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degustati da noi vini#02

Tenuta Rottensteiner: restyling delle etichette all’insegna dello stambecco


MILANO –
Ha scelto lo stambecco, Tenuta Rottensteiner, come simbolo del restyling grafico delle proprie etichette della Linea Classica. Un animale dalla postura decisa che, elevato sulle gambe posteriori, denota la rinnovata “voglia di fare” della cantina altoatesina.

Una realtà che, con le sue 450 mila bottiglie attuali (500 mila in prospettiva), spalmate su 24 tipologie di vino da 12 varietà di uva, intende confermarsi sui mercati internazionali come player d’avanguardia. Pur rimanendo profondamente legata alla propria tradizione pluricentenaria.

Uno sguardo deciso all’export dal quartier generale di Bolzano, insomma. Con gli occhi di un “muscolare” stambecco. Tutto tranne che una metamorfosi kafkiana, come confermato da Judith e Hannes Rottensteiner lunedì 4 marzo, in occasione del press-lunch al ristorante Al Maggese di via Serviliano Lattuada 17, a Milano.

Non è stato semplice trovare qualcosa che riuscisse a rappresentare il nostro desiderio di rinnovare l’immagine della nostra Linea Classica – evidenzia la coppia, terza generazione della cantina altoatesina -. Lo stambecco è un animale di carattere, che ricorda a tutti da dove veniamo: l’Alto Adige. La sua n posizione eretta denota coraggio: quello che intendiamo mettere noi, per dare nuovo slancio alla Tenuta, guardando ai mercati internazionali”.

Non finisce qui. Oltre allo stambecco cambia anche la forma della bottiglia, realizzata appositamente per Rottensteiner da una vetreria specializzata, con un accordo di esclusiva per 10 anni.

“Si tratta di un mix tra la renana e la borgognotta – spiegano ancora Judith e Hannes – con lo stambecco inciso sul vetro, in posizione frontale, proprio sopra alle nuove etichette”. Cambia la forma, dunque, ma non la sostanza.

Tenuta Rottensteiner continuerà di fatto a contare sui 10 ettari di vigneti di proprietà nei Comuni di Bolzano, Bronzolo, Caldaro e Appiano sulla Strada del Vino, oltre ai 70 ettari dei conferitori storici della cantina.

Si tratta di circa 50 famiglie dislocate nei territori più vocati alla viticoltura dell’Alto Adige, sulla striscia che collega Bolzano a Bressanone, nel cuore della Valle Isarco.

Oltre alle 14 etichette della Linea Classica, Rottensteiner produce 4 vini “Cru” e 4 vini da lungo affinamento (Linea Select), oltre a un passito e all’ultimo arrivato, la Cuvèe “Kitz”. Ecco come si presentano le ultime annate in commercio

LA DEGUSTAZIONE

Vigneti delle Dolomiti Igt Bianco 2018 “Kitz”: 86/100
Un blend pensato per un consumo agile e scattante, come quello dell’aperitivo. Apprezzato anche dal mercato italiano, pur essendo stato concepito per quello tedesco. La vendemmia 2018 presenta una prevalenza di Sauvignon, completata da Pinot Bianco, Pinot Grigio e Chardonnay. Un vino semplice, ma non banale: beverino e spensierato.

Alto Adige Pinot Bianco Doc 2018: 88/100
Ottenuto dall’assemblaggio delle uve di due diversi vigneti, capaci di conferire struttura e sapidità da un lato e polpa dall’altro. Le due “fasi” sono evidenti e si manifestano già al naso. Ma il nettare promette un equilibrio efficace, ai fini della complessiva piacevolezza.

Alto Adige Doc Pinot Grigio Doc 2018: 87/100
Naso giocato sul frutto e sulla frutta matura a polpa bianca, con piacevole accenno minerale. Ingresso di bocca piuttosto dritto, per poi assistere all’esaltarsi della vena fruttata, di buona precisione.

Alto Adige Doc Chardonnay 2018: 89/100
Un vino giustamente morbido, che fa della buona complessità la sua arma vincente, rispetto agli altri assaggi della Linea Classica di Tenuta Rottensteiner. Bello, in particolare, il finale che si accende su una freschezza tesa al balsamico, con accenno di spezia bianca.

Alto Adige Doc Sauvignon 2018: 88/100
Si tratta del blend delle uve di due diversi appezzamenti. Un Sauvignon tipico, ma non giocato solamente sulle erbacee. A dire la verità, naso e sorso sono piacevolmente giocati su note di sambuco e venature speziate-balsamiche.

Alto Adige Gewürztraminer Doc 2018: 85/100
E’ il vino della batteria che risente di più della necessità di equilibrio che potrà dargli solo il vetro (ovvero la bottiglia). Frutto maturo dosato e nota mentolata al naso accanto al classico litchi, così come scorza d’arancio e alloro netto.

Buona la corrispondenza gusto-olfattiva, con il nettare che esprime una nota speziata in chiusura, prima di un centro bocca che ne rivela lo spirito giovanile. Ecco, a proposito: non abbiate paura di far “invecchiare” il Gewürztraminer, quando lo acquistate. Il vino ne gioverà in termini di complessità.

Alto Adige Santa Maddalena Classico Doc 2018 Vigna Premstallerhof: 89/100
Una Schiava già in forma, nonostante si trovi in bottiglia da poco tempo. A tratti vinosi caratteristici si affiancano note fruttate precise, di ribes e lampone.

Già al naso il vino rivela il suo carattere speziato, che si ritrova in un palato bandistico, in crescendo. Ingresso tendente al fruttato morbido, per chiudere (addirittura) su note speziate e fumè leggere.

Alto Adige Lagrein Gries Riserva Doc 2016 Select: 91/100
Unico vino secco nella batteria di Tenuta Rottensteiner di una vendemmia precedente alla 2018. Non a caso si tratta di una Riserva.

Particolare attenzione a uno dei tre vigneti assemblati, dove viene effettuata una selezione severissima delle uve.

Ne risulta un vino di gran struttura, corpo e gastronomicità, con il plus di una beva straordinaria, garantita da una freschezza viva.

I sentori dominanti sono quelli del frutto di bosco, impreziositi da una vena minerale e da richiami naso-bocca di brace.

Bella anche la nuova veste grafica dell’etichetta: un nero elegante con scritte (e stambecco) oro. Ottimo anche il rapporto qualità prezzo per chi acquista direttamente in cantina: 17,50 euro.

Alto Adige Gewürztraminer Doc passito 2016 “Cresta”: 92/100
Si tratta dell’unica etichetta che non ha subito variazioni nel maquillage grafico voluto da Judith e Hannes Rottensteiner. Un vino che ha fatto la storia della Tenuta altoatesina, prodotto dal 1999. Fresca acidità e frutto maturo in grande equilibrio, per un passito che non stanca e chiama il sorso successivo.

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degustati da noi news vini#02

Montecucco: la bomboniera della Toscana. Dieci vini per conoscerla (e amarla)


MILANO –
Carta e penna. Si scrive la lista della spesa del vino della “nuova” Toscana. Una bomboniera, ancora tutta da scoprire. Chi è a caccia del rapporto “qualità prezzo” nella regione non può più fare a meno dello “scaffale” della Doc Montecucco.

Lo ha confermato la trasferta milanese di 15 produttori, in degustazione lunedì 25 al Westin Palace Hotel. Un evento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Montecucco, in collaborazione con l’Associazione italiana sommelier meneghina.

Sono sette i Comuni della Doc, che si concentra principalmente sul Sangiovese Grosso (non a caso Docg dal 2011) e su vitigni internazionali come Cabernet e Syrah. La parte del leone della bacca bianca spetta al Vermentino, che in verità non convince come quello della Costa Tosacana.

La vocazione naturale del Montecucco è per i rossi, come conferma la possibilità di produrre anche Brunello e Morellino di Scansano, almeno su una parte dell’areale della Doc. Un territorio che produce vini di qualità, perfetti per la ristorazione e per il consumatore a caccia di etichette degne della grande tradizione vitivinicola Toscana, senza per questo svenarsi.

Quanto durerà? Per molto tempo ancora, si spera. Il “sistema Montecucco“, tra l’altro, è riuscito a trovare il proprio equilibrio e la propria dimensione a scaffale senza snaturarsi, o sfruttare intensivamente il territorio.

Come ha evidenziato il caporedattore centrale del Corriere della Sera, Luciano Ferraro, conduttore di una masterclass sui vini di Montecucco, “la Denominazione ha da sempre una grande sensibilità ambientale, come dimostra il 70% della produzione certificata biologica”.

“Avventurandosi nei territori del Montecucco non è difficile imbattersi in scorci di natura incontaminata – ha aggiunto Ferraro – in cui la coltura della vite si inserisce in maniera armonica col resto delle attività agricole e di allevamento”.

I MIGLIORI ASSAGGI DI MONTECUCCO DOCG E DOC
Una Denominazione sana, dunque. Lo ha dimostrato ampiamente il banco di degustazione al Westin Palace di Milano. Molte aziende, tra l’altro, si trovano al cambio generazionale. La propensione all’estero, anche grazie alle nuove “leve” sta facendo conoscere Montecucco fuori dai confini toscani.

Ad oggi, il 60% della produzione finisce all’estero, con Usa e Germania sul podio. Le 67 aziende produttrici del Consorzio raggruppano poco più di 500 ettari di vigneto su una superficie vitata di circa 800 ettari:  poco più 1,2 milioni di bottiglie su una produzione complessiva di 1,8 milioni l’anno.

Montecucco Sangiovese Docg Riserva 2015, Otto Ettari: 91/100
L’azienda più interessante della Denominazione, se non altro in termini di prospettiva. Prima vendemmia nel 2015 e già una Riserva di Sangiovese commovente: 5 mila bottiglie in totale su una produzione di 40 mila.

Si tratta di un “cru”, dotato di un gran bel corpo, struttura, sapidità. Pregevole e lunga la chiusura, su tinte speziate. Il tutto dopo un naso che anticipa la gran precisione del sorso, su note fruttate e richiami di liquirizia.

A firmare questa etichetta è un giovane enologo di cui conviene appuntarsi il nome: Jacopo Vagaggini. Formatosi alla Faculté d’Oenologie de Bordeaux, si sentirà parlare molto di lui in futuro. Scommettiamo?

Montecucco Sangiovese Docg 2015, Le Maciarine: 90/100
Gran freschezza e mineralità: questo il filo conduttore dei vini de Le Maciarine. Dopo l’ottima prova del Montecucco Doc 2013, lascia ancora più il segno il Sangiovese 2015 con i suoi tannini vivi, ammansiti da un anno in tonneaux di rovere francese.

Montecucco Sangiovese Docg Riserva 2015, Campi Nuovi: 90/100
Il vino che riesce più di qualsiasi altro in degustazione a Milano a far comprendere le potenzialità internazionali della piccola Doc toscana, senza perdere per questo tipicità. Un vino bandiera del Montecucco. Ottima anche la vendemmia 2013 di questa Riserva, di cui restano appena 700 bottiglie.

Montecucco Sangiovese Riserva Docg 2011 “Viandante”, Tenuta L’Impostino: 89/100
Gran frutto e bevibilità per questa Riserva che mostra le ottime capacità di affinamento “in vetro” del Sangiovese di Montecucco. Un sorso connotato ancora da una gran freschezza, che costituisce la spina dorsale del “Viandante”.

Montecucco Rosso Doc 2015 “Albatreto”, Pierini e Brugi: 89/100
Una vera e propria “chicca” questo Sangiovese impreziosito da un sapientissimo tocco di Syrah. E’ il vino più interessante portato Milano da un piccolo produttore: 4 ettari, 10 mila bottiglie complessive, produzione bio certificata.

Frutto, spezia, richiami alla macchia mediterranea corrispondenti tra naso e palato, che chiude su un tannino vivo, di prospettiva. Splendido, sempre di questa cantina, anche il Montecucco Doc Riserva 2013 “Sugherettaio”.

Montecucco Sangiovese Docg 2016, Montenero: 88/100
Vinificazione in cemento, affinamento in rovere francese e 9 mesi di bottiglia per questo cru da vigne di 40 anni, che affondano le radici a 400 metri sul livello del mare. Si tratta di un clone particolare di Sangiovese, con grappoli più piccoli rispetto a quelli classici.

Messo da poco sul mercato, già racconta una bella storia fatta di frutti di bosco, al naso. Al palato, oltre al frutto, si evidenziano richiami erbacei di macchia mediterranea, una mineralità salina e un tannino di prospettiva. Legno che deve ancora integrarsi al meglio. Vino (e cantina) da tenere in grande considerazione per il futuro.

Montecucco Sangiovese Docg Riserva 2012 “SottoCasa”, Poderi Firenze: 88/100
Sua maestà la bevibilità, espressa al meglio in questo calice di Poderi Firenze, che della freschezza del sorso fa il proprio credo. Terreni alcalini e scelta della botte di rovere di Slavonia da 40 ettolitri sono i segreti di Matteo Meloncelli, per domare i tannini del Sangiovese senza banalizzare il calice.

Montecucco Doc Vermentino 2016 “Irisse”, ColleMassari: 87/100
Quando stai per gettare la spugna sui bianchi di Montecucco, ecco la luce. Un Vermentino impreziosito da un 15% di Grechetto, vendemmia 2016. Bel frutto, salinità e utilizzo sapiente del legno per un vino di grande gastronomicità.

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Terre di Chieti Igp Malvasia 2017 “Clorofillae”, Zeropuro Orsogna Winery

(4 / 5) La sostanza oltre alla forma. Già, perché dietro a quel grembiulino da scolaretta “green”, dalle vaghe tinte radical chic, si nasconde un vino di carattere: la Malvasia 2017 “Clorofillae” di Orsogna Winery.

Un nettare dall’anima “ambientalista”, garantita dal brand “Zeropuro“: l’abitino-etichetta è facilmente separabile dalla bottiglia, per favorirne il riciclo attraverso la raccolta differenziata. La forma innovativa rispetta le normative di legge.

Pochi punti di colla, al posto della copiosa “inzuppata” dei vini convenzionali, la tengono ancorata al vetro. Molto più, insomma, dell’ormai sdoganato marketing sui vini da agricoltura biodinamica e “senza solfiti“.

“La sostenibilità come principio ispiratore e metodo pratico di lavoro”, per dirla con le parole della cantina abruzzese, certificata Demeter. Solo solfiti naturali, niente lieviti selezionati, fermentazione spontanea. Ma soprattutto un vino buono.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, la Malvasia Igt Terra di Chieti “Clorofillae” Zeropuro si presenta di un giallo paglierino con riflessi dorati, con velature leggere che ne rivelano il mancato filtraggio. Il naso è intrigante. I marcatori aromatici del vitigno risultano evidenti.

Ma alla frutta a polpa gialla, tendente al maturo, si affiancano preziose note che rimandano agli agrumi. Non mancano leggeri sbuffi speziati, che ricordano lo zenzero. Il sorso è corrispondente. Dopo un ingresso aromatico, il  centro bocca verte su una nota vagamente amara, prima dei ritorni di frutta matura e liquirizia.

Il tutto in quadro di buona freschezza e salinità leggera, che controbilancia in maniera ottimale la polpa. Una Malvasia, “Clorofillae”, che con queste caratteristiche guadagna in complessità e, al contempo, in termini di bevibilità.

Un vino perfetto a tutto pasto, che accompagna bene piatti a base di verdure come torte salate o tortini, oltre a zuppe, pesce e carni bianche. Da provare anche con formaggi di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
Come tutti i vini di Orsogna Winery, anche l’Igt Terre di Chieti Malvasia “Clorofillae” rispetta alcuni principi fondamentali, garantiti dalla certificazione Demeter Italia.

L’anidride solforosa è usata al minimo dosaggio possibile. Vengono poi evitati coadiuvanti e additivi che incidono sull’ambiente e sulla salute, sia per il loro impiego sia per il loro smaltimento.

Inoltre, tutti i sottoprodotti che derivano dalla lavorazione delle uve, siano essi residui organici o acque reflue, sono gestiti in modo che gli effetti negativi sull’ambiente vengano minimizzati.

Da qui l’attenzione alle etichette, prodotte con una miscela di polvere di pietra (carbonato di calcio) e resine atossiche (polietilene ad alta densità) che agiscono come legante.

Nessun albero viene tagliato durante il processo di produzione della carta pietra perché si utilizza esclusivamente materiale inerte proveniente da scarti di lavorazione come base della sua composizione.

La carta pietra è fotodegradabile in un periodo di 14-18 mesi. È inoltre 100% riciclabile e recuperabile per produrre altra carta pietra, materiali plastici, materiali per l’industria edile e metallurgica e per l’agricoltura.

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La Regola: radici in Toscana, futuro all’estero. Degustazione con punteggi

MILANO – Meno di 10 chilometri dal mare azzurro di Cecina, poco più di 20 dal mare rosso di Bolgheri. Se La Regola è una, meglio si trovi tra due cose belle. Ma con la propria identità. A presentare la cantina-gioiello di Riparbella (PI) ci ha pensato ieri uno dei suoi due fratelli titolari, Flavio Nuti.

Appuntamento al Tartufotto by Savini Tartufi, in zona Cairoli a Milano, per un pranzo-degustazione dall’accento tutto toscano: vino e piatti “conditi” da generose spolverate della varietà “bianchetto”, tartufo noto anche col nome di “marzuolo”, che predilige litorali sabbiosi (costa un decimo del “Bianco” ma è davvero ottimo).

I VINI DE LA REGOLA
A sorpresa, ma nella migliore delle tradizioni, si comincia con una “bollicina”. Il Brut Nature Metodo Classico Millesimato de La Regola. Base Gros Manseng, con un 10% di Chardonnay a completare un naso e un sorso di gran carattere. Acidità viva, citrina, quasi dura, solleticata da un perlage fine, cremoso.

“Molto più di una scelta commerciale – spiega Nuti -. Da un lato, con questo Champenoise, veniamo incontro alla crescente richiesta di bollicine sullo splendido litorale nel quale operiamo. Dall’altro offriamo agli intenditori un’etichetta di qualità, capace di distinguersi a partire dall’utilizzo di una varietà rarissima in Italia, come il Manseng”.

Trentasei mesi sui lieviti sono un periodo utile a rendere tutt’altro che banale l’esperimento. Ottomila bottiglie in versione Brut, per ora. Un numero destinato certamente a crescere, visto il trend del mercato e il grande “senso” di queste unconventional bubbles.

Segue l’assaggio del bianco top di gamma di casa La Regola. Anche in questo caso la scelta dei fratelli Nuti non è banale. “Lauro” è un blend di Viognier e Chardonnay, Costa Toscana Igt. Un vino che parla di mare e di serate con gli amici, in maglietta. Ma anche di abbinamenti che in altri casi risulterebbero azzardati.

