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Fase 2, Fipe: “Contributi a fondo perduto e meno tasse. Così rilanciamo i pubblici esercizi dopo il Covid”

“Il settore dei pubblici esercizi come nessun’altro si basa sulla socialità, ad oggi negata. Ecco perché è indispensabile incentivare il delivery e il take away anche attraverso una politica fiscale mirata. Così come è necessario abbattere il cuneo fiscale a carico delle imprese per cercare di tutelare le professionalità presenti nel settore” – con queste parole Maurizio Pasca, Vicepresidente di Fipe – Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, si è espresso in un intervento che guarda sia al presente che al futuro tenuto di fronte alla X Commissione del Senato della Repubblica.

Un messaggio alla politica affinché intervenga per sostenere e rilanciare un settore composto da centinaia di migliaia di micro imprese, in molti casi a conduzione familiare, che con il loro giro d’affari da 90 miliardi di euro rappresentano una delle componenti essenziali dell’offerta turistica nazionale.

“Parallelamente – afferma Pasca – il legislatore deve adottare regole comuni per tutti coloro che fanno ristorazione nel nostro Paese: criteri di ingresso e permanenza minimi nel mercato, parametri minimi di solidità finanziaria, qualificazioni professionali reali per un settore che identifica più di ogni altro il Made in Italy. Servono, insomma, standard uniformi di qualità per tenere il mercato al riparo dagli improvvisati e dalla concorrenza sleale”.

Indicazioni precise anche in materia fiscale: “Chiediamo l’esenzione dal pagamento dell’Imu per tutte le attività di ristorazione e intrattenimento per l’intero 2020, la distribuzione di finanziamenti a fondo perduto ai locali, come le discoteche, tutt’oggi impossibilitati a riaprire, la riduzione del peso fiscale delle imposte locali, Tosap, Cosap e Tari, per quest’anno e per il 2021 a tutti i pubblici esercizi. Si tratta di Interventi necessari per accompagnare l’intero settore nella ripresa dopo il disastro determinato dal Covid-19″.

“Senza un intervento poderoso – conclude Pasca – lo Stato si ritroverà a fare i conti con una sensibile riduzione del gettito fiscale, determinato dalla morte di decine di migliaia di imprese. Oltre a un salvagente immediato da lanciare agli imprenditori, ribadiamo quanto sia necessario un ripensamento ad ampio raggio che tenga conto del deterioramento economico e di una ridotta capacità di spesa da parte dei cittadini”.

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“Io e il (maledetto) lockdown”: Milano vista dal Boccondivino di Fabrizio Concordati

Un lungo vademecum di regole da seguire. Sanificazioni continue, rispetto delle distanze, precedenza alle prenotazioni, archivio dei clienti per 14 giorni, utilizzo di mascherine. Sono solo alcune delle tante norme previste dalla fase 2 per la riapertura di bar e ristoranti, dopo il lockdown da Coronavirus in Italia.

Ingenti i danni al settore Horeca e alla produzione alimentare. A pesare sul calo, in molti casi, anche il calo delle presenze per la chiusura di uffici con lo smart working e l’assenza di turisti, italiani e stranieri.

Prima dell’emergenza Coronavirus, sempre sulla base delle stime di Coldiretti, la spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa era pari al 35% dei consumi alimentari per un valore di 84 miliardi di euro.

Tra i tanti professionisti dell’Horeca colpiti dal lockdown c’è Fabrizio Concordati, titolare del ristorante Boccondivino di via Carducci a Milano. Una realtà familiare nata nel 1976, che negli anni ha raccolto sempre più il favore della clientela, anche internazionale.

Il segreto? Una formula invariata da sempre. Un menù degustazione fondato principalmente su una proposta di salumi e formaggi rigorosamente di origine italiana abbinati a 6 vini, anche questi italiani, pensati anche per il pairing con le diverse portate.

Fabrizio Concordati, diplomato sommelier nel 1993, ha raccolto il testimone del padre e avviato nel 2009 un’iniziativa fortunata, che ha aggiunto valore al ristorante: il “Boccondivino Lunch“, destinato alla clientela business, in pausa pranzo. Una fetta importante del fatturato, che con Covid-19 è venuta a mancare.

Abituato a rimboccarsi le maniche, dal 4 maggio Concordati ha cominciato ad occuparsi di tutto, dalla cucina al marketing, sino alle consegne a domicilio, il cosiddetto food delivery. Tracciamo il bilancio dei primi giorni di ripresa delle attività del ristorante Boccondivino.

Dal 4 maggio avete potuto riaprire con la modalità di asporto e domicilio: una novità assoluta il delivery a Milano, per la vostra attività. Come giudicate l’iniziativa?

Sì, abbiamo iniziato l’attività di asporto e delivery e contiamo di continuare. Nessuna problematica, solo una buona capacità organizzativa.

Riaccendere i fornelli in questa situazione di incertezza è un investimento al buio.  Ne è valsa la pena in questi giorni?

Il bilancio di questi primi giorni sicuramente non è positivo. In media servivamo 40 coperti al giorno, abbiamo riaperto da una settimana e in tutto abbiamo registrato un totale 25 coperti in 7 giorni. Prevediamo che questo sarà l’andamento fino al mese di settembre. Otto le persone impiegate a pieno a regime, prima del lockdown da Coronavirus. Oggi si riducono a due.

Secondo il sondaggio effettuato sulla nostra pagina Facebook è emersa una generalizzata perplessità nel tornare con leggerezza al ristorante, per questioni economiche, timore di contagi, ma anche per le nuove regole di distanziamento. Si ritrova con i risultati?

Non credo che ci sia effettivamente timore da parte della gente o problematiche economiche. Il lavoro della maggior parte delle persone è continuato, anche se con modalità diverse. Credo piuttosto che i ristoranti e l’Horeca, più in generale, risentano più o meno la crisi in base alla tipologia dell’offerta.

C’è molta differenza tra la somministrazione rivolta alla clientela in cerca di svago rispetto a chi è abituato a interfacciarsi con un cliente business. È chiaro che in questo momento questi ultimi risentono maggiormente della situazione generale. Per quanto riguarda le regole di distanziamento, da questa prima fase di apertura mi sembra di constatare che la gente comune non le stia tenendo in grande considerazione.

È già possibile fare delle stime economiche per il futuro? Quanto torneranno gli incassi ‘standard’? Il servizio a domicilio ha compensato i coperti ridotti?

Per tornare agli incassi standard è necessario che riaprano le frontiere con il resto del mondo, ma soprattutto che l’economia delle grosse aziende torni ai livelli dello scorso anno. Cene aziendali e grandi eventi determinano considerevolmente il nostro lavoro.

Il delivery non può assolutamente compensare il servizio classico che è basato su una attenzione al cliente che non si può dare con il servizio a domicilio. In questo momento c’è un’offerta di piatti serviti di gran lunga superiore alla domanda.

‘Andrà tutto bene’, ‘Uniti ce la faremo’, ‘Gli italiani si rimboccano le maniche’. Motti che abbiamo sentito spesso in questo periodo. Per citare un aforisma di Esopo: ‘È facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza’. D’altronde una ripresa deve essere auspicabile. Qual è il tuo pensiero in merito?

Che la salute pubblica deve venire prima di tutto il resto e il diritto alle cure deve sempre essere garantito. Nello stesso tempo un paese civile deve stare al fianco dei cittadini e garantire il sostegno al reddito di tutte le categorie di lavoratori, per tutta la durata dell’emergenza.

Se un impresa fino a gennaio fatturava 100 e da marzo in avanti sta fatturando zero, è chiaro che è necessario l’intervento delle istituzioni per la tutela di tutte le persone che in quella azienda ci lavorano, dipendenti e titolari.

Sono state tante le proteste dei ristoratori di Milano, chiavi riconsegnate al Sindaco, sedie all’arco della pace, scioperi della fame. Qualcuno non ha neppure riaperto. State facendo rete in qualche modo oppure, alla fine, è una battaglia che ognuno combatte solo?

Purtroppo non c’è una reale coesione del settore dovuta ai nostri pregressi storici.

Boccondivino è nel pieno centro di Milano. Clientela ricca, facoltosa, con buona disponibilità di portafoglio. Ma anche molti turisti, che oggi mancano. Alla luce della pandemia avete pensato di rivedere il vostro target?

Assolutamente no: Boccondivino è nato così 45 anni fa e così rimarrà, finché ne avrà la forza. Non a caso il nostro servizio di asporto negli uffici è studiato per garantire la qualità del prodotto e del servizio ai quali i nostri clienti sono abituati. E lo stesso vale per l’idea dell’apericenone serale.

Legata al menù anche una cantina ricca. Non si fa che parlare del futuro del vino nella ristorazione in questi giorni. Qual è la tua opinione in merito, da ristoratore e anche da esperto sommelier?

Molto semplice, a mio avviso: chi pensava di imbottigliare per vendere, solo perché in etichetta ci scriveva vino, è destinato scomparire, esattamente come la ristorazione improvvisata.

State abbinando al food anche la wine delivery? Come la gestite dal punto di vista del prezzo?

Tutte le nostre formule di menù comprendono sempre una o più proposte di vino, pertanto anche nel delivery il vino è parte integrante. La nostra forza, riconosciuta dalla clientela, risiede nell’ottimo rapporto qualità/prezzo. Un elemento che da sempre ci contraddistingue e che ci ha permesso di raggiungere risultati in termini di popolarità, anche a livello internazionale.

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Consorzio Tutela Provolone Valpadana: Libero Stradiotti confermato presidente

Libero G. Stradiotti in qualità di Presidente, Alberto Auricchio vice Presidente e Valter B. Giacomelli, consigliere Tesoriere. Si è tenuto nei giorni scorsi il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Tutela Provolone Valpadana che ha confermato all’unanimità le sue massime cariche.

Gli amministratori hanno così inteso mantenere la continuità in un periodo particolarmente difficile, con la necessità di offrire le migliori prospettive per il futuro prossimo. Il Consiglio, infatti, ha ritenuto di procedere con una programmazione che comprenda il prossimo triennio di attività, sia sul mercato interno che all’estero.

Nel nuovo corso, sarà dato ampio spazio alla “realizzazione di iniziative specifiche in Italia che porteranno non solo ad utilizzare i media tradizionali ma, compatibilmente con l’evolversi della situazione sanitaria, a riprendere il dialogo diretto con il consumatore, sia con incontri mirati che attraverso il potenziamento dei canali social”.

Per quanto riguarda l’estero, il Consorzio intende riprendere la comunicazione sul mercato australiano che, sulla base delle più recenti indicazioni, può rappresentare, per le aziende associate, un interessante sviluppo per l’export del Provolone Valpadana.

“Tutto questo senza trascurare le attività già pianificate – annuncia l’ente – che vedono il Consorzio protagonista in Europa con il progetto Eeqf, di cui è capofila con altri Consorzi partner ed in Italia con un’attenta campagna di informazione che privilegia gli strumenti digitali ed il mondo del web”.

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Il paradosso della Fase 2: “Bar e ristoranti aperti ma senza soldi per pagare i fornitori”

“La situazione del canale Horeca, dopo tre mesi di serrata obbligata dei punti vendita, non sembra avere prospettive migliorative e la Fase 2, avviata il 18 maggio con protocolli e stringenti vincoli sanitari, non potrà garantire un rapido ritorno alla normalità pre covid”. È quanto sottolinea la Federazione Italiana dei Distributori di Ho.re.ca (Italgrob). La richiesta è quella di un “decreto ad Hoc, entro settembre”.

La prospettiva  di una ripresa dei punti vendita, fortemente  invocata da più  attori della  filiera – si legge in una nota – rischia di diventare un palliativo: locali da rifornire ma che non hanno la liquidità per poter pagare la merce già consegnata ad inizio anno e quella attualmente necessaria; un consumatore timoroso che non tornerà presto ai consumi pre Covid; norme igienico-sanitarie doverose  quanto assurde che  limiteranno gli spazi dei ristoranti e renderanno ancora più difficile la ripresa e il lavoro degli operatori del settore”.

