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Cotarella “ferma” la Franciacorta: ecco Chardonnay e Pinot Nero senza bollicine

muratori setticlavio muratori mantorosso Cotarella ferma la Franciacorta ecco Chardonnay e Pinot Nero senza bollicine
Si fermi, chi può. Anche solo per un attimo. Per vedere l’effetto che fa. L
‘ultima trovata di Riccardo Coratella sono due vini fermi realizzati da Muratori Franciacorta, con le stesse piante (cloni) utilizzati per i vini con le “bollicine”. Uno Chardonnay e un Pinot nero in rosso, Muratori Setticlavio e Muratori Mantorosso, dell’ormai (quasi) dimenticata Igt Sebino. L’obiettivo del noto enologo umbro e della cantina di Adro (Brescia), per la quale presta consulenza dal 2020, non è certo quello di far rivivere l’indicazione geografica bresciana, impacchettata tra la polvere dei cassetti del Consorzio di Tutela del Franciacorta, ormai da anni focalizzato esclusivamente sulla promozione dello spumante. Si tratta, piuttosto, di due «vini di doverosa sperimentazione», come li ha definiti lo stesso winemaker in mattinata, durante il lancio ufficiale. Etichette che hanno, tuttavia, un posizionamento prezzo già rivelante.

Si parla di 45-50 euro per lo Chardonnay 2023 Muratori Setticlavio; e 70-75 euro per il Pinot Nero Muratori Mantorosso (cifre riferite all’acquisto in enoteca). I due nuovi vini saranno venduti separatamente, solo in cassetta di legno da 6 bottiglie e «senza applicazione di alcuna scontistica». A giustificare il prezzo, secondo quanto spiegato dall’azienda, sarebbe la tiratura limitata a sole 2.065 bottiglie per il bianco e 2.927 per il rosso. Un «punto di partenza», come hanno chiarito il patron della cantina, Bruno Muratori, e lo stesso Riccardo Cotarella. In futuro, sia lo Chardonnay che il Pinot Nero del progetto speciale “Nuove forme di continuità“, potranno subire variazioni produttive, su aspetti come l’utilizzo del legno e la macerazione.

MURATORI SETTICLAVIO E MANTOROSSO: UN PROGETTO SPERIMENTALE

Ma la novità sostanziale – quella che potrebbe costituire il vero salto di qualità se non del rosso, almeno del bianco – è il recente impianto di un vigneto di Chardonnay con clone della Borgogna, specifico per vini fermi. Una volta in produzione, le uve di Muratori Setticlavio non saranno più – o saranno solo in parte – quelle dello “Chardonnay da Franciacorta” attuale, ricavate dall’unità vocazionale numero 4 del parco vigneti dell’azienda di Adro (suoli morenici profondi). Diversa la sorte del Pinot Nero Muratori Mantorosso, per il quale non è previsto il medesimo “upgrade”. A meno di stravolgimenti, il vino continuerà ad essere prodotto dagli stessi ceppi adottati per la produzione dei Franciacorta Muratori. Ovvero dall’unità vocazionale 5 dei “colluvi gradonati”, con suoli argillosi, profondi e poveri di sedimenti.

Del resto, in Franciacorta la cantina gestisce 52 ettari di proprietà, con una capacità produttiva di mezzo milione di bottiglie (circa 350 mila quelle commercializzate in media all’anno, di cui 200 mila della tipologia Brut). «Fino a prima dell’arrivo di Riccardo Cotarella – ha spiegato Michela Muratori, terza generazione della cantina bresciana – l’unico ad aver pensato a un vino fermo in azienda era stato il nonno, fondatore della cantina. Il suo desiderio di produrre un vino rosso non è mai stato esaudito. Oggi sarebbe fiero di questa scelta, che si inserisce nel progetto che abbiamo voluto chiamare “Nuove forme di continuità”».

MURATORI SETTICLAVIO CHARDONNAY 2023: 92/100

13,5% vol. Giallo tendente al dorato. Bella aromaticità, tipica dell’espressione più piena del vitigno, al primo naso: frutta a polpa gialla più che bianca e agrume si mescolano con sbuffi di vaniglia e spezie orientali. Corrispondenza naso-bocca perfetta. Ingresso sul frutto giallo, prima di un netto viraggio del centro bocca e dell’allungo sull’agrume e sulla freschezza, che esalta ancor più le venature sapide. Legno che si conferma magistralmente “dosato”. Ottima la persistenza di Muratori Setticlavio, che convince anche per la chiusura di sipario giustamente asciutta, in grado di chiamare il sorso successivo. Vino di gran precisione tecnica, con la varietà al centro di ogni fase dell’assaggio.

MURATORI MANTOROSSO PINOT NERO 2022: 89/100

13,5% vol. Di un bel rubino luminoso, penetrabile alla vista. Naso tipico del vitigno, con prevalenza dei piccoli frutti rossi sui neri (fragolina, lampone). Non manca una speziatura che si fa sempre più marcata, con lo scaldarsi del nettare nel calice, così come i ricordi di burro salato. Anche in questo caso buona corrispondenza gusto olfattiva, ma col frutto che pare più maturo al palato che al naso. Chiude fruttato, su tinte vagamente mielate che non attenuano, al momento, un alcol respirabile. Un vino, secondo Riccardo Cotarella, che ha «potenzialità enormi di evoluzione» e che «esprime la Franciacorta».


Muratori Franciacorta
Via Valli, 31
25030 Adro (Brescia)
Tel. 030 745 1051
Email accoglienza@muratoriwine.it

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Hofstätter, 2024 da incorniciare: due nuovi cru e futuro luminoso con Niklas Foradori


Due nuovi vini da cru: il Pinot Nero 2022 Barthenau Vigna Herbsthöfl e il Gewürztraminer 2022 Vigna Castello Rechtenthal. Ma soprattutto una nuova certezza, che sa di futuro luminoso: il definitivo ingresso in azienda di Niklas Foradori, 27 anni, accanto al padre Martin, alla madre Beatrix e alla sorella Emma. Tenuta J. Hofstätter, una delle cantine più iconiche dell’Alto Adige, sta per chiudere un 2024 da incorniciare. Un anno che vede consacrato su larga scala, dal Consorzio vini regionale, un approccio produttivo che da sempre appartiene ad Hofstätter. Quello legato alla valorizzazione dell’espressione della singola vigna e della singola zona, in particolare per i vini prodotti con le varietà bandiera Pinot Nero e Gewürztraminer. La recente approvazione delle Unità geografiche aggiuntive (Uga) da parte dell’ente presieduto da Andreas Kofler va proprio nella direzione intrapresa dal compianto Paolo Foradori, padre di Martin. Sin dal 1987.

IL PINOT NERO 2022 BARTHENAU VIGNA HERBSTHÖFL

Si parla ancor prima di vigna, che di varietà, al cospetto dell’ultimo vino rosso di Tenuta J. Hofstätter. Con il Pinot Nero 2022 Barthenau Vigna Herbsthöfl, la cantina fa un ulteriore passo in avanti nella profilazione del vitigno, in chiave moderna. Anzi, un passo in alto. Le uve provengono esclusivamente dalla parte più alta della Tenuta Barthenau, chiamata appunto Vigna Herbsthöfl. Un appezzamento situato a un’altitudine compresa tra i 430 e i 460 metri sul livello del mare.

Pinot Nero d’élite, frutto di una selezione massale avviata oltre 20 anni fa, a partire dal materiale genetico di Vigna Roccolo: il più antico vigneto di “Noir” dell’Alto Adige, impiantato nel 1942 e allevato a pergola. Barthenau Vigna Herbsthöfl 2022 richiama, per finezza e stratificazione, proprio il Barthenau Vigna Roccolo. Ma la maggiore escursione termica e la presenza di ghiaia calcarea nella base argillosa del terreno rendono il sorso ancora più teso e slanciato. La precisione è millimetrica, dal naso alla succosa persistenza.

Vino fresco come una lama, sostenuto da una spina dorsale minerale, veste un rosso leggermente più scarico dei “fratelli” Barthenau Vigna Roccolo e Barthenau Vigna S. Urbano. Segnale visivo di una direzione chiara, che punta a confermare Mazon non solo come la culla del Pinot Nero altoatesino, ma anche come la sua casa perpetua. Capace di resistere anche alle sirene dei cambiamenti climatici. Un vino, il Barthenau Vigna Herbsthöfl di Hofstätter di sicura longevità.

GEWÜRZTRAMINER 2022 VIGNA CASTELLO RECHTENTHAL

Cambia la varietà ma non cambia l’approccio con il Gewürztraminer 2022 Vigna Castello Rechtenthal. Cru, vigna, selezione, precisione tornano ad essere parole chiave al cospetto di un bianco prodotto, in precedenza, solo nella versione passito (lo Spätlese “Joseph”) da una parte del medesimo appezzamento. Una novità che prende vita in un “cru estremo”, con pendenze del 60%, situato a monte del cosiddetto “Rio Inferno” di Termeno, con esposizione sud. Siamo a 400 metri sul livello del mare. Non così lontano dalla Vigna Kolbenhof, altro cru di Gewürztraminer di Tenuta J. Hofstätter.

Qui le uve maturano molto lentamente, caricandosi di precursori per via dell’escursione termica elevata tra il giorno e la notte e per la presenza di correnti ventose fredde, lungo l’infernale canalone. Tutti elementi che condizionano il risultato finale, in positivo. Non un cambio di rotta, quello di Hofstätter con il Gewürztraminer 2022 Vigna Castello Rechtenthal. Piuttosto, un vino in linea con il generale trend di snellimento della varietà tipica dell’Alto Adige. Che, qui, fa fiera mostra di una freschezza affilata, pur nel contesto di un sorso che non rinuncia a peso specifico e leggiadra concentrazione aromatica.

IL FUTURO NELLE MANI DI NIKLAS FORADORI: PINOT NERO E DEALCOLATI

Non ha “messo le mani” sui due nuovi vini da cru di famiglia. Ma che Niklas Foradori abbia la stoffa e la voglia di mettersi sulle spalle l’azienda, è chiaro sin dallo sguardo. Ventisette anni da compiere il prossimo 20 novembre e un curriculum che fa invidia a molti coetanei italiani, con vendemmie in Germania (Rheingau e Baden), Francia (Borgogna), Stati Uniti (Oregon) e Sudafrica, oltre che nel Chianti Classico. Due quelle “in casa”, nel 2021 e proprio nel 2024, anno della sua definitiva consacrazione a Termeno.

È dopo gli studi classici (come il nonno) che il figlio di Martin Foradori lega a doppio filo il suo futuro alla viticoltura e all’enologia, arrivando a laurearsi a Geisenheim. Due grandi passioni: il Pinot Nero e Die Roten, la squadra di calcio tedesca Bayern di Monaco. Con netta prevalenza del primo, viste le tappe internazionali scelte per farsi le ossa: quasi tutte patrie del Noir. Giovanissimo, ma già capace di indirizzare la Tenuta. «Se abbiamo iniziato con i vini dealcolati della linea Steinbock Alcohol Free Sparkling, la nostra innovativa bollicina senza alcol base Riesling, è solo grazie a lui», ammette Martin Foradori Hofstätter.

E le novità arrivano anche su questo fronte, con l’ormai prossimo lancio sul mercato di un nuovo spumante dealcolato, prodotto ancora una volta con uve Riesling, ma da una base Kabinett. Il basso contenuto alcolico del vino base e il residuo zuccherino della categoria (circa 45 g/l naturali), più alto rispetto a quello del già noto “Steinbock Selection Dr. Fischer” (39 g/l da mcr), regalano uno dei dealcolati più preziosi reperibili in Italia. Un segmento in crescita, al palo della burocrazia italiana, su cui giovani come Niklas Foradori scriveranno certamente capitoli interi. Senza scordare il Pinot Nero, of course.

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Champagne Day: abbinamento perfetto con 8 formaggi italiani


Se è vero che ogni giorno è buono per aprire una bottiglia di Champagne, un po’ meno scontato è il suggerimento del Bureau du Champagne Italia, che per lo Champagne Day di oggi, venerdì 25 ottobre, suggerisce l’abbinamento delle pregiate bollicine francesi con i formaggi italiani. Niente Camembert, Roquefort o Brie. In occasione della giornata internazionale dedicata allo Champagne, l’Italia gioca in casa con alcuni dei suoi pezzi da novanta del settore caseario. Formaggi facilmente reperibili anche al supermercato, perfetti per alcune tipologie precise di Champagne. Provare per credere: Gorgonzola Dolce, Fontina, Taleggio, Caciocavallo, Pecorino, Robiola, Bitto e Burrata sposano benissimo l’iconico spumante d’Oltralpe.

CHAMPAGNE E FORMAGGI ITALIANI: 8 ABBINAMENTI DA PROVARE

Champagne Blanc de Blancs brut nature e Gorgonzola Dolce 

Il Gorgonzola Dolce è un formaggio erborinato a pasta molle, con una texture cremosa e un sapore delicato, dolce e leggermente burroso, arricchito dalle note della muffa nobile nelle sue venature blu-verdi. Il contrasto tra la freschezza minerale e l’austerità del Blanc de Blancs in versione Brut Nature e la dolcezza untuosa del Gorgonzola crea un equilibrio gustativo perfetto.


Champagne Blanc de Blancs brut e Fontina di alpeggio

La Fontina di alpeggio è formaggio estivo, delicato, con richiami alla flora alpina, di consistenza quasi fondente; la scelta di un Blanc de Blancs intenso, sfaccettato ma estremamente fine, serve a esaltarne la luminosità, in un continuo gioco di rimandi tra formaggio e vino, che si equilibrano in un finale dove convergono le note di tostatura di entrambi. Abbinamento di luminosità e charme.


Champagne Rosé brut e Taleggio

Il Taleggio è un formaggio a crosta lavata, morbido e dalla consistenza cremosa, con aromi leggermente pungenti, ma un sapore dolce, burroso e con un retrogusto acidulo. Uno Champagne rosé brut contrasta e bilancia il carattere grasso e fondente del Taleggio. Il profilo del rosé si armonizza con la dolcezza del formaggio, mentre l’acidità dello Champagne si bilancia con grassezza e consistenza.


