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Mozzarella di Bufala Campana Dop: missione export

Missione all’estero per il Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop. Ottobre sarà dedicato agli eventi internazionali, a partire dall’Esposizione Universale di Dubai fino alla fiera Anuga di Colonia. L’obiettivo è consolidare il trend positivo dell’export della Bufala Dop.

Nel 2020 le esportazioni hanno fatto segnare un +9,7%, raggiungendo il 37% del totale della produzione, che vuol dire quasi 20 mila tonnellate di mozzarella Dop arrivate sulle tavole di tutto il mondo. Francia, Germania e Spagna sono i Paesi sul podio dell’export.

L’identikit del consumatore all’estero di mozzarella Dop è stato tracciato da una recente ricerca di Nomisma per il Consorzio di Tutela. È un lavoratore con titolo di studio alto, reddito medio-alto, con figli minori di 12 anni ed è stato in Italia. Ecco il calendario di appuntamenti del Consorzio nel mese di ottobre.

EXPO DUBAI (1 OTTOBRE 2021 – 31 MARZO 2022)

La prima tappa all’estero del Consorzio è all’Expo di Dubai, inaugurato lo scorso 1 ottobre, dove sono pronti a fare squadra i grandi formaggi Dop italiani. La mozzarella di bufala campana partecipa infatti alla collettiva di Afidop (l’associazione dei formaggi Dop italiani) a cui prendono parte anche i Consorzi di Tutela del Grana Padano, Gorgonzola e Pecorino romano.

La Bufala Dop sarà presente a M-Eating Italy, uno spazio pensato per trasmettere l’esperienza italiana nelle sue aree di eccellenza. Lo spazio M-Eating Italy sarà il contesto per far conoscere i formaggi Dop italiani, le loro caratteristiche, la loro storia, la grande capacità di trasformazione delle imprese italiane e il loro valore.

Durante i sei mesi di Esposizione universale, saranno organizzati una serie di appuntamenti che uniranno degustazioni “in purezza” a veri e propri show cooking.

«Presentarsi uniti e compatti al primo e più importante evento internazionale post-pandemia è un valore aggiunto per i nostri grandi formaggi Dop. Per noi è strategico continuare a crescere nei prossimi anni, anche nei mercati lontani». Dichiara Domenico Raimondo, presidente del Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop.

«I consumatori ci chiedono una ulteriore attenzione ai temi della qualità e della sostenibilità. Temi su cui siamo già al lavoro e che ci consentiranno di conquistare anche i consumatori di domani nel mondo». Conclude Raimondo.

ANUGA, CAOLONIA (GERMANIA) 9 – 13 OTTOBRE 2021

L’altro appuntamento internazionale di ottobre è la fiera Anuga di Colonia, in Germania, la principale manifestazione europea per il Food&Beverage. Il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop avrà uno spazio al padiglione 10.1 Stand H22-G23. Anche in questo caso sotto l’egida di Afidop, insieme ad altri 4 Consorzi italiani: Grana Padano, Taleggio, Asiago e Gorgonzola.

Durante la rassegna, lo stand ospiterà tre masterclass guidate da uno chef, un sommelier e una performer. Un occasione per presentare, spiegare e far degustare la Bufala Campana e gli altri formaggi Dop coinvolti. In particolare il 10 ottobre Domenico Gentile, chef, formatore di origine italiane e autore di un fortunato libro di cucina in Germania, nel suo show cooking presenterà cinque ricette originali con i formaggi di eccellenza.

L’11 ottobre invece sarà la volta di Claudia Stern, sommelier tedesca, redattrice della rivista tedesca specializzata Vinum e membro della Sommelier Union Germany. Stern spiegherà i migliori abbinamenti di vino con i 5 prodotti Dop. A guidare l’ultima masterclass del 12 ottobre ci sarà infine Stefania Lettini, chef, formatrice, youtuber che presenterà uno storytelling dei 5 formaggi attraverso il racconto e la degustazione guidata.

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Raddoppiato l’export di olio italiano in vent’anni

Le esportazioni di olio d’oliva Made in Italy nel mondo sono raddoppiate (+100%) in valore negli ultimi venti anni. Un’accelerazione impressa dalla svolta green a tavola verso il consumo di prodotti salutistici legata alla pandemia Covid. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti su dati Istat relativi al primo semestre del 2021.

Con 315 milioni di chili l’Italia si colloca come secondo produttore mondiale dietro la Spagna il cui raccolto oscilla fra 1,25 a 1,35 miliardi di chili. Al terzo posto la Tunisia con una campagna normale da 250 milioni di chili. Al quarto posto scende la Grecia in cui si prospetta una delle campagne più brutte dal dopoguerra, con la produzione che dovrebbe sfiorare i 200 milioni di chili come quella in lieve calo della Turchia.

IL MERCATO MONDIALE

A sostenere la domanda mondiale è la ricerca di alimentari sani e sostenibili determinata dall’emergenza sanitaria. Gli effetti positivi sulla salute associati al consumo di olio di oliva provati da numerosi studi scientifici. Effetti positivi che hanno fatto impennare le richieste di quel segmento di popolazione che nel mondo è attento alla qualità della propria alimentazione. Un incremento degli acquisti in valore del 5% nei primi sei mesi del 2021.

Quasi la metà di tutto l’olio tricolore esportato nel mondo finisce nei Paesi dell’Unione Europea, dove gli arrivi sono aumentati del 98% nell’arco del ventennio. Ma è in Asia che si registra l’impennata più significativa, con le esportazioni che sono quasi triplicate (+162%).

Il principale mercato di sbocco per l’extravergine tricolore si conferma quello degli Stati Uniti che assorbono da soli quasi un terzo del totale, con un incremento del 73% in 20 anni. Al secondo posto si piazza la Germania (+95%) davanti a Francia, Gran Bretagna e Giappone.

L’OLIO ITALIANO E LA SANA ALIMENTAZIONE

Il boom dell’olio italiano spinge anche i consumi totali che nel mondo sono arrivati a 3,2 miliardi di chili. Secondo un’analisi Coldiretti su dati Coi relativi all’ultimo anno, sono gli americani in cima alla classifica grazie ai 357 milioni di chili che sono finiti sulle tavole.

Merito anche del fatto che l’extravergine tricolore è il simbolo della Dieta Mediterranea che si è classificata come migliore dieta al mondo del 2021 su 35 regimi alimentari presi in considerazione da U.S. News & World’s Report’s.

Un successo sul quale pesa però la minaccia a livello internazionale dalla diffusione di sistemi di etichettatura fuorvianti, discriminatori ed incompleti. Il traffic light inglese e il nutriscore francese finiscono per mettere il bollino rosso ed escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali. Alimenti da secoli sono presenti sulle tavole. Il tutto per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta.

«Si rischia di promuovere cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e di bocciare elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva considerato il simbolo della dieta mediterranea», denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

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Agricola Mos, Miglior cantina Nord Italia 2022 WineMag.it: il Trentino del futuro

Valle di Cembra, profondo Trentino. Sponda sinistra del fiume Adige, su per le viottole strette che si aprono su un palco di vigneti eroici, a picco sul torrente Avisio. È qui che Luca Moser e il cugino Federico Ferretti hanno deciso di realizzare il sogno della loro vita: una cantina artigianale, capace di valorizzare terroir, varietà, filosofie e persone come loro: genuine.

AGRICOLA MOS: IL TRENTINO DEL FUTURO

Agricola Mos è una realtà relativamente nuova. È stata fondata nel 2018 dai due giovani cugini, che lavorano a mano tutti e 5 gli ettari di vigneti di proprietà. Terre aspre, dure, difficili, impossibili da immaginare “a frutto” senza passione, quelle che si trovano a Cembra-Lisignago. Un gioco da ragazzi, in confronto, condurre l’altro appezzamento più a valle a Terre d’Adige (Zambana).

È con i propri vini di montagna che Mos guadagna il riconoscimento di cantina dell’anno Nord Italia 2022 per Winemag.it, all’interno della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022. Schiava, Riesling Renano e Chardonnay convincono per la verticalità moderna del sorso, la lavorazione autentica, la precisione enologica che diventa caposaldo per proporre un terroir ancora poco noto al grande pubblico.

È il Trentino del futuro, quello di Luca Moser e Federico Ferretti. È il Trentino dei giovani che fanno impresa col sudore e la fatica. Il Trentino che crede nelle proprie forze e parte da zero, dalla vigna alla rete commerciale
ancora pressoché inesistente.

È il Trentino che noi di WineMag.it ci auguriamo di vedere nei migliori ristoranti e winebar della nostra Milano, così come a Roma, Firenze, Palermo… Non sarà un gioco da ragazzi. O forse sì.

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Cantine degustati da noi news news ed eventi vini#02

Marco Battaglino dall’Osteria alla cantina BriccoBracchi: Dogliani da favola, aspettando Timorasso e Freisa

C’è chi sogna e chi fa. Chi blatera e chi costruisce futuro, mattone per mattone. Dopo aver dato vita 9 anni fa a Osteria Battaglino, insieme «storia d’amore», «luogo dell’anima» e «favola snob», il ristoratore piemontese Marco Battaglino ha deciso di giocare a fare (anche) il vignaiolo. Un «gioco fatto bene, però», tiene a sottolineare. A dargli ragione è un Dogliani Docg 2020 da favola, dal nome di fantasia inequivocabile: “Diavolo Rosso“. E un Timorasso macerato 2021 che promette faville, dopo le prove del 2019 e 2020. Lo ha chiamato “Vento in faccia“. E neppure questo è un caso.

Un amore grande per le poesie in musica di Paolo Conte; e una fidanzata, Sara Calcagno, che è piombata nella vita di Marco Battaglino al momento giusto. Ma soprattutto dal posto giusto. Le prime vinificazioni di uno degli ultimi vignaioli provetti italiani risalgono a cinque anni fa. A ospitarle proprio San Fereolo, la cantina-icona di Dogliani guidata da Nicoletta Bocca, dove Sara lavora.

A far battere forte il cuore a Battaglino è il Timorasso, sovrainnestato a BriccoBracchi – vecchio podere che domina una collina, a 500 metri di altitudine – su piante di Dolcetto di 60 anni. Una parte del vigneto che dà vita al Dogliani “Diavolo Rosso” è stata sacrificata nel nome di un sogno. Anzi, di una visione.

«Se penso ai vini che mi piacciono davvero – rivela il ristoratore Marco Battaglino – non posso non citare quelli del Carso e della Slovenia, in particolare i vini bianchi macerati. Per questo, contro il parere di tutti, ho piantato Timorasso in una vigna esposta a sud-sud ovest, il cui punto forte sono i terreni magri, marnosi. L’ideale per proporre un vino di Langa diverso, che si avvicini a certe interpretazioni dei Colli Tortonesi o ai bianchi di altre zone a me care, in attesa peraltro dell’arrivo delle anfore Artenova da Impruneta».

BRICCOBRACCO: DOLCETTO, TIMORASSO E (DOMANI) LA FREISA

Da qui il nome “Vento in faccia”. Sull’etichetta, due cani razza Bracco in sidecar. «Sono i miei due Bracchi, i due difensori di BriccoBracco, il nostro podere. In realtà, un modo per simboleggiare il nostro sogno. Il “vento in faccia” ce l’abbiamo noi, in quest’avventura da produttori di vino. È l’dea di un progetto nuovo, che parte. È il sentirsi vivo, la voglia di fare».

Nel nome di fantasia, anche l’ennesimo richiamo agli amati Colli Tortonesi, territorio dal quale Marco Battaglino ha attinto le uve per le prime prove di vinificazione, che oggi trovano spazio da Gabriele Cordero, a Priocca (CN).

«Il “vento in faccia” – aggiunge Battaglino – è lo stesso che bacia le vigne di Timorasso nella loro zona d’elezione, l’Alessandrino. Mentre il “Diavolo rosso” non poteva che essere il Dolcetto: il vino di Dogliani che non si “degusta”, si “beve”. Un rosso che sporca le labbra, riempie la bocca. E non sta lì a farsi girare troppo nel calice».

L’immediatezza, modernità e spensieratezza – tutto tranne che banale – del calice di Diavolo Rosso spingerà il neo vignaiolo e ristoratore di Dogliani a inserire una terza varietà nel parco vigneti della cantina BriccoBracchi.

«Io e la mia fidanzata – annuncia Marco Battaglino a WineMag.it – ci siamo dati come obiettivo quello di raggiungere un massimo di 1,5 ettari, tra cui non potrà mancare qualche filare da dedicare alla Freisa. È un’altra varietà in cui crediamo molto, che potrà completare la gamma dando profondità. Un vino da attendere negli anni, a differenza dell’immediata godibilità del Dolcetto».

Altro “vento in faccia”, insomma. E il compare perfetto per quel “Diavolo rosso” da bere a canna. Il tutto mentre la cantina ha già trovato un distributore: l’attentissimo Graziano Cipriano di Darvin Selezione (Torino). Una storia nella storia, tutta da scoprire.

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Festa del Torrone: dal 13 al 21 novembre a Cremona

Confermata l’edizione 2021 della Festa del Torrone, appuntamento imperdibile tra le vie del centro di Cremona che torna nella sua versione integrale di 9 giorni dal 13 al 21 novembre con un ricco palinsesto di appuntamenti, showcooking, degustazioni e maxi costruzioni di torrone.

«Torna quest’anno nel format consueto la Festa del Torrone –  racconta Gianluca Galimberti, Sindaco di Cremona -. La manifestazione da oltre vent’anni anima il centro storico di Cremona con appuntamenti che invadono le vie di profumi e sapori grazie al coinvolgimento delle aziende produttrici del territorio».

IL FORMAT

Dulcis in fundo” è il tema che accomuna i vari momenti dell’edizione 2021. Tema che ha un triplice significato: la evidente dolcezza del torrone. Un segno di positività: alla fine arriva sempre qualcosa di buono. Infine un segno di speranza: qualcosa di bello e inaspettato. Un modo per esorcizzare la pandemia.

Non mancheranno le sfide tra chef. In uno show cooking “in rosa” quattro chef donna in rappresentanza delle province del circuito East Lombardy – Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova – si sfideranno nell’elaborazione di un menù completo in cui dovranno usare esclusivamente prodotti tipici del proprio territorio.

Un esperimento di quest’anno sarà il fuori torrone con un parterre di scrittori, artisti ed esponenti del mondo culturale. Non mancheranno maxi sculture di Torrone realizzata da Mirco Della Vecchia, premiazioni, disfide, showcooking e tanto altro, oltre al grande ritorno del treno a vapore che partirà da Milano con destinazione Cremona con un convoglio di carrozze degli anni Trenta con assaggi di torrone nel tragitto.

TORRONE & TURISMO

«Unire le eccellenze enogastronomiche della nostra Lombardia alla valorizzazione di luoghi e città d’arte significa compiere un’operazione di marketing territoriale straordinaria. – Spiega Lara Magoni, Assessore al Turismo, Marketing Territoriale e Moda Regione Lombardia -. Ecco perché eventi come la Festa del Torrone sono di fondamentale importanza per il rilancio del turismo».

«Mantenere vive tradizioni antiche e sapori tramandati di generazione in generazione permette di far apprezzare a milioni di visitatori le eccellenze del Made in Italy. Enogastronomia e cultura, grazie al Museo del Violino, sono un vanto a livello internazionale», conclude l’Assessore.

«L’evento rappresenta un grande segnale di ripresa economica anche per l’indotto. Accanto agli eventi ci sono le imprese dell’accoglienza, le strutture ricettive e i negozi. Guide turistiche e i progetti di promozione culturale che esaltano i nostri prodotti tipici». Sottolinea Barbara Manfredini, Assessore al Turismo, City Branding e Sicurezza al Comune di Cremona.

