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degustati da noi vini#02

Vino spumante Brut Bio Palmarès, Gorghi Tondi

Cresce quantitativamente e qualitativamente la produzione di spumanti in Sicilia. Tra i rappresentanti della categoria ecco lo spumante Brut Bio Palmarès di Gorghi Tondi, cantina di Mazara del Vallo, cittadina gioiello della provincia di Trapani, guidata dalle sorelle Annamaria e Clara Sala.

LA DEGUSTAZIONE
Alla vista si presenta di un giallo paglierino luminoso, ravvivato da un perlage fine e vivace. Al naso un trionfo di agrumi e fiori, con ricordi di mela e pera perfettamente mature.

La corrispondenza al palato è perfetta: l’acidità dell’agrume è ben bilanciata dagli altri ritorni di frutta, in un quadro asciutto e invitante, in cui non manca una bella vena salina.

Uno spumante Brut dal dosaggio zuccherino molto ben integrato, che concorre a rendere piacevole e irresistibile la beva. Palmarès si rivela così uno spumante siciliano semplice ma tutt’altro che banale.

Ottimo da solo, come “rimedio” alla calura, regala soddisfazioni anche in cucina. Da provare, come suggerisce proprio Gorghi Tondi, su piatti a base di pesce e crostacei. Bella figura garantita anche su un petto di pollo al limone.

LA VINIFICAZIONE
Palmarès è prodotto da uve Grillo in purezza, provenienti da una vigna di 17 anni la cui produzione è controllata per garantire la massima qualità: la resa è circa 80 quintali per ettaro, mentre la densità di impianto si assesta sui 4.600 ceppi per ettaro.

Il terreno è pianeggiante, composto da un substrato calcareo, di medio impasto tendente al sabbioso, all’interno della Riserva Naturale WWF in cui si trova la stessa Gorghi Tondi. La vendemmia delle uve Grillo avviene nella prima decade di agosto.

Per la vinificazione di Palmarès si procede alla fermentazione in acciaio a temperatura controllata del vino base, che viene successivamente messo in autoclave. Qui viene addizionato di mosto fresco, della stessa varietà e annata, nonché di lieviti, per avviare la rifermentazione.

L’affinamento avviene in acciaio, per il periodo utile alla presa di spuma, da un minimo di 30 a un massimo di 50 giorni. Segue qualche mese di sosta in bottiglia prima della commercializzazione.

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“Benvenuto Off”: i punteggi al Brunello di Montalcino 2016

È andato in scena nel weekend il primo appuntamento con la stampa di Benvenuto Brunello Off, l’evento organizzato dal Consorzio per presentare i Brunello di Montalcino 2016, Brunello Riserva 2015, Rosso di Montalcino 2019, Moscadello e Sant’Antimo di 140 cantine.

Strettissime le misure di sicurezza adottate in una Montalcino blindata, deserta e silenziosa, avvolta addirittura da una coltre di nebbia nelle mattinate di sabato 6 e domenica 7 marzo 2021.

Si accede ai tavoli di degustazione allestiti al Chiostro del Museo di Montalcino con ordine, previa misurazione della temperatura corporea e consegna di un tampone Covid negativo. Ad accogliere i 25 giornalisti, oltre allo staff del Consorzio, la squadra – molto ben organizzata – dell’Associazione italiana sommelier, scelta per il servizio.

L’attenzione di WineMag.it si concentra su tutti i Brunello di Montalcino 2016 e su tutte le selezioni di vigna di Brunello 2016. Ben 193 campioni, cui abbiamo assegnato un punteggio sulla base di considerazioni che tengono conto sì dell’auspicabile “futuribilità” dell’etichetta, ma anche dell’attuale precisione, equilibrio tra componenti e, non ultimo, dell’attuale “godibilità”.

Quello che colpisce è di fatto un’annata 2016 in cui è evidente il lavoro di squadra dei produttori di Montalcino, ben oltre le caratteristiche climatiche della vendemmia. Al di là di qualche (rara) espressione più “commerciale”, raccontata da un utilizzo pesante del legno (tostature e balsamicità un po’ troppo preponderanti), sorprende in positivo il fil-rouge tra i vari campioni.

In tal senso, Montalcino può dirsi una delle poche Doc(g) d’Italia in cui la Denominazione vada oltre alla scelta “di etichetta”. Nel Bel paese si assiste di fatto, ormai da anni, a una sorta di svuotamento del valore organolettico delle Denominazioni, sfruttate per penetrare i mercati per la riconoscibilità del “nome”, più che per sintetizzare (ed esaltare, uniformemente) le caratteristiche di un preciso territorio.

Ecco dunque una perfetta riconoscibilità del Brunello nell’annata 2016, che si presenta nel calice così come ha fatto sui mercati, anche in un anno difficile e segnato dalla pandemia come il 2020: una vera e propria “corazzata”, in cui tutti marciano, con coscienza e rispetto, nella stessa direzione.

Dal punto di vista strettamente tecnico, molti Brunello 2016 sorprendono per “prontezza”m abbinata – chi più chi meno – a ottime prospettive di ulteriore affinamento e positiva evoluzione.

I Brunello di Montalcino 2016 (annata “5 Stelle”) sono genericamente vini con ottimo equilibrio tra le componenti. In particolare, sono dotati di un tannino elegante, in cravatta. Piuttosto “dolce”, ma tutt’altro che arrendevole. Cosa manca per far dire sempre “wow”?

Forse un po’ di “materia”, un po’ di polpa. Un po’ di “riserve di grasso” da sfoderare nell’allungo, nella sfida con le lancette dell’orologio. Vini che, nel rispetto delle caratteristiche tradizionali della denominazione, possono avere una marcia in più sin da subito, tra i competitor dei Fine Wines internazionali.

BRUNELLO DI MONTALCINO 2016: LA DEGUSTAZIONE

A

  • Agostina Pieri: 89/100
  • Aisna – Camponovo: 94/100
  • Aisna: 91/100
  • Albatreti: 93/100
  • Altesino – Montosoli: 94/100
  • Altesino: 92/100
  • Argiano: 93/100
  • Armilla: 91/100

B

  • Baccinetti: 87/100
  • Banfi – Poggio alle Mura: 94/100
  • Banfi – Vigna Marrucheto:  95/100
  • Banfi – Castello Banfi: 89/100
  • Barbi – Vigna Del Fiore: 93/100
  • Barbi: 91/100
  • Baricci: 94/100
  • Beatesca: 88/100
  • Belpoggio: 86/100
  • Bonacchi: 85/100
  • Bottega: 82/100