Champagne Rosé brut e e Caciocavallo Silano di Grotta

Formaggio deciso, dove la dolcezza del caciocavallo, durante la stagionatura in grotta, si sviluppa i sentori di bosco e frutta secca, con leggeri richiami speziati. Il rosé va ad aggiungere una serie di note di freschezza, agrumata, con un tocco di lampone, per mantenere la tensione ed esaltare la complessità del formaggio. Abbinamento di intensità e dinamismo.


Champagne Blanc de Noirs brut e Pecorino Fiore Sardo

Il Pecorino Fiore Sardo è un formaggio ovino sardo tradizionale, dal gusto sapido, leggermente affumicato e ricco di note lattiche e vegetali. Se non troppo stagionato, mantiene un buon equilibrio tra dolcezza e sapidità, con una texture compatta, ma ancora morbida. Il Blanc de Noirs offre corpo e intensità che contrastano e allo stesso tempo esaltano il carattere complesso del Pecorino. Le note di frutta matura di un Blanc de Noirs evoluto si legano perfettamente al sapore deciso del formaggio, senza sovrastarlo.


Brut Sans Année e Robiola di Roccaverano

La Robiola è cremosa, molto minerale e con punte di acidità. Un gusto complesso che si può abbinare a un Brut sans année dal gusto bilanciato, pieno ed elegante, capace di non sovrastare il gusto del formaggio.


Champagne Brut Millesimato e Bitto

Il Bitto è un formaggio d’alpeggio con una pasta dura e granulosa che varia di intensità a seconda della stagionatura. Un Bitto più giovane ha sapori di latte, erba e burro, mentre uno più stagionato sviluppa note di frutta secca, caramello e un sapore deciso e persistente. Uno Champagne millesimato, ampio e aromatico, può essere un accompagnamento in grado di esaltare la profondità e la complessità del formaggio aggiungendo freschezza.


Demi-Sec e Burrata

Le note dolci dello Champagne Demi-Sec accompagnano la morbidezza della burrata e in particolare della panna. Un abbinamento per assonanza che trasforma l’assaggio quasi in un dessert senza rinunciare ad acidità e sapidità.

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Amarone 2009 Costa delle Corone, Monteci: premio speciale Vecchia annata Guida Winemag 2025


L’
Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone di Monteci si aggiudica il Premio speciale “Vecchia annata” della Guida Winemag 2025. Il vino top di gamma della cantina di Pescantina (Verona), appartenente alla Linea Monteci Selezioni, si è aggiudicato 96/100 in occasione delle degustazioni alla cieca. Convince per la vitalità, la precisione e l’integrità del sorso, a distanza di ben 15 anni dalla vendemmia (avvenuta un anno prima dell’assegnazione della Docg alla pregiata denominazione veronese). L’Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone, per ammissione della stessa cantina, è la «massima espressione dell’identità di Monteci», nonché «la sintesi di un vigneto quasi inaccessibile», da cui prende il nome. Un appezzamento inerpicato sulle colline della Valpolicella Classica, in cui affondano le radici le piante di Corvina, Rondinella e Molinara.
Di seguito il profilo del vino.

AMARONE DELLA VALPOLICELLA DOC CLASSICO 2009 COSTA DELLE CORONE, MONTECI

  • Fiore: 9
  • Frutto: 9.5
  • Spezie, erbe: 9.5
  • Freschezza: 8
  • Tannino: 7.5
  • Sapidità: 7
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 10
  • Facilità di beva: 9.5
  • A tavola: 10
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Punteggio Winemag: 96/100 (Premio speciale “Vecchia annata” per la Guida Winemag 2025)

Monteci Viticoltori

Via San Michele, 34
37026 Pescantina (VR)
Tel.+39 (045) 7151188
Email info@monteci.it

AMARONE COSTA DELLE CORONE 2009, MONTECI

DENOMINAZIONE Amarone Classico della Valpolicella Doc
UVAGGIO Corvina, Rondinella, Molinara
ZONA DI PRODUZIONE Valpolicella Classica
TECNICA DI VINIFICAZIONE Appassimento delle uve per circa 5 mesi. Dopo la pigiatura 30 giorni di contatto mosto/bucce. Segue fermentazione alcolica e fermentazione malolattica. La fermentazione avviene in parte in acciaio e in parte in tini di rovere.
AFFINAMENTO In botti di rovere da 50 ettolitri per 60 mesi.
IMBOTTIGLIAMENTO In bottiglia per almeno 5 anni.
TEMPERATURA DI SERVIZIO 18-20° C
ABBINAMENTI Selvaggina da pelo o nobile da piuma, “pastissada” di cavallo, brasati, arrosti, formaggi stagionati o piccanti, risotto all’Amarone. Grande vino da meditazione.
PUNTEGGIO WINEMAG 96/100 (PREMIO SPECIALE “VECCHIA ANNATA” – GUIDA WINWMAG 2025)
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Miglior vino piwi italiano Guida Winemag 2025: Venezia Giulia Igt Limine, Terre di Ger


Il Miglior vino Piwi italiano è Limine 2022, Venezia Giulia Igt bianco della cantina Terre di Ger. È il risultato delle degustazioni alla cieca della Guida Winemag 2025, Top 100 Migliori vini italiani. Limine di Terre di Ger si aggiudica uno dei “premi speciali”, dedicati alle varietà resistenti alle malattie fungine della vite (l’acronimo con cui si identifica la tipologia è “Piwi”). Terre di Ger, a Pravisdomini, in provincia di Pordenone, si conferma la cantina italiana più avvezza alla tipologia, forte dell’esperienza maturata in anni di sperimentazioni dal titolare,
Gianni Spinazzè. Di seguito il profilo del Miglior vino Piwi italiano, ottenuto da uve resistenti della varietà Soreli.

VENEZIA GIULIA IGT BIANCO LIMINE 2022, TERRE DI GER

  • Fiore: 8
  • Frutto: 8.5
  • Spezie, erbe: 8
  • Freschezza: 8.5
  • Tannino: 0
  • Sapidità: 7.5
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 8
  • Facilità di beva: 8.5
  • A tavola: 8
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Premio speciale: miglior vino Piwi italiano per la Guida Winemag 2025

Terre di Ger

Via Strada della Meduna – Frattina di Pravisdomini
33076 Pordenone (italia)
Tel. +39 0434.644452
Email info@terrediger.it

TERRE DI GER, LA CASA DEI PIWI

Terre di Ger nasce dalla passione per la viticoltura di Gianni Spinazzè, che fin da bambino andava nei vigneti che la famiglia gestiva in mezzadria di alcune proprietà dei Bellussi, proprietari del trevigiano. Negli anni Sessanta, Gianni, per meglio strutturare le palificazioni delle “Bellussere” del Piave ha avviato una produzione di pali in cemento, dando il via alla lunga storia dell’azienda Spinazzè, oggi affermata nel settore viticolo e frutticolo mondiale. La vera svolta per l’azienda avviene nell’ultimo decennio. Il merito è di un nuovo progetto agronomico ed enologico , con l’impianto di vitigni a varietà resistenti Piwi e una profonda ricerca sulle potenzialità dei vini da esse ottenuti.

L’obiettivo di Terre di Ger è di ridurre l’impatto ambientale dei trattamenti fitosanitari, salvaguardare la natura e avviare una coltivazione a regime biologico, puntando sulle diversità organolettiche. Nascono nuove opportunità e i confini si allargano, diventa interessante il confronto e la coesistenza con altri territori e si arriva ad acquisire la tenuta “La Boccolina” nel cuore delle colline di Jesi e a gettare le basi per il progetto “Dolomiti” nelle Coste del Feltrino.

MIGLIOR PIWI ITALIANO GUIDA WINEMAG: LIMINE TERRE DI GER

Limine di Terre di Ger è il miglior vino piwi italiano per la Guida Winemag 2025 – Top 100 milgiori vini italiani. Un nome di fantasia che è sinonimo di “confine”. Esattamente come in una poesia di Montale, questo è un vino che sta “sulla soglia” e che ha permesso di varcare il confine e di andare oltre il biologico, guardando al futuro. Denominazione: Venezia Giulia Igt 2022. Uve: Soreli, varietà Piwi resistente alle malattie fungine della vite.

In cantina: sulle fecce fini per circa sei mesi con frequenti bâtonnageDegustazione: Vino dal colore giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso presenta note di miele e frutta esotica. Vino strutturato dalla lunga persistenza aromatica, lascia in bocca un piacevole retrogusto di menta. Si accompagna a primi piatti di pesce, formaggi e ricette di carni bianche. Gradazione: 14% vol. Servizio: 12-14° gradi.

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Cantina Ripa della Volta: (green) message in a bottle, in Valpantena


Cantina Ripa della Volta ha presentato i propri vini e il proprio progetto legato alla sostenibilità con una degustazione presso la propria sede di Verona, lo scorso 15 ottobre. Un’occasione propizia anche per approfondire l’espressione della Valpantena, sottozona della Valpolicella sempre più in auge.
Nata nel 2015 dalla volontà del giovane imprenditore Andrea Pernigo, Ripa della Volta punta a unire territorio, vino e cultura. L’idea è quella di una “Creative Organic Farm“: un’azienda agricola guidata dal rispetto per la terra. Un rispetto che si concretizza in una coltivazione biologica mirata a preservare il suolo e ad arricchirlo nel tempo.

RIPA DELLA VOLTA E IL SUO APPROCCIO SCIENTIFICO E SOSTENIBILE

Nei 25 ettari di proprietà, di cui 15 vitati, non si coltivano solo i vigneti ma anche ulivi ed erbe aromatiche. Un ecosistema agricolo in cui, grazie al riutilizzo degli scarti delle singole produzioni, si contribuisce al circolo virtuoso della sostenibilità. Le circa 50 mila bottiglie prodotte diventano così espressione di una filosofia artigianale, rispettosa della terra e volta alla sostenibilità. Le fasi della produzione sono seguite direttamente dalla cantina, a partire proprio dalla cura dei vigneti, gestiti non solo in “bio” ma soprattutto attraverso un approccio scientifico. Ripa della Volta letteralmente “misura” i propri vigneti attraverso l’Indice Bigot. Un metodo brevettato, che consente di valutare il potenziale qualitativo di ogni singolo vigneto.

L’Indice Bigot misura 9 parametri di ogni appezzamento (produzione, superficie fogliare esposta, rapporto fra metri quadri di foglie e uva per ceppo, sanità delle uve, tipo di grappolo, stato idrico della pianta, vigore vegetativo, biodiversità, età del vigneto) che prendono in considerazione il vigneto nel suo insieme, come un organismo vivente. Oltre 10 mila dati all’anno, che permettono di ottimizzare la produzione e la gestione delle uve.

LA VALPANTENA DI RIPA DELLA VOLTA

Ripa della Volta si candida così a un ruolo primario tra le cantine che intendono valorizzare la Valpantena. Situata nel cuore della Valpolicella, la Valpantena è una valle che nasce a ridosso della città di Verona e che conduce ai Monti Lessini. I suoi suoli marnosi e calcarei sono ricchi di elementi che conferiscono ai vini una spiccata mineralità e complessità. La disposizione nord-sud della valle e la presenza dei Monti Lessini favorisce inoltre la ventilazione, a beneficio della sanità delle uve. Le quote mediamente più alte rispetto al resto della Valpolicella, inoltre, garantiscono un clima più fresco ed una buona escursione termica fra il giorno e la notte.

I VINI DI RIPA DELLA VOLTA

«Svincolarsi dallo stereotipo dell’Amarone come “vino di metodo”» e «realizzare vini che siano identitari e rappresentativi del territorio». È con questa idea che nascono i vini di Ripa della Volta. Una scelta che si traduce anche nei vitigni utilizzati: accanto ai classici Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta troviamo così anche Spigamonte e Turchetta (vitigno, quest’ultimo, che sta trovando spazio anche nella zona di Rovigo). Vitigni ormai pressoché dimenticati.

VALPOLICELLA SUPERIORE DOC 2022

Un vino fresco, asciutto, snello. Già dal colore rubino brillante tradisce la sua agilità. Al naso apre floreale su note di violetta, rosa e lavanda. Seguono sentori di frutto rosso, ciliegia matura e melograno arricchite da una piacevole nota pepata. Al palato è scorrevole, con una freschezza scalpitante. Verticale e sapido con tannini setosi.

VALPOLICELLA RIPASSO DOC 2021

Due anni di affinamento in botti grandi per il Valpolicella Ripasso Doc 2021 di Ripa della Volta. Quel tanto da arrotondare il vino, quel poco da non marcare troppo coi sentori terziari e perdere l’identità territoriale. Al naso affianca ad un frutto rosso giovane, delicato e goloso un frutto più scuro come mora e prugne essiccate. Leggera nota tostata e speziata. Il tannino è più vivo e presente che nel Superiore ma non per questo invasivo o troppo “asciugante”. La viva freschezza resta come marchio distintivo della Cantina.

AMARONE DELLA VALPOLICAELLA 2019

Tre anni in botte grande, come da disciplinare. Tempo sufficiente alla polimerizzazione dei tannini senza spingere sui sentori. Ne risulta un Amarone fresco e dalla grande bevibilità nonostante i 15% vol. Al naso non sono in sentori legnosi, vanigliati e di tostatura, a dominare. Ciò che guida il quadro olfattivo sono le note di frutta matura, di rosa, di ciliegie sotto spirito, note agrumate ed un tocco balsamico-mentolato. In bocca è ricco, con l’alcool molto ben integrato ed un’acidità vibrante. Beva asciutta, contemporanea, verticale e con tannini vellutati.

AMARONE DELLA VALPOLICELLA RISERVA 2016 (ANTEPRIMA)

Attualmente non in commercio e prodotto in sole mille bottiglie, l’Amarone della Valpolicella Riserva 2016 di Ripa della Volta affina per circa 3 anni e mazzo in botti piccole. Naso ricco che spazia dalla rosa canina alla frutta sotto spirito ed al ribes nero, dal cioccolato fondente al pepe al chiodo di garofano fino a note tostate. Bevuta importante, quasi in controtendenza rispetto agli alti vini di Ripa della Volta. Corpo pieno e tannini risolti che avvolgono il palato. Resta il marchi di fabbrica della cantina: la viva acidità che sembra quasi voler tagliare a metà il corpo. Finale lungo.

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La lezione di Jac


Jac
 come Jacopo (Di Battista). Diminutivo, non acronimo: chi si aspetta Just another cabernet, insomma, sbaglia due volte. Si chiama così l’ultimo vino della cantina Querceto di Castellina. Un Toscana Igt Cabernet Franc 2021 con cui l’azienda agricola bio di Castellina in Chianti (Siena) si proietta fuori dalla dimensione del Gallo Nero in cui ha già dimostrato di saper eccellere, con il Chianti Classico Gran Selezione “Sei” (vero capolavoro, di annata in annata).

