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Il futuro del Derthona Timorasso: giovani ed alta ristorazione

Giovani ed alta ristorazione. Sono i due assi nella manica del Derthona, vino bianco ottenuto da uve Timorasso sui Colli Tortonesi. L’ultima edizione di DerthonaDue.Zero, in scena lo scorso weekend a Tortona, ha visto l’esordio ufficiale di Derthona Giovani, gruppo di 20 produttori vitivinicoli affiancati da 12 aziende del settore food uniti per promuovere, comunicare e valorizzare il territorio dei Colli Tortonesi.

Il gruppo di giovani si impegnerà ad organizzare eventi che coinvolgano le associazioni e le diverse realtà locali, oltre ad assicurare la partecipazione ad eventi food and wine in Italia e all’estero e collaborazioni con enti scolastici e scambi culturali con altre associazioni giovani.

ENRICO CRIPPA AMBASCIATORE DEL DERTHONA 2023

Netto il legame del Derthona con la ristorazione (e con l’alta ristorazione) anche grazie alla nomina di Enrico Crippa, chef del ristorante 3 Stelle Michelin Piazza Duomo di Alba (CN), ad Ambasciatore del Derthona 2023. Un’iniziativa, quella promossa dal Consorzio dei Colli Tortonesi, voluta «per premiare il lavoro e la dedizione di quei professionisti del settore che ogni anno si impegnano a far conoscere questo territorio e il suo vitigno simbolo».

«Sin dall’inizio della loro storia, negli anni 2000 – ha spiegato il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repettola famiglia Ceretto ed Enrico Crippa, hanno dato spazio al Timorasso, inserendolo all’interno di una delle carte dei vini più prestigiose d’Italia, donandogli al contempo anche una grande visibilità a livello internazionale».

Se il Timorasso è diventato così buono – ha commentato lo chef Enrico Crippa – è anche per merito delle persone che lo fanno. Oggi il livello è davvero altissimo. Noi abbiamo sempre creduto nei vini bianchi del Piemonte, ecco perché abbiamo inserito nei nostri percorsi anche il Timorasso come grande rappresentante di questa categoria».

LA CENA AL RISTORANTE ANNA GHISOLFI DI TORTONA


Grande spazio, in occasione di Derthona Due.Zero 2023, anteprima riservata alla stampa dedicata alla vendemmia 2021 del Timorasso, a un’altra grande protagonista della scena dell’alta ristorazione piemontese. La cena di sabato 12 marzo si è svolta nel ristorante della chef Anna Ghisolfi, allieva di Gualtiero Marchesi.

Location straordinaria – una chiesa sconsacrata nel centro di Tortona, con cucina a vista, senza barriere sui limitati posti a sedere – e piatti (in pieno stile “tapas”) all’altezza delle aspettative tra i «contrasti di sapori» e l’assoluta «eleganza visiva» che da sempre connotano lo stile misurato e distante da eccessi e manierismi della cucina di Anna Ghisolfi.

Abbinamento perfetto con le diverse etichette di Derthona Timorasso scelte per accompagnare i piatti. A presentarle sono stati i numerosi produttori presenti in sala per sottolineare un legame, quello con l’alta ristorazione, che ha tutto il sapore di un nuovo posizionamento per i Colli Tortonesi e per il loro vitigno principe.

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English Sparkling, il viaggio: così gli spumanti inglesi sfidano lo Champagne


«Sono terre vergini, circondate da boschi incontaminati. Il potenziale ancora inespresso è immenso». Prendi un bambino. Mettilo di fronte a uno scaffale di caramelle. Capirai così l’entusiasmo di Enrico Cassinelli tra i filari di Hundred Hills. Gli occhi brillano. La voce enfatizza il concetto: «Gli English Sparkling, gli spumanti inglesi, sono il presente e il futuro: l’Inghilterra, con i suoi spumanti Metodo classico, può davvero sfidare lo Champagne».

Un fagiano si alza in volo poco lontano, mentre una brezza leggera fa il paio con la timidezza del sole che inizia a calare a Henley-on-Thames. Alle 4 del pomeriggio, nella Contea di Oxfordshire, regione del South East England, fa freddo nonostante la bella giornata senza nuvole. È qui che ha trovato casa (e lavoro) il 52enne pavese responsabile dei vigneti di Hundred Hills.

Cassinelli, originario di Santa Maria della Versa, cuore pulsante dell’eterna terra promessa degli spumanti italiani (l’Oltrepò pavese), è solo uno dei tanti forestieri che sta contribuendo all’ascesa delle bollicine inglesi base Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier. Josh Donaghay-Spire, head winemaker di Chapel Down, la cantina da 2 milioni di bottiglie complessive che detiene il primato della produzione degli English Sparkling, esprime con parole diverse gli stessi concetti. Lo stesso stupore.

Abbiamo piantato la vigna Kit’s Coty nel 2008, ottenendo sin da subito risultati entusiasmanti dalla critica, perché a mio avviso quello è il vigneto migliore del Paese. Ma in Inghilterra molte vigne devono ancora essere impiantate e molte devono entrare in produzione: di tutte queste, dunque, non conosciamo ancora il potenziale. Abbiamo una storia meravigliosa tutta da scrivere nei prossimi 5, 15, 25 anni».

Poco lontano dal quartier generare di Tenterden del colosso Chapel Down, per l’esattezza ad Appledore, sempre nel Kent, Charlie Holland, enologo di Gousbourne, si unisce al coro del collega con la sua visione degli spumanti inglesi: «Abbiamo una pagina bianca all’anno da scrivere in Inghilterra: si chiama vendemmia. Ogni volta un libro affascinante e unico, da interpretare partendo dai nostri meravigliosi suoli, che danno uve uniche». Game, set, match.

Avesse un colore, quest’onda di entusiasmo che sta guidando decine di imprenditori inglesi a convertire il business e investire nella viticoltura – in particolare proprio nella produzione degli English Sparkling – sarebbe il bianco. Un candore destinato ad essere associato sempre più a un calice di spumante proveniente dalle parti di Buckingham Palace. E non più, esclusivamente, alle «bianche scogliere di Dover» celebrate da Alice Duer Miller. Già, perché alla base di gran parte dei migliori spumanti inglesi c’è il gesso. Lo stesso componente del suolo che ha reso celebre lo Champagne, a livello internazionale.

MAISON FRANCESI A CACCIA DI TERRENI NELLA “NUOVA CHAMPAGNE”


Se ne sono accorti da un pezzo i francesi, padroni indiscussi del mercato con i loro Méthode Traditionnelle. Domaine Saint Evremond, nel Kent, è di proprietà della storica e prestigiosa maison Taittinger dal 2015. I 69 ettari di Selling Court Farm, non lontano da un noto Golf Club, fanno parte del parco vigneti inglese della casa di Reims, oltremanica nei panni di conquistadores.

L’acquisto della tenuta è frutto di un accordo con il distributore britannico Hatch Mansfield. Una joint venture felice, tra mostri sacri della qualità e dei premium wines. L’esordio sul mercato è ormai agli sgoccioli: la prima etichetta è attesa per il 2024 e sa già di battesimo. Di inizio di una nuova epoca per la maison fondata nel 1734 da Jacques Fourneaux.

Ed è lo stesso Pierre-Emmanuel Taittinger a chiarire come l’investimento vada ben oltre i cambiamenti climatici: «Siamo la prima Maison di Champagne a dare vita a un vigneto nel Regno Unito, a un’ora da Londra e in una regione in cui il sottosuolo gessoso ha la stessa struttura geologica della Côte des Blancs, in Champagne». Un investimento ben programmato. Secondo quanto appreso da winemag.it, in Inghilterra, il costo dei terreni nudi è ancora tutto sommato contenuto.

INGHILTERRA, +70% DI ETTARI VITATI NEGLI ULTIMI 5 ANNI

Si parla di cifre che oscillano fra i 30 e i 50 mila pound per ettaro, ovvero dai circa 34 ai 58 mila euro. Cifre che hanno favorito investimenti e conversioni agricole. Tanto che l’Inghilterra è passata dai 211 ettari impiantati negli anni Ottanta al boom dei 2.200 ettari della decade 2010-2020. Tra il 2020 e il 2021 sono stati piantati 753 ettari, cui si aggiungono i circa 400 del 2022.

Sino ad arrivare, così, a un totale di 4 mila ettari vitati. La parte del leone è dello Chardonnay (1,179 ettari), seguito da Pinot Noir (1.164, di cui 63 di Pinot Noir Précoce / Frühburgunder) e Pinot Meunier (327 ettari). Nove i milioni di bottiglie prodotte complessivamente nel 2021 (erano 5 milioni nel 2017), di cui il 68% sono bollicine. Ma l’interesse crescente per gli spumanti inglesi è confermato anche dal ciclo di incontri dell’austriaca Riedel in tre cantine inglesi, sul finire di gennaio 2023.

Maximilian Riedel in persona, accompagnato da referenti britannici del noto marchio di calici – tra i quali Stephen McGraw e Martin Turner della consociata Spiegelau Nachtmann – ha voluto incontrare gli enologi locali e i referenti di Wine Gb – Simon Thorpe MW e Julia Trustram Eve – per studiare un calice ad hoc per gli English Sparkling. L’ennesima riprova di quanto, ormai, gli spumanti inglesi siano sulla bocca di tutti e aspirino a un ruolo da protagonisti nella scena internazionale.

LA VITICOLTURA IN INGHILTERRA: ENGLISH SPARKLING PROTAGONISTI

Che il Metodo classico abbia un ruolo di primissimo rilievo in Inghilterra, lo dicono anche i numeri. Le bollicine di qualità rappresentano il 98% di tutti gli spumanti prodotti, all’apice degli stili nel Regno Unito. Come spiega l’organismo di controllo a winemag.it, «la dicitura “English Sparkling Wine” può essere utilizzata in etichetta solo se il vino è stato sottoposto a certificazione Dop o Igp. La differenza tra i due tipi di denominazione dipende principalmente dalla varietà dell’uva».

La Dop riguarda i 6 vitigni classici consentiti: Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier, Pinot Précoce (il Frühburgunder tanto diffuso in regioni tedesche come l’Ahr), Pinot Blanc e Pinot Gris. L’Igp, invece, include un numero molto più ampio di varietà, compresi incroci come il Seyval Blanc (ibrido 5276). Se un produttore non sottopone il proprio vino ai regimi Dop o Igp, di solito lo etichetta come “Vino d’Inghilterra” generico.

Qualcuno utilizza anche la dicitura “Methode Britannique“, mescolando ulteriormente le carte franco-inglesi, ai bordi liquidi della Manica. Un’importante consultazione è in corso nel settore per individuare – entro Primavera – criticità e punti di forza dei disciplinari. L’obiettivo è quello di agevolare i produttori, ma soprattutto di favorire il marketing e la comunicazione degli spumanti inglesi.

Tra le proposte tecniche, quella di alzare da 9 a 18 mesi l’affinamento minimo degli English sparkling Dop, sotto al marchio Great British Classic Method. Se in Inghilterra ristoranti come The Harrow at Little Bedwyn del 12 volte stella Michelin Roger Jones hanno servito gli English Sparkling dall’esordio sino alla chiusura – avvenuta nel 2020 – oggi, in ottica nazionale e ancor più sul fronte dell’export (pari al 4% della produzione complessiva, con Scandinavia, Usa e Giappone in testa alla classifica), semplificare la regolamentazione è tra le priorità di Wine Gb.

TOUR IN 12 TAPPE TRA GLI SPUMANTI INGLESI METODO CLASSICO

Paesaggi incantati tra vigneti, pascoli, colline vergini, viali alberati che conducono a piccole cattedrali nascoste e una grande ricchezza di fauna selvatica.  Viaggiare nella regione del South East England, alla scoperta degli spumanti metodo classico inglesi, significa toccare con mano le immense potenzialità enoturistiche ancora inesplorate dell’Inghilterra.

Sei, in particolare, le contee interessate dal tragitto, da ovest a est: Berkshire, Shropshire, Oxfordshire, Hampshire, Sussex e Kent. Le 12 cantine suggerite da winemag.it sono collegate tanto da comode autostrade quanto da strade di provincia per cui occorre una certa abilità al volante, specie nelle stagioni più fredde.

Un percorso di circa 300 miglia (quasi 500 Km) che vale la pena di vivere in almeno 5 giorni a bordo di un’auto a noleggio, comodamente disponibile negli aeroporti londinesi. Quelle sottolineate sono le tre cantine da non perdere, per chi ha meno tempo a disposizione. Sulla pagina Instagram di winemag.it, la storia in evidenza “English Sparkling”, con tutte le immagini e video del viaggio.

