Si terrà Martedì 12 Novembre presso la sala meeting Capranichetta dell’Hotel Nazionale a Roma (Piazza di Monte Citorio, 125), il workshop “Bioetanolo la Soluzione Sostenibile” organizzato da AssoDistil e promosso in collaborazione con Versalis, Clariant, Distillerie Mazzari, IMA Biofuels e Caviro Extra.
Si tratta del primo Workshop organizzato in Italia dal settore sul tema, sebbene il Bioetanolo sia da tempo il biocarburante sostenibile più utilizzato al mondo per abbattere drasticamente (oltre il 70%) le emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici in atto.
Il workshop sarà moderato dal Professor David Chiaramonti dell’Università di Firenze, esperto riconosciuto a livello mondiale sul tema dei biocarburanti nonché collaboratore stabile della Commissione UE sul tema della mobilità sostenibile.
“L’Europa da anni ha deciso di essere leader mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici in atto attraverso una serie di iniziative tese a ridurre al minimo le emissioni di gas clima-alteranti ed alla promozione dell’economia circolare a zero rifiuti” – dice il direttore di AssoDistil, Sandro Cobror.
“I produttori di bioetanolo sono pronti a cogliere la sfida ed a contribuire alla riduzione delle emissioni nei trasporti grazie alla produzione di bioetanolo sostenibile già disponibile nel nostro Paese (fino ad oltre il 70% di riduzione di emissioni rispetto alla benzina) ed utilizzabile da subito, e di tecnologie innovative che nel nostro Paese -primo in Europa- si sono sviluppate e che permettono di ottenere da scarti biocarburanti sempre più performanti ambientalmente.”
“Il workshop sul bioetanolo sostenibile rappresenta il primo evento organizzato in Italia sul tema che vede coinvolti tutti gli operatori e stakeholder della filiera dei biocarburanti e che vuole fare il punto, con la partecipazione delle Istituzioni, sullo stato e le prospettive del bioetanolo sostenibile nel nostro Paese.”
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Si rinnova l’appuntamento con la manifestazione che vede protagonista, nel ponte dell’Immacolata, la grappa artigianale trentina a Santa Massenza di Vallelaghi, piccolo borgo della Valle dei Laghi, con le performance della Compagnia Teatrale Koinè.
Santa Massenza si trova a una manciata di chilometri a ovest di Trento, all’inizio della strada che attraversa la splendida Valle dei Laghi e conduce al lago di Garda. Borgo storico che custodisce la tradizione secolare della distillazione.
Sono infatti ben cinque le distillerie di grappa a carattere artigianale e a conduzione familiare che operano nel borgo. Una tradizione unica, intimamente legata alla storia e alla cultura di queste terre.
Per celebrarla degnamente in un’atmosfera resa magica e suggestiva dagli addobbi e dalle luci che annunciano il Natale, da oltre dieci anni, nei giorni dell’Immacolata, il piccolo centro ospita “La notte degli alambicchi accesi“.
Una speciale iniziativa organizzata dall’Associazione culturale “Santa Massenza piccola Nizza de Trent” con il supporto di Trentino Marketing e il coordinamento della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino nell’ambito della promozione delle manifestazioni enologiche provinciali denominate #trentinowinefest, ricchissimo calendario che nel 2019 si chiude proprio con questa festa.
Fissato dal 6 all’8 dicembre, l’appuntamento è ormai un vero e proprio evento capace di richiamare in Valle dei Laghi un sempre più folto pubblico di appassionati e curiosi provenienti da tutta la Penisola, che per qualche giorno stravolgono gioiosamente i ritmi di un borgo che conta poco più di cento residenti.
Il cuore della kermesse è lo spettacolo itinerante degli attori della compagnia teatrale Koinè, che intende illustrare – con tono divulgativo e divertente e un generoso pizzico di ironia – gli aspetti fisici, storici e antropologici dell’arte della distillazione della grappa.
Gli spettatori vengono divisi in gruppi, dotati di radiocuffie e guidati dall’inconfondibile voce narrante del conduttore tv Patrizio Roversi, all’interno delle cinque distillerie del paese: Distilleria Casimiro, Distilleria Francesco, Distilleria Giovanni Poli, Distilleria Giulio & Mauro e Maxentia. Ognuna si trasforma così nel palcoscenico dove mettere in scena i cinque episodi che compongono lo spettacolo.
Ogni tappa sarà per gli adulti l’occasione di degustare una delle grappe proposte: tra queste, la grappa di Nosiola, vitigno rappresentativo della Valle dei Laghi e unica varietà a bacca bianca autoctona della provincia, e quella di Vino Santo, vera chicca ottenuta dalle vinacce degli acini di Nosiola lasciati appassire fino a primavera.
Cinque gli spettacoli previsti nella tre giorni: due venerdì 6 e sabato 7 – alle 17.00 e alle 21.00 – ed uno domenica 8, alle 17.00.
La notte degli alambicchi accesi mira dunque a far conoscere, tutelare e valorizzare la produzione della grappa artigianale trentina. Un distillato davvero speciale, che prevede la lavorazione di sole vinacce locali, complice la straordinaria vocazione vitivinicola del territorio, e la tradizionale distillazione con il metodo “a bagnomaria”.
Un’arte tramandata di generazione in generazione, praticata da distillatori che utilizzano modeste quantità quando la vinaccia è ancora fresca e profumata e prediligono un riscaldamento uniforme, lento e continuo del contenuto, al fine di ottenere una migliore estrazione degli aromi.
Un altro buon motivo per visitare il borgo, durante il fine settimana dell’Immacolata, è il progetto di animazione territoriale Vite di luce, che proporrà non solo un mercatino impreziosito da selezionatissime eccellenze artigiane ed enogastronomiche, ma anche spettacoli in strada e intrattenimento per i più piccoli.
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NOGAREDO (Trento) – Nell’ambito delle iniziative per festeggiare i 70 anni dell’azienda, Distilleria Marzadro ha organizzato il convegno “Grappa, il futuro che ci aspetta“. Un confronto tra produttori e categorie per riflettere sul futuro del settore e sui nuovi business.
Il convegno, nella sua prima edizione, ha messo l’accento, tra gli altri, su due aspetti fondamentali per il comparto delle distillerie italiane. Il primo è quello dell’economia circolare, di cui già oggi le distillerie sono un esempio perfetto, ma che può in futuro aprire nuove vie sulla diversificazione di prodotto.
Il secondo è quello della necessità, per il comparto, di “fare squadra“, di fare rete per meglio affrontare le sfide future. Uno dei punti di riferimento e dei mezzi per ottenere questo risultato può essere la creazione di un Consorzio di Tutela della Grappa che possa aiutare ad affrontare meglio i mercati esteri e tutelare le IG della Grappa.
Abbiamo voluto organizzare questo forum di discussione perché come impresa percepiamo la necessità di riflettere sulle strategie per il futuro. Il comparto distillatorio è ad un bivio: l’export diventa sempre più importante, ma le dimensioni aziendali delle nostre distillerie ci limitano; i prodotti sono apprezzati, ma il mercato cambia in fretta ed è necessario diversificare ed esplorare nuovi ambiti produttivi. Su questi temi è necessario riflettere tutti insieme” – dice il presidente di Distilleria Marzadro, Stefano Marzadro.
L’ECONOMIA CIRCOLARE
Una possibilità di aumentare il business per le distillerie è quella di diversificare il prodotto e di ampliare l’utilizzo della materia prima. Già oggi, oltre alla Grappa e ai distillati, le aziende sono un esempio perfetto di economia circolare: contribuiscono alla produzione di biogas, attraverso il conferimento delle vinacce esauste in impianti a biomassa.
Quello che deriva, poi, da questo secondo processo, cioè il “digestato“, può a sua volta essere utilizzato in agricoltura come nutrimento per il terreno, chiudendo quindi il cerchio della circolarità dei processi in distilleria. Man mano che il quadro regolatorio e la disciplina si consolida, le aziende sfruttano tutti i possibili utilizzi del prodotto.
Ma il futuro è molto più ricco di possibilità. Dai residui della distillazione si possono ricavare additivi alimentari, bioprodotti per la cosmetica e la nutraceutica. Alcune aziende già producono ad esempio additivi naturali per la panificazione come l’acido tartarico, mentre altre strade sono esplorate in via sperimentale, su scala di laboratorio o su scala-pilota.
Si parla anche, ad esempio, di farina di vinaccioli disoleata, derivante dalla lavorazione dei semi degli acini – da poco ufficialmente nella lista di combustibili rinnovabili e sostenibili, grazie al decreto ministeriale n.74 entrato in vigore lo scorso 21 agosto, voluto dal ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero della Salute e dello Sviluppo Economico – o di tessuti a base di vinaccia.
E, naturalmente, dei biocarburanti avanzati come il bioetanolo avanzato, in grado di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra di oltre il 70%. In questo contesto, l’Italia ha sviluppato una tecnologia innovativa e all’avanguardia nel mondo.
“Il settore distillatorio è fortemente impegnato nello sviluppo dell’economia circolare come strumento di sviluppo del comparto – ha commentato Sandro Cobror, direttore di AssoDistil – Le nostre distillerie, affermatesi negli anni grazie ai prodotti di indiscussa qualità come i nobili distillati, Grappa anzitutto, da sempre cercano di valorizzare al massimo la materia prima utilizzata, essa stessa sottoprodotto della filiera vitivinicola, ma oggi, grazie allo sviluppo di nuovi processi e tecnologie, il portafogli di prodotti di origine naturale si amplia enormemente creando delle opportunità di business inesplorate finora, come le applicazioni cosmetiche, nutraceutiche o nel mondo dei biopolimeri, che permettono sinergie con altri comparti industriali e produzioni a zero rifiuti, nella logica di una economia realmente rispettosa dell’ambiente e che valorizzi integralmente le materie prime: una vera economia circolare che vede il comparto tra i protagonisti dello sviluppo sostenibile”.
LA NECESSITA’ DI FARE SQUADRA
C’è, da parte delle imprese, una volontà esplicita di andare all’estero. Lo si evince anche dall’aumento della partecipazione alle fiere internazionali di settore. Negli ultimi tre anni, l’84% delle imprese ha avuto almeno un contatto con l’estero.
Le esportazioni sono in crescita soprattutto nei Paesi dove il made in Italy è maggiormente apprezzato: negli Stati Uniti, in Asia e in Europa. Nel vecchio continente, in particolare, si consolidano i mercati tradizionali come la Germania e la Svizzera.
“Recentemente, a Bruxelles, presso l’Istituto Italiano di Cultura, Federvini ha presentato con Nomisma e Mediobanca un’analisi approfondita del settore spiriti in Italia – ha spiegato Ottavio Cagiano de Azevedo, direttore generale di Federvini – Alla presenza di diversi parlamentari italiani è stato messo in luce che, i cali di consumo sul mercato nazionale, hanno spinto molte aziende a cercare nuovi mercati con l’internazionalizzazione. Ed ora il settore delle bevande spiritose sta vivendo un momento di grande espansione nell’export”.
“La Grappa – prosegue Cagiano – indicazione geografica italiana di prestigio, è in linea, ma fatica di più, dovendo incontrare consumatori non abituati ai suoi profumi e sapori. L’aver intrapreso la strada della miscelazione ha permesso di registrare nel primo semestre del 2019 un valore export pari a 20 milioni di Euro. Tra i mercati principali ricordiamo la Germania e gli Stati Uniti”.
“Di qui le preoccupazioni per le tensioni di queste ore sui possibili nuovi dazi, all’entrata negli USA e le attese legate alla Brexit, dato che il Regno Unito rappresenta anch’esso un grande mercato di consumo. Sono dati che complessivamente non possono che dare soddisfazione anche se permangono criticità in altre aree, come ad esempio nel Sud Est asiatico, dove parametri analitici, non in linea con quelli ammessi a livello europeo, costituiscono un ostacolo rilevante” conclude il direttore.
Sono convinto che la più grande sfida peri il futuro della Grappa si giocherà sui mercati internazionali, dove c’è una grande necessità di far conoscere la nostra acquavite di bandiera e gli elementi di unicità che stanno alla base del suo carattere inimitabile. Il far squadra in questo senso, come alcune aziende già hanno iniziato a fare negli ultimi anni, è fondamentale per poter creare i presupposti di un virtuoso sviluppo dell’export del nostro settore” – ha detto Elvio Bonollo, quarta generazione della famiglia alla guida dell’omonimo gruppo.
Alla propensione delle imprese all’export non corrisponde, però, una forza strutturale che permetta di gestire le esportazioni: le aziende sono troppo piccole per poter affrontare i mercati esteri. Il comparto necessita di fare rete, di stipulare intese, di unire le forze per poter aumentare la competitività.
Il Consorzio di Tutela della Grappa può rappresentare uno degli strumenti per raggiungere l’obiettivo di fare sistema e fare sinergie operative.
“Nell’ottica delle sinergie necessarie, ciò che abbiamo realizzato in Trentino con l’Istituto di Tutela della Grappa – ha aggiunto Mirko Scarabello, presidente dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino – può essere d’esempio. L’esperienza di collaborazione e di intesa tra le diverse distillerie sul territorio, infatti, ha portato in passato e continua a portare nel presente a iniziative condivise ve a politiche comuni”.
Ad oggi non c’è in Italia un ente che tuteli la denominazione d’origine della grappa (IG), non esiste un unico soggetto che possa operare sul fronte della promozione, come invece accade per il settore del vino. Nell’ottica dell’unione e della condivisione tra produttori, il consorzio può diventare un mezzo importante per riconoscersi in un unico soggetto, che intervenga con finanziamenti propri per la promozione e la tutela del prodotto.
L’iter normativo per il riconoscimento del Consorzio di Tutela per gli spiriti è già partito e si è da tempo in attesa di un decreto definitivo.
