditia triacanthos, Cercydiphillum japonicus. Gruppi di arbusti, graminacee e specie erbacee.

Il giardino interno è annunciato già dalla piazzetta antistante l’ingresso dell’hotel Milano Verticale, dove spicca un grande esemplare di Magnolia grandiflora. Una pianata preservata come un tesoro, durante i lavori.

Lo spazio pubblico è stato riqualificato anche lungo tutto il prospetto di via Rosales. Un progetto in cui le superfici dure si alternano a macchie arbustive e alberi in vasca. Architettura di interni e degli spazi esterni, del resto, hanno lo stesso imprinting: quello dello studio Vudafieri-Saverino Partners.

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Sequestrate 2 tonnellate di mitili in un centro ittico di Sorrento

Oltre 2 tonnellate di mitili sono stati sequestrati in un importante centro ittico del Comune di Sorrento. Sanzioni per 26 mila euro ai titolari, per le irregolarità rinvenute tra le vasche di stabulazione. Le verifiche hanno interessato aspetti amministrativi e di tracciabilità e qualità dei prodotti ittici.

L’operazione è stata compiuta nelle ultime ore dal Centro Controllo Area Pesca della Direziona Marittima di Napoli e dalla Capitaneria di Porto Guardia Costiera di Castellammare di Stabia. Sul posto anche gli Ispettori pesca della Guardia Costiera stabbiese, i Carabinieri del Nucleo Ispettorato Nazionale del Lavoro di Napoli e il personale dell’Icqrf del Mipaaf.

CLIENTI IN TUTTA ITALIA

Il centro ittico finito nel mirino è specializzato nella fornitura a mezzo catering di diverse strutture alberghiere e ristoranti della penisola. Un punto di riferimento, in particolare, per i ristoranti e le attività Horeca operanti nelle isole della Campania.

Gli ispettori dell’Icqrf hanno proceduto al campionamento per analisi dei prodotti alimentari. Svolti anche accertamenti sulla tracciabilità e verifiche dell’etichettatura su tutti i prodotti dell’azienda. I dati raccolti sono stati poi incrociati in tutta Italia, con quelli dei fornitori.

L’operazione è volta ad assicurare la qualità dei prodotti agroalimentari e tutelare la salute di cittadini nella imminente ripartenza della stagione turistica. Un momento molto atteso, all’allentamento delle misure Covid-19.

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Aigrim: Cristian Biasoni è il nuovo Presidente

L’assemblea di Aigrim, l’Associazione delle Imprese di Grande Ristorazione e servizi Multilocalizzate, ha eletto come nuovo Presidente Cristian Biasoni. L’Associazione, in seno a Fipe-Confcommercio, rappresenta le grandi imprese della ristorazione a catena presenti anche nel segmento in concessione (autostrade, aeroporti e stazioni ferroviarie).

Fanno parte di Aigrim Mc Donald’s, Autogrill, Chef Express, MyChef, Burger King, Roadhouse, Sarni Ristorazione, Cigierre, KFC Kentucky Fried Chicken, Lagardere Travel Retail, Sirio.

Il nuovo presidente succede ad Enzo Andreis, che l’Assemblea ha voluto ringraziare per il prezioso lavoro svolto fin dalla fondazione dell’associazione.

«L’intero settore rappresentato da Aigrim – detto Biasoni – si è trovato durante la pandemia ad affrontare una crisi economica senza precedenti. Sicuramente, mai come in questi ultimi dodici mesi abbiamo compreso l’importanza dell’Associazione nel tutelare gli interessi di un settore così strategico per l’intero paese».

Cristian Biasoni, Ingegnere Meccanico milanese di adozione, ha completato gli studi con un Master in Business Administration presso la Sda Bocconi di Milano.

Ha iniziato la sua carriera professionale in contesti internazionali in Gruppi quali Danieli & C. e Techint, a partire dal 2006 ha operato in qualità di Amministratore Delegato nel Gruppo Dmail (ora Percassi).