GLI SPUMANTI METODO CLASSICO INGLESI DA NON PERDERE

  1. All Angels Vineyard
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    Classic Cuvée 2014; Rosé Sparkling 2018. Piccola cantina dall’approccio molto genuino, sotto la guida di Mark Darley. La vinificazione non avviene in loco e un investimento in tal senso potrebbe portare a un ulteriore innalzamento della qualità media di tutte le etichette. Splendido, in particolare, il risultato ottenuto nel 2014, grandissima annata per l’Inghilterra, anche in termini di longevità.
  2. Coates & Seely
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    Blanc de Noirs 2014 “La Perfide”; Brut Reserve NV; Rosé NV. Massima precisione degli spumanti grazie al team di esperti enologi francesi, la cui mano è comunque leggera, in favore dell’espressione dei suoli gessosi.
  3. Hundred Hills Winery
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    Blanc de Noirs 2019; Blanc de Blancs 2018; Rosé 2018. Team agronomico guidato dall’italiano Enrico Cassinelli, cui spetta un ruolo decisamente arduo, visto l’approccio della cantina alla massima espressione del vigneto, rinunciando alla quantità in favore della qualità assoluta. Risata contagiosa quella del titolare Stephen Duckett, che fa il paio con la ricerca della massima precisione in ogni calice. I vini Hundred Hills rispecchiano bene questa duplice attitudine: gran bevibilità e gastronomicità, accostata all’espressione sincera dei suoli e delle parcelle di vigneto.
  4. Black Chalk Vineyard & Winery
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    Classic 2018; Wild Rosé 2018 II. La più dinamica e giovane tra le cantine visitate. L‘enologa Zoë Driver, pur giovanissima, ha viaggiato molto e il bagaglio pesa (ovviamente in positivo) nel calice. In vigna, l’esperienza e la passione di James Mature. Cantina che sprizza energia e dinamismo.
  5. Hattingley Valley Wines
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    Rosé 2019. L’approccio “costumer oriented”, spinto dalle dimensioni e dal potenziale produttivo non indifferente della cantina, soddisfa più nel packaging che nell’effettiva stratificazione e valorizzazione del terroir nella gamma. Spumanti inglesi comunque perfetti per avvicinarsi alla tipologia.
  6. Hambledon Vineyard
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    Classic Cuvée; Première Cuvée; Classic Cuvée Rosé; Dosage Zéro Première Cuvée Pinot Meunier. Cantina che ha cambiato proprietà e scelte, spostandosi radicalmente dalla produzione di vini fermi da varietà tedesche degli anni Sessanta e Settanta a una linea di spumanti Metodo classico di altissimo rango. Hambledon è la prima cantina inglese ad aver immesso sul mercato una linea di vini prodotti tra i confini nazionali, nel 1952.
  7. Wiston Estate
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    Blanc de Noir 2014; Blanc de Blancs 2015; Vintage Rosé 2014; Blanc de Blancs NV, Estate Cuvée, Brut NV. In una parola sola: eleganza. Cui va aggiunta un’altra parola: assoluta. Eleganza assoluta. Questo propone Wiston Estate, dal croccantissimo spumante di entrata, ai millesimati che si avvicinano ai 10 anni sui lieviti. Wiston Estate, unica cantina inglese a possedere una tradizionale pressa Coquard – largamente utilizzata in Champagne – è anche Chalk Restaurant: l’angolo gourmet che conferma l’amore dei fondatori per il gesso che rende così unica l’espressione degli spumanti.
  8. Ridgeview Wine Estate
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    Blanc de Noir 2015 limited release; Blanc de Blanc 2017 limited release; Rosé de Noir 2018 limited release. La cantina possiede alcuni tra i vigneti di Chardonnay e Pinot Nero più vecchi in produzione per gli English Sparkling. L’approccio è rigido, focalizzato sull’espressione del suolo, senza rinunciare a una certa bevibilità e immediatezza.
  9. Bluebell Vineyard Estates
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    Blanc de Blancs 2015. Parola d’ordine “frutto”. Gli spumanti inglesi targati Bluebell Vineyard Estates si riconoscono tra mille per la caratterizzazione sul frutto. Residui zuccherini tendenzialmente più alti della media completano il quadro di una cantina che ha una precisa identità, nel segno del gusto del titolare, Kevin Sutherland.
  10. Balfour Winery
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    Blanc de Noirs 2018. Ampia tenuta nel Kent, focalizzata su un paradigma ben chiaro: «Non lavoriamo nel settore vino, ma nel settore dell’intrattenimento». Bello spazio attrezzato per l’estate e le giornate assolate di primavera, in cui godersi calici di spumanti poco complicati, di grande immediatezza e piacevolezza.
  11. Chapel Down
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    Kit’s Coty 2016 “Coeur de Cuvée” – North Downs; Kit’s Coty 2017 Blanc de Blancs – North Downs; Rosé Brut 2019 – Tenterden; Three Graces 2017 – Tenterden; Brut Nv – Tenterden. Non capita spesso: la cantina che produce più volumi è quella in grado di lasciare maggiormente il segno nel calice. Merito delle decine di ettari che Chapel Down possiede nella vigna di gesso più prestigiosa di tutta l’Inghilterra: Kit’s Coty. Tutta la gamma di spumanti è centratissima e di carattere, ma la vera personalità degli English Sparkling targati Chapel Down esce con le “etichette bianche”. Spumanti inglesi da non perdere per nessuna ragione.
  12. Gusbourne Estate
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    “51° N” 2014; Blanc de Noir 2018; Blanc de Blancs 2018; Brut Reserve 2019. Altra cantina in cui la “mano” dell’enologo si coniuga alla perfezione con l’espressione del suolo. Il parco vigneti del Kent di Gusbourne consente di lavorare le masse garantendo risultati qualitativi costanti, ma è il mix tra suoli gessosi, argillosi e ricchi di sabbie che agevola calici di grande qualità e personalità. Vini piuttosto mascolini, pur eleganti. In particolare, Gusbourne può essere considerata un punto di riferimento assoluto in Inghilterra per la spumantizzazione del Pinot Nero.
ENSLISH SPARKLING: GUIDA AGLI SPUMANTI INGLESI IN PILLOLE
  • I cambiamenti climatici sono una concausa, non la ragione unica dei recenti investimenti dell’Inghilterra nella viticoltura e nella spumantizzazione Metodo classico. L’aumento delle temperature medie, che favorisce la maturazione delle uve più che in passato e che aumenta anche le chance dei vini fermi, è la ciliegina sulla torta di un progetto ad ampio raggio che affonda le sue radici, in diversi casi, addirittura negli anni Cinquanta.
  • Massima attenzione, da parte dei produttori, nella scelta del sito in cui impiantare i vigneti. Deve essere in grado di assicurare la massima qualità delle uve atte alla spumantizzazione. L’acidità è un parametro importante, ma non l’unico a cui rispondere nella scelta dei siti da impiantare. La parola d’ordine, da queste parti, è “equilibrio“: un must per tutte le regioni vinicole internazionali che aspirano a un ruolo da protagoniste nei calici della critica e dei consumatori mondiali.
  • Molti spumanti inglesi sono frutto di singole parcelle, generalmente disposte su suoli contraddistinti da una larga presenza di gesso (chalk), calcare e altre rocce sedimentarie come il flint (chilt nella declinazione sassone del termine inglese). Grande spazio anche alla sabbia, nonché alla cosiddetta greensand, la “sabbia verde“, ricca di potassio e minerali, frutto del fine sgretolamento del gesso. Ovviamente è presente anche l’argilla, il tipo di suolo più comune nel Kent, una delle regioni con le temperature medie più alte del Paese e le minori precipitazioni. Il Kent è noto per l’appunto come The Garden of England, il Giardino d’Inghilterra, per la presenza di vaste piantagioni di frutta e ortaggi, oggi parzialmente soppiantate dai vigneti.
  • Nonostante i riscontri crescenti della critica internazionale, l’Inghilterra considera pressoché agli esordi il proprio percorso nell’Olimpo della viticoltura internazionale.

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  • Lo dimostra l’impianto di diversi cloni della medesima varietà, non solo nel singolo contesto aziendale, ma anche all’interno della medesima vigna. Ad ogni clone di Chardonnay, per esempio, spesso corrisponde un filare o più.  I diversi cloni vengono vendemmiati a seconda dell’epoca di maturazione, che può variare anche di diversi giorni, consentendo ai produttori di sperimentare e trarre il meglio da ogni vendemmia.
  • L’approccio di molte cantine agli English Sparkling è rivolto alla valorizzazione dell’espressione della singola annata, oltre che della singola vigna o, addirittura, parcella. La grande variabilità tra un’annata e l’altra convince molti ad avere in gamma uno o più spumanti NV (non-vintage) frutto dell’assemblaggio di più annate.
  • La vendemmia 2018, generosa e qualitativamente ottima, ha per esempio consentito ai produttori inglesi di accantonare buoni quantitativi di vini base per i millesimi successivi.
  • Dal punto di vista organolettico, gli English Sparkling sono generalmente caratterizzati da una vibrante freschezza e verticalità, dettata dall’acidità naturale delle uve Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier coltivate a queste latitudini, ormai ben gestita in vigna e in cantina. Lo zuccheraggio (chaptalization) è pratica poco diffusa tra le cantine che puntano alla massima qualità e all’espressione del terroir (la maggior parte).
  • Un descrittore spesso ricorrente per i calici di spumante inglese Metodo classico è la mineralità/sapidità, specie nelle aree in cui le viti affondano le radici in suoli gessosi, calcarei e ricchi di minerali. Non mancano quasi mai gli agrumi e la frutta (che sia a polpa rossa, bianca o gialla) è generalmente croccante. Il legno è poco contemplato nella vinificazione, se non per i vini base di riserva, la cui percentuale varia da un minimo di 5 a un massimo del 20% nella cuvée.
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Capodanno cinese 2023 da Bon Wei: piatti tradizionali e vini di nicchia


Dopo la Tigre, ecco il Coniglio. Mancano solo tre giorni al Capodanno cinese 2023, celebrazione che si preannuncia carica di simbolismo (e gusto) nei ristoranti cinesi di Milano
Il 22 gennaio, Bon Wei proporrà ai suoi clienti un menu dedicato, in scia con la filosofia di un locale divenuto un punto di riferimento per l’alta cucina regionale cinese in Italia. A 12 anni dal posizionamento dell’insegna in zona Sempione, via Castelvetro 16/18 è ormai un indirizzo imperdibile anche per gli amanti del vino, italiano e straniero.

Merito di Zhang Le, figlio dello chef Zhang Guoqing, sommelier Fisar che ha letteralmente rivoluzionato la carta vini di Bon Wei a partire dal suo ingresso in sala, nel 2013. Accanto a mostri sacri come Château Petrus, ha scelto numerose etichette di Distribuendo Wine and Spirits, distribuzione con sede nella vicina Paderno Dugnano che rivela tutto l’amore dei fondatori Dario Carcano e Mauro Pincione per i (buoni) vini di nicchia, con grande focus sulla sincera espressività dei singoli vitigni (cosa ormai rara).

CAPODANNO CINESE: LA TIGRE LASCIA SPAZIO AL CONIGLIO

Tigre e Coniglio, gli animali che si scambiano il testimone nella staffetta del Capodanno cinese 2023 (questo sarà l’Anno del Coniglio – che prenderà il posto della Tigre – – animale 2022 per l’astrologia cinese) sembrano, per certi versi, dividersi il palco del menu 5 portate e degli abbinamenti cibo-vino ideati per l’importante ricorrenza. “Ruggisce” la tigre nelle spezie, nei profumi e nei sapori decisi che condensano al meglio lo spirito delle Badacaixi, le otto cucine regionali cinesi (Anhui, Cantonese, Fujian, Hunan, Jiangsu, Shandong, Sichuan e Zhejiang).

Soffice come burro, anzi come il pelo di un coniglio, la consistenza della cernia gialla al vapore, o del filetto di manzo saltato nel wok. Nel calice, si passa con abilità dal gioco tra le graffianti mineralità e le suadenti morbidezze del Grand Cru di Oger Comte de Chermont Champagne 2012 di Klepka Sausse alle verticalità (misurate) del Catarratto Superiore Riserva 2020 di Bagliesi (Sicilia), del Sauvignon “Exclusiv” 2020 di Ploner (Alto Adige) e di “Campo Vulcano”, il Soave Doc Classico de I Campi (Veneto) che, con la vendemmia 2018, inizia a parlare chiaramente la lingua dell’idrocarburo (quanta vita ancora davanti!).

Per i piatti più strutturati, ecco il delizioso “Luna China”, Cerasuolo di Vittoria Docg di Tenuta Ferrera – Poggio Racineci, giovane realtà siciliana. È firmato dall’altro giovanissimo vignaiolo Stefano Occhetti il Roero Sanche 2019 in abbinamento allo Xian-gu (fungo shiitake) ripieno di carne di maiale e pak choy. Col manzo nel piatto, il pairing chiama la Toscana, col gran carattere del Brunello di Montalcino Riserva 2016 di Col di Lamo. In chiusura, i Vermouth Santòn di Borgo San Daniele (più tradizionale il bianco, mentre il rosso vira nella stilistica dei fortificati, come il Porto).

BON WEI E L’ABBINAMENTO CIBO VINO DI ZHANG LE

«Se la bollicina, che sia Champagne o Franciacorta, risponde ad ogni quesito – spiega Zhang Le – ci sono vitigni che risultano ben versatili con i sapori della Cina. Il Pinot nero, che è uno dei miei preferiti e oggi va molto di moda, è polivalente, riesce ad accompagnare un pesce saporito così come una carne speziata».