PIANI DI CONTROLLO E FORMAZIONE
Anche i piani di controllo e la formazione giocano un ruolo decisivo nello sviluppo del futuro delle distillerie. “Con il riconoscimento delle 36 denominazioni italiane a Indicazione Geografica, avvenuto con il recente Regolamento CE 787 – ha spiegato Cesare Mazzetti, presidente del Comitato Acquaviti di AssoDisti – assume massima importanza l’aspetto dei controlli”
“Infatti ogni denominazione, con le 10 Grappe in testa, ha uno specifico disciplinare produttivo che ogni produttore è tenuto ad osservare strettamente. I controlli, esercitati da un Organismo appositamente designato dal Ministero su indicazione dei produttori, servono a garantire ai consumatori la qualità del prodotto, e agli operatori una leale concorrenza sul mercato. AssoDistil, in rappresentanza dei distillatori, ha concordato con gli Uffici del Ministero delle Politiche Agricole/ICQRF uno schema di linee guida che orientino la stesura di uno specifico Piano dei Controlli per ciascuna denominazione”.
“Diventa oggi basilare che i produttori effettuino una scelta oculata dell’Organismo cui affidare i controlli, che riguardano tutti gli aspetti produttivi, fino all’etichettatura con la quale il distillato verrà posto in commercio” conclude Mazzetti.
“Negli ultimi anni – dichiara Sergio Moser, tecnologo e docente di Fondazione Mach – la Fondazione Mach ha messo in campo corsi post diploma di alta formazione per tecnici delle bevande, in tali corsi a numero chiuso sono previsti specifici insegnamenti sulla tecnica di distillazione e sulle possibilità di riutilizzo dei sottoprodotti dell’industria enologica”.
“Nel corso di laurea di primo livello in Viticoltura ed enologia, esiste inoltre uno specifico insegnamento rivolto allo studio della tecnologia dei distillati. La Fondazione Mach volge particolare attenzione nello studio delle attitudini alla distillazione di vinacce ottenute dalla vinificazione di uve resistenti alle principali crittogame della vite, che come tali nella loro coltivazione richiedono un limitato impatto input chimico (non necessitano di trattamenti chimici)”.
“Credo che questo tema interpreti a pieno in chiave futura il rispetto dell’ambiente e il possibile riutilizzo degli scarti di lavorazione dell’industria enologica per l’ottenimento di prodotti (Grappe) di alto livello qualitativo” chiosa Moser.
I DATI DEL SETTORE
Oggi, il settore delle distillerie in Italia costituisce un comparto dalla forte tradizione ma necessariamente di nicchia, basandosi su una materia prima dalla disponibilità limitata come, ad esempio, le vinacce. Sul territorio nazionale si contano circa 140 aziende distillatorie. Diventano circa 300 se si comprendono le aziende di imbottigliamento e dell’indotto in generale.
Le distillerie sono collocate per lo più nel centro-nord. L’80% di esse non supera i 10 addetti, si tratta cioè per lo più di micro imprese, che producono eccellenze spesso conosciute solo nel territorio nazionale o regionale. Tutto il comparto fattura complessivamente circa 300 milioni l’anno.
La produzione di grappa è sostanzialmente stabile: vengono prodotti ogni anno tra gli 80 e i 90mila ettanidri (un ettanidro corrisponde a cento litri di alcol), ovvero circa 200mila ettolitri di distillati. Aumenta invece nel tempo la qualità e la ricercatezza nel prodotto.
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Si terrà a Roma, lunedì 23 e martedì 24 settembre 2019, presso il Palazzo dei Congressi dell’EUR (Piazza John Kennedy, 1) dalle ore 10:00 alle ore 21:00, la prima edizione di Roma Bar Show, evento internazionale dedicato interamente al mondo del beverage.
Masterclass, talk e conferenze, eventi collaterali e un fuori salone dedicati al trade e al consumer, gli stand delle principali aziende e di quelle più indipendenti del settore, il food pairing e lo street food, il caffè, ma soprattutto liquori, vini, spiriti, birra, distillati, i migliori bartender e i loro cocktail, per un evento che coinvolgerà l’intera città di Roma.
Professionisti del settore e ospiti internazionali interverranno per condividere le proprie esperienze e conoscenze su trend e novità del settore. Nella sua prima edizione Roma Bar Show celebrerà il Centenario del Negroni, declinato nelle interpretazioni di rappresentativi bartender italiani.
Tra le aree tematiche, il Mexico Village, che con i distillati di agave racconterà le tradizioni legate a questa terra, grazie a un cocktail bar in stile messicano con guest bartender di diverse realtà del panorama internazionale; la Gin Area, grazie alla collaborazione con IlGin.it coinvolgerà i produttori di Gin italiani e internazionali.
La suggestiva Terrazza del Palazzo dei Congressi con il suo splendido belvedere che abbraccia l’intera città di Roma celebrerà l’aperitivo italiano con una serie di eventi. Tra questi, l’aperitivo firmato e offerto da Asahi Super Dry, birra ufficiale del Roma Bar Show, organizzato per le ore 18.00 del 23 settembre.
Per questa occasione la terrazza si colorerà dei cocktail di Patrick Pistolesi a base di birra Asahi Super Dry e si muoverà al suono della dj giapponese Hiroko Meister. Tra le iniziative in programma, la finale italiana di “The Vero Bartender”, cocktail competition targata Montenegro che si svolgerà domenica 22 settembre, ma anche l’arrivo di “La Classica 2019” evento ciclistico promosso da Martini Racing, che quest’anno vedrà la sua conclusione a Roma Bar Show coinvolgendo bartender ciclisti provenienti da tutto il mondo.
Novità appena annunciata dall’organizzazione sarà RBS Academy, una serie di laboratori tenuti da alcuni dei più importanti esponenti del bartending italiano e internazionale. Verrà esplorata la creatività e l’eccentricità londinese, il tocco italiano che ha conquistato il mondo intero, la storia e la tradizione che si miscelano con l’innovazione, come la scienza applicata alla miscelazione possa creare drink rivoluzionari.
Tra i protagonisti attesi, Antonio Parlapiano del The Jerry Thomas Speakeasy di Roma che spiegherà tecniche e segreti di 10 drink iconici, ma anche Filippo Sisti che racconterà la “Sinergia tra Bar e Cucina, conoscenza e logica nella miscelazione di Talea Cocktail Bar” di Milano, Flavio Angiolillo, al centro del “Giro del Mondo seduto al bancone di Iter” e ancora Simone Caporale, Remy Savage, Gabriele Manfredi, Tony Pescatori e tanti altri.
Tra gli speaker dei seminari annunciati, che si terranno nell’Auditorium Capitalis (800 posti a sedere) del Palazzo dei Congressi, spiccano le presenze di Pietro Collina del Nomad Bar di New York, di Davide Segat e Daniele Liberati dell’Edition Bar di Londra, di Patrick Pistolesi e Alexander Frezza, ma anche il racconto Classics Innovation curato dal team del Savoy American Bar di Londra, supportato da Ron Diplomatico, Desmond Payne e Anistatia Miller per Gin Gin Gin realizzato in collaborazione con Beefeater Gin.
Le masterclass prevedono focus sulle eccellenze italiane, dal Vermouth di Torino Superiore Gamondi al metodo Vecchia Romagna e la Riserva Tre Botti, dai rosoli di Giardini D’Amore all’Anice Secco Varnelli. Tra le novità presentate, quelle di Rinaldi 1957 con il suo Amaro Venti e il whisky irlandese Teeling Pot Still.
Non mancherà il food, con oltre dieci proposte curate da Agrodolce, che ha selezionato diverse realtà della cucina nostrana che saranno protagoniste con una serie di food truck. Spazio quindi a Pizza e Mortazza, Supplizio, Gricia Road, Olive Ascolane Migliori, ma anche la cucina messicana di La Punta Expendio di Agave e Coffee Pot sino alle polpette di Pret-à-Polpett.
Tra gli altri ospiti Ken Lindsay, Brand Ambassador di Chivas Regal, Nicola Risk, European Ambassador per The Macallan. Jim Meehan, bartender di fama internazionale e autore di diversi libri sul mondo della mixology, in collaborazione con la casa editrice Readrink, presenterà il suo nuovo libro “Meehan’s Bartender Manual”.
Roma Bar Show prevede anche un Fuori Salone che vedrà protagonista tutta la città a partire da domenica 22 settembre, con il coinvolgimento di tanti locali e guest internazionali che si alterneranno dietro i banconi di Jerry Thomas Speakeasy, La Punta Expendio de Agave, Freni e Frizioni, Hotel Locarno, Drink Kong, Aquaroof Terrazza Molinari del First Hotel, Argot, Club Derrière, Banana Republic, Baccano, Metropolita, Chorus Cafè e tanti altri.
Il progetto Roma Bar Show – spiegano gli organizzatori – nasce dall’esigenza del trade, delle aziende e degli addetti ai lavori, di ritrovarsi e confrontarsi in un evento italiano di profilo internazionale con lo scopo di elevare le attività della spirit industry e della mixology in Italia. Fin da questa prima edizione, la manifestazione ha l’obiettivo di divenire la fiera leader in Italia dedicata al mondo del bar, del beverage e dell’accoglienza”.
La due giorni è promossa e organizzata da RIBS SRL di Andrea Fofi, Fabio Bacchi, Leonardo Leuci e The Jerry Thomas Project e Giuseppe Gallo. La partnership di Acqua San Pellegrino garantirà ai visitatori acqua per tutta la manifestazione, altri importanti sponsor e partner sono Radio Globo, Banca Sella, Organics di Red Bull, Ghiaccio Facile, Birra Asahi, Pratesi Hotel Division, Bernabei, Zero, Bartales, Agrodolce, BlueBlazer, ilGin.it.
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Canto Amaro, come l’amaro canto della Sirena che sul Garda attirò l’attenzione di un fauno lacustre che la trasformò in sirena per renderla sua sposa.
Nasce dalla leggenda e dall’amore per il Lago di Garda il nuovo amaro di Liquori delle Sirene. Elisa Carta, sua creatrice, raccoglitrice da generazioni, ha realizzato un gusto mediterraneo che sposa i limoni del Lago di Garda alle note amaricanti del cardo mariano di questi luoghi.
Recuperata quindi una ricetta trovata in un libro antico sulla potatura, appartenuta al nonno paterno, Elisa ha cercato alcune botaniche riportate come la rosa canina e i limoni che hanno reso famose le sponde del Lago di Gara.
CANTO AMARO
Canto Amaro è un liquore naturalmente amaro che ammalia come la Sirena che ammicca dalla bottiglia con le fragranze dei limoni del Garda, conquista con la dolcezza della vaniglia e affascina con le note amaricanti del cardo e della genziana.
Un nuovo amaro assolutamente naturale, come da filosofia aziendale, senza coloranti e aromi naturali o artificiali, nato interamente dalla raccolta di ingredienti dalle sponde del Garda. Un look artigianale, premium e curato nei mini dettagli il cui legame con il Garda è imprescindibile.
Un amaro da bere a temperatura ambiente o freddo, non congelato. Da solo come dopo cena, si presta particolarmente all’uso nella miscelazione nei drink classici, come bitter o in ausilio ai vermouth.
IL METODO PRODUTTIVO
Gli aromi dei botanicals vengono estratti tramite singole infusioni in alcol, creando i liquori in piccole partite, per garantire la qualità del prodotto.
La magia dei Liquori delle Sirene nascono da cuvée assemblate a mano” – racconta Elisa Carta.
Acqua pura e zucchero completano il tutto, senza l’aggiunta di coloranti o aromi artificiali. Dopo un lungo riposo in piccole botti i Liquori delle Sirene sono pronti per essere imbottigliati. I botanicals hanno tempi di macerazioni e gradazioni idroalcoliche diverse: gli aromi vengono estratti da materia secca singola per massimizzare l’estrazione.
Le radici – genziana, china, rabarbaro, zenzero – macerano ad una gradazione alcolica più alta, mentre i fiori – arancio, tiglio, gelsomino – e vengono estratti ad una gradazione alcolica più bassa. Altra estrazione per frutta e bacche – arancia, rosa canina, pepe rosa – che necessitano di tempi più lunghi rispetto alle altre componenti.
Le erbe e le spezie– camomilla, assenzio, vaniglia Bourbon – hanno tempi e gradazione alcolica d’infusione completamente diverse. Il blend finale quindi deve essere sapientemente dosato per mantenere la giusta proporzione alcolica oltre che organolettica.
INGREDIENTI PRINCIPALI
Agrumi: Limoni del Garda, Arancio Amaro, Arancio Dolce, Pepe Timut
Note Amare: Cardo Mariano, China
Spezie: Cannella, Fave tostate di cacao e caffè.
Dolcezza: Vaniglia Bourbon e Arancio Dolce
LIQUORI DELLE SIRENE
L’azienda nasce nel 2014 a Garda per mano di Elisa Carta e attualmente distribuisce i propri prodotti in Italia e all’estero in Francia, Germania, Australia, Usa, Hong Kong e Singapore.
Liquori delle Sirene nascono sul Lago di Garda, dalla forte impronta artigianale, naturale, senza nessuna chimica o colorante aggiunto e con un forte legame con il territorio, da cui la sua ideatrice raccoglie le botaniche per tutta la produzione.
Tutta la linea sposa la filosofia della sua creatrice, Elisa Carta, raccoglitrice da generazioni e la produzione è il frutto di una lunga e appassionante ricerca e rivisitazione di antiche ricette tramandate dal nonno e dagli avi.
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farina di vinaccioli disoleata nella lista combustibili assodistil distillatori italiani
La farina di vinaccioli disoleata è ufficialmente nella lista dei combustibili. Il decreto ministeriale DM MATTM n. 74 del 29 maggio 2019, voluto dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute e il Ministro dello Sviluppo Economico, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 agosto. Entra in vigore oggi, 21 agosto 2019.
Dopo lungo tempo di attesa – commenta il direttore di AssoDistil, Sandro Cobror – registriamo con soddisfazione la pubblicazione del Decreto Ministeriale MATTM 29 maggio 2019, che sancisce definitivamente la possibilità di utilizzare i vinaccioli come fonte di combustibili rinnovabili e sostenibili”.
“Il settore distillatorio, da sempre attento alla efficienza delle proprie produzioni, trova in questo modo un’altra modalità per valorizzare un tipico sottoprodotto del comparto. Un passo avanti verso la piena applicazione dell’economia circolare“, conclude il dirigente dell’Associazione dei Distillatori Italiani, che riunisce oltre 50 imprese industriali del settore.
L’inserimento della farina di vinaccioli disoleata nell’elenco delle biomasse combustibili è frutto di accertamenti e studi scientifici, che hanno dimostrato “la compatibilità del provvedimento sotto il profilo ambientale e di tutela contro l’inquinamento atmosferico”.