Italgrob evidenzia che “con il lockdown le aziende di distribuzione hanno registrato mezzo miliardo di crediti ancora da esigere dai punti vendita, a cui si devono aggiungere le perdite calcolate per circa 4 miliardi per il mancato lavoro quotidiano dei mesi di Marzo, Aprile e Maggio”.

Per la prima volta nella storia, anche le più solide aziende di distribuzione hanno dovuto far richiesta alla cassa integrazione per la quasi totalità dei propri dipendenti diretti. “Ma ad oggi, i fondi a causa dei balletti fra Inps e Regioni non sono ancora arrivati”, attacca la Federazione Horeca.

Che aggiunge: “Le misure messe in campo dal Governo non sono sufficienti, soprattutto a causa della burocrazia che rallenta e non permette di  avere la liquidità  necessaria per  sopperire  al difficile  periodo: tutto ciò  non è ammissibile”.

In Francia per il solo settore del turismo e di riflesso quindi anche per la ristorazione sono stati stanziati 18 miliardi di Euro. Considerando l’impatto che ha sull’economia italiana il settore sarebbe auspicabile la massima attenzione a questo rilancio.

Inoltre, va ribadito che il decreto rilancio sana solo in parte le perdite registrate, quindi più che di rilancio si dovrebbe parlare di sostegno. Al massimo entro settembre è necessario che le istituzioni attuino un decreto ad Hoc per tutto il settore della ristorazione e dell’ospitalità che va incontro a una stagione incerta dove certamente i costi, per il rispetto dei nuovi protocolli di sicurezza, supereranno i ricavi”.

“Italgrob – dichiara il Presidente Vincenzo Caso – si è mossa prontamente a tutela di tutto il movimento delle aziende di distribuzione, abbiamo fatto diversi appelli anche in collaborazione con primarie associazioni della filiera Horeca. Le nostre istanze sono state accolte in parte, come ad esempio far riaprire i locali in sicurezza dal 18 maggio e alcuni incentivi a fondo perduto”. Resta comunque critica la questione legata al credito a causa del lockdown”.

In questo momento tutte le aziende di distribuzione vantano crediti che corrono il rischio di diventare inesigibili. I mancati guadagni del lockdown dei mesi di marzo, aprile e maggio rappresenterebbero per la categoria delle perdite irrecuperabili che metterebbero a rischio centinaia di aziende, che sono per la totalità a conduzione familiare. Per questo motivo abbiamo chiesto e ancora chiediamo insistentemente che venga concesso un credito di imposta sulle perdite sui crediti per recuperare tali somme”.

Secondo Italgrob, “è auspicabile che le istituzioni valutino e accolgano le richieste degli operatori, che sono sul territorio e conoscono le reali problematiche”.

“Accogliamo con positività l’aumento del plafond del credito d’imposta, come risulta dal nuovo decreto, per la sanificazione dei luoghi e degli strumenti di lavoro come da protocolli di sicurezza Covid-19, in quanto è a carico dei distributori provvedere alla sanificazione di tutti gli impianti alla spina di prodotti alcolici (birra e vino) e delle bevande, le frigo vetrine e tutte le attrezzature distribuite ai punta vendita in comodato d’uso”.

Resta ancora da sciogliere il nodo del valore della manodopera se fatta con manovalanza interna. “Tutto ciò – precisa Italgrob – per la sicurezza del punto vendita e del consumatore deve essere sanificato con prodotti speciali e specifici”.

Infine, e lo richiediamo da molto tempo, deve essere rivista totalmente la Tari, soprattutto quella relativa ai magazzini di stoccaggio che non producono rifiuti ma con i loro metri quadri sono un fardello pesante per il bilancio aziendale. È il momento di rivederla”.

“La nostra categoria è fondamentale – dichiara Dino Di Marino, Direttore Generale Italgrob – e rappresenta l’anello di raccordo fra produzione e punti vendita. Siamo, come dire, il braccio portante dei produttori”.

Una rete distributiva organizzata e funzionale che svolge un lavoro decisivo per tutta la filiera agroalimentare italiana, dalla più piccola azienda alla grande industria, e per questo motivo è assolutamente necessario sostenere la ripresa, in primis appunto della rete distributiva, perché è l’ingranaggio invisibile ma determinante che fa girare la filiera del fuoricasa italiano”.

Sempre secondo la Federazione Italiana dei Distributori, il settore Horeca “deve ripartire nella sua totalità al più presto e bisogna mettere in campo tutti gli strumenti economici necessari per far riprendere i consumi: tutto è  collegato e questa emergenza sanitaria, più che mai, lo ha messo in evidenza”.

“Inoltre – conclude Di Marino – sono preoccupato anche del destino di centinaia di nostri imprenditori associati in quanto non mi sento di escludere che la malavita organizzata possa pensare di metterci le mani. In tempi di crisi non è un’opzione irrealistica”.

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“Un bicchiere di vino è salvifico per la salute”: lo dicono gli psicologi

“Un bicchiere di vino è salvifico per la salute, può servire anche a controllare i problemi di obesità, frenando l’accumulo di grassi nel fegato e nell’organismo, trattenendo la glicemia bassa presente nel sangue, aiutando anche coloro che hanno un alto livello di colesterolo“.

È quanto emerge da una ricerca realizzata dall’associazione “Donne e qualità della vita”, guidata dalla dottoressa Serenella Salomoni in collaborazione con il movimento “Io sto con il made in Italy”, presieduto da Klaus Davi.

“Al di là delle ipotesi scientifiche sulle sue qualità prettamente ‘curative’, tutte da dimostrare, resta il fatto che il vino abbia una fondamentale funzione terapeutica a livello psicologico, oltre ad essere un fenomenale alimentatore di positività e di ottimismo, importantissimi in una fase così delicata”, rivela Davi in una nota, facendo riferimento al periodo di lockdown e quarantena dovuto a Coronavirus.

Lo studio, realizzato su 625 italiani, uomini e donne tra i 25 e 65 anni, ha mostrato come “il vino continua a essere un toccasana importantissimo per il fisico e per la mente”. Per il 65% del campione “favorisce l’aggregazione o, in questo particolare periodo, le relazioni interpersonali, con degustazioni virtuali per esempio”.

Per un il 55% degli intervistati “agevola e incoraggia il dialogo, molto importante in un momento così delicato dove molti potrebbero chiudersi in se stessi”. Inoltre “stempera le angosce (42%), incentiva il buonumore e la rilassatezza (39%) smussa, al contrario, l’aggressività (33%)”.

Sempre secondo la ricerca di “Donne e qualità della vita” e del movimento “Io sto con il made in Italy”, il consumo di un bicchiere di vino in queste fasi di isolamento “serve anche ad alimentare la creatività (58%), stimola la concentrazione (48%), contrasta le crisi depressive (45%), trasmette una visione più positiva del futuro (38%) ed è di ottima compagnia per le chiacchierate virtuali con gli amici online (29%)”.

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Ristoranti del Buon Ricordo: “Riaprire per chi?”. L’appello alle istituzioni

“Aprite l’Italia. Torniamo alla libera circolazione, al turismo. Regaliamo positività agli italiani. Abbiate fiducia di noi imprenditori. Tutto il mondo ci invidia. Se davvero ci sarà da dover continuare a lottare con questo virus, lo faremo ma con il sorriso. Il clima di paura che tutte queste limitazioni instaurano non porterà a nulla di buono”. È l’appello rivolto alle istituzioni dall’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, a quasi due mesi dal primo grido d’allarme per il lockdown dovuto a Covid-19.

“Noi non siamo per le proteste eclatanti – continua l’associazione in una lettera inviata agli organi si stampa – ma il settore è davvero con i nervi tesi. I tempi sono scaduti: ci stiamo giocando l’intera ristorazione italiana”.

“Il nostro Mondo – spiegano i ristoratori – ancora si interroga e vaga senza certezze. La cassa integrazione per i nostri dipendenti, mentre scriviamo, ancora non si è monetizzata. Il palleggio di decisioni tra governo centrale e regioni ha portato, last minute, a dare la possibilità di aprire le nostre attività per oggi lunedì 18 maggio. Peccato che il Dpcm e le varie Ordinanze regionali contenenti il famoso protocollo con le regole da seguire sia arrivato solo qualche ora prima. Una barzelletta!”

Il 18 maggio la ristorazione italiana è invitata ad riaprire di corsa, rischiando di non riuscire a essere pronta dal punto di vista della sicurezza sanitaria, senza aver visto monetizzarsi praticamente ancora nessun aiuto economico, con pesanti dubbi legati al rinnovo delle 9 settimane di cassa integrazione, con la scure della responsabilità penale sulla testa e con norme regolamentari che, unite al clima negativo diffuso, porteranno ad un calo di fatturato previsto attorno all’80%”.

“Noi dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, che da 56 anni difendiamo la cucina della tradizione e che abbiamo sempre avuto come focus il turismo enogastronomico – continua la missiva – non possiamo tradire la nostra storia. Tutti quanti vorremmo aprire. I nostri associati fremono ma sono combattuti. Tutti quanti sappiamo che sarà impossibile fare profitto. Noi siamo abituati a saldare fornitori e dipendenti. Non possiamo rinnegare il nostro passato”.

Non ci sono le condizioni. Alcuni di noi apriranno lo stesso nei prossimi giorni per assicurare un servizio di ristorazione, necessario in alcune zone, ma come Unione Ristoranti del Buon Ricordo, al momento, non siamo messi nelle condizioni di svolgere la nostra missione legata al Turismo Enogastronomico. Confini regionali ed europei sono chiusi. In tantissimi aspetteremo quindi tempi migliori”.

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Fase 2: per bar, ristoranti e hotel arriva la certificazione di sicurezza No-Covid

Fase 2. Per la riapertura di ristoranti, bar, hotel e attività commerciali,  potrebbe essere importante non soltanto alzare le saracinesche, ma anche incentivare i clienti rassicurandoli sull’igiene e la pulizia dei luoghi pubblici e sulla corretta applicazione delle misure di prevenzione diffuse dal Governo contro la diffusione del Covid-19.

Per consentire al pubblico e agli imprenditori di lavorare e continuare a frequentare i luoghi di consumo con serenità si può ottenere una nuova e specifica certificazione.

Questa agisce nell’ambito del già noto sistema di gestione Uni En 13549:2003 e prevede ampliamenti nell’applicazione e nel controllo delle misure specifiche indicate dal Governo (Dpcm 14/03/2020 e integrazioni del 24/04/2020) come buone prassi per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.

Le aziende che vorranno dotarsi della certificazione dovranno implementare nuove misure obbligatorie tra cui: l’identificazione del corretto percorso di merci e fornitori, il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione personali, la misurazione della temperatura, le corrette procedure di disinfezione e sanificazione, la corretta compilazione della documentazione sulla valutazione dei rischi e il giusto uso dei dispositivi di protezione individuale.

Per ottenere l’attestazione bisognerà rivolgersi agli enti certificatori abilitati alla Camera del Commercio a svolgere attività di controllo di qualità e certificazione di prodotti, processi e sistemi.

La certificazione non è obbligatoria e non costituisce un inadempimento ostativo alla riapertura, ma rappresenta uno strumento di sostegno per le imprese e garantisce il rispetto del protocollo sottoscritto dal Governo il 14/03/2020 per le attività di pulizia e sanificazione.

La certificazione Uni En 13549:2003 No Covid è riconosciuta su tutto il territorio nazionale, ha una validità di 3 anni e offre a imprenditori e clienti una maggiore garanzia sul rispetto delle norme di sicurezza previste dal decreto governativo per la riapertura dei locali pubblici.

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Fase 2: per bar, ristoranti e hotel arriva la certificazione di sicurezza No-Covid

Ristoranti, bar, hotel e attività commerciali si preparano a riaprire, ed in questa fase potrebbe essere importante non soltanto alzare le saracinesche, ma anche incentivare i clienti rassicurandoli sull’igiene e la pulizia dei luoghi pubblici e sulla corretta applicazione delle misure di prevenzione diffuse dal Governo contro la diffusione del Covid-19.