Un bianco di struttura, capace di liberare con garbo il calore intrappolato dai grappoli di Viognier, avidi di sole e di brezza marina. Bello, in bocca, l’equilibrio tra la frutta matura e la delicata vena speziata, unita a un legno dosato, che si esprime su precisi rintocchi di vaniglia. Un vino “di” e “da” mare.

I VINI ROSSI
E’ poi la volta del Rosso Toscana Igt 2015 “Vallino”. Cabernet Sauvignon (85%) e Sangiovese (15%) affinati in barrique di secondo e terzo passaggio, messo in commercio dopo almeno 12 mesi di bottiglia. Un rosso che risponde bene a “Lauro”, per la sua capacità di coniugare bevibilità e freschezza.

Il naso colpisce per le sue pacate e tipiche tinte erbacee, corroborate da richiami leggeri alla frutta secca. Il frutto rosso è estremamente preciso al palato. Il legno, ancora una volta, è stato utilizzato con grande maestria da La Regola. Si rivela sotto forma di piacevoli sbuffi di caffè e caramella mou. Chiude il sorso una bella vena salina.

Ma è “La Regola” il vino paradigma della cantina di Riparbella. Nel calice la vendemmia 2015 di questo Rosso di Toscana Igt, prodotto con uve Cabernet Franc in purezza. Vino paradigma non solo per il nome, ma soprattutto per la sua capacità di raccontare l’attitudine della cantina per la qualità.

E’ il vino che più colpisce de La Regola, per la sua capacità di essere tanto tipico, “toscanaccio”, quanto internazionale. Un Cabernet Franc dal verde garbato e dal tannino integrato ma di prospettiva.

Grandissima bevibilità nonostante i 14,5% d’alcol in volume, grazie a una freschezza assoluta. Frutto e liquirizia a giocarsi il centro bocca, prima di una chiusura elegante, lunghissima. Utilizzato ancora una volta molto bene il legno: i 18 mesi in barrique nuove di rovere francese esaltano il resto del corredo. Chapeau.

In una zona di “Super Tuscan”, non poteva mancare il Merlot. E allora ecco “Strido”, altro Rosso di Toscana Igt. In degustazione al Tartufotto la vendemmia 2013 del vino di punta de La Regola, ottenuto in seguito a selezione manuale degli acini. Diciotto mesi in barrique nuove e almeno 12 in bottiglia.

Un Merlot tattile, di gran carattere, ancora una volta rispondente allo stile de La Regola: struttura e freschezza. Splendida e quasi infinita la chiusura, su note balsamiche e di macchia mediterranea, già avvertita al naso.

La degustazione termina con “Sondrete”, il Passito Bianco di Toscana Igt ottenuto da Trebbiano, Malvasia e Colombana. La vinificazione prevede la permanenza per 10 anni in caratelli da 100 litri, più altri 12 mesi in vetro prima della commercializzazione. Il vino su cui La Regola può ancora migliorare molto.

Vino spumante Brut Nature Metodo Classico Millesimato: 89/100   (4,5 / 5)
Bianco Costa Toscana Igt “Lauro”
: 87/100   (4 / 5)
Rosso Toscana Igt 2015 “Vallino”: 91/100  (5 / 5)
Rosso Toscana Igt  “La Regola”: 92/100   (5 / 5)
Rosso Toscana Igt “Strido”: 90/100   (5 / 5)
Passito Bianco di Toscana Igt “Sondrete”: 85/100   (4 / 5)

IL FUTURO DE LA REGOLA
Non a caso Milano per Flavio Nuti. “Più dell’80% della nostra produzione – spiega – si concentra oggi tra le province di Pisa e Lucca. Crediamo sia giusto favorire i consumi di vino nei luoghi in cui viene prodotto e continueremo a puntare sulla ristorazione locale. Ma il futuro dell’azienda vuole passare anche attraverso un consolidamento all’estero“. Anche su questo fronte i fratelli Nuti hanno le carte in Regola.

Venti ettari, che entro due anni diventeranno 25, in produzione. Centomila bottiglie complessive, ad oggi, ma un potenziale di gran lunga maggiore vista l’attuale media di 50-60 quintali per ettaro di resa. E, sempre per l’estero, anche una storia da raccontare.

“La nostra cantina – spiega Flavio Nuti – oltre ad essere stata realizzata secondo i più moderni canoni ecosostenibili, è ispirata alla tradizione etrusca di cui è pregna la nostra zona. La barricaia è stata affrescata dall’artista Stefano Tonelli con l’Opera Sognum, che ripercorre la storia degli Etruschi e la loro venerazione per il vino, tanto da farsi seppellire con le anfore per rendere il viaggio per l’aldilà più leggero e all’insegna dell’ebbrezza”.

Storia e concretezza nel calice, dunque, per una cantina che merita un posto tutto suo nel panorama enologico della Toscana e dell’Italia della qualità. Purché si continui a seguire negli anni La (stessa) Regola.

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***DISCLAIMER*** L’articolo è frutto di un pranzo-degustazione organizzato per la stampa dalla cantina e dal relativo ufficio stampa. I commenti espressi sono comunque frutto della completa autonomia di giudizio della nostra testata, nel rispetto assoluto dei nostri lettori

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Torcolato, il vino dolce non dolce di Breganze. Buono anche da “vecchio”


BREGANZE –
Era il vino della Domenica. Quello da regalare. Da stappare nei giorni di festa o di speciali ricorrenze. Il Torcolato di Breganze, noto come il vino “dolce non dolce” per il suo equilibrio e l’ottimale freschezza, supera piuttosto bene la prova del tempo in occasione di un’emozionante retrospettiva, organizzata nell’ambito della Prima del Torcolato 2019.

La degustazione, organizzata nel salone-enoteca della cantina Io, Mazzucato, ha visto protagoniste 10 etichette di 7 produttori, dal 1972 al 2007: Contrà Soarda, Vitacchio, Ca’ Biasi, Beato Bartolomeo, Firmino Miotti, Maculan e Caterina Maltauro. Ecco come è andata.

Sarson Contrà Torcolato 2007, Contrà Soarda: 90/100

Giallo dorato intenso. Così come molto intenso è il naso. Note di frutta secca in evidenza: arachidi, nocciole. Ma anche zenzero e miele. Completa il corredo una nota “verde” fresca e giovanile, che anticipa un palato ancora freschissimo. Speziatura evidente, tanto da attenuare la percezione “dolce”. Un Torcolato giocato appunto sulla freschezza, nello stile della cantina. Con tanta vita ancora davanti.

Torcolato 2006, Vitacchio Cav. Guerrino: s.v.

Ambrato alla vista. Naso mieloso, fresco, dosato, non esplosivo. Uvetta passa, albicocca, zenzero candito. Leggerissimo idrocarburo. Palato piuttosto duro, scomposto. Spunto acetico.

Torcolato 2005, Ca’ Biasi: 92/100

Colore tendente all’ambrato. Richiami di idrocarburo netti al naso, già avvertiti in vendemmie più recenti del medesimo produttore, anche se in maniera meno decisa. Olfatto complesso, grazie all’apporto di altri sentori: zafferano, macchia mediterranea, vaniglia, liquirizia. Ingresso di bocca fresco e allungo balsamico. Pregevole equilibrio tra acidità e percezione dolce.

Torcolato 2003, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 87/100

Un Torcolato dosato, non esplosivo, che non dà l’idea di una grande concentrazione. Annata calda, di fatto, con poca escursione termica tra il giorno e la notte. Vino facile da bere, con bella chiusura leggermente speziata. Sufficiente anche la persistenza.

Torcolato 2001, Vitacchio Cav. Guerrino: 90/100

Colore ambrato. Naso dominato da una bella speziatura, ma anche da eleganti note floreali, oltre che di cera d’api e di talco. In bocca a esaltarsi è una freschezza più che mai viva, unita a una percezione “dolce”, mielosa, attenuata appunto dall’acidità e da ricordi di caldarrosta. Buona la persistenza.

Torcolato 1995, Firmino Miotti: 92/100

Si cambia secolo, ma le emozioni continuano. Dalla veste color ambra si liberano richiami di nocciola e arachidi. Al palato dattero, agrumi maturi, zenzero candito. Freschezza presente, ma non esplosiva. Lunghezza più mai dignitosa e tutta giocata sulla sapidità, che al momento sovrasta anche le note ossidative. Un Torcolato più che mai godibile e tipico.

Torcolato 1992, Maculan: 84/100

Ha perso quasi tutta la caratteristica “dolcezza” questo Torcolato, che pare “concentrato” strenuamente nel mantenimento della freschezza. Che in effetti si ritrova ancora, al palato. Ma l’allungo manca e la beva è semplice e senza guizzi.

Torcolato 1990, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 90/100

La sorpresa più grande della degustazione: l’ottimo stato di “forma” del Torcolato 1990 della cantina sociale di Breganze. Color ambra, naso in prevalenza sulla frutta secca e sulla nocciola. In bocca una piacevolissima nota ossidativa, unita a richiami corrispondenti al naso, quasi cremosi. Assaggio davvero piacevole.

Torcolato 1983, Maculan: 88/100

Ambra. Al naso nota torbata, quasi da whisky. Annata calda che regala una percezione leggera di tannino, per via (forse) di una raccolta leggermente anticipata delle uve, per evitare di perdere l’equilibrio tra freschezza e dolcezza. Bella consistenza tattile del nettare al palato. Lunghezza appena sufficiente.

Torcolato 1972, Caterina Maltauro: 80/100

Nota dolce quasi esasperata e gran concentrazione, unita a sentori nuovamente assimilabili alla torba.

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Five Roses Leone De Castris: 75 anni e non sentirli

SALICE SALENTINO – Venerdì 1 febbraio la famiglia Leone de Castris ha festeggiato il 75° anniversario di Five Roses. Un vino senza tempo, che ha elevato il Salento a ‘terra di rosato’ e che ha aperto la strada alla nobilitazione della Puglia enologica. Il primo rosé ad essere stato imbottigliato in Italia.

La serata di festeggiamenti si è aperta con la presentazione del nuovo enologo di famiglia, Matteo Esposito. Al consulente di sempre, Riccardo Cotarella, la conduzione della degustazione di cinque vini di casa Leone De Castris. Oltre alla nuova annata 2018 del Five Roses 75° Anniversario, è stata degustata una rarissima verticale del Metodo Classico rosato da uve Negroamaro.

Gli ospiti hanno potuto assaggiare la verticale di Five Roses Metodo classico 2015 e di Five Roses Anniversario Metodo Classico 2013 e 2010 che ha esaltato la diversa e interessante permanenza sui lieviti per 30, 48 e a seguire 72 mesi (quest’ultimo in formato magnum).

Festa per il palato anche grazie al raffinato buffet del Ristorante Milo del Wine Hotel Villa Donna Lisa di ‘casa’ Leone de Castris, messo a punto per l’occasione dal talentuoso chef Antonio Serravezza. Il tutto allietato dalla voce di Carla Petrachi, che si è esibita in un duo di eccezionale bravura.

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Barbaresco Docg 2013, Quazzolo Danilo

(4,5 / 5) Timido, si apre piano. Ma appena entra in confidenza col calice, si scatena. Il Barbaresco Docg di Danilo Quazzolo assomiglia un po’ al suo produttore.

Il vignaiolo più rock d’Italia mette in bottiglia un Nebbiolo musicale, che diverte chi lo sa aspettare. Un Barbaresco che si apre all’improvviso. E puff: magia. Assolo di chitarra.

LA DEGUSTAZIONE
Tipico, in tutto. Inconfondibile sin dal colore. Rosso tendente al granato, di media trasparenza. Evidenzia al naso un sottobosco marcato: mirtillo, mora. La percezione alcolica iniziale svanisce presto. Un paio di giri nel calice e quella coltre da 14% vol. lascia spazio al resto del corredo.

Il Barbaresco 2013 di Quazzolo è scandito da note balsamiche e di resina. Fresche, di mentuccia e rosmarino. Richiami floreali di rosa accompagnano percezioni di arancia sanguinella, bella da rinvenire in mezzo ai sentori di bosco e di radice di liquirizia.

In bocca la regolarità austera ed elegante del Nebbiolo, con i suoi tannini in evoluzione, graffianti come la voce di Cobain, eppure già così godibili. Un vino perfetto per accompagnare piatti a base di carne e selvaggina.

LA VINIFICAZIONE
E’ il “Barbaresco tradizionale” di casa Quazzolo, quello sotto la lente di ingrandimento di WineMag. L’etichetta che è sempre stata prodotta dall’azienda, precisamente dal nonno e dallo zio di Danilo, in strada Ovello 20, nell’omonimo comune della provincia di Cuneo.

Si tratta dell’assemblaggio delle uve di tutti i vigneti di proprietà: 3 ettari complessivi. La prima fermentazione avviene in cemento, per una durata compresa tra i 12 e i 15 giorni. I rimontaggi sono piuttosto frequenti, due o tre volte al giorno. Ripetute follature garantiscono un’ottimale estrazione.

Appena terminata la fermentazione malolattica, il vino viene messo in botti grandi di rovere francese da 20-25 ettolitri. Resta ad affinare per un minimo di 30 mesi, poi viene imbottigliato. L’ulteriore affinamento in vetro, della durata di 6 mesi, precede l’immissione in commercio.

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Alto Adige Doc Lagrein Riserva 2016 Lareith, Cantina di Caldaro

(4 / 5) Immediato e piacevole. Un rosso senza fronzoli e con uso del legno non dominante. Il Lareith, Alto Adige Doc Lagrein Riserva di Cantina di Caldaro (Kellerei Kaltern), annata 2016, si conferma un vino interessante e godibile.

LA DEGUSTAZIONE
Colore rubino intenso e luminoso con riflessi violacei sull’unghia. Il naso apre immediatamente su frutti rossi e neri per poi spingersi su note erbacee di erbe aromatiche. Ben presenti ma non invasivi i terziari che rimandano al cacao ed leggero sentore di tabacco dolce.

Di buon corpo in bocca. Avvolge bene il palato rimanendo al contempo estremamente bevibile. Tannini vellutati che invogliano al sorso e non marcano la loro presenza durante la piacevole persistenza.

Un rosso generoso e di immediata comprensione ottimo compagno a tavola. Se risulta quasi scontato l’abbinamento con carni rosse o bianche arrostite è coi formaggi, stagionati e saporiti, che può trovare un accoppiamento vincente.

LA VINIFICAZIONE
Fermentazione alcolica e malolattica temperatura controllata cui segue affinamento in barrique (1/3 di primo passaggio) di un anno. Figlio di un’annata non fra le più semplici, in cui l’andamento climatico non sempre è stato favorevole, questo Lagrein risulta estremamente godibile.

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Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”, Alessio Brandolini

(4 / 5) Tra le realtà emergenti dell’Oltrepò pavese c’è l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano al Colle (PV). Un giovane che ha preso in mano l’azienda di famiglia, sollevandone le sorti soprattutto dal punto di vista qualitativo.

Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, il suo Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”. Un bel calice elegante, segno che la strada intrapresa è quella corretta, in attesa di un Metodo Classico base Noir che faccia davvero sognare. E’ senza subbio questo il grande obiettivo di Alessio Brandolini. Ed è solo questione di tempo: siamo pronti a scommetterci.

LA DEGUSTAZIONE
Etichetta firmata dall’artista Pasciutti per il Pinot Nero “Al Negrès”. Alla vista un bel rosso tendente al granato, mediamente carico. Naso profondo e allo stesso tempo etereo: frutti di bosco, more, bei richiami d’incenso e di viola secca. Vino da aspettare nel calice, per goderne l’evoluzione.

In bocca ingresso su frutti di bosco e mora, con nota terrosa, gessosa e minerale che sottolinea bene l’appartenenza al terroir oltrepadano. La frutta, precisa e decisa in centro bocca, lascia spazio a una chiusura salina, corroborata da un accenno di tannino che conferisce al sorso una certa austerità, dopo la giocosità fruttata iniziale.

Un rosso nel complesso equilibrato, giunto a un buono stato di maturazione, ma con ampi margini di ulteriore affinamento. Perfetto per accompagnare primi con ragù e secondi a base di carne, anche di buona complessità.

LA VINIFICAZIONE
Il Pinot Nero “Al Negrès” viene prodotto sono nella annate favorevoli. Una volta pigiate, le uve vengono fatte fermentare a contatto con le bucce per circa quindici giorni. La maturazione avviene in tonneaux di rovere francese.

Dodici mesi in legno, anche per stabilizzare in maniera naturale il vino, senza l’utilizzo di chiarificanti. Prima della commercializzazione, il nettare riposa in bottiglia per un minimo di 10 mesi.

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Non di solo Torcolato vive Breganze. Punteggi al Vespaiolo spumante e fermo


BREGANZE –
Se scimmiotti non vale. La Breganze 2.0 guarda allo spumante come nuova frontiera. Ma è ancora tanta la strada da fare con la Vespaiola, l’uva locale. Soprattutto perché troppi considerano il Prosecco (etichettabile in zona) come riferimento. Una battaglia persa in partenza.

La Vespaiola non è la Glera. E il risultato sono dosaggi che disarmonizzano naso e sorso. Fa meglio (benino, per ora) chi investe sul Metodo Classico. E’ il caso della Cantina Beato Bartolomeo di Breganze.

E’ la cooperativa sociale del posto a tracciare la via corretta ai vignaioli della Doc vicentina, con un Metodo classico sensato. E in grado di superare piuttosto bene la prova del tempo. “Bosco Grande”, millesimato 24 mesi sui lieviti, accende i lampioni sulla strada da percorrere. Senza se e senza ma.

E’ la via che conduce più alla Durella che alla Glera, per restare in Veneto e citare un’uva dalle caratteristiche più simili alla Vespaiola. Gran bella acidità. Nerbo. E capacità di rappresentare nel calice il terroir vulcanico. Senza badare troppo a un mercato ormai saturo di bollicine italiane scadenti.

DEGUSTAZIONE CON PUNTEGGI VESPAIOLO SPUMANTE E FERMO

Vespaiolo Doc Spumante Extra Dry, Col Dovigo: 82/100
Charmat 90 giorni, millesimo 2017. Naso morbido, frutta bianca e agrumi tendenti al maturo. Note di pera e pompelmo rosa corrispondenti al palato, con chiusura di mandorla.

Vespaiolo Doc Spumante Brut, Transit Farm: 84/100
Charmat da unico vigneto, vendemmia a mano. Già al naso l’idea è quella di uno spumante morbido, tondo. Ricordi di glicine e accenni minerali. L’ingresso di bocca è proprio su queste note di terroir. Centro bocca e chiusura virano invece sull’esotico maturo e la mandorla.

Metodo classico Vespaiolo Doc Breganze Brut selezione “Bosco Grande” 2014, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 86/100
Giallo paglierino intenso, perlage fine e persistente. Naso di frutta gialla e spinta minerale decisa, con leggero accenno di gesso e idrocarburo. La “bollicina” risponde bene al palato, contribuendo a una beva piacevole ma non banale. Freschezza e morbidezza in buon equilibrio per uno spumante versatile, adatto anche a un consumatore esigente. La cantina, tra l’altro, sta sperimentando affinamenti più prolungati sui lieviti. Ottimo il rapporto qualità prezzo (12 euro).