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Orto San Frediano, la prima garden kitchen di Firenze

Nel cuore dell’Oltrarno, da un’idea della chef Enrica Della Martira, nasce “Orto San Frediano“. La prima garden kitchen fiorentina. Uno spazio di nuova concezione in cui la passione per la cucina prende forme inedite e coinvolgenti.

Il progetto, concepito durante i lunghi mesi del lockdown, è fortemente connesso al luogo in cui sorge, il Giardino Torrini. Un’area verde di 3.500 metri quadrati, che fino agli anni ottanta è stato sede di un importante vivaio di proprietà della famiglia.

Lo spazio è stato completamente riqualificato nel rispetto del paesaggio, della sua vocazione e dei suoi elementi storici più preziosi, come un uliveto secolare che ancora produce ottimo olio. Orto San Frediano apre dunque alla città le porte del Giardino Torrini, a pochi giorni dal G20 dedicato all’agricoltura, per offrire molteplici esperienze di gusto e di bellezza. Uno scambio continuo tra il dentro e il fuori.

LA LOCATION

«Un’opera che recupera un terreno nel cuore di Firenze rimasto finora nascosto – ha detto l’assessore all’Urbanistica e ambiente Cecilia Del Re – e che connette anche due importanti parti dell’Oltrarno come via Pisana e lungarno Santa Rosa».

La garden kitchen, quartier generale di Enrica Della Martira, ruota intorno all’orto-giardino, disegnato e allestito dal vivaista Paolo Mati (Mati 1909). In cucina, esperienza, professionalità e creatività incontrano la freschezza dei vegetali a chilometro zero. Il potager circonda le antiche serre trasformate dall’architetto Tommaso Villa (Art of Building) in luoghi di convivialità easy chic, scambio e apprendimento.

Orto San Frediano nasce dal desiderio di raccontare nuove storie in cucina. Una realtà con molte “anime”, aperta alle contaminazioni e in continuo divenire. Orto San Frediano è anche e soprattutto una scuola di cucina innovativa nella quale convergono le diverse esperienze che Enrica ha maturato in anni di attività e di collaborazioni.

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Apre a Roma Casadora, pastificio con cucina

La voglia di unire la tradizione della pasta fresca italiana ad una proposta gastronomica moderna. Questa la motivazione che ha spinto un gruppo di amici e soci a creare Casadora, pastificio con cucina. Un nuovo spazio dedicato al buon cibo a Roma.

«Il nostro progetto nasce dalla voglia di modernizzare l’idea del classico pastificio. Partire dalla tradizione per dar vita ad un luogo nel quale poter comprare e gustare un’ottima pasta fresca», dichiara Valerio Spadaro Guerra, uno dei soci del progetto, per oltre dieci anni impegnato nel mondo della ristorazione.

Il laboratorio della pasta è affidato a Giulia Ghisellini, che può vantare esperienze in cucine stellate in Italia ed all’estero, in particolare in Spagna.

CASADORA

Un nome, Casadora, che nasce dall’unione di due parole. “Casa“, immancabile luogo associato al piacere di consumare la pasta e “Dora“, diminutivo di “Azdora” (“zdoura” dal dialetto Bolognese). Parola che nell’immaginario collettivo rappresentava la vera colonna portante della famiglia, normalmente raffigurata col grembiule, le mani infarinate e il fazzoletto in testa per raccogliere i capelli.

Dall’unione di questi due concetti che richiamano la casa, la famiglia e la tradizione, Giulia e Valerio sono partiti per progettare un locale nel quale proporre paste ripiene classiche ed altre particolari, moderne. Tagliolini, cappellacci, tonnarelli, ravioli, tortellini, ma anche noodles o gyoza, perché la filosofia gastronomica di questo concept ha un respiro internazionale.

IL CONCEPT

Casadora è un “pastificio con cucina“, ed è quindi possibile non solo acquistare la pasta fresca da preparare a casa, ma anche gustare a pranzo i piatti preparati da Giorgio Romanini (per molti anni alla guida del ristorante Mavi).

Negli spazi situati in via Oslavia 11, a pochi metri da Piazza Mazzini, c’è infatti posto per 30 coperti interni e 15 esterni. Grande cura è stata dedicata anche all’ampia scaffalatura con la selezione di prodotti in vendita, tutti italiani e di piccole aziende, con un occhio di riguardo al biologico.

Nel laboratorio guidato da Giulia ogni giorno vengono preparati diversi formati di pasta in versione classica o moderna. Non solo pasta fresca da consumare a breve ma anche paste abbattute poiché contengono ripieni particolari.

È questa l’ulteriore punto di forza di Casadora, una proposta innovativa che offre la possibilità di provare paste come i Tortelli ripieni di tartare di gamberi rosa e lime. O ancora i Cappellacci con salsa di pomodori arrosto, i Cappellacci ripieni di Amatriciana, senza dimenticare quelli con ripieno fondente al Brie.

LE PROPOSTE GASTRONOMICHE

Una prima produzione che verrà arricchita di volta in volta con nuove proposte. Proposte da gustare con le salse, i sughi e i brodi preparati dalla brigata di Casadora e disponibili per essere acquisti.

«Perché comprare eccellenti tortellini e rovinarli a casa con un brodo preparato frettolosamente? Abbiamo deciso di produrre anche una serie di condimenti che permetteranno alla nostra clientela di valorizzare la pasta che sceglieranno», dichiara Giulia.

Con l’autunno il menu verrà impreziosito dai primi della tradizione romana e da alcune proposte internazionali. Ad esempio i gyoza o i noodles, ideali per preparare un gustoso ramen.

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Campagna olearia 2021/2022, Confagricoltura: «Buona qualità per l’olio italiano»

La campagna olearia 2021/2022 si annuncia in leggera ripresa rispetto a quella dello scorso anno, seppur con forti differenze tra il Nord e le aree del Centro e del Sud. Confagricoltura presenta le stime del comparto mentre si svolgono le prime operazioni di raccolta delle olive in Sicilia.

«La qualità è buona – spiegano i tecnici dell’organizzazione – e in generale gli operatori sono soddisfatti per lo stato fitosanitario delle drupe. L’umidità controllata ha infatti contribuito a contenere gli attacchi di mosca, ma la mancanza d’acqua, dovuta a un’estate particolarmente asciutta, limiterà la resa in molte province olivicole».

La produzione di olio extravergine d’oliva, in particolare in Veneto e Lombardia, è stata praticamente azzerata a causa delle condizioni climatiche avverse: prima le gelate, che hanno ritardato le fioriture, poi le grandinate estive che hanno dato il colpo di grazia, con perdite anche del 90%. In Liguria la riduzione arriverà al 50% per fitopatologie che a luglio hanno provocato cascola di frutti sani. Dimezzata la produzione in Emilia-Romagna.

L’OLIO ITALIANO 2021/2022 REGIONE PER REGIONE

La situazione al Centro e al Sud si presenta estremamente variegata e altalenante a causa del clima e della disponibilità idrica. In Toscana, sulla costa, si avrà circa il 50% della produzione potenziale; nelle zone interne si andrà al 30%, ma lo stato fitosanitario è sotto controllo.

In Abruzzo, rispetto allo scorso anno, la produzione registrerà un aumento del 10% con performance migliori nel Chietino e nel Pescarese. In Umbria si avrà un calo importante, anche se la qualità è ottima. Per Marche e Sardegna si prevede una contrazione. Nel Lazio l’andamento produttivo si mostrerà a macchia di leopardo, con le province di Latina e Frosinone che lasciano presagire una buona raccolta, mentre Rieti, Viterbo e Roma avranno volumi più bassi. In generale ci si aspetta una riduzione del 25% rispetto allo scorso anno.

Tiene l’olio extravergine nelle regioni meridionali, ad eccezione della Campania, dove si prevede un calo del 30%. In Molise, nonostante la siccità, si prevede un aumento del 10% e un prodotto di discreta qualità. In Puglia si annuncia un’annata di carica, ma con i volumi in parte condizionati dalla siccità.

«Laddove è stata possibile l’irrigazione di soccorso – evidenzia Confagricoltura – si è riusciti a tamponare a scapito di costi di produzione più elevati. Nel Salento c’è grande attesa per i primi impianti di Favolosa (varietà al batterio della Xylella Fastidiosa) che entrano in produzione quest’anno e che lasciano intravedere una luce in un territorio flagellato dalla malattia».

IN SICILIA PARTE LA RACCOLTA

In Sicilia c’è soddisfazione per lo stato fitosanitario della campagna olearia 2021/22. La quantità, tuttavia, è variabile. Si sta già iniziando a raccogliere nella zona orientale per le produzioni di alta qualità, con rese in olio limitate fra il 6% il 10%.

In Calabria la campagna presenta una situazione decisamente diversificata, con le aree costiere di Cosenza e Crotone in carica e una buona produzione anche nelle zone interne. Valida la performance anche nel Catanzarese, mentre nelle province di Vibo e Reggio le produzioni si preannunciano meno positive dal punto di vista dei volumi.

«Il settore olivicolo-oleario è fortemente influenzato dai cambiamenti climatici estremi – afferma Walter Placida, presidente Federazione Olio di Confagricoltura -. Abbiamo avuto una stagione segnata da una diffusa siccità, in particolare nelle regioni meridionali, che ha favorito il contenimento delle problematiche fitosanitarie, ma influenzato i volumi produttivi. Soltanto le prossime settimane, con il clima che ci sarà all’inizio dell’autunno, potranno chiarire l’andamento anche in termini di resa in olio».

«Mi auguro che si possano trovare le risorse finanziare da mettere a disposizione del comparto, per ampliare i sistemi di irrigazione in modo da affrontare meglio periodi di siccità che hanno caratterizzato la campagna attuale», aggiunge presidente di Unapol (Unione Nazionale Associazioni Produttori Olivicoli) Tommaso Loiodice.

IL MERCATO DELL’OLIO ITALIANO

In occasione della campagna olearia 2021/22, l’Italia si conferma primo importatore mondiale di olio di oliva (da Spagna, Grecia, Tunisia, Portogallo) e il Paese che ne consuma di più: quasi 13 litri/anno pro capite. Il Bel paese è il secondo produttore, dopo la Spagna e secondo esportatore mondiale.

Il 50% dell’export nazionale è concentrato su quattro Paesi. In primis gli Usa, che accolgono il 30% del prodotto tricolore, poi Germania, Giappone e Francia. La produzione italiana copre mediamente il 15% di quella mondiale (a fronte del 45% in media della Spagna).

La produzione nazionale è concentrata in 3 regioni (Puglia 49%, Calabria 14%, Sicilia 11%) ed è tendenzialmente in calo e soggetta a una eccessiva variabilità. Negli ultimi 4 anni si registra una diminuzione media del 55%, influenzata anche dai cali della campagna olearia 2021/22.

Tabella – Produzione di olio per Regione nel 2020 (tonnellate)



Fonte: Elaborazione Centro Studi Confagricoltura su dati Ismea e Agea

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“Franciacorta: a Golden Feeling”: un film per la Milan Fashion Week

È online da qualche ora sulla piattaforma della Camera della Moda Franciacorta: a Golden Feeling, il fashion film che la Franciacorta lancia in occasione della Milan Fashion Week. L’evento, che torna questo settembre alle sfilate in presenza, ospiterà così immagini di «forte impatto visivo», con le quali il Consorzio franciacortino intende «creare una connessione istantanea con il mondo dello stile e della creatività, rendendo il brand riconoscibile come parte integrante fashion system».

“Franciacorta: a Golden Feeling” è «un elogio alla moda e alla bellezza, un racconto che si avvale di un’estetica ricercata con una forte componente ritmata, di puro look, attraverso un montaggio intenso nel tipico stile del fashion film».

Il film si apre con una serie di calici disposti in un ordine perfettamente geometrico al centro di uno spazio indefinito. Le bolle risalgono vivacemente nei calici, finché un suono ovattato proveniente da un club, nella stanza accanto, fa tremare tutto creando delle increspature.

La camera si avvicina ad un calice, immergendo virtualmente lo spettatore nel Franciacorta. Il calice e la bolla fungono da “portale” per accompagnarlo in una dimensione dove corpo, moda e movimento si incontrano.

Attraverso costruzioni scenografiche e proiezioni all’interno di uno spazio indefinito, ballerini si alternano in una serie di performance, conferendo al film un look contemporaneo e dinamico grazie ad una regia attenta alla composizione dell’immagine, mirata a costruire per ogni scena un quadro perfettamente bilanciato e composto da scene in movimento.

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Fipe-Confcommercio, ristoranti e alberghi: «Nel 2020 italiani hanno speso 124 miliardi in meno»

Nel 2020 segnato dalla pandemia Covid-19, gli italiani hanno speso 124 miliardi di euro in meno. Lo certifica l’Istat che oggi ha diffuso la stima aggiornata dei conti economici nazionali con i dati relativi anche ai consumi delle famiglie. Un calo sul quale pesa in particolare la performance di alberghi e ristoranti.

Insieme, ospitalità e ristorazione hanno fatto registrare una flessione, a prezzi costanti, di 43,8 miliardi, di cui oltre 30 sono da imputare alla sola ristorazione. Meglio i consumi alimentari in casa, le comunicazioni e i beni e servizi legati all’abitazione, che nel 2020 sono cresciuti rispettivamente di 2,9, 0,6 e 1,5 miliardi di euro.

«Questi numeri – commenta Fipe-Confcommercio – dimostrano ancora una volta che le nostre percezioni erano corrette. La ristorazione è rimasta paralizzata per un anno intero e i ristori arrivati non sono stati minimamente sufficienti per riequilibrare le perdite.

«L’auspicio – conclude la Federazione Italiana Pubblici Esercizi – è che, da questo momento in poi, si decida di puntare con maggior decisione su un settore strategico per l’offerta turistica del nostro Paese, rilanciandolo anche attraverso politiche di sviluppo da sostenere attraverso i fondi del Pnrr».

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Alberi da Tartufo Bianco d’Alba tra i vigneti dell’Alta Langa: il progetto del Consorzio

È un legame forte quello che unisce l’Alta Langa, primo spumante Metodo classico ad essere prodotto in Italia fin dalla metà dell’Ottocento, e il Tartufo Bianco d’Alba. L’unione si rafforza grazie all’ultimo progetto del Consorzio di tutela. «Insieme al presidente Antonio Degiacomi e al Centro Nazionale Studi Tartufo – annuncia il responsabile operativo dell’ente, Paolo Rossino – intendiamo sensibilizzare i nostri soci viticoltori affinché dedichino una porzione di terreno alla piantumazione di alberi simbionti del tartufo».

«Questi alberi – continua l’esponente del Consorzio Alta Langa – potranno essere curati direttamente dagli agricoltori. Si potranno anche stabilire accordi con associazioni di trifolao, che se ne occupino in modo da favorire buone pratiche di sviluppo e mantenimento delle tartufaie sul territorio delle colline alte di Langa».

LE PIANTE DA TARTUFO BIANCO

«Auspichiamo che anche altri enti e associazioni si muovano in questa direzione – aggiunge Paolo Rossino -. Come e più che piantare una vite, piantare un albero significa avere capacità di immaginare il futuro. E se piantare un albero permette di dare corpo al sogno di un mondo più bello, piantare alberi simbionti del Tartufo ci impegna nella direzione di un mondo più buono».

Sono diverse le piante da tartufo bianco. Tra queste: Quercus Robur (Farnia), Quercus Cerris (Cerro), Quercus Petraea (Rovere), Quercus Pubescens (Roverella), Populus Nigra (Pioppo Nero). E ancora: Populus Alba (Pioppo Bianco), Populus Deltoides Cv. Carolinensis (Pioppo Carolina), Populus Tremula (Pioppo Tremulo), Salix Caprea (Salicone). Senza dimenticare Salix Alba (Salice Bianco), Tilia Platyphyllos (Tiglio), Ostrya Carpinifolia (Carpino Nero) e Corylus Avellana (Nocciolo).