C

  • Camigliano – Paesaggio Inatteso: 91/100
  • Camigliano: 89/100
  • Campogiovanni: 88/100
  • Canalicchio di Sopra – La Casaccia: 95/100
  • Canalicchio di Sopra: 91/100
  • Canneta: 88/100
  • Cantina di Montalcino: 84/100
  • Capanna: 90/100
  • Capanne Ricci: 92/100
  • Caparzo – Vigna La Casa: 92/100
  • Caparzo: 90/100
  • Caprili: 88/100
  • Carpineto: 91/100
  • Casa Raia: 87/100
  • Casanova Di Neri: 93/100
  • Casanuova Delle Cerbaie: 88/100
  • Casisano: 91/100
  • Castello Romitorio: 92/100
  • Castello Romitorio – Filo di Seta: 94/100
  • Castello Tricerchi – “A.D. 1441”: 94/100
  • Castello Tricerchi: 92/100
  • Castiglion Del Bosco – Campo Del Drago: 90/100
  • Castiglion Del Bosco: 88/100
  • Cava D’Onice – Colombaio: 89/100
  • Cava D’onice: 88/100
  • Celestino Pecci – Poggio al Carro: 91/100
  • Celestino Pecci: 91/100
  • Cerbaia: 89/100
  • Ciacci Piccolomini d’Aragona – Pianrosso: 92/100
  • Ciacci Piccolomini d’Aragona: 90/100
  • Col D’orcia – Biologico: 90/100
  • Col Di Lamo – Diletta: 90/100
  • Col Di Lamo: 89/100
  • Collemattoni: 94/100
  • Collosorbo: 91/100
  • Cordella: 89/100
  • Corte Pavone Loacker Wine Estates – Fior Di Meliloto: 90/100
  • Corte Pavone Loacker Wine Estates: 88/100
  • Corte Pavone Loacker Wine Estates – Campo Marzio: 91/100
  • Corte Pavone Loacker Wine Estates – Fiore Del Vento: 90/100
  • Cortonesi – Poggiarelli: 96/100
  • Cortonesi – La Mannella: 89/100

D

  • Donatella Cinelli Colombini: 88/100
  • Donatella Cinelli Colombini – Prime Donne: 87/100

E

  • Elia Palazzesi Collelceto: 93/100

F

  • Fanti – Vallocchio: 91/100
  • Fanti: 88/100
  • Fattoi: 91/100
  • Fattoria Del Pino: 87/100
  • Ferrero: 85/100
  • Fornacella: 90/100
  • Fornacina: 91/100
  • Fossacolle: 87/100
  • Franco Pacenti: 93/100

I

  • Il Palazzone: 92/100
  • Il Paradiso Di Frassina: 89/100
  • Il Poggione: 91/100

L

  • La Colombina: 87/100
  • La Fiorita – Fiore Di No: 92/100
  • La Fiorita: 87/100
  • La Fornace: 89/100
  • La Fornace – Origini: 94/100
  • La Fortuna – Giobi 2016: 87/100
  • La Fortuna: 85/100
  • La Gerla: 86/100
  • La Lecciaia: 85/100
  • La Lecciaia – Vigna Manapetra: 89/100
  • La Magia – Ciliegio: 93/100
  • La Magia: 91/100
  • La Palazzetta: 86/100
  • La Poderina: 91/100
  • La Rasina – Persante: 87/100
  • La Rasina: 85/100
  • La Serena: 86/100
  • La Togata – La Togata Dei Togati: 98/100
  • La T0gata: 90/100
  • Lambardi: 84/100
  • Lazzeretti: 90/100
  • Le Chiuse: 92/100
  • Le Gode – Vigna Montosoli: 89/100
  • Le Gode: 87/100
  • Le Macioche Famiglia Cotarella: 91/100
  • Le Ragnaie: 93/100
  • Lisini: 90/100

M

  • Madonna Nera: 87/100
  • Martoccia di Brunelli: 88/100
  • Mastrojanni: 92/100
  • Mastrojanni – Vigna Loreto: 95/100
  • Musico: 94/100
  • Máté: 91/100

P

  • Padelletti: 90/100
  • Palagetto: 90/100
  • Palazzo – Cosimo: 92/100
  • Palazzo: 90/100
  • Paradiso Di Cacuci: 87/100
  • Pian delle Querci: 90/100
  • Pian delle Vigne: 93/100
  • Piancornello: 91/100
  • Pietra: 96/100
  • Pietroso: 95/100
  • Pinino – Vigna Pinino: 97/100
  • Pinino: 91/100
  • Piombaia: 96/100
  • Podere Brizio: 93/100
  • Podere Le Ripi – Amore e Magia: 94/100
  • Podere Le Ripi – Cielo d’Ulisse 2016: 92/100
  • Poggiarellino di Ginotti Lodovico: 91/100
  • Poggio Antico: 91/100
  • Poggio Antico – Altero: 91/100
  • Poggio Landi: 89/100
  • Poggio Lucina: 94/100
  • Poggio Dell’Aquila: 89/100
  • Poggio Di Sotto: 96/100
  • Poggio Il Castellare: 89/100

R

  • Renieri: 91/100
  • Ridolfi: 94/100
  • Ridolfi – Donna Rebecca 2016: 90/100

S

  • Salvioni La Cerbaiola: 95/100
  • San Guglielmo di Martini Ilaria: 93/100
  • San Polino: 93/100
  • San Polino – Helichrysum: 95/100
  • San Polo – Podernovi: 91/100
  • San Polo: 92/100
  • Sancarlo: 91/100
  • Sanlorenzo: 95/100
  • Santa Giulia:  90/100
  • Sassodisole – Sassodiluna: 90/100
  • Sassodisole: 89/100
  • Scopetone La Melina: 89/100
  • Scopone: 88/100
  • Sesta di Sopra: 88/100
  • Sesti: 92/100
  • Solaria Az. Agr. Cencioni Patrizia – “31 Anni”: 92/100
  • Solaria Az. Agr. Cencioni Patrizia: 90/100

T

  • Talenti – Piero: 91/100
  • Talenti: 88/100
  • Tassi Di Franci Franca – Colombaio: 95/100
  • Tassi Di Franci Franca: 92/100
  • Tenuta Buon Tempo: 89/100
  • Tenuta Crocedimezzo: 89/100
  • Tenuta di Sesta: 87/100
  • Tenuta La Fuga: 86/100
  • Tenuta San Giorgio – Ugolforte: 93/100
  • Tenute Silvio Nardi – Vigneto Poggio Doria: 96/100
  • Tenute Silvio Nardi – Vigneto Manachiara: 94/100
  • Tenute Silvio Nardi: 93/100
  • Terralsole: 89/100
  • Terre Nere: 90/100
  • Tiezzi Enzo e Monica – Vigna Soccorso: 96/100
  • Tiezzi Enzo e Monica – Poggio Cerrino: 94/100
  • Tornesi – “Benducce 570”: 95/100
  • Tornesi: 94/100