Le operazioni da effettuare per aprire in tutta sicurezza sono molte e complesse, per consentire al pubblico e agli imprenditori di lavorare e continuare a frequentare i luoghi di consumo con serenità si può ottenere una nuova e specifica certificazione.

Questa agisce nell’ambito del già noto sistema di gestione Uni En 13549:2003 e prevede ampliamenti nell’applicazione e nel controllo delle misure specifiche indicate dal Governo (Dpcm 14/03/2020 e integrazioni del 24/04/2020) come buone prassi per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.

Le aziende che vorranno dotarsi della certificazione dovranno implementare nuove misure obbligatorie tra cui: l’identificazione del corretto percorso di merci e fornitori, il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione personali, la misurazione della temperatura, le corrette procedure di disinfezione e sanificazione, la corretta compilazione della documentazione sulla valutazione dei rischi e il giusto uso dei dispositivi di protezione individuale.

Per ottenere l’attestazione bisognerà rivolgersi agli enti certificatori abilitati alla Camera del Commercio a svolgere attività di controllo di qualità e certificazione di prodotti, processi e sistemi.

La certificazione non è obbligatoria e non costituisce un inadempimento ostativo alla riapertura, ma rappresenta uno strumento di sostegno per le imprese e garantisce il rispetto del protocollo sottoscritto dal Governo il 14/03/2020 per le attività di pulizia e sanificazione.

La certificazione Uni En 13549:2003 No Covid è riconosciuta su tutto il territorio nazionale, ha una validità di 3 anni e offre a imprenditori e clienti una maggiore garanzia sul rispetto delle norme di sicurezza previste dal decreto governativo per la riapertura dei locali pubblici.

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Nuovo record storico per l’agroalimentare italiano. Coldiretti: “Serve regia nazionale”

Nuovo record storico a marzo per l’agroalimentare italiano, dopo i 44,6 miliardi di euro nel 2019. A sottolineare il balzo in avanti è Coldiretti, che parla di aumenti per il cibo e le bevande italiane negli Usa (+10,4%), in Germania (+24,9%), In Gran Bretagna (+3,9%) ed anche in Francia (+9,5%), su base tendenziale. Ma avverte: “Al Made in Italy all’estero serve una regia nazionale”.

“Infatti si tratta purtroppo di una fiammata non confermata nei mesi successivi – evidenzia Coldiretti – con il propagarsi della pandemia in tutto il pianeta con la chiusura delle frontiere e le misure per contenimento che hanno determinato il brusco freno al commercio a livello globale”.

Il risultato è che in Italia 3 aziende agroalimentari su 4 (74%) registrano un calo delle vendite all’estero per effetto di una pioggia di disdette provenienti dai clienti di tutto il mondo, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’.

A pagare il conto più pesante in Italia sono il vino, che realizza più della metà del fatturato all’estero, ma anche il florovivaismo, l’ortofrutta, i formaggi e i salumi. “Serve ora un robusto piano di promozione per sostenere il vero Made in Italy all’estero”, ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

“Per favorire l’internazionalizzazione – ha aggiunto – occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo, con il sostegno delle Ambasciate dove vanno introdotti anche adeguati principi di valutazione delle attività legati, per esempio, al numero dei contratti commerciali”.

“Nell’emergenza in atto e in un’ottica futura di ripresa delle normali attività commerciali sarà fondamentale”, conclude Prandini – impiegare tutte le energie diplomatiche per superare i dazi Usa e l’embargo russo.”

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I piccoli comuni turistici italiani chiedono aiuto al Governo: “Siamo in ginocchio”

Ventotto Comuni italiani, da San Gimignano ad Amalfi, da Barolo a Porto Venere, da Montalcino e Positano a Portofino e Otranto, hanno inviato al presidente del Consiglio Giuseppe Conte un appello per “Salvare i gioielli turistici d’Italia“.

“Siamo in ginocchio – spiega Andrea Marrucci, sindaco di San Gimignano tra i promotori dell’appello – Le nostre entrate sono ai minimi, è a rischio la tenuta sociale ed economica dei nostri territori, tanto da minacciare gli stessi servizi essenziali. Sappiamo già che non troveremo nei nostri bilanci le risorse per far fronte alla riduzione delle entrate di parte corrente, che vanno dal 20% fino al 50% in alcuni casi”.

“Troppo esigui i nostri bilanci – prosegue Marrucci – troppo esigue le nostre unità di personale. A rischio è anche la cura del nostro straordinario patrimonio artistico, culturale, monumentale, architettonico, che è patrimonio di tutta Italia. Al Governo chiediamo di non lasciarci soli, perché vediamo già che anche per gli Enti locali gli effetti non saranno per tutti uguali. I grandi comuni avranno bilanci più ampi per poter reggere un po’ meglio l’impatto, seppure con sacrifici. I nostri comuni non avranno neppure questa possibilità”.

Fra le richieste l’istituzione di un fondo che copra la riduzione delle entrate direttamente connesse con il turismo anche dei piccoli e medi comuni turistici, possibilità di attingere non solo all’avanzo di amministrazione di parte libera e destinata, ma anche a quello vincolato per affrontare con tutti gli strumenti la crisi in atto.

Inoltre la possibilità di trattenere il gettito Imu destinato allo Stato e di stabilire una “soglia di solidarietà” al Fondo per lo sviluppo e la coesione, oltre la quale bloccare il contributo dei singoli comuni, specie costieri e turistici. Risorse e strumenti per gli investimenti in manutenzione del patrimonio architettonico, monumentale ed artistico che è il valore aggiunto dell’Italia

Nel documento i sindaci chiedono che ad una situazione straordinaria seguano strumenti per i comuni altrettanto straordinari tra cui la semplificazione delle procedure per gli investimenti locali, la semplificazione degli affidamenti, la semplificazione dei procedimenti di appalto ed esecuzione dei lavori. Inoltre si chiedono interventi nazionali per la dinamica degli affitti commerciali, alberghieri, artigianali, extralberghieri che caratterizza in modo marcato i nostri comuni.

“Non avremo la possibilità, con i nostri soli bilanci – spiegano i sindaci nel documento – di finanziare in modo autonomo fondi di sostegno per gli operatori locali. Servono misure nazionali, a partire da una norma nazionale blocca affitti che possa consentire la pace sociale tra locatori e locatari, dando certezza del diritto, evitando contenziosi e scongiurando, in contesti di pregio come i nostri, azioni di speculazione finanziaria”.

Tra le altre richieste il rinvio del metodo di calcolo Arera e norme speciali per l’abbattimento dei costi della Tari per i comuni turistici, potendone così apprezzare la riduzione già nella bollettazione 2020. Con un duplice positivo effetto: poter applicare la riduzione dei servizi non più necessari, per la mancanza di turismo, già nel saldo di dicembre alle imprese che hanno subito la perdita di fatturato a causa del coronavirus.

Evitare che i piccoli e medi comuni turistici si trovino stretti nella morsa di dover pagare comunque le rate al gestore senza avere gli stessi flussi di entrata degli anni precedenti, basti pensare alla prevedibile esplosione del “non riscosso” e alle conseguenze in termini di accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità.

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Giorgio Mondoví è il nuovo Business Executive Officer della divisione Food di Nestlé Italia

MILANONestlé Italia ha nominato Giorgio Mondovì come nuovo Business Executive Officer della divisione Food del Gruppo e Business Manager del segmento basi Emena, a partire dal 4 maggio.

Giorgio Mondovì subentra in questo ruolo a Stefano Bolognese, che assumerà un nuovo incarico all’interno del Gruppo come Head of International Business Unit Nestlé Waters Italy.

Laureato in Economia e Commercio, 53 anni, sposato e padre di due ragazze, Giorgio Mondovì è entrato in Nestlé nel 1991, assumendo nel corso degli anni ruoli di crescente responsabilità nell’area commerciale. Dopo un’esperienza in Nestlé Italiana come Direttore Vendite nelle divisioni Food e Bevande, nel 2005 viene chiamato a ricoprire l’incarico di Managing Director di Nestlé Malta.

Nel 2010 rientra in Italia come Business Executive Manager della Divisione Bevande di Nestlé Italiana con l’obiettivo di consolidare la presenza dei marchi sul mercato favorendo forte innovazione e sviluppo di nuovi prodotti. Dal 2013 assume il ruolo di International Business Unit Director del Gruppo Sanpellegrino, guidando lo sviluppo all’estero e la distribuzione dei brand S. Pellegrino e Acqua Panna in circa 150 Paesi.

Nel 2018, in qualità di Business Executive Officer Local Business Unit del Gruppo Sanpellegrino, torna a dedicarsi al mercato italiano con il compito di continuare a valorizzare il portafoglio prodotti e creare nuove opportunità commerciali. Nel nuovo ruolo a guida della divisione food, si occuperà di rafforzare i brand Buitoni, Garden Gourmet, Maggi e Thomy nei canali tradizionali e valorizzare la crescita nei nuovi segmenti.

Giorgio potrà contare sull’eccellenza produttiva dell’hub di Benevento, recentemente rinnovato in ottica Industria 4.0 con un investimento di 50 Mio di € per sviluppare, oltre al mercato italiano, l’export della pizza surgelata, già oggi distribuita in 7 Paesi europei.

La sua grande esperienza, unita alla profonda conoscenza del marchio e del mercato forniranno un contributo importante alla crescita dei brand, alla valorizzazione del Made in Italy e alle nuove sfide che attendono il settore.

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Giorgio Mondoví è il nuovo Business Executive Officer della divisione Food di Nestlé Italia

MILANONestlé Italia ha nominato Giorgio Mondovì come nuovo Business Executive Officer della divisione Food del Gruppo e Business Manager del segmento basi Emena, a partire dal 4 maggio.

Laureato in Economia e Commercio, 53 anni, sposato e padre di due ragazze, Giorgio Mondovì è entrato in Nestlé nel 1991, assumendo nel corso degli anni ruoli di crescente responsabilità nell’area commerciale. Dopo un’esperienza in Nestlé Italiana come Direttore Vendite nelle divisioni Food e Bevande, nel 2005 viene chiamato a ricoprire l’incarico di Managing Director di Nestlé Malta.

Nel 2010 rientra in Italia come Business Executive Manager della Divisione Bevande di Nestlé Italiana con l’obiettivo di consolidare la presenza dei marchi sul mercato favorendo forte innovazione e sviluppo di nuovi prodotti. Dal 2013 assume il ruolo di International Business Unit Director del Gruppo Sanpellegrino, guidando lo sviluppo all’estero e la distribuzione dei brand S. Pellegrino e Acqua Panna in circa 150 Paesi.

Nel 2018, in qualità di Business Executive Officer Local Business Unit del Gruppo Sanpellegrino, torna a dedicarsi al mercato italiano con il compito di continuare a valorizzare il portafoglio prodotti e creare nuove opportunità commerciali. Nel nuovo ruolo a guida della divisione food, si occuperà di rafforzare i brand Buitoni, Garden Gourmet, Maggi e Thomy nei canali tradizionali e valorizzare la crescita nei nuovi segmenti.

Giorgio potrà contare sull’eccellenza produttiva dell’hub di Benevento, recentemente rinnovato in ottica Industria 4.0 con un investimento di 50 Mio di € per sviluppare, oltre al mercato italiano, l’export della pizza surgelata, già oggi distribuita in 7 Paesi europei.

La sua grande esperienza, unita alla profonda conoscenza del marchio e del mercato forniranno un contributo importante alla crescita dei brand, alla valorizzazione del Made in Italy e alle nuove sfide che attendono il settore.

Giorgio Mondovì subentra in questo ruolo a Stefano Bolognese, che assumerà un nuovo incarico all’interno del Gruppo come Head of International Business Unit Nestlé Waters Italy.

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Ristoranti e wine delivery: la carta del vino (e dei drink) va ripensata. Prezzi compresi

Prezzo d’acquisto (da parte del ristoratore) moltiplicato per due o per tre (per il cliente), quando va bene. È a queste cifre che siamo abituati ad acquistare (e bere) il vino al ristorante. Sui “ricarichi” – a volte giusti, a volte esorbitanti – incide il servizio al tavolo, il tovagliato, la qualità dei bicchieri, la presenza o meno di un sommelier in sala e, ovviamente, il livello della cucina.