Vespaiolo Doc Superiore 2018 “Savardo”, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 82/100
Un bianco semplice, a tutto pasto, giocato su morbidezza e florealità al naso. Vino ancora molto giovane, con note smaltate e di banana. Chiusura ammandorlata, leggermente speziata. Da aspettare.

Vaspaiolo Doc 2017, Maculan: 89/100
Giallo paglierino, luminoso. Naso fine, di frutta matura e fiori di acacia, con richiami minerali netti. In sottofondo, quando il nettare si scalda un poco, emergono intriganti contrasti tra la frutta esotica e la foglia di pomodoro. L’ingresso di bocca è piuttosto verticale, giocato più sulla mineralità che sul frutto. In chiusura (lunga) il focus torna sul frutto, corroborato da una buona salinità. Manca un po’ di emozione. Rapporto qualità prezzo interessante, inferiore ai 9 euro.

Vespaiolo Doc 2017, Col Dovigo: 83/100
Colore giallo paglierino non carichissimo. Naso di frutta matura, come pera e banana. Ingresso di bocca morbido e allungo moderatamente fresco, di sufficiente persistenza.

Vespaiolo Doc 2017, Azienda Agricola Vitacchio Emilio: 80/100
Colore che denota un inizio ossidativo. Il naso, infatti, è già piuttosto evoluto. Racconta di nocciole e, in generale, di frutta secca, sollevati da una volatile evidente. Al palato manca di freschezza, pur giocando su note agrumate. Il meno convenzionale degli assaggi, proprio per la cifra ossidativa.

Vespaiolo Doc 2017, Ca’ Biasi: 86/100
Giallo paglierino luminoso con riflessi verdolini. Naso preciso, di agrumi e vaniglia leggera, su sottofondo floreale. Ingresso connotato da una buona freschezza e verticalità vulcanica, che poi tende ad ammorbidirsi. Sufficiente la persistenza.

Vespaiolo Doc 2017 “Angarano Bianco”, Villa Angarano: 92/100
Un trentino a Breganze. Vino ottenuto nella zona Est della Denominazione, ai confini col Brenta. Naso illuminante, elegantissimo, su pompelmo rosa e speziatura leggera, di pepe bianco. Richiami di the verde e pesca appena matura completano un quadro olfattivo davvero prezioso. In bocca perfetto equilibrio tra note fruttate e mineralità. Un vino decisamente gastronomico, tutto giocato sull’eleganza del sorso.

Vespaiolo Doc Superiore, Io Mazzucato: 88/100
Giallo luminoso, riflessi verdolini. Bel naso elegante, tutto giocato su note d’agrumi. I sei mesi di barrique lo rendono unico nel suo genere e si esprimono su venature di vaniglia. Perfetta corrispondenza al palato. Un vino piacevole, chiaramente pensato per la tavola e per un consumatore internazionale, senza perdere di vista la tipicità.

Vespaiolo Doc 2017 “Soarda”, Vignaioli Contrà Soarda: 94/100
Impronta vulcanica netta per questo Vespaiolo che lascia il segno in batteria per l’equilibrio tra le sue componenti, l’eleganza e la complessità. Un Vespaiolo da attendere nel calice, per ammirarne la positiva apertura sulla macchia mediterranea. Bella consistenza tattile al palato, tra acidità, frutto e salinità, con richiami di radice di liquirizia e rabarbaro. Chiusura sassosa, piacevolmente amaricante e astringente, sulla buccia di pompelmo. La prova delle punte di qualità raggiungibili con la Vespaiola. Chapeau.

Vespaiolo Doc 2016, Firmino Miotti: 86/100
Giallo paglierino intenso, luminoso. Al naso evidenti richiami mielosi e di frutta matura. L’ingresso di bocca, invece, racconta bene il terroir vulcanico. Alle note morbide avvertite all’olfatto fa infatti eco una venatura minerale netta, al palato. Un vino semplice e beverino, che non mira certamente alla longevità, avviato verso la fase calante dell’evoluzione.

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Torcolato Doc Breganze: degustazione con punteggi delle annate 2011-2015


BREGANZE –
Undici campioni di Torcolato in degustazione all'(Ante) Prima di sabato 19 gennaio, a Breganze (VI). A ospitare l’evento è stata Cantina Maculan, vera e propria azienda-bandiera mondiale della Denominazione vicentina, grazie al lungimirante lavoro avviato negli anni Settanta dal patron Fausto.

Numeri da “chicca” oggi per il Torcolato, ottenuto dall’appassimento e successiva spremitura dei grappoli di uva Vespaiola. Nella pedemontana vicentina, su un totale di 600 ettari vitati, sono circa 65 quelli destinati a questa varietà. Nel 2017 sono state prodotte circa 380 mila bottiglie, di cui 50 mila di Torcolato.

Un nettare che si abbina alla perfezione alla pasticceria secca e da forno, ma anche a preparazioni al cucchiaio. Da provare l’accostamento a formaggi erborinati come il Gorgonzola, Roquefort e Bleu, oppure al foie gras.

Di seguito le valutazioni delle etichette in degustazione nel programma della Prima del Torcolato 2019. Seguiranno, sempre su WineMag, quelle alle vecchie annate di Torcolato (1972-2007) e agli spumanti e vini fermi ottenuti dal vitigno Vespaiola.

TORCOLATO 2011-2015: LE VALUTAZIONI

Torcolato 2015, Cantina Col Dovigo: 82/100
Giallo dorato, naso preciso, leggera riduzione. Buon rapporto frutto-dolcezza-acidità. Un Torcolato equilibrato, giocato sulla facilità e prontezza della beva. Torco-flash: corto.

Torcolato 2015, Azienda agricola Vitacchio Emilio: 80/100
Colore tendente all’ambrato. Al naso note di nocciola tostata che evidenziano una fase ossidativa precoce. Acescenza rimarcata da una volatile che, nel complesso, non compromette definitivamente l’olfatto. Eppure, sotto questa coltre, c’è la stoffa di un buon Torcolato. Intenso l’ingresso al palato, dove è ancora più marcata la nota acetica. Ne risente la struttura del nettare. Peccato. Ottanta punti di incoraggiamento a un controllo delle ossidazioni in cantina.

Torcolato 2015, Azienda Agricola Ca’ Biasi: 92/100
Giallo dorato. Impronta vulcanica netta al naso, che prende le forme della pietra focaia. Un Torcolato “fresco” già al naso: talcato, mentolato, leggermente speziato. Ingresso di bocca largo, su colate laviche di miele. In centro bocca, al momento giusto, s’irrigidisce sull’attesa freschezza, in perfetto equilibrio con le note dolci. Preziosa chiusura di liquirizia, lunghissima, con un tocco di zafferano. Un Torcolato di personalità, vero, sincero come il sorriso e gli occhi di chi lo produce: Innocente Dalla Valle. Contadino vero.

Torcolato Riserva 2015 “San Biagio”, Villa Angarano: 88/100
Giallo dorato. Naso tra i più eleganti ed essenziali della batteria, giocate su agrumi (buccia di pompelmo) e note di vaniglia. Evidente vena balsamica di menta e liquirizia dolce, garbatissima, che col trascorrere dei minuti si arricchisce di ricordi d’idrocarburo. Il sorso è pieno, eppure manca qualcosa: forse un po’ di struttura. Ma è la cifra da pagare, a volte, quando si nasce vino e si vuole girare per forza in cravatta. Gastro-Torcolato.

Torcolato 2014, Io Mazzucato: 86/100
Giallo dorato, riflessi ambra. Naso con impronta dolce netta, di miele, ma anche di agrumi. Una punta di idrocarburo. In bocca l’acidità spinge, mettendo in luce uno spirito impetuoso. In centro bocca una nota fumè intrigante, che accompagna verso un retro olfattivo nuovamente dominato da un’eccessiva freschezza. Vago ricordo di tannino in chiusura di sipario. Torco-ribelle.

Torcolato 2014, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 80/100
Naso semplice, mieloso. Legno evidente, poi confermato da un palato corrispondente. Freschezza che tenta di prendere al lazzo lo zucchero, finendo per vincere solo per la mancanza di concentrazione di aromi del nettare. Torcolato ineccepibile a livello di pricing (il più conveniente della Denominazione). Tor-convenience.

Torcolato 2014, Firmino Miotti: 84/100
Giallo dorato e naso piuttosto complesso, con note di datteri e uva passa in grande evidenza, oltre all’albicocca sciroppata e a una leggera nota d’idrocarburo. Tuttavia eccessiva percezione alcolica. Ingresso di bocca un po’ troppo zuccherino, non supportato dalla necessaria freschezza. Non un campione in lunghezza.

Torcolato 2015, Maculan: 89/100
Tra i “nasi” più complessi ed equilibrati della batteria per quello che si definirebbe un Torcolato da “istruzioni per l’uso”. In bocca pieno, ma dal ventaglio meno espressivo del naso. Un nettare fine, equilibrato e gastronomico, che sfodera un bell’idrocarburo nel retro olfattivo.

Torcolato 2015, Transit Farm: 78/100
Giallo dorato tendente all’ambra. Naso dominato dalla frutta secca, con l’affinamento in legno che fa capolino sotto forma di una nota tostata. In bocca corto, poco complesso, quasi scheletrico per i ricordi minerali: unico squillo, ma in solitario. Rapporto qualità prezzo sbilanciato.

Torcolato 2012, Le Vigne di Roberto – Terre di Confine: 84/100
Oro con riflessi ambra. Naso di frutta secca, con ricordi di arachidi e nocciola. Leggera nota ossidativa, piacevole, che si unisce a quella mielosa. Non particolarmente complesso al palato e apparentemente all’apice della curva evolutiva.

Torcolato Riserva 2011 “Sarson”, Vignaioli Contrà Soarda: 90/100
Giallo ambrato, destinato a rimanere tale ancora a lungo. La percezione è quella di trovarsi di fronte a un Torcolato dalla lunga vita, nonostante si tratti del più “anziano” in degustazione. Il piatto forte è il perfetto equilibrio tra freschezza, dolcezza e mineralità vulcanica, pronta a divenire sempre più evidente. Torcolato di prospettiva, che benedice il bel lavoro di Mirco Gottardi nella zona Est della Denominazione.

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Chianti Classico Docg 2015, Vallepicciola

(4 / 5) Tra i Chianti Classico più versatili della Denominazione c’è sicuramente quello di una cantina che sta tentando di farsi largo nel panorama nazionale.

Parliamo di Vallepicciola e del suo Chianti Classico Docg 2015, dall’etichetta inconfondibile. Il volto del Re Berardo ubriaco, legato a doppio filo alla storia di Castelnuovo Berardenga.

LA DEGUSTAZIONE
Un’etichetta che racconta benissimo il vino in questione, dalla beva snella ma tutt’altro che banale.

Uno di quei rossi che non stancano, in grado di risultare piacevoli anche d’estate, serviti freschi. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag la vendemmia 2015, la penultima in commercio.

Nel calice, il Chianti Classico di Vallepicciola si mostra del tipico rosso rubino brillante. Al naso suadenti sentori di piccoli frutti di bosco, che per certi versi ricordano il Pinot Nero. L’affinamento in legno è molto ben eseguito e non prevarica la piacevolezza del naso e del sorso, incentrato appunto sul frutto.

Netti anche i richiami di ciliegia matura che anticipano un palato corrispondente, impreziosito da un accenno salino e da una chiusura vanigliosa dosata. Tradotto: ulteriore piacevolezza. Perfetto a tutto pasto, accompagna bene salumi e primi col ragù.

LA VINIFICAZIONE
Sangiovese in purezza, ottenuto da vigneti situati a un’altitudine compresa fra 380 e 440 metri sul livello del mare, a Castelnuovo Berardenga. Calcare e argilla sono la componente marcante del terreno, con presenza di galestro e alberese.

La vendemmia del Sangiovese utile alla produzione del Chianti Classico Vallepicciola avviene tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre. La vinificazione prevede la fermentazione alcolica in piccoli tini di acciaio a temperatura controllata.

Macerazione in acciaio per circa 10 giorni e fermentazione malolattica in botti di rovere francese. L’ invecchiamento avviene in barriques, tonneaux e botti grandi per circa 12 mesi. Ulteriore affinamento in bottiglia da 3 a 5 mesi, in seguito all’imbottigliamento avvenuto a maggio 2017 per la vendemmia 2015.

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I 100 migliori vini italiani del 2018: classifica senza bandiere né “razza”. Buoni e basta


Vini buoni e basta, capaci di far dire “Wow!“. Ecco i 100 migliori vini italiani secondo WineMag.it. Un anno, quello appena trascorso, in cui ho avuto la fortuna di degustare più di mille campioni, in giro per l’Italia.

La classifica non fa alcuna distinzione fra le numerose tecniche produttive, troppo spesso al centro di accesi dibattiti tra gli appassionati, ma anche tra i professionisti del settore. Una scelta dettata da una profonda convinzione: deve parlare il calice, non la brochure della cantina. E allora “Prosit!“.

Davide Bortone – direttore responsabile WineMag.it

SPUMANTI, FRIZZANTI, RIFERMENTATI


Franciacorta Riserva Docg Vintage Collection Dosage Zéro Noir 2001, Ca’ del Bosco
. Avete presente quando dicono che il vino più invecchia, più diventa buono? Ecco. Premio al miglior Pinot Nero di Franciacorta, zona certamente più nota per lo Chardonnay.

Brut Metodo Classico Millesimato 2012, Monsupello. Sua maestà il Pinot Nero, con tutti i crismi e a casa sua: l’inarrivabile (per l’Italia e per la costanza storica) Oltrepò pavese.

“Cuvée Marianna” Extra Brut 2013, Arunda Sektkellerei. Uno degli spumanti Metodo classico più complessi in circolazione, prodotto da una cantina da scoprire ad occhi chiusi.

Trento Doc Riserva Dosaggio zero 2012, Letrari. Un Trento Doc raffinato, verticale, di grande prospettiva. Coraggioso e per palati decisi e consapevoli.

Metodo classico Lessini Durello Doc Riserva 2011, Cesa Cecchin. Prezzo pazzesco in cantina, dove vale la pena di andare anche solo per due chiacchiere e una stretta di mano a Renato Cecchin, uno dei promotori di quella perla italiana che è il Durello Metodo Classico.

Lambrusco Metodo Classico 2004, Lini910. Tra gli spumanti (e, più in generale, tra i vini) più sorprendenti del 2018. Degustato in cantina e rigustato in numerose altre occasioni, perché non stanca mai. Sempre un assaggio emozionante. La sublimazione del Lambrusco Salamino.

Vsq Dosaggio Zero 2015 “A Chiara”, Azienda Agricola I Nadre. Il terroir calcareo si ritrova in ogni sorso di questo interessantissimo spumante prodotto a Cerveno (BS), in Valle Camonica.

Etna Doc Spumante Metodo Classico Brut “Saxanigra”, Destro Azienda Agricola. Un riferimento assoluto per le “bollicine” Made in Sicilia. L’appassionato Antonino Destro, con l’enologo Giovanni Rizzo, offre una gamma straordinaria di Champenoise qualità prezzo. Al vertice il “60 mesi” base Nerello Mascalese vinificato in bianco.

Metodo Classico Brut Nature Vsq Durello 2014 “Corte Roncolato”, Cristiana Meggiolaro. La verità di un vitigno (e di una Denominazione) che merita lustro internazionale.

Metodo Classico Vsq “Man 283” 2013, Giuliano Micheletti. Dosaggio zero, Chardonnay del Trentino dritto al cuore, come una lama. Ottimo anche il Riesling (fermo) dello schivo vignaiolo Giuliano. Chapeau.

Metodo Classico Vsq Dosaggio Zero “Esperidi”, Mario Gatta. Vendemmia 2009 vibrante, capace di unire eleganza e potenza in un sorso dell’unconventional Franciacorta.

Metodo classico Lessini Durello Doc Gran Cuvée, Fongaro. Alla cieca? Uno Champagne. E di quelli buoni.

Giulio Ferrari Rosé 2006 Riserva del Fondatore. Oggi buono. Domani splendido. Non a caso l’enologo Ruben Larentis parla di uno spumante che “ha iniziato un percorso che riflette la grande attenzione che gli abbiamo riservato, sin dalla vigna”. Ubi maior.

Spumante Millesimato Pas Dosè 2016, Tenuta Sarno 1860. Sua maestà il Fiano di Avellino, in una versione spumantizzata degna delle geometrie di Kandinsky. Punto, linea e superficie. Gastronomico.

Oltrepò pavese Docg Metodo Classico Brut Rosè, Pietro Torti. Pinot Nero in purezza, rosè: in una parola, “Cruasé”. Bel frutto pulito al naso, che evidenzia il gran lavoro di selezione del produttore di Montecalvo Versiggia.

Vino bianco frizzante 2016 “H Lispida”, Castello di Lispida. Ribolla (70%) e Friulano (30%) per questo divertente e cremoso rifermentato di Monselice (PD).

Vsq Brut Cuvée Paradiso 2014, Quintopasso. Metodo classico base Chardonnay (80%), con un tocco fondamentale di Lambrusco Sorbara (20%) per un sorso più che mai dinamico.

Metodo Classico Lessini Durello 2006, Gianni Tessari. Centoventimesi sui lieviti: 120 volte “buonissimo”. Da bere oggi, al suo apice organolettico.

Spumante Metodo Classico Caprettone 2014, Casa Setaro. Capre what? Caprettone, uvaggio. Provatelo. Trenta mesi sur lie per parlare del terroir vulcanico dell’Alto Tirone vesuviano.

Metodo Classico Trento Doc Nature Riserva 2012, Marco Tonini. Un vulcano questo vignaiolo, affabile come la sua batteria di Trento Doc, dall’0ottimo rifermentato all’eccellente Riserva.

Colli Trevigiani Igt Boschera, Eros Zanon. Vitigno autoctono della zona di Treviso, la Boschera, che questo combattivo e determinato vignaiolo sta salvando dall’oblio, senza aggiungere altro se non una dose di follia. Da assaggiare almeno una volta nella vita, per innamorarsene.

Igp Salento Brut Nature Vsq 2016 “Marasco”, L’Archetipo. Vino Spumante di Qualità (Vsq) base Marasco, prodotto da una delle realtà più interessanti del Salento: L’Archetipo di Castellaneta (TA).

Vino frizzante sui lieviti 2016 “Ambarabà”, Volcanalia. Si chiama “Ambaraba”, ma fate conto che ci siano pure “Ciccì” e “Coccò”. Aspettando il Metodo classico dosaggio zero, che arriverà quest’anno.