La varietà può risultare davvero vincente sull’Anatra Laccata, mentre per i lamian (noodles tirati a mano) o il riso è il condimento che detta l’abbinamento. Con le zuppe, invece, difficilmente in Cina si accompagna un vino. Vini come Amarone della Valpolicella e Sforzato della Valtellina possono reggere bene anche lo Shu-Zhu, stufato di manzo del Sichuan, molto piccante e aromatico.

Il menu del Capodanno cinese di Bon Wei resterà disponibile nelle due settimane successive al 22 gennaio. A soprendere gli ospiti anche la bottiglia di Cristal decorata da Teo Kaykay per l’Anno del Coniglio, le cui vendite inizieranno proprio in occasione della cena di “inizio anno”. Da non perdere, a fine pasto, grappe, Baijiu e whisky, vera passione dell’esperto Zhang Le.


Capodanno cinese al ristorante Bon Wei, 22 gennaio 2023

Costo del menu degustazione per persona: 140 euro
Pairing vini: 40 euro
Per prenotazioni, Tel: 02 341308
Email: prenotazione@bon-wei.it

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Pizza Day 2023: nel mondo si sfornano 2,7 miliardi di pizze all’anno


Con 2,7 miliardi di pizze sfornate nel mondo e un fatturato che supera i 15 miliardi di euro all’anno, la pizza si conferma un tesoro del Made in Italy, simbolo del successo della dieta mediterranea nel mondo. La Giornata internazionale della pizza si celebra domani, martedì 17 gennaio, all’insegna di tutte le forme di questo alimento-sinonimo dell’Italia.

Rotonda, quadrata, con o senza “cornicione”, a tranci, sottile, spessa, croccante o soffice, con mozzarella e pomodoro o con fiori di zucca e alici, o con verdure grigliate, la pizza si conferma uno dei piatti storici più versatili della cucina italiana. Tanto che l’Unesco ha proclamato nel 2017 l’Arte dei pizzaiuoli napoletani Patrimonio immateriale dell’Umanità.

LA PIZZA È PATRIMONIO UNESCO

L’Arte, come ricorda la stessa Unesco, è nata a Napoli, dove vivono e lavorano circa 3 mila pizzaiuoli, suddivisi in tre categorie in base all’esperienza e alle capacità. Ogni anno l’Accademia dei Pizzaiuoli Napoletani organizza corsi sulla storia, gli strumenti e la tecnica del’arte con lo scopo di assicurarne la sopravvivenza, ma gli apprendisti possono fare pratica anche nelle loro case, dove l’arte è ampiamente diffusa.

Un alimento, come ricorda Coldiretti alla vigilia del Pizza Day 2023, che è anche la colonna portante di un sistema economico costituto da 121 mila locali in Italia dove si prepara e si serve grazie ad una occupazione stimata dalla Coldiretti in 100 mila addetti a tempo pieno e a di altrettanti 100.000 nel weekend. I 2,7 miliardi di pizze sfornate all’anno, in termini di ingredienti, si traducono in 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.

PIZZA E CAMBIAMENTI CLIMATICI

Un lavoro quotidiano, sul quale pesano però gli effetti dei cambiamenti climatici con i danni provocati dalla siccità e dal maltempo in Italia, che hanno tagliato le produzioni degli alimenti base della dieta mediterranea. Il crollo è stato del 30% per l’extravergine di oliva, del 10% per passate, polpe e salse di pomodoro. Fino al -15% per il grano tenero, da cui si ricava la farina per la pizza.

La passione per la pizza è anche planetaria. Gli americani sono i maggiori consumatori, con 13 chili a testa. Gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,8 chili all’anno e staccano spagnoli (4,3), francesi, tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci. La corte di Vienna, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiude la classifica.

«Una diffusione – rileva Coldiretti alla vigilia del Pizza Day 2023 – che ha favorito lo sviluppo di ricette che nulla hanno a che fare con l’originale, attraverso l’uso degli ingredienti più fantasiosi, a partire proprio dai frutti tropicali come ananas, banane o noce di cocco. Ma anche di dolci, come i marshmellow americani o il creme caramel, di specialità locali come le haggis, le interiora di pecore scozzesi, la carne australiana di canguro e coccodrillo o quella di renna finlandese, fino alle versioni con insetti, dai grilli alle cicale e agli scorpioni».

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Made in Italy protagonista della tavola delle feste nel mondo: record storico

Record storico per l’export Made in Italy alimentare sulla tavola delle feste di tutto il mondo, spinto da vini, spumanti, grappa, liquori, panettoni, formaggi e salumi. È quanto emerge dal bilancio della Coldiretti sulla base delle proiezioni Istat del commercio estero relative al mese di dicembre 2022.

«Ad aumentare a doppia cifra – sottolinea Coldiretti – è stato il valore delle esportazioni di tutti i prodotti più tipici delle feste, dallo spumante (+23%) ai panettoni (+13%) fino alle paste fresche come tortellini e i cappelletti (+13%). In salita, altresì, la domanda dei formaggi italiani che hanno fatto registrare un aumento in valore delle esportazioni del 18%, così come quella di prosciutti, cotechini e salumi (+7%)».

A guidare la classifica estera del Natale resta lo spumante italiano, che concorre a trainare l’intero settore enoico, registrando un complessivo aumento del 12% in valore dell’export. Un trend che, secondo Coldiretti, dimostra con il record storico nelle esportazioni a quota 60 miliardi per l’intero 2022 «come l’agroalimentare italiano sia un settore in grado di sostenere la ripresa dell’economia».

Il successo dell’export ha spinto anche il valore complessivo della filiera agroalimentare che, nel 2022, è diventata la prima ricchezza dell’Italia, per un valore di 580 miliardi di euro con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente, nonostante le difficoltà legate alla situazione internazionale.

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Istria più vicina dal 1° gennaio 2023 con l’ingresso della Croazia nell’area euro


L’Istria verde, con il suo entroterra ondulato, le colline ricoperte di vigneti, gli uliveti profumati e i borghi medievali appollaiati sui monti. E l’Istria blu, quella che si allunga nel mar Adriatico con le sue coste rocciose, i fondali limpidissimi, le cittadine ricche di storia come Pula (Pola), Poreč (Parenzo) e Rovinj (Rovigno). Queste le due anime dell’Istria (Istra in croato), dal primo gennaio 2023 ancora più vicine e a portata di mano per i turisti italiani. Verranno infatti aboliti i controlli ai varchi di confine croati (marittimi e terrestri) con i Paesi dell’area Schengen.

Addio dunque anche a code e barriere per chi attraverserà il confine arrivando da Ovest, a Plovanija (Plovania), Kaštel (Castelvenere) e Požane (Posane). Inoltre, sempre dal 1° gennaio, la Croazia entrerà ufficialmente nell’area dell’euro, come da decisione del Consiglio dell’Unione europea che ne ha formalmente approvato l’adesione e ha fissato il tasso di conversione della kuna, la moneta locale, a 7,53450 per un euro.

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Il vigneto centenario della Barbera d’Alba “Pre-Phylloxera” Elvio Cogno


Nascosto, protetto, inarrivabile. Il vigneto centenario in cui prende vita la Barbera d’Alba Pre-Phylloxera” di Elvio Cogno sembra la congegnata antitesi dei vigneti di chi ha messo Ravera sulla mappa del Barolo. Non ci arrivi, se non accompagnato. Preso per mano da chi ne ha voluto, fortemente, il salvataggio. L’esatto opposto delle vigne di Nebbiolo che circondano fiere, quasi a girapoggio, la cantina di Novello (CN).

La Barbera “Pre-Phylloxera” di Elvio Cogno, del resto, è un manifesto al vivere lento. Fuori dai radar. Fuori dalle rotte del vino comune, mainstream. Un po’ opera d’arte. E un po’ follia. In pochi avrebbero deciso di preservare quel mazzo di filari – nove, per l’esattezza, a 520 metri di altitudine in località Berri, nel Comune di La Morra – capaci di restituire appena 20-30 quintali di resa di qualità eccezionale.

Eppure, basta guardare come s’illuminano gli occhi di Giacomo Vaira (nel video, sotto) tra i più giovani del team di Elvio Cogno, per capire quanto la scelta di non estirpare sia stata azzeccata. Anzi proiettata, paradossalmente, al futuro. Poco più di tre mila metri di superficie su suoli prevalentemente di sabbia, con limo e calcare, sono il segreto della longevità di questo “museo a cielo aperto”.

Le viti a piede franco e maritate arrivano a superare i 120 anni, regalando una produzione di 1.800 bottiglie di Barbera d’Alba “Pre-Phylloxera” l’anno. Una «vendemmia speciale» per chiunque abbia «la fortuna e l’onore» di poter scegliere i grappoli migliori, da piante divenute monumenti alla natura e alla sua resilienza. Per tenerle in vita, la Elvio Cogno adotta costosi accorgimenti.

L’ENDOTERAPIA PER SALVARE IL VIGNETO CENTENARIO DI BARBERA

Le piante che mostrano segni di flavescenza dorata e mal dell’esca vengono sottoposte a una sorta di “lavanda gastrica”. «Attraverso un tubicino innestato nel tronco – spiega Valter Fissore, Deus ex machina della Elvio Cogno – mettiamo in circolo una soluzione di rame ed oli essenziali di alghe che entrano nei vasi linfatici, a una pressione di 10-15 bar».

È una tecnica agronomica innovativa e molto costosa, chiamata endoterapia. Un 40% delle piante trattate negli ultimi anni si è ripresa bene. Salvare questi monumenti naturali ha molto più valore che rimpiazzare le piante malate con nuove barbatelle: è un dovere, che risponde anche a criteri di sostenibilità economica, viste le incognite del reimpianto».

Nell’area adiacente al vigneto “Pre-Phylloxera”, Elvio Cogno si appresta a impiantare qualche filare di Barbera a piede franco ottenuta dalla selezione del vigneto centenario originario. Un modo per preservare il patrimonio della vecchia vigna, giunto fino ai nostri giorni. E continuare a produrre un vino unico nel panorama piemontese, italiano ed internazionale.

Come spiega Valter Fissore (nella foto, sotto), l’etichetta incuriosisce tanto i buyer italiani quanto quelli esteri. In Italia è Sarzi Amadè a curarne la distribuzione. Circa 600 le bottiglie che rimangono nel Bel paese, assegnate con dovizia dalla Elvio Cogno. Ma la Barbera d’Alba “Pre-Phylloxera” è una chicca che piace anche negli Usa, così come nei Paesi del Nord Europa, Norvegia in testa, e in Giappone.

BARBERA D’ALBA PRE-PHYLLOXERA ELVIO COGNO: L’ASSAGGIO

La vendemmia 2020 è in esaurimento e la 2021 sarà disponibile a partire dalla prima metà del 2023. Il vino affina un anno in botte grande di rovere, senza perdere alcuna caratteristica che la rende unica. Al netto delle differenze tra annata ed annata, all’assaggio alla cieca può confondere.

Il fil rouge che lega le varie vendemmie (winemag.it ha potuto degustare la verticale 2018, 2019, 2020) sono i rimandi a note pepate (pepe nero) che stuzzicano la straordinaria integrità del frutto, scuro e rosso. Un tocco di elegantissima tannicità guida il sorso, accompagnando freschezza e bevibilità eccezionale, segno tipico di tutti i vini di Elvio Cogno.

L’ottima stratificazione e, ancor più, la profondità, rischiano di confondere nel blind tasting, avvicinando questa Barbera d’Alba ad alcuni dei tratti tipici del Rodano francese, tra il frutto goloso e croccante del Grenache e la spezia scura del Syrah. La verità, invece, è un’altra: la Barbera d’Alba “Pre-Phylloxera” di Elvio Cogno è un vino uguale solo a se stesso. Specchio fedele di quel vigneto centenario da cui prende vita. Nascosto, protetto. Inarrivabile.

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«Costo altissimo del latte alla stalla»: filiera Mozzarella Bufala Campana Dop in crisi

La filiera della Mozzarella di Bufala Campana Dop subisce i primi effetti dei rincari di materie prime, inflazione e prezzi nel carrello della spesa. Nel bimestre settembre-ottobre 2022 i consumi di Bufala Campana Dop sono diminuiti, facendo registrare un calo del 4,54% a settembre e del 3,50% a ottobre. Inoltre il trend di novembre è ulteriormente in diminuzione.

«Si tratta di un campanello di allarme importante – commenta il presidente del Consorzio di Tutela, Domenico Raimondo – è la conferma di un anno difficilissimo. Le preoccupazioni del presidente sono rivolte al futuro: “Rischiamo di vedere azzerata la crescita che, nonostante le difficoltà, il comparto era riuscito a conquistare dall’inizio dell’anno».

La resilienza post Covid che abbiamo dimostrato si è scontrata con le conseguenze economiche della guerra, con l’inflazione che galoppa, con un aumento dei costi impensabile, a cui stiamo cercando di fare fronte. Il risultato è un’incidenza significativa sulla redditività del comparto».

Dopo una prima parte di anno in crescita con una media del +5%, da settembre in poi le aziende della filiera della Mozzarella di Bufala Campana Dop «sono in affanno e bisogna intervenire subito». «Facciamo nostro l’allarme già lanciato da Assolatte e dalle associazioni di categoria sull’eccessivo aumento del prezzo del latte vaccino. La filiera bufalina – conclude il presidente Domenico Raimondo – vive la stessa situazione, partendo già da un costo altissimo del latte alla stalla, che in questo momento di difficoltà il mercato non riesce ad assorbire».