U

  • Uccelliera: 93/100

V

  • Val di Suga – Vigna Spuntali: 93/100
  • Val di Suga – Vigna Del Lago 2016: 91/100
  • Val di Suga – Poggio Al Granchio: 94/100
  • Val di Suga: 90/100
  • Vasco Sassetti: 89/100
  • Ventolaio: 88/100
  • Verbena – “Le Pope” – 90/100
  • Villa I Cipressi – Selezione Zebras: 95/100
  • Villa I Cipressi: 89/100
  • Villa Poggio Salvi – Pomona: 93/100
  • Villa Poggio Salvi: 88/100
  • Villa Al Cortile: 89/100
  • Vini Italiani Da Sogno La Togata – Jacopus: 89/90
  • Vini Italiani Da Sogno La Togata – Notte Di Note: 88/100
  • Vini Italiani Da Sogno La Togata – Carillon 2016. 87/100
  • Voliero: 92/100

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Vsq Metodo classico Rosé Note d’Agosto, Az. Agr. Alessio Brandolini

Un Metodo Classico da Pinot Nero che nasce in un territorio d’elezione per questo vitigno. Il Vsq Metodo Classico Rosé Note d’Agosto dell’Azienda Agricola Alessio Brandolini racconta la faccia di un Oltrepò in crescita, giovane e dinamico con basi solide.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice appare rosa salmone luminoso con perlage fine e persistente. Naso ricco e di buona eleganza che gioca su note di frutto rosso maturo, ribes e lampone, che si affiancano ad piacevole parte agrumata, fra scorza e polpa.

In bocca la bolla è avvolgente. Di buona freschezza e sapidità risulta pulito e preciso al sorso con un retro olfattivo corrispondente al naso. Un vino piacevole ed in grado di dare soddisfazioni anche nell’abbinamento gastronomico.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto esclusivamente nelle annate favorevoli le uve sono raccolte manualmente da vigneti posti fra i 250 e i 300 metri slm. La prima spremitura viene lasciata macerare sulle bucce per circa 4 ore per poi rimanere sulle fecce fini fino al momento della presa di spuma.

Le bottiglie riposano sui lieviti per un minimo di 48 mesi prima della sboccatura. Il dosaggio avviene esclusivamente utilizzando lo stesso vino.

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Südtirol Alto Adige Doc Lagrein Riserva 2017 Taber, Cantina Bolzano

Il Südtirol Alto Adige Doc Lagrein RiservaTaber” è uno dei vini simbolo di Cantina Bolzano, ma non solo. È anche un’etichetta capace di rappresentare appieno le punte di qualità del Lagrein altoatesino, un vino amato e conosciuto in tutto il mondo. Sotto la lente di ingrandimento, la vendemmia 2017.

LA DEGUSTAZIONE
Il segreto di Taber? Il suo equilibrio, fuori e dentro al calice. Risulta di fatto un vino tipico, capace tuttavia di incontrare, con le sue caratteristiche e i suoi 4 grammi circa di residuo zuccherino, anche il gusto internazionale. Un bilanciamento che si ripercuote nelle note di degustazione, all’insegna dell’armonia.

Nel calice, il vino si presenta di un rosso purpureo, ancora molto giovane nonostante i 4 anni sulle spalle. Una Riserva, dunque, molto longeva, che si rivela perfettamente integra anche al naso, con note di frutta matura a bacca nera (mora) e rossa (ciliegia).

Un vino particolarmente indicato per chi ama i frutti di bosco, che qui ritroverà – sia al naso che al palato – in una veste intrigante, ben avvolti in un manto tanto fresco (netti i ricordi di mentuccia selvatica) quanto speziato (polvere di cacao, fondo di caffè, caramellina mou e vaniglia).

Il sorso denota un’ottima lunghezza e persistenza, all’insegna del gioco tra le note fruttate, la bilanciante acidità e i rintocchi salini, che donano nerbo alla beva.

I tannini setosi consentono peraltro di servire il Lagrein Riserva Taber a una temperatura non sempre adatta ai vini rossi: provare per credere a 14-15 gradi, per coglierne le sfumature più “dissetanti”. L’abbinamento perfetto?

Oltre ad essere apprezzabile da solo o in compagnia di un buon libro, il rosso simbolo di Cantina Bolzano sposa armonicamente i piatti a base di carne, dai primi ai secondi, così come i saporiti formaggi stagionati. Ottimi risultati, per esempio, con una bistecca di cervo. Buono oggi Taber, ma con ottime prospettive di ulteriore, positivo affinamento.

LA VINIFICAZIONE
Coltivato nella zona di Bolzano, il Lagrein è uno dei vitigni di punta dell’Alto Adige. È una varietà autoctona dalla quale i produttori altoatesini sanno ricavare un vino di grande carattere, in grado di distinguersi.

Le notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte, assieme ai terreni alluvionali sabbiosi e sciolti, consentono a Cantina Bolzano di centrare l’obiettivo. Non a caso, per il Lagrein Riserva Taber vengono utilizzate soltanto uve accuratamente selezionate.

La zona di produzione, nello specifico, è quella di Gries, dove la “Winery al Cubo” di Bolzano può contare su vigneti con piante di oltre 80 anni, a un’altezza di 250 metri sul livello del mare.

La vendemmia viene condotta generalmente da fine settembre a metà ottobre. La vinificazione prevede la fermentazione in botti di legno e l’affinamento per circa un anno in barrique francesi, alternate alle botti grandi.

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Veneto Igt Bianco Prato di Canzio 2017, Maculan

Prato di Canzio è, senza ombra di dubbio, uno dei vini che meglio incarnano il savoir-faire della storica cantina Maculan di Breganze. Un “vino ritrovato”, la cui produzione era stata abbandonata sul finire degli anni Novanta, per essere riscoperta nel 2017. L’annata, per l’appunto, finita sotto la nostra lente di ingrandimento.

LA DEGUSTAZIONE
Giallo paglierino acceso, luminoso, con riflessi dorati. A quattro anni dalla vendemmia, Prato di Canzio 2017 esalta in maniera netta l’impronta vulcanica, sulla pietra bagnata. Ci scivola sopra, composto e ordinato, un cesto di frutta esotica matura.

Si spazia dall’ananas alla papaia, dal mango alla banana, unite ad albicocca e pesca gialla. L’ingresso di bocca è all’insegna delle note avvertite al naso. Non mancano ricordi speziati dolci, in particolare di vaniglia Bourbon, delicati e molto ben integrati.

Prato Canzo continua a divertire al palato, nel gioco prezioso tra note minerali e sapide e la morbidezza succosa della frutta già avvertita al naso. Il finale è fresco e asciutto, capace di chiamare il sorso successivo grazie soprattutto al ruolo della Vespaiola, l’uva regina di Breganze. In definitiva, un vino raffinato, elegante e super gastronomico.

LA STORIA
E pensare che la cantina di Breganze ha scelto di riscoprire il suo blend di uve a bacca bianca, prodotto tra il 1978 e il 1996, solo a partire dal millesimo 2017. Si tratta di un’etichetta storica, tra le più rappresentative della Cantina.