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grappa castagner ice grandi Cru Prosecco bere fredda
Si chiama “Ice” ed il nome dice tutto. I caratteri cubitali, “BERE FREDDA“, rendono ancor più chiaro il concetto. Il nome completo è Grappa Grandi Cru Prosecco “Ice”. È la proposta estiva della nota distilleria trevigiana Castagner. Un tassello in più nella proposta della grappa per l’estate, divenuta ormai un must.
Bello, accattivante e funzionale il packaging. Rivestita di un cappottino termico (una vera e propria muta in neoprene blu oltremare in grado di mantenere la temperatura di servizio per alcune ore anche fuori dal frigorifero) con le scritte argentate risulta inconfondibile e con un look vagamente marinaresco.
Dentro, un prodotto che è una novità per casa Castagner ed in generale un’etichetta che sviluppa un’idea particolare nel mondo degli Spirit: quella del servizio a freddo. Se escludiamo infatti i liquori in stile limoncello o gli amari da bere “frozen”, che però sono prodotti per infusione e non per distillazione, ben pochi immaginano di servire “da frigo” un distillato che non sia una vodka commerciale aromatizzata. Forse qualcuno conosce Whisky De Table di Compass Box, ma non si va molto oltre.
GRANDI CRU PROSECCO ICE
Ecco quindi l’idea di Castagner di un prodotto bello, facile, profumato che possa regalarci il piacere di uno spirit anche quando le temperature si fanno proibitive. Prodotta con vinacce di Glera (il vitigno del Prosecco) private di vinaccioli e pedicello per evitare le note “verdi”, distillate con metodo continuo, a colonna, per una maggiore pulizia degli aromi. Pensata per il fine pasto viene proposta come grappa da dessert, per macedonia o gelati alla frutta.
LA DEGUSTAZIONE
Che sia Grappa non ci piove, che sia Glera neanche. Limpida e trasparente, l’effetto “frozen” si avverte già al naso dove, se correttamente servita fredda, manca la nota pungente tipica della grappa, pur mantenendo il caratteristico profumo di vinaccia. Aromi freschi di fiori e di frutta tipici del prosecco; fiori bianchi e frutta bianca, pesca e pera in prevalenza.
Delicata al palato, avvolgente ma non “pastosa”, risulta armonica lasciando la bocca piacevolmente profumata durante la sua persistenza, non lunghissima ma ben sostenuta dalle note fruttate che si fanno più piacevolmente evidenti nel retro olfattivo.
Noi di Winemag, curiosi ed un po’ “San Tommaso”, abbiamo voluto fare la controprova ed assaggiarla a temperatura ambiente. Risultato? Tutto un altro prodotto. Più spigolosa già al naso, dove evidenzia una alcolicità che sembra ben superiore dei suoi 37,5% e che risulta mal integrata durante il sorso. Note floreali non pervenute e la parte fruttata che cede il passo ad una pseudo dolcezza, quasi stucchevole. Scomposta.
Qui la riprova di come questa grappa sia stata studiata e prodotta pensando specificatamente per essere bevuta (ed apprezzata) intono ai 5°. Con l’abbassarsi della temperatura infatti il prodotto guadagna la sua armonia, interagendo in modo preciso e pulito coi nostri sensi, anch’essi condizionati dal fresco. Buona l’idea e buona l’esecuzione, in definitiva. Non resta che godersela col prossimo dessert. Magari in piacevole compagnia.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Casg Annamh è l’ultimo dei rilasci small batch della distilleria Aberlour, che segue l’ormai nota e pluriapprezzata serie A’Bunadh. Da poco sul mercato, si tratta di un NAS (No Age Statement – senza dichiarazione d’età) imbottigliato a 48% senza filtraggio a freddo ed a colore naturale. Casg Annamh in gaelico significa “botte rara“, si tratta infatti di un whisky figlio di invecchiamenti in botti diverse: rovere europero ex sherry oloroso e due tipi di rovere americano ex bourbon.
Aberlour, la distilleria fondata nel 1879 James Fleming (si dice perché così profondamente colpito dalla qualità dell’acqua della sorgente di St. Drostan) da volerla utilizzare per produrre scotch, si conferma così attenta alla selezione di botti ed invecchiamenti per creare sempre nuove e ricercate release in piccoli lotti.
LA DEGUSTAZIONE
Colore ambrato con riflessi rossastri, invitante e rassicurante. Al naso apre fruttato con note di mela ed albicocca per spostarsi poi su note speziate di pepe bianco e radice di liquirizia. Tabacco fresco ed un leggero sentore legnoso-fumoso di camino. Completa il quadro olfattivo una leggera nota balsamico mentolata, di menta piperita, che accompagna l’intera degustazione.
In bocca è morbido e leggermente oleoso. Note dolci di caramella mou, miele d’acacia e pasticceria da tè cui fanno da contraltare una leggera acidità agrumata e la nota speziata di cannella. Mediamente persistente chiude con un pizzicolio sulla lingua, quasi una lieve piccantezza.
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Un recente studio condotto da Persistence Market Research (PMR) mostra come il mercato globale del Rhum Agricole sia in forte crescita. Si prevede infatti una chiusura intorno agli 1,3 miliardi di Dollari per il 2019 e un incremento fino 1,7 miliardi (oltre il 30%) per il 2027. Tre sembrerebbero i fattori chiave di questa crescita.
LA RICERCA DELL’AUTENTICITA’
Quello di ricercare autenticità, territorialità, origine e particolarità nei prodotti è un trend che negli ultimi anni sta coinvolgendo tutti i comparti del beverage e più un generale dell’agroalimentare. Basti pensare a quanto questo abbia influenzato il mercato globale della birra con la crescita esponenziale dei birrifici artigianali. Allo stesso modo il Rhum Agricole, che viene percepito come come prodotto autentico e “rustico”, beneficia del trend ponendosi come alternativa al rum da melassa per “il consumatore attento” (o presunto tale).
Questo fattore, legato ad un andamento mondiale che vede costante il tasso di crescita di “bevitori” soprattutto nelle aree urbane e fra le nuove generazioni (effetto “millennials”) spinge, e con ogni probabilità spingerà, il consumo di Rhum Agricole.
CRESCITA DEL MERCATO E-COMMERCE
La crescita dell’e-commerce, in ogni settore merceologico, fa si che sia molto più facile raggiungere con un prodotto il consumatore finale. Dall’altro lato il consumatore ha più, e più facilmente, potere di scelta sul prodotto da acquistare. Il mercato degli alcolici non si discosta da questa analisi ed è quindi più facile per produttori ed importatori proporre il Rhum Agricolo coi suoi valori, così come è più semplice per il consumatore ricercare ed acquistare proprio quel prodotto.
CRESCENTE POPOLARITA’ DELLA MIXOLOGY
Che la popolarità del bere mescolato sia in forte ascesa negli ultimi anni è ormai un dato assodato. Col crescere del consumo di drink e cocktail ecco crescere anche il consumo di rum, elemento portante in molte preparazioni. Realizzato con succo di canna da zucchero grezzo il Rhum Agricole ha un sapore vivace, intenso e vegetale che a seconda di zona e stile produttivo può prendere sfumature più fiorite o più salmastre.
Proprio la sua ricchezza aromatica lo rende un ingrediente col quale poter sperimentare e giocare all’interno dei drink. Ecco quindi che, così come avviene coi gin dove l’uso di diverse botaniche porta profili aromatici diversi, anche il Rhum Agricole vive una nuova giovinezza nella fantasia dei bartender o nelle richieste dirette dei consumatori.
IL PUNTO DI VISTA DI WINEMAG
La ricerca di un prodotto dalle origini chiare, il desiderio di provare esattamente “quel” prodotto, la voglia di ricercare e provare cose nuove e diverse è senza dubbio un bene. Il fatto che l’e-commerce ci metta fra le mani uno strumento nuovo e potente per poter ottenere il prodotto da noi tanto ricercato è senza dubbio una cosa positiva (a patto di non abusarne, così come già ben sappiamo per tutto ciò che è internet e “social”).
Ciò che ci preme sottolineare però è come non tutto ciò che si fregia del titolo di “agricolo” o “autentico” sia necessariamente migliore. Chi scrive è da sempre un sostenitore del Rhum Agricole, ma più ancora è un sostenitore del “bere bene”. Se è vero che vi sono rhum agricoli eccellenti vero è anche che vi sono rum da melassa di grande fattura.
Verrebbe da dire “ad ogni r(h)um la sua collocazione”. Così come spesso ci si impunta sul caffè monovarietale Arabica perchè fa più figo del Robusta dimenticandosi che vi sono miscele in grado di dare emozione, occorre non dimenticare che il profilo organolettico di un rum può sposarsi meravigliosamente con certe situazioni e meno bene con altre.
Se un dush di Agricole Blanco può regalare sfumature seducenti al vostro Daiquiri, lo stesso drink preparato con solo Rhum Agricole rischia di perdere la propria eleganza. Di contro un buon Agricole Blanco arricchito semplicemente di una scorza di lime apre un arcobaleno di sensazioni. Un buon rum da melassa può essere un ottimo pairing per molte preparazioni di pasticceria, così come un Agricole invecchiato può un buon compagno di viaggio del cioccolato fondente.
Attenzione quindi a non fare di tutta l’erba un fascio. Bene venga la crescita del mercato del Rhum Agricole e le sue motivazioni, ma occhi aperti a non farsi prendere troppo la mano rischiando di perdere quelle emozioni che sono insite in prodotti diversi ma non per questo non eccellenti.
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MILANO – Campari, che nel 2012 si era portato a casa Appleton e Wray & Nephew con oltre 300 milioni di euro per la giamaicana Lascelles de Mercado, scommette ancora sul rum. puntando su quello caraibico artigianale di Rhumantilles, proprietaria del 96,5% della Bellonnie & Bourdillon Successeurs, con sede in Martinica.
Il gruppo di spirit controllato dalla famiglia Garavoglia ha annunciato infatti di avere avviato una negoziazione esclusiva con la socieà Financiere Chevrillon e un gruppo di azionisti di minoranza, riconoscendo loro una put option, per la francese Rhumantilles, che nel 2018 ha contato 24,1 milioni di euro di ricavi.
Con l’operazione Campari rafforzerebbe la posizione nel settore rum, che col gin è al centro delle nuove tendenze della mixology contribuendo a quella che e’ ormai una vera e propria cultura del cocktail, e consoliderebbe ulteriormente la massa critica in Francia, regione posizionata per diventare uno dei mercati strategici del gruppo.
IL RHUM AGRICOLE
Bellonnie & Bourdillon Successeurs e’ del settore del Rhum Agricole, unico segmento a imporre elevati livelli di regolamentazione del processo produttivo, requisiti che rappresentano una barriera all’ingresso di concorrenti. Vanta un’antica esperienza nella produzione artigianale e nella tradizione caraibica francese. Possiede due brand strategici premium, Trois Rivieres e Maison La Mauny, con una forte presenza in Francia e un notevole potenziale di crescita nei mercati internazionali.
Brand che hanno ottenuto la certificazione di Appellation d’Origine Controle e Rhum Agricole de la Martinique, che definisce standard di produzione e denominazione del prodotto, globalmente riconosciuta come sinonimo di alta qualita’ e forte legame col territorio locale. Bellonnie & Bourdillon Successeurs detiene inoltre Duquesne, brand per il mercato locale della Martinica.
IL GRUPPO CAMPARI
Fondato da Gaspare Campari nel 1860, sesto al mondo nell’industria dei liquori, il gruppo e’ tra i maggiori player globali negli spirit, con oltre 50 marchi. Dal 1995 Campari Group conta quasi 30 acquisizioni per oltre 3 miliardi di euro, di cui 1,7 miliardi negli ultimi dieci anni, dismettendo in parallelo brand come Lemonsoda nel 2017. Tra le ultime acquisizioni, nel 2018 per oltre 50 milioni, quella di Bisquit Dubouche, proprietaria del Bisquit Cognac, produttore di cognac con sede nel cuore della francese Cognac.
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Sarà per il suo profilo aromatico che varia a seconda delle botaniche utilizzate, sarà per il largo uso che se ne fa nei drink (favorito, per l’appunto, dai diversi aromi che porta in sé), sarà per la sua facilità di beva anche in un semplicissimo “gin tonic”. Fatto sta che il Gin sta attraversando anni di grande successo tanto in Italia quanto a livello internazionale.
Lo scorso 3 e 4 luglio abbiamo visitato Rutte & Zn, piccola distilleria di Gin e Genever che si trova a Dordercht, in Olanda. Meno di un milione di bottiglie all’anno (nulla a che vedere coi colossi del Whisky scozzesi o americani da milioni di ettolitri anno) per una realtà che può vantare ben 150 anni di storia sulle spalle.
Fondata nel 1872 da Simon Rutte, titolare di un caffè a Dordrecht che acquistava spezie, frutta esotica ed erbe aromatiche che da tutto il mondo giungevano nel vicino porto di Rotterdam per utilizzarle in distillazione nel suo retrobottega. Gin e Genever, i due distillati tipici dei Paesi Bassi. Un secolo e mezzo dopo Rutte è presente coi suoi prodotti in oltre 100 mercati in tutto il mondo.
LA DISTILLERIA Vriesestraat 130, 3311 NS Dordrecht. La distilleria è ancora lì, nella sede originale, nella bottega che fu di Simon Rutte. Un pittoresco edificio dal sapore tipicamente nederlandese che sembra uscito da un dipinto di Rembrandt, completamente in legno che fortuna vuole non abbia mai subito incendi nonostante gli alti rischi insiti nel processo di distillazione.
È la Master Distiller a guidarci nella visita. Myriam Hendrickx, leva 1965, Master Distiller di Rutte dal 2003. Ottava generazione di Master Distiller Rutte. Depositaria dei segreti di ogni prodotto. Una donna dal sorriso aperto ed i modi gentili che ben dissimulano un carattere deciso, indispensabile per ben svolgere quello che ancora oggi molti, erroneamente, considerano “un lavoro da uomini“.
Affascinate la storia di Rutte, ma più affascinate ancora ascoltare e toccare con mano il processo produttivo. Vedere l’unico alambicco della distilleria in funzione, cercare di capire le logiche che Myriam segue per perseguire la massima qualità dei prodotti.
GIN O GENEVER?