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La Sicilia del vino scopre (a Milano) il valore delle gift box di Natale


Con Natale alle porte, la Sicilia del vino scopre (e promuove) il valore delle “gift box“. “Le confezioni regalo dei vini siciliani” è stato il tema dell’evento promosso ieri a Milano da Assovini Sicilia, per presentare alla stampa le colorate idee regalo. Confezioni, box e cassette che sintetizzano ed esaltano il mosaico della viticoltura siciliana.

Dal Nerello mascalese al Nero d’Avola, dal Grillo al Passito di Pantelleria, tutta la diversità e ricchezza enologica siciliana sintetizzata per raccontare vino, cultura e bellezza artistica. Packaging accattivanti, ceramiche simbolo della tradizione siciliana, creazioni artigianali realizzate da artisti locali, elementi che richiamano alla cultura dell’isola, sono le confezioni scelte dagli associati Assovini Sicilia per celebrare le festività.

Oltre quaranta le etichette proposte dalle diciannove aziende di Assovini Sicilia che hanno aderito all’evento. «Per noi è un’occasione importante – commenta Laurent de la Gatinais, Presidente di Assovini Sicilia – che ci consente di fare conoscere il vino siciliano nelle sue molteplici espressioni, incluse quelle delle confezioni per questo Natale. I nostri vini sono le preziose tessere che compongono il mosaico vitivinicolo della Sicilia. Il binomio vino e arte, in Sicilia, assume un valore sempre più significativo».

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Mafia marketing, a Palermo scatta la rivolta della società civile


Scatta la rivolta di imprese, cittadini e Istituzioni contro lo scandalo mondiale del mafia marketing che per la prima volta verrà messo in mostra con quello che Coldiretti definisce «un’inquietante “collezione” dei più vergognosi prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più odiose, sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell’immagine del Paese».

L’appuntamento è per venerdì 2 dicembre dalle ore 9 a Palermo in via Amari, accanto al Teatro Politeama al Villaggio Coldiretti. Accorreranno migliaia di agricoltori, assieme al presidente di Coldiretti Ettore Prandini e alla delegata di giovani Coldiretti Veronica Barbati.

Un atto di denuncia rispetto a un fenomeno che getta discredito sull’immagine del Paese – continua Coldiretti – diffondendo inaccettabili stereotipi, contro il quale prende il via una mobilitazione nazionale guidata dai giovani imprenditori che saranno presenti in piazza per difendere la reputazione dell’Italia ed il loro futuro».

Per l’,occasione insieme alla prima mostra sui prodotti del mafia marketing. nel mondo verrà diffuso lo studio Coldiretti “La mafia del piatto, dai ristoranti al supermercato“. Un focus sulla ristorazione che in tutti i continenti «sfrutta termini come mafia, cosa nostra, camorra come elementi di richiamo per fare affari propagandando una immagine distorta dell’italianità».

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Nasce il portale Enjoy Prepotto: emozioni di confine tra i Colli Orientali del Friuli


I punti fermi ci sono tutti. Adesso. Sui Colli Orientali del Friuli, o meglio in quel fazzoletto di terra della provincia di Udine che ha cambiato bandiera, passaporto, colore, orizzonte e futuro, più volte nel corso della storia, tredici aziende fanno rete per portare Prepotto sulla cartina geografica. Del turismo. Il risultato è il portale Enjoy Prepotto (www.enjoyprepotto.it) che comprende degustazioni guidate, ristoranti e b&b, escursioni naturalistiche, gite in e-bike, corsi di «cucina di confine» e lezioni di yoga in cantina.

E il vino (in primis lo Schioppettino di Prepotto e di Cialla) è tra i protagonisti assoluti. Un elemento essenziale, in cui da sempre si dissolvono anche i più acerbi dissidi. Una panacea, utile a staccare dalla frenesia di tutti i giorni, immergersi nella natura e lasciarsi guidare dagli stimoli culturali (e religiosi) di cui è ricco il territorio, tra Italia e Slovenia. In una parola, il “fluido” che tiene unite – spontaneamente – le 13 aziende di Enjoy Prepotto.

Cantine, agriturismi e b&b che hanno deciso di unire le proprie forze «per portare nuova linfa al territorio di Prepotto». L’offerta del portale comprende un ricco ventaglio di attività ed esperienze turistiche per tutto l’anno. Sei le categorie: degustazioni e visite in cantina, escursioni guidate, corsi di cucina, gite in e-bike, corsi di yoga e meditazione, eventi culturali.

LA VOCE DEI PROTAGONISTI DI ENJOY PREPOTTO

Al momento Enjoy Prepotto non vende i servizi, ma funge da collettore delle experiences del territorio, offerte dalle aziende aderenti. Si va da scrigni dell’accoglienza e della ristorazione come Tinello di San Urbano, Agriturismo Scribano, L’Osteria di… Delizie e Curiosità, a cantine come Vigna Lenuzza, Orlando e Didonè, Ronchi di Cialla.

E ancora: Spolert Winery, Vigna Petrussa, Vigna Traverso, Pitticco, Grillo Iole e Vie d’Alt. Non ultimo Renzo Ferluga, guida naturalistica del gruppo. Già disponibili gli eventi in programma per i primi mesi del 2023 (per maggiori informazioni, scrivere a info@enjoyprepotto.it).

«La nostra missione – spiega Caterina Cossio di Agriturismo Scribano, tra i promotori del progetto – è offrire alle persone un’accoglienza autentica e distintiva, valorizzando un luogo di confine unico la cui storia contamina tutti i suoi elementi: la natura, la cultura, la cucina. Un luogo dove i ritmi rallentano e la natura invita ad abbracciare uno stile di vita più sincero».

L’idea – aggiunge Riccardo Caliari di Spolert Winery – nasce dalla volontà di raccogliere e unire tutte le opportunità offerte da questo speciale territorio e dalle nostre aziende, creando un unico market place tramite il quale è possibile programmare liberamente un weekend o anche solo un pomeriggio di svago all’insegna del relax, del gusto e del divertimento».

Quello di Riccardo Caliari è tra i volti più rappresentativi del neonato movimento Enjoy Prepotto. Cinque anni fa ha scelto di trasferirsi a Prepotto per produrre vino. Lasciando Verona, la sua città di origine. «Questo territorio mi ha affascinato – spiega – per la densità di contenuti che offre. Lo scopo di questa associazione spontanea di aziende è lo stesso: stupire gli ospiti, non solo in alta stagione, ma tutto l’anno. In poche parole gusto, divertimento e condivisione».

Stessa (buona) “sorte” per l’altro produttore veneto Stefano Traverso, a Prepotto dal 1998. Passi da gigante quelli compiuti da Vigna Traverso nella produzione dello Schioppettino e degli altri vini locali, dopo un «periodo di adattamento non facile con le varietà locali, diverse da quelle a noi familiari, in provincia di Treviso». Ottima anche l’interpretazione del Cabernet Franc da parte cantina che lavora 18 ettari in un modernissimo impianto, incastonato nella collina.

«Nell’arco degli anni – conferma Bruna Tocco de L’Osteria di… Delizie e Curiosità – il profilo dei turisti e dei visitatori è cambiato. Si cerca sempre più qualità, disponibilità, un ambiente caldo e accogliente e prodotti genuini. Cerchiamo di assicurare tutto questo tra i tavoli del nostro ristorante di Castelmonte, ovvero nella parte più alta del territorio di Prepotto, a 600 metri sul livello del mare». È il bosco a suggerire gli ingredienti. Selvaggina, mais per la polenta e patate sono elementi essenziali della cucina locale.

PREPOTTO, UN ANGOLO DI PARADISO E LA PATRIA DELLO SCHIOPPETTINO

Circondato da fiumi e monti, Prepotto è un piccolo comune in provincia di Udine, collocato nell’estremo nord-est d’Italia. Confina per 15 km con la Slovenia ed è situato a 6 chilometri da Cividale, Patrimonio Unesco, e 25 da Udine. Da anni è ormai è meta naturalistica molto frequentata da appassionati escursionisti e cicloturisti di tutta Europa. Più recente il successo della Marcia dello Schioppettino, vera e propria case-history che riesce ad attrare ogni anno a Prepotto migliaia di “camminatori” (prossimo appuntamento il 19 febbraio 2023).

Non a caso qui si intersecano ben tre cammini internazionali che attraversano il Friuli-Venezia Giulia: il Cammino Celeste, l’Alpe Adria Trail e la Via Alpina. Uno degli epicentri del turismo è proprio Castelmonte, santuario mariano tra i più antichi del Nord-Est doItalia. E tra le dolci colline terrazzate scorre lo Judrio, fiume di frontiera che separa l’Italia dalla Slovenia e la cui valle offre uno spettacolo naturale in continua evoluzione, ricco di flora e fauna.

Cambia, in base al terreno e al microclima, anche l’espressione del vino simbolo del territorio: lo Schioppettino di Prepotto (e di Cialla), terra d’elezione dell’omonimo vitigno. Oggi è un vino Doc Friuli Colli Orientali poliedrico e capace di restituire nel calice, come pochi, le caratteristiche del suolo. Si passa dalle marne eoceniche (la cosiddetta “ponca“) alle ghiaie. Ma soprattutto da zone più “miti” a zone più fresche.

«La produzione dello Schioppettino – spiegano i promotori di Enjoy Prepotto – è legata indissolubilmente alla tradizione di questo luogo. Non solo perché quasi tutte le aziende vitivinicole locali lo producono da decenni, ma anche perché è il vino che per eccellenza si sposa bene con i piatti tipici della nostra cucina di confine, caratterizzata da influenze e contaminazioni derivanti soprattutto dalla tradizione gastronomica friulana, da quella slava e da quella austroungarica». Insomma, una terra da scoprire. Calice alla mano.

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Il Panettone ai Tre Cioccolati Viaggiator Goloso sostiene i restauri del Duomo di Milano


Si rinnova all’insegna della bontà e della solidarietà la collaborazione tra il Viaggiator Goloso® e la Veneranda Fabbrica del Duomo, che celebrano insieme l’arrivo del Natale 2022 con il nuovo Panettone ai Tre Cioccolati. Questa edizione del panettone firmato il Viaggiator Goloso® unisce tre classici tipi di cioccolato – fondente, al latte e bianco – alle scorze d’arancia e alla glassa.

La nuova proposta ha un motivo in più per essere unica: tutti coloro che la acquisteranno, infatti, contribuiranno a sostenere i restauri della Cattedrale milanese. Non solo. Chi sceglierà questa rivisitazione del più tipico dei dolci meneghini per la propria tavola delle feste, riceverà in omaggio 2 biglietti per visitare il Duomo di Milano e i suoi tesori d’arte.

DOVE ACQUISTARE IL PANETTONE AI TRE CIOCCOLATI VIAGGIATOR GOLOSO

In vendita presso il Duomo Shop, negli store il Viaggiator Goloso® e in alcuni selezionati punti vendita U! Come tu mi vuoi e U2 Supermercato, il Panettone ai Tre Cioccolati è disponibile in un’elegante confezione da 750 g finemente decorata, rielaborazione grafica di stampe e disegni conservati presso l’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, al prezzo di € 16,99.

«Anche questo Natale – commenta Fulvio Pravadelli, Direttore Generale della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano – rinnoviamo la collaborazione con il Viaggiator Goloso® per la realizzazione dell’iniziativa Il Panettone del Duomo, divenuta ormai un classico e particolarmente apprezzata da coloro che, in vista delle feste, desiderano acquistare un dono solidale per sostenere i restauri della Cattedrale. Ma non solo. All’interno della confezione, vi sono due biglietti omaggio per visitare la Cattedrale. Un invito a tornare in Duomo, rivolto a tutti i milanesi e a quanti amano l’arte e la bellezza».

«Siamo davvero felici di consolidare la nostra collaborazione con la Veneranda Fabbrica del Duomo – ha dichiarato Gaia Mentasti, Responsabile Marketing e Comunicazione di Unes -. Per noi è motivo di grande orgoglio continuare a contribuire alla valorizzazione e alla cura del Monumento simbolo di Milano nel mondo, attraverso uno dei prodotti che più ci contraddistingue da sempre: il panettone il Viaggiator Goloso®, prodotto simbolo della tradizione gastronomica milanese, in edizione».

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Le vigne eroiche del Buttafuoco storico, tra pendenze e basse rese. Abbinamento col pesce? Si può


In fondo, basta un po’ di fantasia. A ovest il Torrente Scuropasso: la Garonne. A est il Torrente Versa: la Dordogne. Con le dovute proporzioni, Buttafuoco storico e Bordeaux condividono l’abbraccio di due corsi d’acqua. Ma è l’approccio alla singola vigna, più unico che raro in Oltrepò pavese, a rendere meno azzardato il parallelismo tra lo “Sperone di Stradella” – l’areale di produzione del Buttafuoco Storico – e una porzione della mitica regione vinicola francese.