Non a caso riuscì a conquistare anche il gusto di Gualtiero Marchesi, che ne volle un’etichetta personalizzata con il nome del suo ristorante. La produzione fu interrotta nel 1996 in risposta a una tendenza dell’epoca, che privilegiava i vini monovarietali.

A differenza delle annate storiche, in Prato di Canzio 2017 è aumentata la quota di uva Vespaiola, varietà autoctona che ha il pregio di donare freschezza ai vini, non a caso utilizzata a Breganze per la produzione del “dolce non dolce” Torcolato. Diverso anche l’uso del legno, oggi più contenuto.

LA VINIFICAZIONE
L’uvaggio è composto per il 50% da uve Chardonnay, per il 30% da Vespaiola e per il restante 20% da Sauvignon blanc. La vinificazione delle tre uve è differente: in acciaio per Sauvignon e Vespaiola, mentre la fermentazione dello Chardonnay avviene all’interno di barrique di rovere francese.

In fase di affinamento, solo lo Chardonnay trascorre 5 mesi in barrique sui lieviti, mentre le altre due affinano in acciaio, finendo per riposare un anno in bottiglia. Solo 1.300 i pezzi prodotti da Maculan per l’annata 2017.

Il nome Prato di Canzio è legato all’antica storia di Cantium, legionario romano al quale, terminata la carriera militare, fu lasciato in ricompensa un appezzamento di terra a metà tra la collina e la pianura: il praedium Cantii, toponimo da cui deriverebbe il nome della stessa Breganze.

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Capriano del Colle Doc Bianco Superiore 2015 “Otten:2”, Cantina San Michele

Chi l’ha detto che la Botrytis cinerea sia peculiarità dei soli vini Tokaji, Sauternes, Trockenbeerenauslese (ce l’avete fatta a pronunciarlo?) o dei muffati di Orvieto? In Italia, un po’ a sorpresa, ecco i benefici della “Muffa Nobile” in un micro areale della provincia di Brescia: la Doc Capriano del Colle.

La prova? La straordinarietà e unicità di “Otten:2“, vino prodotto da Cantina San Michele con uve Trebbiano provenienti dai vigneti di proprietà del piccolo comune lombardo. Solo uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino luminoso. Al naso note di frutta surmatura, precise e composte, senza la minima sbavatura. In bocca una gran concretezza, suggellata dal gioco tra freschezza e rotondità. Vino importante, estremamente gastronomico. Lunghissimo.

Un Trebbiano davvero sorprendente nelle due fasi, distinte eppure molto ben amalgamante, capaci di creare un quadro di gran equilibrio: quella “dura”, calcarea; e quella  “morbida” e suadente, conferita dalla Botrytis cinerea.

LA VINIFICAZIONE
Solo una parte delle uve è stata colpita dalla “Muffa nobile”, permettendo a Cantina San Michele una vendemmia tardiva utile alla concentrazione e all’ampiezza dei profumi. Le uve sono state sottoposte a una pressatura soffice.

La fermentazione di Otten:2 è avvenuta in vasche di acciaio a temperatura controllata, per 15 giorni. L’affinamento si è protratto in vasche di cemento, prima di un ulteriore riposo del nettare in bottiglia, per 12 mesi.

Dopo la fondazione avvenuta nel 1982, Cantina San Michele ha avviato un percorso virtuoso che ha trovato compimento all’inizio degli anni Duemila. Il vero anno anno della svolta è stato però il 2011, quando l’azienda agricola è finita nelle mani dei cugini Elena e Celeste Danesi.

I due giovani si sono posti l’obiettivo di valorizzare la produzione del Monte Netto, noto anche come Montenèt, nel dialetto bresciano, o “Monte di Capriano”. Una piccola collina di 133 metri di altezza, caratterizzata da un terreno di sabbia grigia, ghiaia e calcare. Un’area naturale protetta da Regione Lombardia, che vi ha istituito un Parco.

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Vigne al colle, Montegrande e Reassi: che tris sui Colli Euganei

Il palco ideale sul quale l’Italia del vino potrebbe annunciare al mondo intero di essere ripartita più forte di prima, una volta superata la pandemia? Senza dubbio il Veneto dei Colli Euganei.

Un pezzo minuscolo del puzzle della viticoltura del Bel paese, balzato alla velocità della luce agli onori delle cronache internazionali quale epicentro del Coronavirus, avrebbe così l’opportunità fenicea di raccontarsi, nel solco dei terroir vulcanici italiani e mondiali.

A guardar bene, non ci si spiega come mai dei Colli Euganei si parli così poco negli ambienti del vino e della ristorazione. I mille ettari rivendicati a Doc su un totale di 2.300, aiutano a comprendere quanto ricercata sia la produzione enologica locale, resa particolare dalla presenza nel terreno di trachite, riolite e lalite.

Il ventaglio ampelografico è ampio, ma ben circostanziato sulle eccellenze. Si passa dai vini bianchi e rossi prodotti da vitigni autoctoni e da internazionali presenti sin dal 1870 nella zona (Serprino, Merlot e Cabernet), ai vini dolci, spumanti e passiti da uve Moscato Giallo (il Colli Euganei Fior d’Arancio è Docg dal 2011).

Anche il territorio offre ogni genere di attrattività al turista e all’enoturista moderno. Tra possibilità di escursioni nel verde dei colli vulcanici, visite a luoghi di culto e di cultura centenaria e ristoranti di ottimo livello, il nesso tra terra e cielo che fa dei Colli Euganei un vero e proprio paradiso sono gli impianti termali, presenti nel Parco Regionale. Luoghi in cui cullarsi, magari proprio tra una visita e l’altra in cantina. Eccone tre da non perdere.

COLLI EUGANEI, TRE CANTINE (E VINI) DA NON PERDERE

«In una fredda notte d’inverno il Carro Minore, il Colle e la Luna si incontrano, un sogno, uno stile, un’emozione che si trasferisce nell’aroma dei propri vini». Il romanticismo all’ennesima potenza del logo di Vigne al Colle si mescola col pragmatismo e la grande competenza di Martino Benato, che conduce con la moglie la cantina di Rovolon.

Il vino da non perdere: Merlot 2018Poggio alle Setole


Agricoltori da una vita, i Cristofanon vendevano un tempo solo vino sfuso, facendo la spola tra le province di Padova e Vicenza, con sconfinamenti in Lombardia, tra Milano e Varese. Dal 1995 il cambio di rotta, grazie all’avvento di Raffaele e Paola Cristofanon, fratello e sorella alla seconda generazione, e all’esperienza dell’enologo Lorenzo Caramazza.

Il vino da non perdere: Colli Euganei Docg Fior d’arancio passito 2012


Per comprendere la grande chance che hanno i Colli Euganei nel panorama presente e futuro basta farsi un giro da Reassi. Diego Bonato, classe 1982, ha raccolto l’eredità dei genitori che vendevano al 95% vino sfuso, trasformando la cantina e i suoi 6 ettari di vigneti in una chicca imperdibile. Vincitore del premio Giulio Gambelli nel 2017, quale enologo under 35 alla Tolaini di Castelnuovo Berardenga, ha lasciato il “posto fisso” per tornare a casa. I Colli Euganei ringraziano.