Jac, sì. Tre lettere e una dedica personale, che Jacopo Di Battista si regala subito dopo il giro di boa dei 25 anni di Querceto. Come a voler provare d’essere maturo. D’essere cresciuto, esorcizzando quel nomignolo, Jac, che gli veniva affibbiato dagli amici, da ragazzino. D’esser pronto a spingersi oltre. Misurandosi con i grandissimi (toscani e non solo) che già interpretano il Cabernet Franc in purezza. Un vino, Jac, che è prima di tutto coraggioso e sfidante.

JAC CABERNET FRANC: IL NUOVO VINO DI QUERCETO DI CASTELLINA

Di fatto sbaglia, assai, chi cerca analogie. Jac non è come gli altri toscani. Non è come i Franc della Loira: non è né léger, né complexe. E non è neppure come i francesi di Bordeaux, il territorio “galeotto” che diede a Jacopo Di Battista, agli inizi degli anni Duemila, l’idea di produrre un Cabernet Franc in purezza a Castellina in Chianti, divenuta realtà oltre 20 anni dopo, reinnestando la varietà su 3 mila ceppi di un vigneto di oltre 10 anni. Cos’è, allora, Jac? Se stesso e basta. Un vino che ti sbatte in faccia la propria unicità, un secondo prima d’iniziare a farti pensare a qualsiasi paragone.

Illude, è vero, quel gran bel frutto che si presenta al naso, più sulla bacca rossa croccante, che nera. Illude pure quella bella speziatura candida, elegantissima, in sottofondo. Cosa sarà? Chi sarà il modello? Il palato non mente. Porta dritto in azienda, a Castellina in Chianti. Alla verticalità e alla tensione acida che contraddistingue tutti i vini di Querceto e la mano (leggera, dosatissima) dell’enologa Gioia Cresti, capace di restituire nel calice le specificità dei terreni al confine esatto con Radda.

L’ETICHETTA DI JAC

Jac è tutto tranne che qualcun altro. È un Cabernet Franc divisivo, che può piacere tanto quanto deludere nell’annata specifica (la 2021, prima annata ufficiale), proprio per quel suo essere carico d’aspettative tradite dall’impossibilità d’un assonanza. Jac è se stesso. Il via libera a una nuova frontiera per i vigneti “d’altitudine” del Chianti Classico, al di là del Sangiovese? Un Franc quasi “di montagna”, lontano dalle logiche e dai cliché sul vitigno. Quasi sottile, per quel tannino fitto che non sembra trovare il giusto contraltare nella polpa, al di là della spiccata gioventù attuale.

Eppure bello da bere, nel suo essere fresco e rusticamente raffinato. Ossimori che si riflettono persino sull’etichetta realizzata «dopo quasi un anno di ricerca» dallo studio milanese Aldo Segat & Partners. C’è chi ci vede un soffice grappolo d’uva; chi una sequenza d’acini (di Franc?) maturi. E chi, giustamente, la stilizzazione di un motore V8 cilindri, a sintetizzare la grande passione di Jacopo Di Battista per le auto e i motori. Cosa s’era detto? Tutto tranne che Just another cabernet, il buon Jac. Sin dall’etichetta.

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Metodo classico Brut Rosé 2014 Leggiadro, Produttori Vini Manduria

Leggiadro, sì. Ma non banale. Il Metodo classico Brut Rosé millesimato 2014 della cantina Produttori Vini Manduria si presenta di un colore commercialmente bellissimo, tipico dei Negroamaro spumantizzati moderni, che guardano al mercato internazionale.

LA DEGUSTAZIONE
Un rosa, per intenderci, a metà tra il provenzale e il buccia di cipolla, con riflessi aranciati. Vendemmia 2014, come detto, e sboccatura 2016, ne fanno uno spumante più che mai pronto nel calice. Con ampi margini di ulteriore miglioramento.

Il perlage è mediamente fine e molto persistente. Dal vetro si elevano i sentori tipici dell’uvaggio Negroamaro. Dunque sottobosco, con lamponi e fragoline a dominare la scena. Ma anche richiami agrumati che ricordano la buccia dell’arancia e il bergamotto, antesignani di un ingresso in bocca “dritto”, frangrante.

Un contesto nel quale il perlage risulta tuttavia leggermente invasivo, con la “bollicina” che sembra intromettersi troppo nel sorso. Superato questo ostacolo, la beva si ingentilisce per azione del glucosio.

E’ questo il momento esatto in cui la bottiglia, opaca e setosa al tatto, sembra assomigliare alla perfezione al nettare “Leggiadro” che attende solo di essere versato e degustato.

La chiusura è di buona persistenza, tutta giocata su sentori fruttati e sapidi, che tendono a rivelare piacevoli risvolti erbacei amari, riconducibili al rabarbaro. Uno spumante da apprezzare a tutto pasto, connotato da una semplicità non banale che lo rende adatto ad accompagnare piatti non troppo elaborati di pesce e di carne.

LA VINIFICAZIONE
Uve Negramaro in purezza per questo spumante Salento Igp Metodo Classico millesimato di Produttori Vini Manduria. L’età dei vigneti si aggira attorno ai 30 anni. La vendemmia avviene in occasione della prima decade di settembre.

Le uve vengono raccolte e vinificate nella cantina di Manduria (TA), prima che il vino sia sottoposto a rifermentazione in bottiglia ed affinamento sui lieviti, fino alla sboccatura.

Cantina Produttori Manduria è una Società Cooperativa agricola nata nel 1928. Oggi può contare su mille ettari di vigneti – per metà allevati con il tradizionale “alberello” – e 400 conferitori totali.

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Approfondimenti vini#1

Vinarius, “Stati Generali” sui Colli Euganei per gli enotecari

Da domenica 13 a mercoledì 16 maggio, i soci Vinarius di 35 enoteche da Nord a Sud, di tutta Italia, si sono incontrati sui Colli Euganei per gli “Stati Generali” dell’Associazione nata per promuovere la cultura del vino italiano che conta un centinaio di affiliati nel nostro Paese e una decina nel mondo.

La tre giorni è stata impegnativa per i soci: approfondimenti, Masterclass, degustazioni guidate, visite-studio nelle Cantine e nei frantoi locali e alla scoperta delle bellezze artistiche di questo territorio hanno animato la ricca scaletta del viaggio studio.

Il tutto in linea con lo scopo che unisce i soci Vinarius: stappare una bottiglia raccontando il mondo che lì si cela. L’appuntamento si è quindi concluso con  l’Assemblea elettiva annuale. Dopo il viaggio studio, le attività del “Premio al Territorio” Vinarius si concluderanno in autunno con degustazioni organizzate nelle enoteche di tutta Italia.

I COLLI EUGANEI
La scelta della location è stata motivata dal fatto che i Colli Euganei sono gli ultimi vincitori della settima edizione del Premio Vinarius al Territorio, il riconoscimento che valorizza un particolare ambito geografico in virtù della sua vocazione vitivinicola, del suo paniere agroalimentare, dello sviluppo sostenibile, della tradizione, della storia e della sua accoglienza turistica.

Con una solida storia alle spalle, apprezzati e decantati fin dai tempi del Petrarca, con la loro dolce distesa di colline, la qualità dei prodotti agricoli, la salubrità delle terme del primo parco Regionale del Veneto, i Colli Euganei sono un luogo che ha saputo valorizzare e far conoscere nel mondo una produzione vitivinicola di pregio grazie anche alle caratteristiche vulcaniche di suolo e sottosuolo.

“In particolare – ha precisato Andrea Terraneo, Presidente Vinarius – è stata riconosciuta meritevole la grande dedizione per questa terra di Giovanni Sandon e di Armando Pizzoni Ardemani. Sandon è stato fin dagli anni Sessanta un grande difensore della natura e, proprio grazie alla sua opera, i Colli Euganei sono quella splendida terra che possiamo ammirare ora”.

“Pizzoni Ardemani – ha aggiunto Terraneo – è invece un appassionato conservatore e proprietario del meraviglioso giardino storico di Villa Barbarigo, un gioiello che ha saputo ricevere dalle generazioni precedenti e che certamente sarà capace di trasmettere alle future”.

Protagonista di queste giornate anche Mario Busso, curatore nazionale della Guida Vinibuoni d’Italia, insignito da Andrea Terraneo del titolo “Ambasciatore Vinarius” per “aver contribuito convintamente nel far emergere il valore delle enoteche Vinarius alla vasta platea del consumatore appassionato e attento, ed aver  riconosciuto agli enotecari Vinarius un ruolo fondamentale quali comunicatori del vino di qualità e divulgatori del bere consapevole”.

COS’E’ VINARIUS
è l’Associazione delle enoteche italiane che, ad oggi, conta un centinaio di locali sul territorio nazionale e una decina in tutto il mondo, impegnati nella promozione della cultura del vino italiano.

L’associazione, nata nel 1981, si occupa in concreto della formazione dell’enotecario, dei suoi collaboratori e dipendenti, degli aggiornamenti professionali, individuando e ponendo in essere tutta una serie di attività che vanno dall’organizzazione di viaggi studio a stage di approfondimento nei vari luoghi di produzione, partecipando attivamente a convegni, mostre, fiere, manifestazioni di vario genere.

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Juve, brindisi Ferrari per lo scudetto dei record

La Juventus, alla penultima giornata del Campionato, conquista il settimo scudetto consecutivo, celebrato con le bollicine Ferrari Trentodoc.

Anche in questa stagione un traguardo sudato, grazie a una squadra che non ha mai smesso di crederci e di lottare e che, con il pareggio contro la Roma nella serata del 13 maggio all’Olimpico ha regalato ai tifosi un’altra grandissima gioia (dopo la conquista della Coppa Italia solo 4 giorni prima).

In spogliatoio erano già pronti i grandi formati di Ferrari Trentodoc dedicati a questo storico traguardo. Sull’etichetta campeggiano il disegno dello scudetto, il logo Juventus e l’hashtag #MY7H.

La festa della squadra ha visto per il terzo anno consecutivo suggellare i festeggiamenti con le bollicine Ferrari, grazie a una partnership “sinonimo di un orgoglio tutto italiano, nel segno della storia e dello stile che entrambe le società rappresentano a livello internazionale”.

Questo storico successo arriva, inoltre, nell’anno in cui Juventus festeggia i 120 anni dalla sua fondazione, celebrati dalla cantina della famiglia Lunelli con “Ferrari Selezione Juventus 120“.

Un Trentodoc esclusivo, presentato in un cofanetto dedicato, proposto in soli 1897 esemplari, come l’anno di fondazione della squadra. E’ possibile acquistare la bottiglia “Ferrari Selezione Juventus 120” scrivendo a enoteca@ferraritrento.it.

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Spumante Rosè Brut MiA, La Casetta

Dalla cantina dell’Azienda Agricola “La Casetta”, nasce lo Spumante Brut “MiA”, proveniente dalle colline
dell’appennino tosco-romagnolo, figlio di un blend in cui Chardonnay e Pinot Nero si sposano con il
Sangiovese. Ne nasce una bollicina semplice, elegante e versatile che nel canale horeca si aggira intorno ai dieci euro di prezzo.

LA DEGUSTAZIONE
Passando all’analisi visiva, troviamo nel calice un vino di un elegante rosa Cerasuolo e dal perlage fine e persistente.

Al naso la predominanza è quella dei sentori caratteristici del Sangiovese, come il bouquet delicato di violetta, ciliegia, fragola accompagnati da frutta esotica e pietra focaia.

La bevuta è piena, una bella freschezza si sprigiona sulla lingua chiudendosi con la tipica avvolgenza
ammandorlata dello Chardonnay.

Un piacevole metodo charmat, perfetto per l’aperitivo ma anche a tutto pasto, magari con una delicata
pasta alla burrata e salmone.

LA VINIFICAZIONE
Vinificato con metodo charmat, spumantizzazione 6 mesi in autoclave in acciaio inox, affinamento di 3 mesi
sulla bottiglia.

In provincia di Ravenna, sulle colline tosco-romagnolo, nasce nel 1963 l’Azienda agricola “La Casetta” dai
fratelli Antonio ed Angelo Errano, a cui si unisce nel 70’ anche Giuseppe Bartolini. Etichette caratteristiche nascono dall’amore per il proprio lavoro e per le proprie terre, dove autoctoni come il grechetto, trebbiano e sangiovese si uniscono a vitigni internazionali come Pinot Nero e Chardonnay.

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Rebellis Solaris: Giannitessari investe sui Piwi

RONCÀ – Si chiama Rebellis e ha tutte le carte in regola per farsi notare il nuovo progetto sui Piwi della cantina Giannitessari di Roncà (Verona).

Un nome di fantasia, “Rebellis”, che ha varie ragioni: a partire dall’uva di varietà Solaris, varietà Piwi (resistente agli attacchi fungini cui è soggetta la vite) creata attraverso incrocio nel 1975 a Friburgo ma solo di recente autorizzata in Italia.

Il vigneto è frutto di un nuovo impianto a 550 metri d’altezza a San Giovanni Ilarione, nella Valle d’Alpone (Verona), in un ambiente relativamente nuovo per la viticoltura; poi la scelta di una vinificazione con lieviti indigeni e infine una fermentazione per i primi 7 giorni a contatto delle bucce.

“L’origine di questo progetto – spiega Gianni Tessari – arriva da lontano e dal mio interesse per le varietà resistenti di cui seguo studi e prove di vinificazione sin dalle origini. Convivono in me, come credo in ogni buon vignaiolo, un’anima legata alle tradizioni e una curiosità che spinge a sperimentare”

“Quando nel 2013 l’uva Solaris è stata ammessa nella provincia di Verona tra le varietà consentite – aggiunge Tessari – non ho perso tempo e realizzato subito l’impianto. Quella del 2017 è stata la nostra prima vendemmia”.

Il vigneto esposto a sud-est è coltivato a pergola semplice e ha avuto una resa, per una varietà comunque potenzialmente produttiva, limitata a 70 quintali.

“L’interpretazione di quest’uva che proponiamo con Rebellis – conclude Tessari – è certamente solo una di quelle possibili, ma mi è sembrata la più coerente con il modello di rottura degli schemi che avevamo in mente. Un prototipo di lavoro che non escludo possa avere degli aggiustamenti in futuro, mano a mano che avremo una conoscenza maggiore della materia prima e delle sue potenzialità”.