Vino frizzante rosato “Balós”, Crocizia. Pinot nero in purezza, rifermentato in bottiglia. Siamo a Pastorello di Langhirano, Parma. Una notte sola di macerazione delle uve sulle bucce, ma di quelle che non si scordano.

Lessini Durello Spumante Brut “Durello Vulcano”, Az. Agricola Zambon. Interessante nel suo complesso la linea di vini proposta da Zambon. Lo Charmat lungo “Durello Vulcano” è una di quelle bollicine capaci di farsi notare nel panorama degli Charmat italiani. Tra l’altro in vendita a un prezzo pazzo in cantina.

Vino Spumante Brut Nature “Silvo”, Villa Persani. Un Metodo Ancestrale coi fiocchi quello proposto da Villa Persani in una comoda bottiglia da 0,50. Tappo corona per i Piwi Souvignier gris e Aromera.

Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg, BiancaVigna. Dosaggio Zero “Rive di Soligo” 2015 e Brut Nature “Rive di Ogliano” staccano di gran lunga tutto il parterre dei Prosecco in degustazione al Merano Wine Festival 2018. E, soprattutto, mostrano le potenzialità della Glera: una delle uve più maltrattate d’Italia.

Prosecco Frizzante “Di Fondo”, Bresolin Enrico. Il tipico Prosecco da “shakerare” prima dell’uso. Risvegliate dal torpore i lieviti ammassati alla base della bottiglia e godetevi lo spettacolo, nel calice.

Vsq Brut 2015, Weingut Lieselehof. Trenta mesi sui lieviti. Frutto intenso in ingresso, che poi lascia spazio alla mineralità. Altro vino ottenuto da Spuvignier Gris (Piwi): varietà “resistenti” a tutto, tranne che al calice.

Vino spumante Brut 2014 “Bolla d’oro”, Kandea – F.lli Tullio Cataldo. Nella “terra di mezzo” di Candela (FG) un Martinotti base Bombino bianco (80%) Falanghina (10%) e Greco (10%), che fa pensare a un Metodo classico.

Igt Toscana spumante rosato 2016 “Follia a Deux”, Podere Anima mundi. Rarissima “bollicina” di Casciana Terme Lari (Pisa). Metodo ancestrale (non filtrato e non sboccato) base Foglia Tonda, tutto frutto e salinità.

BIANCHI

Vermentino Colli di Luni Doc Superiore 2017 “Fosso di Corsano”, Terenzuola. Uno dei due Colli di Luni Doc memorabili di Terenzuola, cantina di Fosdinovo (Massa-Carrara) condotta da Ivan Giuliani. L’altro è “Permano”, ottenuto per il 50% da Vermentino e per la parte restante dall’assemblaggio di una trentina di uvaggi a bacca bianca. Rarità.

Colli Tortonesi Doc Timorasso Derthona 2010 “Sterpi”, Walter Massa. Semplicemente strepitoso, oggi. Lo sarà anche (dopo) domani, con l’accentuarsi delle note di idrocarburo e l’incomplessarsi del bouquet.

Sudtirol Alto Adige Doc Riserva 2015 Chardonnay “Troy”. Muscoli e cravatta per il rincorrersi di note agrumate ed esotiche mature, bilanciate da gran freschezza e percezioni iodiche eleganti, che accompagnano nel lungo finale.

Soave Classico Doc 2015 “Roccolo del durlo”, Le Battistelle. Gelmino e Cristina dal Bosco, con l’aiuto dei figli, stanno compiendo qualcosa di grande a Brognoligo di Monteforte d’Alpone. Qualcosa che riesce a tradurre nel calice il concetto stesso di “viticoltura eroica”, vero vanto delle colline di Soave.

Igt Paestum Fiano 2017 “Pian di Stio”, San Salvatore 1988. Si fa presto a dire Fiano. Uno così, però, è merce rara. Siamo nel Parco nazionale del Cilento, nel Comune di Stio, in provincia di Salerno. Il cru si trova a 550 metri d’altezza e regala un sorso fresco, balsamico, lunghissimo.

Sicilia Doc Carricante 2015 “Eruzione 1624”, Planeta. Uno di quei vini da portare a casa a cartoni, per valutarne l’evoluzione annotandola su un quadernetto. Piroette che, da un assaggio all’altro, fanno di questo vino uno dei bianchi vulcanici più fascinosi d’Italia.

Vallagarina Igt bianco “Anisos” 2009, Eugenio Rosi. Naso di quelli che ti tengono incollato al bordo del calice come un bambino che guarda fuori dal finestrino, mentre guida papà. La predominanza della Nosiola, in bocca, si fa sentire. Poi l’azione mitigatrice di Pinot Bianco e Chardonnay.

Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2017, Manni Nössing. Il miglior Kerner in circolazione, per lo meno in quella fetta di Alto Adige tutta da scoprire che è la Valle Isarco.

Rina 2017, Viteadovest. Vino qualità prezzo eccezionale, prodotto in Contrada Amabilina (Marsala). Blend Grillo-Catarratto affinato in botti di Marsala del 1973. Unico.

Lama bianca 2016, Feudo d’Ugni. La piccola fiammiferaia abruzzese Cristiana Galasso mette in bottiglia magia al posto del vino. Lama bianca è uno dei suoi capolavori. Un Trebbiano in purezza (3 settimane in vasca di cemento) da amare di sorso in sorso.

Pinot Blanc 2015 “Art”, Weingut Martin Abraham. Tutti capolavori assoluti i vini di Martin Abraham, vignaiolo altoatesino tanto schivo quanto pronto a raccontare le sue “creature” con un calore che in pochi riescono a trasmettere. Vino di prospettiva.

Igp Terre del Volturno 2017 “Sheep”, Il Verro. Frazione Lautoni di Formicola, provincia di Caserta. “Sheep” è un bianco prodotto con un’uva non ancora inserita nel Registro nazionale: la Coda di Pecora. Una sorta di “Passerina vulcanica”, ma c’è di più. Qualcosa rimanda al Trebbiano. Qualcos’altro al Cortese e all’Arneis. Insomma, un autoctono tutto da scoprire. Vino da provare.

Südtirol Alto Adige Doc Kerner 2006 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella. Tra le migliori espressioni “vintage” del Kerner in Alto Adige.

Venezia Giulia Igt 2003 “Severo Bianco”, Ronco Severo. Il coniglio nel cestello di una linea di totale affidabilità, come quella dei vini bianchi e rossi di Ronco Severo, by Stefano Novello.

Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017 “Lahner”, Taschlerhof. Tipico fino al midollo.

Friulano (Jakot) 2016 “t.f.”, Valter Sirk. In Vino Valter. Valter Sirk giocano con le manette, nel senso che “t.f.” sta per “Tocai Friulano”. E provate a leggere “Jakot” al contrario. Fondamentale: vino da bere, prima di farsi tutte ‘ste menate. Che manto neppure Rauscedo fa troppo caso alle liste del Ministero.

Trebbiano Spoletino 2012 “Arboreus”, Bea Paolo. Stappato in un monolocale funge da diffusore di profumi che manco la catalitica di Lampe Berger. E lo Spoletino si dimostra così tra le varietà più interessanti d’Italia.

Verdeca 2017 “Carsia”, Cristiano Guttarolo. Sua maestà la Verdeca, quella vera. Un vino vero, intenso, fresco, tipico. Un vino-manifesto dell’uvaggio. E di tutte le Murge, zona vinicola pugliese che – assieme alla Valle d’Itria – partorisce bianchi di spessore, meritevoli di parterre nazionali.

Soave Doc “Garganuda”, Andrea Fiorini. La Garganega come mamma l’ha fatta. Nuda. Ma non per questo timida. Anzi. Esibizionismo allo stato puro del varietale, nell’interpretazione veristica e cruda di un Soave che mancava nel panorama della Denominazione.

Campi Flegrei Doc Falanghina 2012, Agnanum. Uno dei bianchi dalla maggiore personalità presenti al momento sul mercato nazionale. Un vino che svela i tratti più sinceri e marcati del terroir vulcanico.

Spoleto Doc Trebbiano Spoletino 2015 selezione “Del Posto”, Perticaia. Vino di prospettiva (lunga). Nota iodata netta, corroborata da richiami di camomilla, asparago e il fieno. Acidità da strilli, che fa da spina dorsale a una struttura importante. Ma il sorso è equilibrato grazie a ricordi levigati di miele d’acacia.

Vigneti delle Dolomiti Igt Nosiola 2016, Azienda Agricola Salvetta. Questo non è un vino, ma un concentrato di Nosiola. Discostante rispetto ad altre decine d’assaggi. Un vino diretto, vero, potente, con un filo di tannino che si allunga nel retro olfattivo.

Colli Tortonesi Doc Timorasso 2010 “Il Montino”, La Colombera. Un vino giunto a un grande equilibrio tra le componenti più tipiche del Timorasso, che mostra tuttavia ampi margini di affinamento ulteriore.

Salento Igp Verdeca 2017, Tenuta Macchiarola. Altro territorio, altro vitigno fortemente screditato dalle produzioni massive e dalla moda dei bianchi leggeri, fruttati, beverini. Bravissimo Domenico Mangione.

Vino bianco biologico 2016 “Monte del Cuca”, Menti Giovanni. Uve 100% Garganega. Un “orange” dal naso tra i più belli d’Italia. Come rotolarsi in un campo di fiori, alle pendici di un vulcano che sbuffa.

Barbagia Igt 2016 “Perda Pintà”, Cantina Giuseppe Sedilesu. Giallo luminoso come una spada laser il Perda Pintà di Giuseppe Sedilesu, ottenuto dal vitigno autoctono di Mamoiada, paesino 2.500 anime in provincia di Nuoro: la Granazza, allevata ad alberello. Avvolgente e speziato. Unico.

Toscana Igt 2015 Batàr, Querciabella. Strepitosi rossi e un bianco che lascia il segno per Querciabella. Blend suddiviso in egual misura tra uve Pinot Bianco e Chardonnay, che si fondono dopo la fermentazione in barrique, in seguito alla selezione dei migliori lotti. Un “Chianti in bianco”.

Sauvignon Blanc 2014 “Garnellen Anphora”, Tropfltalhof. Più difficile da pronunciare che da apprezzare, il vino in anfora di Tropfltalhof. Siamo a Caldaro, in Alto Adige. Uno di quegli assaggi da conservare nella cartella “Sauvignon Blanc” della memoria. Nome del file: “Eccezioni”.

Fiano Puglia Igt 2016 “Cicaleccio”, Cantina Giara. Giorgio Nicassio mette in bottiglia un Fiano più che mai sincero, non filtrato e non chiarificato. Un concentrato di Fiano, o un infuso d’uve Fiano, se preferite. Bellissimo.

Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Grüner Veltliner 2017, Weingut Ebner. Tra i migliori assaggi in Valle Isarco e tra i vignaioli da scoprire in assoluto dell’Alto Adige.

Colli di Luni Doc Vermentino “Cavagino”, Lunae Bosoni. Fa parte della linea dei “cru” della cantina di Castelnuovo Magra (SP) il “Cavagino”, uno dei due Vermentino top di gamma. Certamente uno dei migliori vini in commercio oggigiorno, Made in Liguria.

Lazio Igt Grechetto 2015 “109”, Tenuta La Pazzaglia. Tappo a vite (fatevene una ragione, va bene così) per questa splendida espressione di Grechetto che riesce a coniugare mineralità vulcanica, frutto tropicale, sentori erbacei e speziati. Il volto bello della Tuscia viterbese.

ROSATI

Rosato “Rossetto di Sangiovese”, Altura. Bellissima realtà dell’Isola del Giglio, Altura. Un tempo questo rosato fascinoso si chiamava “Chiaretto”, ma per evitare guai è cambiato. Solo Sangiovese, macerazione sulle bucce di una settimana e fine fermentazione in bianco. Boom.

Rosato 2016 “Sant’Isidoro”, Maria Pia Castelli. Un rosato da Montepulciano e Sangiovese della zona di Monte Urano, provincia di Fermo, nelle Marche, sottoposti a salasso. Non gli manca nulla, se non qualche anno in più sulle spalle: un rosè che non ha paura del tempo.

Salento Igt Rosato 2013 “Girofle”, Severino Garofano. Eros puro. Un vino magico, che gioca sui contrasti e sugli ossimori, dando un senso tanto concreto quanto poetico al lavoro che la famiglia di Copertino (LE) sta facendo da anni col vitigno Negroamaro vinificato in rosa. L’eredità di un vignaiolo che ha cambiato il modo di pensare il rosato pugliese e italiano: da centometrista a maratoneta. Da vino di “pronta beva” a vino da apprezzare nell’allungo.

Basilicata Rosato Igp 2017 “Juiell”, Camerlengo. Un’icona dei rosati italiani veri, sinceri, che parlano del territorio in cui sono prodotti. “Juiell”, il “gioiello” della cantina di Rapolla (PZ), che di tesori a base Aglianico (del Vulture) è piena. Citofonare “Antonio Cascarano”.

Rosato di Dolcetto 2017, Forti del Vento. Dolcetto vinificato e affinato in anfore di terracotta da 300 litri. Un rosato di quelli veri, di sostanza. A partire dal colore carico, senza compromessi. Mille bottiglie prodotte, in totale. Una bella chicca.

Rosato 2017 “Crêuza”, Azienda Agricola Deperi Luca. Rosato qualità prezzo, in una terra più di bianchi che di rossi come la liguria. Sensatissimo, tipico, eroico.

Alto Adige Doc Merlot rosato 2017 “Kotzner”, Armin Kobler. Un rosato tosto, tra i più “gastronomici” d’Italia. Frutto preciso e grande equilibrio al palato per un rosé importante con cui giocare a tavola.

Salento Rosato 2015 “Diciotto Fanali”, Apollonio. La casa di Monteroni di Lecce sforna vini gioiello e tra i rosati non può mancare “Diciotto Fanali”, ottenuto da vecchie vigne ad alberello. Negroamaro in purezza di gran personalità.

Riviera del Garda Classico Doc Valtenèsi Chiaretto “La moglie ubriaca” 2017, La Basia. Frutto, sostanza e mineralità ci sono tutte. Ci ha messo un po’ ad equilibrarsi, questa moglie barcollante. Ma poi è giunta in porto, nel calice. Sana e salva. Gluc.

Rosato Calabria Igt “Il Marinetto”, Sergio Arcuri. Rosato da Gaglioppo profumato e di fenomenale consistenza tattile al palato.

ROSSI

San Leonardo 2014, Tenuta San Leonardo. Cabernet Sauvignon, Carmenère e Merlot (60-30-10%) per uno dei vini più celebrati d’Italia. Tra tutte le vendemmie degustate, convince la 2014: splendida la sua concentrata essenzialità, con una grande spinta minerale calcarea da vino in progressione, fusa alla perfezione con una freschezza unica nel panorama delle varietà bordolesi. In forma anche la vendemmia 2001, tra le migliori annate di sempre della cantina trentina di Borghetto sull’Adige.

Chianti Classico Docg Riserva 2015, Agricola Querciabella. Sulla scorta del 2014, naso non proprio esplosivo che vira sulla macchia mediterranea più che sul frutto. Soffi di zafferano e di spezia completano il quadro olfattivo. In bocca conferma le attese: un vino giovanissimo, destinato a diventare immenso.

Provincia di Pavia Igt 2010 “Ghiro d’Inverno”, Azienda Agricola Martilde. Una (ex) Bonarda ferma. Una Croatina, diciamola tutta, da vero spasso. Vino giovane, da vigne vecchie.

Tai Rosso Doc 2016, Fattoria le Vegre Domenico Chiesa ci mette testa e cuore per i suoi vini. E il risultato si vede. Anzi, si sente, ad ogni sorso. Ottima tutta la linea, ma è stupendo il Tai Rosso Doc 2016, un “base” che base non è, per la sua capacità di essere al contempo croccante, consistente e concentrato in bocca.

Toscana Igt Pinot Nero 2015 “Fedespina”, Podere Fedespina. Un vino che spiega a tutti come si lavora il Pinot Nero in Toscana, al di là delle mode e di quella fastidiosa vena “enofighetta” che porta certi produttori a giocare coi vitigni, per inseguire la moda.

Barolo Bussia Docg 2013, Giacomo Fenocchio. Nebbiolo di una precisione assoluta, poco da aggiungere. Da provare. E aspettare, se possibile.

Tamurro Nero 2004, Tenuta Le Querce. Un unicum. E non solo perché il Tamurro Nero non è un vitigno che si trova dappertutto, in degustazione. Ma anche perché questo 2004 di Tenuta Le Querce è da sberle al palato.

Igt Alpi Retiche 2017, Pizzo Coca. La vera sorpresa dell’anno, Pizzo Coca. Dopo varie peregrinazioni in giro per il mondo, il giovane bergamasco Lorenzo Mazzucconi ha deciso di mettere su un’azienda propria a Ponte in Valtellina. Questo base e l’Inferno 2016 (qualità prezzo assoluta) dicono che ha fatto bene.

Vino rosso Oltrepò pavese 2016 “Barocco”, Perego e Perego. Potenza, frutto, prospettiva. Un piccolo “Brunello” in terra pavese, prodotto da un vignaiolo che come pochi tratta il vitigno: Giorgio Perego, “Mr Croatina”.

Chianti Classico Docg 2015, Borgo Scopeto. Colpisce per la gran finezza delle note di piccoli frutti di bosco, degne di un grande Pinot Noir. Un’eleganza che si ripropone con prorompente determinazione anche al palato, lunghissimo. Qualità prezzo.

Lambrusco di Sorbara 2017 “L’eclisse”, Paltrinieri. Un Lambrusco da bere col secchio, senza troppi fronzoli. Naso di fragolina non ancora matura e lampone, chiusura salina e di ribes, ben sorretta da una sapidità che invita al sorso successivo. E a un altro ancora. Altro vino qualità prezzo.

Rosso Emilia Igt 2015 “Rio Rocca Berzemèin”, Az. Agr. Il Farneto. Siamo nella Piana di Farneto, in provincia di Reggio Emilia, ai piedi dell’Appennino Tosco-Emiliano. Marzemino croccante, vivo, in evoluzione.

Flaccianello 2008, Fontodi. Intensità mista ad eleganza, come pochi in Toscana. Infinitamente lungo, anche in termini di vita a disposizione.

Amarone della Valpolicella Docg 2014, I Tamasotti. Giacomo Brusco e Sabrina Zantedeschi, giovanissimi interpreti de “I Tamasotti” sono tra i giovani da tenere d’occhio della Denominazione veneta.

Cannonau di Sardegna Doc 2016, Antonella Corda. Fate largo in cantina per un Cannonau sui generis, che ci piace definire con un neologismo: Pinotnau. Un Cannonau elegante come un Pinot Nero.

Brunello di Montalcino Docg 2013, Tassi. Raffinatezza e potenza, coniugati in un sorso instancabile.