Il vino da non perdere: Vin bastardo 2016 (Marzemina bastarda grossa, Turchetta e Corbina)

***DISCLAIMER*** Si ringrazia il Consorzio per la copertura delle spese in loco, per la realizzazione del reportage

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degustati da noi vini#02

Falanghina del Sannio Dop 2018 “Cese”, Fosso degli Angeli

Può un vino di 15 gradi risultare fresco e non stancare mai? La risposta è sì e la Falanghina del Sannio Dop 2018Cese” di Fosso degli Angeli è lì a dimostrarlo. Solo uno dei vini della Campania presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it.

LA DEGUSTAZIONE
“Cese” si presenta alla vista di un giallo paglierino acceso, luminoso. Il naso è ampio, caldo, floreale ed agrumato, con richiami di macchia mediterranea, in particolare di rosmarino. A dominare il sorso è la frutta tropicale, perfettamente matura.

Si distinguono ananas, banana e pesca, con tocchi agrumati e ritorni erbacei che danno nerbo a un sorso glicerico. Proprio in questo senso “Cese” è una Falanghina che maschera bene i 15 gradi di percentuale d’alcol in volume, presenti in etichetta.

Acidità e sapidità, oltre a dare equilibrio a una beva instancabile, ne allargano il ventaglio di possibilità di abbinamento in cucina. Non a caso Marenza Pengue, vignaiola Fivi che conduce Fosso degli Angeli con la sorella Dina e il cognato Pasquale Giordano, suggerisce di provarla con «costine d’agnello cotte a bassa temperatura, poi impanate e fritte nel burro in cui è stato grattato un pezzetto di scorza di limone».

LA VINIFICAZIONE
Solo 2.500 bottiglie per la Falanghina del Sannio Dop “Cese”, che prende vita dalle uve dei vigneti di proprietà della cantina, a Casalduni. Piante giovani (2012 / 2018), che affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo vulcanico, a un’altitudine di 560 metri sul livello del mare.

La produttività si assesta sui 70 quintali per ettaro nella vigna certificata biologica. La raccolta delle uve di Falanghina avviene in piccole cassette, generalmente tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre.

L’uva viene pigiadiraspata e sottoposta a criomacerazione per 12 ore. Segue una pressatura soffice e una fermentazione con lieviti indigeni in acciaio, a temperatura controllata. L’affinamento avviene in acciaio, per 12 mesi. “Cese” viene commercializzata solo in seguito a un ulteriore anno in bottiglia.

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L’Etna di Cantine La Contea

In attesa di presentare gli spumanti Etna Doc, una nuova realtà si fa largo alle pendici del vulcano della Sicilia. Si tratta di Cantine La Contea di Santa Venera di Mascali (CT), che lavora 16 ettari sul versante orientale della “Muntagna”, a 400 metri sul livello del mare.

Il focus non poteva che essere sul Nerello Mascalese, vitigno autoctono a bacca rossa simbolo dell’Etna. Nonostante le difficoltà del periodo, il 2021 vuole essere l’anno della consacrazione per La Contea, a 10 anni esatti dal 2011, anno della fondazione.

Al momento sono 28 mila le bottiglie prodotte su tre etichette della linea “Classe 39“. Tutti vini Terre siciliane Igt, cui andrà ad affiancarsi a breve un Etna Doc Bianco e uno Spumante Metodo Classico Etna Doc, con maturazione minima di 36 mesi.

La gamma si arricchirà in seguito di un Etna Doc Rosso e di uno Spumante Metodo Classico Etna Doc Rosè, attualmente sui lieviti. Un percorso verso la qualità, quello di Cantine La Contea, all’insegna delle molteplici sfaccettature del Nerello Mascalese.

LA DEGUSTAZIONE
Vino Bianco 2019 “Classe 39”, Az. Agr. La Contea (13%): 85/100
Giallo paglierino luminoso. Profumi ampi, bel bouquet di fiori freschi e frutta esotica, banana in primis. Vena minerale e vegetale, sulla mandorla e sulla buccia d’agrume. Un’acidità spinta che si ritrova anche al palato, sin dall’ingresso: i ricordi di agrume, già avvertiti al naso, accompagnano il sorso uniti a una bella vena sapida.

Vino giovane, che potrà avere una discreta evoluzione positiva nei prossimi mesi di bottiglia. Ottenuto da uve Nerello Mascalese 100% vinificate in bianco in acciaio, si presta ad accompagnare la cucina dagli antipasti ai secondi di carni bianche, oltre a portate di pesce e sushi.

Terre Siciliane Igp Rosato 2019 “Classe 39”, Az. Agr. La Contea (13%): 84/100
Bel colore buccia di cipolla. Al naso ricordi di pesca, fico, agrumi. Altro ingresso verticale, su un’acidità spinta che lascia poi spazio alle note fruttate più morbide, già avvertite al naso. Chiude leggermente amaricante, sull’equilibrio tra frutta e salino.

Un vino ottenuto da uve Nerello Mascalese vinificate in rosa, con breve contatto sulle bucce e permanenza in bottiglia di almeno 6 mesi prima della commercializzazione. Ideale compagno di pizza, sushi, linguine ai ricci di mare. Perfetto col pesce saporito e le fritture di paranza, risponde bene anche con le carni bianche.

 

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Trento Doc Riserva Brut 2011, Cantina Rotaliana

Sotto la lente di ingrandimento di WineMag.it il Trento Doc Riserva Brut 2011 di Cantina Rotaliana, uno dei due spumanti Metodo classico prodotti in Trentino dalla cooperativa di Mezzolombardo (TN).

LA DEGUSTAZIONE
Perlage finissimo e molto persistente per questa “bollicina” che si presenta molto bene al “primo bacio” con il calice. Finezza ed eleganza che rappresentano al meglio un packaging minimal, che invita ad un serio approfondimento del contenuto, ancor più della “forma”.

Il naso è generoso, ricco, baldanzoso, con predominanza delle note “grasse” conferite dallo Chardonnay (frutta esotica matura a polpa gialla, fiori bianchi e gialli appena sbocciati) rispetto al nerbo dell’altro vitigno che compone la cuvèe, il Pinot Nero.

Un ruolo da gregario, quello del Noir, che si conferma anche all’assaggio, fase in cui gioca un ruolo fondamentale nella ricerca (andata a buon fine) del perfetto equilibrio tra morbidezze e durezze.

Frutto maturo, percezione minerale-salina e corredo fresco-acido parlano all’unisono a poco meno di 3 anni dalla sboccatura (marzo 2018) e a 10 anni esatti dalla vendemmia del Trento Doc Riserva Brut di Cantina Rotaliana.