Solo 22 ettari, compresi nei comuni di Canneto Pavese, Montescano, Castana e parte dei comuni di Broni, Stradella, Cigognola e Pietra de’ Giorgi. Tutti in provincia di Pavia, a sud del fiume Po. Si trovano qui le vigne del Buttafuoco Storico, molte delle quali presentano pendenze esasperate e basse rese, tipiche della viticoltura eroica.

Una zona di eccellenze, tanto nel calice quanto nel piatto. La riprova grazie al (provocatorio) menu ideato dallo chef Alessandro Folli del Ristorante Ad Astra di Santa Maria della Versa. Piatti a base di pesce, crostacei e molluschi, ingredienti lontani dalla tradizione locale, dimostrano una certa poliedricità nell’abbinamento del Buttafuoco storico, oltre a confermare il buon livello della ristorazione pavese.

UNA «DOCG PRIVATA» ALLA SFIDA DEI TEMPI


Ad accettare la sfida, uscendo dalla comfort zone della classicità del pairing, sono i 17 produttori aderenti al Club del Buttafuoco Storico, desiderosi di allargare i confini di un vino prodotto in tiratura limitatissima – appena 90 mila bottiglie all’anno – assimilabile, per definizione degli stessi vignaioli pavesi, a una sorta di «Docg privata» (se ne era parlato prima del Covid-19).

La guida del Club, prossimo a inaugurare una nuova sede con wine-bar proprio accanto a quella attuale, in frazione Vigalone a Canneto Pavese (PV), è affidata al produttore Davide Calvi. Una mente curiosa e lucida, affiancata nella direzione dal manager Armando Colombi e dall’esperienza del vice presidente Giulio Fiamberti.

Per l’abbinamento, Club e chef hanno scelto due annate (2017 e 2012) della bottiglia consortile “Vignaioli del Buttafuoco storico“, frutto della volontà dei produttori di condensare, in un unico vino, le caratteristiche delle vigne iscritte al rigido “disciplinare” di produzione.

Una “cuvée speciale” ambasciatrice del Buttafuoco storico, assemblata ogni anno, sin dal 2011, da un enologo italiano esterno (l’ultima in commercio, la 2017, è firmata da Michele Zanardo, vicepresidente vicario del Comitato Nazionale Vino Dop e Igp). Per il dolce, un’altra chicca: il Buttafuoco storico chinato.

LE VIGNE DEL BUTTAFUOCO STORICO: GHIAIE, ARENARIE E ARGILLE 

I 20 “cru” sono suddivisi da nord a sud in tre macro areali, definiti dalle caratteristiche del suolo. Ghiaie a nord, Arenarie al centro e Argille nella parte meridionale. Sei le espressioni delle Ghiaie: Badalucca, Casa del Corno, Solenga, Beccarie-Carì, Pianlong e Sacca del Prete.

Per le Arenarie ecco gli otto Buttafuoco Storico Bricco in Versira, Pregana, Montarzolo, Canne, Pitturina, Costera, Rogolino e Poggio Ca’ Cagnoni. Meno “congestionata” la sottozona delle Argille con le altre 6 espressioni delle vigne Frach, Catelotta, Garlenzo, Ca’ Padroni, Poggio della Guerra e Casa Barnaba.

Buttafuoco storico dalle Ghiaie: alcolicità e acidità

Territorio più a nord della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di ghiaie inglobate in sabbie. Sottozona caratterizzata da vigne molto ripide che esprimono il meglio a monte della metà collina. Le uve raggiungono elevati gradi di maturazione e si trasformano in vini ricchi, leggermente spigolosi da giovani, ma con elevata longevità.

Producono qui:

  • Azienda Agricola Fiamberti Giulio
  • Azienda Agricola Il Poggio di Alessi Roberto
  • Giorgi
  • Cantina Scuropasso
  • Azienda Agricola Bruno Verdi
Buttafuoco storico dalle Arenarie: alcolicità e tannicità

Territorio centrale della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di arenarie compatte in alcuni punti quasi affioranti. Le vigne di questa sottozona sono esposte prevalentemente a Sud-Ovest. La compattezza delle arenarie ostacola la crescita della pianta nei primi anni per dare però alla vite matura una forte resistenza alla siccità. Le uve concentrano la mineralità del sottosuolo e la trasmettono ai vini che si presentano in gioventù leggermente aspri, ma che evolvono in complessa austerità.

Producono qui:

  • Azienda Agricola Poggio Rebasti
  • Azienda Maggi Francesco
  • Azienda Agricola Piovani Massimo
  • Azienda Agricola Riccardi Luigi
  • Azienda Vitivinicola Calvi
Buttafuoco storico dalle Argille: alcolicità e corpo

Territorio più a sud della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di argille stratificate. In questa sottozona la pendenza delle vigne è inferiore alle altre due, il fondo è generalmente più fresco e dona alla pianta particolare robustezza. Le uve, favorite da un decorso vegetativo di solito costante, maturano perfettamente. I vini si presentano da subito rotondi e intriganti pur evidenziando notevole struttura e corposità.

Producono qui:

  • Azienda Agricola Diana
  • Azienda Agricola Quaquarini Francesco
  • Tenuta La Costa
  • Azienda Agricola Giorgi Franco
  • Azienda Agricola Cignoli Doro
  • Azienda Agricola Colombi Francesco
  • Piccolo Bacco dei Quaroni
LE UVE DEL BUTTAFUOCO STORICO: CROATINA, BARBERA, UGHETTA E UVA RARA
L’infernòt dell’Azienda agricola Massimo Piovani, a Monteveneroso (PV)

Come a Bordeaux, anche in quest’angolo posto all’estremo nord-est della denominazione oltrepadana si produce un vino rosso da uvaggio. Al posto di Cabernet e Merlot, il Buttafuoco Storico nasce dal sapiente assemblaggio di Croatina, Barbera, Ughetta di Canneto e Uva Rara.

La prima varietà definisce l’impronta tannica, il colore e i sentori di frutta; la seconda apporta acidità. Le ultime due – spesso raccolte in sovra maturazione, per evitare astringenze ed eccessiva rusticità – regalano ricordi pronunciati di spezie, liquirizia e uvetta passa. Un matrimonio tra uve che, almeno sulla carta, rischia di spaventare il consumatore moderno, sempre più alla ricerca di vini che non eccedano in sovraestrazioni e tenore alcolico. Eppure, non sempre è così.

A dispetto del nome, che richiama l’espressione del dialetto pavese «Al buta me al feüg», ovvero “brucia come il fuoco“, il Buttafuoco storico sa essere elegante e fresco. Nelle migliori espressioni, la potenza dell’uvaggio è attenuata dal savoir-faire dei produttori locali, riuniti sin dal 1996 nel Club del Buttafuoco Storico.

BUTTAFUOCO STORICO E ABBINAMENTO COL PESCE

Gioca tra terra e mare il menu pensato dallo chef Alessandro Folli del Ristorante Ad Astra di Santa Maria della Versa. La vendemmia 2017 dei Vignaioli del Buttafuoco storico non sfigura affatto al cospetto dell’entrée. Nel piatto, tre morsi: un bignè ripieno di robiola, con basilico e caviale di salmone; una carotina in Giardiniera, ricotta di pecora filtrata e perlage di basilico; e una polpetta di tonno alletterato, erbette amare e calemansi (calamondino).

Si osa ancora di più con la portata successiva: capesante scottate con ‘Nduja, mela marinata nel limone, caviale di acciughe, cedro candito e nasturzio. Sorprendente la risposta del Buttafuoco storico alla leggera piccantezza e al gusto delicato ma deciso del mollusco, nella sua componente “dolce”. Chiave del pairing è l’acidità, oltre al lavoro sottile di tannini già piuttosto amalgamati.

Il carico aumenta quando nei calici viene viene versato il millesimo 2012 dei Vignaioli del Buttafuoco storico. Qui spazio alla carne al posto del pesce, come a suggerire che siano le versioni più “recenti” del Buttafuoco storico quelle più adatte ai pairing meno convenzionali. Perfetto, di fatto, l’abbinamento con gli agnolotti che lo chef Alessandro Folli definisce «tra passato e presente».

Per la preparazione ha fatto ricorso a due tecniche di cottura. Il ripieno cucinato in maniera classica, ottenendo il brasato. Il sugo cuoce invece a bassa temperatura, sottovuoto, per 16 ore. Viene poi passato a mano, a coltello, prima di essere unito alla pasta con olio all’alloro macerato 20 giorni e il fondo ottenuto dalle ossa. Un tocco di agrume lega ancor più il piatto al vino.

Perfetto anche l’abbinamento tra il Buttafuoco storico Chinato, vera e propria chicca del territorio, e il gelato al Pepe di Timut, noto anche come Pepe selvatico di Szechuan. Un omaggio dello chef Alessandro Folli al suo maestro Alain Ducasse e al suo sorbetto al limone. Il vino, vendemmia 2017 con infusione di spezie e affinamento per 6 mesi in legno, convince anche con il secondo dessert.

Si tratta di una Mela di Soriasco rivisitata. Dell’originale conserva la forma e il tipico colore rosso dell’involucro di cioccolato bianco e burro di cacao. All’interno uno strudel ottenuto dalla varietà di mele tipica della zona di Santa Maria della Versa e dall’emulsione di tutti gli ingredienti tipici del dolce austro-ungarico.

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Bon Wei compie 10 anni (+2) a Milano: menu speciale con birra cinese e whisky

Il prossimo 17 novembre Bon Wei compie 12 anni. O, meglio, 10 (+2). Causa pandemia, i festeggiamenti per il primo decennio di Bon Wei in via Castelvetro 16/18, a Milano, erano stati rimandati. Un appuntamento mancato a cui il primo ristorante in Italia di alta cucina regionale cinese ha deciso di rimediare. Con gli interessi. Per rendere indimenticabile l’anniversario, lo chef Zhang Guoqing e il figlio Zhang Le, oggi patron del locale, hanno studiato un menu celebrativo di 9 portate abbinate a 3 birre artigianali del nuovo brand italo-cinese Postwave Brewing. Completate da un dessert della pastry-chef Sonia Latorre Ruiz.

Tra i piatti proposti dallo chef Zhang – sempre nell’ottica di una esecuzione filologica di ricette cinesi, provenienti da differenti regioni della Cina – si assaggerà ad esempio una tradizionale Zuppa di trippa di pesce con erbette cinesi tipica del Guandong. A seguire un sontuoso Riso con costine stufate condite nel loro fondo dallo Zhejiang, regione natale dello chef.

 

Poi saporiti Gamberi dorati con capasanta dal Sichuan, con accompagnamento di Kongxincai, verdure cantonesi “senza cuore”, saltate con salsa di tofu macerato. Simbolo dell’unione tra tradizione cinese e stile italiano, verranno abbinate le nuove birre italo-cinesi Postwave, da poco in Italia, nelle versioni bionda Kolsch, blanche Wheat ale e rossa Amber ale.

Momento clou del menu, a chiusura del pasto, secondo un’usanza sempre più in voga nella Cina contemporanea, la degustazione del whisky Filey Bay – Yorkshire Single Malt Whisky “Bon Wei Selection” con 3 cioccolatini fondente, piccante e affumicato.

Zhang Le, appassionato collezionista e bevitore di whisky nel selezionare la propria botte nello Yorkshire, nel lontano 2016, aveva già in mente che l’avrebbe inaugurata per un’occasione speciale: il 12° compleanno di Bon Wei sarebbe stato perfetto.


BON WEY – CHINESE RESTAURANT MILANO

Indirizzo: via Castelvetro 16/18 a Milano
Tel. 02-341308
Aperto a pranzo e cena (giorno di chiusura: lunedì)
Prezzo medio senza bevande 65 euro

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Enoturismo

Il miglior salmone del mondo sbarca da Carrefour: è il Salmone Reale


FOTONOTIZIA –
Il miglior salmone al mondo, il Salmone Reale, è arrivato in Italia, da Carrefour. Viene allevato dalla New Zealand King Salmon tra le acque profonde, fredde e cristalline di Pelorus Sound e Queen Charlotte Sound, nella Marlborough Sounds. Un’area situata nella parte settentrionale dell’Isola del Sud in Nuova Zelanda.

Qui, tra correnti benefiche, al riparo dal vento, dalle onde e dalle variazioni di temperatura e salinità, i salmoni crescono in un ambiente ideale, essenziale per lo sviluppo di questa specie. Solo il 2% dell’allevamento marino è infatti occupato dai salmoni.

Il restante 98% dall’acqua, permette così ai salmoni di avere molto spazio per crescere, proprio come i loro fratelli selvaggi. La particolarità del salmone Regal – il Salmone Reale, per l’appunto – è l’affumicatura su Legno di Manuka, utilizzato in Nuova Zelanda per l’affumicatura di pesce e selvaggina.

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È Bagna Cauda Day, dal Piemonte a Shanghai: «Un piatto che unisce»


Dal Piemonte a Shanghai, da New York passando da Berlino, sarà una «Bagna Mundial» a celebrare i primi dieci anni di Bagna Cauda Day. È questo lo slogan del bavagliolone 2022, disegnato dall’artista Carlotta Castelnovi: ricorda che in quel periodo si giocano i Mondiali di calcio in Quatar e gli italiani, esclusi, si consoleranno a tavola. Il Bagna Cauda Day è un evento ironico, complesso e articolato. Organizzato dall’Associazione culturale Astigiani, coinvolge dal 2013 migliaia di appassionati. Ad Asti, in Piemonte e nel mondo si accenderanno, in sei giorni, oltre 20 mila fujot in 150 locali.