Lacryma Christi del Vesuvio Doc Riserva 2014 “Don Vincenzo”, Casa Setaro. Seconda menzione, dopo lo spumante di Caprettone, per Casa Setaro. Piedirosso (85%) e Aglianico (15%) insieme, per un vino che riesce a esprimere e coniugare al meglio le caratteristiche dei grandi vini del Vesuvio. Un rosso che avvolge e cattura.

Sorni Rosso Trentino Dop 2015 “Grill”, Eredi di Cobelli Aldo. Teroldego, base ampelografica della Dop Sorni. Vino dall’ossatura ben definita. Tannino austero e frutto perfettamente delineato, pulito. Un altro grande vino di prospettiva.

Campania Igt Piedirosso 2016 “Pér ‘e Palumm”, Agnanum. Altra conferma anche per Agnanum, già citata tra i bianchi per la sua strepitosa Falanghina. Un vino sorprendente, capace di tradurre nel calice il vulcano. Grande mineralità, note fruttate e speziate precise, un quadro unico. Ottima prospettiva per la vendemmia 2017, ancora più fumè e salina.

Amarone Docg 2010, Azienda Agricola Monte dall’Ora. Castelrotto, Verona. Vino spaziale, che vale tutti e 70 gli euro del prezzo, per la freschezza e la tipicità del sorso che riesce ad esprimere. Splendido anche il Valpolicella Classico Superiore 2015, in commercio a partire da queste settimane.

Irpinia Doc Aglianico 2016 “Terra d’Eclano”, Quintodecimo. In commercio da dicembre 2018. Bouquet ampissimo al naso, che spazia dalle note floreali di viola a quelle fruttate di lampone e fragola, passando per terziari eleganti di tabacco e caffè. Wow.

Chianti Montespertoli Riserva Ingannamatti 2005, Podere dell’Anselmo. Complesso, raffinato, elegantissimo. Ma soprattutto “giovane”. Ops, è un 2005. Eterno.

Carmenère Riserva 2013 “Oratorio di San Lorenzo”, Inama. Degustato alla cieca sui Colli Berici, in comparazione con altri vini internazionali della stessa base ampelografica. C’è un cileno (il Carmenère Block 17 D.O. Peumo 2014 “Terrunyo” di Concha Y Toro,) che sta ancora mangiando la sua polvere. Rosso veneto accecante.

Amarone della Valpolicella 2013, Ferragù Carlo. Altro rosso importante, ma già godibilissimo. Bevibilità e struttura per un Amarone che emerge nel panorama dei nobili vini rossi della regione, grazie ai suoi tannini di velluto, il sorso pieno e lo straordinario carattere. Il classico rosso da meditazione, da stappare a fine pasto.

Etna Rosso Doc Nerello Mascalese 2015, Enò-Trio Nunzio Puglisi. Facile dire “Nerello Mascalese”, negli anni della ribalta internazionale per il vulcano che a fine anno ha fatto tremare Catania. Difficile farlo così. Nunzio Puglisi e la figlia Désirée sono un riferimento assoluto per chiunque voglia scoprire l’essenza del terroir.

Primitivo di Manduria Doc 2013 “Es”, Gianfranco Fino. Se è vero che l’Es, per Freud, sottosta a un solo principio (il piacere) allora “Es” 2013 è esso stesso il piacere. Sin dal colore, rosso carico, richiama la passione.

Calabria Igt Magliocco 2013 Toccomagliocco, L’Acino. Tutto da segnalare dalle parti di Dino Briglio Nigro. Siamo sulla Piana di Sibari, tra lo Jonio e il Tirreno, tra il Pollino e la Sila. Meglio non perdersi neppure un’etichetta di questo fiero produttore calabrese.

Cirò Riserva 2012 “Più vite”, Sergio Arcuri. Altro giro, altra giostra. Sempre in Calabria. Salire su quella di Sergio Arcuri è come catapultarsi a Cirò. Tra le vigne ad alberello di quel grande vitigno del Meridione d’Italia che è il Gaglioppo, sino ad oggi fin troppo offuscato dalla lucentezza dell’altro meridionale Aglianico.

Pinot Nero Doc, Paolo Saracco. Pinot Nero dalle tinte moscateggianti, prodotto (per passione e non per business) da uno dei maggiori interpreti del Moscato d’Asti: Paolo Saracco. Da perderci la testa.

Erasmo Castelli 2010, Maria Pia Castelli. Top di gamma della cantina marchigiana, vero pezzo da 90 tra i rossi del centro Italia. Un Montepulciano riconoscibile tra mille campioni. Splendida anche l’espressione del 2005.

Pinot Nero Provincia di Pavia Igt “Astropinot” 2013, Ca’ del Conte. Uno di quei Pinot nero d’Oltrepò che fanno rima con chapeau. Un rosso di elegante ruggenza quello prodotto a Rivanazzano Terme (PV) da Paolo Macconi e della moglie Martina.

Sagrantino 2013, Raìna. Sua maestà il Sagrantino, in una delle sue versioni migliori del panorama del momento, per fascia prezzo. E pensare che non si tratta del top di gamma di casa Raìna, dove qualità non fa mai rima con “compromesso”.

Barbera “Barla”, Case Corini. Uno scrigno a Costigliole d’Asti. E’ Case Corini, il regno di Lorenzo Corino, appassionato vignaiolo piemontese che produce uno dei rossi in più completi della regione, da un vigneto di 100 anni.

Cesanese del Piglio Docg “Torpiano” / “Collefurno” 2016, Carlo Noro. Sta facendo un gran lavoro questo ragazzo dalle parti di Piglio, in provincia di Frosinone. Una storia iniziata nel 2010, che promette capitoli interessantissimi al ritmo delle due diverse sfumature di Cesanese del Piglio.

VINI DOLCI / PASSITI

Alto Adige Gewürztraminer Doc 2009 “Epokale”, Cantina Tramin. “Epokale” di nome e di fatto. Il perfetto, divino, equilibrio tra dolcezza, freschezza e mineralità. Unico.

Passito di Pantelleria Doc 2008 e 2012, Ferrandes. Un capolavoro da esporre al museo del Louvre questo passito di Pantelleria. La vendemmia 2008 è da cori da stadio.

Moscato di Saracena 2014, Cantine Viola. Uno di quei vini che riescono ad andare al di là di un calice assoluto valore. Attorno alla riscoperta del Moscato di Saracena, Luigi Viola e la sua famiglia sono riusciti a creare un mondo.

Vino cotto Stravecchio Marca Occhio di Gallo, Cantina Tiberi David. Un unicum nel suo genere che trova nelle Marche, e in particolare nella zona di Loro Piceno, la sua patria. Vecchie e nuove vendemmie: tutti pezzi di gustosa bravura.

Igt Costa Toscana Ansonica Passito 2016 “Nantropò”, Azienda Agricola Fontuccia. Una perla dell’Isola del Giglio. Il vino passito da uve Ansonica di Fontuccia è una vera e propria chicca nel suo genere e nel panorama della viticoltura eroica. Capisci perché si chiama così (“Nantropò”) solo quando la bottiglia è finita.

Moscato di Scanzo Docg 2015, De Toma. Vendemmia che già esprime grandi potenzialità: eleganza finezza al naso, su frutti di bosco, fragolina in primis, marasca e fiori di rosa. In bocca corrispondente, con l’acidità a chiamare un sorso dietro l’altro. Chiusura di rabarbaro. Vino da meditazione.

DISTILLATO DELL’ANNO

“Oltre Spigau 03”, Le Rocche del Gatto. Il Pigato 2003 in versione “Armagnac”, prodotto in quel santuario ligure che è Le Rocche del Gatto. A dir messa, da quelle parti, è Fausto De Andreis: autore e artefice di vini immortali a base Pigato e Vermentino, nella sua Albenga (SV).

Fausto ha chiamato questa “bevanda spiritosa” da 33% vol. “Oltre Spigau 03”. Un altro passo avanti verso la battaglia irriverente di un vignaiolo d’altri tempi e senza tempo. Come i suoi vini.

Qui la “TOP 100” migliori vini italiani 2019 di WineMag.it

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degustati da noi vini#02

Cupertinum – Antica Cantina del Salento: vini “qualità prezzo” è dire poco!

COPERTINO – Dal Negroamaro al Primitivo, passando per i vini simbolo della Doc Copertino e chiudendo con le Riserve. La gamma di vini di Cupertinum – Antica Cantina del Salento 1935 fotografa una fetta di Salento dal rapporto qualità prezzo invidiabile. Tra i migliori in assoluto in Italia.

E’ quanto emerge dalla nostra degustazione delle ultime annate in commercio firmate dalla cooperativa di Copertino (LE). Trecento soci attivi su 300 ettari vitati, tra il Golfo di Taranto e il Canale d’Otranto. Un tasting reso possibile dall’invito del presidente della cantina salentina, Francesco Trono.

L’ennesima prova che molte cooperative vitivinicole italiane abbiano intrapreso la strada della qualità, anche fuori dai confini dell’inarrivabile Alto Adige (spesso costoso, a buona ragione).

Una qualità che fa ancora più “effetto” se si considera il contesto: una Puglia che sta tentando di lasciarsi alle spalle il ruolo di “serbatoio” d’Italia per tagli e “magheggi”, puntando tutto sull’imbottigliato di valore.

(5 / 5) LE VALUTAZIONI DI WINEMAG  (5 / 5)

Negroamaro Salento Igp 2017 “Spinello dei Falconi” (13% vol): 4,90 euro in cantina
(4 / 5) 87/100
Cerasuolo limpido, naso pulito, frutto rosso e fiore di rosa. Bella eleganza al palato, minerale e lungo. Un naso e una bocca intensa che sostiene bene un alcol per nulla disturbante.

Impreziosisce il quadro la chiusura amarognola, che chiama il sorso successivo. Cinque mesi di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 1 mese di affinamento in bottiglia (25 mila bottiglie complessive).

Negroamaro Salento Igp 2014 (13%): 4,90 euro in cantina
(4 / 5) 86/100

Bel colore, tutto sommato “giovane”. Naso pieno, di frutta precisa e tipica, con vezzi che ricordano l’oliva nera in concia di salamoia. Con l’ossigenazione, il nettare si apre a tinte di liquirizia, tabacco dolce, menta. Si fa sempre più netto il sentore di arancia sanguinella succosa, tendente al maturo, assieme a quello di fragolina di bosco.

In bocca il tannino è ben integrato e appena percettibile: quanto basta per far da perfetto contraltare alle note fruttate, piene e carnose. Godibile anche a temperature attorno ai 14 gradi. Due anni o più (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificato e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (70 mila bottiglie complessive).

Primitivo Salento Igp Rosso 2016 (13,5%):  5,60 euro in cantina
(4 / 5) 88/100
Colore leggermente più trasparente rispetto a quello del Negroamaro. Naso che rivela un vino più “austero”, “serio”, meno gioioso e con cui azzardare abbinamenti più importanti. Oltre al frutto, il nettare rivela un’impronta “animale”, di pellame, che ricorda il Montepulciano. Rosmarino netto, pepe nero, curry, lampone, ciliegia.

Ingresso di bocca “verde” garbato, che lascia spazio a ricordi di ciliegia. Il tannino in chiusura, leggero, asciuga e prepara al sorso successivo. Un Primitivo perfetto per una grigliata. Uno o più anni di elevazione in vasche di cemento vetrificate (a seconda del lotto) e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (30 mila bottiglie complessive).

Copertino Doc Rosso 2010 (13%): 5,90 euro in cantina
(3,5 / 5) 85/100
Colore rosso rubino pieno. Naso piuttosto timido, di un vino che attende nello scoprirsi. Vena ferrosa, ma anche “animale” al palato. Tanta macchia mediterranea, spezia, ma anche frutta come amarena e prugna). Corrispondente al palato, dove il punto forte è l’assoluta freschezza. Un vino che sembra fermo all’epoca di imbottigliamento.

Chiusura sull’alcol già avvertito al naso, forse un po’ troppo invadente. Due anni o più (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (150 mila bottiglie complessive).

Copertino Doc Rosso Riserva 2010 (13%): 7,40 euro in cantina
(4,5 / 5) 90/100

Bel colore, brillante, bel naso elegante. Arancia sanguinella, parte balsamica, mentuccia, liquirizia, origano. In bocca corrispondente: freschezza accentuata, tannino marcato, chiusura salina e fruttata, lunga. Tannino, frutto, sapidità: non manca niente.

Un vino in evoluzione, che fa dell’equilibrio il suo punto di forza. Quattro o più anni (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia: 300 mila bottiglie complessive. Il vero fiore all’occhiello di Cupertinum.

Copertino Doc Rosso Riserva 2009 “Settantacinque” (13%): 9,10 euro in cantina
(4 / 5) 88/100
Simile alla precedente Riserva, ma più esplosiva al naso. In bocca, “Settantacinque” non rivela la medesima eleganza. Un vino adatto a chi ama potenza e verticalità, ben calibrate. Quattro o più anni (a seconda del lotto) di elevazione in vasche di cemento vetrificate e almeno 9 mesi di affinamento in bottiglia (50 mila bottiglie complessive).

Degustazione a cura di Davide Bortone, Giacomo Merlotti e Gabriele Rocchi – WineMag.it

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degustati da noi vini#02

Etna Rosso Doc 2016 “Navigabile”, Ayunta

(4 / 5) Mettere i piedi sull’Etna, in senso vitivinicolo e non solo, è qualcosa che resta dentro. Ecco quindi che non si perde occasione per cercare, assaggiare e raccontare proprio i vini che arrivano dal vulcano. L’Etna Rosso DOCNavigabile” di cantina Ayunta ne è un esempio.

LA DEGUSTAZIONE
Rubino scarico e piacevolmente scorrevole nel calice. Naso che apre su note fruttate. Immancabile frutto rosso maturo con una bella freschezza di ribes e la dolce pienezza della prugna. Leggera nota speziata dolce come cannella e pepe bianco.

Intenso al palato risulta scorrevole grazie alla sua freschezza. Corpo pieno ed elegante con tannini vellutati ed una spiccata mineralità chiaramente percepibile. Perfetto compagno di primi piatti di terra o formaggi non molto stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Nerello Mascalese
in prevalenza con taglio di Nerello Cappuccio (10%). Poco meno di tre settimane di macerazione e fermentazione naturale con lieviti indigeni. Affinamento in botte grande per 14 mesi. Circa 5000 bottiglie prodotte.

Piccola realtà famigliare sul lato nord dell’Etna, a Randazzo, Ayunta punta su piccole produzioni che raccontino del territorio. Soli 2,8 ettari a 700 m s.l.m. dai quali nascono le 3 referenze della cantina. Vini bilanciati, freschi ed eleganti figli del suolo vulcanico.

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degustati da noi vini#02

Rosso Igp Puglia 2015 “Selvato”, Colli della Murgia

(3,5 / 5) Non è certo il solito rosso corpulento e opulento della Puglia il “Selvato” di Colli della Murgia. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, la vendemmia 2015 di una delle etichette simbolo della cantina.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino impenetrabile, pieno, carico. Naso dominato dai frutti rossi, con sentore netto di mora di gelso e marasca. Fanno da contorno richiami floreali di rosa bagnata. Con l’ossigenazione lo spettro si allarga a cuoio e radice di liquirizia, china, mentuccia.

Accenni minerali, salini, fanno da contraltare a sbuffi di tabacco dolce. Un olfatto che preannuncia un sorso fresco, di buona struttura, corrispondente al naso per le sensazioni fruttate. Tannino di buona eleganza, ben integrato, che si fa di cioccolato in centro bocca.

Chiusura di sufficiente persistenza in cui frutto, mineralità e note vegetali trovano il perfetto equilibrio. Un vino, “Selvato” 2015, in positiva evoluzione, già apprezzabile in accompagnamento a piatti importanti di carne, come la selvaggina, o primi a base di ricchi ragù di cacciagione.

LA VINIFICAZIONE
Nobile interpretazione – soprattutto nell’ottica qualità prezzo, che supera di poco i 10 euro – dei vitigni Aglianico e Primitivo, coniugati al territorio delle Murgia pugliese. I vigneti si trovano a 450 metri sul livello del mare, nella zona di Gravina in Puglia (BA).

Le uve vengono raccolte a mano e diraspate. La fermentazione avviene per circa due settimane a temperatura controllata, in acciaio. Il nettare staziona negli stessi serbatoi, prima di essere commercializzato al termine di 6 mesi di ulteriore affinamento in bottiglia.

Una cantina relativamente giovane, Colli della Murgia. Francesco Ventrincelli ne è il titolare. Da subito il focus è su una viticoltura di precisione, il più naturale possibile. L’azienda si trova all’interno del Bosco di Difesa Grande, nel territorio di Gravina in Puglia, in Contrada Zingariello.

La cantina è realizzata interamente in tufo e mazzaro, pietre locali che rendono gli ambienti costantemente freschi e privi di umidità. Non a caso, Colli della Murgia è una delle prime cantine che hanno ottenuto la certificazione biologica in Puglia.

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degustati da noi vini#02

Chianti Classico Docg Riserva 2015 Belvedere Campóli, Conte Guicciardini


“Quando i contadini della zona volevano il vino buono, è qui che venivano a cercarlo”. Affonda le radici in questa semplice constatazione la scelta del conte Ferdinando Guicciardini per i vigneti della prima Riserva della sua tenuta, a San Casciano in Val di Pesa.

Nasce così il Chianti Classico Docg Riserva 2015 “Belvedere Campóli”, che prende il nome dall’omonima località a sud di Firenze (cambia solo la “ò”).

Un progetto giunto a compimento nell’autunno scorso, a tre anni dall’acquisto di una proprietà di 8,5 ettari. Solo il primo tassello per la valorizzazione delle vocate colline fra Mercatale e Montefiridolfi.

LA DEGUSTAZIONE
Colore rosso rubino di grande limpidezza, poco trasparente. E’ così che si presenta alla vista la Riserva “Belvedere Campóli” 2015. Naso intenso e mutevole, grazie alla positiva azione dell’ossigeno nel calice. Alla classica vena vinosa iniziale del Sangiovese fa eco un frutto di bosco preciso, elegante, suadente.

Evidente il lampone, unito a richiami di viola e folate di muschio e terra bagnata. Un “naso” per nulla condizionato dai 14,5 gradi d’alcol in volume, molto ben integrati nel corredo olfattivo. Il Chianti Classico Riserva 2015 “Belvedere Campóli” si conferma garbato ed elegante anche al palato.

Ingresso e allungo sulla frutta precisa già avvertita al naso, in un gioco di perfetta corrispondenza. Centro bocca di gran freschezza, che conduce verso una chiusura minerale salina e di liquirizia.

Il tannino, ben integrato ma in evoluzione, si rivela su note di radice e contribuisce a un sorso di ottima pulizia. Caratteristiche che consentono di abbinare questo Chianti Classico a primi e secondi a base di carne rossa e selvaggina (stufati, arrosti e grigliate). Ottimo il rapporto qualità prezzo, attorno ai 25 euro.