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Tramin, nuova missione: il Gewürztraminer deve sfidare il tempo

TERMENO – Proporre il Gewurztraminer come vino di prospettiva. Di lungo affinamento. Come fosse una Vernaccia o un Gavi, per citare altri bianchi noti per la loro positiva evoluzione in bottiglia.

Questa la missione che si prefigge da qualche anno Tramin, cooperativa fondata nel 1898 dal parroco Christian Schrott, che oggi raccoglie 290 viticoltori altoatesini.

Un’idea rivoluzionaria, che sta iniziando a condizionare le scelte d’abbinamento di alcuni attenti sommelier, nell’alta ristorazione. Ma l’obiettivo è più che altro “culturale”. E potrebbe generare un nuovo approccio al vitigno (collaterale, non certo alternativo) da parte dei produttori.

Dopo essersi imposta sul mercato come “Casa del Gewurztraminer”, la cantina di Termeno (BZ) punta insomma a stravolgere il modo di pensare al re dei vitigni a bacca bianca dell’Alto Adige.

Non solo come a un vino di pronta beva, forte della sua caratteristica principale: l’aromaticità. Ma anche come a un vino bianco da dimenticare in cantina per anni. Concretamente, Tramin ha iniziato a proporre ai propri clienti etichette di Gewurztraminer di annate passate, in parallelo con le nuove vendemmie.

“Nei primi anni dall’imbottigliamento – conferma Willi Stürz, direttore tecnico di Cantina Tramin – il Gewürztraminer regala note armoniche, spesso dovute alla concentrazione. Lasciato lì, il vino assume un nuovo carattere. Per sviluppare questo concetto abbiamo realizzato un piccolo magazzino all’interno della cantina, dove custodiamo uno stock delle vecchie annate”.

LA SFIDA
“In alcuni ristoranti – spiega ancora Stürz – riusciamo a proporre ‘pacchetti’ di verticali di Gewürztraminer da 12 bottiglie complessive, attorno alle quali chef e sommelier costruiscono abbinamenti diversi, in base all’annata. E’ un modo nuovo per valorizzare il vitigno che è la ragion d’essere di Tramin”.

Non a caso l’ultima etichetta capolavoro della cantina altoatesina, “Epokale”, è un vendemmia 2009. E non a caso, all’ultimo Vinitaly – dove abbiamo incontrato Willi Stürz e il pr & Communication Günther Facchinelli – oltre all’annata 2016 del Gewürztraminer “Nussbaumer”, ci è stata proposta la 2011, in seguito a “Selida”.

Il futuro di Tramin, dunque, pare connesso sempre più alle sue radici. Già, perché la cantina di Termeno sembra meno concentrata di altre, in Alto Adige, nello sviluppo dell’ultima frontiera della viticoltura: i vitigni Piwi (pilzwiderstandfähig), resistenti agli attacchi fungini.

“Abbiamo due impianti di Piwi – commenta Willi Stürz – uno di Bronner e l’altro di Souvignier Gris, ma nonostante la grande attenzione, anche mediatica, attorno al tema dei vitigni resistenti, crediamo non siano ancora maturi i tempi per proporre con convinzione i vini sul mercato. Aspetteremo ancora qualche anno, seguendo da vicino il progresso della scienza in materia”.

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Alto Adige Riesling Doc 2015, Laimburg

L’Alto Adige Riesling DOC 2015 è un elegante vino nato da una preziosa ricerca sul vitigno iniziata oltre trent’anni fa nei vigneti di Montefranco, piccola località di Merano.

LA DEGUSTAZIONE
Giallo paglierino con ricordi di oro bianco brillante, dalla consistenza importante complice i 13,5°. Al naso delicato bouquet fruttato, con aromi di pesca, mandarino, kiwi  e note minerali di gesso.

Vino di carattere, un perfetto equilibrio tra la morbidezza e la tipica acidità del Riesling, che regala una beva intensa e persistente.

Abbinamento ideale a piatti tipici della cucina mediterranea, come un cous cous di verdure, oppure per un aperitivo importante e piacevole.

LA VINIFICAZIONE
L’Alto Adige Riesling Doc 2015 nasce su un suolo porfirico e sabbioso nel pendio sud occidentale di Montefranco, a 500 metri sopra il livello del mare.

Se ben conservato, il 2015 può attendere qualche anno in bottiglia per essere poi degustato maturo.

Nata nel 1975 come costola del Centro per la Sperimentazione Agraria e Forestale di Laimburg, la cantina di proprietà della Provincia Autonoma di Bolzano rappresenta un fiore all’occhiello del panorama Nazionale.

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Spumante Extra Dry Passerina 50 Sfumature, La Travanesca

Dopo la versione ferma, ecco lo spumante più trasgressivo d’Italia: l’extra Dry Passerina 50 Sfumature della Casa Vinicola La Travanesca. Il side b di una storia che il giovane produttore Francesco Patrignani sta scrivendo in giro per il mondo.

Portando i vini delle Marche (Passerina e Pecorino in primis) da una parte all’altra del globo, dopo aver conquistato tante location alla moda, in Italia. Forte di un’etichetta che non lascia spazio a interpretazioni.

LA DEGUSTAZIONE
Uno sparkling, tuttavia, che non delude all’assaggio. Nel calice, lo Spumante di Passerina Extra Dry 50 Sfumature si presenta di un bel giallo dorato. Al naso richiami di frutta tendente al maturo: mela, banana, pesca. Non manca un risvolto erbaceo, accompagnato da una vena sottile di mineralità.

Il palato è più che mai corrispondente. Apprezzabile l’armonia complessiva, giocata sull’equilibrio tra le note mature e le componenti erbacee e leggermente sapide. Uno spumante Extra Dry che, a differenza di molti altri, non stanca dopo pochi sorsi.

Perfetta come aperitivo, la Passerina spumantizzata 50 Sfumature si presta anche ad abbinamenti con piatti semplici di pesce, crostacei e fritture.

LA STORIA
L’idea di chiamare così la Passerina è nata da Alessandra Silvestroni, titolare della Casa Vinicola Silvestroni di Camerata Picena (AN). Tutto nasce dal film ’50 sfumature di Grigio’, nel periodo in cui moltissimi canali pubblicitari promuovevano l’uscita di questo film, nel 2016.

Oggi la Passerina ferma e la versione spumantizzata fanno parte de “La Travanesca”, curata dal punto di vista dell’immagine e del marketing (oltre che commerciale) dal giovane Francesco Patrignani, 26 anni.

Le uve Passerina vengono acquistate da alcuni storici conferitori della cantina Silvestroni e spumantizzate in Veneto.

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Igt Puglia Bianco Le Fossette 2015, Alberto Longo

Non molto tempo fa abbiamo avuto la possibilità di assaggiare la Falanghina di Agricole Alberto Longo nella versione spumante Metodo Classico Brut Nature. Degustiamo oggi per voi la versione ferma, Le Fossette, annata 2015.

LA DEGUSTAZIONE
Colore paglierino, carico e con riflessi verdolini. Intenso al naso ci accoglie subito con una piacevole freschezza seguita da ricche note di frutta polpa bianca ma accostate a profumi che ricordano anche i frutti di bosco.

Erbe aromatiche a chiudere il quadro olfattivo. In bocca entra morbido e caldo. Segue subito la viva sapidità che stuzzica il sorso.

Molto buona l’acidità, che a quasi tre anni dalla vendemmia fa presagire una piacevole longevità in cantina. Buona la persistenza, in cui i sentori retro olfattivi sposano quelli sentiti al naso.

Carni bianche e pesce, ma anche formaggi freschi o a media stagionatura sono un accompagnamento perfetto per questo vino.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con il 100% di uva Falanghina, coltivata in località Masseria Celentano, presso San Severo (FG) su terreni calcareo argillosi. Dopo la diraspatura e spremitura soffice dei grappoli la fermentazione alcolica avviene in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata.

Il vino ottenuto viene mantenuto sulle fecce fini per tre mesi. Agricole Alberto Longo ha sede in una masseria dell’ottocento ristrutturata presso Lucera in provincia di Foggia.

La barricaia e la cantina di affinamento sono stati realizzati mettendo in collegamento fra loro gli antichi silos in muratura interrati, tipici del territorio. La cantina fa un utilizzo quasi esclusivo di vitigni locali (moscatello, bombino bianco, falanghina, nero di Troia) con approccio “bio”.

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Cantine Terre d’Oltrepò e La Versa: soddisfazione al Vinitaly

Nella giornata di ieri, mentre presso la sala polivalente (Stand E4 al 2° piano del PalaExpo) si presentava ufficialmente a giornalisti e addetti ai lavori il nuovo Collezione 2007, riserva metodo classico La Versa indirizzato al canale Horeca, solo pochi metri più avanti, nello stand C4, il pubblico si raccoglieva via via attorno allo spazio espositivo della storica casa spumantistica oltrepadana per assaggiare i suoi nuovi vini.

In poche ore sono stati serviti oltre 2000 assaggi di “Collezione”. Molto apprezzato anche il Carta ORO, l’altro Metodo Classico disponibile per gli assaggi, e i tre charmat Pinot Nero, Riesling e Moscato.

“Da questo Vinitaly stiamo avendo grandi soddisfazioni – ha affermato Andrea Giorgi, Presidente di Cantine Terre d’Oltrepò e La Versa – sapevamo che il ritorno del marchio La Versa avrebbe attirato molte persone, ma quello a cui abbiamo assistito in questi primi due giorni di Vinitaly va certamente oltre le nostre più rosee aspettative. C’è grande curiosità, voglia di riscoprire il Metodo Classico La Versa, ma anche tanto interesse su vini più beverini a base Pinot Nero, Riesling e Moscato, referenze charmat che hanno riscosso un grande successo e apprezzamenti soprattutto da parte di un pubblico giovane”.

Esattamente di fronte allo spazio La Versa c’è il grande stand di Terre d’Oltrepò e i suoi marchi, Casteggio, Svic, Sansaluto, Etesiaco e Anamari. “Se dobbiamo fare un bilancio di queste prime due giornate di fiera non possiamo che dirci soddisfatti – ha dichiarato Marco Stenico, Direttore di Terre d’Oltrepò e La Versa – Questo Vinitaly ci sta dando molto non solo in termini di pubblico. Abbiamo infatti ricevuto un importante riconoscimento dalla giuria di 5StarWines per il nostro Cruasé SVIC di Cantina di Casteggio che è stato valutato con ben 91 centesimi”.

Vinitaly prosegue fino a mercoledì 18 aprile, solo allora si potranno finalmente tirare le somme di un bilancio che ha già ampiamente superato gli obiettivi che ci si era prefissati per questa edizione.

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Bisol a Vinitaly: dal 1542 al futuro del Prosecco

Bisol, marchio storico del Prosecco Superiore di Valdobbiadene,  si racconta al mondo attraverso un nuovo linguaggio che ne interpreta i valori cardine: unicità, autenticità e tradizione. Il progetto, presentato al Vinitaly 2018, sottolinea il grande legame con il territorio e la continuità con la storia del marchio e al tempo stesso guarda al futuro per adeguarsi alle sfide e cogliere le grandi opportunità del mercato.

Dopo quattro anni dall’acquisizione, l’azienda è stata pienamente integrata sfruttando le sinergie con il Gruppo Lunelli e sono stati attuati investimenti, in campagna e in cantina, volti alla continua ricerca dell’eccellenza produttiva. L’inizio di questa nuova fase di sviluppo di Bisol si manifesta oggi con una completa revisione della gamma prodotti e dell’immagine della marca, studiata con il supporto dell’agenzia Robilant Associati.

LE NOVITA’ IN CASA BISOL
Cambia innanzitutto il logo, nel quale viene evidenziata la data del 1542, anno in cui un documento storico testimonia la presenza della famiglia Bisol come viticoltori nella zona, e si sottolinea il legame con il territorio attraverso l’indicazione di Valdobbiadene e la  rappresentazione stilizzata di una ripida collina coltivata che ricorda il Cartizze.

La nuova immagine coordinata ha inoltre un colore distintivo, il “verde Bisol”. Un tocco di verde
che richiama il rigoglioso paesaggio coltivato a vite che contraddistingue da secoli queste colline. “Oggi celebriamo una tappa importante del nostro percorso – spiega Gianluca Bisol, Presidente della Bisol Desiderio & Figli – da sempre utilizziamo il verde come tratto distintivo nelle nostre etichette per esprimere lo storico e intimo legame con Valdobbiadene. Oggi, con un tratto di verde ancor più vivo, confermiamo la volontà di diventare sempre di più ambasciatori di questo meraviglioso territorio. Una sfida lungimirante, che con il prezioso contributo della famiglia Lunelli, raggiungerà traguardi ancor più ambiziosi, perché per essere originali bisogna essere originari, e chi più di Bisol può essere originario nel mondo del Prosecco?”

La linea Bisol è fatta solo di Prosecco Superiore Docg e vuole raccontare la varietà del territorio di Valdobbiadene e sperimentare tutte le sfumature del Prosecco Superiore, perché ciascuna etichetta è espressione di un particolare terroir e di una specifica composizione del terreno. Una collezione fatta di eccellenza senza compromessi, che racconta il faticoso lavoro della terra, frutto di una viticoltura eroica. Proprio per valorizzare ed avere il massimo rispetto per l’identità del territorio, sono state create due nuove etichette della Denominazione Rive: il Relio Rive di Guia, che vuole essere il vertice della produzione della Casa e il Rive di Campea, espressione del più importante vigneto di proprietà.

Accanto alla gamma Bisol è stata rivista anche la collezione Jeio. Se Bisol è il cognome, Jeio è il soprannome. Jeio era infatti il soprannome con cui Desiderio Bisol nel dopoguerra era affettuosamente chiamato dalla moglie. Se Bisol è l’anima legata a un saper fare, Jeio è l’espressione più fresca della marca, il volto contemporaneo, l’anima gioiosa del Prosecco che esprime la capacità di godere della qualità della vita, tipicamente italiana. Queste due collezioni sono due anime complementari della stessa marca che convivono e giocano l’una  con l’altra.