Tra le adesioni da segnalare quest’anno, quella di Eataly che celebrerà l’evento in 5 ristoranti in Piemonte e a Bologna. Ma il rito si rinnova anche all’estero: partecipano Facciola wine bar di Berlino, Da Marco Restaurant di Shanghai Osteria Carlina di New York. L’edizione 2022 si arricchisce di un appuntamento speciale: il Bagna Pax organizzato dalla Caritas di Asti con le comunità russa e i profughi ucraini.

Due serate venerdì 25 e sabato 26 novembre nel cantinone del Foyer delle Famiglie di via Milliavacca ad Asti con la bagna cauda chiamata a essere cibo della pace. Una curiosità: mangeranno la bagna cauda anche gli ospiti delle rsa astigiane del gruppo Orpea Italia, Casa Mia Asti di Asti e Casa Mia Rosbella di Nizza Monferrato.

BAGNA CAUDA DAY 2022, LA FORMULA NON CAMBIA


Il prezzo della bagna cauda è 28 euro, uguale ovunque. Da quest’anno è prevista la Bagna Sovrana ovvero la possibilità di proporre un menu completo con la bagna cauda al centro e il resto del menu indicato con chiarezza. In questo caso il prezzo al pubblico è libero. Per chi vuole fare un po’ di movimento prima di sedersi a tavola, il 26 e il 27 novembre, c’è il Bagna Bike, pedalata tra i vigneti di Ruché organizzata da EbikeOne. Tutti i locali sul sito bagnacaudaday.it. Si prenota telefonando o mandando una mail al ristorante.

E la bagna cauda piace anche a Papa Francesco, che sarà ad Asti il 19 e 20 novembre in visita privata ai parenti. Il pontefice, con origini astigiane, non ha mai nascosto il suo amore per l’intingolo piemontese a base di aglio, acciughe e olio.

«In dieci anni – dicono gli organizzatori – abbiamo ridato dignità a un piatto popolare ma nobile come la Bagna Cauda. L’abbiamo riportata al centro della proposta gastronomica che parte dal Piemonte e coinvolge numerose realtà in tutto il mondo. La Bagna Cauda è un piatto autentico, senza divieti e ingredienti nascosti: aperto a ogni cultura e tradizione. È un piatto che unisce».

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Pera dell’Emilia Romagna Igp: nuovo bollino e categoria “Selezione”

Una nuova immagine, un nuovo percorso di valorizzazione e un nuovo corso per la Pera dell’Emilia Romagna Igp, che prevede anche l’introduzione della categoria “Superiore”, al pari di quanto succede con diversi vini italiani. Si tratta di uno dei prodotti a indicazione geografica protetta di riferimento per l’Italia, ora al centro di un progetto di rilancio voluto dal Consorzio di Tutela, pronto a entrare nelle case degli italiani «con una consapevolezza diversa».

«Un atto dovuto per uno dei frutti più importanti nella dieta degli italiani che, nonostante la sua qualità distintiva, non ha finora beneficiato di un giusto processo di valorizzazione – spiega il presidente del Consorzio di Tutela, Mauro Grossi –.

L’obiettivo di questo percorso è creare valore al prodotto attraverso l’indicazione geografica, collaborando con le marche della grande distribuzione, per esempio, ma anche arrivando direttamente al consumatore finale. L’altra grande novità è quella di aver proposto una segmentazione del prodotto, con l’introduzione nel mercato della top quality “Selezione”, in affiancamento allo standard previsto dal disciplinare Igp».

PERA DELL’EMILIA ROMAGNA IGP: UN MODELLO ECONOMICO

In media il 70% delle pere italiane, infatti, proviene da questa regione: grazie al loro elevato standard qualitativo e di produzione, vengono apprezzate in tutto il mondo. La coltivazione delle Pere dell’Emilia Romagna con il marchio Igp è garantita e controllata in tutte le sue procedure da un disciplinare di produzione dettagliato che consente una produzione nel rispetto dei frutteti, dell’ambiente e della salute del consumatore. Ogni fase del processo produttivo viene monitorata da strutture di controllo che consentono la totale tracciabilità dei prodotti, la garanzia sulla qualità e la certezza del gusto, dalla produzione alla commercializzazione.

Dal maggio del 2002 il Consorzio opera per difendere la qualità delle Pere dell’Emilia Romagna, facendo applicare il disciplinare di produzione e valorizzando, attraverso azioni di comunicazione e supporto a produttori e consumatori, i prodotti per incentivarne il consumo interno e all’estero. Grazie al progetto avviato dalla Regione e dal Consorzio di tutela sull’IGP si è assistito ad un incremento del 78% delle aziende con produzione Igp nella campagna 2022.

Sono già 700, sulle 4.600 presenti in Emilia Romagna, quelle che producono l’Igp, pari al 15% delle imprese, ma in rappresentanza di oltre il 25% della superficie a pero, e controllano, in un’annata di produzione ordinaria, oltre 100.000 tonnellate di pere, ovvero oltre il 25% della produzione regionale potenziale (era solo il 10% nel 2020). Il progetto di valorizzazione commerciale parte ora, con la nascita di UNApera, la AOP di valorizzazione nata fra 25 imprese del territorio ai sensi del regolamento UE Omnibus.

NUOVO BOLLINO E CATEGORIA “SELEZIONE”

A partire dal 6 novembre la Pera dell’Emilia Romagna Igp è in commercio con il nuovo bollino di riconoscimento. Un restyling studiato per far vivere il logo da solo e, al contempo, adattarlo a operazioni di cobranding con le principali marche di prodotto e/o di gamma della produzione e della distribuzione.

«In quest’ottica è stato necessario ripensare anche al bollino di riconoscimento del frutto – spiega Roberto Della Casa, docente dell’Università di Bologna, incaricato di curare la strategia del progetto –. Il logo in questo senso rappresenta il prodotto stesso comunicato attraverso le sue peculiarità estetiche e, soprattutto, ne valorizza l’origine territoriale: tutti concetti che sono espressi al meglio nelle campagne di comunicazione sia a livello televisivo che tabellare».

COME RICONOSCERLA

Il progetto di valorizzazione comprende anche l’introduzione della categoria di qualità “Selezione” nell’ambito della Pera dell’Emilia Romagna Igp, che prevede alcuni upgrade rispetto al prodotto Igp Standard. Tale categoria, infatti, è disciplinata da uno specifico Regolamento adottato dall’Assemblea del Consorzio su proposta del Consiglio di Amministrazione secondo il modello adottato per la stagionatura dai formaggi DOP, Parmigiano Reggiano in testa.

La categoria Selezione verrà evidenziata sul prodotto e sulle confezioni tramite una declinazione specifica del nuovo logotipo dell’Igp. Tra i caratteri distintivi, la qualità gustativa, ottenuta con un livello zuccherino maggiore, pari a 2 gradi brix in più rispetto alle prescrizioni dell’Igp, salvo eccezioni. La durezza, poi, sarà adeguata ad avere un prodotto pastoso mentre – per rendere la “Selezione” identificabile in fase di acquisto – si è scelto un calibro distintivo rispetto a quello di solito usato per l’Igp standard.

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Vignaioli da Stella Michelin: il Ristorante Gourmet Peter Brunel diventa “Punto d’affezione” Fivi

Il Ristorante Gourmet di Peter Brunel ad Arco (Trento), una Stella Michelin, è entrato nella rete dei Punti d’Affezione Fivi. È la prima volta che un ristorante stellato compie questa scelta, aggiungendosi alla lista di oltre 50 locali che hanno a cuore il lavoro dei Vignaioli indipendenti. Non solo ristoranti, dunque, ma anche enoteche, wine bar ed osterie.

Classe 1975, Brunel spicca nel panorama degli chef per la rara capacità di saper valorizzare le eccellenze territoriali attraverso aperture ad ispirazioni contemporanee ed internazionali. Quella nei confronti di Fivi è solo l’ultima.

PETER BRUNEL: «VIGNAIOLI E CUOCHI DEVONO PARLARSI»

«Ogni volta che incontro un vignaiolo e mi confronto con lui, entro nel vivo di un territorio e della sua storia – commenta Peter Brunel – ne comprendo gli aspetti più profondi, quelli che lo rendono unico e irripetibile. Cuochi e vignaioli hanno molto in comune, in questo senso: il nostro lavoro è come quello del traduttore, che prova a far capire a tanti una lingua non sempre comprensibile».

Sono in pochi a conoscere i misteri del suolo, il suo complesso rapporto con il mondo vegetale, la magia della fotosintesi, per non parlare dell’affascinante alchimia dei processi di fermentazione: sono conoscenze che rischiano di rimanere estranee ai più. Il vino, al contrario, lo possono capire tutti: è sufficiente un po’ di curiosità e di predisposizione d’animo».

Vale lo stesso per la cucina. «Ogni giorno – conclude lo chef del Ristorante Gourmet di Arco – proviamo a rendere semplice e intuibile ciò che in realtà è straordinariamente complicato. Per questo tra cuochi e Vignaioli dobbiamo parlare, confrontarci, conoscerci a vicenda. Abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri, e tanto ancora da raccontare».

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Quando cresce il tartufo? La risposta (in pillole) degli esperti

Quando cresce il tartufo? Una domanda che si saranno posti tutti gli amanti del prezioso fungo appartenente alla famiglia delle Tuberacee. Un quesito che torna alla ribalta proprio mentre, in Italia, si è ufficialmente aperta la stagione di raccolta del Tuber magnatum Pico, ovvero il tartufo bianco, tra i più apprezzati e ricercati tra tutte le tipologie commestibili.

Il tartufo, in realtà, cresce tutto l’anno, nelle sue varie specie. Il tartufo bianco va da Settembre a Dicembre, così come il tartufo uncinato. Tra Novembre e Marzo è la volta del nero pregiato. Da Gennaio ad Aprile è il turno del bianchetto e da Maggio ad Ottobre del nero estivo.

TARTUFO BIANCO O NERO, QUANDO CRESCE?

Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche. Qualunque tipologia deve tuttavia rispondere ai requisiti PCC – Profumo, Consistenza e Colore, per essere considerato buono. Secondo gli esperti, il profumo deve essere «rotondo», grazie alla perfetta maturazione. Il colore brillante e la consistenza equilibrata.

Come per i migliori vini, la cui qualità dipende dalle uve, anche la raccolta del tartufo può dare diversi risultati, di anno in anno. A confermarlo è Luigi Dattilo di Appennino Food Group Spa, riferendosi al pregiato bianco.

«Si prevede una raccolta migliore rispetto allo scorso anno – spiega – ma non sarà certo un annata particolarmente produttiva come il 2011. A condizionare l’esito è l’andamento climatico del 2022, caratterizzato da grande siccità».

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Nestlè, 7.5 milioni per ampliamento Perugina a San Sisto


Nestlé annuncia un investimento di 7,5 milioni di euro finalizzato all’installazione di una nuova linea di produzione presso lo stabilimento Perugina di San Sisto, quartiere di Perugia, che entrerà in funzione a partire dal 2024.

Come confermato oggi ai sindacati, l’impianto sarà principalmente dedicato a prodotti a vocazione internazionale, rivolti allo sviluppo del mercato estero, come alcune referenze KitKat, Smarties, Galak e After Eight.

La nuova linea consentirà un aumento della capacità produttiva della fabbrica di circa 1.000 tonnellate e permetterà l’assunzione di nuovo personale (tra cui, meccatronici, ingegneri meccanico-gestionali e manutentori).

L’AMPLIAMENTO DEL POLO NESTLÉ PERUGINA DI SAN SISTO

«Questo nuovo e importante investimento – dichiara Marco Muratori, Direttore dello stabilimento Perugina di San Sisto – conferma il ruolo cruciale che lo stabilimento di San Sisto riveste nelle strategie di crescita di Nestlé. La fabbrica rappresenta l’hub internazionale e il polo produttivo d’eccellenza del cioccolato di tutto il Gruppo, con il 60% della produzione destinata all’export».

La fabbrica continua a crescere – aggiunge Muratori – ed è destinata a diventare sempre più protagonista sul mercato globale, con un impatto diretto anche sull’occupazione del territorio, grazie alle nuove assunzioni che si renderanno necessarie a seguito dell’apertura della linea produttiva. Siamo orgogliosi dei risultati raggiunti finora, che ci permettono di guardare con entusiasmo al futuro dello stabilimento Perugina di San Sisto».

Secondo quanto riferisce Nestlè, il nuovo impianto e il continuo aumento dei volumi produttivi registrato negli ultimi anni «dimostrano che il piano di ammodernamento dello stabilimento di San Sisto, con un investimento di 60 milioni di euro nel triennio 2016-18, e la scelta di concentrare la produzione sui prodotti più in linea con i mercati internazionali, si siano rivelati vincenti».