Il tocco tostato percettibile in chiusura di sipario, con ricordi assimilabili al cereale e ancor più alla mandorla, completa l’allungo rendendo il sorso, pur fresco, ancora più rotondo.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Chardonnay e Pinot Nero (70-30%) vengono raccolte a mano nelle aree più vocate a disposizione di Cantina Rotaliana (Val di Cembra e Val di Non). I vigneti sono posti a un’altimetria compresa tra i 500 e i 750 metri sul livello del mare.

Le piante affondano le radici in terreni asciutti e di medio impasto, ricchi di argilla, calcare e gesso. La vinificazione avviene in bianco, con pressatura soffice delle uve e fermentazione dei mosti sia in acciaio che in barrique, in percentuale più piccola.

In primavera, la lenta presa di spuma e la successiva permanenza sui lieviti per almeno 80 mesi precede remuage e sboccatura, aggiunta del liqueur d’expédition. Il dosaggio è di circa 6 grammi litro. L’affinamento in bottiglia si protrae per almeno 3 mesi dopo il dégorgement, in attesa della commercializzazione.

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Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo”, Sassotondo

Ben più di un Ciliegiolo da incorniciare. Il Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015San Lorenzo” di Sassotondo, etichetta icona della cantina guidata da Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia, è il simbolo di una fetta di Toscana che chiede – e merita – attenzione nel panorama vitivinicolo nazionale.

Il riferimento è non solo alla Maremma, ma soprattutto alla zona vulcanica di Sorano e Pitigliano, in provincia di Grosseto. Un’areale influenzato dagli effetti dal bacino vulcanico dell’attuale lago di Bolsena, in cui il tufo è di casa nel terreno.

LA DEGUSTAZIONE
Il Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” di Sassotondo si presenta nel calice di un colore violaceo. Naso ben giocato sul frutto e sui terziari, con sbuffi netti di spezie. Al palato, freschezza e mineralità vulcanica fanno da “freno a mano” all’incedere esplosivo dei primari, ovvero del frutto, disegnando un sorso di grande precisione e persistenza.

Un vino bello (e buono) da bere oggi, ma con tanta vita davanti. Non a caso si tratta della miglior selezione di uve Ciliegiolo provenienti da un vigneto di circa 60 anni, condotto dal 1994 con metodi di agricoltura biologica.

LA VINIFICAZIONE
Dal vigneto di 4.800 vecchie viti si scorge Pitigliano, tra i borghi simbolo della Maremma. Raccolta e selezione delle uve avvengono in maniera manuale e “naturale” è anche la fermentazione, che avviene grazie a lieviti indigeni.

La macerazione dura da 15 a 20 giorni. Il vino atto a divenire “San Lorenzo” matura per 18/30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 10 ettolitri. Viene immesso in commercio solo in seguito a un altro anno di affinamento in bottiglia nelle fresche cantine sotterranee di Sassotondo.

Il Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” è tra le etichette presenti nella Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida edita con cadenza annuale dalla redazione della nostra testata.

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Marisa Cuomo, Costa d’Amalfi da en plein

Marisa Cuomo è una cantina simbolo non solo della Campania, ma di una vera e propria gemma italiana famosa nel mondo: la Costa d’Amalfi. Un nome che, da solo, è capace di evocare paesaggi incantati, dominati da scogliere a picco sul mare e spiagge da cartolina.

La Banca d’Italia calcola che, ogni anno, prima dell’emergenza Covid-19, l’indotto del turismo straniero superi i 350 milioni di euro in questo spicchio della Provincia di Salerno, con epicentro nei comuni di Amalfi, Positano, Ravello, Maiori e Minori.

Proprio qui hanno trovato casa Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli, presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it con ben quattro vini: Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016 e il “vino quotidiano” Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019. Un vero e proprio en plein.

LA DEGUSTAZIONE
Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Marisa Cuomo
Giallo paglierino carico. Il bianco più complesso della cantina. Pienezza del sorso data dalla grande maturità del frutto ed una vena salina, iodata, marcata. Tanto sapido in bocca da sembrare servito su una barca, in mezzo al mare.

Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Marisa Cuomo
Giallo paglierino. Meno complesso di “Fiorduva”, ma coinvolgente nella sua estrema verticalità. Acidità affilata e tagliente; sapidità accentuata. Note vestite e ammantate dalla frutta matura. Un vino di mare fresco, godibile e senza fronzoli.

Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016, Marisa Cuomo
Rosso rubino, unghia violacea. Note di frutta matura e tocchi di spezia. Concentrato. Sorso estremamente bilanciato, tra frutto pieno e morbido e durezze saline. Terreno calcareo che gioca un ruolo determinante in questo equilibrio.

Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019, Marisa Cuomo
Più salino e verticale di “Furore” coinvolge il naso con tutta la gamma delle erbe mediterranee. Riempie la bocca in maniera stupenda, alternando la vena glicerica alla freschezza. Vino da non perdere.

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Alto Adige Doc Pinot Nero Riserva 2016 “Vigna Ganger”, Girlan

Colore inconfondibilmente “Pinot Nero“. Naso intenso. Fragolina di bosco, spezia nera, sottobosco verde, sasso bagnato. Equilibrio splendido tra la frutta matura e la componente balsamica. Nel retro olfattivo caramello salato, caramella mou, ed il sempre presente frutto di bosco. Infinita la persistenza.

Abbiamo voluto non a caso partire dalla degustazione per descrivere l’Alto Adige Doc Pinot Nero Riserva 2016 Vigna Ganger” di Girlan. Un’etichetta che si racconta da sola, per la capacità di rappresentare un vitigno, un territorio, una regione. Una nazione. Uno dei volti più prestigiosi del Pinot Nero italiano.

L’uva selezionata viene raccolta a mano a metà settembre e riposta in piccoli contenitori per il trasporto nella cantina Girlan. Qui, un quinto del Pinot Nero viene vinificato a grappolo intero. Passa per gravità nei tini d’acciaio inox, in cui avviene la fermentazione. Un processo durato 25 giorni in occasione della vendemmia 2016.

A fermentazione malolattica avvenuta, Girlan procede con l’affinamento per 20 mesi in barrique e successivamente ad un ulteriore affinamento in bottiglia, che si protrae per 18 mesi. Un vino, il Pinot Nero Riserva 2016 “Vigna Ganger” di Girlan, inserito nella Guida Top 100 Migliori vini italiani di WineMag.it 2021.

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Pavia Igt Riesling italico 2019 Borea, Matteo Maggi – Colle del Bricco

Ancestrale ottenuto da uve Riesling italico che mostra tutta la voglia di sperimentazione e l’abilità (in crescendo, di anno in anno) di uno dei giovani vignaioli più intraprendenti dell’Oltrepò pavese, ormai pronto alla consacrazione: Matteo Maggi di Colle del Bricco.