LA FIERA INTERNAZIONALE DEL TARTUFO DI ALBA 2021

Nel frattempo si rinnova un’altra partnership territoriale. Per il sesto anno consecutivo, il Consorzio Alta Langa sarà la bollicina ufficiale della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba 2021 (9 ottobre – 5 dicembre).

Lo si potrà degustare nella Grande Enoteca della Fiera e durante i Foodies Moments, i cooking show dell’Alba Truffle Show, in abbinamento ai piatti dei più quotati chef di livello nazionale e internazionale che, per l’occasione votano il loro estro a piatti cuciti su misura per il Tartufo Bianco d’Alba.

APPUNTAMENTI CON GLI CHEF

Ricchissimo il calendario degli eventi, con doppio appuntamento ogni sabato (alle 11.00 e alle 18.00) e alla  domenica (alle 18.00): a deliziare i partecipanti penseranno gli chef Gabriele Boffa, Federico Gallo, Davide Caranchini, Pasquale Laera, Giancarlo Morelli, Riccardo Bassetti, Giuseppe Iannotti, Luca Zecchin, Ugo Alciati,  Matias Perdomo, Flavio Costa.

E ancora: Andrea Larossa, Ivano Ricchebono e Federico Belluco (entrambi il 1° novembre,  rispettivamente alle 11.00 e alle 18.00), Federico Zanasi, Davide Rangoni, Davide Palluda, Stefano Sforza, Paolo  Griffa, Walter Ferretto, Fabio Pisani e Alessandro Negrini, Damiano Nigro, Eugenio Boer, Luigi Taglienti, Marco  Sacco, Michelangelo Mammoliti, Enrico Marmo, chiudendo con Christian e Manuel Costardi.

«Il legame tra i nostri vini Alta Langa Docg e il Tartufo Bianco d’Alba – sottolinea il presidente del Consorzio Alta Langa, Giulio Bava – in questi anni si è fatto via via più stretto. Un comune territorio di origine, un comune senso del gusto, un comune sentire che ci ha avvicinati e ci ha permesso di vivere un’esperienza che parte dalla tavola ma va ben oltre. Ormai l’abbinamento fra le bollicine di Alta Langa e il Tartufo Bianco si è fatto strada e si è affermato tra le ricette degli chef e nei desideri di chi ama il buon vivere».

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Enoturismo

Rosita Galletto e Birra apre a Milano il quinto locale ispirato alla Vallespluga

Rosita Galletto e Birra apre a Milano il quinto locale ispirato alla Vallespluga. L’inaugurazione si terrà giovedì 23 settembre, alle ore 19, in via Galvano Fiamma 10. Operativo già da diversi anni nel territorio brianzolo, il brand mira a diffondere con i suoi prodotti genuini «l’amore per la buona tavola e per il mangiare sano e italiano».

Il galletto della Vallespluga è appunto il focus principale della proposta gastronomica di Rosita. Cotto alla brace, speziato e leggermente piccante, accompagnato da verdure al forno o patate oppure ancora da un’insalata leggera.

L’offerta di Rosita Galletto e Birra comprende anche una selezione di hamburger – di Fassona, vegetariano e di parti nobili del galletto – una serie di taglieri con formaggi e salumi di produttori locali, baby menu e diversi dolci della tradizione.

Ad accompagnare la proposta food è la Birra Rosita, di produzione propria, disponibile nelle versioni “non filtrata”, “rossa” e “8°”. Dal lunedì al venerdì, da Rosita Galletto e Birra è disponibile inoltre un business lunch che comprendente mezzo galletto con contorno, acqua o bibita o birra piccola e caffè.

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Enoturismo

Sostenibilità: -40% di acqua per irrigazione dei pomodori grazie alla tecnologia

Un’idea apparentemente semplice ma al contempo innovativa. Coltivare pomodori monitorando costantemente l’umidità del terreno per irrigare le piante solo nei momenti opportuni e con la corretta quantità di acqua.

Una piccola stazione di rilevazione composta da quattro sonde posizionate a diversi livelli di profondità nel terreno, da 10 cm a 30 cm, in grado di dare informazioni relative all’intera superficie del campo. Informazioni sempre disponibili on-line all’agricoltore che è così in grado di intervenire tempestivamente sulle coltivazioni.

«Si parla con la coltura. È la pianta che ti dice quando ha sete e quando non ne ha», spiega Cesare Malvicini, titolare dell’Az. Agr. Vannina e Agrimal, nel piacentino. La due stazioni di rilevazione forniscono a Malvicini dati relativi a tutti i 10 ettari coltivati a pomodori.

I RISULTATI

L’utilizzo dei tensiometri ha portato notevoli benefici sia in termini di sostenibilità che in termini di produttività. “Dialogando” con il campo si è arrivati ad utilizzare il 40% di acqua in meno, riducendo significativamente lo spreco idrico. Ma non solo, la produttività è aumentata del 20%.

Inoltre le piante di pomodoro si mantengono in buona salute. Sono più reattive e resistenti in caso di attacchi patogeni o di ondate di calore particolarmente intense, consentendo di limitare l’utilizzo di eventuali trattamenti chimici. Questa pratica contribuisce anche a proteggere la fertilità del suolo, salvaguardandone le sostanze organiche.

UNA FILIERA SOSTENIBILE

Vannina e Agrimal è fornitore di Steriltom, storica azienda del territorio specializzata nella produzione di polpa di pomodoro. A sua volta Steriltom fornisce le proprie conserve a Nestlé, in particolare allo stabilimento Buitoni di Benevento, l’hub internazionale per la pizza surgelata del Gruppo.

Una filiere integrata in nome della sostenibilità. In particolare, a livello internazionale, Nestlé investirà 1,2 miliardi di Franchi Svizzeri da qui ai prossimi cinque anni per promuovere l’agricoltura rigenerativa in tutta la sua catena di approvvigionamento.

Una rete di oltre 500.000 agricoltori e 150.000 fornitori, che il colosso internazionale del food intende coinvolgere offrendo tecnologie all’avanguardia ed impegnandosi a pagare un sovrapprezzo per prodotti provenienti da agricoltura rigenerativa.

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Enoturismo

Andrea Aprea, nuovo ristorante e bar-bistrot al Museo Etrusco di Milano

Per il debutto da imprenditore, a inizio 2022, lo chef Andrea Aprea ha scelto Milano e il nuovo Museo Etrusco. Qui aprirà il primo ristorante con bar-bistrot che porta il suo nome. Le sale saranno all’ultimo piano dell’atteso museo voluto dalla Fondazione Luigi Rovati, al 52 di Corso Venezia a Milano. Uno splendido palazzo d’epoca con una segreta corte verde.

Proprio sulla corte interna si apre il bar-bistrot che proporrà al pubblico soluzioni e concept food informali. L’apertura segna l’avvio del progetto imprenditoriale di Aprea che torna in cucina per continuare il percorso di ricerca che lo ha contraddistinto nei 10 anni trascorsi come Executive Chef al Vun Andrea Aprea del Park Hyatt Milano, portato alle 2 stelle Michelin.

Il ristorante, sviluppato su 210 metri quadrati con 32 coperti, sarà caratterizzato da uno spazio scenico con una vetrata panoramica, che permetterà uno sguardo sul parco di Porta Venezia e sulle nuove architetture della città. Il bar-bistrot sarà invece al piano terra, per servire gli ospiti del museo e il pubblico cittadino.

Progettati dall’architetto Flaviano Capriotti, gli interni riprendono in chiave contemporanea i materiali della tradizione milanese e dialogano con le opere d’arte site specific realizzate da giovani artisti. «Questo nuovo progetto – commenta lo chef Andrea Aprea – rappresenta per me una straordinaria sfida personale e professionale. Con la famiglia Rovati è nata una profonda intesa che ha portato alla condivisione di idee e progetti».

«Sono felice di far parte di questa iniziativa – aggiunge – che offrirà una nuova destinazione per l’arte, la cultura, l’educazione e per la scoperta di inediti percorsi gastronomici». «Siamo certi che la scelta di un partner come Andrea Aprea darà valore al museo che si muoverà, intorno alla propria offerta culturale, con una strategia nuova per Milano e il Paese, di multifunzionalità e di pluralità di servizi», afferma Giovanna Forlanelli, vicepresidente della Fondazione Rovati.

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Cantine degustati da noi news news ed eventi vini#02

Giacomo Fenocchio, verticale storica 1978-2020 per la nuova cantina: «Barolo en primeur per i turisti»

Claudio Fenocchio era ancora un bambino mentre il padre, Giacomo Fenocchio, mandava in pensione i vecchi tini di legno sino allora utilizzati dal nonno. Assieme a lui introdusse in cantina l’acciaio, per le vinificazioni del Nebbiolo atto a divenire Barolo. «Grande modernità e più tecnologia, in aiuto al lavoro», ricorda con tono deciso quel bambino che nel frattempo è diventato grande. Lo stesso che oggi è chiamato a dare l’ennesima impronta decisiva alle sorti dell’azienda di Monforte d’Alba (CN), fondata nel 1864.

L’inaugurazione della nuova cantina, il cui biglietto da visita è un’ampia terrazza che invita a tuffarsi sul materasso di colline delle Langhe, arriva in un periodo cruciale. Quello in cui le figlie Letizia ed Eleonora, 19 e 17 anni, muovono i primi passi sulle orme del papà. Ovvero tra quei pochi tini del nonno rimasti dov’erano. E le idee che hanno rivoluzionato una delle più grandi denominazioni del vino italiano. Passi piccoli ma decisi, tra ciò che fu e ciò che è. Ancor più, tra ciò che sarà.

«Il Barolo da allora è cambiato tantissimo, tantissimo», ripete Claudio Fenocchio, quasi a voler esorcizzare il concetto e il tempo. «Noi siamo rimasti gli stessi – si affretta a precisare – ovvero quelli che propongono un Barolo legato alla tradizione. Questo non significa tarparsi le ali, o non voler crescere. La nuova cantina? È un passo necessario in quest’ottica. Ma ancor più un modo per poter accogliere nel migliore dei modi i tanti turisti e appassionati che vogliono conoscere i nostri vini. Permetteremo loro, per esempio, di assaggiare le nuove annate dalle botti».

È una sorta di democratizzazione inversa del Barolo, quella che propone Claudio Fenocchio. Una “liberalizzazione” che non parte dai “prezzi per tutti”. Bensì dall’en primeur quotidiana. Qualcosa che, da altre parti, è appannaggio di una cerchia ristretta di professionisti del settore, o addetti ai lavori, diventa pressoché la norma nel nuovo corso della Giacomo Fenocchio.

La prima vendemmia in questa struttura – spiega – è stata nel 1989. L’abbiamo ampliata ulteriormente con una nuova bottaia, all’interno della quale abbiamo insediato la ricezione. Tutti i clienti potranno assaggiare dalle botti e fare le degustazioni in cantina, ovvero nell’ambiente più adatto al vino. È un investimento nei turisti, che potranno scoprire man mano le nuove annate dei nuovi Barolo. I Barolo del futuro».

Diciassette ettari per circa 100 mila bottiglie e numeri destinati a crescere dalle 45 mila bottiglie riservate al Re dei vini del Piemonte. A seguire, nell’ordine, Nebbiolo, Barbera, Dolcetto e Freisa. Senza dimenticare che qui, dal 2010, si producono anche due vini bianchi da uve Arneis in purezza (un Roero Docg e un Orange wine) e uno spumante metodo italiano, base Freisa.

La fiducia è tanta. «Il Barolo – chiosa Claudio Fenocchio – resta una delle denominazioni italiane di maggiore appeal. Credo che il Consorzio stia facendo molto bene sotto tutti i punti di vista, specie con lo slancio dato dall’evento a New York, prima della pandemia. Avanti così».

“Indietro”, sembra voler suggerire il vignaiolo di Monforte d’Alba, solo per le verticali. Come quella preparata per la stampa ieri, giorno dell’inaugurazione della nuova cantina. Dal 1978 al 2020. Spaziando tra i cru.

IL BAROLO GIACOMO FENOCCHIO DAL 1978 AL 2020
Barolo Doc Riserva 1978

Nella massa finale per lo più Bussia, seguito da Castellero e Cannubi. Bottiglia straordinaria (la seconda aperta), esprime ancora un frutto rosso pieno, accostato da riverberi di radici. Il tannino è morbido, ma non arreso.

La freschezza è disarmante per gli anni sul groppone. L’abbraccia una vena glicerica che, per gli “usi e costumi” dei tempi, va ben oltre i soli 13.5 gradi d’alcol in volume. In un calice, la storia di una famiglia Fenocchio, che non ha smesso di proporre vini di territorio, incollati alla tradizione.

Barolo Docg Bussia 1994

Tanto fiore, rosa, violetta. Frutto rosso timido appena versato, pronto poi a donarsi in tutta la sua integrità, generoso. Si apre bene, ma piano, anche in gustativa. Scivola lungo, su ricordi di radice che accompagnano il frutto croccante e un tannino ancora vivo, pur integrato.

Barolo Docg Bussia 2000

Annate molto calda in cui la Giacomo Fenocchio, con Claudio Fenocchio, inizia seriamente a proteggere l’uva dai raggi del sole. «Anziché defogliare, come si faceva per nelle annate fredde, decidemmo di non fare nulla, lasciando anche il cordone alto, per ombreggiare».

Il calice racconta alla perfezione l’andamento climatico del 2000. Naso largo sul frutto, che sfiora la lascivia d’uno sciroppo. Freschezza e tannino giocano a riequilibrare un sorso in perfetta corrispondenza, riuscendoci al meglio.

Barolo Docg Bussia 2004

Annata regolare, segnata da una vendemmia delle uve Nebbiolo andata in scena nel corso della terza settimana di ottobre. Naso profondo, sulle spezie e sulla liquirizia, che si ritrova nettamente anche al palato. Superlativa la gustativa, che si divide tra frutto preciso, pieno, e ricordi assieme caldi e freschi, speziati. Netto goudron e qualche sbuffo vago di zafferano mentre incede un allungo da favola, asciutto e giustamente tannico. Tra i migliori vini in assoluto della verticale voluta da Claudio Fenocchio.

Barolo Riserva Docg Bussia 2008 “90 dì”

Prima annata in cui viene riproposta, senza mai essere immessa sul mercato, una piccola partita di Nebbiolo “fatto come una volta”. Ovvero come lo faceva il padre di Giacomo Fenocchio: con “90 dì”, ovvero “90 giorni” (3 mesi circa) di macerazione (seguiti da 4 anni in botte grande e uno di vetro). Il risultato è una chicca prodotta in sole 300 bottiglie, di cui ne restano ormai ben poche.

Un esperimento servito tuttavia per ripensare la Riserva di Fenocchio, a partire dal 2010. La macerazione lunga non appesantisce il calice. Si crea anzi un scambio di battute tra finezze e tensioni, tra polpa e spezia (con la prima che prende il sopravvento). Siamo al cospetto di un vino che si discosta di molto dalla linea di rigore ed elegante essenzialità dei vini di Claudio Fenocchio.

Un nettare più largo, quasi interamente giocato sul frutto e su un’armoniosa beva, al limite del “rotondo”. Chiaramente il tutto è controbilanciato da una buona freschezza e da un tannino che rispecchia fedelmente i canoni dei Barolo di Bussia.