“È un progetto strategico per il Gruppo Lunelli ma vuole dare anche un contributo allo sviluppo del territorio” afferma Matteo Lunelli, Amministratore Delegato del Gruppo Lunelli e Vice Presidente di Bisol. “Il Prosecco in tutto il mondo continua a crescere a ritmi straordinari, ma sul mercato viene richiesta prevalentemente la categoria senza indicare la preferenza per uno specifico marchio. Siamo convinti che sia fondamentale sottolineare la differenza tra Prosecco e Prosecco Superiore e auspichiamo che si sviluppino marchi riconosciuti e riconoscibili dal consumatore, al fine di promuovere la qualità e valorizzare questo grande vino. Bisol vuole essere sempre di più protagonista del Prosecco Superiore di Valdobbiadene”.

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San Michele Appiano “The Wine Collection”: riscoprire vecchie annate di sorprendente longevità

Appiano (BZ) – Il winemaker Hans Terzer apre le porte dell’esclusiva cella situata nel cuore della Cantina San Michele-Appiano e presenta “The Wine Collection”, collezione che sigilla una limitatissima produzione di piccole selezioni in purezza. Dopo APPIUS, la Cuvée prodotta con le migliori uve provenienti da vecchi vigneti, ora è possibile assaporare da una prospettiva unica la massima espressione di un monovitigno. È il Sauvignon a dare il via alla serie speciale di sole 3.000 bottiglie.

«Della linea The Wine Collection faranno parte limitatissime produzioni in purezza, oltre ad eccezionali annate storiche Sanct Valentin che ho personalmente selezionato» sottolinea Hans Terzer. «Il millesimo 2015 è stato l’anno del Sauvignon, a cui ho voluto dedicare una bottiglia speciale e un’etichetta esclusiva, perché ciò che rende particolare questo vino è un nuovo significato del concetto di qualità che inizia dalla conoscenza del Terroir e delle sue peculiarità, proseguendo con la selezione delle uve in vigna fino ad un affinamento speciale. Dopo 40 anni in Cantina ho voluto sperimentare un metodo diverso, 3 giorni di skin contact, pressatura soffice, 12 mesi in tonneaux, poi altri 12 mesi in acciaio a cui ha fatto seguito un periodo di affinamento in bottiglia».

Al naso il vino colpisce per la carica aromatica con sentori di uva spina, basilico, ori di ginestra e acacia. Note fruttate come kiwi, ribes e pesca bianca. In sottofondo buccia di mandarino e cedro, seguite da sensazioni speziate, mentolate e balsamiche. Al palato è dominante la componente minerale e sapida. L’equilibrio è garantito dalla ricchezza e morbidezza del frutto, mentre la componente alcolica regala una straordinaria avvolgenza conservando eleganza e freschezza.

La storia di The Wine Collection nasce vendemmia dopo vendemmia, quando un’esclusiva selezione del raccolto veniva destinata alle premure di Hans Terzer per scoprirne talento e longevità di ciascun monovitigno. Anno dopo anno queste piccole produzioni venivano imbottigliate e consumate esclusivamente in particolari eventi e degustazioni. Fino ad oggi, perché ora Hans Terzer e The Wine Collection danno la possibilità di assaporare prospettive uniche di monovitigni al loro massimo.

Il Sauvignon è uno dei vitigni preferiti dell’enologo Hans Terzer, colui che alla fine degli anni 80 ha rivoluzionato il mondo vitivinicolo in Alto Adige passando dall’ampia produzione di uve rosse ad una limitata di uve bianche come il Pinot bianco, lo Chardonnay e in particolare il Sauvignon Sanct Valentin è tra i vini bianchi più premiati di sempre, dal 1994 ha ottenuto ben 18 volte i Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Dopo il riconoscimento internazionale alla carriera “Der Feinschmecker”, Hans Terzer e la Cantina San Michele-Appiano continuano a far crescere la fama e l’amore per il vino dell’Alto Adige.

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Vinitaly 2018: Bacio della Luna presenterà il nuovo Prosecco Bio

 “L’appuntamento a Vinitaly, vetrina d’eccellenza per il vino italiano, è per Bacio della Luna un appuntamento immancabile. Ci aspettiamo un grande successo per tutta la nostra gamma di Valdobbiadene e, in particolare, per il nostro nuovo Prosecco Doc Brut Biologico, nel quale crediamo molto. Nel 2016 il segmento del biologico ha avuto un aumento a doppia cifra, e ciò riguarda anche il vino. Basti pensare che, ad oggi, la superficie vitata con metodo bio arriva a circa il 17% della superficie totale italiana. Noi abbiamo colto questa sfida e puntiamo molto su questo segmento sia nei vini spumanti che in quelli fermi e speriamo davvero di cogliere nel segno”.

Con queste parole Roberta Deflorian, Direttore di Bacio della Luna, annuncia la partecipazione della rinomata Cantina di Vidor (Tv) alla più importante Fiera italiana dedicata al Vino, Vinitaly, che si terrà dal 15 al 18 aprile a Verona. Vera novità 2018 sarà la presentazione del nuovo Prosecco Doc Brut Biologico, in anteprima assoluta italiana. Il nuovo spumante, il cui processo di vinificazione non prevede l’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche, dalla vendemmia alla produzione, così da certificarlo come biologico, ha già riscosso grande successo a Prowein dove è stato definito dagli esperti di settore”molto interessante e di ottima qualità”. Non mancheranno inoltre tutti gli spumanti della linea Bacio della Luna, dal Cartizze Docg Dry, fiore all’occhiello della Cantina, ai prosecchi Docg, Millesimato Extra Dry e Millesimato Brut.

“Abbiamo già in agenda molti appuntamenti con giornalisti, critici e buyer, sia italiani che stranieri, in particolare dall’Est Europa, Russia ed Asia. La Fiera sarà anche l’occasione di incontrare i partner e i distributori italiani che, al nostro fianco da anni, contribuiscono al successo dei vini di Bacio della Luna. Andiamo a Vinitaly con grande entusiasmo – conclude Deflorian – certi di riuscire a conquistare anche l’esperto pubblico di questa importantissima manifestazione italiana”.

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Malbec argentino in passerella a Milano: “E’ il vino del futuro”

MILANO – Che l’Argentina sia tra le nuove “Americhe” del vino è risaputo ormai da anni. Ad assicurare che “il Malbec sarà il vino del futuro” ci pensa invece Roberto Cipresso.

Uno che mastica biancoazzuro da oltre un ventennio. E che di terroir e calici ne ha calpestati e annusati un’infinità, in giro per il mondo.

E’ una planata leggera nel cielo dell’Argentina quella che l’ormai ex winemaker di Bassano del Grappa ha offerto ieri al The Westin Palace di Milano, teatro del Malbec World Day.

L’evento più importante nel panorama enologico italiano per il re dei vini sudamericani, organizzato dall’importatore e distributore Via dell’Abbondanza in collaborazione con l’Associazione italiana sommelier (Ais).

Più di 60 etichette (25 cantine) rappresentate ai banchi di degustazione aperti al pubblico, accorso numeroso. Quaranta vini, invece, alla degustazione alla cieca condotta da una ventina di esperti che hanno decretato i tre migliori Malbec presenti sul mercato italiano.

Gradino più alto del podio per il Malbec 2009 di Bodega Yacochuya. Medaglia d’argento ad Apartado Gran Malbec 2013 di Rutini Wines. Bronzo, infine, per Antes Andes Viña Canota 2015 di Matervini, proprio la “cantina laboratorio” fondata nel 2008 da Roberto Cipresso e Santiago Achával.

Un progetto che guarda lontano. Anzi, in alto. Dal 1995, anno in cui per la prima volta Cipresso è atterrato a Buenos Aires, le cose sono cambiate in Argentina. Anche grazie a lui.

“E quando i produttori locali capiranno che il futuro è la pre-cordigliera, iniziando a impiantare vigneti in zone più eroiche rispetto alle attuali, l’Argentina diventerà la nuova, vera capitale del vino del mondo”, ha commentato Cipresso prima dell’inizio del blind tasting.

Non a caso Matervini è definita dagli stessi Cipresso e Achával “a dream of the Pre-cordillera“. E anche l’immagine dei due produttori che camminano in salita, con lo sguardo rivolto verso la cima della montagna, è emblematico, sul sito web della cantina.

“Il Malbec è una varietà che può contare su un ventaglio di elementi favorevoli straordinari – assicura Cipresso – come il piede franco, la presenza di vigneti centenari, l’assenza di umidità e un’irradiazione solare che, come in nessun’altra zona al mondo, è riuscita a modificare in positivo il metabolismo della vite”.

“Allo stesso tempo – ha aggiunto il produttore – il Malbec trova il suo punto debole nel terreno in cui affonda le radici. L’Argentina, dopo aver smesso di scimmiottare i vini del Cile, che a loro volta imitavano i californiani e la Napa Valey, ha puntato tutto sulla valorizzazione dei terroir”.

IL FUTURO DEL MALBEC
Il passo successivo, utile secondo il patron di Matervini a consacrare il Malbec nell’Olimpo mondiale dei vini, dovrà essere nel segno della viticoltura eroica. Una viticoltura che punti tutto sulla fascia pedemontana: la Precordillera delle Ande. Alla scoperta di territori ancora inesplorati, anche per le difficoltà nel raggiungerli.

“Oggi, la maggior parte dei vigneti in Argentina si trovano su terreni che hanno solamente 30 milioni di anni – spiega Cipresso – mentre la zona della Precordigliera ne vanta 300 milioni. Si tratta dunque di substrati da Pangea, da Deriva dei Continenti, ben più ricchi degli attuali e situati ad altezze davvero importanti, anche oltre i 2 mila metri”.

Un percorso che Matervini ha iniziato ormai da 10 anni, lasciando il segno nella viticoltura di un Paese che mostra enormi potenzialità enologiche.

Una luce oggi offuscata da vinificazioni in legno ancora troppo invasive, che hanno il difetto di offuscare (e in troppi casi seppellire, tout-court) la verità che vorrebbero raccontare tanti terroir d’Argentina.

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Donato Lanati sbarca in Monferrato con Bonzano Vini

CASALE MONFERRATO – “Fare vino è il primo passo per ricollegarsi in maniera naturale col proprio territorio”. Con queste parole l’enologo Donato Lanati ha presentato ieri, venerdì 6 aprile, la Bonzano Vini.

Una nuova azienda vinicola che si ripropone il “rilancio di un intero territorio”, dal quartier generale della Tenuta della Mandoletta a Casale Monferrato.

Un corpo unico di 7 ettari di vigneti, incastonato nel paesaggio più tipico del Monferrato Casalese: morbide colline che salgono dalla vicina Pianura del Po, che non raggiungono mai altezze superiori ai 400 metri.

“Non nasce un’azienda a Montalcino o nelle Langhe, ma qui nel Monferrato – ha evidenziano Lanati – dove per anni la tendenza è stata quella di espiantare le vigne a favore di altre colture. La Bonzano Vini ha dalla sua parte la forza del Dna di un territorio, che passa attraverso le generazioni. Abbiamo fatto vini territoriali, che piacciono perché sono ‘a misura d’uomo’, esattamente come il Monferrato, una terra che amo da sempre”.

Centomila bottiglie complessive per Tenuta della Mandoletta – Bonzano Vini, distribuite nel canale Horeca. Hanno debuttato ieri le prime quattro etichette della cantina, annata 2017: il Barbera del Monferrato Doc “Gajard”, il Bianco del Monferrato Doc “Armognan”, il Monferrato Rosso Doc “Hosteria”, un vino conviviale che si abbina a tutto pasto, e il Rosato “La Meridiana”, dalla piacevole freschezza e versatilità.

IL PROGETTO
Nella Tenuta della Mandoletta i fratelli Enrico, Stefano e Massimo Bonzano sono gli autori di un progetto vinicolo a più mani, realizzato in collaborazione con l’enologo “scienziato” Donato Lanati, che ne ha condotto e coordinato i lavori dal principio, nel 2011.

Assieme a loro Simonetta Ghia, moglie di Enrico Bonzano e titolare dell’azienda vinicola, che ha incoraggiato e promosso la nuova avventura imprenditoriale con la sua profonda passione per il mondo del vino.

Le radici di questa storia affondano nei terreni del comune di Coniolo, nel Monferrato Casalese, patrimonio Unesco dal 2014, e crescono in queste colline dove i vigneti si alternano ai boschi di noccioli e faggi.

Un territorio composto da suoli calcareo-argillosi che nasconde nelle sue profondità gli antichi infernot scavati nella Pietra da Cantoni, la stessa usata per la costruzione delle dimore e dei castelli che torreggiano dalle coste dei colli.

Un paesaggio suggestivo e unico, che fa da scenario a questa nuova avventura vinicola presentata in anteprima venerdì 6 aprile con la degustazione di 4 dei 7 vini della cantina, annata 2017, la prima prodotta dall’azienda.

Chiuderanno la proposta enologica il Metodo Classico Brut “Mandoletta”, il Barbera del Monferrato Superiore Docg “Bruno Bonzano” e il Monferrato Bianco Doc “Genevieve”. Tre selezioni che saranno pronte nella seconda metà del 2018.

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Vinifera Forum 2018: i migliori assaggi di vini artigianali in Trentino

Un altro bell’evento, questa volta in un territorio meno “global” della media come Trento, con protagonisti i vignaioli artigiani. Vinifera Forum, dal 21 al 25 marzo, ha posto l’accento sul “vino artigianale”, con particolare attenzione alle Alpi e al Nord Italia.

Una viticoltura eroica raccontata da tante etichette presenti sul catalogo di Proposta Vini. Tra quelle presentate lo scorso mercoledì da Italo Maffei al Circolo Santa Maria di Rovereto (TN), segnaliamo la straordinaria Boschera di Eros Zanon.

Un Colli Trevigiani Igt frizzante ottenuto dall’omonimo vitigno, di cui sono presenti solo 6 ettari in tutta Italia. Siamo nella zona di Valdobbiadene e i ceppi di Boschera sono stati scoperti e conservati da Zanon tra filari di Glera.

Ne scaturisce un vino vivo, dal naso succoso di frutta a polpa bianca. Un bel palato minerale, verticale, accompagna verso una chiusura e agrumata e vegetale. Beva semplice, ma tutt’altro che banale: un vino quotidiano di assoluto livello.


Giovedì 22 marzo la visita all’azienda agricola Elisabetta Foradori a Mezzolombardo (TN). La nota produttrice trentina, artefice del successo del Teroldego nel mondo e promotrice della viticoltura biodinamica, ha aperto le porte a un nutrito gruppo di visitatori.