Chiara e semplice anche la spiegazione fra Gin e Genever. Mentre il Gin è un ri-distillato che utilizza alcol neutro di grano cui vengono aggiunte le varie botaniche con una prevalenza di ginepro, per il Genever (o Jenever, in un certo senso “il papà” del Gin) si utilizza alcol sia da grano che da malto e fra le botaniche il ginepro non è così prevalente come nel Gin. Il Genever inoltre, per disciplinare, può essere prodotto solo in Olanda, Belgio e piccole regioni di Francia e Germania.
Rutte è incredibilmente attenta alla scelta delle botaniche, la maggior parte delle quali viene utilizzata fresca. La scelta di utilizzare alcune “dry” è legata solo o all’impossibilità di reperire quella materia prima “fresh” (per problemi di conservazione) o perché quella data botanica nel processo di essiccazione concentra i propri aromi, risultando quindi migliore. Una curiosità: il ginepro utilizzato è sempre e rigorosamente di origine italiana.
Ogni botanica viene studiata nel laboratorio di Rutte sia per garantire costanza qualitativa nella produzione che per sperimentare nuove soluzioni in una continua ricerca di nuovi profili aromatici che arricchiscano la gamma della distilleria.
Talune botaniche vengono utilizzate in infusione prima della distillazione o del blending, tali altre direttamente in distillazione. Ed è qui una delle grandi abilità di Myriam: saper leggere le erbe e le spezie per poter permettere loro di regalare il meglio al prodotto finale.
Il processo di distillazione avviene tradizionalmente in un unico alambicco discontinuo in rame. O per meglio dire il processo di ri-distillazione; Rutte, come la maggior parte dei produttori di Gin, non distilla direttamente l’alcol puro da grano o malto ma lo acquista da fornitori di fiducia su filiera controllata, principalmente per una questione di tassazione.
Ogni singola fase del processo produttivo, dalla selezione delle botaniche fino all’affinamento, avviene all’interno della piccola bottega di Dordrecht. Solo imbottigliamento e confezionamento avvengono in un impianto lì vicino per problemi di spazio.
“Blending a true love for the past with a nose for the future” (“mescolando un sincero amore per il passato con un naso rivolto al futuro”). È così che a volte Myriam definisce il proprio lavoro e lo spirito di Rutte mentre ci guida nella degustazione di alcuni dei prodotti più iconici di Rutte.
LA DEGUSTAZIONE Old Simon Genever. Un’antica ricetta messa a punto dallo stesso Simon Rutte a fine ottocento. Fra le botaniche anche noci e nocciole tostate, macis, liquirizia, angelica e coriandolo.
Naso fresco e fruttato di frutta gialla con una nota boisé probabilmente data dalla tostatura. Man mano che gli si permette di aprirsi lasciandolo nel bicchiere la nota legnosa tende a calare lasciando maggior spazio alla parte fruttata e ad un sentore speziato. Pulito e morbido al palato.
Dry Gin. Anche qui abbiamo a che fare con una ricetta tradizionale della famiglia Rutte che prevede oltre a ginepro e coriandolo anche angelica, radice di iris, cannella, scorza d’arancia fresca e finocchio. Dritto e preciso come un Dry Gin deve essere. Profumi compatti fra cui si distinguono accanto al ginepro una nota agrumata di pompelmo ed una leggere dolcezza floreale.
Celery Gin. Sempre un Dry, ma qui la ricetta è stata messa a punto proprio da Myriam Hendrickx che ha visto nel sedano l’alleato ideale per la realizzazione di questo prodotto. Il risultato è un gin freso e sapido con un piacevole profumo di menta piperita, sedano, prezzemolo ed una nota citrica. Lasciato un attimo nel bicchiere ecco emergere note di agrumi e di pesca. Sorso leggero e scorrevole.
Old Ton Genever. Ricetta del 1918 recuperata dai vecchi documenti della distilleria. Limone, zenzero, cannella, ginepro, foglie di arancio, assenzio. Al naso risulta evidente la nota maltata che regala una dolcezza che sposa le note fresche ed agrumate. Avvolgente il sorso.
Paradyswyn Genever. Mela, lampone, ciliegia, ginepro, angelica, semi di coriandolo. 100% alcol da malto ed invecchiamento in legno per un perioda da 4 ad 8 anni.
Un prodotto sui generis, quasi l’anello mancante fra il gin ed il whisky. Accanto alle note di malto e spezie tipiche del legno ecco emergere frutta tropicale, albicocca disidratata e frutta secca.
Sloe Gin. Ginepro, galanga, fiori d’arancio, genziana, vaniglia e prugne selvatiche (da cui il colore). Molto molto fruttato, quasi come un liquore, ma supportato da una fresca acidità tanto al naso quanto al palato. Buona persistenza con chiusura leggermente amaricante.
IL FOOD PAIRING
Non solo degustazione in purezza. I distillati di Rutte sono stati protagonisti anche di interessanti accostamenti di food pairing, tanto in purezza quanto in drink dedicati. Dal pesce fresco crudo abbinato al Genever consumato con semplicità all’aperto lungo i canali di Dordrecht (esperienza assolutamente da provare) alle fritture tradizionali accostate ad un semplice gin tonic.
Non ultime le sofisticate preparazioni preparate dal ristorante In de keuken von Floris di Rotterdam accostate a cocktail a base Rutte o a Gin e Genever in purezza. Che il food pairing con distillati in purezza o drink sia davvero la nuova frontiera delle esperienze Gourmet?
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Chi ha detto che una buona grappa non si può bere anche d’estate? L’analisi sui consumi dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino sorprende i più scettici.
“Ci sono tante sfumature e modalità di degustazione che fanno delle nostre grappe un prodotto per tutte le occasioni, anche in estate – afferma il presidente dell’Istituto, Mirko Scarabello – non solo in montagna”.
“Oggi possiamo dire che i nostri distillati sono consumati in estate in tutto il Paese, grazie a una preparazione e conoscenza più accurate da parte del consumatore finale”, aggiunge Scarabello.
Avete pensato alla grappa con il ghiaccio? Sbagliato. Un’aggiunta di componente acquosa rovinerebbe l’intensità, i profumi e il gusto del distillato. Tuttavia alcune grappe, soprattutto quelle più giovani, morbide e aromatiche, possono essere consumate nei mesi estivi ad una temperatura leggermente più fresca rispetto a quella ‘ambiente’.
Questo permette di non far prevalere l’alcol, che con il caldo tende a farsi sentire in maniera preponderante, di mantenere i profumi del distillato e di goderne tutte le sue caratteristiche organolettiche.
Ad avvalorare questa tesi anche l’indagine di mercato compiuta dall’Istituto Talos-Am per conto dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino. Se prima il consumo di grappa era soprattutto legato alla fine dei pasti come digestivo, oggi la grappa viene scelta anche per accompagnare conversazioni dopo cena o nei locali di tendenza. Non necessariamente nei periodi invernali.
Secondo i dati dell’Istituto, almeno il 30% degli italiani consumerebbe grappa in maniera regolare. Oltre il 75% degli italiani, del resto, conosce l’acquavite. In generale piace la tradizionale grappa bianca morbida. Ma la tendenza degli ultimi anni ha fatto sì che anche le grappe invecchiate siano apprezzate da un gran numero sempre maggiore di consumatori.
Non solo uomini, ma anche donne (sempre di più negli ultimi anni) e giovani che al posto dei soliti super alcolici cominciano ad apprezzare i distillati di qualità quali le grappe. Tra i motivi principali che spingono a bere grappa il gusto di questo prodotto, ma anche il retrogusto persistente delle grappe più invecchiate.
Di quelle trentine colpiscono le 4 “T”: Territorio, Tempestività, Tradizione e Tutela. Ovvero la ricetta per una grappa di qualità, scritta nel disciplinare di produzione delle grappe marchiate con il Tridente. L’unica “Docg dei distillati” in Italia, garantita dal disciplinare dell’Istituto trentino.
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Tra drink di ultima generazione e tecniche innovative, la “Grande Palestra” della Roma imperiale diventa la corte internazionale del beverage, per un’esperienza al limite dell’alchimia. A Roma, la novità del bere miscelato 2019 è The Court: il nuovo cocktail bar firmato Matteo Zed all’interno dell’esclusivo Palazzo Manfredi fra le location più belle del mondo.
Tra via Labicana e via di San Giovanni in Laterano, a un livello più basso rispetto all’attuale, possiamo ammirare i resti della più grande scuola gladiatoria dell’antica Roma: il Ludus Magnus. Negli stessi spazi di quella Roma imperiale oggi sorge Palazzo Manfredi, magnifico boutique hotel che affaccia sul Colosseo.
In uno dei luoghi più raffinati della mondanità romana si innesta The Court, un concept pionieristico per vivere l’Urbe secondo le nuove prospettive del bere contemporaneo. A progettare gli spazi lo studio di architettura Loto Ad Project che ha scelto di collaborare solo con aziende Made in Italy. “Come foste nella platea di un teatro all’aperto”.
The Court si presenta come una vera corte cinta tra due alti muri: il bancone da un lato, i salotti dall’altro e un camminamento che separa gli ambienti. Dall’arancio al giallo, dal blu notte al bianco e nero: colori che si aggregano con maestria ed eleganza fondendosi agli arredi dei salotti.
L’armonizzazione cromatica di tutti gli elementi è valorizzata dal design delle luci che aggiunge un tocco di leggerezza agli oggetti e ai componenti architettonici.
Un’ experience cosmopolita che non avrà nulla da invidiare a Londra e New York: dietro al bancone di questo avanguardistico progetto c’è Matteo Zed, bartender con l’ossessione degli amari e la voglia di sorprendere, che ha girato tutto il mondo.
Eclettico ed audace, dopo esperienze internazionali, tra cui Giappone e America, l’inimitabile amaro obsessed è pronto a una nuova sfida nella capitale. “Un ambiente luxury casual”: Matteo definisce così il design progettato dall’architetto italo-tedesco Giorgia Dennerlei, dello studi Loto Ad Project, che ha già curato le residenze delle Palm Suite di Manfredi Fine Hotels Collection.
Il regno di Zed è un bancone lungo 7.50 metri, lavorato in travertino alle due estremità e specchiato al centro. Alle sue spalle tre grandi bottigliere in ferro, con un disegno merlettato e di raffinata manifattura per custodire fino a 400 bottiglie di grande pregio: a fine serata, a luci spente, il bar si chiude come uno scrigno.
La drink list è strutturata su tre capitoli: oltre ai classici da aperitivo, anche i signature e gli stagionali, e una curiosa selezione di Forgotten Classics & Unforgettable, ovvero tutti i dimenticati e gli intramontabili tra i cocktail della storia. Matteo sarà affiancato da Gennaro Buono, candidato a Miglior Sommelier d’Italia nel 2016, quando lavorava alla corte dello chef Anthony Genovese. Oggi presente nel Gruppo di Aroma e di Palazzo Manfredi come F&B Manager, nel cocktail bar sarà un prezioso supporto per la selezione dei vini.
L’anima di The Court, però, resta la mixology. L’attenzione dal beverage si sposta poi sull’ experience gourmet firmata dallo stellato Executive Chef Giuseppe Di Iorio: lo chef di Aroma omaggerà gli ospiti di The Court con finger food gustosi e deliziose creazioni del Pastry Chef Daniele De Santi.
Dalle prime luci del tramonto a dopo la mezzanotte, The Court stupirà gli ospiti con una carta di altissima qualità, moderna per tecniche e preparazioni, fancy ed elegante come selezione. Grande attenzione per l’amaro ed il cocktail Martini in versione roman style, con una ri-distillazione del gin, erbe romane e un bitter alla puntarelle.
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Jerry Thomas il primo speakeasy di Roma e dItalia si racconta in un libro 3
ROMA – Il Jerry Thomas Speakeasy è, semplicemente, il cocktail bar che ha rivoluzionato il bere miscelato a Roma, e non solo. Primo “secret bar” in Italia, dove poter accedere unicamente tramite parola d’ordine, entrato ben cinque volte nella World’s 50 Best Bars e punto di riferimento per barman di tutta la Penisola, il locale oggi si racconta in un libro: “Twist on classic – I grandi cocktail del Jerry Thomas Project”.
Il volume, edito da Giunti, è stato presentato lo scorso 19 giugno con un grande evento a Roma, al quale era presente anche il curatore e giornalista Marco Bolasco. Quattro i protagonisti di questa storia: Roberto Artusio, Leonardo Leuci, Antonio Parlapiano e Alessandro Procoli, barman fondatori del progetto, oltre a un quinto d’eccezione, Mr Jerry Thomas.
Affettuosamente detto “il Professore”, il maestro ottocentesco dell’arte americana del cocktail, nato a Sacketts Harbor (NY) nel 1830 è ormai diventato “abitante onorario di Rione Ponte”.
Merito del successo raggiunto dal locale, come ricorda nella prefazione David Wondrich, esperto di mixology e scrittore newyorkese, anche lui presente all’evento. A lui, Mr Thomas ha dedicato persino una biografia (Imbibe!, Penguin group, 2007).
DIECI ANNI DI TRAMA
L’avventura del gruppo è iniziata 10 anni fa quasi per gioco e, certamente, senza alcuna previsione che si sarebbe arrivati tanto lontano. “Non potevamo immaginare un tale successo del nostro locale, figuriamoci di raccontarlo dieci anni dopo in un libro – spiega Alessandro Procoli – ma quando Marco Bolasco ci ha contattato per proporci di fare un volume sulla nostra storia ci siamo detti ‘ora o mai più’ e ci siamo buttati in questa impresa”.
“Ma lo devo confessare – ammette Procoli – fino a che non si è visto il libro finito, abbiamo creduto che non saremmo mai riusciti a portarla a termine”. Guardando indietro, in realtà, quello del Jerry Thomas sembra un destino già scritto.
Roberto Artusio, di origini torinesi, è senza dubbio il più silenzioso del quartetto. Ma conferma questa tesi: “Abbiamo iniziato a scrivere questo libro 18 anni fa, tutti e quattro assieme, quando Antonio ed io portavamo le cannucce ai bar. E quando litigai con Leo, proprio nel locale di Alessandro”.
La storia del Jerry Thomas inizia però nel 2010, dall’idea di riportare in auge uno stile di bar e di miscelazione analogo a quello del pre-proibizionismo americano, dall’Ottocento fino agli anni Venti.