Barolo Docg Cannubi 2009

Liquirizia nera a primo naso, frutto succoso, ricordi sanguigni, ferrosi. Perfetta corrispondenza al palato, dove tuttavia si rivela – tra i vini in degustazione – quello meno equilibrato e in una fase di scombussolamento. Il sorso è diviso in maniera piuttosto marcata tra fenolico e frutto. La speranza è che scenda dall’altalena.

Barolo Docg Villero 2010

Molto balsamico, speziato. Goudron. In bocca si conferma vino profondo, fresco e speziato, ancora molto giovane. In chiusura esalta un frutto succoso, unito a un tannino vivo, elegante. Prima avvisaglia di quello che sarà, a partita chiusa, il cru più convincente della cantina.

Barolo Docg Castellero 2011

È l’anno dell’esordio per il cru fortemente consigliato a Claudio Fenocchio dal consulente della comunicazione, il pr Riccardo Gabriele. Sino ad allora (e dal 1952) Castellero finiva in blend nel Barolo d’entrata della linea. Sorprende (e pure tanto) per le note di frutta bianca, come melone bianco, pesca, albicocca.

In bocca risulta pieno, molto agile, a dimostrazione di quanto le sue caratteristiche marcassero il “Barolo quotidiano” della gamma. Alcol (15% vol.) integratissimo, gran bella freschezza e tannino levigato, splendidamente integrato. Grande intuizione.

Barolo Docg Castellero 2011 (magnum)

Le due bottiglie parlano la stessa lingua, ma la maggiore superficie di vetro sembra distendere ulteriormente il nettare, specie nella componente fruttata e, ancor più, in quella tannica. Curiosa la nota salmastra che mancava alla 0,75, così come mancavano risvolti sanguigni, qui pur percettibili col microscopio. Riecco la consueta freschezza, con un tocco in più di liquirizia nera che rende il nettare molto gradevole e dalla beva spasmodica.

Barolo Docg Cannubi 2017

Si ritorna su Cannubi e il naso si sofferma, come nel precedente assaggio, dapprima sulla spezia. All’accenno iniziale d’origano fa eco un frutto rosso godurioso, che prende sempre più spazio nel quadro complessivo. In retro olfattivo largo a terziari da legno quali fondo caffe e caramella mou, pur smorzati da una pregevole venatura salina e da un tannino vivo, ma molto elegante. L’annata è stata molto calda (non certo quanto la 2003).

Barolo Docg Castellero 2017

L’ultimo (in ordine temporale) dei cru della Giacomo Fenocchio si riconoscerebbe tra mille. Riecco il melone, la pesca bianca, i ricordi di albicocca. Vino croccante, quasi da morsicare. Materico, ma ancor più fresco e beverino.

Barolo Docg Villero 2017

Anche nell’annata 2017, il cru Villero si conferma ad altissimi livelli. Ancora una volta profondo, speziato, sanguigno, agrumato d’arancia rossa. In bocca riecco una prosa fresca, che gode dell’elegantissimo apporto fruttato-croccante, ma sceglie la spezia come compagna di vita. Tutto ciò tra l’ingresso e il centro bocca. Perché il finale riserva un’amarena netta, da fuochi d’artificio nel gioco prezioso con la scontrosità amaricante del tannino. Vino da applausi scroscianti per larghezza e profondità, verticalità e polpa.

Barolo Docg Bussia 2017

Si conferma succoso e speziato, in grandissimo equilibrio. Del resto è il vigneto più grande di Fenocchio, che consente di portare in cantina uve con maturazioni forse non omogenee al millimetro, perfette nel mix tra fenoliche e zuccherine.

Barolo Docg Cannubi 2018 e 2019

Annata segnata da molta pioggia tra agosto e l’inizio settembre. Il risultato è una vendemmia particolare, che sarebbe stata invece “classica”, in termini di tempi di raccolta. Venendo al calice, il Cannubi 2018 non sarà certo un campione di longevità. Sarà però uno di quei vini importanti e, al contempo, facili da bere. Scherziamo con Claudio Fenocchio e chiediamo se ha proceduto a una macerazione carbonica.

Sorride e poi conferma quando, tornati seri, usiamo l’aggettivo “diluito”: l’annata è di quelle in cui il rapporto tra succo e buccia è nettamente in favore del primo, proprio a causa delle piogge abbondanti in un periodo tanto delicato. Arriva poi l’assaggio da botte del 2019, vino ricco, sul frutto, ma al contempo pieno di energia, tra spezia e apporto fresco-acido. Un altro nettare di grande accessibilità e immediatezza.

Barolo Docg Castellero 2018, 2019, 2020

Oltre ai classici sentori di frutta a polpa bianca, che costituiscono il fil-rouge del cru, qui si centra forse una maturazione – o, meglio, un’epoca di raccolta – che regala alla particella maggiore complessità e rigore. Il salto di qualità definitivo sul cru Castellero è definitivamente compiuto, a 8 anni dall’esordio sul mercato, con la 2011. L’ulteriore assaggio da vasca della 2019 conferma le impressioni.

Anzi, esaspera ancor più il concetto di una quadra definitivamente trovata sul Castellero, nonostante la concentrazione d’aromi risulti maggiore rispetto alla 2018. Arriva poi il 2020 a suggellare la consacrazione di un Barolo dalla bevibilità disarmante, che non rinuncia tuttavia alla complessità.

Barolo Docg Villero 2018

Chi non ha bisogno alcuno di “aggiustamenti” e si è sempre espresso su livelli altissimi è invece il cru Villero della Giacomo Fenocchio. Naso elegantissimo, tra fiori, frutto e spezia. Si ritrova la stessa matrice al palato, dove un frutto pieno e succoso gioca a irritare un tannino in cravatta, che non perde le staffe. Neppure quando la liquirizia prova a imbalsamarlo, avvolgendolo. Alleata, in chiusura, una vena salina preziosissima che da un lato inspessisce ulteriormente il quadro e, dall’altro, chiama il sorso successivo.

Barolo Docg Bussia 2018 e 2019

Ancora una volta gran completezza nel Bussia che, nonostante la gioventù raccontata da un frutto tanto succoso quanto esuberante e preponderante, mostra ampissimi margini di evoluzione, nel segno della complessità. Scalpitano tannino e spezie, mentre la freschezza riequilibra morbidezze i cui contorni sono in decisa evoluzione. Salto oltre l’ostacolo con la vendemmia 2019, che regala un nettare dalle spiccate note floreali e dal tannino leggermente meno spigoloso, sempre all’insegna dell’eleganza.

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Enoturismo

Michael Beutler torna nel Gavi con Oak Barrel Baroque

Michael Beutler torna nel Gavi e realizza una nuova opera per Fondazione La Raia – arte cultura territorio: Oak Barrel Baroque. Ispirata alle architetture palladiane e alle chiese delle piazze italiane, questa inusuale struttura è costruita con travi in legno e doghe delle barrique a fine vita.

Beutler sviluppa la sua ricerca legata alle pratiche artigianali, attraverso materiali naturali, riciclati e riattivati in una nuova funzione, rielaborando le forme delle costruzioni abitative e lavorative.

L’INAUGURAZIONE DI OAK BARREL BAROQUE

L’obiettivo? Creare atmosfere capaci di trasformarne le caratteristiche, il fine e la funzione. La struttura di Oak Barrel Baroque richiama la storia dell’architettura rurale creando un luogo che evoca contemporaneamente un rifugio, una cappella di campagna e un piccolo teatro.

L’opera verrà inaugurata sabato 2 ottobre 2021, alle ore 16 presso La Raia di Novi Ligure, in provincia di Alessandria. Si potrà assistere alla performance “Care Selve. Florilegio di Aline Nari”, un invito alla riscoperta della spiritualità della natura.

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Cantine news news ed eventi

Campania Stories 2021, è l’anno del Piedirosso. Per’e Palummo nuovo asso dei produttori campani

Tesi e di prospettiva i vini del 2019. Pieni di frutto e più pronti quelli del 2018. Tra i due estremi l’annata 2020, destinata a collocarsi a metà tra la 2018 e la 2019, sbilanciandosi verso quest’ultima. Sono soprattutto i vini bianchi a definire l’andamento delle ultime vendemmie in degustazione a Campania Stories 2021. Meno sbalorditiva la qualità media dei vini rossi campani.

Capaci però, con qualche gemma, di dettare la strada verso un futuro altrettanto luminoso. In particolare è l’autoctono Piedirosso a brillare tra tanti Aglianico, eterno vitigno simbolo della Campania che sta trovando nuove grandi interpretazioni anche nel Cilento (Guido Lenza, Luigi Maffini e Viticoltori de Conciliis), accanto a quelle più note dell’Irpinia del Taurasi.

NUOVE PROSPETTIVE PER IL PIEDIROSSO O PER’ E PALUMMO

L’edizione 2021 di Campania Stories può essere considerata, a tutti gli effetti, quella della sua definitiva consacrazione. Sarà forse perché il Per’e Palummo – nome locale della varietà, il cui tralcio e peduncolo ricorda il piede del piccione – è il più “bianco” tra vitigni a bacca rossa campani?

Fatto sta che gran parte dei produttori, specie nei Campi Flegrei ma anche sul Vesuvio e, in qualche caso, nel Sannio, sembrano aver trovato la dimensione ideale in vinificazione, dopo le necessarie cure in vigna (il Piedirosso è produttivamente incostante e presenta una forte propensione all’acinellatura verde, ovvero una mancanza di uniformità di colorazione/maturazione degli acini).

Quella, cioè, di un vitigno-vino che, nei prossimi anni, può diventare il vero e proprio “Cavallo di Troia” dell’intera produzione campana, sul mercato nazionale e internazionale.

IL PIEDIROSSO: VITIGNO-VINO MODERNO CHE CONQUISTA I MERCATI

Con le sue note di frutta croccante, il profilo fresco, l’agilità di beva, l’alcol moderato e, soprattutto, con la sua capacità di riflettere nel calice le caratteristiche del terroir (esaltante l’interpretazione vulcanica di Agnanum – Raffaele Moccia) può fungere da apripista ai vini più “importanti” e da lungo affinamento.

Volendo estremizzare, il Piedirosso potrebbe fungere da alternativa concreta alla “bollicina”, a cui non tutte le cantine della Campania hanno ancora ceduto (l’Italia è ormai piena di tanti, troppi, inutili “Wannabe Prosecco“, spumanti senza testa né anima che piacciono tanto ai buyer innamorati più dei soldi facili che della cultura del vino).

Ma c’è di più. Per le sue caratteristiche scontrose, il Per’e Palummo è una scelta di campo e di sacrificio per i viticoltori. Premierà dunque – anche agli occhi dei buyer nazionali e internazionali – solo i più coraggiosi e convinti. Senza il rischio di diventare un vino facile tout-court o di massa.

IL PER’E PALUMM TRA CAMPI FLEGREI E VESUVIO

Chiedere per credere a Cristina Varchetta di Cantine Astroni, che sul Piedirosso ha incentrato la propria tesi di laurea. «La nostra riscoperta del vitigno è iniziata in vigna – commenta a WineMag.it – con il ricorso al doppio capovolto. Anche l’approccio in vinificazione è cambiato, evitando le sovra estrazioni».

Se per l’Aglianico occorrono 7-14 giorni, per il Per’e Palummo ci si ferma cioè a quattro. Un trend che, come conferma Cristina Varchetta, non riguarda solo Cantine Astroni e i Campi Flegrei, ma anche altri vignaioli dell’area del Vesuvio.

Il Piedirosso ha bisogno di tanto ossigeno durante la vinificazione perché soffre di riduzione, problema che gli ha tarpato le ali sui mercati. Noi procediamo a due o tre travasi, mentre sul Vesuvio qualcuno in più. Infine, abbiamo trovato una quadra anche sulle tappature: quelle in sughero tecnico hanno ridotto drasticamente le riduzioni e consentito la corretta micro ossigenazione».

LA «SECONDA VITA» DEL PIEDIROSSO

Varchetta non usa giri di parole e ammette che «grazie a tutti questi accorgimenti, il Piedirosso sta vivendo una seconda vita». Anche, anzi soprattutto, sui mercati. «Da vino difficile da vendere e da far comprendere anche a livello locale – commenta a WineMag.it – oggi ha trovato una sua identità, sia come prodotto sia a livello di mercato».

«È quel vino con bevibilità e semplicità, ma non per questo banale – sottolinea ancora l’esponente di Cantine Astroni – il cui successo è testimoniato della nostra storia aziendale. Dieci anni fa creammo un blend per il mercato internazionale, in cui il Piedirosso affiancava Aglianico e Primitivo. Oggi, specie all’estero, vendiamo con grande facilità il nostro Piedirosso in purezza, subito dopo la Falanghina».

Un altro produttore che ha compreso le potenzialità del Per’e Palummo è Raffaele Moccia (nella foto, sotto) dell’Azienda agricola Agnanum di Agnano (NA). Un vero e proprio custode silenzioso e solitario del Parco Naturale degli Astroni, Riserva e Oasi tutelata dal WWF lungo la quale si snodano circa 10 ettari di vigneti eroici.

RAFFAELE MOCCIA (AGNANUM): IL VIGNAIOLO EROE DEI CAMPI FLEGREI

Moccia conosce e comunica con ogni singolo ceppo. Sollevato e rimesso a dimora su terrazzamenti tuttora precari. Baluardi della viticoltura angioina, ricostruiti con zappa, fatica, sudore. E una buona dose di (sana) follia, che ha convinto all’acquisto di un piccolo escavatore solo negli ultimi mesi.

Tra le «piste» carrabili che intervallano i filari di Agnanum – riservate al vecchio ma inossidabile fuoristrada di famiglia, o ai quad – si scorge tanta Falanghina (nella foto, sopra), qualche grappolo di Barbera napoletana e altri autoctoni a bacca bianca e rossa. Ma anche e soprattutto il Piedirosso.

L’idea di Raffaele Moccia è quella di valorizzare l’antica forma di allevamento del tendone (o, meglio, della pergola puteolana), nonché il sistema cosiddetto “pratese“. La pianta si esprime in maniera pressoché naturale, libera. Intrecciandosi ed espandendosi orizzontalmente e fruttificando principalmente sull’estremità. Lontana dal ceppo.

Tutte caratteristiche che riducono la produzione, ma consentono al vignaiolo eroe dei Campi Flegrei di conservare il patrimonio di vecchie viti ereditate e acquistate nel corso dei decenni dai parenti. Già, perché nelle vigne e nei vini di Raffaele Moccia c’è un po’ di Gattopardo («Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi») e un po’ di Cronache marziane, alla Ray Bradbury.

LA VERSATILITÀ DEL PIEDIROSSO DEI CAMPI FLEGREI

Strabiliante la Falanghina 2006 “Vigna del Pino”, al pari del Piedirosso “Vigna delle volpi” 2015. Una prova di quanto il Per’e Palummo possa andare ben oltre il semplice vino d’annata, da “sbicchierare” senza troppi pensieri. Esattamente quello che rivela l’annata 2020 dell’autoctono, tra i migliori vini rossi di Campania Stories 2021.

Ho fatto sì che la manualità restasse protagonista tra le mie vigne – commenta il patron di Agnanum a WineMag.it – permettendo alla natura di abusare di me, che provo ad addomesticarla e condurla, per certi versi stravolgendola. Chi comanda è il suolo, il territorio. Per questo i terrazzamenti restano in piedi solo se curati quotidianamente».

Parole proferite mentre il fuoristrada sobbalza tra un costone e l’altro, muovendosi come una biglia in un circuito stretto, disegnato tra i filari. Le viti, tutt’attorno, paiono stese come panni a un filo invisibile, teso tra la Solfatara di Pozzuoli e il Lago di Agnano.