Dal 2015 è Amministratore Delegato della Società di Ristorazione del Gruppo Cremonini, Chef Express Spa, e della joint-venture con il Gruppo Percassi, C&P Srl.

Ricopre ulteriori cariche all’interno del Gruppo nelle società controllate estere ed è Presidente di Time Vending, società che opera nel settore delle vending machine in partnership con il Gruppo Ivs. Cristian Biasoni è inoltre membro del Consiglio Direttivo di Confimprese.

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Cristian Biasoni è il nuovo Presidente di Aigrim

L’assemblea di Aigrim, l’Associazione delle Imprese di Grande Ristorazione e servizi Multilocalizzate, ha eletto come nuovo Presidente Cristian Biasoni. L’Associazione, in seno a Fipe-Confcommercio, rappresenta le grandi imprese della ristorazione a catena presenti anche nel segmento in concessione (autostrade, aeroporti e stazioni ferroviarie).

Fanno parte di Aigrim Mc Donald’s, Autogrill, Chef Express, MyChef, Burger King, Roadhouse, Sarni Ristorazione, Cigierre, KFC Kentucky Fried Chicken, Lagardere Travel Retail, Sirio.

Il nuovo presidente succede ad Enzo Andreis, che l’Assemblea ha voluto ringraziare per il prezioso lavoro svolto fin dalla fondazione dell’associazione.

«L’intero settore rappresentato da Aigrim – detto Biasoni – si è trovato durante la pandemia ad affrontare una crisi economica senza precedenti. Sicuramente, mai come in questi ultimi dodici mesi abbiamo compreso l’importanza dell’Associazione nel tutelare gli interessi di un settore così strategico per l’intero paese».

Cristian Biasoni, Ingegnere Meccanico milanese di adozione, ha completato gli studi con un Master in Business Administration presso la Sda Bocconi di Milano.

Ha iniziato la sua carriera professionale in contesti internazionali in Gruppi quali Danieli & C. e Techint, a partire dal 2006 ha operato in qualità di Amministratore Delegato nel Gruppo Dmail (ora Percassi).

Dal 2015 è Amministratore Delegato della Società di Ristorazione del Gruppo Cremonini, Chef Express Spa, e della joint-venture con il Gruppo Percassi, C&P Srl.

Ricopre ulteriori cariche all’interno del Gruppo nelle società controllate estere ed è Presidente di Time Vending, società che opera nel settore delle vending machine in partnership con il Gruppo Ivs. Cristian Biasoni è inoltre membro del Consiglio Direttivo di Confimprese.

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Franciacorta in Fiore 2021: prove di ripartenza in 18 comuni

Prove di ripartenza in provincia di Brescia con la conferma di Franciacorta in Fiore 2021. La 22esima edizione della kermesse, da sempre promossa dal Comune di Cazzago San Martino e dalla Pro Loco di Cazzago San Martino, quest’anno allarga la collaborazione all’Associazione Terra della Franciacorta e al Consorzio Franciacorta.

La kermesse si svolgerà dal 21 maggio al 6 giugno e per la prima volta coinvolgerà tutti i 18 comuni della Franciacorta. Saranno interessati anche i 4 comuni Buffer Area (quelli confinanti) che compongono l’Associazione Terra della Franciacorta. Per tre settimane saranno messe in vetrina la bellezza dei fiori, le fragranze e i sapori della Franciacorta.

Franciacorta in Fiore 2021 diventa così un evento diffuso sull’intero territorio. Lungo le strade e i centri storici saranno disposte installazioni floreali. Il meglio del florovivaismo locale e nazionale, nel rispetto di tutti i protocolli di sicurezza ancora in atto.