Per capire l’entità della rivoluzione apportata da questo piccolo locale di Roma, nascosto in una viuzza buia del centro capitolino, tra il Tevere e Corso Vittorio Emanuele II, bisogna innanzitutto inquadrare il momento storico.
Gli anni Duemila avevano avviato nella Capitale un nuovo corso del bartending, con le multinazionali che avevano iniziato a puntare sulla figura e sulla formazione del barman, al fine di trasformarlo in brand ambassador.
NEL SEGNO DELLA RIVOLUZIONE
Nel 2009 i nostri tre (all’epoca Alessandro non era ancora socio) fondano il Jerry Thomas Project. L’obiettivo era organizzare una serie di training formativi, con ospiti internazionali di livello, primo dei quali il bartender slovacco Stanislav Vadrna.
Il format incontra l’interesse del pubblico e nel frattempo il gruppo si adopera per aprire un proprio laboratorio-studio, facendo ricadere la scelta proprio su questo piccolo spazio. Per le sue caratteristiche, il locale suggerì da sé lo stile di arredo più consono. Ovvero un salotto privato anni Venti.
L’inaugurazione coincide con la fine del seminario ed è una festa per tutti i bartender, felici di aver trovato un ritrovo “tutto per loro”. Gli inizi dell’attività non sono facili. Il “doppio turno” è la regola. Al Jerry dall’1 alle 6 del mattino. Dopo aver staccato dal loro altro impiego.
Ma la clientela pian piano si consolida, incuriosita anche dall’esclusività del locale al quale si accede solo con parola d’ordine. Fino al definitivo successo nel 2011, complice il nuovo ingresso in società di Alessandro Procoli, detto dagli amici il “vittoriano” per la sua eleganza e per questo scelto come pr del gruppo.
Da allora, gli ospiti del salotto più esclusivo di Roma sono stati tanti e sempre di alto livello, tra cui star internazionali come Jude Law che non ha mancato di spendere alcune entusiastiche parole nel libro.
IL LIBRO
Il volume, ben 224 pagine, prevede una parte introduttiva con la storia del locale, una parte dedicata all’evoluzione del bere miscelato, dalle bevande ancestrali ai cocktail, e le indicazioni su come creare ricette originali partendo dai classici, i cosiddetti “twist on classic“.
Il concetto di “twist” è proprio una delle prerogative del Jerry Thomas Project, che ne ha fatto il proprio marchio distintivo con l’applicazione della “regola tridimensionale” ovvero i tre modi attraverso cui attuare con successo la modifica di una ricetta classica.
Noi abbiamo fatto semplicemente quello che facevano tutti i barman americani del pre-proibizionismo – spiega Antonio Parlapiano – ovvero modificare ricette già buone e funzionanti per dargli uno stile nostro.
Ma l’abbiamo fatto con passione e soprattutto con divertimento, e credo sia stata proprio questa la chiave del nostro successo. Qualche esempio? Il ‘Milf Julep‘ invece che Mint, con latte di mandorla, o il frozen ‘Frozinone‘ in onore della nostra regione”.
Si entra quindi nel vivo del ricettario vero e proprio, ordinato per tipologie di cocktail, dei quali è proposta sia la versione originale sia le rivisitazioni del JTP, sempre accompagnate dalle splendide foto di Alberto Blasetti, affermato fotografo di food per diverse testate, ma al suo esordio con un libro.
Chiudono la pubblicazione la sezione dedicata ad “attrezzature, tecniche e ingredienti”, l’utile indice dei drink e le bio dei quattro eroi del JTP. Soci, sì. Ma prima di tutto amici, mossi dalla speranza “che i loro locale continui ad essere sempre un bar di amici per amici”. Parola di Leonardo. Le premesse ci sono tutte.
The Jerry Thomas Project
Vicolo Cellini, 30
00186 Roma
Tel. 06 96845937 – mob. +39 370 1146287 www.thejerrythomasproject.it
Prenotazione obbligatoria
“Twist on classic – I grandi cocktail del Jerry Thomas Project” – di Jerry Thomas Project
Giunti Editore
pagine 224 – Euro 29,00
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Si terrà a Roma, lunedì 23 e martedì 24 settembre 2019, presso il Palazzo dei Congressi dell’EUR (Piazza John Kennedy, 1) dalle ore 10:00 alle ore 21:00, la prima edizione di Roma Bar Show, evento internazionale dedicato interamente al mondo del beverage.
Masterclass, talk e conferenze, eventi collaterali, un fuori salone dedicati al trade e al pubblico, stand delle principali aziende e del settore, il food pairing e lo street food, il caffè, ma soprattutto liquori, vini, spiriti, birra, distillati, i migliori bartender e i loro cocktail, per un evento che coinvolgerà l’intera città di Roma.
Professionisti del settore e ospiti internazionali interverranno per condividere le proprie esperienze e conoscenze su trend e novità del settore. Nella sua prima edizione Roma Bar Show celebrerà il Centenario del Negroni, declinato nelle interpretazioni di rappresentativi bartender italiani.
Tra le aree tematiche il Mexico Village, che racconterà con l’agave, il tequila e il sotol, le tradizioni legate a questa terra, grazie a un cocktail bar in stile messicano con guest bartender di diverse realtà del panorama internazionale; la Gin Area grazie alla collaborazione con IlGin.it che convoglierà le aziende del settore gin italiane e straniere; la suggestiva Terrazza del Palazzo dei Congressi con il suo splendido belvedere che abbraccia l’intera città di Roma che celebrerà l’aperitivo italiano con una serie di eventi.
Tra le iniziative in programma, la finale italiana di “The Vero Bartender”, cocktail competition targata Montenegro che si svolgerà martedì 24 settembre, ma anche l’arrivo di “La Classica 2019” evento ciclistico promosso da Martini Racing, che quest’anno vedrà la sua conclusione a Roma Bar Show coinvolgendo ciclisti bartender provenienti da tutto il mondo.
“Il progetto Roma Bar Show – spiegano gli organizzatori – nasce dall’esigenza del trade, delle aziende e degli addetti ai lavori, di ritrovarsi e confrontarsi in un evento italiano di profilo internazionale con lo scopo di elevare le attività della spirit industry e della mixology in Italia. Fin da questa prima edizione, la manifestazione ha l’obiettivo di divenire la fiera leader in Italia dedicata al mondo del bar, del beverage e dell’accoglienza”.
La due giorni è promossa e organizzata da RIBS SRL di Andrea Fofi, Fabio Bacchi, Leonardo Leuci e The Jerry Thomas Project e Giuseppe Gallo. La partnership di Acqua San Pellegrino garantirà ai visitatori acqua per tutta la manifestazione, Ghiaccio Facile fornirà gli spazi espositivi e i bar all’interno del Roma Bar Show ghiaccio di alta qualità. L’APP “Tu Drink”, integrata per la manifestazione consentirà ai visitatori di orientarsi tra spazi espositivi, eventi e attività fuori salone.
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Vincenzo Agostini e la Distilleria Le Crode grappa quero vas belluno 13
QUERO VAS (BL) – Un avvocato stanco di udienze, tribunali e scartoffie. Una distilleria in vendita, destinata altrimenti a chiudere per sempre, ponendo fine a una tradizione centenaria. Certe storie iniziano perché ne finiscono altre e qualcuno vuole scrivergliene sopra di nuove. Con l’inchiostro dei sogni.
Dopo due anni da apprendista, Vincenzo Agostini può oggi definirsi “artigiano distillatore”. La distilleria Le Crode, rilevata nel 2014, è l’ultimo baluardo artigianale della Grappa Bellunese, un tempo tra le più rinomate d’Italia.
Siamo nel Comune di Quero Vas (BL), per l’esattezza in via Masetti 11, località Caorera. Appena dentro al territorio bellunese, a pochi passi dalla provincia di Treviso. Una zona in cui, un tempo, la viticoltura era fiorente. Oggi, il ritorno al vino è affidato a uno sparuto gruppo di vignaioli, tra cui molti giovani.
La vallata del Piave trucca gli occhi alle montagne circostanti, come una matita. Una terra di conquista e di battaglie, che oggi si presenta in tutta la sua bellezza sublime. Selvaggia e silenziosa. Ispiratrice. Ne è rimasto folgorato Vincenzo Agostini, bellunese di “città” che ha trovato l’habitat ideale per il suo cambio d’abito: da avvocato a mastro distillatore.
A Le Crode si distilla solo vinaccia fresca selezionata da piccoli produttori di vino del Trevigiano e del Bellunese. Le varietà sono quelle tipiche. Glera (l’uva che dà vita al Prosecco), Cabernet, Merlot, Raboso.
Ma anche le autoctone e preziosissime Recantina, Pavana e Gata. Varietà a bacca rossa originarie dei Colli Asolani (la prima) e delle cosiddette “Coste Feltrine”, poste alle spalle del Comune di Feltre (le ultime due). Circa 18 mila bottiglie, etichettate a mano ad una ad una, che riposano un anno prima della commercializzazione.
La distilleria Le Crode pare un giardino di rame, in cui Vincenzo Agostini si aggira con maestria. Costruito nel 1908 a Conegliano, conta 3 caldaie a ciclo discontinuo. Un pezzo di storia che il mastro distillatore coccola con lo sguardo.
Distillare con questi vecchi impianti non è facile – spiega Agostini – è un vero e proprio atto creativo. Devi mettere assieme l’udito, l’olfatto, la tecnica. È come avere a che fare con un’auto storica: il bello è sentire il motore, le valvole. Per condurre questo impianto occorre sensibilità e pazienza”.
La distillazione inizia con la Glera, attorno al 20 settembre. E si conclude con il Raboso, che a Le Crode arriva anche in versione “vendemmia tardiva”, per l’ottenimento di una grappa morbida e suadente.
Solo uno dei pezzi di bravura di Vincenzo Agostini, che conquista soprattutto con “La Nina”, ottenuta dalla distillazione di vinacce fresche di uve autoctone. Il vero pezzo di bravura di questo appassionato distillatore.
Una produzione che si distingue per l’assoluta finezza, che rende queste etichette uniche. La grappa Le Crode vanta una facilità di bevaassoluta, grazie a una percezione “leggera” dell’alcol (43%) dovuta alla perfetta integrazione col resto dei sentori. Un aspetto garantito dall’artigianalità e “lentezza” del processo di distillazione.
“Negli anni d’oro – ricorda il patron de Le Crode – in questa zona c’erano 25 distillerie. Oggi siamo l’ultimo baluardo rimasto nella provincia di Belluno, eredi di una tradizione che è andata via, via scomparendo, nel segno di un’Italia che non è in grado di valorizzare i propri tesori”.
“Cosa vai a fare grappa bellunese?”, chiedevano gli amici di Vincenzo Agostini, prendendosi gioco di lui e della moglie. Una domanda che oggi trova risposta nella linea completa di grappe prodotte da Le Crode. Un tesoro che non poteva andare perduto. E che oggi è lì. Tutto da scoprire e assaporare.
Distilleria Le Crode Loc. Caorera – via Masetti 11 32030 Quero Vas (BL) Tel. e Fax: 0439 787 288 Cell: 393 9633833 E- mail: info@distillerialecrode.com
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
NOGAREDO – Il Consiglio di amministrazione di Distilleria Marzadro ha approvato il bilancio d’esercizio 2018. L’azienda di Nogaredo (Trento), produttrice di distillati, ha chiuso il 2018 con un fatturato di 20,9 milioni di euro, in leggera crescita rispetto al 2017.
Aumenta il valore aggiunto dell’azienda, che mantiene saldamente il quarto posto nella top ten dei player italiani: crescono utile netto, Ebitda e Ebit. Mentre si consolida la stabilità finanziaria della società grazie ad una disponibilità liquida più che raddoppiata.
Nel 2018 sono proseguiti, come nei due anni precedenti, gli investimenti in pubblicità e in ammodernamento degli impianti. L’anno ha confermato la forza dei brand di Distilleria Marzadro, in primis la grappa “Le Diciotto Lune”, e ha premiato la capillarità distributiva della rete di vendita.
“Nel 2018 abbiamo raccolto i frutti di ciò che abbiamo seminato negli anni precedenti – commenta il presidente di Distilleria Marzadro, Stefano Marzadro (nella foto) -. Restiamo un’azienda sana e stabile, con una visione di business in continuo rinnovamento”.
GLI INDICATORI 2018
I ricavi netti salgono nel 2018 a 20,9 milioni di euro, a fronte dei 20,6 milioni di euro del 2017, registrando una crescita dell’1,5%. L’Ebitda (il margine operativo lordo) si attesta sul 14,9% dei ricavi contro il 12,2% dell’anno precedente. Mentre l’Ebit sale al 10,7% contro l’8,3% del 2017.
Il risultato economico netto (l’utile) cresce da 1,076 milioni di euro a 1,542 milioni di euro, il 7,4% dei ricavi (a fronte di una percentuale del 5,2 nel 2017). Per quanto riguarda la destinazione dell’utile d’esercizio, esso verrà interamente mantenuto in azienda per investimenti futuri.
Distilleria Marzadro conferma la sua solidità finanziaria: nel 2018 ha registrato disponibilità di cassa per 5,188 milioni di euro, a fronte dei 2,370 milioni del 2017 (dato più che raddoppiato). Il patrimonio netto, dato dalla somma del capitale sociale e delle riserve accantonate negli scorsi anni, è pari a 11,058 milioni di euro, in aumento del 16% rispetto ai 9,516 milioni di euro del 2017.
La PFN (Posizione finanziaria netta) è migliorata: l’indice è passato dagli 8,64 milioni del 2017 ai 5,86 milioni del 2018, segnando un rapporto sul patrimonio netto dello 0,5% anziché dello 0,9%.
Riguardo alle quote di mercato, c’è una predominanza di vendita sul fronte domestico – sui 20,9 milioni di euro di ricavi, l’81,3% di essi riguarda il mercato Italia (17 milioni di euro) – e una quota di estero pari al 18,7% – il 16,2% nel mercato dell’Unione Europea (3,4 milioni di euro) e il restante 2,5% nel resto del mondo (0,5 milioni di euro).