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Alla scoperta dell’Aceto Balsamico di Modena: successo nel weekend per Acetaie Aperte 2022

Hanno risposto in tantissimi all’appello di Acetaie Aperte 2022. Molti modenesi e tanti turisti arrivati anche da altre regioni d’Italia hanno scelto di trascorrere domenica 25 settembre in mezzo alle botti e ai tini delle 40 acetaie aderenti. Un’iniziativa del Consorzio Aceto Balsamico di Modena e del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, per scoprire i segreti dell’«oro nero», ascoltarne la storia e le differenze, degustarne il sapore.

«Abbiamo contato veramente tantissima gente – commenta il Presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, Mariangela Grosoli – e di tutte le età: famiglie intere con figli, tutti uniti dalla passione per il balsamico e la curiosità di capire come e dove questo prodotto d’eccellenza dell’agroalimentare italiano viene prodotto».

Al centro dell’attenzione infatti, gli ambienti delle acetaie e la spiegazione sui metodi produttivi, ma anche gli assaggi e gli abbinamenti proposti sono stati molto partecipati e apprezzati».

«Questa giornata – aggiunge Enrico Corsini, Presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena – si porta dietro anche un altro messaggio significativo. Ovvero la dimostrazione di come l’agire uniti per perseguire obiettivi comuni premia e non è un’eccezione.

Lo stesso gioco di squadra che oggi ha portato nelle acetaie molti visitatori è determinante anche quando si portano avanti battaglie per la tutela del prodotto nelle varie sedi istituzionali».

L’aceto balsamico è una delle punte di diamante dell’export italiano nel mondo, con oltre il 92% della produzione che varca i confini nazionali.  A spingere sempre di più i consumatori a partecipare a questo tipo di iniziative, è soprattutto una crescente voglia di crearsi una vera e propria “cultura”, dotandosi degli strumenti più adatti per riconoscere l’originale dalle imitazioni.

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Coca-Cola continua a ridurre lo zucchero

Coca-Cola continua a ridurre lo zucchero nelle bevande e introduce nuovi prodotti come Coca-Cola Zero Zuccheri Zero Caffeina. Da oltre 20 anni l’azienda sta mettendo in atto quelle che definisce «azioni concrete per incoraggiare i consumatori a controllare l’assunzione di zuccheri».

La riduzione dello zucchero nella Coca-Cola si affianca a una politica di innovazione, con nuovi prodotti a basso o nullo contenuto calorico e confezioni più piccole, che incoraggino le persone «a scegliere i prodotti senza zucchero».

Oggi, in Italia il 71% del portafoglio è a ridotto, basso o nullo contenuto calorico, con un incremento del 9% rispetto al 2020. «Per ognuno dei suoi brand – spiega l’azienda – Coca-Cola cerca di offrire una o più alternative con zero zuccheri, oltre a rivedere le ricette per diminuirne il quantitativo».

Dal 2016, ad esempio, Fanta e Sprite hanno visto una riduzione dello zucchero rispettivamente del 65% e del 79%. Inoltre, negli ultimi 10 anni, insieme alle aziende della categoria, Coca-Cola ha contribuito all’obiettivo di Assobibe (Associazione Italiana Industria Bevande Analcoliche) di ridurre del 37% lo zucchero immesso sul mercato entro la fine del 2022.

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Non solo vino nello spazio: in orbita anche l’olio extravergine italiano

I campioni di olio extravergine di oliva italiano hanno raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale, grazie a un progetto inserito nel quadro dell’accordo tra l’Agenzia Spaziale Italiana e il CREA, in collaborazione con Coldiretti e Unaprol-Consorzio Olivicolo Italiano. Si torna quindi a parlare di Made in Italy in orbita, dopo l’iniziativa di Fis – Fondazione italiana sommelier che ha visto spendersi, tra gli altri, anche l’enologo Donato Lanati.

Nel quadro del suo ruolo di Agenzia Nazionale, L’ASI si è fatta promotrice del progetto e, nel contesto delle proprie relazioni istituzionali con altre Agenzie Spaziali e in qualità di Paese partecipante al programma ISS, ha reso disponibili l’opportunità di volo e il coordinamento con ESA necessario all’attuazione dell’esperimento.

La collaborazione con Coldiretti e Unaprol- Consorzio Olivicolo Italiano ha lo scopo di rimarcare l’importanza del patrimonio agroalimentare italiano e di valorizzare e sensibilizzare un asset per l’export del Paese, oltre che promuovere i principi di una corretta alimentazione.

VARIETÀ DI OLIVO: IL PRIMATO DELL’ITALIA

L’Italia ha un primato nel mondo per la sua agrobiodiversità e qualità con più di 500 varietà di olivo e 250 milioni di piante, vantando il maggior numero di oli extravergine a denominazione di origine in Europa, una produzione nazionale media di oltre 300 milioni di chili e una filiera che conta oltre 400 mila aziende agricole specializzate.

I risvolti scientifici del progetto verranno monitorati dal Centro CREA Olivicoltura Frutticoltura e Agrumicoltura, sede di Rende, in Calabria, che sta investendo fortemente per fornire soluzioni che rendano sempre più competitivo e apprezzato l’olio extravergine di oliva italiano.

Il progetto si propone di studiare, attraverso un esperimento originale e inedito, gli effetti della permanenza nello spazio sulle caratteristiche chimico-fisiche, sensoriali e nutrizionali dell’olio extravergine. I campioni di olio extra vergine di oliva saranno riportati sulla Terra dopo rispettivamente 6, 12 e 18 mesi per essere analizzati e confrontati con quelli dei controlli lasciati a terra.

L’OLIO ITALIANO NELLO SPAZIO

In particolare, l’esperimento andrà ad investigare come la composizione dei metaboliti secondari – fenoli e tocoferoli (vitamina E) – venga influenzata dalla microgravità e dalle radiazioni presenti nello spazio e servirà a accogliere nuove informazioni sulla stabilità dell’EVOO e sulla durata di conservazione nelle condizioni ambientali spaziali. Il progetto studierà inoltre il modo in cui la tipologia di contenitori correntemente utilizzati a bordo dell’ISS influisce sul prodotto.

I campioni di olio EVO vanno ad unirsi ai quattro oli extravergini selezionati che fanno parte del “bonus food” scelto, nell’ambito della missione Minerva, dall’astronauta ESA Samantha Cristoforetti, che ha effettuato ieri la sua prima passeggiata spaziale, e dagli altri membri dell’equipaggio.

Questi oli sono accomunati da un alto contenuto in antiossidanti naturali e, in particolare, di fenoli dell’olivo che sono indispensabili per chi, come gli astronauti, è sottoposto a condizioni di intenso stress psico-fisico. Si tratta di prodotti italiani di altissima qualità, provenienti da diverse regioni, e ottenuti, ciascuno, da una singola varietà, in rappresentanza dell’immenso patrimonio di biodiversità che rende unica l’Italia.

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Sicilia paradiso dei wine (& food) lovers: una cantina su due ha un ristorante, una su tre un albergo

Nel 98% delle cantine associate ad Assovini Sicilia ci sono spazi per la degustazione. Il 50% ha un’attività di ristorazione all’interno della struttura e il 33% delle cantine offre anche ricettività alberghiera. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio interno condotto dall’associazione che riunisce 90 aziende vitivinicole siciliane di piccole, medie o grandi dimensioni.

Più della metà delle cantine associate ad Assovini Siclia è in grado dunque di offrire un’esperienza a 360 gradi agli enoturisti. Non solo degustazioni, ma anche corsi di cucina, bike tour, aperitivi in vigna e cooking class. Senza dimenticare wine trekking, yoga, concerti e pic-nic tra i filari, sino alla vendemmia notturna.

«Il vino – commenta Laurent Bernard de la Gatinais, presidente di Assovini Sicilia – è un simbolo di eccellenza del Made in Sicily, nonché un complesso fattore culturale. L’enoturismo diventa well-being e veicolo per promuovere il territorio, il vino di qualità, le bellezze paesaggistiche, l’unicità del patrimonio storico-archeologico della Sicilia».

Airbnb introduce la categoria “Vigneti”: enoturismo sempre più a portata di clic

Sempre secondo il sondaggio, che ha coinvolto 71 associati su 90, negli ultimi 5 anni le aziende di Assovini Sicilia hanno registrato un incremento di presenze di oltre il 30%, con il 58% dei turisti stranieri a guidare l’incoming delle visite in cantina.

La distribuzione geografica vede in testa gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito, la Svezia e la Francia, tra i paesi di provenienza dell’enoturista che sceglie le aziende di Assovini Sicilia.

«Gli associati hanno un duplice merito – conclude il presidente di Assovini Sicilia – viaggiare nel mondo per far conoscere il brand Sicilia e promuovere il territorio e la cultura siciliana attraverso la wine hospitality and experience. Dietro ogni vino c’è sempre una grande storia da scoprire».

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La gelateria di Roma con più di 250 gusti, tutti al naturale

Si trova in via di Villa Severini 30/30a una delle poche gelaterie di Roma con più di 250 gusti di gelato, tutti al naturale. Ben 50 quelli esposti, rigorosamente prodotti senza polveri aggiunte. È Gelateria Alaska, che si prepara a un’estate diversa dalle altre, nella capitale d’Italia. Il prossimo anno, infatti, compirà 25 anni.

Un format, spiegano i titolari, reso celebre dalla «mancanza di limiti all’immaginazione». Da Gelateria Alaska è infatti possibile trovare il gelato al pomodoro e basilico, agli asparagi o quello al risotto allo zafferano. Vanta anche una linea proteica, realizzata con i prodotti Enervit, e una linea sugar free, tramite il gelato alla stevia.

La gelateria di via Villa Severini 30/30a riesce a mettere d’accordo anche chi è in dubbio tra un aperitivo e un buon gelato. Come? Con i gusti di gelato allo Spritz, Mojito e Caipiroska. Vasta anche la scelta di gelati di frutta al naturale, ma anche al cioccolato fondente, apprezzati anche dai clienti vegani.

Simbolo di Roma Nord, Gelateria Alaska viene citata anche dallo scrittore Federico Moccia, che nei suoi romanzi ne parla come di uno dei punti di aggregazione dei giovani romani, provenienti da Parioli, Corso Francia, Villa Clara, Fleming.


GELATERIA ALASKA

Via di Villa Severini 30/30a, 00191 Roma
Tel. 06 36298466 – Aperto tutti i giorni, dalle 12:00 alle 00:00

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Airbnb introduce la categoria “Vigneti”: enoturismo sempre più a portata di clic

Enoturismo sempre più a portata di clic. Airbnb, noto portale online che mette in contatto privati in cerca di un alloggio o di una camera per brevi periodi, ha introdotto la categoria “Vigneti”. Mai prima d’ora, il sito fondato nell’ottobre del 2007 da Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk aveva offerto questo filtro.

Gli utenti saranno in grado di scegliere tra migliaia di proposte in tutto il mondo. Una novità che riguarda ovviamente anche l’Italia. Selezionando la categoria “Vigneti” su Airbnb appaiono appartamenti disponibili per l’affitto in alcune delle più note regioni vinicole italiane.

ENOTURISMO: LE CANTINE CHE OFFRONO OSPITALITÀ IN ITALIA

Oltre ai privati, diverse aziende agricole si sono già attrezzate per comparire sul portale. Nel Bel paese sono infatti centinaia le cantine che offrono ospitalità, come raccontato anche dalla speciale rubrica “Cantine e ospitalità” di winemag.it.

Di seguito i focus in vari territori del vino italiano. Dalla Valle d’Aosta alla Puglia, dall’Alto Adige alla Sicilia, con i focus sull’Etna, il catanese e le altre province, passando per Lazio, Oltrepò Pavese, Emilia Romagna e Abruzzo.

In Valle d’Aosta tra vino e relax: quattro cantine che offrono ospitalità

Cantine e ospitalità in Puglia: 10 proposte da Foggia a Lecce, passando per Taranto

Rottensteiner e quel Maso appeso al cielo di Bolzano, tra le vigne del passito Cresta

In vacanza in Abruzzo tra vino e relax: sei cantine che offrono ospitalità

Cantine e ospitalità in Sicilia: 8 proposte all’insegna di vino, gastronomia e relax

Vacanze sull’Etna tra vino e relax: sette cantine che offrono ospitalità

Le cantine che offrono ospitalità in Emilia Romagna: vino, gastronomia e relax

In Campania tra vino e relax, vicino alle città: le cantine che offrono ospitalità

Cari romani, è ora di scoprire il Lazio: tra vino e relax, cinque cantine con ospitalità

Cari milanesi, è ora di scoprire l’ospitalità dell’Oltrepò pavese: vicino, bello e buono

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L’Amarone per tutti i palati: quattro abbinamenti con la cucina internazionale

Quattro “stili” di Amarone, a illuminare la strada della nuova comunicazione del Re dei vini della Valpolicella: un vino capace di mettere d’accordo tutti, a tavola. Amarone Opera Prima si è aperta in mattinata con quattro abbinamenti stravaganti ma piuttosto centrati con piatti della cucina Mitteleuropea, del Sud Est Asiatico, del Nord Europa e di Usa e Canada.

Grandi protagonisti della masterclass condotta da Davide Scapin sono stati i piatti dello chef Nicola Portinari, bistellato del ristorante La Peca di Lonigo (VI).