Anni fa, qualcuno propose a Raffaele Moccia di vendere tutti i terreni per realizzare delle palazzine. Disse no, pensando anche al futuro del figlio Gennaro, che ha già deciso di continuare l’opera del padre. Un’altra garanzia per i vecchi vigneti dei Campi Flegrei. Prosit.

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Enoturismo

Al via il 16 settembre “Marche: dalla vigna alla tavola”

Nasce “Marche: dalla vigna alla tavola“. Progetto voluto fortemente dalla Regione Marche con lo scopo di sostenere le imprese del settore enologico regionale di qualità con il coinvolgimento della ristorazione. Ristorazione il cui ruolo è stato rallentato, quando non completamente bloccato, dalla crisi pandemica.

Nel contesto di “Marche: dalla vigna alla tavola”, Ri-Conviviamo è il nome scelto da 15 ristoranti per augurare un ritorno alla convivialità tipica di questa regione accogliente.

Un calendario di serate di degustazione aperte al pubblico, durante le quali i ristoratori proporranno i vini di 35 cantine coinvolte e le migliori materie prime del territorio marchigiano, risaltandone l’eccellenza tramite i propri piatti e le etichette in abbinamento.

Ri-Conviviamo è quindi un invito alla ripartenza, ma anche e soprattutto un messaggio di fiducia nelle enormi potenzialità del territorio, basate proprio sul turismo e sull’ospitalità. Si tratta di un’iniziativa realizzata con il contributo fattivo della Regione, a favore dei produttori e dei ristoratori marchigiani.

I RISTORANTI ADERENTI
  • Ristorante “Amabile” – Frontone (PU) > 16 Settembre 2021
  • Ristorante “20-15” – Marotta di Mondolfo (PU) > 19 Settembre 2021
  • Hotel-Ristorante “Alla Lanterna” – Fano (PU) > 22 Settembre 2021
  • Ristorante “Due Cigni” – Montecosaro Scalo (MC) > 5 Ottobre 2021
  • Ristorante “Il Cuciniere” – Fano (PU) > 14 Ottobre 2021
  • Ristorante “Osteria L’Angolo Divino” – Urbino (PU) > 22 Ottobre 2021
  • Ristorante “Gibas” – Pesaro (PU) > 10 Novembre 2021
  • Ristorante “Da Tano” – Fano (PU) > 18 Novembre 2021
  • Ristorante-Pizzeria “Il Portico” – Fano (PU) > 19 Novembre 2021
  • Ristorante-Pizzeria “Da Farina” – Pesaro (PU) > 23 Novembre 2021
  • Ristorante “Il Grottino” – Gabicce Monte (PU) > 25 Novembre 2021
  • Ristorante “Amarantos” – Porto Recanati (MC) > 26 Novembre 2021
  • Ristorante “Bagni da Federico” – San Benedetto del Tronto (AP) > Novembre
  • Ristorante “Zasa” – San Benedetto del Tronto (AP) > Novembre
  • Ristorante “Antico Furlo” – Acqualagna (PU) > 10 Dicembre 2021
LE CANTINE PARTECIPANTI
  • Az. Agraria Guerrieri
  • Il Conventino Monteciccardo
  • Colonnara Soc. Coop. Agricola
  • Az. Agrobiologica San Giovanni
  • Cantine Moroder
  • Terre di San Ginesio
  • Santa Barbara
  • Cantina Rovelli
  • Luca Cimarelli Staffolo
  • Cantina Di Sante
  • Roberto Lucarelli
  • Bruscia
  • Fattoria Villa Ligi
  • Az. Agr. Mariotti Cesare
  • Terracruda
  • Fattoria Mancini
  • Selvagrossa
  • Az. Agr. Mencaroni Federico
  • Cantina Santi Giacomo e Filippo
  • Vigna della Cava
  • Il Gelsomoro
  • Cantina Mezzanotte
  • Az. Agr. Claudio Morelli
  • Soc. Agr. Ciù Ciù
  • Az. Agr. Mazzola
  • Fattoria San Lorenzo
  • Agri La Fonte
  • Piantate Lunghe
  • La Lepre e La Luna
  • Cantina Rovelli
  • La Torre del Nano
  • Podere sul Lago
  • Tenuta Ca’ Sciampagne
  • Serenelli
  • Cantina Colleminò
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Enoturismo

Valpolicella-Cortina: il Consorzio punta sulla ristorazione di fascia alta

La Valpolicella si siede nel salotto delle Dolomiti e guarda ai Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina 2026. I prossimi 11 e 12 settembre il Consorzio di Tutela Vini Valpolicella sarà infatti il partner “in rosso” di The Queen of Taste. Manifestazione gourmet dell’estate ampezzana organizzata dall’associazione Cortina for Us e Chef Team Cortina.

Il posizionamento dei nostri vini nella ristorazione di fascia alta è tra gli obiettivi prioritari della nuova politica di promozione del Consorzio Vini Valpolicella. In questo contesto – spiega il presidente, Christian Marchesini – l’inserimento del nostro evento nel palinsesto del festival gastronomico di Cortina rientra in un percorso propedeutico che ci proietta anche verso le Olimpiadi invernali del 2026».

Nella due giorni di “Valpolicella-Cortina andata e ritorno“, il progetto del Consorzio per la quinta edizione del festival, Amarone, Valpolicella Superiore, Ripasso e Recioto saranno abbinati ai menù proposti dai maestri del gusto di alcuni locali selezionati in rappresentanza della Dolce Vita gastronomica della perla delle Dolomiti.

Piatti contemporanei, sapientemente interpretati da una squadra di chef veneti, anche stellati, oltre che dai rispettivi titolari delle cucine. Dopo questa prima tappa, “Valpolicella-Cortina” farà ritorno in Valpolicella. Un programma di incoming che coinvolgerà il team di chef protagonisti di The Queen of Taste.

LE AZIENDE PARTECIPANTI ALL’EVENTO

Cantina Valpolicella Negrar, Corte Canella, Costa Arente, Le Guaite di Noemi, Mezzo Ettaro, Piccoli. Rubinelli Vajol, Sartori di Verona, Secondo Marco, Tenuta Chiccheri, Torre di Terzolan, Vigneti Villabella.

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Enoturismo

Ristorante Il Baslà: sui Navigli di Milano si mangia dalla “padella”, come a casa

Cinque amici, tutti appassionati di cucina, si trovano per una cena insieme. Ai fornelli lo chef Andrea Votino, che mette in tavola – inconsapevolmente – l’idea che oggi sta alla base de Il Baslà, il nuovo ristorante di via Casale 5, in zona Navigli a Milano. Votino serve gli amici le varie portate nella tipica “ciotola” milanese, nota anche col nome di “Baslott”, da cui deriva il nome al locale.

Accanto allo chef, esperto in aperture di locali del ramo food; ci sono Caterina Serio, esperta in eventi culinari, Nicola Serio, imprenditore dell’hotellerie, Riccardo Margiotta, esperto di marketing, Matteo Dolce, giovane universitario appassionato di ristorazione ed Emanuela Di Rella, manager della Grande distribuzione organizzata (Gdo).

LA CUCINA CASERECCIA È… “DI CASA” AL BASLÀ

L’offerta ruota attorno al concetto di cucina casereccia, con un tocco originale. Il macellaio segue direttamente tutte le preparazioni e si occupa personalmente della scelta e dei tagli delle carni. Il “bartender alchimista” è dedito a creare nuovi cocktail che accompagnino tutte le proposte. E l’immancabile oste accoglie a Il Baslà come fosse il proprio salotto di casa.

Un format che i cinque amici e neo soci definiscono «divertente e dedicato alla carne, per tornare alla Milano da bere». Da qui la selezione di oltre 75 gin, una quarantina di rum e una trentina tra tequila, mescal e vermouth.

UN NUOVO RISTORANTE CULT PER LA CARNE A MILANO

Particolare attenzione è riservata alla preparazione della carne, principalmente con cottura Cbt a bassa temperatura. Solo capi allevati all’aperto da piccole aziende italiane ed estere. Frollatura di oltre 45 giorni per la costata e pezzature importanti, da oltre 1 kg, per la fiorentina, marinate per oltre 24 ore in un misto di spezie dalla ricetta segreta.

Il filetto viene selezionato da pezzature di oltre 5 chili. La porchetta e la bresaola vengono realizzate rigorosamente in casa. La punta di manzo Bbq brisket viene affumicata in loco. La battuta di Fassona al coltello è servita in modalità creativa, a cheesecake. Tutto rigorosamente servito nei Baslà.

SPAZIO ALL’APERITIVO MILANESE NEL DEHORS

Ad accogliere gli ospiti, un ampio dehors che guarda sulla movida di via Casale, con divanetti e lounge per l’aperitivo e tavolini apparecchiati per la cena, tra piante e filari di luci. Dall’esterno si scorge l’ampia bottigliera, il bancone retroilluminato e le mattonelle realizzate e dipinte a mano. Con le loro forme sinuose, richiamano il concetto de Il Baslà, con un sofisticato gioco bianco e nero.

All’interno il muro in mattoncini a vista lascia il posto alla carta da parati dai colori blu, arancione e giallo. Due grandi salette possono diventare dei privée, in uno stile caldo che ricorda l’inclusività del salotto di casa. Anche qui, divertenti padelline e baslott appese come lampade: una scelta dell’architetto Nadia Martelli.

IL BRUNCH DE IL BASLÀ

Anche se il Brunch non deriva dalla cultura e dalla tradizione italiana, Il Baslà non rinuncia all’idea del pranzo domenicale rivisitato. Sarà così servito ogni domenica un tris di pancake a scelta. Tra le portate principali, il club sandwich creativo, tris di hamburger con patate crispers, il bruschettone (la bruschetta ai cereali) con uovo all’occhio di bue o l’uovo alla Benedict e dolce (25 euro).

I NAVIGLI DI MILANO E I NUOVI COCKTAIL DE IL BASLÀ

Tra i cocktail signature tanti nomi divertenti, realizzati dall’alchimista del Baslà: sono Runway Bride (Portobello gin, uva rossa, limone, lime e fiore di sambuco) e Speedy Gonzales (affascinante mix di tequila Esplon, mexcal, succo di mela, sciroppo piccante, lime e crusta di zucchero), per i viaggiatori si consiglia Trip to Peru (Pisco, Aperol, limone, miele, angostura e albume).

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Enoturismo

KFC: impegno globale per l’uso di sole uova “cage-free”

Yum! Brands ha reso pubblico oggi un impegno a diventare 100% cage-free entro il 2026 per la maggior parte delle sue sedi. La transazione sarà completata entro il 2030 su scala globale. L’azienda è la più grande al mondo nel campo della ristorazione e conta quasi 50 mila sedi a livello globale, con i suoi brand Kentucky Fried Chicken (KFC), Pizza Hut, Taco Bell e The Habit Burger.

La policy, che sancisce l’impegno a non rifornirsi da allevamenti di galline allevate in gabbia, è stata raggiunta grazie alla campagna di sensibilizzazione internazionale guidata dalle organizzazioni che aderiscono alla Open Wing Alliance. Una coalizione internazionale che lavora per il benessere di polli e galline ancora confinati negli allevamenti intensivi di tutto il mondo.

«Con questo impegno contro le gabbie, Yum! Brands e KFC potranno fare la differenza nel ridurre la sofferenza di milioni di galline ovaiole in Italia e in tutto il mondo – ha affermato Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia – Questa policy coinvolge alcune delle catene di fast food più importanti al mondo ed è evidente che la transizione a un mondo senza gabbie sta diventando il futuro del settore agroalimentare».

Yum! Brands è l’azienda nel campo della ristorazione con il più alto numero di sedi che sia stata mai coinvolta in una campagna pubblica. Prima di oggi, Taco Bell aveva già completato la transizione cage-free in Nord America impegnandosi per le uova non provenienti da allevamenti in gabbia anche in Europa.

Il 26 agosto di quest’anno, inoltre, Yum! Brands aveva rilasciato una policy cage free per gli Stati Uniti, l’Europa occidentale e altri mercati leader. La nuova policy globale certifica l’impegno da parte dell’azienda a rifornirsi solo da uova e ovoprodotti al 100% cage-free per le sue sedi in oltre 150 Paesi. Yum! Brands ha inoltre accettato di fornire aggiornamenti su base annuale per assicurare la propria trasparenza.

LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA CAGE-FREE

Gli allevamenti in gabbia confinano le galline in gabbie minuscole e spesso sporche. Ogni individuo vive in uno spazio vitale pari ad un foglio A4. Queste gabbie sono così piccole e affollate che le galline non possono esprimersi attraverso i loro comportamenti naturali o istintivi, provocando spesso ferite e fratture agli animali.

Eliminando i sistemi basati sulle gabbie, si ridurranno notevolmente le sofferenze delle galline allevate per la produzione di uova. Un primo passo significativo per le galline ovaiole.

Poiché la domanda dei consumatori di uova cage-free continua a crescere, anche altre aziende globali leader del settore stanno abbandonando l’uso delle gabbie. Fra esse Unilever, Nestlé, Aldi, Restaurant Group International, InterContinental Hotels, Sodexo, Mondelez, Compass Group, Shake Shack, Famous Brands, Costa Coffee e Barilla.

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Enoturismo

Kfc e Yum! Brands: stop agli allevamenti di galline in gabbia

Kfc (Kentucky Fried Chicken), Pizza Hut, Taco Bell e The Habit Burger, tutti marchi Yum! Brands, hanno comunicato l’impegno verso il 100% cage-free entro il 2026, per la «maggior parte delle sedi». La transazione sarà completata entro il 2030 su scala globale. Si tratta del più grande gruppo al mondo nel campo della ristorazione, con quasi 50 mila sedi nel mondo.

La policy, che sancisce l’impegno a non rifornirsi da allevamenti di galline allevate in gabbia, è stata raggiunta grazie alla campagna di sensibilizzazione internazionale guidata dalle organizzazioni che aderiscono alla Open Wing Alliance. Una coalizione internazionale che lavora per il benessere di polli e galline ancora confinati negli allevamenti intensivi di tutto il mondo.

«Con questo impegno contro le gabbie, Yum! Brands e KFC potranno fare la differenza nel ridurre la sofferenza di milioni di galline ovaiole in Italia e in tutto il mondo – ha affermato Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia – Questa policy coinvolge alcune delle catene di fast food più importanti al mondo ed è evidente che la transizione a un mondo senza gabbie sta diventando il futuro del settore agroalimentare».

Yum! Brands è l’azienda nel campo della ristorazione con il più alto numero di sedi che sia stata mai coinvolta in una campagna pubblica. Prima di oggi, Taco Bell aveva già completato la transizione cage-free in Nord America impegnandosi per le uova non provenienti da allevamenti in gabbia anche in Europa.

Il 26 agosto di quest’anno, inoltre, Yum! Brands aveva rilasciato una policy cage free per gli Stati Uniti, l’Europa occidentale e altri mercati leader. La nuova policy globale certifica l’impegno da parte dell’azienda a rifornirsi solo da uova e ovoprodotti al 100% cage-free per le sue sedi in oltre 150 Paesi. Yum! Brands ha inoltre accettato di fornire aggiornamenti su base annuale per assicurare la propria trasparenza.

LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA CAGE-FREE

Gli allevamenti in gabbia confinano le galline in gabbie minuscole e spesso sporche. Ogni individuo vive in uno spazio vitale pari ad un foglio A4. Queste gabbie sono così piccole e affollate che le galline non possono esprimersi attraverso i loro comportamenti naturali o istintivi, provocando spesso ferite e fratture agli animali.

Eliminando i sistemi basati sulle gabbie, si ridurranno notevolmente le sofferenze delle galline allevate per la produzione di uova. Un primo passo significativo per le galline ovaiole.