LA VINIFICAZIONE
La Riserva è ottenuta da vigne di oltre trent’anni di età, situate fra i 300 e i 450 metri sul livello del mare. Sangiovese che viene raccolto a mano e condotto per la vinificazione al Castello di Poppiano di Montespertoli, proprietà della famiglia dal 1199. Prima della commercializzazione il vino matura in botti di rovere per almeno 24 mesi.

“Belvedere Campóli” è dunque il sigillo su un progetto di riqualificazione dell’omonima area che è destinato a crescere. La proprietà è stata di recente ampliata di altri 3 ettari e presto se ne aggiungeranno altri 2,5. “Il nuovo gioiello”, così come definito dalla famiglia toscana, è pronto a brillare.

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degustati da noi vini#02

Alta Langa Docg Brut 2013, Ettore Germano

(4 / 5) Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, uno spumante Metodo Classico piemontese: l’Alta Langa Docg Brut 2013 di Ettore Germano.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice (80% Pinot Nero 20% Chardonnay) il vino presenta un colore giallo paglierino intenso. Il perlage risulta fine e persistente.

Al naso la prima impronta è quella del lievito, seguita da frutta secca, nocciole, una leggera nota di tostatura, sentori floreali di biancospino, camomilla e un’impronta minerale.

L’ingresso in bocca è corpulento ma equilibrato e giocato su una vena fruttata tendente al maturo. Una sensazione di pienezza e avvolgenza rinvigorita dalla cremosità del perlage. Ritorni sapidi prima della chiusura, di sufficiente persistenza aromatica.

Il consiglio è quello di consumare l’Alta Langa di Ettore Germano a una temperatura di servizio pari o di poco superiore ai 6 gradi. Accompagnandolo con pasta fresca ripiena di pesce, o abbinandolo ad un aperitivo non banale.

LA VINIFICAZIONE
Come indicato dallo stesso produttore, l’uva arriva in cantina in cassette. Viene introdotta intera nella pressa, per l’estrazione e selezione del primo mosto fiore. La fermentazione avviene a temperatura controllata.

Lo Chardonnay matura in piccole botti di legno, mentre per il Pinot nero in vasche di acciaio, con batonnage piuttosto frequenti. Ad aprile si effettua il tiraggio, con aggiunta di lieviti selezionati.

La seconda fermentazione in bottiglia dura circa 4-6 mesi, poi il vino rimane sui lieviti per almeno altri venti mesi. In seguito alla sboccatura si ricolmano le bottiglie con solo vino spumante, senza aggiunta di liqueur. Dopo 3-4 mesi lo spumante inizia ad essere commercializzato.

LA CANTINA
La storia della famiglia Germano nelle Langhe affonda le radici nel 1856, nel comune di Serralunga d’Alba. Nel 1985 Sergio, figlio di Ettore, inizia a imbottigliare una parte del vino, che viene venduta ad amici e ai primi clienti privati della cantina in fase di sviluppo.

Anche grazie ai proventi delle vendite, Sergio Germano inizia ad acquistare vigneti attorno alla proprietà di famiglia. Dal 1993 inizia a vinificare e imbottigliare sul posto, a Serralunga d’Alba. Nel 1995 acquista un vigneto a Cigliè, in Alta Langa, che lo renderà noto per la produzione del Riesling “Hérzu”.

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Cantine degustati da noi news news ed eventi vini#02

I vini della Valle Isarco in 60 assaggi delle 19 cantine. E’ l’Alto Adige da scoprire


BRESSANONE –
Immaginate un lungo e stretto canalone dai fianchi ripidi, che lascia poco spazio all’uomo e tanto alla natura più selvaggia. Rotta solo dalle geometrie precise dei vigneti, fin sopra gli 800 metri d’altezza. Sarà capitato anche a voi di finire imbottigliati nel traffico della Valle Isarco, sull’arteria autostradale che collega Bolzano all’Austria.

E’ la legge del contrappasso di una delle terre del vino meno conosciute d’Italia. Tanto toglie in quel po’ di pianura concessa all’uomo, tanto regala sui clivi mozzafiato, grazie all’opera laboriosa di un gruppo ristrettissimo di viticoltori. Diciassette piccole cantine e due cooperative.

Sono loro l’anima della Valle Isarco. Forti e uniti in un’unica voce, in cui si distinguono le sfumature dei differenti terroir. Vignaioli che sanno di non essere né a Termeno né a Caldaro. Né a Cortaccia né a Santa Maddalena.

Ma non per questo in un territorio meno unico o meno meritevole di essere raccontato, “dalla montagna al calice”. Un’unione sancita da EisacktalWein, che dal 2015 ha fatto suo questo slogan.

E’ nato così un Consorzio che riunisce 19 produttori di vino della Valle Isarco e diverse strutture di accoglienza, ristorazione e promozione, “con l’intento di incoraggiare lo sviluppo del territorio favorendo i contatti interni tra i diversi soci e lo scambio di esperienze e informazioni”. Quando si dice “fare rete“.

A presiederla c’è il giovane Armin Gratl, già direttore generale di Eisacktaler KellereiCantina Valle Isarco, una delle due cooperative sociali della zona (l’altra è Kloster-Neustift, l’Abbazia di Novacella). Da soli, i due colossi controllano poco più della metà degli ettari vitati complessivi della Valle Isarco (400).

Un’area dall’anima bianchista, vista la predominanza dei vitigni a bacca bianca (89,25% contro i 10,75%). Tra questi gioca un ruolo dominante il Kerner (82 h – 20,5%), seguito da Sylvaner (69 h – 17,25%), Müller Thurgau (59 h – 14,75%), Gewürztraminer (51 h – 12,75%), Riesling (28 h – 7%) e Grüner Veltliner (25 h – 6,25%), seguiti a ruota da Pinot grigio (Grauburgunder), Pinot bianco (Weissburgunder), Sauvignon e Chardonnay.

Sul podio dei vitigni a bacca rossa lo Zweigelt (17,0 h – 4,25%), seguito da Blauer Portugieser (10 h – 2,5%), Schiava / Vernatsch (8 h – 2 %) e Pinot nero / Blauburgunder (8 h – 2%). Le bottiglie prodotte sono 2,2 milioni, con l’Italia che resta il mercato principale (75%) seguito da Europa (Germania e Svizzera in primis) e Paesi terzi quali Usa e Giappone (10%).

Si parla ovviamente di vini destinati all’Horeca, con le cooperative impegnate solo marginalmente nella Grande distribuzione organizzata, con cifre che sfiorano il 10% del totale prodotto. Del resto, lo stato di salute finanziaria delle “big” è buono.

Cantina Valle Isarco segna quest’anno un +6,5% sul fatturato, passando da 5,9 a 6,3 milioni di euro. Bene anche la cantina dell’Abbazia di Novacella: bilancio a 7,5 milioni, su un giro d’affari complessivo di 10,5.

Interessanti i progetti di sviluppo delle due cooperative. Cantina Valle Isarco punterà ancor più sulla specializzazione della produzione, attraverso la micro vinificazione in acciaio delle singole parcelle dei 135 conferitori.

Novacella, sotto la guida dell’enologo Celestino Lucin, ha inaugurato da poco la nuova cantina e mira a un incremento fino a 1 milione di bottiglie. Tra le novità del 2019 potrebbe esserci anche un’etichetta di Pinot nero vinificato in anfora.

I MIGLIORI ASSAGGI CON PUNTEGGI

Complessivamente alto il livello dei vini proposti in degustazione durante il nostro tour in Valle Isarco. Promettono bene anche i nettari ancora in vasca, o in affinamento in botte.

E le vecchie annate danno la misura del gran lavoro delle 19 cantine aderenti al circuito EisacktalWein, impegnate nel costante innalzamento qualitativo della Denominazione.

I fari della Valle Isarco, oltre alle due cooperative, sembrano essere ben definiti tra i vignaioli. Su tutti colpisce l’eclettico Florian Unterthiner, alla guida di Weingut Ebner. Benissimo anche Günther Kerschbaumer di Köfererhof Weingut.

Splendida tutta la linea di Markus Prackwieser (Gumphof): vero genio, in grado di produrre vini visionari, di grande longevità. Manni Nössing è invece il re del Kerner. E Bessererhof, grazie al duo Otmar e Hannes (padre e figlio da poco in cantina) regala il miglior Chardonnay della vallata.

Tra le sorprese, da assaggiare il Blaterle 2017 di Rielinger. E c’è anche la “bollicina” che non t’aspetti: sensata, verticale, minerale e “di terroir”, nel segno dei migliori Charmat italiani: il Brut “Isaras” di Cantina Valle Isarco, base Müller Thurgau e Sylvaner.

KERNER
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2017, Manni Nössing: 96/100
Südtirol Alto Adige Doc Kerner 2006 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella: 95/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2017, Köfererhof Weingut: 94/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2016 “Sabiona”, Eisacktaler Kellerei – Cantina Valle Isarco: 91/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner Passito 2016 “Nectaris”, Cantina Valle Isarco: 90/100

SYLVANER
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017 “Lahner”, Taschlerhof: 96/100
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017, Taschlerhof: 94/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Sylvaner 2010 “Sabiona”, Eisacktaler Kellerei – Cantina Valle Isarco: 90/100
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017, Weingut Garlider: 88/100
Südtirol Alto Adige Doc Valle Isarco Sylvaner 2017 “Gols”, Griesserhof: 86/100

MÜLLER THURGAU
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Müller Thurgau 2017 “Sass Rigais”, Manni Nössing: 88/100

GEWÜRZTRAMINER
Igt Mitterberg Gewürztraminer Kerner Passito 2015 “St. Cyrill”, Villscheider: 90/100

RIESLING
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Riesling 2016, Köfererhof Weingut: 96/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Riesling 2009, Köfererhof Weingut: 95/100
Südtirol Alto Adige Doc Riesling 2013 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella: 92/100
Igt Mitterberg Riesling 2017 “Viel Anders”, Rockhof – Weingut Rock: 90/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Riesling 2016, Rielinger: 89/100

GRÜNER VELTLINER
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Grüner Veltliner 2017, Weingut Ebner: 95/100
Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Grüner Veltliner 2017 “Gail Fuass”, Rockhof – Weingut Rock: 92/100
Südtirol Alto Adige Doc Grüner Veltliner 2016 “Praepositus”, Kloster-Neustift – Abbazia di Novacella: 91/100
Igt Mitterberg Grüner Veltliner 2016 “Muga Selection”, Spitalerhof: 88/100

PINOT GRIGIO / GRAUBURGUNDER
Südtirol Alto Adige Pinot Grigio Doc 2017, Wassererhof: 90/100

PINOT BIANCO / WEISSBURGUNDER
Südtirol Alto Adige Pinot Bianco Doc 2017, Weingut Ebner: 94/100
Südtiroler Alto Adige Pinot Bianco Doc Riserva 2016 “Fellis”, Bessererhof: 94/100
Südtirol Alto Adige Pinot Bianco Doc Riserva 2012 “Renaissance”, Gumphof – Markus Prackwieser: 94/100

SAUVIGNON BLANC
Südtirol Alto Adige Sauvignon Blanc Doc 2014 “Praesulis”, Gumphof – Markus Prackwieser: 92/100

CHARDONNAY
Südtiroler Alto Adige Chardonnay Doc Riserva 2016 “Fellis”, Bessererhof: 94/100
Südtiroler Alto Adige Chardonnay Doc Riserva 2004 “Fellis”, Bessererhof: 90/100

PINOT NERO / BLAUBURGUNDER
Südtirol Alto Adige Pinot Nero Doc 2016, Weingut Ebner: 92/100

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degustati da noi vini#02

Castel del Monte Rosso Doc 2015 Almagia, Giancarlo Ceci Agrinatura

(4 / 5) Torniamo ancora una volta in Puglia, nel pieno del Parco nazionale dell’Alta Murgia, per assaggiare il Castel del Monte docAlamagia“, annata 2015, prodotto da Giancarlo Ceci Agrinatura.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino intenso, riflessi violacei, per nulla trasparente. Si presenta così agli occhi, inteso e pieno. Al naso emergono subito note di frutti rossi, soprattutto ciliegie molto mature.

Seguono sentori di macchia mediterranea ed una nota terrosa. Gradevoli terziario di caffè macinato ed una leggera balsamicità mentolata.

In bocca è armonico e morbido. Buona freschezza che all’attacco del sorso veste il tannino facendolo emergere solo in un secondo momento.

Ed eccolo quindi il tannino, vellutato, che veste in modo delicato eppur deciso la bocca durante la buona persistenza. Persistenza durante le quale si avvertono nel retro olfattivo tutti i profumi sentiti al naso.

LA VINIFICAZIONE
Nero di Troia (60%) e Montepulciano (40%) da agricoltura biologica e biodinamica. Pigiatura soffice ed uso di lieviti indigeni. Rimontaggi giornalieri e macerazione di 10 giorni a temperatura controllata post fermentazione. Vinificazione, fermentazione malolattica ed affinamento di 4 mesi in acciaio.

Nessun utilizzo di solfiti aggiunti, l’azienda è infatti certificata Demeter dal 2011 e mantiene un approccio “green” per tutte le attività, non solo quelle legate alla produzione vitivinicola.

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degustati da noi news vini#02

Valtellina e Alto Piemonte: il Nebbiolo che convince a Vini Corsari 2018

BAROLO – Tutto bellissimo. Come in un omaggio onirico al re del “Barolo Contadino”, Beppe Rinaldi. Sfumature di Nebbiolo meno note rispetto a quelle delle Langhe, ma in grande spolvero a Vini Corsari 2018. Sembra quasi fatto apposta. Ma non lo è.

Le cantine della Valtellina e dell’Alto Piemonte illuminano la scena del Festival Europeo dei “vini artigianali” di Barolo a pochi mesi dalla scomparsa del “Citrico”. Avrebbe abbozzato un sorriso anche lui, degustando i rossi dei vicini di casa.

Una trentina i produttori artigianali intervenuti anche quest’anno su invito di Marta Rinaldi e dell’Associazione Culturale Giulia Falletti. Tanto spazio all’estero, come di consueto, per dimostrare che il vino abbatte le barriere e le stupide convenzioni dell’uomo. Francia, Portogallo, Spagna, Germania, Austria, Grecia, Repubblica Ceca. Tutti lì, sotto alle volte del castello. Ma anche tanta Italia, a tener alta la bandiera dei vini “non convenzionali”, con etichette di assoluta qualità.

Più alta, rispetto altri anni, l’incidenza di difetti nei vini stranieri. Un dato da tenere a mente per comprendere quanto il movimento dei “naturali” del Bel Paese stia crescendo, al netto della schiera di imbecilli e ultras che danneggiano l’immagine di onestissimi e validissimi produttori.

La palma di Corsari Doc, quest’anno, va alla Valtellina di Pizzo Coca, Barbacàn e Boffalora. Tre cantine che si muovono spesso assieme nelle fiere, in grado di rappresentare alla grande la tipicità eroica del Nebbiolo della Valtellina, localmente noto come Chiavennasca.

NEBBIOLO SUPERSTAR
La vera sorpresa – ma non per i lettori di Vinialsuper – è Pizzo Coca. Dopo varie peregrinazioni in giro per il mondo, il giovane bergamasco Lorenzo Mazzucconi ha deciso di mettere su un’azienda propria a Ponte in Valtellina.

Oggi è in grado di offrire un quartetto di assoluto rispetto, che va da un super “base” Igt Alpi Retiche 2017 (appena 9 euro in cantina, un affare) a un Inferno 2016 (25 euro), passando per Rosso di Valtellina e Grumello.

Vini che evidenziano lo stile di Mazzucconi, elaborato nel massimo rispetto del terroir e del vitigno: frutto e freschezza sempre centrali, in ogni assaggio. Ottima anche la batteria del più esperto Barbacàn (Angelo Sega e i figli Luca e Matteo). Splendido il Valgella “Pizaméj” 2016, succoso e di gran prospettiva.

Altissimi livelli anche per l’intera linea dell’Azienda Agricola Boffalora di Guglielmo Giuseppe, che raggiunge il picco col Valtellina Superiore Docg 2015 “La Sàsa”: frutto grasso, maturo e tannino giovane a riequilibrare un sorso lungo, ancora una volta giovane e promettente.

Un trio da nazionale, questo della Valtellina. Ma si difende benissimo, sempre col Nebbiolo, anche l’Alto Piemonte dell’Azienda Vitivinicola Barbaglia di Cavallirio (NO). A dir la verità, di questa cantina novarese, convince davvero tutto: dalla Croatina al Boca. Ma è “Il Silente” Nebbiolo 2016 a dare la cifra del gran lavoro di Silvia Barbaglia.

Altro vino da dimenticare in cantina, ma già in grado di dire tanto, specie se abbinato bene a tavola. Con la mineralità salina tipica della zona a fare da valore aggiunto a un frutto di gran precisione. Chapeau.

GLI ALTRI ASSAGGI DA RICORDARE
Tra i vignaioli italiani di Vini Corsari 2018 spicca anche l’Azienda Agricola Monte dall’Ora di Castelrotto (VR). L’Amarone Docg 2010 è spaziale e vale davvero tutti e 70 gli euro del prezzo, per la freschezza e la tipicità del sorso che riesce ad esprimere.

Splendido anche il Valpolicella Classico Superiore 2015, degustato in anteprima. Sarà in commercio da gennaio 2019 e conviene fare già la scorta (16 euro più Iva): altro rosso giocato sulla freschezza, con un tocco si spezia e di balsamicità a completare un frutto rosso croccante, da mordere.

Da mani nei capelli tutta la linea di De Fermo, produttore “naturale” dell’Abruzzo (Loreto Aprutino, per l’esattezza) incontrato da Vinialsuper, nei mesi scorsi. Su tutti, il Pecorino “Don Carlino” (17 euro) e l’eccezionale Montepulciano d’Abruzzo 2015 “Prologo” (27 euro), oltre al commovente Pecorino Passito “Pie’ di Tancredi” (17 euro).

Fuori dai confini italiani, sbandando tra una volatile alle stelle e l’altra, si incontrano ottimi produttori come Eric Texier. Siamo nella parte Nord della Valle del Rodano. A convincere è il Saint-Julien en Saint-Alban 2016, biologico non filtrato di Syrah su suolo granitico, da vigne vecchie. Prezzo eccezionale per un vino di prospettiva come questo:  14 euro.

Molto buono anche il Mâcon Verzé 2017 “Le Chemin Blanc” di Nicolas Maillet, vignaiolo della Borgogna. Un bianco adatto a chi ama le percezioni saline forti, dure, con la mineralità iodica a spingere sin dalla prima olfazione e ad accompagnare tutto il sorso. Splendida la chiusura su una dosata percezione di tannino, dovuta alla raccolta volutamente anticipata dello Chardonnay in vigne di oltre 80 anni.