Franciacorta in Fiore 2021 – XXII edizione

21 maggio – 6 giugno 2021
Comuni della Franciacorta: Adro, Capriolo, Cazzago San Martino, Cellatica, Cologne, Coccaglio, Corte Franca, Erbusco, Gussago, Iseo, Monticelli Brusati, Ome, Paderno Franciacorta, Paratico, Passirano, Provaglio d’Iseo, Rodengo Saiano, Rovato.
Comuni Buffer Area (i comuni confinanti): Castegnato, Ospitaletto, Palazzolo sull’Oglio, Sulzano.

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L’Accordo per il Montello che fa bene alle api

Permettere alle api di godere dell’incontaminata fioritura delle acacie, attraverso scelte oculate in vigneto: è l’Accordo per il Montello. Solo il primo passo per valorizzare il potenziale apistico delle colline trevigiane. Un appello rivolto a tutti i produttori agricoli del Montello.

L’Accordo si basa sugli studi del Progetto APInVIGNA, una sperimentazione in campo coordinata da Confagricoltura Treviso e avviata nel 2019 nei vigneti della tenuta Rive degli Angeli. Terreni di proprietà dei 5 Comuni del Consorzio del Bosco Montello, gestiti da Giusti Wine, cantina di Nervesa della Battaglia (TV).

IL PROGETTO

Nelle arnie tra i filari di Rive degli Angeli, adiacenti alla tenuta Maria Vittoria, sono state monitorate le interazioni tra le api e l’ambiente circostante, con l’obiettivo di trovare soluzioni per migliorare la convivenza tra apicoltura e agricoltura – con particolare riguardo alla viticoltura – e garantire l’equilibrio.

L’area del Montello, infatti, richiama ogni anno miliardi di api, che bottinano il polline delle acacie in fiore. La potenzialità produttiva della zona è attorno ai 5 mila quintali di miele all’anno. Ma la gestione fitoiatrica delle colture specializzate rende la reale produzione molto inferiore.

I PRIMI FIRMATARI

«Come imprenditore – commenta Ermenegildo Giusti – ho sempre ritenuto importanti gli equilibri, anche quando la cultura del sostenibile non era così diffusa come oggi. La salvaguardia dei processi naturali è un impegno imprescindibile nella ricerca della qualità».

Oltre a Giusti, hanno firmato l’Accordo per il Montello Confagricoltura Treviso, Ulss 2 Marca Trevigiana, FAI – Federazione Apicoltori Italiani, UNA-API, Consorzio Asolo Prosecco, Consorzio Vini Montello, Consorzio del Bosco Montello, Cantina Montelliana, Apicoltura Francesco Bortot, ExtendaVitis e ProgettoNatura.

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Rapporto ristorazione Fipe: «Un bollettino di guerra»

È stato presentato il “Rapporto Ristorazione 2020” di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, alla presenza del Ministro Giorgetti. Rapporto che Fipe non esita a definire «un bollettino di guerra», frutto di un anno di pandemia che ha ridotto in macerie il settore dei Pubblici esercizi.

In 14 mesi sono stati bruciati il doppio dei posti di lavoro creati tra il 2013 e il 2019, l’incertezza è diventata il sentimento prevalente e lo dimostra la riduzione del 50% del numero di nuove attività avviate nell’anno.

«Dal primo lockdown ad oggi – spiega Lino Enrico Stoppani, Presidente di Fipe-Confcommercio – gli imprenditori dei Pubblici Esercizi hanno vissuto una vera e propria odissea, dovendo fare i conti con il crollo del loro fatturato, l’impossibilità a pianificare la loro attività e una diffusa sensazione di accanimento dei provvedimenti, non giustificato dai dati, nei loro confronti».

La crisi non travolge solo l’offerta, ma influenza profondamente anche la domanda. I consumi degli italiani si sono fatti meno sofisticati, con la spesa alimentare domestica che non è riuscita a coprire nemmeno il 20% di quanto perso con lo stop a bar e ristoranti.

I nuovi usi e consumi degli italiani hanno spinto gli imprenditori del settore a puntare su nuovi servizi digitali, sulla diversificazione dell’offerta e una migliorata qualità dei prodotti agroalimentari, oltre che su una cucina in grado di renderli riconoscibili e valorizzarli.