LE PREVISIONI PER IL 2019
Per il 2019 le previsioni sui ricavi restano ottimistiche. I risultati ottenuti nel primo quadrimestre dell’anno segnano un incremento del fatturato rispetto allo stesso periodo del 2018 (+2,5). “Questo ci rende prudentemente ottimisti – dichiara ancora il presidente Stefano Marzadro – pur proseguendo sulla strada dell’impegno nel controllo dei costi di gestione”.
Il 2019 è anche l’anno del 70esimo anniversario: Distilleria Marzadro incentra il piano di sviluppo, da un lato, sul lancio dei prodotti destinati a segmenti di mercato meno consolidati come miscelazione o cocktail bar; dall’altro lato, sul potenziamento dei brand classici e top level, come la linea “Affina”, la linea “Espressioni” e la linea “Giare”, equiparabili ai distillati internazionali.
“Quest’anno – continua il presidente – vogliamo puntare sulla diversificazione di prodotto, spingendo sulla linea “Infusioni”, sul “Luz Gin” e su “Altolago Vermut”, destinati ad un pubblico più giovane. Tutti prodotti che hanno alla base una materia prima a chilometro zero, sostenibile, proveniente dal territorio trentino”.
“E poi sul potenziamento dei brand della nostra alta gamma – prosegue il presidente – come le linee “Affina”, “Espressioni” e “Giare”, che non hanno nulla da invidiare per ricercatezza, qualità e prestigio agli invecchiati stranieri. Anche il nostro brand di punta “Le Diciotto Lune” sarà oggetto di innovazione: ci sarà un restyling del marchio e una maggiore spinta de “Le Diciotto Lune Botte Porto”, versione più invecchiata del brand più conosciuto”.
Sul fronte produzione, l’azienda sta preparando un piano di investimenti, da realizzarsi nel secondo semestre 2019, in ottica Industry 4.0, per circa 800mila euro, con l’obiettivo di ottimizzare al meglio i processi produttivi in ambito tecnologico e digitale.
“Sul solco dell’innovazione che da sempre ci caratterizza – ancora Marzadro – proseguiamo sulla strada dell’ottimizzazione dei processi produttivi, investendo circa 800mila euro principalmente su una linea di imbottigliamento che verrà riammodernata e integrata con nuove tecnologie legate al mondo 4.0 e con annesso software per la gestione e il continuo monitoraggio del processo produttivo stesso”.
Entro il 2019, Distilleria Marzadro conta di raggiungere l’obiettivo di arrivare a produrre un milione di litri di invecchiato. Cifra che corrisponde ad un fabbisogno di mercato di più di tre anni. Si tratta di una garanzia per il futuro e della conferma che il mercato nazionale e internazionale apprezza sempre di più la grappa invecchiata.
IL GRUPPO
Distilleria Marzadro nasce nel 1949 a Brancolino di Nogaredo, in provincia di Trento, grazie alla tenacia e alla bravura di Sabina Marzadro. Sabina fonda la distilleria e la fa crescere assieme al fratello Attilio. La seconda generazione è composta da Stefano, Anna e Andrea, i figli di Attilio.
La terza, invece, è rappresentata attualmente da Mattia, Alessandro (figli di Stefano) e Luca (figlio di Andrea). Presidente di Distilleria Marzadro è Stefano Marzadro, che ricopre anche la carica di amministratore delegato e Cfo. L’azienda ha 73 dipendenti e produce 1,5 milioni di bottiglie l’anno. Può contare su 3mila botti di proprietà.
Il Gruppo Marzadro comprende anche Madonna Delle Vittorie, azienda vitivinicola acquistata nel 2016. Nel 2018 Madonna Delle Vittorie ha prodotto 30mila bottiglie di Trento Doc e 20mila di Gewürztraminer. Vi lavorano 25 dipendenti.
LA PRODUZIONE
Distilleria Marzadro ha sempre puntato sulla qualità, scegliendo di distillare solo vinaccia fresca e solo 100 giorni l’anno (da settembre a novembre, giorno e notte), per un totale di 50mila quintali lavorati. A cui vanno sommate le lavorazioni di vinacce di amarone, qualche mese più tardi.
Tra i prodotti di punta di Distilleria Marzadro ci sono: “Le Diciotto lune”, che prende il nome dal numero dei mesi di invecchiamento; “Giare”, una linea di grappe invecchiate 36 mesi; “Espressioni”, dove l’invecchiamento varia dai 4 ai 6 anni.
“Affina”, il prodotto più prestigioso, per consumatori che apprezzano un invecchiamento di dieci anni; “Anfora”, dove viene affinata la tecnica di micro-ossigenazione della grappa attraverso l’invecchiamento in anfore di terracotta. La linea “Diciotto Lune Botte Porto”, è frutto di un invecchiamento della Diciotto Lune, per altri 18 mesi, in botti usate precedentemente per il Porto, il vino liquoroso portoghese.
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Si è tenuto presso il Drink Kong di Roma (Piazza di S. Martino ai Monti, 8) l’evento Ukiyo “Il Mondo Galleggiante”, una vera e propria esperienza di drink&food all’insegna dello ‘Spirito Italiano’ del VII Hills Italian Dry Gin, gin italiano raccontato nella sua storia e produzione attraverso i suoi sapori e sfumature, con pairing di piatti tradizionali italiani.
All’interno della Japanese Room del Drink Kong una conversazione privata ed esclusiva tra gli ospiti e il bartender, occasione unica per conoscere i segreti della mixology e del gin italiano. Un vero e proprio cocktail-confidential, con un percorso incentrato sul gusto, grazie alla degustazione di 3 cocktail a base e altrettanti piatti della cucina tradizionale italiana, serviti agli ospiti da Gabriele Manfredi, European Brand Ambassador del brand.
LE RICETTE DEI COCKTAIL: Windy:
VII Hills Italian Dry Gin
Citrus
Floreal soda
(Aperitivo servito con carciofo alla romana)
Harmony:
VII Hills Italian Dry Gin
Salty kombucha
(servito con pasta ai sapori di VII Hills Gin e formaggio)
Principe di Piemonte:
VII Hills Italian Dry Gin
Sweet vermouth
Bitter
Gianduia
Tartufo
(servito con gelato al sedano)
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Nasce a Meda, nel cuore della Brianza, Eugin Distilleria Indipendente, la prima distilleria di gin in Brianza e la terza in Italia a dedicarsi esclusivamente a questo distillato. L’azienda, nata dall’intuizione dei fratelli Eugenio e Niccolò Belli, si distingue nell’ormai vasto panorama dei produttori di gin italiani per essere tra le poche a disporre di un proprio alambicco, elemento fondamentale dell’attività e ragione del termine “Indipendente“.
Ogni fase della lavorazione avviene tra le pareti del loro laboratorio: dall’ideazione delle ricette alla produzione, fino all’imbottigliamento e all’etichettatura. L’attenzione estrema rivolta alla ricerca e alla selezione delle botaniche è un altro tratto caratterizzante l’attività di Eugin Distilleria Indipendente, garanzia di risultato nel realizzare un gin particolarmente aromatico, tanto al gusto quanto all’olfatto.
Tipica azienda artigianale a conduzione familiare, Eugin Distilleria Indipendente è radicata in terra brianzola, ma ispirata al modello delle distillerie di gin anglosassoni, che fanno di questo prodotto – in tutte le sue varianti – il loro focus.
La produzione include due varianti di London Dry Gin, Eugin N°7 ed Eugin N°9. Il primo molto aromatico, con note prevalenti di ginepro a cui si susseguono quelle degli agrumi e sentori erbacei; il secondo più secco, pensato per esaltare il gusto del ginepro, supportato dalle note resinose e balsamiche dei germogli di abete bianco.
Accanto a questi due gin, sempre disponibili, è prevista la produzione di edizioni limitate. “Il vantaggio della piccola distilleria – dichiarano i fratelli Belli – è la possibilità di imbottigliare anche solo poche decine di litri per volta: questo ci consente di distillare edizioni speciali, seguendo la stagionalità degli ingredienti, o semplicemente di sperimentare la nostra inventiva nel creare nuove ricette”.
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Bottega S.p.A. ha stipulato un accordo con la Società D&C S.p.A. di Corsico (MI), per la distribuzione esclusiva in Italia dello storico marchio Alexander, a partire dal 1 maggio 2019.
Nell’offerta D&C, che fa parte del Gruppo Eurofood S.p.A, le grappe Alexander si affiancano quindi a una selezione di distillati internazionali, tra cui whisky, rum, cognac e armagnac.
L’ambito dell’accordo prevede la distribuzione di Alexander nel canale Horeca, che è sempre stato il suo naturale bacino di riferimento e che continuerà a non essere presente in grande distribuzione.
Il marchio Alexander, creato negli anni ’80 da Sandro Bottega, ha rapidamente conosciuto una forte notorietà sia in Italia che all’estero grazie alle bottiglie in vetro soffiato che hanno contribuito ad elevare l’immagine del più noto distillato italiano.
I vetri soffiati Alexander sono stati oggetto della mostra “Art in Grappa”, ospitata dagli Istituti Italiani di Cultura di New York, Montreal, Colonia, Barcellona e Madrid, e più di recente hanno arricchito la mostra “Spirit of Peace” di Sandro Bottega, che nell’autunno 2017 si è tenuta in Giappone in tre musei della città di Hiroshima e nel 2018 a Vienna, presso il Rotunda del Vienna International Center, in concomitanza con i lavori del Consiglio dei Governatori di Iaea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Tutti i vetri soffiati della collezione vengono realizzati nella Soffieria Alexander, di proprietà dell’azienda Bottega, che si trova a Pianzano di Godega (TV). Qui nascono anche gli originali bicchieri Slang.
Privi di una base d’appoggio o del tradizionale stelo, grazie a un perno smussato posto sotto il calice, ruotano sul tavolo, rendendo la degustazione un momento di giocoso intrattenimento.
La gamma Alexander è costituita da Grappa Alex, un blend di vitigni del Nordest in elegante bottiglia conica di vetro scuro, dall’acquavite d’uva Uve d’Alexander, dalla grappa di Prosecco, da quella di Moscato, dalla selezione Exquisite (tre diverse grappe invecchiate rispettivamente con uve dell’area del Prosecco, della Toscana e delle Langhe). Ultima nata Exquisite Premium è una grappa Riserva, che viene lasciata maturare per anni in botti di rovere e che si caratterizza per la bottiglia ad anfora schiacciata.
Con il marchio Alexander sono nate le prime grappe a 38° che, anche grazie alla distillazione sottovuoto e a bagnomaria, sono estremamente morbide e delicate. Il passaggio finale in colonna demetilante conclude il processo di “tripla distillazione” e garantisce l’assoluta qualità e salubrità del distillato.
Le grappe invecchiate maturano a lungo in barrique assemblate con pregiati legni di diversa natura (rovere di Slavonia, rovere francese e rovere americano), che cedono al distillato note aromatiche e speziate di grande complessità organolettica.
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Lultima moda della mixology I cocktail alla carne con la tecnica del fat washing bove lover
Cottura al sangue o media per il suo cocktail, madame? Si beve la carne negli Usa. E la moda adesso è arrivata in Italia. L’ultima tendenza della mixology statunitense approda sui tavoli del bistrot Bove Lover, che riaprirà al pubblico il 18 maggio in via Bergamo 11, a Monza. I cocktail alla carne saranno realizzati con la tecnica del fat washing, letteralmente “lavaggio dei grassi”.
L’abbinamento tra drink innovativi e tagli di carne insoliti rappresenta una novità interessante in termini di food e beverage, che parla direttamente ai “nerd della cucina” e agli amanti della carne.
Un’idea nata dall’esperienza del macellaio Angelo Raselli e dell’imprenditore Giovanni Porcu del gruppo Food Brand. Firma la drink list Toel Colombo, “maestro” del bancone in locali rinomati della movida milanese.
I COCKATAIL DI CARNE
Si tratta di cocktail creati con grasso animale e vegetale. Drink a base alcolica. dunque, con l’aggiunta di grassi animali e vegetali fusi, mixati e successivamente separati tramite congelamento, come vuole la tecnica del fat washing, già famosa a Manhattan grazie all’estro dei barman che hanno saputo unire il carattere del liquore al sapore della carne.
Una procedura che permette di percepire il sapore del grasso animale nel cocktail senza berlo davvero. Protagonista della drink list è il Good Manners, un cocktail dal gusto deciso che si sposa con ogni tipo di carne, realizzato con whisky Caol Ila 12 e bacon, miscelati e separati tramite fat washing e guarnito con bacon croccante e scorza d’arancia.
A ricordare l’atmosfera degli gnocchi della nonna ci pensa il Guatemalteco T panch realizzato con una base di Zacapa Solera e burro, miscelati e separati con la tecnica fat washing, e guarnito con foglie di salvia.
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VERONA – Vinitaly 2019 si conferma non solo la più importante fiera italiana dedicata al vino, ma anche una grande finestra per produttori, distributori e professionisti degli Spirit.
Notevole infatti la presenza di stand dedicati ai distillati, tanto da rendere pressoché impossibile visitarli tutti.
GLI ASSAGGI DI WINEMAG
Sull’onda della moda del Gin, Rinaldi presenta Yu Gin. Gin francese che conta nelle proprie botaniche anche Yuzu, agrume giapponese, e pepe di Sichuan.
E proprio da questi trae la sua grande freschezza tanto al naso quanto al palato, morbido e vivace.
Sempre da Rinaldi due Mezcal e due Tequila. I Mezcal di Tier si distinguono per il piacevole ed armonico profumo di brace. Più erbaceo Ensamble I, più tipicamente fruttato Espadin.
I Tequila Viviana, tanto il Blanco quanto il Reposado, si caratterizzano per la grande pulizia, il sorso asciutto e la piacevole persistenza fruttata.
Notevole il Whisky giapponese Kamiki. Blended Malt di whisky giapponesi è l’unico al mondo a riposare in botti di cedro giapponese, il legno tipicamente usato per costruzione dei templi. Equilibrato, regala sentori di frutti rossi maturi, miele ed una piacevolmente marcata nota di tè verde.
Sorprende St. George Spirits da Alameda, California. Una linea di Gin e Vodka artigianali di ottima fattezza. Terroir Gin vuole, nelle intenzioni, raccontare il territorio e ci riesce portando al naso del consumatore i profumi della foresta californiana: abete, alloro, salvia, e freschezza agrumata.