Una scelta, quella del Riesling italico, tutt’altro che scontata, ma in grado di mostrare le potenzialità del vitigno in terra oltrepadana. Una varietà non ancora valorizzata a dovere dalle parti di Pavia, soprattutto perché “schiacciata” dal peso del più noto Riesling Renano.

LA DEGUSTAZIONE
Il calice di “Borea” si tinge di un giallo paglierino luminoso. Il fiore fresco (ginestra) è espresso benissimo, così come il frutto: gran precisione su note di pesca gialla, albicocca e mango.

In bocca grande corrispondenza e linearità. Sorprende (anzi non più, è la regola) la pulizia del sorso di questo ancestrale, la cui freschezza è esaltante ed invoglia la beva. Poteva bastare.

E invece, in chiusura, ecco un tocco rinvigorente di zenzero, unito a ritorni salini. Tra i rifermentati più
sensati d’Italia, da uve non “convenzionali”. Fermentazione spontanea e lieviti indigeni per “Borea“.

Così il vignaiolo Matteo Maggi dà continuità, in cantina, alle scelte effettuate nel vigneto di Stradella (PV) di Colle del Bricco, nel segno della sostenibilità e della naturalezza del vino. Un’etichetta inserita nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it.

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Valpolicella Doc Classico 2019, Rubinelli Vajol

Solo bottiglie numerate e solo vini della Valpolicella. La filosofia produttiva della cantina Rubinelli Vajol è tangibile, certa, verificabile come un calcolo matematico. E si riflette su tutti i vini ottenuti dai vitigni autoctoni Corvina, Corvinone, Rondinella, Molinara e Oseleta. Come sul Valpolicella Doc classico 2019.

LA DEGUSTAZIONE
Risplende di un rosso rubino psichedelico il calice che ospita quello che, per molte cantine della zona, è il cosiddetto “vino base” o “d’entrata” della linea. Eppure di elementare o basico, qui, non c’è proprio nulla.

Non è scontata la riscontrabile trasparenza cromatica del nettare, nel contesto di una Denominazione che non disdegna la produzione di massa e la conseguente uniformità visiva, prim’ancora che olfattiva e gustativa.

Dopo il colore è il naso a convincere, fungendo da navigatore come saprebbe fare neppure Google Maps: narici-Valpolicella in Porsche, zero cento in 3 secondi. Senza deviazioni o pit-stop.

Altrettanto immediata la riconoscibilità e tipicità al gusto del Valpolicella Doc Classico 2019 Rubinelli Vajol. Si ripresentano eleganti note fruttate di ribes, lampone, di una maturità perfetta; ben attorniate da sbuffi di spezia nera, come pepe e ginepro.

In chiusura, composte note di chiodo di garofano donano ulteriore freschezza al vino, contribuendo a un finale asciutto, capace di chiamare in maniera irresistibile il sorso successivo e ricordare la matrice “povera” del terreno.

Vino “glu glu” per antonomasia, si abbina bene al frigorifero, d’estate. Ma è perfetto in ogni stagione, in accompagnamento all’antipasto, ai salumi, o a piatti non troppo strutturati a base di carne. Sorprende la vena “bardoliniana” di questo Valpolicella Doc Classico, che sin dal descritto colore chiama l’abbinamento col pesce.

LA VINIFICAZIONE
L’uvaggio è composto al 45% da Corvina e completato dal 35% Corvinone, 15% Rondinella e 5% Molinara, allevate a Pergola veronese e Guyot. Le piante affondano le radici in terreni di natura calcarea, tufacea e argillosa.

Le uve vengono raccolte a settembre e immediatamente pigiate. Fermentazione e macerazione avvengono in acciaio inox per 8-10 giorni, a temperatura controllata. Per l’affinamento del Valpolicella Doc Classico 2019, Rubinelli Vajol ha scelto ancora i serbatoi d’acciaio.

Prima della commercializzazione, la scelta degli enologi Gianmaria Ciman, Enrico Nicolis e Filippo Cengiarotti è quella di far riposare il vino in bottiglia, nella fresca e buia cantina scavata nel tufo, sotto la collina del Vajol che dà il nome all’azienda.

La cantina Rubinelli Vajol, con sede a di San Pietro in Cariano (VR), è stata inserita proprio con il Valpolicella Doc Classico 2019 nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 edita con cadenza annuale da WineMag.it.

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Podere Scheggiolla: quando il Chianti Classico (e il Sangiovese) è filosofia

Capita, di rado in verità, di scoprire vini che paiono libri. Li versi nel calice. E sembrano sussurrarti all’orecchio una storia. Un aneddoto segreto, che si svela piano. Sarà forse per quel nome a metà tra la realtà e la fantasia, ma è l’effetto che fanno i Chianti Classico e il Sangiovese di Podere Scheggiolla. Manuali di una filosofia che fa del distacco dal giudizio tecnico il motivo – supremo, altissimo, rivoluzionario – per cercare la perfezione artigianale.

E come ogni antico manuale che si rispetti, non può mancare il bigino. “LP01 Esordio” è il vino che racconta, in poche righe (pardon, “sorsi”), l’evoluzione dell’approccio alla viticoltura di Luciano Pagni e Maria Rosaria Guarini, giunti nel 2000 sui dolci colli toscani di Castelnuovo Berardenga (SI).

Un’etichetta che «nasce da un’urgenza ribelle». Quella di «liberare il nostro vino dal confine dei confronti». «Per noi, enoici amanti del vino – spiega la coppia – ‘LP01′ è il legame con chi lo sceglie, per raccontarci l’emozione». «Si astenga chi ricerca il virtuosismo tecnico e il giudizio supremo», il premuroso avvertimento.

Abbiamo ascoltato la natura imparando ad usare le sue parole e la sua sintassi, ascoltato la forza e le vibrazioni di una terra madre roboante e generosa e, infine, condiviso questa attesa. La condivisione avviene ogni giorno, con chi arriva qui, in questo ‘piccolo stivale’ nello stivale. Con chi beve brindando alla vita. Con chi riconosce questo percorso bevendo nel silenzio il nostro vino e ascoltando».

Una “filosofia” che prende vita tra le 7500 viti di Podere Scheggiolla, nome che deriva dall’omonimo torrente che scroscia poco lontano dalla tenuta, situata a 300 metri sul livello del mare. Radici ben solide le loro, aggrappate a una terra ricca di scheletro, tanto cara all’uva quanto all’ulivo.

«Forse i “grandi progetti”, saggiamente interpretati, aiutano a salvare i nostri cuori, ma in genere i risultati importanti si ottengono con la pazienza delle piccole cose, – sostengono Luciano Pagni e Maria Rosaria Guarini – percorrendo sentieri che passano per il “bello”. Per arrivare ad un obbiettivo, magari senza nemmeno dichiararlo, si deve però cominciare ascoltando. E abbiamo ascoltato». Ecco, forse, perché certi vini sanno di libri.