Per seguire questi cambiamenti da vicino, Fipe-Confcommercio ha deciso di affiancare il suo tradizionale rapporto annuale sulla ristorazione, con una indagine sui prossimi mesi e le prospettive di ripartenza, realizzata in collaborazione con Bain & Company e TradeLab.

«Nonostante la situazione l’85% degli imprenditori ha sostanzialmente fiducia di tornare in futuro ai livelli pre-pandemia – aggiunge Stoppani – senza tuttavia l’illusione di tornare quelli di prima: gli imprenditori del settore hanno già cominciato un profondo processo di ripensamento e innovazione».

«L’impatto del Covid sul settore della ristorazione è stato drammatico e la ripartenza degli operatori richiederà una trasformazione dell’offerta, delle esperienze, combinata alla capacità di cogliere le nuove abitudini di consumo e nuovi servizi come la presenza sulle piattaforme digitali», commentano i partner di Bain & Company Sergio Iardella e Duilio Matrullo e l’Associate Partner Aaron Gennara Zatelli.

«I driver che sottostanno alla crescita del fuori casa torneranno, a breve, a essere determinanti: struttura demografica, stili di vita, voglia di socialità e forte ripresa del turismo nazionale e internazionale – dice Bruna Boroni, Director Industry Afh Tradelab – La pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione ed efficientamento del settore, e valorizzato le relazioni di filiera, fattori che determineranno un’ulteriore spinta alla crescita del mercato e alla creazione di valore».

I DATI

Secondo i dati Istat, nel 2020 in Italia si sono persi 2,5 milioni di posti di lavoro misurati in unità standard di lavoro, di cui 1,9 milioni nei servizi. Il più colpito è il settore della ricettività e della ristorazione che ha visto bruciare in un solo anno 514 mila unità, più del doppio dei 245 mila creati tra il 2013 e il 2019. Un dato allarmante che dimostra però anche l’eccezionale dinamicità pre-Covid del fuoricasa italiano.

Il 2020 si è caratterizzato per un numero eccezionalmente basso di nuove imprese avviate: 9.190 a fronte delle oltre 18 mila aperte nel 2010. Per contro, i dati Infocamere certificano la chiusura nell’anno della pandemia di 22.250 attività.

Un dato che, tuttavia, sottostima la reale dimensione della crisi delle imprese della ristorazione, i cui effetti si vedranno soltanto nei prossimi mesi quando terminerà l’effetto anestetico dei provvedimenti di cassa integrazione, ristori, moratorie e via dicendo. A dicembre del 2020 negli archivi delle Camere di Commercio italiane risultavano attive 335.417 imprese della ristorazione.

Dopo aver raggiunto il suo massimo storico nel 2019, con oltre 46 miliardi di euro, il valore aggiunto generato dalle imprese della ristorazione è precipitato in un solo anno di 33 punti percentuali. Un dato che si traduce in un crollo della fiducia degli imprenditori in una pronta ripresa del mercato della ristorazione.

Nel primo trimestre del 2021, il saldo tra valutazioni positive e valutazioni negative sulla dinamica del fatturato dell’intero settore segna -68,3%, in peggioramento di 13 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante l’intero Paese si trovasse in lockdown.

Un’indagine condotta da Fipe e Format Research certifica che il 97,5% degli imprenditori ha registrato, nel corso del 2020, un calo del fatturato della propria azienda. In particolare, 6 titolari di Pubblici esercizi su 10 ha lamentato un crollo di oltre il 50%, mentre il 35,2% ritiene che il fatturato si sia contratto tra il 10% e il 50%.

I motivi alla base della riduzione dei ricavi sono da ricercarsi principalmente nel calo della domanda a causa delle misure restrittive, sia sulle attività che sulla mobilità delle persone (88,8%), nella riduzione della capienza all’interno dei locali per l’attuazione dei protocolli di sicurezza (35,4%) e nel calo dei flussi turistici (31,1%), in particolare di quelli stranieri.