Botanivore raccoglie in se 19 differenti botaniche bilanciando molto bene note di agrume, di spezie come pepe, cannella, aneto e coriandolo, ed una piacevole nota erbacea. Dry Rye è il più secco e speziato, un gin che non nasconde l’uso di alcool di segale (Rye, appunto). Un gin per gli amanti dei whiskey americani.
Chiude Green Chile, vodka ai peperoncini dolci californiani. Piccante quel tanto da non disturbare è un prodotto originale che può dare spinta in mixolgy. Da Pojer e Sandri è piacevole l’assaggio di Sorbo dell’Uccellatore, acquavite di Sorbus Aucuparia. Profumo dolce che ricorda il marzapane e corpo morbido con sentori fruttati.
Roner, distilleria altoatesina di Termeno, presenta qui un nuovo amaro di erbe. Non ancora etichettato andrà in commercio a giugno 2019. 32% ben integrati nel prodotto, tendenza dolce ed piacevolissimo aroma di erbe aromatiche e bergamotto. I vicini di casa di Psenner oltre alla linea di grappe e distillati di frutta, affiancano un vero e proprio cocktail bar in cui i prodotti di casa diventano ingredienti.
LA CULTURA ITALIANA Di tutt’altro avviso Bruno Pilzer, della Distilleria Pilzer in Val di Cembra. “Bisogna riuscire a riportare al centro il prodotto italiano principale, cioè la Grappa”. E’ con queste parole che Bruno esordisce sintetizzando in un secondo un pensiero profondo. Pensiero che sfida le mode in nome della tradizione e della cultura italiana.
“Se non sei italiano non capisci l’Italia” e quindi la grappa diviene sia identità nazionale che strumento per spiegare il nostro paese all’estero. Prodotti di altissimo livello qualitativo. Tanto le grappe da vitigno quanto la grappa blend Delmè ed i distillati di frutta (albicocca e pera che abbiamo avuto la fortuna di assaggiare).
Non si può parlare di qualità italiana della distillazione senza fare tappa allo stand di Villa Zarri, dove Guido Fini ci guida nell’assaggio della sua linea di Brandy. Nel 16 anni Assemblaggio Tradizionale ritroviamo tutte le note già incontrate nel 10 anni impreziosite da una maggiore balsamicità e da una più marcata tostatura del legno.
Il 23 anni Millesimo 1994 regala note complesse di cera d’api, crema pasticcera ed agrumi canditi. Particolari il 14 anni Millesimo 2002 affinato in botti ex Marsala Florio, che risulta facile e morbido, ed il 18 anni Selezione Tabacco che risulta molto più erbaceo “verde”.
Chiude il 28 anni millesimo 1998, ricco di terziari ma anche di una nota fruttata di fondo che sa di pesca e rimanda, mentalmente, ad alcuni Single Malt nord irlandesi. Impressiona, davanti a brandy tanto ben fatti, la frase di Guido: “Io sono un bambino. Distillo ormai da decenni ma per i tempi di questi prodotti io non ho certo l’esperienza di certe Maison”.
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MILANO – Ha esordito lo scorso 27 febbraio, al The SpiritMilano, “TalkS. Talking about…“. Una serie di incontri per parlare di buon bere con esperti del settore.
Occasione per confrontarsi su svariati temi legati al mondo del Beverage, il primo incontro ha avuto come focus “Il Design è in grado di alterare la nostra percezione del gusto?“.
Ospiti della serata Simona Cardinetti, product & interior designer e Juan Carlos Viso, l’interior designer che ha progettato e realizzato gli interni di The Spirit. Moderatrice del dibattito Sophie Wannenes, interior designer e personalità dell’antiquariato.
Una bottiglietta trasparente ed un bicchiere highball con stecca di ghiaccio e scorza di limone. La scelta, se fruire della preparazione da un contenitore o dall’altro, è stata da noi fatta anche per attrattiva estetica? Può davvero l’estetica essere veicolo del gusto? I sommelier risponderebbero di no.
Direbbero che il design del contenitore (rigorosamente un calice) ha senso solo per raccogliere e portare correttamente al naso tutti i profumi del vino, spirit, cocktail che stiamo degustando. Ma forse c’è di più.
Se è vero che dalla bottiglietta è praticamente impossibile sentire profumi prima dell’assaggio l’esperimento del The Spirit ci porta a riflettere anche su un altro punto: la gestualità.
Ogni contenitore ci porta per sua natura ad un gestualità diversa del bere. Bere dalla bottiglia è molto diverso che bere da un highball , che è diverso che bere da un baloon, che è diverso che bere da un calice.
Bere dalla bottiglietta ci rimanda mentalmente al bersi una “birretta” alla grigliata con gli amici. Il calice ci rimanda alle degustazioni tecniche e via dicendo. Interviene quindi anche un terzo aspetto, quello della convenzione sociale.
È quindi inevitabile che la nostra scelta, il nostro giudizio di fronte al beverage, sia una somma di aspetti tecnico-degustativi, bellezza estetica ed idea sociale (perché no? Anche preconcetto).
Prendono quindi senso le parole di Juan Carlos quando parla di “vestire l’eccellenza”; di raccontare un prodotto di qualità anche attraverso il design per poter comunicare in modo diretto ed immediato il suo valore. Design che deve essere veicolo contemporaneamente di funzionalità e bellezza per poter trasmettere il messaggio che il prodotto sottintende.
Attenzione, ovviamente, all’effetto opposto: vestire fin troppo bene un prodotto non così eccellente per migliorarne l’appeal. Lo sanno fin troppo bene pubblicitari e communication manager. Ma fintanto che il prodotto resta un’eccellenza allora il design può essere un valido aiuto. Perché, che ci piaccia o no, tutti noi scegliamo anche con gli occhi.
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L’idea è stata lanciata all’azienda Agricola “Valle del Marta” a Tarquinia, una delle più storiche e note in zona per la produzione di liquori, vini e confetture.
Si chiama “Concorso nazionale Barman – Cocktail dell’estate” e sarà una gara fra ricette di cocktail preparate con ingredienti provenienti dalla Tuscia viterbese.
Il concorso è gratuito e possono partecipare esercizi pubblici (bar, alberghi, ristoranti, enoteche, ecc.) che effettuano la mescita di bevande alcoliche, proponendo, fra il 2 e il 31 marzo 2019, le proprie creazioni.
Il vincitore sarà eletto il 15 aprile 2019 presso il bar della “Valle del Marta” a Tarquinia, dopo una prova di abilità che metterà a confronto cinque finalisti. La giuria di esperti e barman giudicherà le preparazioni tenendo conto di cinque fattori di valutazione: gusto, ingredienti, tecnica di preparazione, estetica di presentazione, creatività.
“Anche i cosiddetti aperitivi, oggi di moda soprattutto fra i giovani – dichiara Mario Pusceddu, promotore del concorso – possono caratterizzarsi per ingredienti legati al territorio e quindi alla tradizione agricola. C’è un grande spazio per esprimere creatività, che intendiamo, anche in questo campo, valorizzare”.
Il progetto, patrocinato dall’Istituto italiano per lo sviluppo rurale e l’agriturismo (ISVRA), prevede “tappe” stagionali la prima delle quali è dedicata all’estate.
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MILANO – Molto “Gin” e poco “White“. Si potrebbe sintetizzare così l’edizione 2019 del Gin & White Spirit Festival. Tanti infatti i Gin presenti alla manifestazione andata in scena all’Hotel Marriot. Scarseggia, invece, l’offerta degli altri distillati bianchi. Sintomo di un trend che vede nel Gin lo “Spirit” del momento. Sia esso degustato in purezza o come ingrediente, nell’arte della mixology.
GLI ASSAGGI DI WINEMAG
Coglie subito l’attenzione Minke Gin di Conakilty Distillery. Siamo sulla costa atlantica dell’Irlanda per questo Gin che prende proprio dal mare, più precisamente dal Finocchietto Marino che cresce sugli scogli, una delle sue botaniche fondamentali. Morbido al palato, quasi cremoso, e dai profumi delicati è protagonista anche di una preparazione scenografica e di facile beva.
Sorta di Gin Tonic in cui Milke è da prima utilizzato in un infuso di malva dal colore blu intenso che, una volta aggiunta la tonica, schiarisce fino a diventar rosa e poi bianco. Sempre dall’Irlanda, ma stavolta da Belfast, fa capolino Echlinville Gin. Realizzato con sole botaniche “in Estate”, cioè coltivate direttamente dalla distilleria, risulta fresco e piacevolmente citrino.
Originali i profumi di Helsinki Dry Gin. Realizzato con otto differenti botaniche e mirtillo rosso artico risulta ricco di frutti rossi al naso e piacevolmente fruttato anche nel retro olfattivo. Fischer è dotato di una gradevole vena agrumata, quasi “mediterranea”, mentre Hermit, dall’Olanda, colpisce per la sua grande sapidità.
Imea con Gineprina d’Olanda ripropone la ricetta originale del Gin italiano degli anni ’30, quando per autarchia anche il nome veniva italianizzato. Elegante e speziato in cui prevale un curioso sentore di noce moscata.
Viaggio nel tempo anche con Old English Gin di Hammer & Son: imbottigliato in bottiglia champagnotta e tappo in sughero come da ricetta del 1783. Ricetta che, in epoca di leggi contro il consumo di Gin, prevedeva lo zuccheraggio per ammorbidire la nota aspra dei distillati clandestini di bassa qualità.
Windspiel propone una coppia di prodotti interessanti, entrambi da alcool di patate. Un Premium Dry Gin in cui le botaniche ben sposano la morbida dolcezza delle patate ed una Barrel Aged Vodka. Vodka ottenuta da una sola varietà di patate ed invecchiata in legno risulta leggermente ambrata, morbida e vanigliata. La Vodka che non ti aspetti.
Sul fronte del Mezcal si riconferma di buon livello Amores (da noi già incontrato in passato) mentre coinvolge con la sua marcata nota di brace ed il suo palato che sa di terra Mezcal Burrito Fiestero.
Piacevole la sapidità del Rum Agricole a fermentazione spontanea dall’isola di Madeira che chiude con una freschissima nota mentolata.
Menzione d’onore per Vecchio Magazzino Doganale. Piccola realtà artigianale calabrese, “Produttore di Liquori Rurali”, qui rappresentata dal giovane Brand Manager Domenico Dragone col suo inconfondibile look dai baffi lunghi e cravatta con nodo a doppio giro. Delicatamente agrumati ed elegante rappresentanza del territorio Diamante Acqua di Cedro e Bergamotto Fantastico, ma sono i due Gin a stupire.
Gil The Authentic Rural Gin è ottenuto da ginepro di bassa quota, botaniche locali e filtrazione grossolana. Apre su sentori di macchia mediterranea ed erbe aromatiche per poi regalare una freschissima nota agrumata. Gil Italian Peated è, strano a dirsi, un Gin torbato.
Torba calabrese con cui si affumicano le bacche di ginepro prima dell’infusione. Decisamente meno agrumato del precedente ne mantiene le note erbacee avvolte da un sentore di fumo aromatico, quasi di caminetto, che lo rende unico nel suo genere.
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MILANO – Un’occasione, un pranzo nella Milano fin troppo intenta a correre e “laürà”, per conoscere e scoprire il Brandy Italiano Artigianale. Quattro distillatori. Ognuno con la sua idea di Brandy. Ognuno col suo prodotto.
Quattro storie e quattro caratteri diversi, accomunati dalla passione per la distillazione, dalla mentalità artigianale e, coincidenza, anche dal momento storico in cui la loro avventura è partita.
LA STORIA
Correva l’anno 1986 quando Guido Fini Zarri, Vittorio Gianni Capovilla e Mario Pojer muovono i primi passi in questo mondo. Era invece il 1984 quando Bruno Pilzer iniziava la sua esperienza in distillazione.
Oltre trent’anni di storia ed esperienza per arrivare oggi a definire il “Brandy Italiano Artiginale”, per definire le linee guida che caratterizzano i quattro prodotti, per poter finalmente dire che questi prodotti hanno una loro precisa identità e non temono confronti.
E così oggi Gianni, Guido, Bruno e Mario si ritrovano fianco a fianco con uno scopo, una missione. Non più solo “fare” artigianalità ma anche “raccontare” l’artigianalità.
Raccontare al grande pubblico il loro sistema di valori fatto di selezione della materia prima, del seguire con attenzione il processo di fermentazione, di utilizzo di alambicchi che estraggano delicatamente gli aromi, di evitare manipolazioni aggiunte di zucchero o caramello, di invecchiamenti lenti e naturali “per tutto il tempo che serve”.
L’esigenza ed il desiderio di comunicare correttamente il Brandy Italiano Artigianale nasce dalla constatazione di come l’industria abbia azzerato le differenze fra i prodotti ed allineato, omogeneizzato, la percezione degli stessi finanche a far virtualmente diventare un distillato un liquore e viceversa.
E così oggi per “l’uomo della strada”, un distillato di vino (il Brandy per l’appunto) o un distillato di vinaccia (la grappa) sono concettualmente la stessa cosa di un limoncello o di un amaro (senza nulla togliere a quest’ultimi).
“L’artigiano fa il prodotto come vuole lui e spera che piaccia. L’industria fa il prodotto per il mercato.” È in queste parole di Guido Fini Zarri la spiegazione di quell’omologazione. Basti pensare che in Italia si contano 128 grappaioli e solo la metà circa possiede alambicchi da distillazione.
Ecco quindi i nostri 4 Moschettieri alla ricerca non solo della “qualità” ma anche della “particolarità” e della “peculiarità” nelle loro produzioni.
Scelta di materie prime identificative del territorio: Trebbiano Romagnolo per i Brandy di Villa Zarri, Lagarino per Pilzer, Schiava e Lagarino per Pojer e Sandri, Valpolicella per il Brandy di Capovilla.
Grande sapienza nell’utilizzo dell’alambicco, perché, come dice Bruno Pilzer, nato grappaiolo, “il distillato di vinaccia ha una grande potenza aromatica e puoi essere elegante o potente nel distillare. Il vino invece è sottile: o sei bravo o niente”.
Attenta selezione delle botti, dalle 300 litri non tostate utilizzati da Pilzer alle barique da 225 litri di Capovilla fino alle botti di secondo passaggio (il primo fatto con Chardonnay) volute da Mario Pojer. Particolarità e peculiarità che ritroviamo nel carattere di questi Brandy Italiani Artigianali.