Un vero e proprio mausoleo i locali storici della cantina. Uno di quei posti in cui cala il silenzio, quasi per magia e per rispetto dei nettari che riposano in bottiglia, o sono in maturazione nelle oltre 120 anfore di terracotta spagnola Padilla: un marchio di fabbrica della Foradori.

Una vignaiola che, grazie alle selezioni massali sul Teroldego, operate sin dal 1984, regala al mondo del vino italiano vere e proprie chicche. Vini di prospettiva, pensati per evolversi nel tempo, subendone le curve e i sali e scendi.

Di fatto, oggi, il vino più “pronto” tra i rossi degustati è certamente il Vigneti delle Dolomiti Igt Foradori 2016. L’etichetta storica dell’azienda, prodotta sin dal 1960. Naso infinito: cannella, finocchietto, radice di liquirizia, ginger e richiami che ricordano l’agrume maturo, in particolare l’arancia rossa.

Vena floreale di viola e minerale profonda che si ritrova anche al palato, decisamente verticale. Tutto si gioca su note di frutta a bacca rossa come melograno e ribes: l’acidità torna a parlare di agrumi e il tannino fa presagire buone prerogative di affinamento del nettare in bottiglia.

Strepitosi anche i due cru di Teroldego firmati da Elisabetta Foradori: Sgarzon 2015 e Morei 2016. Tra i due, è il primo a convincere di più, in questa fase. Un naso solare, ricco, concentrato come il colore che dipinge il calice, un rosso purpureo impenetrabile.

Palato vibrante, giocato su un’acidità che ricorda più la buccia rossa che la polpa d’agrume. Leggera percezione tannica, ben integrata col sorso. Morei è invece ancora un po’ chiuso, con le parti vegetali e speziate in attesa di confondersi amabilmente col frutto.

Il Granato 2015 è, in assoluto, il Teroldego di casa Foradori che parla più di futuro. Un vino, oggi, da dimenticare in cantina e riscoprire evoluto entro una decina d’anni. Bello constatare la presenza, assieme, di note terrose ghiaiose ed eteree che ricordano tabacco dolce e fumè, in un quadro fruttato di ribes e ciliegia.


Eugenio Rosi, Viticoltore Artigiano – Cantina di Affinamento. Entrare a Palazzo Demartin, in via 3 novembre a Calliano, piccolo borgo di 2 mila anime alle porte di Trento, in Vallagarina, è come fare un tuffo nel passato.

Rosi apre la porta e invita all’interno di quella che sembra, di primo acchito, la bottega di un falegname. E lui, Mastro Geppetto. Capelli lunghi brizzolati, raccolti in una coda. Sorriso timido, stretta di mano calda.

Si percorrono due corridoi pieni di cartoni, poggiati su un pavimento della fine del Quattrocento. Ti senti un po’ Pinocchio, tra le mani del genio. L’ambiente ti avvolge, come in un sortilegio. Un antico portone di legno conduce alla panica della balena.

Ventidue gradini di pietra, in pendenza, conducono nella barricaia. Al centro una tavola di legno, come fosse un altare, con decine di bottiglie alla rinfusa. Eugenio Rosi si posiziona al centro. E versa, versa. Versa. E racconta.

Si inizia con il blend Anisos 2015: Nosiola (50%) Pinot Bianco (30%) e Chardonnay (20%), allevati tra i 400 e gli 800 metri. La prima poesia in un calice che si colora di macerazione e profuma di fiori di montagna come un campo. In bocca, l’acidità della Nosiola la fa da padrona, smussata dalla fine eleganza degli altri due vitigni.

Dorato il colore di Anisos 2009 (“orange” è una definizione che a Rosi non piace, “anche se so benissimo che stiamo parlando di quello”, ammette). Naso di quelli che ti tengono incollato al bordo come un bambino che guarda fuori dal finestrino, mentre guida papà. Miele, scorza d’arancia, anice stellato, zenzero.

La predominanza della Nosiola, in bocca, si fa sentire: prima amara, poi arrotondata dall’azione mitigatrice di Pinot Bianco e Chardonnay. Un vino lunghissimo, che conta pure su uno spunto tannico nel retro olfattivo.

“Ci sono i vini artigianali e i vini industriali – spiega Eugenio Rosi – senza vie di mezzo. Non che il primo sia migliore. L’artigiano produce cose uniche. Dall’altra parte si agisce su ‘ricette’ precostituite”.

“E’ tutta una questione di persone – sostiene Rosi che, da giovane enotecnico, ha rinunciato a un posto di lavoro sicuro per seguire il sogno della viticoltura eroica – perché nell’industria la persona diventa un semplice ‘esecutore’. Spesso vengo in cantina con l’idea di fare dei lavori: poi assaggio e lascio lì, non tocco niente. Provate a farlo in un’industria: sarebbe impossibile”.

Si prosegue con Riflesso Rosi 2016, Merlot e Cabernet in prevalenza, con una punta di Marzemino. I tre uvaggi macerano con le vinacce del bianco: si ottiene così il colore perfetto. Pare d’essere in un bosco, nonostante la leggera volatile: piccoli frutti rossi che dominano anche il palato, dritto, sincero. Rinvigorito dalla spezia leggera del Marzemino.

Il meglio di questo vitigno, in purezza, lo esprime la vendemmia 2015 di Poiema. Rosso impenetrabile e un naso più fruttato e meno speziato rispetto ai Marzemino di Isera. In bocca splendido equilibrio: amarena, uvetta, lampone, prugna, ma anche mela renetta.

Le note dolci sono dovute al leggero appassimento cui vengono sottoposte le uve per circa 30-40 giorni, per un buon 30%. Uve su cui, in seguito, avviene la rifermentazione della “base”.

Una tecnica con cui Rosi sopperisce ai problemi di maturazione (e dunque di asperità) del Marzemino, donandogli maggiore piacevolezza e facilità di beva, ma senza perdere neppure un minimo di tipicità.

Forse, però, il vero asso nella manica di questo vignaiolo artigiano della Vallagarina è il blend 2013, 2014 e 2015 di Cabernet Franc, in stile “solera”. Naso tipico, bocca di una finezza rara, capace di esprime i sentori caratteristici del vitigno in un sorso aggraziato, posato, allo stesso tempo potente e raffinatissimo.

Le uve provengono più da un clos che da un cru. Il giardino di una villa tutelata dalle Belle Arti, dotato di un terreno di sabbia profonda, quasi da cava. Vinificazione in vasche di cemento a cappello sommerso, dopo una cernita spasmodica delle uve, i primi di ottobre.

Fermentazione spontaea, con il vino nuovo immesso sul “vecchio”, assieme al suo corredo di lieviti vitali, freschi. Un filo di solforosa in botte e il risultato di un’eccellenza rara tra i rossi italiani.

Un livello su cui si assesta anche Esegesi 2013, blend di Cabernet Sauvignon (80%) e Merlot (20%) che si riassume nella massima di Rosi: “Il vino è interpretazione, emozione ed equilibrio”.

“Ma se tornassi indietro – ammette il vignaiolo – non so se rifarei le stesse scelte. Ho sacrificato e sto sacrificando la mia famiglia, i miei tre figli. Io e mia moglie Tatiana siamo partiti da zero, qui. Più ci guardiamo attorno, più ci rendiamo conto che l’errore più grande sia stato quello di non partire”.

In Vallagarina o in Liguria, la battaglia sarebbe rimasta la stessa: “Concentrarsi nel fare vini più buoni degli altri (industria, ndr) facendo crescere nel consumatore la consapevolezza e la conoscenza fondata, tangibile del senso della nostra attività”.

Amare considerazioni per un dolce finale, con lo splendido Marzemino passito 2013: un inno a profumi carezzevoli e finissimi di frutta a polpa rossa e nera, con richiami decisi a datteri e fichi. Corrispondente al palato, dove sfodera un tannino piuttosto vivo.


I MIGLIORI ASSAGGI A VINIFERA FORUM – SALONE DEI VINI ARTIGIANALI ALPINI

Bello vedere tanti giovani a caccia di calici pieni di contenuti e di storie, ancor più che di vino, al Salone dei Vini Artigianali Alpini. Vinifera Forum si è chiusa così, tra sabato 24 e domenica 25 marzo.

Un migliaio gli ingressi alla degustazione che ha visto protagonisti 50 artigiani del vino provenienti soprattutto da Trentino, Alto Adige e Veneto, ma anche da Lombardia, Friuli, Piemonte, Liguria, Slovenia e Austria.

Bello, anzi stupendo, lo scambio con molti vignaioli: tutti meno “ultrà” rispetto a tanti bevitori enofighetti di “vino naturale”. La necessaria rivoluzione culturale del vino italiano, utile ad accompagnare il mercato verso il successo che merita, si favorisce così.

Con eventi di nicchia ma ragionati. Peccato solo per la scarsa adesione di tanti “big” trentini a questo Forum, ampiamente compensata da qualche mostro sacro altoatesino (terra più generosa di quanto possano far presumere certi stereotipi).

Bellissimo vedere produttori affermati come Haderburg, Patrick Uccelli e Martin Abraham sostenere la “causa” di un’associazione di eno appassionati che amano il proprio territorio e le tradizioni: perché questo è l’Associazione di promozione culturale Centrifuga, ideatrice e artefice del programma di Vinifera 2018. Ecco i migliori assaggi.

SPUMANTI
1) Metodo Classico Vsq “Man 283” 2013, Giuliano Micheletti. Dosaggio zero biodinamico, tradotto: Chardonnay dritto al cuore. Suoli calcarei profondi, su argilla, che si esprimono sopratutto in un palato dritto, verticale, sottile, corroborato da una piccola (ma sapientissima) aggiunta di muscoloso Pinot Nero.

Un metodo classico talmente vibrante al naso da sembrare dosato con qualche mistica pozione d’alpeggio. Vino dal rapporto qualità prezzo imbarazzante: 25 euro per portarselo a casa. Chapeau.

2) Metodo Classico Trento Doc Dosaggio Zero “Maso Nero” 2012, Az. Agr. Zeni. Pinot bianco in purezza per questo prezioso sparkling che si discosta dalle caratteristiche usuali trentine, non solo per via della scelta dell’uvaggio.

Prodotto per la prima volta nel 2010, era stato pensato originariamente per essere dosato come Brut, con aggiunta di liqueur. Dagli assaggi, Rudy Zeni e la sua famiglia hanno compreso le potenzialità espresse dal Pinot Bianco. Optando per valorizzarle appieno. Nature, appunto.

Una scelta azzeccatissima, dal momento che il legno utilizzato per metà della fermentazione – seppur di secondo e terzo passaggio – aveva già ammorbidito il sorso, conferendogli un’opulenza perfettamente integrata con le note esotiche mature. Super.

3) Metodo Classico Trento Doc Nature Riserva 2012, Marco Tonini. Un vulcano questo vignaiolo, affabile come la sua batteria di Trento Doc, dall’ottimo rifermentato all’eccellente Riserva che, da poco, ha iniziato a commercializzare (prima la produceva solo per gli amici).

La Riserva Nature 2012 di Tonini è uno di quegli spumanti che vorresti avere sempre in casa: una beva tesa e molto elegante, su note fruttate mature corroborate da ottima vena balsamico-vegetale e minerale.

4) Vino Spumante Brut Nature “Silvo”, Villa Persani. Un Metodo Ancestrale coi fiocchi quello proposto da Villa Persani in una comoda bottiglia da 0,50. “Non solo per discostarlo dai Metodo classico – spiega Silvano Clementi – ma soprattutto perché lo abbiamo pensato come lo spumante perfetto per un aperitivo intimo, per due persone”. Anche il prezzo è ottimo: 8 euro in cantina.

Con Villa Persani siamo a Pressano di Lavis, vicino Trento. L’azienda si è specializzata nell’allevamento di varietà resistenti (Piwi). “Silvo”, di fatto, è un metodo ancestrale con tappo a corona ottenuto da Souvignier gris e Aromera. Bel sorso per questo sparkling dai connotati aromatici, agrumati e minerali.

5) Prosecco Frizzante “Di Fondo”, Bresolin Enrico. Il tipico Prosecco da “shakerare” prima dell’uso, per rimescolare i depositi presenti sul “fondo” e godersi appieno tutto il parterre aromatico. A produrre “Di Fondo” sono tre giovani: Enrico (25), Matteo (26) e Davide (35), nella loro azienda biologica di Maser, sui Colli Asolani.

Bel Prosecco frizzante il loro, capace di risvegliare, dal torpore dei lieviti ammassati alla base della bottiglia, sentori che vanno ben al di là di quelli classici della Glera. E dunque, oltre alla frutta a bacca bianca come la pera Williams, ecco richiami spiccatamente floreali ed erbacei, oltre a una leggera vena di radice di liquirizia.

VINI BIANCHI
1) Pinot Blanc 2015 “Art”, Weingut Martin Abraham. Tutti capolavori assoluti i vini di Martin Abraham, vignaiolo altoatesino tanto schivo quanto pronto a raccontare le sue “creature” con un calore che in pochi riescono a trasmettere.

Questa volta segnaliamo la versione che fa legno del suo Pinot Bianco In Der Lahm, vendemmia 2015, che nasce da una selezione della stessa vigna. Due anni sulle fecce, senza travasi, anche la malolattica in legno nuovo.

Ne risulta un naso ancora un po’ troppo condizionato da questa scelta, che tuttavia guarda al futuro e alla longevità di un’etichetta destinata ad affinarsi ulteriormente nel tempo.

Il palato, invece, è un’esplosione. La componente minerale fa da cornice a richiami fruttati a metà tra l’agrume e la pera. Straordinario l’equilibrio tra la cremosità dell’alcol e le durezze. Il finale, lunghissimo, è tutto giocato sulle spezie, quasi piccanti. Un vino dal valore assoluto.

2) Vino bianco biologico 2016 “Monte del Cuca”, Menti Giovanni. Cambiamo zona e cambiamo radicalmente tipologia di bianco. Con “Monte del Cuca” siamo in Veneto, nella zona di Gambellara.

Si tratta di un 100% uve Garganega, raccolte a mano nella prima metà di ottobre, diraspate e fatte fermentare sulle proprie bucce, senza l’aggiunta di lieviti e senza controllo della temperatura.