A fronte di tutto questo, i ristori previsti dal governo sono stati insufficienti. Per l’89,2% degli imprenditori i sostegni sono stati poco (47,9%) o per nulla (41,3%) efficaci.

Costretti a casa dai lockdown gli Italiani hanno aumentato i loro consumi domestici con la spesa alimentare cresciuta di 6 miliardi di euro in un anno. Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro.

Un dato che certifica come gli italiani abbiano speso meno soprattutto per prodotti agroalimentari di qualità superiore (vino, olio, piatti elaborati), comunemente consumati in maniera maggiore all’interno dei ristoranti. In termini si spesa pro-capite siamo tornati indietro di 26 anni, al 1994.

Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi. Se a luglio 2020, periodo nel quale i locali sono tornati a lavorare a buoni ritmi, la colazione rappresentava il 28% delle occasioni di consumo complessive, a febbraio 2021 la percentuale è salita al 33%.

L’esatto contrario di quanto accaduto con le cene, passate dal 19% a meno dell’11%. A conti fatti, a febbraio di quest’anno colazioni, pranzi e pause di metà mattina hanno costituito l’87% delle occasioni di consumo fuori casa. Mentre è completamente scomparsa l’attività serale.

L’85% dei titolari di bar e ristoranti si è detto sicuro che il settore riprenderà a marciare con decisione. L’incognita, tuttavia, è la data di fine dell’emergenza. Per meglio definire tempi e modalità della ripresa, Fipe-Confcommercio ha interpellato alcuni qualificati rappresentanti dell’industria, della distribuzione e della stessa ristorazione.

Per quanto riguarda il ritorno ai livelli di fatturato pre-Covid, il 72% degli intervistati si divide equamente tra chi lo ritiene possibile nel 2022 (36%) e chi invece prevede uno slittamento al 2023 (36%). Resta un 27% di pessimisti che ritiene plausibile un ritorno a pieno regime solo nel 2024.

In generale, la speranza è quella che l’effetto rimbalzo dei consumi fuoricasa nei prossimi 3-5 anni possa portare a un incremento dei consumi nei pubblici esercizi tale da superare i livelli del 2019.

Per cogliere questa opportunità, tuttavia, gli “addetti ai lavori” individuano due strade maestre. Per il 27% degli intervistati gli imprenditori dovranno puntare su un incremento dei servizi digitali, a cominciare dall’home delivery e da forme di take away sostenibili ed efficaci, attraverso menù appositamente studiati.

Un altro 27% suggerisce invece di puntare su un miglioramento della qualità, puntando su una specializzazione identitaria in grado di garantire riconoscibilità a un bar o a un ristorante. Sempre più decisiva, in quest’ottica, anche una puntuale attività di marketing e comunicazione.

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“Tra le vigne del Custoza”: visite e degustazioni per i 50 anni della Doc

Il 6 giugno le cantine del Custoza apriranno le porte per festeggiare il cinquantesimo anniversario della Doc assieme ad appassionati, turisti, addetti ai lavori.

Tra le vigne del Custoza” sarà un evento alla scoperta della ricchezza vitivinicola, paesaggistica e culturale dell’area di produzione della denominazione che si estende in 9 Comuni, ognuno con la propria identità e fascino.

Nella giornata dell’anniversario si potranno effettuare escursioni per scoprire i percorsi della storia, alla scoperta dei luoghi del Risorgimento, tra vigneti, antiche corti rurali ed eleganti cittadine incastonate in questi paesaggi.

«Siamo molto orgogliosi di questo anniversario – afferma Roberta Bricolo, presidente del Consorzio – crediamo molto nel potenziale del nostro territorio e vogliamo celebrarlo, finalmente in presenza, con un evento aperto a tutti ma, ovviamente, in sicurezza».