LA DEGUSTAZIONE Brandy Portegnac “Historie” 13 anni, Pilzer. Il nome lo prende dalla località dove ha sede la distilleria (Portegnago, in dialetto Potergnac) ma con la mente ci riporta alla Francia. E come i prestigiosi distillati d’Oltralpe “Historie” ci mette un po’ ad aprirsi ed a regalare i propri profumi. Profumi eleganti e raffinati in cui prevalgono le note fruttate di frutti freschi con una chiara vena agrumata. In continua evoluzione è facile, ma non banale, al palato.
Brandy Assemblaggio Tradizionale 10 anni, Villa Zarri. Sorprende piacevolmente per la sua complessità aromatica. Tè nero, leggero boisé, spezie morbide come cannella e pepe bianco. Sul fondo note fruttate che ricordano l’uvetta ed il dattero. Sorso pieno, di buon corpo, e dotato di una piacevole persistenza.
Brandy 1998, Capovilla. Naso pulito, immediato, aperto. Frutti bianchi e rossi che giocano con una freschezza erbacea. Gentile e morbido in bocca avvolge il sorso con pienezza quasi vellutata.
Brandy “Acquavite Divino” 2000, Pojer e Sandri. Grande freschezza olfattiva. Fiori e frutta esotica accompagnati da un piacevole nota mentolata che torna anche nelle persistenza retro olfattiva. Cremoso eppur fresco al sorso risulta pericolosamente beverino.
L’ABBINAMENTO
Qualcosa in più che “interessanti” gli abbinamenti proposti per l’occasione da Stefano Caffarri, chef e scrittore di gastronomia.
Una cucina semplice, quasi domestica, a detta di Stefano. Tre piatti in cui il Brandy diventa un ingrediente ogni volta declinato in modo diverso.
Entrata: Capasanta brasata nel grasso del bue grasso, maionese di coralli, crema di latte di soja (Brandy svaporato).
Minestra: Cappellotti di sfoglia di zucca, ripieno di grana stravecchio, consumato di pollo, polvere di zucca (Brandy crudo a gocce nel brodo). Piatto di mezzo: Cappello del prete a bassa temperatura (20 ore), fondo bruno al Brandy, pere leggermente marinate (Brandy cotto). Dessert: selezione di 4 ciccolati selezionati e lavorati da Passion Cocoa, Rho (MI).
Piena libertà di abbinare i quattro Brandy ai piatti per una sperimentazione che lascia sorpresi. Ognuno dei quattro distillati lavora molto bene con ognuno dei quattro piatti ma ognuno lo fa a suo modo, regalando sensazioni diverse. Facendo emergere così la singolarità di ogni Brandy.
L’abbinamento Cibo-Brandy si rivela essere un mondo ancora tutto da esplorare, così come in generale il mondo Cibo-Distillato che ha dato solo qualche piccola dimostrazione. Mondo che che qui ha già dato ottima prova di sé.
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Si tiene a Roma, sabato 2 e domenica 3 marzo 2019, presso il Salone delle Fontane all’Eur (via Ciro il Grande, 10) l’ottava edizione di Roma Whisky Festival. Imperdibile appuntamento per tutti coloro che vivono il mondo del whisky, Roma Whisky Festival si conferma un evento ricco di degustazioni, masterclass, seminari sulla mixology, incontri e, per il secondo anno consecutivo, stand dei migliori cognac e armagnac, affidati a esperti del settore con l’obiettivo di creare appuntamenti ad alto contenuto di “spirito”.
Ma anche, per la prima volta, una mostra dedicata al design e all’architettura di una distilleria in costruzione in Scozia. Il tutto con la direzione artistica di Andrea Fofi, affiancato dai whisky consultant, Pino Perrone, Andrea Franco e la scozzese Rachel Rennie.
La passata edizione ha registrato un incremento di pubblico del 15% rispetto al 2017, con circa 4500 visitatori in due giorni, a fronte di 60 aziende di whisky e 10 di cognac e armagnac presenti, oltre alle 10 aziende extra-whisky (food, sodati, bar tools) e i 6 cocktail bar presenti. Oltre 70 i giornalisti accreditati e oltre 2000 le etichette rappresentate con whisky provenienti da: Scozia, Irlanda, Galles, Stati Uniti, Canada, Giappone, India, Francia, Italia, Islanda, Taiwan e Australia.
L’ottava edizione presenterà masterclass di noti brand e ospiti internazionali del mondo della miscelazione, che terranno seminari e talk. Noti già alcuni speaker per i seminari mixology, figure di spicco del bartending internazionale, tra cui Leonardo Leuci del Jerry Thomas Speakeasy, Gabriele Manfredi ex Oriole Bar di Londra e Filippo Sisti della rivelazione milanese Talea. Inoltre, i mini-corsi da 25 minuti sull’ABC del whisky per i neofiti curata dalla Whisky Academy del festival nella figura della Brand Ambassador Chiara Marinelli.
Confermata l’area Cognac e Armagnac, l’area Cocktail Bar rappresentata da 4 note realtà romane (Jerry Thomas Speakeasy, Drink Kong, Argot e Freni e Frizioni) e quella food.
All’interno del salone, come di consueto, ampio spazio dedicato alle bottiglie vintage e rare, presenti quest’anno grazie alla nota casa d’aste online Katawiki. In occasione del Festival sarà anche presentato come ogni anno il nuovo imbottigliamento ufficiale in serie limitata di Roma Whisky Festival, che quest’anno vedrà il whisky scozzese Caol Ila protagonista.
La manifestazione nasce nel 2012 grazie alla passione per gli eventi di uno dei due fondatori, Andrea Fofi e per quella del whisky da parte di Rachel Rennie, ma soprattutto per la mancanza a Roma di un evento sul mondo del distillato.
La compagine si è allargata con l’arrivo di Pino Perrone, Emiliano Capobianco e Andrea Franco e la manifestazione è cresciuta in modo esponenziale, al punto tale da poter essere annoverata tra i Festival internazionali di maggior rilievo.
“L’ottava edizione – sottolinea Andrea Fofi – vuole essere l’edizione delle conferme nonché del preludio a futuri cambiamenti che apporteremo negli anni a venire per rafforzare il Brand RWF sul mercato. La crescita della manifestazione, considerata ormai tra le più importanti a livello internazionale, è evidente e ne siamo fieri e felicissimi. Non possiamo non riconoscere lo sforzo e la fiducia riconosciutaci dalle aziende partecipanti e dal pubblico numerassimo che ci segue durante tutto il corso dell’anno nei nostri eventi e attività di formazione”.
“Fiducia – continua Andrea Fofi – che di anno in anno tentiamo di ripagare attraverso la proposizione di nuovi contenuti: quest’anno ad esempio vi sarà, la Bowmore Room Experience, una mostra dedicata all’architettura e al design nel mondo del whisky presentata dallo studio di architettura Threesixty Architecture di Glasgow, impegnato nella progettazione di una nuova distilleria a Edimburgo. Ma anche la presenza di nuovi ospiti internazionali, momenti di intrattenimento e attività promozionali e di comunicazione sempre più importanti”.
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(4 / 5) Il packaging è stato recentemente rivisto, quasi a voler sottolineare lo spirito fiero ed indipendente della distilleria. Il contenuto invece è rimasto il medesimo: Highland Park 12 y.o. Old Viking Honor si conferma un punto di riferimento per gli appassionati dei whisky delle isole.
LA DEGUSTAZIONE
Una piacevole combinazione di erbe, fiori, scorza d’agrumi e miele tenute insieme da un sottile sentore torbato.
Ma andiamo per gradi; color ambrato, chiaro e luminoso. Naso ricco in cui subito emerge molto delicata la nota di torba tipica di Highland Park. Fumo fresco e floreale di erica marchio di fabbrica della distilleria. Seguono piacevoli profumi di erba tagliata e scorza di agrumi (arancia e cedro).
In bocca è morbido e con una tendenza dolce data dalla piacevole nota di miele mitigata da un leggero sentore speziato. Avvolgente nel sorso non lascia completamente la bocca regalando un finale piacevolmente lungo in cui la spezia (pepe nero) si fa più evidente e gioca ad inseguirsi col tipico fumo di erica.
Un dram seducente e completo, in grado di soddisfare tanto l’appassionato di torba quanto chi ricerca dolcezza e spezia nel proprio bicchiere. Single Malt dall’interessante rapporto qualità/prezzo che si pone come un buon amico nei dopocena meditativi quanto fedele compagno a tavola abbinato a carni rosse di media cottura.
HIGHLAND PARK
“Est. 1798”; fondata a Kirkwall sulle isle Orcadi nel 1798 è la terza distilleria più antica di Scozia. Ma non solo. La sua posizione sull’isola di Mainland in pieno Mare del Nord ne fa di fatto la distilleria più a nord di Scozia. Con ogni probabilità la più a nord del mondo.
Proprio la posizione (il terroir direbbero i sommelier) è il segreto dei whisky di Highland Park. Da un lato i venti del nord che sferzano l’isola (raro trovare una pianta su Mainland) condizionano molto i sentori della torba. Dall’altro il clima particolarmente mite (la Corrente del Golfo lambisce l’isola) dona una piacevole lentezza all’invecchiamento.
Una distilleria avvolta nella leggenda. Si narra infatti che già prima della sua fondazione ufficiale Magnus Eunson, pastore protestante della comunità di Kirkwall, distillasse illegalmente whisky ad Highland Park. Prete di giorno e distillatore illegale (“moonshiner“) di notte, specie la notte del sabato per poter vendere il proprio spirito la domenica a messa!
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(3 / 5) Uno dei Single Malt Scotch Whisky più famosi al mondo. Di corpo leggero e facile beva è un vero e proprio “entry level” per chiunque decida di avvicinarsi al mondo dei malti non torbati. Glenfiddich 12 y.o. è proprio questo, una di quelle bottiglie che non mancano mai in casa ne sullo scaffale dei supermercati.
LA DEGUSTAZIONE
Dorato scarico, tipico, quasi didattico. Da subito sentori floreali freschi ed erbacei, poi frutta. Una nota netta di mela stark e pera cui segue un leggero miele millefiori.
In bocca è cremoso e piacevolmente scorrevole. liscio, senza sbavature, pulito, nel retro olfattivo si arricchisce di una leggere speziatura. Nessuna traccia di torba.
Mediamente persistente, dolce ed asciutto, chiude con un leggero sentore legnoso. Whisky per tutti i palati e tutte le tasche è il compagno ideale per l’aperitivo o un amico fidato se accompagnato a primi piatti non troppo strutturati.
GLENFIDDICH
Nata nel 1887, la prima distillazione avvenne il giorno di Natale del 1887, Glenfiddich è una di quelle distillerie ad aver segnato la storia del whisky scozzese. Da prima rifornendo i più grandi ed importanti grandi blender di Aberdeen, e poi letteralmente “inventando” il Single Malt. È infatti del 1963, proprio ad opera di Glenfiddich, il primo imbottigliamento “in purezza”.
Glenfiddich 12 y.o. è prodotto secondo tradizione scozzese e maturato per di 12 anni in botti ex bourbon americano ed in minima parte in ex sherry. Un prodotto pluripremiato a livello internazionale al punto da essere diventato un classico.
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Una nuova veste e il gusto di sempre. Lo storico marchio Cantine Pellegrino presenta la nuova etichetta di Batò, l’amaro siciliano realizzato secondo l’antica ricetta ancora oggi gelosamente custodita in esclusiva.
La ricetta di Batò è ancora la stessa, quella creata da Oscar Despagne per la cantina di Marsala. L’amaro è ottenuto dalla lenta e lunga macerazione in alcool di una selezione di erbe officinali ed essenze.
Al naso sono evidenti le note di arance amare, menta, cacao, liquirizia e caffè tostato. Il gusto invece è morbido e rotondo, con note dolci ma non stucchevoli.
Batò può essere gustato freddo, con ghiaccio o a temperatura ambiente ed eccelle in abbinamento ai dolci di ricotta, al gelato alla vaniglia o fior di latte.
Perfetto come dopo pasto o digestivo, accompagna i momenti di relax della giornata. Ideale per la preparazione di un cocktail piacevole e fresco: basta aggiungere 1/3 di Batò, 2/3 di acqua tonica, cubetti di ghiaccio e servire freddo in un bicchiere da amaro largo.
LA STORIA DELL’AMARO
Il nome Batò deriva dall’italianizzazione della parola bateau (barca in francese) e vuole rendere omaggio a un episodio che ha profondamente segnato la storia della famiglia Pellegrino e il destino di un territorio.
Alla fine del ‘700, un gruppo di intraprendenti imprenditori inglesi (Woodhouse, Ingham e Whitaker) si stabilisce nella costa occidentale della Sicilia per dare avvio a fiorenti scambi commerciali tra l’isola e la madrepatria.
Le navi, cariche di vino siciliano, partivano dal porto di Marsala alla volta dell’Inghilterra. Al ritorno, per ottimizzare i costi di trasporto, venivano poi caricate di pregiati prodotti inglesi come ceramiche e stoffe, tanto richieste dalla nobiltà e dall’alta borghesia siciliana.
Fu proprio una di queste navi, il batò rappresentato nella nuova etichetta dell’amaro, a portare nel suo viaggio di ritorno a Marsala il liquorista francese Oscar Despagne, chiamato da Paolo Pellegrino, fondatore di Cantine Pellegrino, per avvalersi della sue comprovate competenze tecniche.
Così, nel 1895, Despagne s’imbarca con tutta la sua famiglia da un piccolo porto francese, in prossimità di Bordeaux, per trasferirsi in Sicilia. In poco tempo diventa l’uomo di fiducia della famiglia e grazie al suo contributo la Pellegrino diventa una delle aziende siciliane vitivinicole più all’avanguardia dell’epoca.
Su richiesta di Paolo Pellegrino, Despagne crea un amaro ispirato alla grande tradizione liquorista francese, caratterizzato però dalle note calde e avvolgenti tipiche del Mediterraneo.
Il legame tra i due personaggi diventa ancora più forte dopo l’unione di Josephine Despagne, la bella e volitiva figlia di Oscar, con Carlo Pellegrino, primogenito ed erede di Paolo, da cui prende avvio la storia della più longeva dinastia siciliana del vino, oggi giunta alla sesta generazione.
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