Poiché la domanda dei consumatori di uova cage-free continua a crescere, anche altre aziende globali leader del settore stanno abbandonando l’uso delle gabbie. Fra esse Unilever, Nestlé, Aldi, Restaurant Group International, InterContinental Hotels, Sodexo, Mondelez, Compass Group, Shake Shack, Famous Brands, Costa Coffee e Barilla.

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Cantine news news ed eventi

Cantina Ninni Spoleto, Miglior cantina Centro Italia 2022 Winemag.it: l’anima “bianca” dell’Umbria

«Un vino fatto con l’uva vera, dedicato alla mia famiglia». Gianluca Piernera, ex elettricista, è l’uomo che ha acceso la luce su uno dei vitigni italiani di maggior prospettiva: il Trebbiano Spoletino.

La sua Cantina Ninni Spoletocantina dell’anno Centro Italia 2022 per Winemag.it, all’interno della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 – è una realtà relativamente giovane. Il primo vino è infatti frutto della vendemmia 2012.

MONTEFALCO E SPOLETO: L’UMBRIA DEL VINO FA SQUADRA

Una piccola realtà che è riuscita in pochi anni in un vero e proprio miracolo: portare la Doc Spoleto sotto l’egida del Consorzio di Tutela Vini Montefalco. Si è così incrementato il valore delle uve, consacrando il Trebbiano Spoletino quale alter ego di uno dei vini rossi italiani più longevi: il Sagrantino.

Una contrattazione delicata quella che ha visto coinvolti i produttori di Spoleto con i vicini di casa di Montefalco. Tra i quali il vignaiolo di frazione Terraia ha giocato un ruolo simbolico e decisivo. Del resto, Gianluca Piernera si è ritagliato uno spazio da leader ben prima di fare il suo ingresso nelle stanze della “politica del vino”.

È diventato in pochi anni un riferimento nella produzione del Trebbiano Spoletino, grazie all’esperienza nelle pratiche agronomiche maturata dall’amico Marco Casolanetti di Oasi degli Angeli. È stato proprio il padre di un’icona del vino italiano come Kurni a dare a Piernera lo slancio definitivo per cambiare vita, investendo tutto sulla viticoltura.

Oggi la produzione della cantina Ninni – che comprende anche due vini rossi da uve Montepulciano, Sangiovese, Merlot, Barbera e Aleatico e due ancestrali – si inserisce nei canoni del cosiddetto “vino naturale“, ma con grande coscienza e precisione enologica, anche grazie ai consigli di un consulente esterno all’azienda.

Le vigne, alcune delle quali a piede franco, con età media di 80 anni, vengono gestite senza prodotti sistemici. Il vino prosegue il suo percorso verso il calice con il minimo intervento possibile, imbottigliato senza essere filtrato.

In ogni etichetta la mano invisibile di Piernera, capace di rendere omaggio di volta in volta al terroir di Spoleto, a un vitigno o a un uvaggio. In una parola, alla natura.

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Enoturismo

Apre la nuova “Terrazza Aperol” a Venezia

Apre ufficialmente i battenti “Terrazza Aperol” a Venezia, nuovo locale dello storico brand Aperol di Campari Group. Un locale di oltre 200 mq, di cui 90 mq in esterno, situato in Campo Santo Stefano, a pochi passi dal Ponte dell’Accademia.

Il progetto di interior è stato affidato a Vudafieri-Saverino Partners che ha disegnato un luogo che si fa portavoce dei valori veneziani e dei codici distintivi del marchio. Un lugo capace di interpretare in un solo gesto sia l’eredità lunga un secolo che la natura contemporanea dell’aperitivo con Aperol Spritz.

Un rito che, partito proprio dalle calli veneziane, si è imposto nel mondo come un momento di socialità e condivisione. Terrazza Aperol si ispira e rivisita il tradizionale bacaro, la tipica osteria veneziana, proponendo un locale di impronta cosmopolita.

IL DESIGN CONCEPT

Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino hanno disegnato uno spazio che unisce le radici veneziane a una vibrante atmosfera cosmopolita. Nel progetto, elementi della tradizione sono reinterpretati in chiave contemporanea. Troviamo così specchi veneziani che divengono monitor digitali per condividere foto con gli altri locali Aperol nel mondo.

Stucchi fatti a mano e pavimenti in legno recuperato dalle “bricole” veneziane (pali di quercia che segnalano i canali navigabili in laguna) con fughe arancioni. Un bancone, ispirato ai bar della metà del XX secolo, rivestito con pannelli di policarbonato riciclato stampati in 3d. Panche le cui forme classiche si combinano con tessuti dai toni neutri e dallo stile contemporaneo.

In omaggio al colore iconico del marchio, sono molteplici i dettagli arancioni che caratterizzano l’atmosfera estetica del locale. Dai bordi delle sedute al bagno total orange, dalle mensole agli specchi. Terrazza Aperol è uno spazio fluido, interattivo, dinamico, al cui interno coesistono due diverse aree, comunicanti tra loro, ma accessibili da ingressi separati.

Il Bacaro, ispirato alla tradizione, dove provare l’autentico aperitivo veneziano e il Bar, destinazione ideale in qualsiasi momento della giornata, dal caffè al dopocena. Entrambi gli ambienti si trovano in dialogo con la grande terrazza esterna di 90 mq che si affaccia su Campo Santo Stefano.

IL BACARO APEROL

Spazio intimo, ma dinamico e conviviale, è caratterizzato da un soffitto storico in legno alla Sansovina, tipico di Venezia. L’atmosfera richiama quella delle tipiche osterie locali.

Per questo spazio Vudafieri-Saverino Partners ha progettato ad hoc una particolare seduta. Una lunga micro panca appoggiata a muro con piccoli tavoli pieghevoli integrati che contribuiscono a creare una fruizione informale e vivace.

Elemento distintivo sono i Digital Mirrors, specchi digitali la cui forma sagomata rievoca quelli della tradizione veneziana. Questi touch point virtuali sono connessi in tempo reale con gli altri locali Aperol del mondo, creando dei punti di contatto digitali tra città e paesi diversi.

L’AREA BAR

Protagonista dello spazio è il grande bancone che si distingue per i pannelli di policarbonato riciclato stampati in 3d, retroilluminati nel caratteristico colore arancione e per il ripiano in corian bianco caldo. La forma del bancone e i frontali cannettati rimandano alla tradizione italiana del XX secolo.

Sulla parete alle spalle del bancone troneggia a tutto altezza il display delle bottiglie con il suo fondo a specchio antico, i ripiani con bordi arancioni, le nicchie per ospitare le Magnum e i dinamici accenti di luce. A illuminare lo spazio un soffitto percorso da strisce led che citano, attraverso un gioco di luci, il ritmo delle travi del vicino soffitto storico alla Sansovina e gli scenografici lampadari a sospensione su disegno, realizzati in vetro lavorato di Murano.

Il bar ospita al suo interno diverse tipologie di tavoli e sedute, da sgabelli e panche dal carattere casual a tavoli e sedie tipo bistrot per un’esperienza food & drink più rilassata. Le sedute sono in parte disegnate ad hoc e in parte di serie, ma con finiture e tessuti speciali Terrazza Aperol.

LA TERRAZZA OUTDOOR

Fluidamente connesso con l’interno attraverso ampie vetrate, lo spazio esterno presenta due aree distinte che rappresentano due diversi modi di vivere il mondo Aperol. Il dehors del Bacaro si caratterizza per tavoli alti, ideali per un aperitivo in piedi, e un accogliente e versatile zona lounge per una serata in compagnia en plein air con sedute custom made.

L’area esterna del Bar presenta invece tavoli da bistrot tradizionali e classiche poltroncine da regista: uno spazio elegante e confortevole per gustare il menù food & beverage proposto al tavolo. Trasparenza, apertura e una forte connessione tra interno ed esterno sono le caratteristiche principali della facciata.

UN LUOGO UNICO

Un’attenzione particolare è stata riservata alla proposta food, con un’esperienza che va dalla colazione al dopo cena, costruita intorno a un’offerta creata appositamente per Terrazza Aperol da Alessandro Negrini e Fabio Pisani, chef del Luogo di Aimo e Nadia, che hanno creato un menù basato sulla tradizione veneta, con materie prime italiane eccellenti e modulato sulla stagionalità, senza gerarchie rigide e di facile esecuzione.

Terrazza Aperol ospiterà anche la prima linea di merchandising firmata Aperol, interamente Made in Veneto e ispirata a celebrare i momenti di convivialità e togetherness.

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Enoturismo

Cibus di Parma: ecco la Caprese in versione gelato

Nasce la Caprese in versione gelato. La novità sarà presentata a Cibus Parma, in programma dal 31 agosto al 3 settembre 2021. Non a caso, l’edizione annuale del Salone Internazionale dell’Alimentazione è dedicata all’innovazione e al futuro dell’ecosistema agro-alimentare.

Il Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop sarà presente con la “Mozza-Mobile” nel Padiglione 2, Stand G008. In programma dimostrazioni di filatura dal vivo e cooking show tutti da gustare, incentrati sul racconto della versatilità in cucina della mozzarella Dop.

In linea con il tema dell’innovazione scelto da Cibus, la Bufala Campana sarà rivisitata e diventerà un gelato con le creazioni dello chef fiorentino Simone Bonini, volto tv e pioniere dell’arte del gelato gastronomico in Italia.

Bonini proporrà la mozzarella Dop in stick, abbinandola a un sorbetto di pomodoro. Nasce così la Caprese in versione gelato. Infine la Bufala sarà degustata accanto ad altri grandi prodotti Dop della cucina italiana.

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Enoturismo

Villány, Baranja ed Erdut: la “Terra del vino” che unisce Ungheria e Croazia

VillányBaranja ed Erdut. Ovvero l’Ungheria meridionale dei vini rossi eleganti e generosi, che punta tutto su Cabernet Franc e taglio bordolese. E la Croazia nord-orientale, lontana dal mare, abbracciata dai fiumi Danubio e Drava: terra di vini bianchi a base Graševina e varietà a bacca rossa tipiche di Bordeaux. Non è stato ribattezzato per caso “Land of wine“, “Terra del vino“, il progetto di promozione transfrontaliero che unisce la regione vinicola magiara di Villány e le due sottozone croate della macro regione di Podunavlje.

Un matrimonio che si consuma a nord e a sud di una delle tante strisce tracciate dalla geopolitica, tra Pannonia e Balcani. Per l’esattezza, lungo gli ultimi 60 degli oltre 320 chilometri di confine tra Ungheria e Croazia; verso est, sino a lambire la Serbia.

La forma a grappolo d’uva che si ottiene unendo idealmente il tracciato di VillányBaranja ed Erdut racconta tutto, o quasi. A partire dalla cartina geografica. Oggi solo i serrati controlli alla frontiera dettati dalle misure anti Covid-19 interrompono la continuità, non solo paesaggistica, tra gli areali.

Una morbida discesa dalle “vette” di Villány (140-350 metri sul livello del mare) alla pianura croata, modellata sul letto paludoso del Danubio. Dal sud dell’Ungheria si rotola giù fino ad Osijek, quarta città della Croazia per numero di abitanti – oltre 100 mila – e nuova capitale storica, culturale ed economica della Republika Hrvatska.

THE LAND OF WINE: VILLÁNY, BARANJA ED ERDUT

Novanta metri sul mare, sulla sponda sud del fiume Drava, per un centro che fa della cultura green e del turismo su due ruote il suo punto forte. L’immenso “Giardino urbano” (Gradski Perivoj) di Osijek è menzionato sin dal 1.750. Lo conoscerà bene Davor Šuker, uno dei più grandi calciatori croati di tutti i tempi, che qui è nato.

Una terra simbolo del multiculturalismo, in cui non è difficile trovare tre chiese per paese. Cattolici, calvinisti e ortodossi le distinguono dalla forma del tetto, nonché dalla presenza, o meno, della croce sul campanile.

Una storia ben simboleggiata dal Máriagyűd kegyhely di Siklós, santuario e luogo di pellegrinaggio riconosciuto dalle diverse confessioni religiose, ad appena 16 chilometri dal capoluogo vinicolo Villány. Appena al di là del confine ungherese, il melting pot è evidente nel bilinguismo e nelle assonanze dell’enogastronomia.

Un puzzle che si fa ancora più complesso se si considera l’influenza della Serbia, con cui la Croazia ha condiviso le sanguinose vicende dell’ormai ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Il monumento alla Battaglia di Batina, con il suo obelisco di 26,5 metri sull’altopiano di Gradac, celebra la “Vittoria” dell’Armata rossa in occasione della cosiddetta Krvava kota 169, l’«elevazione sanguinosa 169» del 1944, tra gli scontri più violenti della II Guerra mondiale.

Nell’ossario che fa da basamento, i resti di 1.297 combattenti. Perlopiù contadini ucraini, arruolati in fretta e furia dalle forze armate sovietiche per arrestare l’avanzata dell’esercito tedesco. Appena sotto e all’orizzonte, una vista mozzafiato sul Danubio che, proprio in questo tratto dei suoi 2.860 chilometri, unisce le sponde di Croazia e Serbia. Con l’Ungheria sullo sfondo.

VILLÁNY E IL CABERNET FRANC UNGHERESE: CLASSICUS, PREMIUM E SUPER PREMIUM

Seconda solo a Tokaji per notorietà internazionale e acclamata terra dei vini rossi ungheresi, la regione vinicola di Villány si estende su circa 2.400 ettari (2.333,64 secondo l’ultimo censimento) nella macro regione di Baranya. Con i suoi 322,25 ettari, il Cabernet Franc si è ritagliato negli anni il ruolo di varietà simbolo.

Si tratta di uno dei rari casi al mondo di vinificazione in purezza del vitigno. L’esempio è quello della Loira francese (Breton), con cui quest’angolo d’Ungheria condivide le caratteristiche del terreno (argilla, sabbia, limo e loess). Il marchio ungherese si chiama Villány Franc. Alla base, un rigido sistema di classificazione identificato nel 2014 dal locale Consorzio di tutela, il Villányi borvidék.

La stragrande maggioranza dei vini viene imbottigliata come Classicus. Ma sono le tipologie Premium e Super Premium a dare le maggiori soddisfazioni nel calice. Il segreto? Le rese delle uve, provenienti da singoli vigne e cru, vengono contenute sino a meno di un terzo dei 100 ettolitri potenziali.

I vini Villányi Franc Premium (massimo 60 ettolitri / ettaro) prevedono l’affinamento in botte di un anno (la media è di almeno due). Per i Villányi Franc Super Premium, commercializzabili anche solo col nome di Villányi Franc (35 ettolitri / ettaro), il vino trascorre almeno un anno in botte e un altro anno in bottiglia (tre anni sono la media tra vendemmia e inizio della commercializzazione).

Il nuovo sistema di classificazione interessa soprattutto i le uve di Cabernet Franc prodotte in vigneti simbolo come Bocor, Dobogó, Fekete-hegy, Jammertal, Konkoly, Kopár, Mandolás e Ördögárok, per citarne solo alcuni. Tra i produttori spiccano gli storici Tiffán, Gere, Polgár e Bock.

Interessante il fermento riscontrabile tra le cantine di Villányi sul fronte della proposizione di vini meno opulenti, frutto non solo del controllo delle rese in vigneto ma anche dell’esaltazione di frutto più croccante e meno maturo-marmellatoso. Eleganza e finezza, assieme a freschezza e agilità di beva, sono le caratteristiche che premieranno i Villányi Franc di domani.

I MIGLIORI CABERNET FRANC DI VILLÁNYI: LA SELEZIONE DI WINEMAG.IT

Per mantenere alta l’attenzione dei produttori, dal 2015 il Villányi borvidék 0rganizza un tasting dei vini atti a divenire Premium e Super Premium. Tra i 12 selezionati nel 2021, alcuni brillano in particolare per la loro capacità di esaltare il terroir d’elezione del Cabernet Franc ungherese, tanto quanto una necessaria chiave interpretativa moderna del vitigno-vino.