Pensare oggi di applicare gli stessi prezzi della carta vini del ristorante al wine delivery è il grande errore che sta compiendo una buona fetta della ristorazione, nel riorganizzarsi a fronte del lockdown da Coronavirus. Un discorso che vale pure per la Coca-Cola, o per l’acqua. Insomma, per tutta la lista dei drink.

Drink al prezzo del ristorante in una carta delivery attiva dal 12 maggio: acqua a 1 euro, Coca-Cola a 3, birra Becks a 4 euro

Alcuni ristoranti, così come le enoteche che abbinano il “food” al “wine“, sembrano non aver compreso la lezione di insegne come Signorvino. Il brand del gruppo Calzedonia, che non rinuncia ad aprire punti vendita confermando in toto il programma di aperture per i prossimi anni, ha fatto scuola su questo fronte.

Da Signorvino si consuma il vino al tavolo, servito alla corretta temperatura da un “wine expert“, allo stesso prezzo d’acquisto a scaffale. Senza “ricarico”. Motivo in più per ripensare la carta vini prima dell’avvio della consegna a domicilio, rinunciando a un poco di margine per incentivare le vendite e le rotazioni delle proprie etichette, sotto “lucchetto” per via del lockdown. Magari con proposte di abbinamento al food delivery, studiate ad hoc.

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Coronavirus, sondaggio ristoranti aperti oggi: il 54% degli italiani non ci andrebbe

Domanda secca, risposta che divide: “Se domani aprisse il tuo ristorante preferito, ci andresti entro la prossima settimana?”. Il risultato del sondaggio condotto sulla pagina Facebook di WineMag.it e Vinialsuper.it si è concluso con un 46% di “, senza dubbio” e un 54% di “No, farei comunque passare più di una settimana. Al momento Coronavirus mi preoccupa e spaventa”.

Per l’esattezza, su un campione di 201 votanti, 109 si sono espressi per il “No”. Poco meno le persone che tornerebbero al ristorante senza farsi troppe domande, fiduciose nonostante tutto: 92.

Nei commenti al post, tutta l’incertezza della situazione della ristorazione italiana e dell’Horeca, alle prese con l’emergenza Covid-19 e con gli interrogativi – o meglio la necessità, per la sopravvivenza stessa delle aziende del comparto – di una riapertura pressoché immediata. Senza aspettare giugno, come disposto dal Governo.

“Dal mio punto di vista – scrive Gaetano R. – posso solo sperare in un atteggiamento responsabile e consapevole da parte di tutti. Da un lato ambienti puliti e utilizzo di dpi che rassicurino il cliente, dall’altro clienti che capiscano che sedersi tra tavoli distanziati in ambienti puliti può essere più sicuro che andare al supermercato, per esempio”.

Davide B. aggiunge: “Abbiamo due problemi. Quello più importante deriva dal fatto che i più non percepiscono reddito da 2 mesi, e quindi la vedo dura che abbiano la possibilità; il secondo è l’effettivo pericolo di contagio.
Ora sul secondo sta nel ristoratore ispirare fiducia nel consumatore. Sul primo non c’è molto da fare”.

“Ho timore del Coronavirus e non andrò per un bel po’ al ristorante”, commenta Vittorio C.. “Sì andrei – risponde Lori R. – magari non potrò più permettermi un pranzo completo ma ci andrei per incoraggiare la categoria. Andrei anche al bar e dal parrucchiere. E poi fino a poco fa ci ammassavamo nei supermercati, cosa ci stiamo raccontando? Comunque il gestore mi deve dare fiducia“.

Andrea è tranchant: “Senza pagliacciate di mascherine, plexiglas ecc, ecc, senza dubbio”. Gli fa eco Roberto G.: “Se per andare al ristorante bisogna indossare mascherina, guanti e stare tra lastre di plexiglas allora no, preferisco aspettare ancora quando si potrà andare normalmente“.

“Andrei subito perché ho piena fiducia nella ristorazione di qualità”, commenta Piero C., mentre Mony R. non aspetta altro che “fiondarsi subitamente nel bar per un buon espresso, per il ristorante aspetterei”. Lia M. è in linea con questo parere: “Aspetterei”.

Fanno seguito un elenco di no. “Con quali soldi?”, si chiede Gabriele C.. “No, non riuscirei a gustare un pranzo in modo rilassato”, fa eco Giovanni F.. Nessun dubbio anche per Gian Paolo G.: “No – scrive – andrei al mare”.

Un pubblico eterogeneo quello della pagina Facebook delle nostre due testate. Diecimila persone circa, tra consumatori abituali di vino nell’Horeca e in Gdo, amanti dei cosiddetti “vini naturali”, professionisti e operatori del settore Food & Beverage come sommelier ed enologi, ma anche colleghi della stampa.

Sui risultato del sondaggio, tutto sommato prevedibile, incidono le tempistiche di un ritorno alla cosiddetta normalità, davvero inimmaginabili con esattezza. D’altro canto, non è solo la paura del contagio a far titubare il pubblico Facebook di Vinialsuper WineMag.

Ad aleggiare c’è anche la perplessità verso le nuove “restrizioni”. Non aiuta il fronte “portafoglio“, con la crisi economica che ha toccato in molti. Dipendenti posti in cassa integrazione che all’orizzonte intravedono un possibile licenziamento, ma anche liberi professionisti “liquidati” con 600 euro dall’Inps.

Siamo pronti (forse) a riprendere la vita di prima. Ma a piccoli passi, soprattutto in uno scenario completamente diverso. Quella libertà tanto reclamata durante la quarantena spaventa e frena i consumi. Chi immaginava che la luce si riaccendesse improvvisamente, come dopo un blackout, non può che essere rimasto deluso.

Appare sempre più evidente che non sarà così, ancora per molto. E in questo contesto tornano in mente le parole del “Signor G.”, Giorgio Gaber: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.  Perché senza la consapevolezza della nostra libertà non possiamo davvero sentirci liberi.

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Riaprire in sicurezza il 18 maggio: 21.360 firme per la petizione della ristorazione

Sono 21.360 le firme raccolte in pochi giorni a sostegno della petizione “Apriamo in sicurezza bar e ristoranti il 18 maggio” promossa dalla Fipe – Federazione italiana dei Pubblici Esercizi e indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al quale si riporta la disperazione dei tanti piccoli esercizi di somministrazione che senza contributi immediati sono destinati a non riaprire.

Oltre 3 mila firme al giorno, con una decisa impennata nelle ultime ore, per chiedere al governo di anticipare la fine del lockdown per un settore che in Italia dà lavoro a 1,2 milioni di persone nell’ambito di 300 mila imprese, creando un valore aggiunto di oltre 46 miliardi di euro.

Un settore che è parte essenziale di una lunga filiera che coinvolge allevatori, agricoltori, pescatori, casari, trasportatori, e poi enologi, vignaioli, imbottigliatori, magazzinieri, trasformatori artigianali e industriali.

Chi ha firmato questa petizione – spiega Aldo Cursano, Vice Presidente Vicario della Fipe – non sono solo gli imprenditori del settore, ma anche tanti cittadini che chiedono di poter nuovamente contare su un servizio importante della loro quotidianità.

Se aiutati con contributi veri, bar e ristoranti sono pronti a riaprire in sicurezza, sulla scia delle centinaia di migliaia di imprese che da oggi sono tornate a svolgere la loro attività in tutta Italia”.

Fipe ha elaborato un serio protocollo per garantire nei locali la sicurezza basata sul distanziamento interpersonale e questa è un’assunzione di responsabilità e una dimostrazione di serietà da parte dell’intera categoria.

È chiaro però – aggiunge Cursano – però che la prevista riduzione dei fatturati, dovuta proprio al rispetto delle misure di distanziamento, dovrà essere compensata con contributi a fondo perduto e una pari riduzione dell’imposizione fiscale. Una richiesta di buon senso che ribadiremo oggi, quando trasmetteremo al premier l’appello con le firme: senza aiuti le nostre imprese non ce la faranno”.

“Il presidente del Consiglio, non può ignorare queste richieste – conclude Cursano – e dunque auspichiamo che già da domani venga convocato un tavolo di lavoro espressamente dedicato ai pubblici esercizi e alla loro prossima riapertura. Abbiamo 15 giorni di tempo per farlo in sicurezza e con un piano preciso”.

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Marco Spini, il sommellier di Ba-Restaurant: “Vi racconto la mia quarantena a Milano”

Se c’è un ristorante, a Milano, che interpreta in maniera maniacale la cucina tradizionale cinese, con un tocco prezioso di contemporaneità, quello è Ba-Restaurant. Lo ha aperto nel 2011, in via Raffaello Sanzio 22, la famiglia Liu (Claudio, Marco e Giulia). Ampliando un impero del gusto orientale che annovera anche Iyo e Gong.

Poco prima del lockdown, il tempo di rinnovare gli interni, ma non lo spirito e il personale. In cucina confermato il giovane ed estroso Executive Chef Bryan Hooi. Alle “bottiglie” un sommelier (Aspi) tanto esperto quanto entusiasta e discreto: Marco Spini.

Classe 1968 e una caratteristica che lo rende unico tra i sommelier italiani: il baffo all’insù, alla Salvador Dalí. Ma è unica anche la voglia di continuare ad aggiornare una Carta Vini che conta oggi quasi 500 etichette, nazionali e internazionali. Solo uno dei tanti professionisti costretti al lockdown, in una Milano che ha voglia di tornare normale, dopo la quarantena.

Marco Spini, quei baffi all’insù sono uno dei simboli del Ba. Ma bisogna poterseli permettere, dopo tanti anni di gavetta. Lei può, insomma

Dopo una formazione tecnica e artistica, sono entrato nel mondo del lavoro come impiegato, ma presto ho scoperto altri interessi, come quello per il vino. Nel 1994 mi sono iscritto al Primo livello con Ais. Pochi mesi dopo, la mia passione è diventata un lavoro, in qualità di commis-sommelier a “L’Osteria”, a Milano al fianco di Franco Bisignani, del quale divento da subito la spalla.

L’Osteria è un luogo magico, un vero e proprio antesignano del concetto che verrà molto dopo di Wine Bar: aperto nel 1977 da Franco, è una mescita di vino affiancato da Salumi e Formaggi. Il tutto accuratamente selezionato.  Abbiamo 350 vini in carta con una trentina di vini al bicchiere.

Facciamo costruire un’azotatrice su misura da un artigiano di Alba, che ci permette di servire 8 grandi rossi al calice in mancanza di ossigeno. Tutte le sere si aprono almeno 40, 50 bottiglie, con almeno 3, 4 decantazioni al tavolo ed è un grandissimo successo, la clientela è molto variegata. Negli anni a venire il Naviglio esploderà e si riempirà di locali, siamo solo all’inizio, anni formidabili.

Ogni primo lunedì del mese ci riuniamo in Osteria insieme ad altri professionisti ( tra i quali voglio ricordare Maida Mercuri del Pont de Ferr, Roberto De Feudis de Le Vigne, Fabio Locatelli della Trattoria Madonnina ed il grande amico Gianni Frattola) ed assaggiamo tutti i campioni che ci inviano i commerciali e le aziende, commentandoli e condividendo le nostre impressioni. Ci chiamano “Il Gruppo dei Navigli“.

Insieme ci muoviamo per le fiere e le manifestazioni di settore (Vinitaly e Merano Wine Festival in primis), le degustazioni e le visite in azienda. Nel 1996 mi diplomo Sommelier professionista, nel 2000 con Franco prendo in gestione il locale, dove rimango fino al 2005. Poi mi prendo una piccola pausa.

Poi per 5 anni mi occupo di dirigere un bistrot in Zona Tortona , il “Piquenique” di via Bergognone, dove mi occupo anche della cucina del wine-bar, cui segue un anno presso “La Cantina di Franco” di via Sanzio.