«L’obiettivo – commenta il presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, Christian Marchesini – è stato centrato pienamente. La versatilità dell’Amarone negli abbinamenti ci ha stupito e aiuta a capire che riusciamo a soddisfare tutti i palati. L’Amarone si lega sempre più all’alta ristorazione. Ed è questa la direzione in cui l’Amarone vuole andare nel prossimo futuro. Posso sbilanciarmi e dire che il futuro è positivo ed estremamente roseo».

L’AMARONE E I PIATTI DELLO CHEF NICOLA PORTINARI (LA PECA)

  • Nord Europa: capesante atlantiche arrosto, succo di crostacei, asparagi fermentati e carpaccio di cervo marinato. Per l’abbinamento si sceglie un Amarone di stile “fresco”, servito a una temperatura più bassa rispetto a quella canonica. Il “gioco” dell’abbinamento funziona su tutti i fronti, anche se l’asparago genera una leggera stonatura nel retro olfattivo.

  • Sud Est Asiatico: anguilla in forno di braci, anguria e angostura. Quello con l’Amarone di stile “Reciotato”, ovvero dalla tendenza dolce che ricorda il Recioto, è l’abbinamento più convincente della prima masteclass di Amarone Opera Prima. L’appassimento è protagonista del naso e del sorso, in cui si aggiunge la componente del residuo.Uno stile prevalente fino agli anni Novanta, in cui appassimenti marcati e residuo zucchero residuo percettibile la facevano da padroni. Elemento fondamentale del pairing è la presenza, nel piatto, dell’anguria disidratata, che si sposa con le note dolci del vino. L’angostura stuzzica invece la speziatura dolce, tanto quanto la laccatura dell’anguilla. Piatto capolavoro e abbinamento a dir poco delizioso.

  • Mitteleuropa: ravioli di bretzel, cavolo capuccio, cren, senape, succo di stinco concentrato. Il terzo abbinamento è con un Amarone definito “Austero”, anche se sarebbe meglio chiamarlo “Elegante”. Protagoniste le scelte del vigneron nell’affinamento e nella perfezione della materia prima vinificata. Poco spazio per note estrattive e concentrazione, decisamente in secondo piano.Oltre alle consuete note primarie delle uve dell’Amarone, ecco dunque richiami agrumati rossi che conferiscono tensione ed eleganza alla beva. L’abbinamento convince in progressione, dato che in ingresso è il piatto a vincere sul calice. Dal centro bocca, invece, il nettare si lega bene a un piatto che si racconta (anche) su tendenze umami. Pairing intrigante, intellettuale. Non certo per tutti.

  • Usa e Canada: cheek cherry pie. Quarto ed ultimo abbinamento con un Amarone di stile “potente”, chiaro sin dal naso. Il tortino presenta una farcitura di guancia di manzo, arricchita da ciliegie cotte, a richiamare il marcatore dei primari della Corvina. C’è del residuo zuccherino nel vino, inferiore comunque a quello dell’Amarone “Reciotato” precedente. Aiuta, nella riuscita dell’abbinamento, la presenza di cacao, che si lega alle note fruttate scure dell’Amarone. Pairing impegnativo, ma goloso.
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In Valle d’Aosta tra vino e relax: quattro cantine che offrono ospitalità

Con circa 450 ettari vitati e una produzione di uva da vino di soli 27.500 quintali (fonte Istat 2020) la Valle d’Aosta è la regione più piccola d’Italia. Areali in pendenza, spazi limitati con proprietà parcellizzate e rese basse non hanno scoraggiato i produttori che negli anni hanno saputo mantenere vivi e valorizzare i diversi vitigni autoctoni della regione, dando vita a produzioni d’eccellenza.

La Valle d’Aosta offre ai suoi visitatori un paesaggio davvero speciale nel quale i vigneti, allevati con pergole basse o ad alberelli e delimitati da veri e propri mosaici di muretti a secco aggiungono bellezza ai luoghi circostanti.

D’altronde, come scriveva William Blake, «quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono». Un piccolo scrigno di gioielli naturalistici e beni storico-architettonici unici nel loro genere ai quali si aggiunge  un’offerta gastronomica fatta di vere chicche come la Fontina Dop, il Lardo di Arnad o il Jambon de Bosses.

La produzione vinicola locale, per numerica e  distribuzione è ancora poco conosciuta. Ma merita assolutamente di essere scoperta, partendo perché no,  da qualche cantina che offre ospitalità. Ovviamente in provincia di Aosta.


AGRITURISMO LA SOURCE
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La Source si trova nel cuore della Valle D’Aosta, a Saint Pierre ed è il luogo ideale per chi ama le vacanze rural-chic. La struttura dispone di eleganti camere doppie e triple arredate in stile tipico valdostano, alcune con vista sullo spettacolare Castello di Saint Pierre, uno dei simboli della regione.

Presso la wine farm sarà possibile organizzare degustazioni di vini prodotti dai principali vitigni locali come Petit Rouge, Cornalin e Fumin ma anche vitigni internazionali quali Chardonnay, Syrah e Gamay.

Il Vallée D’Aoste Dop 2019 Petit Arvine de La Source è entrato nei migliori vini del Nord Italia della Guida Top 100 di Winemag 2022. Una ragione in più per non perdersi il bianco vallesano. E scoprire i vini della cantina La Source, approfittando dell’ospitalità.

Agriturismo La Source
Loc. Bussan Dessous, 1
11010 Saint-Pierre
+39 0165 903669
agriturismo@lasource.it


LO TRIOLET
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A Introd, lungo la strada che porta a Courmayeur e verso il Parco Nazionale del Gran Paradiso sorge l’agriturismo Lo Triolet. A disposizione degli ospiti sei graziosi appartamenti  accoglienti e funzionali. Il più grande, Heritage, è un trilocale di 55 mq mansardato con scala interna.

Il comune di Introd, bandiera arancione per il turismo, è un ottima base di partenza per una vacanza all’insegna della pace e della natura. E’ noto per essere stato, dal 1995 al 2002,  il luogo di villeggiatura prescelto da Giovanni Paolo II.

L’azienda Lo Triolet produce 50 mila bottiglie da vitigni come il Pinot Grigio, Gewürztraminer, Moscato Bianco, Gamay, Pinot Nero e Fumin.

Lo Triolet
Loc. Le Junod, 7
11010 Introd (AO)
+ 39 0165 95 437
+39 339 13 87 092
info@lotriolet.it


LES GRANGES
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Les Granges si trova nell’omonima località a Nus, paese da cui prende il nome il vitigno autoctono a bacca nera “Vien de Nus”. La struttura, interamente realizzata in bioedilizia, dispone di cinque camere tra doppie e triple arredate in stile rustico tipico di montagna che possono ospitare fino a 12 persone ed offre pernottamento con colazione.

L’agriturismo dispone anche di una sala ristorante dove è possibile, su prenotazione, organizzare pranzi e cene. L’azienda agricola Les Granges opera in regime biodinamico dal 2012 e produce vini naturali principalmente da vitigni autoctoni.

Nei pressi di Nus è possibile visitare l’Osservatorio Astronomico di Saint-Barthélemy e il Planetario, il Castello di Pilato oppure raggiungere a piedi, con un percorso di circa tre ore il Santuario mariano di Cuney, il più alto in Europa che “svetta” a ben 2656 mt di altezza.

Les Granges Società Agricola
Loc. Les Granges, 8
11020 Nus (AO)
+ 39 333.4585454
info@lesgrangesvini.com


CLOS BLANC
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Clos Blanc si trova a Jovençan al confine con il comune di Aymavilles, al centro della regione.  Una zona costellata di vigneti e frutteti dai quali partire si può partire per visitare il Castello di La Sarre, antica dimora di caccia dei Savoia.

La struttura dispone di 5 alloggi che possono ospitare 4 persone ciascuno. Appartamenti arredati in stile moderno e con tutti i comfort. Clos Blanc produce circa 30 mila bottiglie a base di  Merlot, Cornalin, Fumin,  Pinot Noir, Chardonnay,  Müller Thurgau.

Clos Blanc
Fraz. Pompiod, 47
11020 Jovencan (AO)
Tel. +39 338 3796826
info@closblanc.it

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Enoturismo

Morellino di Scansano, «vino e destinazione turistica»: gli obiettivi del Consorzio

Consolidare e ad affermare il posizionamento nell’Horeca come denominazione Premium, attraverso vini di qualità sempre più espressivi del territorio, e promuovere l’area come destinazione turistica. Questi gli obiettivi per il futuro del Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano Docg.

«La denominazione – spiega il presidente Bernardo Guicciardini Calamai (nella foto) – ha le carte in regola per giocare nei prossimi anni un ruolo da protagonista nel panorama enologico italiano. Nonostante la crisi pandemica, abbiamo registrato una buona performance economica grazie ad un posizionamento strategico nel canale della Gdo».

Questo ci ha permesso di dare seguito ad un percorso di crescita graduale e costante. Oggi stiamo lavorando per rafforzare e consolidare il nostro posizionamento anche nel canale Horeca, in Italia e all’estero, con vini caratterizzati sempre più dalle sfumature peculiari di questo straordinario territorio».

Il Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano ha poi firmato un accordo di collaborazione con l’Università di Pisa. Lo studio che sarà condotto dai professori Claudio D’Onofrio, Fabio Mencarelli e dal ricercatore Giovanni Caruso del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali della facoltà di Agraria, si concentrerà sulle caratteristiche pedoclimatiche dell’area e sull’interazione tra il Sangiovese e i contesti produttivi della denominazione.

MORELLINO DI SCANSANO, PRIMA DENOMINAZIONE “EV FRIENDLY”

L’obiettivo, spiega il Consorzio, è quello di tradurlo «in pratiche di viticoltura di precisione, in grado di esaltare sempre di più questo patrimonio di tipicità nella produzione delle uve e farne percepire la loro specifiche sfumature territoriali nelle differenti interpretazioni del Sangiovese di Maremma». Un’iniziativa collaterale al percorso di certificazione di sostenibilità Equalitas.

«Per noi il Morellino è un’eccellenza della Maremma – commenta il direttore Alessio Durazzi – che deve diventare una leva strategica per attrarre l’attenzione sul territorio, come destinazione turistica. L’obiettivo è quello di diventare una delle mete più interessanti e sviluppare economia e benessere in tutti i periodi dell’anno».

Il Morellino di Scansano è stata tra le prime denominazioni a favorire la fruibilità del territorio in maniera sostenibile, grazie al progetto Morellino Green, che l’ha resa tra le prime Docg “EV friendly” in Italia. Presto questa possibilità sarà estesa anche ai possessori di eBike, con l’istallazione di specifiche stazioni di ricarica che accresceranno così le possibilità di esplorare questo territorio incontaminato.

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Enoturismo

Chef Davide Oldani ci crede: «Cocktail, birra, sakè e infusioni? Nuovi modelli di business»

«Cocktail, birra, sake e infusioni a freddo con erbe sono nuovi modelli di business». Anche nei ristoranti stellati. A sostenerlo è lo chef Davide Oldani del ristorante D’O di Cornaredo (MI). Lo scorso 9 maggio, durante il talk ideato e promosso da Engine Gin a Milano Mixology Experience, Oldani ha sondato il terreno degli abbinamenti alternativi al classico “cibo-vino”.

A differenza di 15 anni fa – ha evidenziato – il mondo dei cocktail fa ormai parte inclusiva anche del fine dining. Soprattutto nel dopo pandemia, gli ospiti sono sempre più alla ricerca di un un’esperienza relativa non più solo al cibo, al vino o al cocktail».

«La tipologia di cucina moderna che ha preso piede in tutto il mondo – continua lo chef – è quella con più portate e più possibilità di degustazioni. E come abbinamento di un grande menu è naturale pensare al vino, perché è insito nella nostra cultura, ma è altrettanto bello spaziare con altre proposte come i cocktail, la birra, il sake o le infusioni a freddo con erbe».

DAVIDE OLDANI SUL PALCO DELLA MILANO MIXOLOGY EXPERIENCE

«Dalla cucina alla sala, al bar – ha aggiunto Davide Oldani – assistiamo all’introduzione di nuovi elementi che ci portano a intraprendere nuove strade e ad abbracciare nuovi modelli di business».

Dello stesso avviso Paolo Dalla Mora, Ceo di Engine, distilled gin (42% vol.) creato in modo artigianale dai maestri distillatori in piccoli lotti e imbottigliato a mano in un piccolo laboratorio dell’Alta Langa. La sua formula, legata alla cultura italiana e piemontese, rende omaggio alla tradizione dei rosoli e dei cordiali a base di salvia e limone. Tutti ingredienti biologici.

«È importante – ha sottolineato Dalla Mora – che oggi si faccia attenzione a temi come il cambiamento. Noi stessi dobbiamo essere parte di questa cultura e di questo cambiamento. Ci sono azioni da compiere subito, che non consentono dilazioni o ritardi. Con Engine abbiamo avviato un percorso per diventare la prima B Corp del mondo degli spirits in Italia. Un’azienda, cioè, che non mette il profitto al primo posto, ma che ama mettere il benessere dell’ecosistema attorno ad Engine al primo posto».

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