Le uve restano in acciaio per circa due anni, prima dell’imbottigliamento, senza filtrazione e senza aggiunta di solfiti. Ne scaturisce un “orange” dal naso tra i più belli dell’intera Vinifera (e non solo). Come rotolarsi in un campo di fiori, alle pendici di un vulcano.

Il suolo fa la sua parte soprattutto al palato, conferendo all’assaggio una struttura verticale. Ma la lunga macerazione regala al contempo grassezza a una beva instancabile. Nel retro olfattivo anche una leggera percezione tannica.

3) Riesling 2012 “Limen Bianco”, Giuliano Micheletti. Oltre al Metodo Classico segnalato sopra, Micheletti conquista il podio anche tra i bianchi, con uno splendido Riesling 2012 che regala sentori di idrocarburo, resina, erbe. Un bianco più che mai vivo, sulla cresta dell’onda anche al palato, dove mostra uno splendido bouquet di frutta matura.

4) Sauvignon Blanc 2014 “Garnellen Anphora”, Tropfltalhof. Più difficile da pronunciare che da apprezzare, il vino in anfora di Tropfltalhof. Siamo a Caldaro, in Alto Adige. La vena agrumata tipica del vitigno non manca. Ma, per il resto, questo è uno di quegli assaggi da conservare nella cartella “Sauvignon Blanc” della memoria. Nome del file: “Eccezioni”.

I 21 mesi in anfore di tre tipi (due spagnole, alla Foradori ma di due produttori diversi, e una toscana) uniti ai 7 complessivi sulle bucce, conferiscono a questo Sauvignon una concentrazione organolettica unica, sia al naso sia al palato. Ottima la scelta di raccogliere all’ultimo la varietà, ottenendo una maggiore pienezza.

La bocca, in particolare, è tesissima. Sul filo di agrumi come lime, e pompelmo che accentuano la salivazione. Seguono spezie, sentori erbacei d’alpeggio e di pietra focaia, prima di un finale caldo. Solo 800 le bottiglie prodotte nella scarna vendemmia 2014, che fanno lievitare il prezzo a 41 euro.

5) Sampagna 2016, I Canevisti. Sampagna è il nome con cui, in dialetto veneto, si identifica la Marzemina bianca. Solo uno dei vitigni autoctoni della zona di Breganze, in Veneto, che il gruppo di amici vignaioli “I Canevisti” sta cercando di recuperare e valorizzare.

Andando oltre alcune punte di volatile, il vino che convince di più al banchetto di Vinifera è la Sciampagna 2016. Il risultato ottenuto con il lavoro su questo vitigno è a dir poco eccezionale.

Un naso infinito, ampio, giocato principalmente sulle erbe e sugli agrumi. Corrispondente al palato, dove sfodera altrettanta ampiezza. Da bere a fiumi, una volta riusciti a staccare il naso dal calice.

VINI ROSATI
1) Rosato di Dolcetto “?” 2017, Forti del Vento. Il nome di fantasia, i due amici Marco Tacchino e Tomaso Armento, devono ancora trovarlo per il loro rosato da uve Dolcetto, vinificato e affinato in anfore di terracotta da 300 litri.

Un rosato di quelli veri, di sostanza. A partire dal colore carico, senza compromessi provenzali. Mille bottiglie prodotte, in totale. Una bella chicca.

2) Riviera del Garda Classico Doc Valtenèsi Chiaretto “La moglie ubriaca” 2017, La Basia. Ha bisogno di ancora un po’ di “bottiglia” questa “moglie ubriaca”. Ma, barcollando, riuscirà certamente ad arrivare in porto: frutto, sostanza e mineralità ci sono tutte. Devono solo raddrizzarsi. E lo faranno entro qualche mese.

Terreni calcarei per dare al verticalità al calice di questa chicca di casa La Basia, azienda agricola condotta grande passione da Davide, Irene, Carla, Giacomo, Emilio e papà Antonio, che hanno preso in mano l’azienda alla morte di mamma Elena.

VINI ROSSI
1) Igt Terrazze Retiche di Sondrio, Pizzo Coca
. Elogio alla semplicità. Segnaliamo questo vino per la sua capacità di arrivare al cuore, con grande semplicità. E’ il vino d’entrata (10 euro) di Pizzo Coca, realtà di appena 1,7 ettari vitati, vocata al biologico.

Siamo in Valtellina, uno dei simboli della viticoltura eroica in Italia. Qui, Lorenzo Mazzucconi, con un amico, ha deciso di mettere le radici, di ritorno da diversi viaggi di formazione enologica, in giro per il mondo.

Il monte Pizzo Coca è sullo sfondo dei vigneti e vigila sul futuro di questa combriccola, che ha da poco trovato un locale da adibire a cantina: l’ex latteria del Paese. Tutto attorno i vigneti, a Ponte, Tresivio, Poggiridenti e Montagna in Valtellina.

Il Nebbiolo di questo Igt Terrazze Retiche di Sondrio è lavorato solo in acciaio. Il risultato è un’esplosione tutt’altro che banale di frutto, di una grandissima pulizia. Un vino quotidiano con i contro fiocchi. Avanti così!

2) Piemonte Doc Albarossa 2013 “Altaguardia”, Forti del Vento. Torniamo in Piemonte, di nuovo a casa di Forti del Vento a Castelletto d’Orba, in provincia di Alessandria. Tra i rossi presenti a Vinifera Forum, infatti, spicca l’Albarossa 2013 “Altaguardia”.

Albarossa è il nome del vitigno frutto dell’incrocio tra Barbera e Nebbiolo. Un concentrato di Piemonte, insomma, reso possibile dell’ampelografo Giovanni Dalmasso. “Altaguardia” 2013 è un rosso ancora giovanissimo, ma di grande prospettiva.

Nel calice, evidente la “lotta” tra l’acidità intrinseca al vitigno e richiami vagamente surmaturi, più che concessi visto l’equilibrio raggiunto. Due, tremila bottiglie l’anno per l’Albarossa di Forti del Vento, allevata a un’altezza di 7-800 metri. Da comprare oggi e tenere in cantina.

3) Sorni Rosso Trentino Dop 2015 “Grill”, Eredi di Cobelli Aldo. Avete presente il Teroldego? Ma sì, quel rosso trentino che spesso comprate al supermercato. Ecco, scordatevelo. Il vitigno Teroldego è la base ampelografica della Dop Sorni.

E la Eredi di Cobelli Aldo lo interpreta alla sua maniera. Splendidamente. Le viti affondano le radici in terreni di gesso, che conferiscono al calice una mineralità spiccata.

Un Teroldego dall’ossatura ben definita, che non manca di sfoderare, al palato, un tannino austero e un frutto perfettamente delineato, pulito. Un altro grande vino di prospettiva, che incarna alla perfezione il senso di questo Salone dei Vini artigianali alpini.

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Collio Doc Merlot 2012 Redmont, Ferruccio Sgubin

Un abbraccio che non mente. Ti attira forte a sè, ti stringe, ti coccola e ti infonde subito uno stato di calma,  beatitudine. E’ quanto succede con un calice di Collio Doc Merlot Redmont, imbottigliato all’origine dalla società agricola Ferruccio Sgubin di Dolegna del Collio. Basta un piccolo sorso per capire perchè.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino intenso, il Collio Doc Merlot di Ferruccio Sgubin si mostra subito ricco e sontuoso al naso che si sviluppa tra dolci note di frutti neri in confettura, un sottofondo speziato e piacevoli sbuffi dolci di vaniglia che carezzano l’olfatto. Si presagisce una beva morbida ed avvolgente.

E non tradisce: sorso vellutato complice un tannino setoso che dà pienezza alla beva. Davvero piacevole, ha una buona persistenza al retronasale. Profondo e “leggero”, ma non in discordanza. Profondo in quanto pieno, leggero con la sua seducente grazia  che sottrae dalla (talvolta) pesantezza della modernità.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Merlot in selezione massale/clonale da terreni di pianura alluvionale con depositi di marna in superficie ad una altitudine di 95 m s.l.m.  I vigneti allevati a guyot sono esposti ad ovest. La densità per ha è di 4000 viti, l’anno di impianto 1967 – 2000.

Le uve vengono raccolte sulla base dell’analisi sensoriale degli acini nel periodo pre-vendemmiale: si ricerca la massima maturazione delle bucce e dei tannini. Il Collio Merlot Redmont fermenta a temperatura controllata di 26°C. Permane sulle sue bucce per un periodo di 20 giorni durante il quale viene favorita l’estrazione di colore e struttura mediante semplici follature manuali. Successivamente affina in piccoli fusti di rovere di 500 l dove svolge la fermentazione malolattica per un periodo di 14-16 mesi, al termine del quale viene imbottigliato senza filtrazione per preservare al massimo l’integrità. Si affina in bottiglia per almeno 4 mesi.

L’azienda agricola Ferruccio Sgubin nasce nel 1960 a Dolegna del Collio, località Mernico. Produce vini nel Collio come Merlot, Cabernet Franc, Pinot Bianco, Sauvignon, Friulano e Ribolla

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Chianti Classico Docg 2014 Monteraponi con divagazioni storiche

Proviene da Radda, la capitale dell’antica Lega del Chianti il Chianti Classico Docg Monteraponi oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.

Una località storica e una denominazione che di fatto ha più di 300 anni di storia da cui nasce questo vino giovane e leggero, in calzoni corti, ma di ottima fattura!

La Lega del Chianti nacque a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, quando la lotta tra Guelfi e Ghibellini era in pieno vigore.

Era una circoscrizione di città rurali, dette Popoli, concepita inizialmente con compiti prevalentemente di tutela dell’ordine pubblico e di difesa dei diritti dei popolari di fronte ai soprusi dei magnati, ma con il passare degli anni acquisì compiti sempre più amministrativi.

Era costituita da settanta Popoli ed era divisa in tre “Terzieri”, facenti capo alle tre più importandi località: Radda (che ne divenne il capoluogo), Castellina e Gaiole.

Il primo statuto risale al 1384, e la lega rimase tale fino al 1774 quando il Granduca Pietro Leopoldo la sciolse creando i tre comuni attuali.  Lo stemma della Lega del Chianti era un gallo nero su fondo oro, stemma che diventerà il simbolo del Chianti Classico.

Tra i compiti della Lega del Chianti c’era anche la tutela del vino locale, tanto che Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, nel 1716 stabilì che i tre villaggi della Lega del Chianti più Greve in Chianti, erano gli unici territori autorizzati alla produzione, territori che ancora tutt’oggi coincidono con quello della denominazione “Chianti Classico Docg”, da non confondersi con la denominazione “Chianti Docg”, di concezione più recente.

Nel 1930 infatti il governo italiano, per far fronte alle crescenti richieste di vino Chianti, ampliò la zona di produzione a nord di Firenze e a Sud di Siena, oltre che in aree delle provincie di Pisa, Pistoia e Prato.

LA DEGUSTAZIONE
Il Chianti Classico Docg Monteraponi sprigiona giovinezza alla vista. Il rosso è ancora di un bel rubino luminoso e solo sull’unghia mostra l’incedere del tempo virando al granato. Un ottimo inizio!

Al naso inizialmente è chiuso, si percepiscono solo piccoli frutti rossi ancora piuttosto freschi come ribes e lampone e le note sono tutte sussurrate. Ma con il passare del tempo ecco emergere in sottofondo il legno con la sua speziatura dolce, e poi note di sottobosco e di terra, fino a evocare un lontano ricordo balsamico.

In bocca entra teso, giovane, di medio corpo. Non sembra affatto un vino di ormai quattro anni. Il tannino è molto morbido, integrato, levigato. Al retronasale torna la nota terrosa e anche leggermente ematica. Equilibrato, intenso e di buona lunghezza, termina con una nota amarognola e leggermente acidula che ricorda la buccia dell’uva.

LA VINIFICAZIONE
Il Chianti Classico Monteraponi è 95% Sangiovese e 5% Canaiolo da agricoltura biologica. La vinificazione avviene spontaneamente in vasche di cemento vetrificato, senza controllo di temperatura e senza aggiunta di lieviti selezionati.

Dopo una lunga macerazione sulle bucce (25 giorni), fermentazione alcolica e malolattica, invecchia in botti di Slavonia per 16 mesi più un ulteriore mese di decantazione in cemento. Non viene né filtrato né chiarificato.

L’azienda agricola Monteraponi prende il nome dall’antico borgo medievale situato sul poggio omonimo, appartenne al Conte Ugo Marchese e governatore di Toscana sulla fine del X secolo
e distante non più di qualche chilometro dalla capitale della Lega del Chianti, Radda.

Dei 200 ha sui quali si estende l’azienda agricola, solo 20 sono destinati alla coltivazione, 12 a vigneto e 8 a uliveto. Il resto è una distesa di boschi centenari di querce e castagni che isolano e proteggono la proprietà.

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Cantina Valpantena celebra i 60 anni con Brolo dei Giusti

Si chiama Brolo dei Giusti la nuova linea rivolta alla ristorazione di Cantina Valpantena Verona. Un Amarone della Valpolicella DOCG e un Valpolicella Superiore DOC prodotti in tre vigneti condotti direttamente da parte dell’azienda cooperativa.

Si tratta di un appezzamento più grande di 13 ettari, e due più piccoli, di 3 e 2,5 ettari, tutti siti in Valpantena, in cui sono coltivate le varietà tipiche della Valpolicella (Corvina, Corvinone, Rondinella e Molinara) con impianti in parte a pergola ed in parte a guyot.

Il vigneto principale presenta le caratteristiche di un vero e proprio “brolo”, termine della cultura contadina che indica un campo protetto da siepi, alberi di ulivo e marogne, i tradizionali muretti a secco della Valpolicella. Come il Clos francese, anche Brolo dei Giusti è un unico vigneto, racchiuso e prezioso.

“La gestione diretta dei vigneti – spiega Luca Degani, direttore di Cantina Valpantena – ci ha permesso di sperimentare tecniche colturali avanzate come la confusione sessuale e eliminare il diserbo chimico a favore di lavorazioni meccaniche del sottofila. La creazione di una società agricola, controllata al 100% da Cantina Valpantena, è stata una conseguenza naturale”.

LA LINEA BROLO DEI GIUSTI
Brolo dei Giusti, prodotto solo nelle annate migliori, debutta con la 2011 di Amarone e 2013 di Valpolicella, prodotti rispettivamente in 8000 e 12000 pezzi, tutti numerati a mano.