Arrivo poi a “La Dogana del Buongusto”, nel 2013, dove a fianco di Nino Pappalettera, tutt’ora mio maestro di Sommellerie e mentore, entro nello staff del ristorante come chef de rang e sommelier.

Nel 2016 approdo al Ba-Restaurant come Head Sommelier. Marco Liu mi affida la responsabilità del beverage, lasciandomi la massima libertà nella composizione della nuova carta. Nasce da subito un bellissimo rapporto.

Mi occupo del rinnovamento della cantina, che riorganizzo e che poco dopo verrà anche climatizzata, creando una Carta vini che viene modellata sul menù e sulle mie suggestioni, ma con un occhio anche alle preferenze degli ospiti ed un altro alle nuove tendenze del mercato.

Nello specifico?

Al suo interno trovano posto grandi produttori e artigiani, vini rinomati e meno conosciuti, aziende dall’approccio convenzionale, biologico o biodinamico. Tutti i vini sono caratterizzati da finezza ed eleganza, qualità e pulizia delle sensazioni e dalla personalità: si deve sentire la mano che lo ha fatto, la storia da raccontare. Il telling.

In tre anni e oltre di lavoro ho quintuplicato la carta, in maniera graduale, un passo alla volta. La carta dei vini attualmente sfiora le 500 referenze, ed è in continuo divenire.

Al bicchiere oltre 40 vini e una novità: la “Carta dei Tè”. Si è occupato anche di questo?

Con la riapertura del nuovo locale ho implementato la mescita al calice consueta, composta da 5 “bolle”, 5 bianchi, 5 rossi, 11 vini da dessert. E con una proposta di grandi vini al bicchiere: 6 bianchi, 6 rossi, 3 dessert, serviti con Coravin e con rotazione mensile, quindi l’offerta al bicchiere è di oltre 40 vini.

Altra novità inserita la Carta dei Tè, l’abbinamento tradizionale cinese: 10 tè da me selezionati, in base alle caratteristiche di pairing. Al momento sono tre verdi, un bianco, un wulong, tre fermentati: due neri, un rosso,e poi due herbal.

Ovviamente il servizio del tè avviene secondo le regole con le giuste temperature, i giusti tempi di infusione e le quantità di foglie e viene eseguito da noi al tavolo, presentando l’infuso (le foglie bagnate, dopo infusione) e il liquore (la bevanda).

Altro mio importante compito è quello di supervisionare e coordinare il personale di sala in merito alle principali tecniche di sommellerie e di mantenere elevato lo standard di servizio.

Il suo ruolo in Aspi?

Collaboro con l’Associazione Aspi (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, unica referente nazionale di ASI, l’Association de la Sommellerie Internationale ndr), fondata nel 2008 da Giuseppe Vaccarini, grande maestro e riferimento per me importantissimo.

Partecipo attivamente alle attività di Aspi come Formatore, sia per i corsi di formazione rivolti ai professionisti che per quelli delle Scuole Alberghiere. Dal 2015 al 2017 ho rivestito il ruolo di Coordinatore per Milano e Provincia. Attualmente svolgo anche la funzione di Tutor per il Percorso Tutorato di preparazione all’esame di abilitazione professionale.

L’attualità del Ba-Restaurant è però legata al lockdown. Quando avete chiuso?

La prima chiusura è stata dal 26 febbraio al 4 marzo, per poi chiudere nuovamente dall’8 marzo, da disposizioni.

Siete pronti a riaprire? Con che misure?

Francamente siamo in attesa come tutti di attendere una definizione chiara delle nuove disposizioni. Partiamo da un ottima base: sulle questioni normative la policy di Ba è molto rigorosa, da sempre. Per noi, igiene del luogo di lavoro e del personale e il benessere e la sicurezza dell’ospite sono sempre state al primo posto.

Con la riapertura abbiamo ridotto i coperti e quindi già aumentato le distanze tra i tavoli. Andremo a calibrarle ulteriormente. Andremo a gestire ancor meglio i flussi della clientela, utilizzeremo tutte le nuove procedure che verranno stilate, quindi sanificazione, rilevazione della temperatura, monitoraggio degli ingressi, eccetera.

Sarà molto importante trasmettere fiducia e rassicurare il più possibile i nostri ospiti, alzando ancor di più il livello del comfort oltre che quello della sicurezza. Nel frattempo ci stiamo organizzando per il delivery, che sta per partire. E visto che avremo le mascherine (la vorrei coi baffi!) impareremo a sorridere con gli occhi!

Quanti coperti assicuravate al giorno, in media, prima del lockdown?

Un centinaio tra pranzo e cena, su un totale di 64 coperti, tenendo conto che arriviamo da una chiusura di 4 mesi per totale ristrutturazione e che abbiamo riaperto il 10 dicembre 2019.

Quanto calici e bottiglie era abituato a servire, prima del lockdown? Più calici o più bottiglie?

Direi 30-35 bottiglie, più 25-30 calici, tenendo conto anche degli aperitivi e dei vini da dessert.

Più vini italiani o stranieri? Quali sono le aree più richieste?

Sicuramente più italiani, anche se Champagne e Borgogna hanno una buona richiesta, anche se più di nicchia. Per l’Italia sicuramente Alto Adige, Friuli, Piemonte, Toscana, Campania e Sicilia. Per l’estero i già detti Champagne e Borgogna, ma anche qualche escursione su Loira, Alsazia, Cȏte du Rhone e Bordeaux per la Francia; Reno e Mosella per la Germania.

Quali sono i prezzi medi di calici e bottiglie servite?

Si viaggia su una media di 35-40 euro a bottiglia e di 8-10 euro per il calice. I prezzi variano molto a seconda dei vini. La mia carta, peraltro, è tutta consultabile sul sito web di Ba Restaurant.

Oggi cosa fa il sommelier Marco Spini per tenersi in “allenamento”?

Bravo, mi alleno, dice bene: continua come sempre la mia ricerca personale: assaggio nuovi vini e cerco nuovi spunti per il futuro, leggo e mi documento, mi sento con i colleghi. E poi studio:  la formazione continua per un sommelier contemporaneo è fondamentale, gli argomenti sono tantissimi ed il tempo è sempre poco, quindi ne approfitto a piene mani.

Con Aspi, in questo periodo, stiamo continuando con la formazione a distanza e stiamo realizzando una clip quotidiana dove ognuno di noi dà il proprio contributo per fare rete, farci forza e tenerci in contatto in questo particolare momento.

E, per mantenere il buon umore. che è una necessità in questo momento, leggo molto, vedo qualche film, ascolto bella buona musica e mi diverto in cucina, senza dimenticare un po’ di attività fisica quotidiana. Nonostante tutto ripenso alla normale giornata lavorativa: che bello, che nostalgia!

D’accordo, momento confessionale. Si sta concedendo qualche bottiglia in più, in quarantena, oppure non sono cambiate le sue abitudini di consumo?

Ho provato a fare il contrario, per cercare di contenere il peso, ma sono un debole! Ah!

Continuiamo con le confessioni. I tre migliori assaggi ai tempi del lockdown?

Monleale 1995, penultima bottiglia di 24 che presi nel 1997 dalle mani del Walter Massa, che mi consegnava il vino direttamente in Osteria: fantastico, ancora fresco e pungente, come il produttore!

Muller-Thurgau Pacherhof 2018. Novacella, Valle Isarco, bianco con naso esplosivo di frutta, fiori bianchi e spezia, bocca polputa con una bella tensione acido-sapida, nota minerale persistente: gran bella esecuzione!

Saint-Vèran Lieu(Inter)dit 2017 Verget: un bianco del Maconnais che non sfigura per nulla con quelli ben più blasonati della Cote de Beaune, uno Chardonnay perfetto, cristallino come solo i grandi Borgogna sanno essere, con un naso elegantissimo e ampio, una bocca di grande potenza con la terna mineralità-freschezza-sapidità infinite.

Un fuoriclasse del vulcanico Jean-Marie Guffens. Il nome del vino deriva dal fatto che il cru, da sempre, si chiama Cȏte Rotie. Siamo a Davayè, accanto a Macon, nulla a che vedere con la notissima Aoc della Cȏte du Rhone. Ma quest’ultima nel 2016 ha ottenuto “l’esclusiva”, quindi l’eclettico Jean-Marie l’ha chiamato appunto “Luogo(inter)detto”!

Come cambierà la carta del vino del Ba, alla riapertura?

Come detto, la mia carta è, per definizione, in “continuo divenire”. Ho già in mente delle novità… Venite presto a trovarmi, vi aspetto!

Cambieranno i rapporti con i fornitori di vino del Ba-Restaurant?

È presto per fare delle previsioni. Di sicuro credo che saranno maggiormente vicini alle nostre realtà. Anche qui staremo a vedere, tutto dipende da come terrà il settore e da come e da quando ripartirà. Sono comunque ottimista.

Pensi che il conto vendita sia un’opzione profittevole da entrambe le parti del calice?

Potrebbe, ma anche su questo mi riservo di aspettare e vedere come sarà la ripresa.

Di cosa ha bisogno la filiera del vino italiano per ripartire?

Bella domanda! Sono sommelier, quindi posso parlare del mio settore. La situazione è seria e molto complessa e soprattutto mai sperimentata prima: i nostri amministratori stanno affrontando l’emergenza, sono stati commessi degli errori, inizialmente sottovalutazione, ma anche dall’estero ci sono arrivati esempi pessimi.

Gli aiuti promessi sono ancora troppo rallentati dalla burocrazia, mentre la categoria chiede aiuti immediati. Dopo quasi due mesi a incasso zero, molti locali sono a rischio di chiusura. Se tutto va bene si riapre a giugno, ma come è ancora tutto da definire. La vera ripresa avverrà con tempi molto lunghi, temo. Per la tenuta e la ripresa serve un serio e forte sostegno dello Stato e della Ue, su questo non vi è dubbio.

Cambieranno le abitudini dei clienti del Ba? Se sì, in previsione, come?

Domanda difficile, ci provo! Credo che la nostra clientela storica ritornerà. Con qualcuno ho avuto modo di confrontarmi. Verranno nuovi clienti, come sempre. Tutta la nostra ricerca non andrà perduta. Ma anche qui bisognerà vedere come e quando, e in che condizioni, le Autorità ci faranno ripartire.

C’è qualcosa che avrebbe gestito in maniera diversa nel contesto del lockdown della ristorazione?

Gli aiuti dovrebbero essere erogati in tempi rapidi e a fondo perduto, non con prestiti. Pare che in altri Paesi europei sia andata diversamente. Vanno fatti dei significativi sgravi fiscali e possibilmente azzerate o abbassate le imposte: Cosap, Tari, Imu, per citarne alcune.

Gli interventi che vediamo sono rallentati dalla burocrazia e perdono di efficacia. Hanno fatto aumentare la preoccupazione degli attori della ristorazione tutta. Come vado dicendo, dall’inizio di questa pandemia, sono molto più preoccupato da quello che succederà dopo, che dall’emergenza sanitaria in sé, anche se la salute pubblica va indiscutibilmente al primo posto.

Quali sono, a suo avviso, le istanze più urgenti per la ristorazione?

Per riaprire in sicurezza serviranno tamponi per dipendenti e datori di lavoro, divise, mascherine, guanti, sanificatori, monitoraggio in e out del cliente, termoscan del cliente, certificazione procedure, eccetera: quindi, assolutamente, aiuti a fondo perduto per sostenere questi costi.

Bisogna rivedere e snellire tutta la burocrazia connessa ai finanziamenti e alle Cig. Abbassare o annullare le tasse per occupazione suolo pubblico, Tari, Imu. Proseguire con il sostegno Cig.

Le banche dovrebbero da subito rivedere affitti e mutui, erogare crediti a fondo perduto per adeguamento alle nuove normative garantiti dallo Stato, che a sua volta dovrebbe accedere ad aiuti Ue. E poi erogare finanziamenti a reale garanzia pubblica (lo Stato garante) a tassi calmierati.