Visite guidate e degustazioni, bike tour tra le vigne, picnic tra i filari, lezioni di yoga, passeggiate a cavallo. Sono solo alcune delle proposte che animeranno le colline del Custoza, splendido territorio situato tra la città di Verona e il lago di Garda.

Il Custoza Doc nasce dal matrimonio delle uve autoctone Garganega, Trebbianello e Bianca Fernanda. Contraddistinto da freschezza, piacevolezza ma anche grande longevità, è un vino che può esprimersi in molte sfumature e interpretazioni.

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Carrefour e Inalca: accordo per la valorizzazione della carne di vitello italiana

Carrefour Italia e Inalca insieme per promuovere la filiera 100% italiana e garantita della carne di vitello, offrendo ai consumatori di tutto il Paese la possibilità di assaporare un prodotto di qualità, buono, sano e prodotto in maniera sostenibile.

L’accordo, siglato alla presenza rispettivamente del Ceo di Carrefour Italia Christophe Rabatel e dell’Amministratore Delegato di Inalca Luigi Scordamaglia, prevede la valorizzazione della produzione italiana di vitello a carne bianca di alta qualità nella grande distribuzione, attraverso il marchio Filiera Qualità Carrefour.

Alla base dell’intesa, con spirito di collaborazione e fiducia reciproca, vi è infatti l’impegno comune per la difesa e promozione dei valori di Filiera Qualità, fondati sulla valorizzazione della produzione agroalimentare locale, le buone pratiche di allevamento, il benessere animale, il rispetto per l’ambiente e la biodiversità e l’attenzione verso la sicurezza e la salute del consumatore.

La filiera del Vitello Filiera Qualità Carrefour 100% italiana basa il proprio approvvigionamento sulla collaborazione dell’insegna con 5 capifila del settore dell’allevamento italiano, di cui Inalca rappresenta la principale realtà, che consorziano in totale circa 250 realtà locali.

Filiera Qualità Carrefour punta al progressivo miglioramento del livello qualitativo della carne di vitello distribuito nella grande distribuzione, assicurando la presenza di un prodotto di eccellenza e a provenienza italiana all’interno di oltre 300 punti vendita dell’insegna distribuiti su tutto il territorio nazionale.

«Carrefour Italia ha fatto una scelta precisa e responsabile nella gestione della propria catena di approvvigionamento della carne, rivolgendosi in via preferenziale ai propri fornitori italiani e valorizzando i piccoli allevatori del territorio, per offrire insieme un prodotto di qualità, 100% a provenienza garantita – sottolinea Christophe Rabatel – Con progetti come questo desideriamo collaborare con i nostri partner, promuovendo le produzioni locali e le buone pratiche di allevamento».

«Il consolidamento della partnership tra Carrefour ed Inalca – spiega Luigi Scordamaglia – in questo caso esteso alla filiera di qualità della carne di vitello, viene incontro alle esigenze del consumatore italiano che durante la crisi covid ha accentuato la sua preferenza di acquisto verso prodotti sempre più italiani e sempre più sostenibili».

Il progetto di valorizzazione della carne di vitello segue una intesa già siglata nel 2017 tra Carrefour Italia e Inalca per la promozione delle filiere di Vitelloni e Scottone e si inserisce nell’impegno più ampio dell’insegna per un’offerta locale e di eccellenza nel reparto macelleria, grazie anche alle competenze dei propri macellai che contribuiscono a diffondere una cultura del consumo di questo prodotto.

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Gruppo Lunelli acquisisce Cedral Tassoni

Il Gruppo Lunelli acquisisce Cedral Tassoni S.p.A., leader in Italia nella produzione di bibite analcoliche a base di agrumi e conosciuta nel mondo per l’iconica cedrata Tassoni.