A differenza di Bordeaux, dove il Conseil Interprofessionnel du Vin ha da poco varato l’introduzione di quattro nuove varietà a bacca rossa per contrastare i cambiamenti climatici (Touriga Nacional, Marselan, Castets, Arinarnoa), la regione di Villány sembra intenzionata a risolvere il problema – almeno al momento – attraverso una sapiente gestione del vigneto.

Sarà il mercato, nell’arco dei prossimi 10 anni, a dire chi avrà avuto ragione. Nel frattempo, i calici migliori parlano tutti la stessa lingua. A preoccupare, piuttosto, sono diverse interpretazioni che privilegiano il legno al frutto, nel solco di una standardizzazione ed omologazione che non fa bene al futuro.

 

Agancsos Pincészet – 2017 (14% vol)

Gran bella scorrevolezza e materia per questo Cabernet Franc in purezza vinificato in legno grande da 500 litri. Il sorso è tipico e abbina l’usuale generosità del frutto a una croccantezza rara, che si traduce in una succosità seducente. Convince anche per la gestione composta dei terziari, finissimi e in grado di incomplessire magistralmente il profilo di un’uva coccolata in vigna e poi preservata (ed esaltata) in cantina. Un grande lavoro, in definitiva, sulla varietà, sul terroir e sulla longevità.

A. Gere Pincészet – Ördögárok-dűlő 2017 (14,5%)

I lieviti selezionati all’interno dei vigneti di proprietà, per l’esattezza 3 dei 7 considerati migliori dai test fermentativi, conferiscono uno stile unico ai vini di Attila Gere Pincészet. Nello specifico, il Franc è ottenuto dal cru di Ördögárok, che nel 2017 (come per molti vini ungheresi dell’annata) ha dato risultati eccezionali.

Una chicca che convince per l’eleganza estrema della componente verde del vitigno, tra ricordi di macchia mediterranea, speziatura dolce e fresca e vibrante acidità. Tannini presenti ma elegantissimi, integrati e di gran prospettiva. Tra le componenti morbide, il frutto si rivela materico e succoso, ancora croccante. I terziari giocano un ruolo di secondo piano e lasciano spazio a una delle migliori espressioni territoriali del vitigno. Vino con una grande vita davanti.

 

Bock – Fekete-hegy Selection 2015 (14,5%)

Fekete Hegy, ovvero “Montagna nera”, è una delle selezioni della cantina di Villány guidata dall’iconico József Bock. Un vino che viene prodotto solo nelle annate migliori. E la 2015 sta lì a dimostralo, con la sua stratificazione e complessità, nonché attraverso il chiaro messaggio sulla longevità dei Cabernet Franc ungheresi prodotti nella zona.

Alle classiche note fruttate del vitigno, qui generose e rotonde (ciliegia, lampone, fragolina di bosco), fa eco una freschezza che accompagna dal naso al retrolfattivo, giocata anche su ricordi di erbe della macchia mediterranea.

Bel tannino elegante, integrato e di prospettiva, che contribuisce a rendere la beva agilissima e super gastronomica. Vino pronto, con margini di crescita. Così come sarà grande un altro Cabernet Franc in purezza di Bock: il Siklós ottenuto dalla vigna di Makár, al momento ancora in affinamento in barrique.

Riczu Tamás – 2017 (15%)

Vino ottenuto dalle vigne di Villány con una resa inferiore ai 50 quintali ettaro. Non spaventino i 15% vol., perché il quadro è quello di uno dei vini di rara concentrazione e precisione degli aromi, in cui l’alcol gioca un ruolo fondamentale, proprio per la sua perfetta integrazione.

Il frutto rosso e nero polposo invita agli straordinari un tannino di seta, elegantissimo. A contribuire all’equilibrio del nettare anche una freschezza data da ricordi di mentuccia. Colpisce (anzi strabilia) per l’opulenza, abbinata appunto a freschezza, definizione elegante degli aromi e persistenza da vendere. Un faro per il futuro dei Villányi Franc.

  

Ruppert – Diósviszló 2016 (14,5%)

Piante di 20 anni e resa che fatica a raggiungere il chilogrammo per ceppo nel vigneto di Diósviszló. Se il calice del Cabernet Franc di Ruppert è eccezionale lo si deve soprattutto al grande amore che questa famiglia di produttori riversa in ogni singola attività produttiva. Non a caso è tra i pochi disponibili anche in Italia.

Colpisce per la stratificazione del naso e del sorso, che accosta frutto, spezie, freschezza, eleganza. Una fermentazione rigorosa e volta a favorire l’espressione dei primari, unita a un utilizzo garbato dei legni, regala un sorso al momento piacevolissimo, nonché di assoluta prospettiva.

Sauska – Siklós 2017 (14,5%)

Quattordici gradi e mezzo (abbondanti, si direbbe) e un’acidità pari a 6.1 punti: certi vini si comprendono ancora meglio con i numeri alla mano. Quelli del Cabernet Franc Siklós di Sauska, di fatto, parlano da soli. Si tratta dell’assemblaggio delle vigne Kopár, Konkoly e Makár. La parola d’ordine è “equilibrio”, sul filo di una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.

Note di chiodo di garofano, mentuccia, anice e un tocco di rabarbaro ben si accostano alla pienezza di un frutto grondante di succo, a bacca rossa e nera (lampone, ribes, mora). Vino di rara pienezza e gastronomicità, nonché fulgido esempio di quanto il Cabernet Franc di Villány possa ritagliarsi uno spazio (anche) tra i grandi vini internazionali “da meditazione”. Oltre a piatti elaborati di carni rosse, un buon libro come accompagnamento ideale.

 

Szende Pince – Kopár 2017 (15%)

Botte grande da 500 litri per due anni, una scelta territoriale che inizia dai legni: rigorosamente Trust ungherese. La selezione del vigneto Kopár di Szende è uno di quei vini che cattura sin dal primo sguardo e, subito dopo, dal primo naso.

Il frutto è delizioso e i terziari perfettamente integrati. Un quadro elegante e gioioso su cui danzano freschi ricordi di erbe della macchia mediterranea. Al palato, una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva e tannini in cravatta: soffici, ma di prospettiva assoluta.

Tra i migliori Cabernet Franc ungheresi non può mancare quello degustato durante l’Hungarianwines Gettogether 2021 del 19 agosto, al castello medioevale di Siklós. Una manifestazione a cui aderiscono annualmente diversi produttori provenienti da tutte le regioni vinicole dell’Ungheria.

Heumann – Trinitás 2016 (15%)

Vino ottenuto da Cabernet Franc in purezza di rara eleganza e stratificazione nel panorama dei Villány Franc dell’annata 2016. Si tratta del frutto dell’assemblaggio delle uve di Vokány (Trinitás, per l’appunto) e Diosviszlo (Nagyhegy), pensato dalla coppia svizzero-tedesca Evelyne & Erhard Heumann. Come pochi altri colpisce per l’integrazione assoluta dell’alcol, utile spalla dell’assoluta freschezza.

Precisissimi ricordi di piccoli frutti a bacca rossa e nera (mirtillo, ribes) ancora croccanti si concedono tanto al naso quanto al palato, arricchiti da tannini soffici e ricordi di cioccolato e tabacco. Tasso di gastronomicità alle stelle, senza rinunciare a una beva gustosa, golosa, instancabile. Potenziale d’affinamento lunghissimo.

DOVE MANGIARE A VILLÁNY

  • A. Gere Mandula Restaurant (Diófás utca 4-12, Villány)

Non solo vino per la cantina A. Gere. La famiglia chiude il cerchio dell’ospitalità con il Crocus – Resort & Wine Spa, nonché con un ristorante di assoluto livello: il Mandula Étterem – Bisztró & Wine Bar, proprio nel cuore del villaggio di Villány.

Il ristorante porta nel piatto un concetto di “Alta cucina regionale”, rispondente alla tradizione Swabian, ovvero della Svevia, la regione della Germania da cui provengono i Gere, così come molte altre famiglie della zona.

Un lavoro che si fonda sulla creatività, all’insegna dell’attività più importante: la produzione di vini di alta qualità. Al Mandula Étterem – Bisztró & Wine Bar si sperimenta un viaggio tra i vini di Attila Gere, a cui la componente gastronomica vuole fare da spalla.

  • Bock Óbor Étterem (Batthyány utca 15, Villány)

Nel solco dell’enoturismo e dell’ospitalità anche la cantina Bock, che a Villány propone un hotel 4 stelle, l’Ermitage, e un ristorante, l’Óbor Étterem, che si distingue per l’ambiente informale, a cavallo tra la trattoria e i masi con stube del Trentino Alto Adige.

Un po’ come sentirsi a casa, all’insegna degli abbinamenti cibo-vino studiati attorno alla ricchissima produzione della famiglia di origini sveve. Il tutto curato dall’executive chef Barbara Nemesné e dalla coppia di sous-chef György Róbert e Hadnagy Attila.

  • Sauska 48 (048/10 hrsz, Villány)

Si chiama Sauska 48 l’elegante ristorante della cantina Sauska. Oltre ai piatti, si distingue per la vista mozzafiato sulla collina di Villány, specie dalla terrazza, perfetta per l’estate e per le calde e assolate giornate primaverili. Il perché del nome? Presto spiegato: il ristorante ha 48 posti a sedere.

Nel piatto, le specialità della regione interpretate in chiave moderna, con ingredienti provenienti dalle aziende agricole biologiche del circondario. Il tutto condito dalla vasta gamma di vini targati Sauska che comprende, oltre a Villány, anche la produzione della seconda cantina, a Tokaji (vini disponibili anche in Italia).

BARANJA ED ERDUT: “GIÙ” IN CROAZIA, TRA GRAŠEVINA E CABERNET

Venti minuti, direzione sud. Cofano dell’auto e calici rivolti verso Petlovac. O, meglio, Baranjsko Petrovo Selo. Il valico tra Ungheria e Croazia meridionale dista appena 19 chilometri da Villány. Dall’altra parte, ecco la Baranja. Poco cambia, se non una consonante, rispetto alla Baranya ungherese.

Già, perché il progetto di promozione territoriale dei due Paesi si fonda proprio sulla sostanziale unità geografica delle due aree del Transdanubio. Simili anche nel numero di abitanti (circa 350 mila) nella densità di popolazione (attorno ai 75 / Km²) e per la superficie (circa 4 mila Km²). Senza dimenticare che, appena al di là del confine, in Croazia, vivono ancora circa 10 mila ungheresi, secondi solo a serbi (29 mila) e ai padroni di casa croati (oltre 275 mila).

L’influenza “enologica” della Baranya, in Baranja, si sente eccome. Più che nel calice – il terroir di Villány è decisamente più vocato e in grado, da solo, di offrire vini di maggiore spessore – nelle varietà. Basti pensare che la Graševina, la varietà più allevata non solo nella regione vinicola di Podunavlje ma in tutta la Croazia, altro non è che l’Olaszrizling ungherese, ovvero il Riesling italico.

Sul fronte dei rossi, riecco il Cabernet Franc, altro “volto noto” transfrontaliero. Non mancano le altre varietà del taglio bordolese: Cabernet Sauvignon e Merlot, vinificati in purezza o in uvaggio. Colpisce l’approccio croato al vitigno, che nelle migliori espressioni è molto diverso da quello ungherese.

Se a Villány si tende a produrre vini rossi potenti ed eleganti, impreziositi da una mano di legno e terziari più o meno invasivi, in Baranja, così come a Erdut, si sceglie – al momento – la via del residuo zuccherino. Un elemento troppo spesso strabordante, tanto da standardizzare la beva e renderla ancor meno territoriale. Le due subregioni della Podunavlje vivono un’era che può essere considerata d’oro per la viticoltura.

Respinto il sistema mono partitico comunista all’inizio degli anni Novanta, sono molte le aziende che si sono date da fare nel settore. Tra queste, ne spiccano alcune intenzionate distinguersi «sul modello di qualità della vicina Villány», spiega a WineMag.it Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia. Ecco dunque i 10 vini da non perdere tra Baranja ed Erdut.

Cabernet Sauvignon 2012 “Premium”, Vina Kalazić (13,5%)

Una delle cantine con le idee più chiare sul futuro, la Vina Kalazić di Zmajevac. La produzione, certificata biologica, si divide in tre linee. Si passa dai vini quotidiani alle due linee premium, tra cui spicca il Cabernet Sauvignon 2012. Gran pulizia del frutto, tannini finissimi e un sorso che fa presagire ancora un quinquennio ad alti livelli per il bordolese di casa Kalazić.

Pinot Grigio 2019, Vina Gerštmajer (13,5%)

Si resta a Zmajevac, ma si cambia completamente registro con Vina Gerštmajer. Una realtà famigliare che vale di pena conoscere e approfondire, soprattutto per la rivoluzione in atto grazie ad Ivan Gerštmajer. Il giovane, rappresentante della quarta generazione, ha iniziato a ridurre parzialmente i residui zuccherini di una realtà interamente vocata alla produzione di vini da vendemmia tardiva.

Il risultato più fulgido è l’esaltante equilibrio fresco-zuccherino di uno dei Pinot Grigio più attraenti del momento, almeno in scala mitteleuropea. Agli 8 grammi di residuo, perfettamente integrati, rispondono 12 punti di acidità. Il sorso è teso e freschissimo, tanto quanto morbido e suadente.

Uno dei classici vini “buoni da soli”, eccezionali anche a tavola. L’esempio più fulgido di quanto un giovane vignaiolo con lo sguardo sul mondo possa dare la svolta alla produzione di una famiglia che, negli anni, si è ritagliata un posto d’onore nella produzione dei migliori vini della Croazia.

Cabernet Sauvignon 2019, Vina Gerštmajer (14%)

Il vino che chiude il cerchio della rivoluzione. Se l’approccio di Ivan Gerštmajer alle varietà a bacca bianca da sempre presenti nel vigneto di famiglia è quello di semplificare senza ridurre, nel bouquet di vini della boutique winery di Zmajevac non poteva mancare un rosso in grado di mostrare l’altra faccia della medaglia.

Tra i vini carichi di terziari e qualche standardizzante sbrodolata sul residuo zuccherino (non a caso tanto amato da mercati come quello cinese) in Baranja brilla l’interpretazione del Cabernet Sauvignon 2019 del giovane Ivan.

Nella sua semplicità e immediatezza, chiara sin dal colore e poi fulgida all’assaggio (frutti rossi croccanti, speziatura elegantissima, beva agilissima ma tutt’altro che banale) c’è tutta la concretezza di un’idea che va ben oltre il vino. Quella di chi vuole scrivere la storia, in una regione enologicamente giovane, che ha un disperato bisogno di personalità a cui aggrapparsi per distinguersi.

Graševina 2020 “Premium”, Vina Belje (13,5%)

Vina Belje è il produttore di vino croato dotato del parco vigneti più vasto: ben 650 ettari, tutti in Baranja. Splendido il corpo aziendale storico, con una serie di cunicoli pronti a sorprendere gli enoturisti. Sul fronte della produzione, nel 2011, l’azienda ha investito risorse pari a 20 milioni di euro per un nuovo polo produttivo all’avanguardia.

Un’azienda attentissima al marketing e al giudizio internazionale, che sta dando (e darà) un grande aiuto alla denominazione e al territorio, soprattutto in termini di visibilità. Tra i vini, tutti enologicamente ineccepibili e pensati per centrare i gusti moderni, ben oltre i confini nazionali, spicca la concretezza e tipicità della Graševina.