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*photo credit Ba-Restaurant

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AssoBirra, Assobibe e Mineracqua: “Riaprire prima in sicurezza e sostenere la filiera”

Il lungo periodo di Lockdown con la chiusura di tutti i locali ha di fatto azzerato la liquidità lungo tutta la filiera Horeca. Con la riapertura dei locali alla data ipotizzata del 1° giugno la perdita secca lungo tutta la filiera è stimata a 20 miliardi di euro. La filiera Horeca, con il suo indotto di almeno un milione e duecentomila occupati, 320 mila pubblici esercizi, 5000 aziende di distribuzione e centinaia di produttori, è letteralmente in ginocchio.

Come per altri settori, è necessario anticipare la riapertura con le doverose misure di protezione e di distanziamento sociale, nonché pensare come aiutare una Fase 2 che, senza turismo e limitazioni varie, rischia di non produrre benefici economici, ma solo costi.

Alla luce di questo inevitabile tracollo, le principali Associazioni fra i produttori di birra, bevande e acque minerali (AssoBirra, Assobibe e Mineracqua) destinate al canale Horeca e la Federazione Italgrob rappresentativa della categoria dei distributori del Food & Beverage, pongono all’attenzione del Governo le gravi criticità e allo stesso tempo chiedono:

TORNARE A LAVORARE:

  • anticipare al 18 maggio l’apertura dei locali Horeca (Bar e Ristoranti), con protocolli di sicurezza e misure di distanziamento a tutela di lavoratori e clienti.

AIUTARE LE IMPRESE SU COSTI e LIQUIDITA’ con:

  • l’aumento del plafond per il credito d’imposta legato alla sanificazione dei luoghi e degli strumenti di lavoro;
  • l’estensione a 20 anni del periodo per la restituzione dei finanziamenti previsti dal Decreto Liquidità;
  • un indennizzo a fondo perduto pari al 50% del fatturato dei mesi di lockdown (marzo, aprile e maggio) oppure del 20% del fatturato dell’anno precedente;
  • Prevedere un credito di imposta per i crediti inesigibili derivanti dalla crisi COVID-19

SOSTENERE LA RIPRESA:

  • con una riduzione dell’aliquota IVA dal 22% al 10%, sui prodotti Beverage del fuori casa, al fine di incentivare i consumi nei prossimi mesi.

 

Il mercato del fuoricasa italiano che a fine 2019 ha sviluppato un giro di affari complessivo di 86 miliardi, pari all’8% dei consumi totali delle famiglie (Alimentari non alimentari e servizi), è uno degli assi portanti dell’economia del Paese, un emblema del made in Italy, fattore di attrazione turistica al pari del grande patrimonio architettonico paesaggistico, artistico e culturale che vanta il nostro Paese.

È un dovere di tutti proteggerlo e rilanciarlo, Assobirra, Assobibe, Mineracqua e Italgrob insieme alle aziende che rappresentano, sono pronte ad attuare ogni possibile azione per sostenere il settore. Un settore che tra distribuzione e pubblici esercizi da lavoro a circa 1,2 milioni di persone a cui si aggiungono le decine di migliaia di posti di lavoro delle aziende di produzione del Food & Beverage.

Posti di lavoro estremamente a rischio se non si interviene con misure urgenti ed adeguate. In questo difficilissimo momento è necessario l’intervento concreto dello Stato per superare la crisi in atto e rilanciare le prospettive di un settore vitale, sia dal punto di vista economico che sociale.

Michele Cason, Presidente di AssoBirra, sottolinea come “il settore birrario sostiene con forza la richiesta dell’intera filiera dell’industria delle bevande, di anticipare il prima possibile, naturalmente nel rispetto dei protocolli di sicurezza, la riapertura del canale della ristorazione, non oltre il prossimo 18 maggio. Contestualmente, nell’ambito della forte pressione fiscale che già oggi il comparto birrario subisce e su cui grava anche in aggiunta la più alta delle aliquote Iva, chiede che almeno per quanto riguarda i prodotti del settore bevande del canale Ho.Re.Ca. l’aliquota possa essere ridotta dall’attuale 22 al 10%, per incentivare la ripresa dei consumi”.

“Il fuori casa per il settore bevande analcoliche rappresenta ca il 40% del fatturato del settore – evidenzia Vittorio Cino, Presidente di AssoBibe – pertanto preoccupa molto il perdurare del blocco di questo canale e delle difficoltà che si ripercuotono nella filiera. Servono rassicurazioni subito per poter ripartire, con le dovute precauzioni per la sicurezza di tutti, e per affrontare una realtà che non sarà normale per un lungo periodo. Non possiamo permetterci una visione di breve periodo sulle attività economiche che, ricordo, generano posti di lavoro. Auspichiamo quindi interventi fiscali che liberino risorse per imprese e consumatori, lavorando anche sulle aliquote Iva che per la maggior parte degli alimenti è al 4 o 10% rispetto al 22% del beverage”.

Vincenzo Caso, Presidente di Italgrob sottolinea “come la prolungata chiusura del mercato Horeca abbia di fatto azzerato la liquidità lungo la filiera, dove gli operatori più danneggiati sono proprio i distributori impossibilitati ad incassare anche i crediti pregressi al lockdown. Far riaprire i locali è una priorità, ma nel rispetto di quella sicurezza che comunque imporrà nuovi e pesanti costi. È pertanto assolutamente necessario – ribadisce Caso – che vengano riconosciuti adeguati crediti di imposta, sia per gestire i nuovi protocolli di sicurezza, ad esempio per la sanificazione degli impianti spina, sia per recuperare in parte crediti oramai inesigibili. Se il Governo non interviene prontamente sono a rischio chiusura almeno 500 aziende di distribuzione, un danno incalcolabile per tutto il sistema HoReCa”.

Enrico Zoppas, Presidente di Mineracqua chiede che, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, possano essere concesse misure eccezionali e contingenti per rilanciare i consumi “fuori casa” delle acque minerali naturali, emblema del made in Italy, e nel contempo dare adeguate garanzie occupazionali ai lavoratori della filiera.

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Fase 2, filiera del vino italiano compatta: “Riapertura giugno go? Duro colpo all’Horeca”

“Ripartire il prima possibile, pur nel pieno rispetto di tutte le misure di sicurezza e di distanziamento. Altrimenti per molte imprese del canale Horeca e cantine italiane non ci sarà alcuna fase 2“. Così la filiera del vino italiano, nel commentare la riapertura delle attività ristorative al 1° giugno, definita “un altro duro colpo per il settore”.

L’appello rivolto al Governo da parte della filiera vino – che riunisce le principali organizzazioni del settore Confagricoltura, Cia, Copagri, Unione italiana Vini, Federvini, Federdoc e Assoenologi – a pochi giorni dall’adozione delle misure contenute del nuovo Dpcm che dà il via libera alla cosiddetta fase 2 dell’emergenza Coronavirus, è unanime.

“Oggi più che mai il canale Horeca è di vitale importanza per le aziende vitivinicole, che hanno già perso irreversibilmente almeno il 30% delle vendite con danni permanenti”, sottolinea la filiera del vino.

Le disposizioni sull’allentamento del lockdown non contemplano una rapida ripresa delle attività di bar, enoteche e ristoranti, “con conseguenze disastrose non solo per gli operatori del settore, ma anche per le migliaia di piccole e medie imprese del comparto vitivinicolo nazionale già alle prese con un export quasi completamente bloccato e costrette a ricorrere alle vendite online come unica, ove possibile, via per la sopravvivenza”.

Nell’esprimere “piena solidarietà e sostegno agli operatori dell’Horeca e alle loro famiglie duramente colpite dal lockdown”, la filiera auspica dunque che il Governo, “pur nel rispetto delle indicazioni espresse dal Comitato tecnico scientifico, tenga conto delle urgenti richieste di ripartenza di questo canale e prenda in seria considerazione un ripensamento dell’impianto normativo recentemente proposto per dare una risposta concreta ad uno dei comparti più strategici e decisivi per l’economia e il turismo italiani”.

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Fase 2, Fipe contro il Governo: “Con riapertura a Giugno si rischia il fallimento della ristorazione italiana”

“I nostri dipendenti stanno ancora spettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno.” Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, attacca il Governo dopo il discorso del premier Giuseppe Conte sul piano delle riaperture per la Fase 2.

“Significano altri 9 miliardi di danni – prosegue Fipe – che portano le perdite stimate a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi. Forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro”.

Secondo Fipe sono a rischio “Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese”.

“Accontentati tutti coloro che sostenevano di non riaprire – prosegue l’attacco di Fipe – senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo. Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto”.

“Tutto questo – conclude la Federazione Italiana Pubblici Esercizi – a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma”.

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Fase 2, Fipe attacca Governo: “Ristoranti a giugno? Si troveranno solo macerie”

Federazione italiana pubblici esercizi all’attacco del Governo, dopo il discorso del premier Giuseppe Conte, in merito ai provvedimenti per la Fase 2: “La misura è colma – attacca Fipe – con ristoranti e bar aperti a giugno si troveranno solo macerie”. Le indicazioni della ristorazione, di fatto, erano per un’apertura immediata, con le precauzioni del caso.

“I nostri dipendenti stanno ancora spettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno. Significano altri 9 miliardi di danni che portano le perdite stimate a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi”.

“Forse – continua la nota della Federazione dei ristorazione – non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50 mila imprese e 350 mila persone perderanno il loro posto di lavoro”.

A rischio, secondo Fipe, “bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese”.

“Accontentati tutti coloro che sostenevano di non riaprire, senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo”, prosegue l’attacco. “Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto”.

“Tutto questo – conclude la Federazione italiana pubblici esercizi – a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma.

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Coronavirus, il protocollo di sicurezza Fipe per la ripartenza

ROMA – I ristoratori italiani sono pronti a predisporre misure immediate per favorire una riapertura il più rapida possibile delle loro attività. Le proposte contenute all’interno di un protocollo stilato da un gruppo di lavoro organizzato dalla Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sotto la supervisione scientifica di un qualificato infettivologo. Trentacinque pagine in cui si rappresentano le procedure di sicurezza da applicare in bar, ristoranti e servizi di catering.

Un metro di distanza tra i tavoli e mascherine al personale di sala e cucina, come da indicazioni delle autorità sanitarie. Accessi differenziati, dove possibile, per i clienti in entrata e quelli in uscita, pagamenti preferibilmente digitali direttamente al tavolo, monitoraggio quotidiano delle condizioni di salute dei dipendenti, pulizia e sanificazione dei locali, gel igienizzante a disposizione di tutti.

“Il mondo della ristorazione è pronto a ripartire, impegnandosi a garantire la sicurezza con uno specifico protocollo organizzativo delle attività, messo a disposizione della categoria, al fine di tutelare i rischi di contaminazione sia per i clienti che per i dipendenti – sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani –, ma è chiaro che non basterà per un ritorno immediato alla normalità. Fino a quando saranno in vigore le misure di distanziamento sociale, con le diverse modalità di fruizione dei servizi dei Pubblici Esercizi, è evidente che non si potrà lavorare a pieno regime. È dunque indispensabile che le istituzioni supportino economicamente il settore in questa fase transitoria”.

“Per realizzare questo protocollo – prosegue il presidente – abbiamo seguito le indicazioni delle autorità sanitarie e ci siamo avvalsi di una consulenza scientifica di primo livello. Abbiamo messo a disposizione delle Autorità competenti il nostro documento come riferimento operativo, ma è chiaro che abbiamo bisogno anche di molto altro supporto. Le misure di sostegno all’economia finora approntate non sono state pensate per i Pubblici Esercizi, con la conseguenza che 50mila imprese rischiano di non riaprire. Serve un segnale forte da parte dell’esecutivo, sui temi degli indennizzi per chi ha subito ingenti perdite di fatturato, della liquidità, della fiscalità, degli strumenti di protezione sociale come la cassa integrazione, oltre che interventi per le locazioni commerciali”.