Nata da una spezieria che fu riconosciuta farmacia nel 1793, la Tassoni ha mantenuto per oltre due secoli la sede a Salò, sul Lago di Garda. La famosa cedrata, con la sua distintiva bottiglia “a buccia di agrume”, è stata lanciata nel 1956 ed è entrata a far parte dell’immaginario collettivo anche grazie all’indimenticabile collaborazione con Mina.

Dalla ricetta tuttora segreta che la rende unica, la cedrata Tassoni è prodotta totalmente all’interno dell’azienda con materie prime di qualità superiore, utilizzando i cedri “Diamante” provenienti dalla Calabria e mantiene una indiscussa leadership nel mercato italiano.

Il Gruppo Lunelli, che fa capo alla omonima famiglia e opera nel settore del beverage di alta gamma con i marchi Ferrari Trento, Bisol1542, Surgiva, Segnana e Tenute Lunelli, è stato selezionato al termine di un processo competitivo, anche in considerazione dei suoi valori di rispetto della tradizione, ricerca della qualità e cura del territorio.

Tassoni sarà inserita nel Gruppo come una realtà produttiva autonoma, preservandone la tradizione e il forte radicamento sul territorio ma con grandi ambizioni di crescita, grazie alle sinergie che si verranno a creare.

«Siamo orgogliosi che Tassoni entri nel Gruppo Lunelli perché è un marchio iconico, un simbolo della migliore tradizione italiana che rimane in questo modo patrimonio del nostro Paese – afferma Matteo Lunelli, Ceo del gruppo di famiglia – Abbiamo in programma di aumentare la presenza sui mercati internazionali e di sviluppare la gamma che già affianca alla cedrata bibite create con materie prime sostenibili e di altissima qualità».

L’operazione è stata gestita, per la parte acquirente, dal team di Lunelli Holding, coordinato da Matteo Lunelli e dal Direttore Finanziario Claudio Dimarco, con la consulenza legale di Alberto Calvi di Coenzo dello Studio Avvocatidiimpresa e con il supporto alla negoziazione di Cassiopea Partners.

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Torna Cantine aperte, quest’anno affiancato a Vigneti aperti 2021

Torna nei weekend 29 e 30 maggio e 19 e 20 giugno Cantine Aperte con l’edizione 2021, appuntamento che quest’anno sarà accompagnato dal nuovo format Vigneti Aperti 2021, sempre su iniziativa del Movimento Turismo del Vino.

«Già lo scorso anno siamo stati obbligati a rivedere i nostri piani – dichiara Nicola D’Auria, Presidente Mtv – dovendo organizzare l’edizione 2020 online… soluzione non certo semplice per un evento che fa della convivialità il suo aspetto fondante».

«L’edizione 2021 – prosegue D’Auria – in presenza avrà luogo nel weekend del 29 e 30 maggio. Inoltre, per soddisfare gli enoappassionati di tutte le regioni, ci sarà la possibilità di raddoppiare nel weekend del 19 e 20 giugno in base al “colore” regionale. Ovviamente, in entrambe le occasioni, tutta la manifestazione si baserà sul rispetto delle norme di sicurezza necessarie a garantire la salute dei partecipanti».

Piccoli gruppi e assoluta necessità di prenotazione per garantire un’accoglienza di qualità e rispettosa delle normative previste. Sicurezza e salute saranno, infatti, tra le parole d’ordine di Cantine Aperte 2021, senza dimenticare rispetto per l’ambiente, riscoperta dei territori e delle tradizioni, empatia e coinvolgimento.

Al via anche Vigneti Aperti 2021, un’iniziativa fortemente voluta dagli associati e capace di molte opportunità di scoperta a chi ama il vino e gli spazi aperti. Dai picnic tra le vigne ai pranzi tra i filari, dal contatto diretto con la natura alla possibilità di vivere nuove esperienze.

«”Vigneti Aperti” non nasce come uno spin-off di “Cantine Aperte” – spiega D’Auria – ma piuttosto come una risposta al crescente bisogno di ritrovare il contatto con la natura e con i mille territori che fanno dell’Italia un Paese unico al mondo».

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