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degustati da noi news vini#02

Mercato Fivi 2018: i migliori vini sotto e sopra 15 euro


PIACENZA – Vinialsuper a caccia di vini qualità prezzo al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2018 di Piacenza. Quelli che seguono sono i nostri migliori assaggi Fivi sotto e sopra i 15 euro (franco cantina). Più che mai alta la qualità delle etichette in degustazione tra i 600 vignaioli che hanno preso parte alla Fiera dei record (18.500 accessi nel weekend del 24 e 25 novembre).

Tra i “fenomeni” dell’edizione si segnala lo spopolare dei rifermentati, non sempre in grado di valorizzare il varietale, figli di una rincorsa alla “spumantizzazione” dai risvolti non sempre positivi, neppure tra i vignaioli. D’altro canto si consolida il movimento dei Piwi, con l’ottima Villa Persani (TN) a fare da portabandiera fuori dai confini del Trentino.

Mediamente alta, tra i vignaioli Fivi presenti al Mercato 2018, la qualità dei rosati, con tre etichette che entrano di diritto nella nostra speciale classifica qualità prezzo. Strepitosi alcuni rossi, tra cui emerge il Barolo Bussia 2013 di Giacomo Fenocchio (CN) e il sorprendente Pinot Nero toscano di Podere Fedespina (MS).

Conferma assoluta, tra i vini da dessert, per un’eccellenza tutta italiana come il Vino Cotto Stravecchio della cantina Tiberi David (MC). Tra gli assaggi del Mercato Fivi 2018 anche tanti bei vini rossi “leggeri”, “quotidiani”, tutt’altro che banali: su tutti Montepulciano “Bastian Contrario” de La Marca di San Michele (AN). Ecco la lista completa.

VINI SOTTO AI 15 EURO

Bollicine
Vino bianco Frizzante 2018 “La prima volta”, Vigne al Colle (PD): 7 euro
Vino Spumante Brut Nature Bio “Silvo”, Villa Persani (TN): 8 euro

Bianchi
Gavi Docg 2016 “Terrarossa”, La Zerba (AL): 7 euro
Colli Romagna Centrale Bianco Doc “Opera 5”, Tenuta de’ Stefenelli (FC): 8 euro
Durello Igt Veneto 2016-2017 “io Cloe”, Cantina Tonello (VI): 8 euro
Provincia di Pavia Igt “Arò”, Castello di Stefanago (PV): 10 euro
Vigneti delle Dolomiti Igt Chardonnay 2016 “Felix”, De Tarczal (TN): 10 euro
Umbria Igt Grechetto 2016 “Rigaldo”, Bettalunga (PG): 10 euro
Puglia Igt Verdeca “Striale”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Igt Terre Lariane Bianco “Brigante Bianco” 2017, La Costa (LC): 12 euro
Igt Terre Siciliane Bianco Traminer 2016, Enò-Trio (CT): 12 euro
Igt Terre Siciliane Bianco Carricante 2017, Enò-Trio (CT): 12 euro

Rosati
Puglia Igt Rosato 2017 “Ghirigori”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Rosato 2017 “Crêuza”, Azienda Agricola Deperi Luca (IM): 13 euro
Alto Adige Doc Merlot rosato 2017 “Kotzner”, Armin Kobler (BZ):14 euro

Rossi
Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc “Violin” 2017, Tosi (PV): 5 euro
Colli Euganei Doc Cabernet Franc 2017, Vigne al Colle (PD): 6 euro
Vino Rosso “Sasso”, Azienda Agricola Sandrin (TV): 6,10 euro
Colli Tortonesi Doc Barbera 2015 “Languia”, La Vecchia Posta (AL): 10 euro
Dolcetto d’Alba Doc Superiore 2016, Az. Agr.  La Contrada di Sorano (CN): 10 euro
Trentino Doc Superiore Marzemino d’Isera, De Tarczal (TN): 10 euro
Chianti Docg “Rex Rubrum”, Società Agricola Quei2 (FI), 10 euro
Umbria Igt Sangiovese 2015 “Mattata”, Bettalunga (PG): 10 euro
Puglia Igt Primitivo 2017 “Lenos”, Tenuta Patruno Perniola (BA): 10 euro
Marche Rosso Igp 2016 “Bastian Contrario”, La Marca di San Michele (AN): 12 euro
Rosso di Montepulciano Doc 2017 “Il Golo”, Il Molinaccio (SI): 12 euro

VINI SOPRA AI 15 EURO

Spumanti
Oltrepò pavese Metodo classico Pas Dosé Docg 2015, Tenuta Belvedere (PV): ?? euro, spumante non ancora in commercio (24 mesi sui lieviti)
Lessini Durello Doc Spumante Metodo Classico “io Teti”, Cantina Tonello (VI): 15 euro
Franciacorta Docg Brut 2015, Corte Fusia (BS): 20 euro
Gavi Docg Spumante 2011 “Francesca Poggio”, Il Poggio di Gavi (AL): 25 euro

Bianchi
Offida Pecorino 2015 “Bàkchai” barrique, Vigneti Bonaventura (AP): 16 euro
Vino bianco Marche Igt 2016 “Raphael”, Tenuta Ca’ Sciampagne (PU): 15 euro
Igt Terre Lariane Bianco “Solesta”, La Costa (LC): 18 euro
Barbagia Igt 2016 “Delissia”, Cantina Canneddu (NU): 25 euro

Rossi
Alto Adige Doc Cabernet Franc 2015 “Puit”, Armin Kobler (BZ): 16 euro
Colli Orientali del Friuli Doc Pignolo 2009, Castello Santanna (UD): 30 euro
Toscana Igt Pinot Nero 2015 “Fedespina”, Podere Fedespina (MS): 35 euro
Barolo Bussia Docg 2013, Giacomo Fenocchio (CN): 45 euro
Toscana Igt Merlot 2013 “Cà”, Podere Fedespina (MS): 25 euro

Dolci
Vino Cotto Stravecchio 2006 “Occhio di Gallo”, Tiberi David (MC): 25 euro

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Francesco Moser, Trentodoc da borraccia. In serbo la Riserva

TRENTO – Sembra di vederlo ancora lì, “su strada”. A bruciare chilometri e avversari. Anche mentre sorride contagioso, con indosso il vestito buono. E quella camicia che lascia trasparire la maglietta della salute. Bianca. Ma per tutti ancora “rosa”, almeno di riflesso.

Un giro d’Italia e tre Parigi-Roubaix, a coronare un gran bel palmarès. Lui, la sua bicicletta. E una borraccia. Stai a vedere, piena di TrentodocFrancesco Moser non ce lo dirà mai. Ma i suoi spumanti di montagna parlano chiaro. Dritti, essenziali. Timidi, a tratti. Eppure pronti a esplodere nell’allungo. Sul traguardo. Spumanti in salita. Spumanti sudati, secchi. Verticali.

Spumanti a denti stretti, che lo zucchero è per ragazzini. Spumanti da borraccia. Dalla bici, quell’omone dagli occhi grandi e profondi, è sceso ormai trent’anni fa. Oggi supervisiona altre volate. Quelle imposte agli spumanti Trento Doc della sua cantina di Maso Warth, sopra Trento. In ogni sorso, il rigore d’un tempo.

La stessa disciplina con la quale dev’essere cresciuto Carlo, il figlio maggiore, artefice del rilancio del marchio assieme al cugino Matteo Moser, enologo, e alla sorella Francesca. Una bella famiglia, con un progetto in testa: dalla vigna alla cantina, per dare senso e compimento a una rivoluzione iniziata nel 2011.

LA NOVITA’
La gamma di spumanti Moser è ampia il giusto. I prezzi più che mai abbordabili: non sia mai che qualcuno pensi che il ciclista si sia montato la testa. O, peggio, voglia sfruttare la popolarità per un euro in più al calice. Neanche per idea. Eppure, la gemma deve ancora arrivare: uno spumante Trentodoc “Riserva”.

Una nuova etichetta, dunque. Che oggi sta riposando in cantina e attende solo il momento giusto per essere messa in commercio. Si tratterà, presumibilmente, di un millesimato 2011 o 2013 (ma è solo una supposizione). Minimo 100 mesi sui lieviti (questa, invece, è una certezza).

Ad anticiparlo è l’intera famiglia, che ieri ha accolto la stampa di settore a Maso Warth. A dare un senso all’ambiziosa etichetta del futuro, due verticali che hanno dimostrato la buona tenuta nel tempo dei nettari di casa Moser.

LA DEGUSTAZIONE
Brut Nature 2015 / 2011 e “51,151” Brut sboccatura 2015, 2014 e 2011 (indietro, dunque, fino alla vendemmia 2008). Un tasting utile a scoprire quanto sia cresciuta la cantina, in termini di consapevolezza dei propri mezzi, negli ultimi anni.

Splendida di fatto, tra le nuove annate, la vendemmia 2015 di Nature, non ancora in commercio: farà parlare di sé, nell’allungo, per la sua longevità e il suo stile purista, che disegna un Trentodoc dominato da note agrumate, calcaree e saline. L’essenza della semplicità, che si tramuta in complessità.

Percezione dei lieviti pressoché bandita in casa Moser, col varietale dello Chardonnay e del suo terroir sempre in primo piano (eccezion fatta per la vendemmia 2014, la più dura da “portare a casa” intatta). Ottima la 2013, sempre di Brut Nature, in commercio dal prossimo anno: naso più largo ed espressivo dei precedenti, con esotico e salino d’alga.

Note fumè e di pietra focaia nel 2012 (sboccatura 01/2018). Al naso verbena, ginestra, fiori di vaniglia. Bella spalla acida al palato, a sorreggere note pacate di miele. In forma – anche se non proprio da urlo per un utilizzo del legno troppo invasivo – la 2011, all’inizio del lavoro di conversione della produzione verso più alti standard qualitativi (presto arriverà anche la certificazione bio).

Tra le annate del Brut “51,151” a colpire è invece la 2014: quella da portare a casa, oggi. Bocca elegantemente austera, bel frutto, sapidità. Non le manca nulla. Per gli amanti delle (piacevoli) ossidazioni, da provare la 2011: colore giallo carico che fa presagire un naso mieloso, che in bocca troverà corrispondenza con l’esotico maturo.

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Vini Corsari 2018 a Barolo: ecco l’elenco delle aziende partecipanti

BAROLO –  Il 2-3 dicembre torna per il sesto anno consecutivo Vini Corsari, il Festival Europeo dedicato al vino artigianale, ospitato nel suggestivo Castello Comunale Falletti di Barolo.

Due giorni di degustazioni e vendita al pubblico, e la possibilità di conoscere trenta vignaioli provenienti da Italia, Portogallo, Spagna, Francia, Grecia, Germania, Austria e Repubblica Ceca.

 

LE AZIENDE PARTECIPANTI

Portogallo

COZ’s (Lisboa)

Humus – Encosta da Quinta (Lisboa)

Quinta da Vacariça (Bairrada)


Spagna

Matias i Torres (Canarias)

Iago Garrido (Ribeiro)

Quinta da Muradella (Monterrei)

Tentenublo (Rioja)


Francia

Les Maisons Rouges (Loire, Jasnières)

Pierre Péters (Champagne)

Domaine Kreydenweiss (Alsace)

Chandon de Briailles (Bourgogne)

Nicolas Maillet (Bourgogne, Mâcon)

Domaine Robert Denogent (Bourgogne, Mâcon Pouilly Fuissé)

Domaine Chamonard (Beaujolais)

Château Cambon (Beaujolais)

Eric Texier (Rhône)


Germania

Weingut Wasenhaus (Baden)

Stefan Vetter (Franconia)


Repubblica Ceca

Ota Sevcik (Boretice)


Austria

Zillinger (Weinviertel)


Grecia

Dalamara (Naoussa)


Italia

Azienda Vitivinicola Barbaglia (Piemonte)

Azienda Agricola Pizzo Coca (Lombardia – Valtellina)

Azienda Agricola Boffalora (Lombardia – Valtellina)

Azienda Vinicola Barbacan (Lombardia – Valtellina)

Weingut Pranzegg (Trentino Alto Adige)

Azienda Agricola Zidarich (Friuli Venezia Giulia)

Azienda Agricola Monte dall’Ora (Veneto – Valpolicella)

Casa Coste Piane (Veneto – Valdobbiadene)

Cantina De Fermo (Abruzzo)

Fonterenza (Toscana)

Azienda Agricola Natalino del Prete (Puglia)

Tenuta di Valgiano (Toscana)

Azienda Agricola Altura (Toscana – Isola del Giglio)

Enoteca Regionale del Barolo – Assagio Barolo Istituzionale 2014

Miele

Possibila Editore


VINI CORSARI
L’idea del festival nasce alla fine del 2013 con il desiderio di creare uno spazio comune per quei produttori che condividono un approccio artigianale al vino, che credono nel valore dei vitigni locali e dei terroir, che tutelano e valorizzano attraverso una viticoltura rispettosa dell’ambiente e volta ad esercitare e approfondire i saperi e le pratiche delle generazioni passate.

Vini Corsari si ispira inoltre all’opera Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini: un omaggio allo scrittore e alla raccolta dei suoi articoli che condannano l’omologazione culturale e la perdita di diversità e di individualità locali italiane a favore del consumismo e delle mode. L’ambizione pasoliniana di un approccio ancorato alle tradizioni e agli aspetti identitari dei territori è lo stesso che si rivendica quando ci si accosta al tema del vino.

Lungo questa rotta, Vini Corsari intende sorpassare il contesto nazionale, mettendo in luce il patrimonio vinicolo e culturale europeo che i vignaioli serbano e valorizzano.

Il Castello Comunale Falletti di Barolo ospiterà i vignaioli corsari con il loro spirito filibustiere e goliardico nei giorni di domenica e lunedì, così da permettere a tutti, appassionati di vino e lavoratori nel settore enogastronomico, di partecipare al Festival e conoscere le diverse aziende che cambiano di anno in anno.

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Il Sangiovese “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni. Ovvero perché Chiusi vale bene una Doc

SIENA – Non chiamatelo profeta senza patria. Perché una patria, Fabio Cenni, ce l’ha. Si chiama Chiusi. Il patron dell’Azienda agricola Colle Santa Mustiola si presenta a Sangiovese Purosangue con una verticale 1997-2010 da far tremare i Brunelli.

E col sostegno del giornalista Andrea Gabbrielli chiede una Doc, ovvero una Denominazione di origine controllata, per una delle aree “meno considerate dalla critica enologica italiana”. Chiusi, per l’appunto. Molto più di una boutade goliardica.

Un “torto” che non ha ragione d’esistere, vista la forma strepitosa di tutte le annate in degustazione ieri pomeriggio al foyer del Teatro dei Rinnovati, presso il Palazzo comunale di piazza del Campo, a Siena.

“Chiusi – ha spiegato Davide Bonucci, one man company di Enoclub Siena e ideatore del format sul re dei vitigni toscani – è uno di quei territori non particolarmente mediatici che meritano invece di essere celebrati attraverso i vini lì prodotti. Un’area che non fa massa critica come altre e, forse per questo, non gode della considerazione che merita”:

LA DEGUSTAZIONE
Se non lo hai mai incontrato prima, il Sangiovese “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni (nella foto sopra) rischia di sembrarti piombato sul Pianeta Terra come Superman. Un meteorite nel calice. A maggior ragione dopo aver degustato – meno di 24 ore prima – oltre 200 sfumature del vitigno all’anteprima di Purosangue 2018, rinvenendo “solo” un 10% dei campioni sopra i 90 punti.

Già. Qui siamo di fronte a una delle migliori sublimazioni del Sangiovese in purezza. SI tratta, di fatto, del risultato di un lungo lavoro di selezione clonale che ha portato Cenni a selezionare 28 cloni “Superman” di Sangiovese. “Quelli che mi assicuravano longevità”, spiega il produttore con un filo d’orgoglio, mentre i calici cominciano a tingersi d’un rosso rubino lontano dalle tinte attese per le annate più vetuste.

E’ lì che si inizia a capire di che razza sono i vini di Chiusi. Dall’esame visivo. Zero “unghie aranciate” per dirla alla Treccani del sommelier. Tenuta perfetta. E quando al naso la vendemmia 1997 butta fuori richiami mielosi leggerissimi e garbati, ad accompagnare note di scorza d’arancia, ginger candito e cuoio, capisci di esser davanti a un supereroe di rosso. Un moikano toscano.

Peccato non alzi altrettanto la cresta al palato, che evidenzia solo reminiscenze della gloria che fu, neppure troppo tempo fa: bella concentrazione ma corredo monocorde, col sorso ormai troppo teso sulla sola freschezza. Resta comunque un assaggio da ricordare, pur non in termini di complessità.

Strepitosa, invece, la vendemmia 2002. Colore carico, naso che si accende come il semaforo verde della Formula Uno, alla griglia di partenza. Frutto rosso carnoso, succoso, ma anche toffee e macchia mediterranea, con alloro e salvia a conferire balsamicità, prima al naso e poi al sorso. Fresco e sapido, per tornare al forziere della linguistica sommelier. Col fiore che vira dalla rosa appassita alla viola, per azione di sua Provvidenza, l’Ossigeno. Miglior annata assoluta della verticale.

Una nota verde netta contraddistingue invece il naso della vendemmia 2003, unita alle ormai consuete tinte balsamiche e iodiche, che si mescolano a una speziatura sul filo del rasoio del “piccante”. Un tannino integrato, ma vivo, asciuga forse troppo presto il sorso su note di buccia di arancia disidratata.

La vendemmia 2004 è l’altra annata da ricordare. E pensare che parte chiusa, timida, impacciata. Poi, il Sangiovese inizia a fare il Sangiovese. Ti prende per mano il naso sulla macchia mediterranea, con un gioco d’alloro, rosmarino e mentuccia. Poi di liquirizia e di cuoio, che non coprono del tutto la carnosità del frutto rosso.

In bocca, quest’annata di “Poggio ai Chiari” di Fabio Cenni si rivela compatta, strong. Tattile. Chiusura splendida, sapida e fruttata. Il patron di Colle Santa Mustiola ci crede talmente tanto da averne conservate 2 mila bottiglie, pronte ad essere messe in commercio nei primi mesi del 2019: obbligatorio accaparrarsene almeno un paio.

Vendemmia 2005, quella del giro di boa. Naso tra i più “morbidi” della batteria, ma non è vaniglia: è frutto. Succo di frutto di cloni di Superman Sangiovese. Corrispondenza gusto olfattiva perfetta, su note tendenti al maturo garbato, dosato, centellinato.

Segno di una raccolta e di una selezione perfetta dei grappoli, in vigneto. Che goduria quando il naso vira sul tabacco, mentre in bocca la percezione del tannino pare perfetta per controbilanciare il frutto. Chapeau.

Bel palato fresco e sapido per le vendemmie successive (2006 / 2010), le più “giovani” presenti alla verticale, ancora non pronte ma già in grado di dire più di una parola sull’andamento delle annate e sulle prospettive future.