“La fase due – conclude il Stoppani – dovrà essere accompagnata da provvedimenti mirati a tenere in vita la qualificata rete dei Pubblici Esercizi, con il loro grande valore, anche sociale, evitando l’esplosione dei tassi di mortalità, la dispersione di professionalità faticosamente costruite, l’infiltrazione della criminalità. Per essere chiari, un locale che vedrà ridimensionato il suo numero di coperti o comunque ridotta la sua attività, ha bisogno di sostegno, anche in tema di tributi locali. Confido e spero che il Governo predisponga calibrati interventi in aiuto del sistema turistico italiano, di cui i Pubblici Esercizi sono la componente essenziale, all’interno di un piano strategico di lungo periodo, con investimenti a supporto della domanda, con la semplificazione delle regole e l’innovazione delle politiche”.

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Fase 2, ristoranti e bar pronti a riaprire subito: tavoli a distanza, mascherine e gel

Fase 2, tutto pronto per ristoranti e bar. O quasi. Un metro di distanza tra i tavoli e mascherine al personale di sala e cucina, come da indicazioni delle autorità sanitarie. Accessi differenziati, dove possibile, per i clienti in entrata e quelli in uscita, pagamenti preferibilmente digitali direttamente al tavolo. E ancora: monitoraggio quotidiano delle condizioni di salute dei dipendenti, pulizia e sanificazione dei locali, gel igienizzante a disposizione di tutti.

Sono solo alcune delle misure che i ristoratori italiani sono pronti a predisporre immediatamente, per favorire una riapertura il più rapida possibile delle loro attività. Proposte contenute all’interno di un protocollo stilato da un gruppo di lavoro organizzato dalla Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sotto la supervisione scientifica di un qualificato infettivologo. Trentacinque pagine in cui si rappresentano le procedure di sicurezza da applicare in bar, ristoranti e servizi di catering.

“Il mondo della ristorazione è pronto a ripartire, impegnandosi a garantire la sicurezza con uno specifico protocollo organizzativo delle attività, messo a disposizione della categoria, al fine di tutelare i rischi di contaminazione sia per i clienti che per i dipendenti”, sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani.

“Ma è chiaro – avverte – che non basterà per un ritorno immediato alla normalità. Fino a quando saranno in vigore le misure di distanziamento sociale, con le diverse modalità di fruizione dei servizi dei Pubblici Esercizi, è evidente che non si potrà lavorare a pieno regime. È dunque indispensabile che le istituzioni supportino economicamente il settore in questa fase transitoria”.

Per realizzare questo protocollo – prosegue il presidente – abbiamo seguito le indicazioni delle autorità sanitarie e ci siamo avvalsi di una consulenza scientifica di primo livello. Abbiamo messo a disposizione delle Autorità competenti il nostro documento come riferimento operativo, ma è chiaro che abbiamo bisogno anche di molto altro supporto”.

“Le misure di sostegno all’economia finora approntate non sono state pensate per i Pubblici Esercizi – accusa Stoppani – con la conseguenza che 50 mila imprese rischiano di non riaprire. Serve un segnale forte da parte dell’esecutivo, sui temi degli indennizzi per chi ha subito ingenti perdite di fatturato, della liquidità, della fiscalità, degli strumenti di protezione sociale come la cassa integrazione, oltre che interventi per le locazioni commerciali”.

La fase 2 dovrà essere accompagnata da provvedimenti mirati a tenere in vita la qualificata rete dei Pubblici Esercizi, con il loro grande valore, anche sociale, evitando l’esplosione dei tassi di mortalità, la dispersione di professionalità faticosamente costruite, l’infiltrazione della criminalità”.

“Per essere chiari, un locale che vedrà ridimensionato il suo numero di coperti o comunque ridotta la sua attività, ha bisogno di sostegno, anche in tema di tributi locali”, sottolinea Stoppani.

“Confido e spero che il Governo predisponga calibrati interventi in aiuto del sistema turistico italiano – conclude il numero uno di Fipe – di cui i Pubblici Esercizi sono la componente essenziale, all’interno di un piano strategico di lungo periodo, con investimenti a supporto della domanda, con la semplificazione delle regole e l’innovazione delle politiche”.

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Emergenza covid-19: le richieste delle aziende della ristorazione in viaggio

MILANO – Le aziende – rappresentate da Aigrim – della ristorazione in concessione nelle aree di servizio autostradali, negli aeroporti e nelle stazioni ferroviariesi si trovano ad affrontare una pesante crisi economica.

Le imprese del settore svolgono un fondamentale servizio pubblico e, soprattutto sulle autostrade, proseguono nel garantire i servizi di ristorazione, nonostante un calo dei volumi tra l’85% e il 90% a seconda delle tratte. Il contesto del comparto è caratterizzato quindi da un sostanziale azzeramento dei volumi di vendita con forti perdite di liquidità.

A ciò si aggiungono gli impegni economici legati ai contratti di sub concessione stipulati con le diverse concessionarie autostradali, aeroportuali e ferroviarie. Tali contratti impongono canoni fissi e variabili, costi di gestione e investimenti dimensionati su volumi ad oggi non più esistenti.

Al momento le risposte da parte di alcune società concedenti aeroportuali ed autostradali sono risultate insufficienti per garantire la continuità del settore. Aigrim ha pertanto formulato delle proposte da applicarsi a tutto il periodo della ripresa, e non solo ai pochi mesi dell’emergenza allo scopo di salvaguardare le attività di ristorazione in concessione e i connessi posti di lavoro.

LE PROPOSTE DI AIGRIM

1) FASE DI EMERGENZA:
a) Azzeramento di tutti i canoni fissi, variabili e dei costi accessori.
b) Riconoscimento, da parte del Governo, del sovvenzionamento della parte di servizio pubblico.

2) FASE DELLA RIPRESA, FINO AL RITORNO AI VOLUMI PRE COVID-19:
a) Ripristino di soli canoni variabili a valori calmierati o comunque proporzionati al calo dei volumi.
b) Contributo alle spese di gestione delle aree in concessione.
c) Dilazione dei termini di pagamento affinché siano minimizzati gli impatti sulla liquidità dell’intero settore.
d) Sospensione di tutti gli investimenti, fatta eccezione per le attività di manutenzione non differibili e sospensione di tutte le nuove procedure di gara per l’intero anno 2020.
e) Proroga di tutte le Convenzioni in essere per un periodo minimo di 12 mesi e comunque per il tempo necessario alla remunerazione degli investimenti effettuati.

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Emergenza covid-19: le richieste delle aziende della ristorazione in viaggio

MILANO – Le aziende della ristorazione in concessione nelle aree di servizio autostradali, negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie – rappresentato da Aigrim – si trovano ad affrontare una crisi economica senza precedenti.

Le imprese del settore svolgono un fondamentale servizio pubblico e, soprattutto sulle autostrade, proseguono nel garantire i servizi di ristorazione, nonostante un calo dei volumi tra l’85% e il 90% a seconda delle tratte. Il contesto del comparto è caratterizzato quindi da un sostanziale azzeramento dei volumi di vendita con forti perdite di liquidità.

A ciò si aggiungono gli impegni economici legati ai contratti di sub concessione stipulati con le diverse concessionarie autostradali, aeroportuali e ferroviarie. Tali contratti impongono canoni fissi e variabili, costi di gestione e investimenti dimensionati su volumi ad oggi non più esistenti.

Al momento le risposte da parte di alcune società concedenti aeroportuali ed autostradali sono risultate insufficienti per garantire la continuità del settore. Aigrim ha pertanto formulato delle proposte da applicarsi a tutto il periodo della ripresa, e non solo ai pochi mesi dell’emergenza allo scopo di salvaguardare le attività di ristorazione in concessione e i connessi posti di lavoro.

LE PROPOSTE DI AIGRIM

1) FASE DI EMERGENZA:
a) Azzeramento di tutti i canoni fissi, variabili e dei costi accessori.
b) Riconoscimento, da parte del Governo, del sovvenzionamento della parte di servizio pubblico.

2) FASE DELLA RIPRESA, FINO AL RITORNO AI VOLUMI PRE COVID-19:
a) Ripristino di soli canoni variabili a valori calmierati o comunque proporzionati al calo dei volumi.
b) Contributo alle spese di gestione delle aree in concessione.
c) Dilazione dei termini di pagamento affinché siano minimizzati gli impatti sulla liquidità dell’intero settore.
d) Sospensione di tutti gli investimenti, fatta eccezione per le attività di manutenzione non differibili e sospensione di tutte le nuove procedure di gara per l’intero anno 2020.
e) Proroga di tutte le Convenzioni in essere per un periodo minimo di 12 mesi e comunque per il tempo necessario alla remunerazione degli investimenti effettuati.

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Pronto il debutto delle caramelle firmate Herbamelle-Fabbri 1905

BOLOGNA – Operazione di co-branding tra Herbamelle Milano e Fabbri 1905. I due marchi si uniscono per creare due novità: una caramella dal morbido cuore di Amarena Fabbri, unica nel suo genere, e un gioiello verde che racchiude la menta più fresca, il sapore dell’estate.

“Abbiamo creato due novità di altissima qualità sfruttando la sinergia tra i due prodotti, la nostra esperienza nel mondo caramelle e la tradizione centenaria di Fabbri 1905 – ha dichiarato Andrea Ambrosoli, fondatore e AD di Herbamelle – Insieme abbiamo costruito due buste con l’iconico marchio Amarena Fabbri e Menta Fabbri“.

“Il prodotto è già stato proposto a un panel importante di consumatori con un successo al di là delle aspettative sia per propensione all’acquisto che per gradimento dei gusti delle caramelle stesse – ha aggiunto Ambrosoli – Riteniamo di aver creato in collaborazione con Fabbri due caramelle davvero iconiche che stanno già facendo il loro ingresso nella Gdo più qualificata. In più vi anticipiamo che siamo già stati insigniti, per queste due nuove proposte, del prestigioso premio Quality Award 2020“.

“Abbiamo sposato con grande entusiasmo il progetto Herbamelle-Fabbri, abbiamo fornito le nostre materie prime d’eccellenza per creare con Herbamelle due caramelle che ben rappresentassero la qualità di menta e Amarena Fabbri, prodotti ormai entrati nella storia dell’alimen-tare italiano” – ha dichiarato Nicola Fabbri, amministratore delegato della celebre casa bolognese di sciroppi.

Particolarmente apprezzate dal pubblico, le caramelle Herbamelle sono note per qualità e packaging. Grazie alla collaborazione con Fabbri, l’azienda fa un passo in più e dà vita alle nuove proposte firmate Amarena Fabbri e Menta Fabbri.

Nella caramella Amarena Fabbri il dolce si sposa con il leggero acidulo del frutto creando un’armonia di sapori. Un piacere inatteso e sorprendente. La caramella Menta Fabbri ha tutto il sapore della migliore menta del Piemonte, quella da sempre scelta da Fabbri per i suoi sciroppi, un must dell’estate che da oggi si potrà ritrovare in questa morbida caramella.

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Pronto il debutto delle caramelle firmate Herbamelle-Fabbri 1905

BOLOGNA – Due marchi del dolciario italiano, Herbamelle Milano e Fabbri 1905, si uniscono per creare un progetto innovativo nel mondo caramelle. L’operazione di co-branding tra i due marchi ha dato vita a due novità: da un lato, una caramella dal morbido cuore di Amarena Fabbri, unica nel suo genere. Dall’altro, un “gioiello” verde che racchiude la menta più fresca: il sapore dell’estate.

“Abbiamo creato due novità di altissima qualità sfruttando la sinergia tra i due prodotti, la nostra esperienza nel mondo caramelle e la tradizione centenaria di Fabbri 1905 – ha dichiarato Andrea Ambrosoli, fondatore e ad di Herbamelle Milano –  insieme abbiamo costruito due buste con l’iconico marchio Amarena Fabbri e Menta Fabbri“.

“Il prodotto è già stato proposto a un panel importante di consumatori con un successo al di là delle aspettative sia per propensione all’acquisto che per gradimento dei gusti delle caramelle stesse – ha aggiunto Ambrosoli – Riteniamo di aver creato in collaborazione con Fabbri due caramelle davvero iconiche che stanno già facendo il loro ingresso nella Gdo più qualificata. In più vi anticipiamo che siamo già stati insigniti, per queste due nuove proposte, del prestigioso premio Quality Award 2020“.