Le bottiglie sono serigrafate, anziché etichettate, per poter rimanere integre nel lungo affinamento che il vino può affrontare. I tappi sottoposti a controllo individuale con il gas cromatografo metteranno al riparo dai difetti legati al sughero.

“Questa linea – spiega Luigi Turco, Presidente – nasce nel sessantesimo anniversario di Cantina Valpantena e rappresenta il punto di arrivo di un percorso di crescita qualitativa che ci ha portati ad essere uno degli attori principali della denominazione, a livello internazionale”.

Il “Giusto” evocato dal nome rappresenta un omaggio alla figura dell’agricoltore che, alla fine di una giornata di lavoro, si siede sulla marogna a contemplare il suo operato, immerso nella geometria delle vigne e nella bellezza della natura fuori e dentro il Brolo.

“Il logo che abbiamo scelto – conclude Turco – simboleggia in modo efficace la filosofia che ci guida nella conduzione di questi vigneti, dove il rispetto per la natura e l’amore per le cose ben fatte sono gli stessi con cui la nostra gente ha sempre svolto il proprio lavoro”.

La presentazione della nuova linea è stata accompagnata da un menu curato da Giancarlo Perbellini, chef di Casa Perbellini di Verona (**) che ha proposto piatti in grado di esaltare la complessità dei due vini.

Distribuito in Italia da Rinaldi, è in vendita anche nei negozi di Cantina Valpantena a Quinto di Valpantena, San Giovanni Lupatoto, Verona-Borgo Milano, Buttapietra, Lazise ed Almè (BG). Il prezzo in cantina è di 47 Euro per l’Amarone e 22 Euro per il Valpolicella Superiore.

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Trentodoc Dosaggio Zero Riserva 2009, Letrari

Il clima di montagna, l’influenza dell’Ora del Garda, l’Adige, le bollicine. In una parola il Trentodoc. Degustiamo oggi il Dosaggio Zero Riserva di Letrari, millesimo 2009 sboccatura 2015.

LA DEGUSTAZIONE
Colore dorato, brillante. Perlage fine, elegante, lento e persistente. il naso è ricco e complesso.

Ben presente il lisato che qui spazia dalla crosta di pane al tostato. Leggera freschezza agrumata.

Frutta bianca matura, come pesca ed albicocca, accompagnata da una nota di mela ammaccata o marmellata di mela. Vaniglia, crema pasticcera e frutta secca a chiudere un quadro evoluto.

In bocca è fine e setoso col perlage che accarezza palato e gola. Pieno e di struttura, ha buona sapidità ed acidità che supporta il sorso e tutta la lunga persistenza. Persistenza che nel retro olfattivo ci riporta la complessità appena trovata al naso.

Al terzo anno dalla sboccatura ecco un Metodo Classico “gourmet”, come si dice, in grado di reggere svariati abbinamenti un cucina. Ma anche un vino “da meditazione”, bello da esplorare in compagnia degli amici.

LA VINIFICAZIONE
Chardonnay, in prevalenza, e Pinot Nero raccolti a mano. Cinque anni sui lieviti per donare complessità ed eleganza. Clima e terroir della Vallagarina, suolo povero e roccioso dalla felice esposizione e dal microclima influenzato dal Garda e dall’Ora, il vento che parte dal lago e si spinge verso nord.

Un’azienda attenta al territorio ed a tradurre i valori della tradizione nel bicchiere, citando il fondatore Leonello Letrari: “Il vino del futuro? Dovrà mettere nel bicchiere tutti i saperi del territorio dove nasce, con i suoi sapori, le sue essenze. Dovrà identificare le peculiarità, esaltare le differenze. Battere l’omologazione”.

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Professione Eno Artigiano: Stefano Milanesi e il suo Oltrepò pavese

SANTA GIULETTA – Eno Artigiano. Stefano Milanesi ama definirsi proprio così. E lo mette anche sull’etichetta dei suoi vini. Di un Oltrepò pavese “alternativo”.

Te ne accorgi da come t’accoglie per la visita programmata per un sabato mattina uggioso di fine febbraio: affettando salame e coppa. Siamo a Santa Giuletta, in provincia di Pavia. Sui primi dislivelli che si incontrano venendo dalla piatta metropoli Milanese.

Una passione, quella per il vino, che Stefano Milanesi ha ereditato dalla sua famiglia di viticoltori da molte generazioni. Certificato Bioagricert già da 10 anni, quando ancora del tanto modaiolo termine “Vini Naturali” e “Biologici” non si sentiva quasi parlare.

Qui la filosofia è chiara: niente diserbo chimico, solo rame e zolfo contro Oidio e Peronospora. Poi, tanta cura sulla pianta. “Perché non è vero che l’intervento dell’uomo deve essere il minor possibile”. Ci sediamo al tavolo per iniziare la degustazione.

Partiamo con il Pinot Nero Metodo classico. Non c’è un limite di permanenza sulle proprie fecce di fermentazione. E’ l’annata che decide. E poi è Stefano a spingersi oltre. La sboccatura non avviene mai prima dei 36 mesi.

In degustazione le vendemmie 2013 e 2010 ma in cantina c’è anche la 2007, sboccata a novembre 2017. I colori ovviamente solo diversi. Si va dal giallo paglierino intenso al dorato. Tutti vini che non subiscono chiarifiche, filtrazioni e acidificazioni.

LA DEGUSTAZIONE
I sentori al naso sono comuni e incredibili. Si va dal biancospino (aroma per Stefano che meglio rappresenta il Vesna Nature) ai sentori di fiori di campo e di frutta a polpa bianca. E poi uva spina, mela. Ma anche agrumi e pasticceria.

A un certo punto, dopo più di 2 ore, a bicchiere ormai vuoto, il naso rimanda note da Sauvignon Blanc, nello stupore generale del tavolo. Perlage di buona persistenza e finezza, complesso e fresco, sapido e minerale . Nel complesso una gran bella bollicina.

Si prosegue con Poltre bianco da uvaggio misto locale: Cortese, Riesling italico, Pinot nero, Trebbiano e Sauvignon. Un bianco da pasto, caratterizzato da una macerazione di 5 giorni che lo rende di un giallo dorato.

Il corredo olfattivo, tutto tranne che banale. Frutta matura a polpa gialla, frutta secca, qualche richiamo al miele millefiori. Freschezza da vendere. Sorso piacevole.

Poltre rosso è invece ottenuto da uve Croatina, Barbera e Uva Rara in percentuali maggiori. Macerazione un po’ più spinta del bianco e vino da complessità aromatica anche qui interessante. Forse qualche nota surmatura ad inizio bicchiere. Ma poi il vino si distende e il corredo aromatico si ingentilisce.

Si passa poi a quella che rimane la miglior espressione di casa Milanesi: il Neroir, Pinot nero in purezza di eleganza e finezza poco comuni. E’ un vino timido, si scopre piano. Pressatura soffice, macerazione di qualche ora, poi il cemento.

Il colore è scarico, da Pinot nero d’Oltralpe. E l’aroma spazia dalla piccola frutta rossa, come la visciola, ai fiori, come la violetta. Sul lungo dà il meglio di sé. Un vino fatto per stupire.

I CRU
Si assaggia anche la Croatina OPpure e la Barbera Elisa. Annata 2009. Monovitigni per questi due cru, che dopo una macerazione di qualche giorno vanno in affinamento in legno, barrique e tonneaux di rovere francese e bulgaro.

L’acidità della Barbera e il tannino della Croatina rappresentano la base di questi due ottimi cru aziendali.

Ma il corredo aromatico e gustativo è complesso, armonico, forse più bilanciato sulla Croatina dove il frutto maturo, le note boisé e la spezia si fondono meravigliosamente.

Qui siamo sui 2 grappoli per pianta: rese bassissime, spinte alla maturazione perfetta. Vini da invecchiamento , con tanto corpo e tanta materia, da permetterne splendide evoluzioni.

La prova la abbiamo quando Stefano mette a tavola una bottiglia nuda , senza etichetta. Una bordolese, quindi capiamo che siamo andati indietro negli anni. E’ un blind taste questo. E Stefano ci invita a provare a scoprire cosa degustiamo.

Il naso non tradisce. E’ lo stesso di qualche bicchiere fa: è Barbera. Acidità e tanto corpo, ma ancora note calde in bocca, a prevalere sul terziario. Azzardiamo un’annata calda: la 2003. Bingo!

Ci alziamo soddisfatti dal tavolo: Stefano Milanesi vuole mostrarci la cantina, dove sono custodite le bottiglie e le barrique. Quello che colpisce di più, però, solo le pupitres in cui il giorno prima Stefano ha posizionato il suo Pinot nero atto a divenire Vesna. Il colpo d’occhio è ipnotizzante. Non ci si staccherebbe mai.

L’Eno Artigiano Stefano Milanesi è un vignaiolo a 360 gradi. La conduzione “familiare” della cantina è l’impronta tangibile del suo Dna. Il rispetto per la pianta e per il suo frutto, la sua impronta personale. Il resto, lo fa il suo istinto. Il suo azzardo. Il suo naso. E il suo palato.

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Il Nebbiolo del vulcano: alla scoperta di Boca con i vini Le Piane

BOCA – E’ il Piemonte meno raccontato e, forse, meno noto. Ma non per questo il Piemonte di “serie B”. A pochi chilometri da Novara, la Denominazione incastonata più a nord e più a est dell’intera regione: Boca. La fotografiamo grazie a una degustazione di quattro vini dell’Azienda Agricola Le Piane.

Boca è un borgo di poco più di mille anime, storicamente vocato alla viticoltura. Un’areale che comprende anche parte dei Comuni di Maggiora, Cavallirio, Prato Sesia e Grignasco. La depressione economica sta portando a una riscoperta della viticoltura nella zona: una delle pochissime forme di agricoltura praticabile tra queste colline di origine vulcanica.

Alle chiusure di grandi superfici commerciali e industriali lungo le vie che collegano i borghi del novarese, tra Omegna e il fiume Sesia, rispondono nuovi vigneti strappati ai boschi. Le Piane, di fatto, è un’azienda che cresce. Assestandosi oggi a 9 ettari vitati (7 a Boca Doc) e 50 mila bottiglie prodotte.

I vigneti allevati col sistema tradizionale del Quadrato alla Maggiorina hanno un’età media di 100 anni. Sono state impiantate quasi un secolo fa anche le vigne a filare. Nuova linfa è stata data tra 1995 e il 1998 e di nuovo nel 2014, con gli impianti più giovani.

Proprio agli inizi degli anni Novanta Christoph Kuenzli e Alexander Trolf acquistarono le proprietà del produttore locale Antonio Cerri. Avviando quella che oggi è una delle più stimate realtà della viticoltura piemontese e italiana: Le Piane.

LA DEGUSTAZIONE
1) Vino Rosso Maggiorina 2016 (12,5%). E’ il vino d’entrée della cantina di Boca. Quello destinato ad essere consumato nell’annata.

Ma soprattutto è uno di quei vini “base” in grado di dare la tara all’intera produzione di una cantina: un ingresso con le scarpe di velluto nell’elegante mondo dei Nebbioli di Le Piane.

Qui la percentuale scende volutamente al 50% del blend. Non a caso. Se l’obiettivo è quello del vino “pronto subito”, occorrono altri uvaggi oltre al Nebbiolo. La Croatina, per esempio, con un bel 30%.

Il 20% restante è costituito da altri 10 uvaggi vinificati assieme, due dei quali a bacca bianca: Vespolina, Uva Rara, Tinturiè, Dolcetto di Boca, Barbera, Slarina, Freisa, Turasa, Erbaluce (Greco Novarese) e Malvasia di Boca.

Il calice si tinge di un rubino trasparente, mentre al naso affiorano le attese note di frutti rossi. La breve macerazione si traduce, in bocca, in freschezza e fragranza.

Ingresso fruttato elegante per un “base”, impreziosito da un allungo scandito da rintocchi salini, su un tannino flebile ma comunque presente.

E’ il muscolo del Nebbiolo, che graffia la terra dell’antico vulcano, tramutatosi in collina. Quattordici euro non sono pochi, ma ogni singolo centesimo è speso alla grande per Maggiorina.

2) Vino Rosso Mimmo 2015 (12,5%). Nebbiolo 70%, completato da un 30% di Croatina prima dell’imbottigliamento. Due anni in legno grande da 25-28 ettolitri e immissione diretta sul mercato, senza ulteriore affinamento in bottiglia.

Rubino con sfumature granate. Frutto rosso più maturo al naso e maggiore complessità generale, rispetto a Maggiorina. La Croatina apporta al Nebbiolo una speziatura che non si tramuta esclusivamente in pepe nero, ma anche (e soprattutto) in liquirizia. Sorso al contempo minerale salino, carico e pieno, instancabile.

3) Boca Doc 2012 (13,5%). Sale ancora la percentuale di Nebbiolo, che col Boca Doc 2012 Le Piane raggiunge l’85%. Completa il blend un 15% di Vespolina.

La selezione delle uve, in questo caso, è ancora più serrata. Se l’annata lo consente (cosa sin ora avvenuta nella maggior parte dei casi) la raccolta dei due uvaggi avviene contemporaneamente.

La macerazione è lunga e può variare da un minimo di 25 a un massimo di 35 giorni, in base alle condizioni della vendemmia. L’affinamento è di 4 anni in botte grande, più 6 mesi (minimo) in bottiglia.

Il naso del Boca Doc 2012 Le Piane si rivela complesso e di elaborata finezza. L’aggiunta di Vespolina contribuisce a colore e speziatura.

Un calice che rivela, oltre ai classici frutti rossi del Nebbiolo, anche chiari sentori di arancia rossa, sino a richiami balsamici, freschi. In bocca il tannino spinge, ma è ben integrato. Un vino pronto, con ampi margini di ulteriore evoluzione in bottiglia.

4) Boca Doc 2009 (13,5%). La tecnica di vinificazione è identica alla 2012, per un’annata in bottiglia da settembre 2013. Naso fine e ammaliante, dominato da note di frutti rossi maturi, con una punta di mora.

Non manca il solito apporto speziato: liquirizia, ma anche zenzero e tabacco dolce. In bocca frutta croccante, tannino perfettamente integrato ma ancora più che mai vivo.

Lungo il retro olfattivo, che rivela una sorprendente pennellata morbida di vaniglia bourbon. Un motivo in più di richiamo per un sorso fruttato e balsamico, connotato dalla solita vena salina. Gran vino.

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