Di fatto, si distinguono bene l’una dall’altra. La 2009 ricorda per certi versi la 2005, con i suoi richiami di frutta matura: sorprende, addirittura, come una delle più godibili già oggi, potendo contare su una freschezza invidiabile e una chiusura di sale e spezie. La 2007 è certamente tra le espressioni più eleganti del “Poggio ai Chiari”, ma deve ancora assestarsi il tannino, che domina il finale.

Anche le vendemmie 2008 e 2010 paiono simili nel calice, per il loro timido affacciarsi al mondo esterno: è troppo presto per giudicarle, ma saranno sicuramente all’altezza di un nome, “Poggio ai Chiari”, che merita – se non una Doc – almeno la ribalta delle cronache enologiche.

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Nittardi: dove vino ed arte si incontrano

Vino e arte. Questo è il binomio che Nittardi porta avanti fin da quando Stefania Canali e Peter Femfert hanno acquisisto la proprietà nel 1981. Siamo a Castellina in Chianti, nel cuore della zona di produzione del Chianti Classico, cui si aggiungono nuovi terreni in Maremma alla fine degli anni ’90.

Dal 2013 l’azienda è sotto la guida di Léon Femfert, che dopo alcune esperienze in varie zone vinicole ha deciso di dedicarsi alla proprietà di famiglia. Quindici gli ettari vitati in Chianti più altri quindici in Maremma, 130.000 bottiglie prodotte, conversione a regime Bio iniziato nel 2014 e completato con la vendemmia 2017.

LA DEGUTAZIONE
Chianti Classico DOCG 2016, Casanuova di Nittardi, Vigna Doghessa. Sangiovese in purezza da singola vigna che affina 14 mesi in tonneaux di rovere francese ed altri 4 in cemento. Fruttato al naso con chiari sentori di ciliegia e mora seguiti da erbe aromatiche e leggere nota speziata. In bocca il sorso è pieno ma scorrevole per la viva acidità ed il tannino morbido.

Chianti Classico DOCG 2015, Belcanto. 90% Sangiovese e saldo da vitigni locali come Colorino, Canaiolo e Malvasia Nera. Affinamento di 12 mesi in botti da 500 litri e 30 ettolitri. Elegante al naso, ove frutta rossa e spezie delicate si alternano. Leggero sentore “verde” che si avverte anche in bocca. Di buon corpo e con tannino vivo chiude con finale fresco e mediamente persistente.

Maremma Toscana DOC 2015, Ad Astra. Sangiovese 40%, Cabernet Sauvignon 25%, Merlot 20%, Sirah 5%, Cabernet Franc 5% ed un 5% di “vitigni segreti”. Quattordici mesi di affinamento in barrique nuove ed usate. Colore profondo e naso intenso. Più nette le note terziarie rispetto ai vini precedenti. Pepe, radici aromatiche come liquirizia e rabarbaro, leggera nota di vaniglia. Tannino leggermente ruvido e buona freschezza fanno pensare ad un prodotto “da aspettare”.

Chianti Classico Riserva DOCG 2015, Riserva Nittardi. Sangiovese in prevalenza con 5% di Merlot a saldo. Due anni di affinamento in tonneaux. Naso ricco. Macchia mediterranea, ciliegia, prugna. Buon terziario di spezie ed una leggera nota ematica. In bocca non delude, morbido ed avvolgente, di buona freschezza e con tannino ancora ben presente. Elegante e lungo il finale.

Toscana IGT 2008, Nectar Dei. Cabernet Sauvignon 55%, Petit Verdot 20%, Merlot 20%, Sirah 5%. Due anni di barrique e tonneaux sia nuovi che usati. Mora, lampone e ribes. Poi pepe, tabacco, liquirizia, cuoio ed la dolcezza della vaniglia. Pieno, di corpo e grande morbidezza. Tannino vellutato e grande persistenza. Come dire “dieci anni e non sentirli”.

VINO E ARTE
È la storia stessa della tenuta Nittardi ad aver ispirato Stefania e Peter a questo binomio. Risale al 1183 il primo documento in cui si parla di “Villa Nectar Dei“, casa di Monaci Benedettini dediti, fra l’altro, alla viticoltura. Risale invece al 1549 l’acquisto di Nittardi da parte di Michelangelo Buonarroti. Ecco quindi che alla produzione vinicola si affianca l’idea di far realizzare ogni anno un’etichetta ed una carta d’imballo da un artista internazionale.

Sono ormai 73 le opere esposte in azienda. Una sorta di piccolo museo che si affianca alle annate storiche presenti in cantina.

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Ecco Troy, lo Chardonnay di montagna di Cantina Tramin


MILANO –
Metti nel calice 8 Chardonnay internazionali e prova a “beccare” quello di Tramin. Stile inconfondibile, impresa tutto sommato facile. Anche per chi di cognome non fa “Gardini”. E’ andata più o meno così, martedì pomeriggio, al Vun di Andrea Aprea.

Cantina Tramin ha scelto l’elegante ristorante di via Silvio Pellico, due stelle Michelin nel cuore di Milano, per presentare l’Alto Adige Doc Chardonnay Riserva 2015 “Troy“. L’ultimo gioiello dell’invidiabile collezione della cooperativa di Termeno (BZ), prodotto in 90 Magnum e 3120 bottiglie da 0,75, con un  prezzo medio in enoteca di circa 65 euro.

Carte, pardon “calici”, mescolati sul tavolo per mostrare l’identità montana dell’etichetta Tramin, oltre al suo valore. Alla cieca sono stati serviti Maltendinger Bienenberg Magnum 2015, Gaia & Rey Langhe Chardonnay Dop 2015, Troy Chardonnay Riserva Sudtirol Alto Adige Doc 2015, Cervaro della Sala Umbria Igt 2015, HdV Hyde Vineyard Chardonnay 2015, Chardonnay Mount Eden Vineyards 2013, Chassagne-Montrachet 1er Cru “Les Vergers” 2015, Croton-Charlemagne Grand Cru 2015.

Un’idea, appunto, di Luca Gardini. Che ha condotto i giochi, assieme al kellermaister di Tramin, Willi Stürz e al direttore commerciale Wolfgang Klotz. Se è vero che “Troy”, nell’antica lingua locale, significa “sentiero” – nome scelto da Tramin per evocare il lungo percorso compiuto dalla fondazione, avvenuta nel 1898 – dall’altro la nuova etichetta di Chardonnay è risultata il “cavallo di Troia” del tasting.

LA DEGUSTAZIONE
Giallo oro intenso, naso che spazia dagli agrumi ai fiori di vaniglia, fino al completo sbocciare del carattere alpino e minerale di “Troy”, giocato tra la menta e la liquirizia.

Consueta eleganza al palato, nel pieno stile Tramin: muscoli e cravatta per il rincorrersi di note agrumate ed esotiche mature, bilanciate da gran freschezza e percezioni iodiche eleganti che accompagnano il lungo finale.

Non a caso le uve Chardonnay utilizzate per Troy erano impiegate finora come importante componente della prestigiosa cuvée Stoan.

Le prove per una vinificazione in purezza della selezione sono iniziate nel 2002. Svolta decisiva nel 2014 e prima uscita ufficiale l’anno successivo. I vigneti si trovano in località Sella, sul versante orientale del massiccio della Mendola.

Si collocano tra 500 e 550 metri d’altezza, quindi in posizione più avanzata rispetto a quelli di Gewürztraminer con cui si produce Epokale, il primo vino bianco italiano premiato con 100/100 dalla guida Robert Parker Wine Advocate.

Hanno un’età media di 25 anni e sono allevati in parte a guyot e in parte attraverso la pergola semplice aperta, con pendenze che vanno anche oltre il 30%. L’’esposizione è a sud-est e gode di giornate calde e soleggiate, con forti escursioni termiche notturne e la presenza di correnti fredde provenienti dalle montagne. I terreni sono composti da ghiaia calcarea mista ad argilla.

“Nel nostro territorio – evidenzia Willi Stürz – per molti anni lo Chardonnay coltivato a quote elevate non era apprezzato, a causa della sua struttura esile. Con il passare del tempo abbiamo compreso come le piante potevano trovare il proprio equilibrio e ad avere basse rese in modo naturale, con un minimo intervento di regolazione delle quantità. Questo ci ha consentito di raggiungere i risultati odierni, di cui siamo molto soddisfatti”.

LA SFIDA INTERNAZIONALE

Per la prima edizione di Troy è stata scelta la vendemmia 2015, annata eccellente per i vini bianchi dell’Alto Adige. Durante la raccolta le uve sono state attentamente selezionate, con un controllo acino per acino.

La fermentazione è avvenuta in barrique, dove il vino ha sostato per undici mesi sui lieviti, compiendo anche la fermentazione malolattica. Troy è stato dunque travasato in contenitori di acciaio per un’ulteriore maturazione sui lieviti di 22 mesi. La chiarificazione è avvenuta quindi per precipitazione spontanea prima dell’imbottigliamento.

“Lo Chardonnay – aggiunge Wolfgang Klotz – è la varietà con cui si producono alcuni tra i più grandi vini bianchi del mondo, ma al tempo stesso è anche una tra le più diffuse ad ogni latitudine. Un vitigno che ci fornisce spettacolari esempi di versatilità e che noi vogliamo arricchire con la nostra interpretazione: un’inconfondibile espressione della terra alpina in cui viviamo”.

In tavola si abbina a carpaccio di pesce, salmone marinato o capesante. Troy è perfetto poi con primi piatti saporiti, come un risotto al limone o un tagliolino al tartufo, oppure piatti della tradizione alpina, come canederli ai funghi, Salmerino di Fontana al forno, tartara di vitello o formaggi di capra.

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Analisi e Tendenze Vino degustati da noi news vini#02

Basilicata vs Veneto: scontro (amichevole) fra tradizioni enologiche

Cosa succede se proviamo ad accostare l’Aglianico del Vulture a ai rossi del Veneto? Ha provato a rispondere alla domanda Cantina di Venosa con una sorta di sfida amichevole fra due dei propri vini e due vini, veneti per l’appunto, di cantina Balestri Valda.

La degustazione, guidata dal presidente Ais Basilicata Eugenio Tropeano, è stata una sorta di sfida amichevole fra due territori e due tradizioni distanti non solo geograficamente. Una sfida senza vincitori né vinti. Una comparata che ha dato modo di apprezzare le sfumature di due terroir.

LA DEGUSTAZIONE
Terre di Orazio Aglianico del Vulture, 2015. Cantina di Venosa. Vinificazione in acciaio ed affinamento in botte grande per 15 mesi. Un vino strutturato dal colore da colore rubino, quasi purpureo. Subito al naso di frutti rossi maturi, a tratti frutta macerata.

Poi pepe, caffè, fava di cacao. In bocca entra deciso, i 14% si fanno sentire ma sono immediatamente vestiti dalla piacevole morbidezza e freschezza. Scorre bene in bocca ed il tannino è perfettamente integrato nella struttura del vino.

Veneto Igt “Scaligero”. Cantina Balestri Valda. Uve Cabernet Sauvignon e Merlot. Fermentazione alcolica e malolattica in acciaio, affinamento per 24 mesi in barrique. Rosso rubino per nulla trasparente. Evidente nota vegatale al naso, erbacea e di peperone verde.

Fruttato evidente ed una nota speziata più marcata rispetto al vino precedente. Rotondo e morbido al palato ha un tannino ben integrato nel sorso. Meno persistente del Terre di Orazio.

Ex equo. Due vini troppo diversi per poter decretare un vincitore il primo round si chiude con un nulla di fatto: 1 a 1, palla al centro in attesa dei fuoriclasse.

Carato Venusio Aglianico del Vulture 2013. Il top di Cantina di Venosa. Vinificazione e fermentazioni alcolica e malolattica in acciaio, affinamento in piccole botti (carati, per l’appunto) di rovere francese per due anni e per minimo 12 mesi in bottiglia. Vino di grande spessore dal colore rosso rubino tendente al granato. Naso elegante. Frutti rossi maturi che giocano a nascondino con la ciliegia sotto spirito. Spezie a volontà, pepe, liquirizia, tabacco, cuoio.

Grande balsamicità ed una nota mentolata a chiudere uno spettro olfattivo di grande eleganza. Morbido, molto sapido e di grande freschezza. Tannino setoso. Un vino di grande prospettiva, ottimo servito a tavola, darà il meglio di sé dimenticato in cantina per un po’ di anni.

Amarone della Valpolicella 2012. Punta di diamante di Cantina Balestri Valda. Di colore più scarico dell’Aglianico è meno scorrevole nel bicchiere. Cacao, caffè, tabacco dolce. Frutta sotto spirito. In bocca è caratterizzato da grande freschezza e morbidezza. Il tannino è levigato ed accarezza il palato in modo vellutato. Anche in questo caso un vino dalle ottime prospettive.

Anche qui è impossibile decretare un vincitore. Due terroir, due tradizioni. Vitigni e metodi di vinificazione così diversi che è impossibile porli a paragone. Interessante però l’esperienza e la possibilità di giocare arricchendo la propria esperienza.

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Ferrari punta sul Pinot nero Trento Doc: Giulio Ferrari Rosé Riserva del Fondatore 2006

TRENTO – Cantine Ferrari punta sul Pinot Nero e annuncia la novità dell’anno per i Trento Doc: il Giulio Ferrari Rosé Riserva del Fondatore 2006.

Una tappa importante nella storia ultrasecolare della cantina, in un 2018 già ricco di novità, come l’acquisizione del marchio dell’amaro Re Laurino e i nuovi vini di Podernovo, la tenuta toscana della famiglia Lunelli.

“Una testimonia dell’ossessione per l’eccellenza e l’indissolubile legame con il territorio”, commentano dalla casa trentina.

Tiratura limitata per la novità di casa Ferrari: solo 5 mila bottiglie. E obiettivo chiaro: “Diventare l’icona delle bollicine italiane rosé”. Il prezzo? Circa 160 euro

LA NOVITA’
Il Giulio Ferrari Rosé è un Trento Doc dalla vibrante intensità, sintesi perfetta del carattere del Pinot Nero e dell’eleganza dello Chardonnay, frutto di un’attenta selezione nei vigneti di famiglia in alta quota alle pendici dei monti del Trentino.

Nasce solo negli anni degni di una grande Riserva. La prima annata è frutto della vendemmia 2006 ed è quindi rimasta per undici anni in affinamento sui lieviti, nel buio e nel silenzio della cantina, confermando la capacità dei vigneti di montagna di esprimere vini in grado di vincere la sfida del tempo.

LA STORIA
Ognuna delle 5 mila bottiglie sarà custodita in un raffinato cofanetto, destinato alla vendita nell’alta ristorazione e alle enoteche più esclusive in Italia e nel mondo. Era il 1902 quando Giulio Ferrari decise di dare forma al suo sogno: creare nel suo Trentino bollicine capaci di suscitare emozioni uniche.

Nel 1980 la famiglia Lunelli ha dedicato a lui e al suo sogno l’etichetta più prestigiosa della casa, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore. Visione, coraggio e passione rivivono ora nella versione rosé di quella che si è nel frattempo affermata come la bollicina più premiata d’Italia.

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Puglia Igp Verdeca Adelphòs 2017, Angiuli Donato

Il Puglia Igp Verdeca Adelphòs 2017 di Angiuli Donato non ha grilli per la testa. E’ un vino di facile beva, poco impegnativo e dall’immediata piacevolezza.

Tutti termini che spesso, nel linguaggio del vino, hanno una deriva diminutiva, come se solo la complessità fosse degna di attenzione. Ogni vino ha il suo perchè.

Il Puglia Igp Verdeca Adelphòs è gradevolissimo. Si presta ad accomunare il gusto di palati differenti: un vino maschile e femminile. Il nome stesso “Adelphòs” deriva dal greco e significa fratello.

E “a chi non piace la Verdeca Adelphòs, il Signore neghi l’acqua” lasciatesi scherzare parafrasando un noto detto sul vino.

LA DEGUSTAZIONE
Di colore giallo paglierino con riflessi verdolini ha un naso schietto e fine di fiori bianchi e frutti a polpa bianca, pesca ma anche melone giallo oltre ad una nota mielata.

Vivace e pieno di brio, non solo per l’effervescenza (misurata), accompagna felicemente il convivio. In perfetta simmetria, al palato ritroviamo il frutto e anche il miele in un calice morbido e succoso dal fondo dolcino che non disturba affatto. Se la gioca tutto sulle morbidezze senza cadere nello stucchevole.

In cucina è un ottimo aperitivo, ma accompagna anche a tutto pasto un menù a base di pesce di una ideale serata estiva: cozze gratinate, insalata tiepida di polpo, primi piatti come cavatelli ai frutti di mare. E non “sfina” nemmeno su due fritture a chiudere. Sorprendente.

LA VINIFICAZIONE
Il Puglia Igp Verdeca Adelphòs è ottenuto dalla vinificazione di sole uve Verdeca coltivate in Valle d’Itria nei comuni di Locorotondo,Cisternino e Martina Franca. Le uve rigorosamente raccolte a mano in piccole cassette, da personale esperto, provengono da vecchi vigneti allevati in parte ad alberello ed in parte a tendone pugliese con carica limitata di gemme.

Una volta raccolte e trasportate in cantina, le uve vengono immediatamente pigiate e diraspate. Il mosto così ottenuto viene criomacerato a zero gradi per 24 ore. Tecnica che permette un’estrazione maggiore degli aromi contenuti nella buccia. Segue pressatura soffice in ambiente inertizzato per evitare l’ossidazione del mosto.

Dopo circa 12 ore di decantazione si procede al travaso del solo mosto limpido innescando il processo fermentativo con i propri lieviti indigeni tra i 10-15 gradi. Prima di ultimare completamente la fermentazione, quando il mosto ha raggiunto la gradazione alcolica di 11 gradi circa, si filtra il tutto in modo che la restante parte non fermentata dia al vino il giusto residuo zuccherino naturale unito anche alla naturale effervescenza.

A 3 mesi dalla vendemmia viene chiarificato, refrigerato e microfiltrato per essere subito dopo imbottigliato.

Nonostante non provenga da una conduzione dichiarata in biologico in vigna, viene controllato per quanto riguarda presenza di pesticidi e fitofarmaci che risultano essere assenti. Questo è  dovuto all’attenta gestione  agronomica dei vigneti seguita da personale di famiglia e svolta senza uso della meccanizzazione per molti lavori come potatura, defogliatura etc.

La storia dell’azienda Angiuli Donato parte nel 1880. Da tre generazioni producono vino nel pieno rispetto del territorio e della tradizione locale. L’azienda si trova ad Adelfia, in provincia di Bari, una delle zone vitivinicole più ampie della regione, nella culla della doc Gioia del Colle. Produce tre linee di vino: Angiuli, Adelphòs e Maccone.

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