“Abbiamo sposato con grande entusiasmo il progetto Herbamelle-Fabbri e fornito le nostre materie prime d’eccellenza per creare con Herbamelle due caramelle che ben rappresentassero la qualità di menta e Amarena Fabbri, prodotti ormai entrati nella storia dell’alimentare italiano“, ha dichiarato Nicola Fabbri, amministratore delegato della celebre casa bolognese di sciroppi.

Particolarmente apprezzate dal pubblico, le caramelle Herbamelle sono note per qualità e packaging. Grazie alla collaborazione con Fabbri, l’azienda fa un passo in più e dà vita alle nuove proposte firmate Amarena Fabbri e Menta Fabbri.

In particolare, nella caramella Amarena Fabbri il dolce si sposa con il leggero acidulo del frutto, creando armonia. La caramella Menta Fabbri ha tutto il sapore della migliore menta del Piemonte, quella da sempre scelta da Fabbri per i suoi sciroppi, un must dell’estate che da oggi si potrà ritrovare in questa morbida caramella.

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Istituto Espresso Italiano: “Bar e posti di lavoro a rischio con la ‘Fase 2’ di Covid-19”

Preoccupazione tra gli operatori dell’ospitalità per la “Fase 2” dell’emergenza Covid-19. A lanciare l’allarme, unendosi al coro delle associazioni del settore, l’Istituto Espresso Italiano (Iei), che con il suo marchio riconoscibile in Italia e all’estero è tra i principali promotori del settore (34 aziende aderenti e un fatturato che si aggira sui 700 milioni di euro).

La preoccupazione più grande nasce dai rumors sugli indirizzi che il Governo lancerà con i prossimi decreti, la cosiddetta “Fase 2”, che potrebbero mettere in coda alla ripresa la riapertura di esercizi pubblici come bar e ristoranti.

“Questa situazione drammatica – afferma Luigi Morello, presidente dell’Istituto Espresso Italiano – riguarda tutti i lavoratori del comparto, ma noi siamo preoccupati soprattutto per i più giovani che negli ultimi anni hanno investito sempre di più energie e risorse in questo settore di tendenza”.

“Naturale che saremo tutti chiamati a rispettare le disposizioni del governo, ma i danni di una riapertura tardiva saranno pagati dalla generazione che rappresenta il futuro dell’ospitalità italiana, tra l’altro quella che ha dimostrato segni di grande vivacità e amore per il proprio lavoro”, conclude Morello.

Con oltre 149 mila bar sparsi in Italia, ogni giorno vengono serviti in media 175 caffè, cioè il 32,5% di fatturato del bar. Il mercato del caffè (bar, ristoranti e hotel) sfiora i 2 miliardi di euro all’anno.

In sei regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Campania) si concentrano i due terzi delle imprese del settore. Il 54,2% di queste imprese è una ditta individuale e la variabilità regionale intorno a questo valore è assai sostenuta.

La forbice va dal valore minimo dell’Umbria (43,1%) a quello massimo della Calabria (77,3%). Il 31,3% delle imprese sono società di persone, mentre la quota delle società di capitale è di poco al di sopra del 13%.

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Biodiversità? Valore da difendere. Appello internazionale di Fondazione Mach

C’è anche Cristiano Vernesi della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN) tra i 20 ricercatori internazionali impegnati a promuovere un’azione globale in difesa della biodiversità. Un vero e proprio “piano di azione“, utile a “proteggere la diversità genetica di tutte le specie animali e vegetali sul pianeta”.

“L’assunto di partenza – spiega Vernesi – è molto semplice: solo in presenza di una sufficiente diversità genetica le popolazioni naturali di qualsiasi specie possono affrontare la sfida del cambiamento globale ovvero del cambiamento del clima e dell’uso del suolo“.

L’appello dei ricercatori, deciso nel corso di una recente Training School della Cost Action G-BiKE – presieduta proprio da Cristiano Vernesi di Fondazione Edmund Mach – ha raccolto molta attenzione da parte della comunità scientifica.

Il gruppo di circa 20 ricercatori da tutto il mondo ha dunque inviato una lettera – pubblicata di recente sulla rivista Science – in cui si afferma che “la diversità genetica dovrebbe essere messa al centro per tutte le specie, siano esse selvatiche o no, in ogni programma di gestione e conservazione della biodiversità”.

Nuovi obiettivi saranno concordati alla Convenzione sulla diversità biologica in programma nel mese di ottobre. Sempre secondo i ricercatori, occorre infatti dare un nuovo corso al summit mondiale svoltosi nel 1992.

A Rio de Janeiro, i leader mondiali concordarono una strategia globale di “sviluppo sostenibile” che include tra i suoi pilastri fondamentali proprio la Convenzione sulla Diversità Biologica.

Un documento sottoscritto, ad oggi, da 193 Paesi, noto per aver portato alla definizione di biodiversità come la conosciamo oggi. In questo quadro, la Conferenza delle Parti (Cop) – l’organo chiamato ad approvare le raccomandazioni formulate dal Comitato Scientifico e Tecnico (Cst) – ha recentemente concordato e pubblicato una prima bozza sulla strategia post-2020.

Secondo Fondazione Edmund Mach e gli altri esperti internazionali, “la diversità genetica sarebbe però menzionata tangenzialmente e soprattutto sarebbe esclusivamente riferita alle specie domestiche e di interesse agricolo”. Da qui la necessità di intensificare l’impegno per la difesa globale della biodiversità.

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Ristoranti e alberghi in ginocchio: nel 2020 -16,7 miliardi di euro di fatturato

Il lockdown disposto per contenere i contagi da Covid-19 porterà nel 2020 in Italia ad un crollo del fatturato per le srl del settore Ristoranti e Alberghi (72.748 società che nel 2019 hanno fatturato 37,8 miliardi di euro), di 16,7 miliardi di euro, pari ad un calo, rispetto al 2019, del -44,1%.

Un altro grido dall’allarme, quindi, dopo quello lanciato dalla Federazione Italiana dei Distributori di Horeca (Italgrob). In particolare, il comparto della ricettività alberghiera è colpito da una perdita di 7,9 miliardi di euro, pari a -53,8%, mentre la ristorazione da una contrazione di 8,8 miliardi di euro pari a -37,9%.

A livello regionale la più colpita la Lombardia con un calo di 3,5 miliardi di euro, seguita dal Lazio con -2,7 miliardi di euro e dal Veneto con -1,6 miliardi di euro. Sono le stime quantificate dall’Osservatorio sui bilanci 2018 delle Srl del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

L’impatto è dovuto sia al calo della domanda che ha colpito il settore ancora prima che scattasse l’emergenza in Italia, sia al blocco delle attività imposto per decreto, al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria.

La stima è stata condotta su un campione di società includendo tutte le Srl che hanno presentato almeno un bilancio nel ultimo triennio disponibile (2016-2018). Si tratta, in questo caso, di 72.748 società (53.145 operanti nel settore della ristorazione e 19.063 operanti nel settore ricettivo) alle quali è imputabile un volume complessivo di ricavi pari a 37,8 miliardi di euro nel 2019.

Le stime qui presentate sono relative ai soli bilanci delle Srl del settore Ristorante e alberghi e non sono, pertanto, riferibili all’intero settore che, sulla base di dati Istat 2017 è costituito da circa 328 mila imprese, tra cui circa 160 mila ditte individuali e 90 mila società di persone oltre a quasi 3 mila cooperative.

Le quantificazioni sono state condotte sulla base di alcune ipotesi relative all’impatto della crisi provocata dall’emergenza Coronavirus separatamente per le Srl del comparto “Alloggio” e per quelle del comparto “Ristorazione“. In particolare, per il primo si è tenuto conto della forte stagionalità dell’attività produttiva, adoperando i dati Istat sui flussi turistici 2019 stagionalizzati per trimestre.

Per ottenere le stime finali sui bilanci annuali, sono state utilizzate due differenti misure di impatto mensili per i comparti di cui sopra, costruite tenendo conto del blocco delle attività nei mesi di marzo e aprile e della graduale ripresa dell’attività nei mesi successivi.

Le ipotesi impiegate hanno previsto cali di attività sin dal mese di gennaio 2020. Si è tenuto conto, in particolare per il settore della ristorazione, di attività in continuità anche nei mesi di lockdown (per esempio per cibi da asporto o per particolari servizi di catering e mense) e, in ogni caso, di una non completa ripresa dell’attività produttiva fino a dicembre 2020.

Una crisi improvvisa per un settore in crescita. Dall’Osservatorio infatti emerge come nel 2018 in Italia, gli addetti e i ricavi aumentavano rispettivamente del +5,9% e del +5,7% rispetto all’anno precedente seguendo una tendenza positiva dell’ultimo periodo.

Tra i singoli comparti produttivi spiccava la performance di ristoranti e attività di ristorazione mobile mentre l’andamento per macro aree territoriali registrava la più alta crescita di fatturato nel Sud (+6,4%) e nel Nord Ovest per quanto riguarda il valore aggiunto(+7,9%).

A livello regionale sul podio si posizionava la Basilicata con la crescita più elevata del fatturato del settore Ristoranti e Alberghi nel 2018 (+9,4%), seguita dalla Sicilia (+7,1%), dall’Emilia Romagna (7%) e dalla Campania (+7%).

Le regioni che invece mostravano i cali più significativi dei tassi di crescita del fatturato nel 2018 rispetto al 2017 l’Abruzzo (-5,7%), il Molise (-3,7%), la Lombardia (-3,2%) e la Sardegna (-3,2%), pur rimanendo comunque in territorio positivo. Tra tutte, si segnala il Molise, unica regione a presentare una decrescita del fatturato nel 2018 rispetto al 2017 (- 0,4%).

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Knam lancia la Cake’s Anatomy Challenge per riempire di dolcezza gli ospedali italiani

Ernst Knam ha lanciato attraverso i suoi social la Cake’s Anatomy Challenge: una sfida ai pasticceri di tutta Italia, a cui ha dato vita insieme alla moglie Alessandra “Frau Knam”, con l’obiettivo di “riempire di dolcezza” tutti gli ospedali italiani, oggi nel pieno dell’emergenza Covid-19.

Superato il momento critico, lo chef regalerà a tutti gli ospedali di Milano una sua creazione formato maxi: una grande crostata al cioccolatoFrau Knam Señorita 72“, il cioccolato di altissima qualità che lui stesso ha selezionato e importato dal Perù.

Nel post, Knam invita a partecipare alla challenge i pasticceri di tutta Italia, chiedendo loro che dolce pensano di portare negli ospedali della loro città. Conclude il post taggando Iginio Massari, Ampi (Accademia Maestri Pasticceri Italiani), Luigi Biasetto, Sal De Riso, Roberto Rinaldini, Leonardo Di Carlo.

E ancora Pasticceria Martesana, Gino Fabbri Pasticcere – La Caramella, Fabrizio Galla – Master Pastry Chef & Chocolatier, Luca Montersino, Gianluca Fusto, Davide Comaschi e Emmanuele Forcone. La domanda, per tutti, è: “Chi di voi è con me?”.

“Di solito – si legge nel post di Ernst Knam – quando in rete qualcosa ha successo e viene seguito da tante persone, si dice che è diventato ‘virale’. Basta con questa parola. Stiamo imparando tutti che nella vita, quella vera, conta chi combatte ciò che è virale, ogni giorno, per ciascuno di noi”.

Tutti i giorni accendo la tv apro la finestra, parlo con persone e mi rendo conto di quanto siamo fortunati ad avere medici infermieri, operatori sanitari, paramedici e tutte le persone che in prima linea rischiano la propria vita per aiutarci a vincere questa guerra contro un nemico invisibile. Io faccio dolci, regalo sorrisi”.

“Loro…loro fanno molto di più, salvano vite. Allora, ho pensato…perché non promettiamo a tutti loro che, appena la situazione ce lo permetterà, che passerà anche, tanto, per merito loro, noi pasticceri proveremo a regalargli qualche sorriso?”, conclude Knam.

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