Graševina 2020, Vina Antunović (12,5%)

«One woman company». Così si presenta la “donna del vino” più intraprendente della Croazia. Jasna Antunović Turk (nella foto sopra) è a capo della prima azienda vinicola del paese fondata e condotta da una donna. È a Dalj, nella regione di Erdut, a due passi dal confine con la Serbia, che l’ex manager del settore finanziario ha cambiato vita.

Una fortuna per l’intera regione di Podunavlje poter contare oggi sui suoi vini, in grado di evidenziare nel calice le sfumature del terroir locale. Per l’esattezza, Jasna Antunović Turk ha dato avvio nel 2004 all’impianto dei vigneti (8 ettari complessivi) contando sull’esempio del padre. Nel 2009 ha inaugurato la piccola cantina artigianale, a poche centinaia di metri dal Danubio.

La gamma è ricchissima di gemme, tra cui la Graševina 2020. Un vino non filtrato, allo scopo di preservare le gentili caratteristiche del vitigno. Al giallo paglierino luminoso con riflessi verdolini fanno eco frutto e materia da vendere, prima al naso poi al palato.

Spiccano note citriche e di frutta a polpa gialla, nonché fiori che contribuiscono a creare un bouquet elegante e ricercato. Uno di quei vini che assomigliano tanto a chi li produce, dividendosi nello specifico tra charme e concretezza, equilibrio e carattere.

Graševina 2015 Premium, Antunović (12%)

Quando può “invecchiare” una Graševina? Risponde Jasna Antunović Turk, con la sua Premium 2015. Sei anni abbondanti e non sentirli per questo bianco affinato sapientemente in legno grande, che si presenta nel calice con una veste dorata, luminosa. Tutto tranne che il bianco “grasso” e “pesante” che ci si potrebbe aspettare. Un nettare che conserva delicatezza e fragranza, all’insegna di una filosofia produttiva chiara: elevare il vitigno grazie alla tecnica.

Naso e bocca in perfetta corrispondenza, su preziosi ricordi floreali e generosi e polposi richiami fruttati. La componente agrumata tende il sorso come una corda, mentre il legno gioca a riequilibrare il sorso con la vena cremosa. Un vino bianco dall’elevatissimo tasso di gastronomicità, tanto da chiamare il piatto e l’abbinamento ad ogni sorso.

Cuvée Rosé 2020, Antunović (12%)

Poteva mancare un rosé nella cantina della prima donna winemaker della Croazia? Certamente no. Quello di Jasna Antunović Turk, per di più, è un rosato che travalica persino il facile (anzi, triste) luogo comune del rosato che fa impazzire le donne. Ottenuto da un uvaggio Pinot Noir, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, si presenta nel calice di un rosa provenzale luminoso.

Il naso è delicato, sui fiori di rosa e i piccoli e croccanti frutti rossi. Si spazia dal ribes alla fragolina di bosco, per poi virare su ricordi più pieni e maturi di frutta a polpa bianca e gialla, come la pesca e il melone. Si ritrova tutto al palato, in un quadro di perfetta corrispondenza che vede nella freschezza e nella vena salina del sorso (lunghissimo per la tipologia, in termini di persistenza) uno dei punti forti.

Chardonnay 2017, Antunović (13%)

Altro vino che esalta la varietà, il territorio e il savoir-faire enologico di Vina Antunović. Uno Chardonnay che convince per la riconoscibilità assoluta del vitigno, interpretato in chiave Erdut e, per questo, ancora più prezioso. Naso e sorso si concedono tra eleganti ricordi floreali e di frutta esotica. Pregevole la vena minerale-salina che fa da spina dorsale, unita all’esaltante freschezza che controbilancia la morbidezza del frutto. Vino equilibrato e gioioso, dotato di gran carattere e visione locale.

Graševina 2020, Vina Erdut

Vina Erdut, l’azienda guidata da Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia (nella foto sopra) è la cantina leader, in termini di fatturato ed ettari vitati disponibili della subregione di Erdut (513 di cui 490 a corpo unico, un record in Croazia). Merita la visita per l’imponenza della struttura di chiara matrice comunista, con vista spettacolare sul Danubio. La cantina, dotata dei più moderni sistemi di vinificazione, è stata inaugurata nel 1984.

È in grado di accogliere 6 milioni di litri di vino. Al suo interno, una botte di rovere di Slavonia finemente intagliata, con scene di vita rurale che fanno da contorno all’Ultima Cena. Tra i vini secchi e fermi convince la Graševina. Un bianco a tutto pasto giocato sull’esuberanza della componente fruttata, ben riequilibrata dalla freschezza.

Icewine 2012, Vina Erdut

Una delle sorprese per chi si ritrova a sondare le cantine della regione vinicola del Podunavlje: un icewine croato ottenuto da uve Gewürztraminer, raccolte a fine dicembre. Trenta grammi litro di residuo davvero ben integrati, in un sorso suadente e fresco, ben terziarizzato. Un vino perfetto per accompagnare soprattutto formaggi saporiti, oltre ai dolci.

DOVE MANGIARE IN BARANJA

  • Josić Restaurant & Winery – Vina Josić (Planina 194, Zmajevac)

Cucina tipica della Baranja con uno sguardo particolare sul mondo, in particolare sull’Italia, dove Damir Josić si sta tuttora formando, per nobilitare il menu del Josić Restaurant, annesso alla boutique winery di famiglia, Vina Josić. Un’avventura iniziata nel 1999, con l’acquisto di una delle tante antiche case di Zmajevac dotate di grotta (sarduk) per la conservazione del vino (prodotto in maniera casalinga) e dei generi alimentari.

  • Hotel Lug – Restaurant & Vinoteka (Šandora Petefija 64, Lug)

Eleganza e ambiente ricercato si riversano nei piatti di Hotel Lug – Ristorante e Vinoteka. Una storica realtà dell’omonima frazione del comune di Bilje, nell’Osijek-Baranja, da poco rilevata e in rampa di lancio. Nell’edificio da cui sono stati ricavati hotel, cantina e ristorante, fino a due secoli fa, viveva una famiglia tedesca. Al momento sono 67 etichette le etichette di vino in carta. L’obiettivo è di raggiungere le 150, per offrire un ventaglio completo sul vino della Croazia, da abbinare a piatti molto curati, non ultimo dal punto di vista estetico.

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  • Baranjska kuća (Kolodvorska 99, Karanac)

Un luogo magico e da non perdere, per tutti quegli enoturisti che vogliono vivere un’esperienza autentica. Il Baranjska kuća di Kneževi Vinogradi è situato nella frazione di Karanac e offre molto più di una cucina tradizionale di altissimo livello.

Il ristorante dell’hotel è interamente ricavato all’interno della Ulici zaboravljenog vremena, la Via del Tempo dimenticato attorno alla quale si sviluppano gli edifici del vecchio villaggio di Karanac, tra case e botteghe dei mestieri ormai in disuso.

Nei calici del ristorante Baranjska kuća, per scelta del giovane titolare Stanko Škrobo (nella foto gallery), solo vini prodotti nella regione della Baranja. Tra le specialità, anche la farina di mais prodotta in casa e utilizzata per confezionare il pane di questo angolo unico al mondo, in cui la modernità dello street food è legata a doppio filo alla tradizione.

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Enoturismo

Bolzano: riapre lo storico Stadt Hotel Città grazie a Forst e Podini

Riapre, dopo un’accurata ristrutturazione durata soli sei mesi, lo storico Stadt Hotel Città in Piazza Walther a Bolzano. Il progetto nasce grazie alla collaborazione tra Birra Forst Spa e Podini Spa, due grandi realtà imprenditoriali altoatesine accomunate da una lunga tradizione famigliare.

«Adoriamo gli hotel di tradizione, quelli che hanno una storia da raccontare, ma soprattutto quelli che hanno un’anima», dichiarano Cellina von Mannstein di Birra Forst e Giovanni Podini della Podini Spa, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato della società Hotel Città Srl.

IL NUOVO STADT HOTEL CITTÀ

Facciata in stile neobarocco dalle linee pulite. 91 stanze completamente rinnovate. Un’area benessere, una zona fitness e una nuova brasserie con dehors, aperta a pranzo e cena, i punti di forza del nuovo Stadt Hotel Città.

Uno spazio urbano e raffinato che si completa con un cafè affacciato su Piazza Walther. Un ambiente chic-urbano in cui trovare ospitalità, cucina mediterranea, tutte le specialità birrarie Forst ed una accurata selezione di vini.

Il progetto è stato realizzato dallo Studio Bizzarro di Ravenna, specializzato nel campo della progettazione di strutture alberghiere di prestigio, su precise indicazioni dei due committenti.

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Cantine news news ed eventi

Sedilesu “famiglia del vino” di Mamoiada: l’azienda si fa in tre con Mulargiu Malarthana e Teularju

Due progetti indipendenti, frutto di un delicato passaggio generazionale nella Sardegna del vino più autentica e profonda. Sedilesu si conferma “famiglia del vino” per eccellenza di Mamoiada (o Mamojà), con la nascita di Mulargiu Malarthana e Teularju. Questi i nomi delle due nuove cantine indipendenti, pur sempre legate a doppio filo alla casa madre.

Due «gemme», come piace definirle Salvatore Sedilesu, nate per dare spazio ai sogni e alle aspirazioni da vignaioli dei numerosi membri della famiglia sarda, nella Barbagia di Ollolai. A spiegare i dettagli dell’operazione è proprio il numero uno della cantina di via Vittorio Emanuele II.

«Io ho cinque figli – chiarisce – mio fratello e mia sorella rispettivamente quattro. Ci siamo dunque ritrovati nella condizione di dare all’azienda continuità generazionale. Per questo abbiamo “gemmato” da Cantina Giuseppe Sedilesu altre due aziende. Abbiamo diviso i corpi dei vigneti, continuando a lavorare stretto tra di noi. Tutta la materia prima che avanza ci viene conferita».

LA CANTINA MULARGIU MALARTHANA

Nel dettaglio, la cantina Mulargiu Malarthana è gestita da Francesco Mulargiu, figlio di Antonietta Sedilesu ed Emilio Mulargiu. Il giovane, da sempre immerso a pieni polmoni nella realtà di Mamojà, gestisce il ristorante Su Tapiu di Mamoiada ed è ormai pronto al vero salto di qualità, nella terra d’elezione del Cannonau di Sardegna.

La denominazione della nuova cantina unisce il cognome di famiglia – Emilio Mulargiu è tra i fondatori della stessa Sedilesu – e il nome della località in cui si trova la vigna di proprietà, Malarthana. «Con la vendemmia 2018 abbiamo prodotto solo 500 bottiglie – spiega Francesco Mulargiu a WineMag.it – ma nel 2019 il numero è salito a circa 4 mila. Con l’entrata in produzione della Riserva, arriveremo a 5 mila totali».

LA CANTINA TEULARJU DI MAMOIADA

«Le due “gemme” nate da Cantina Sedilesu – evidenzia ancora Salvatore Sedilesu – rispecchiano appieno il progetto di zonazione che l’associazione Mamojà vuole portare avanti sul Cannonau. Non a caso, anche la seconda cantina, denominata Teularju, porta il nome della vigna in cui si trova il terreno vitato, ovviamente nel territorio di Mamoiada».

La cantina è gestita da Francesco Sedilesu, fratello di Salvatore. Diecimila le bottiglie prodotte, su due etichette. Due progetti indipendenti, che sposano appieno la filosofia aziendale della casa madre Sedilesu.

«Faranno comunque la loro strada – precisa Salvatore Sedilesu – pur vinificando le proprie uve qui da noi, in cantina, come committenti. Sono due aziende nuove, che sapranno spiegare attraverso i loro vini l’intima interpretazione del territorio di Mamojà».

LA CANTINA SEDILESU

I dati più recenti della “casa madre”, fondata oltre 40 anni fa a Mamoiada, parlano dell’azienda simbolo del territorio, se non altro dal punto di vista dei numeri. Circa 120 mila le bottiglie prodotte in media ogni anno, grazie a 12 ettari di proprietà, 3 in affitto e alle uve di svariati conferitori, che allevano un totale di 5 ettari di vigneto.

Il mercato principale della Cantina Sedilesu è quello della Sardegna, regione in cui viene venduto il 50-60% della produzione. Il 40% circa restante finisce in Europa, con la Svizzera che guida la classifica dell’export. A seguire, Paesi del centro del continente come Germania, Austria e Olanda. Più di recente, la nota cantina di Mamoiada ha aperto sbocchi soddisfacenti negli Usa, in Canada e in Ucraina.

Spazio anche per il “nuovo mondo”, rappresentato dal Brasile. Il 2021, dopo la batosta del Covid-19 che ha segnato il 2020, ha convinto Sedilesu a spingersi verso Oriente, trovando un nuovo importatore in Corea. Vie infinite, insomma, quelle di Mamojà. Una volta di più se, dietro, c’è un’intera famiglia. Due fratelli, una sorella e 13 figli. Tutti nati sotto la stella del Cannonau.

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Cantine news news ed eventi

La Marchesa, Miglior cantina Sud Italia 2022 WineMag.it: Foggia nuova rotta della Puglia del vino

Quindici ettari vitati, quasi tutti a circa 300 metri dal corpo dell’azienda. Una masseria nel cuore della Daunia, a poca distanza dal suo luogo simbolo: il castello di Lucera. Una famiglia dedita alla viticoltura. Più di trent’anni di esperienza. Cantina La Marchesa è tutto questo, in uno: cantina dell’anno Sud Italia 2022 per WineMag.it, all’interno della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022.

Una realtà che si fa custode di un tratto di Puglia aspro, generoso. Fin troppo spesso dimenticato. Lo racconta al mondo attraverso i suoi vini. A condurre le vigne è Sergio Lucio Grasso, un vignaiolo vulcanico ed instancabile, legato alle proprie viti come se fossero un’estensione del proprio corpo.

CANTINA LA MARCHESA SUL PODIO DEL SUD ITALIA

A tratti ruvido nei modi, sempre schietto nelle parole, trasmette la sua energia e la vera essenza del territorio nei suoi vini. A fargli da contraltare è la moglie, Marika Maggi. Solare, aperta, fantasiosa donna del vino pugliese. È lei l’anima comunicativa della cantina La Marchesa. I due, insieme, sono una forza della natura.

Una voce unica, all’insegna dell’autenticità della produzione, divenuta l’ennesima ragione di vita comune. Nero di Troia, Montepulciano, Fiano e Bombino Bianco i vitigni coltivati con passione da Cantina La Marchesa e da cui nascono i cinque vini dell’azienda. Custodi di un territorio che merita un posto d’onore nel panorama vitivinicolo italiano.

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Argiolas chiama, gli chef rispondono: Alessandro Taras e Massimiliano Conti a Serdiana

Due appuntamenti da non perdere in Sardegna per gli isolani e per i tanti turisti che stanno affollando il mare cristallino della provincia di Cagliari. Argiolas ospita presso la cantina di Serdiana Alessandro Taras, chef di Is Paulis Serdiana e Massimiliano Conti del ristorante La Ciccia di San Francisco.

L’incontro, in programma la sera di mercoledì 28 luglio, si giocherà sui cavalli di battaglia di entrambi; i punti di incontro tra le due cucine. Dall’ostrica in tempura alla zuppetta di pomodoro e anguria con polpo scottato, dalla fregola al ragù di molluschi e zafferano al tonno scottato con melanzane affumicate e salsa al Carignano.

A seguire, il 10 agosto, arriva Calici di Stelle da Argiolas che quest’anno si estenderà dal vigneto Iselis alla nuova zona collinare di Pie Monti. Una zona in cui sono protagoniste le uve autoctone a bacca bianca Vermentino, Nuragus e Nasco.

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