LA DEGUSTAZIONE

Rosso Toscana Igt 2018 “Lelle”, Podere Scheggiolla: 91/100
La vinificazione in solo acciaio chiarisce l’obiettivo, ancor prima di stappare la bottiglia. Un’esplosione di fiori e frutto, tannino elegantissimo. Beva agile, generosa, quasi “pericolosa”.

Toscana Igt 2015 “LP01 Esordio”, Podere Scheggiolla: 95/100
Il rosso impenetrabile preannuncia tanto la generosità del nettare, quanto la necessità (quasi una preghiera, annegata ma presente sul fondo di quel colore scuro) di saperlo attendere. Un vino che chiede tempo, ma che è in grado di ripagare ogni centesimo di secondo a chi si accosta alla degustazione senza fretta.

Trae in inganno con un naso subito intenso di frutta, che solo l’ossigenazione rende ricco e variegato. Stesso discorso vale per un palato abbondante in ingresso, più per il peso che per l’estensione. Dargli qualche giro di lancetta è un esercizio che ne sgranchisce l’opulenza, riequilibrando il nettare a suon di freschezza e complessità.

Chianti classico Docg Riserva 2012, Podere Scheggiolla: 93/100
Rubino luminoso. Naso ampio, generoso, fresco, balsamico. Si spazia da una ciliegia grondante di succo al muschio, dalla castagna cotta al fungo fresco. Frutti di bosco, ribes, fragolina, marasca, ma anche l’agrume rosso maturo. Una nota ferrosa, sanguigna, unita alla viola mammola.

L’ossigenazione ancora una volta è una preziosa alleata, che libera risvolti umami. Ingresso di bocca denso ma teso, con allungo immediato sul frutto e sul balsamico. Tannino setoso ma presente, in una chiusura dominata dal frutto e dalla spezia, in particolare da ritorni di marasca e pepe nero.

Chianti classico Docg 2013 Gran Selezione, Podere Scheggiolla: 96/100
Si tratta di un cru di solo Sangiovese, frutto di 3 mila viti presenti in una vigna di 1 ettaro e mezzo. Un Chianti classico Gran Selezione che si distingue per opulenza, struttura e concentrazione degli aromi.

Il tutto senza la minima sbavatura e nel segno della consueta precisione, vero tratto distintivo di Podere Scheggiolla. Sorprende, infine, per la prontezza di beva complessiva, data dall’equilibrio perfetto tra le componenti, nonché per le ottime prospettive di ulteriore affinamento, più che mai positivo.

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Cinque vini sotto i 15 euro per le Feste dalla Top 100 Migliori vini italiani WineMag.it

Cinque vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo, inferiore ai 15 euro, per le Feste di Natale e Capodanno dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it. Si tratta di etichette inserite nella sezione “Vino quotidiano” della Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.

  • Pavia Igt Chardonnay 2019 “Il Fermo”, Finigeto
    Giallo paglierino, leggeri riflessi verdolini. Naso tipicissimo, con un po’ di agrume e frutto pieno. In bocca si allarga sulla frutta esotica ma in chiusura di sipario sorprende per la matrice calcarea e per quanto risulti asciutto ed equilibrato. Un’ottima espressione dello Chardonnay in Oltrepò pavese.
  • Capriano del Colle Doc 2019 “Fausto”, Lazzari
    Giallo paglierino, acceso. Naso con tocco di mandorla, frutta esotica, ananas. Gran bella “spinta” calcarea. Bella verticalità, sembra quasi un bianco di montagna. Asciutta la chiusura, elegantissima.
  • Lazio Igp Moscato 2019, Casa della Divina Provvidenza
    Giallo paglierino, naso pieno, aromatico. Banana, ananas, tocco tropicale e di lime che raddrizza il sorso. Ben equilibrato e bel retro olfattivo. Un ottimo “vino quotidiano”, a un passo dall’ingresso nella “Top 100” WineMag.it 2021.
  • Lacryma Christi del Vesuvio Rosato 2019 “Munazei”, Casa Setaro
    Rosso carico, corallo. Naso con richiami esotici, ma anche di fragoline, lamponi, ribes e banana. Bel sorso pieno con un allungo fresco e salino su note agrumate.
  • Sicilia Monreale Doc Bianco 2019 “Murriali”, Baglio di Pianetto
    Giallo paglierino, naso non esplosivo, delicato, floreale fresco e fruttato. Vino che riempie bene la bocca, in un gioco prezioso tra morbidezze e durezze. Bella macchia mediterranea sul frutto esotico maturo.

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Cinque vini dolci per Natale dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it

Cinque vini dolci per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.

  • Alto Adige Doc Gewurztraminer Passito 2018 “Cresta”, Rottensteiner
    Giallo dorato. Naso freschissimo, sorso pure. Grandissima precisione sia nella parte olfattiva che gustativa. Frutta tropicale matura, miele, crema pasticcera che cedono il passo ad una beva scorrevole e soddisfacente.
  • Colli Orientali del Friuli Docg 2012 Picolit, Valentino Butussi
    Se sai dove “andrà a finire” negli anni, con l’evoluzione, non lo bevi oggi. Il consiglio, dunque, è quello di acquistare più di una bottiglia, per valutarne i positivi effetti del lungo affinamento. Perfetto oggi, con le suadenti note dolci ed equilibrate, grandioso domani, quando inizierà a virare su note ben più complesse.
  • Moscato d’Asti Docg 2018 Vigna Manzotti “Matot”, Simone Cerruti
    Un Moscato tipico. Identitario. Elegante ed equilibrato, non si concede agli eccessi in nessun verso, rimanendo fedele a se stesso e alla terra unica in cui nasce. Sorso affilato che asseconda la dolcezza, senza nasconderla.
  • Toscana Igt Passito rosso biodinamico “Sine Felle”, Podere Casaccia
    Vino che si distingue, accendendo la luce sui vini dolci. Si aggiunga il recupero di vecchi cloni di Sangiovese e Canaiolo da parte dell’azienda guidata da Roberto Moretti, per la produzione (in sole 600 bottiglie) di un nettare che sa di fico maturo, di dattero e – soprattutto al naso – si comporta come un rosso secco. In bocca, la freschezza risulta perfettamente integrata con la dolcezza e suggerisce abbinamenti avventurosi.
  • Marsala Vergine Riserva Doc 1995 “La Villa Araba”, Martinez
    Un pezzo di storia di Marsala nel calice, in tutti i sensi. La cantina di Carlo Martinez è uno degli emblemi della grandezza eterna di Marsala, che con questo vino tiene alta la bandiera di una denominazione sciaguratamente snobbata. Rapporto qualità prezzo eccezionale.

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Cinque vini rossi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it

Cinque vini rossi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.

  • Barbera d’Asti Superiore Docg 2016 “Litina”, Cascina Castlet
    Inconfondibilmente Barbera. Frutto succoso, grondante, ben sostenuto da accenni di spezia e freschezza. In bocca gioca a fare la preziosa, svelandosi poco a poco. Bell’allungo speziato. Eleganza pura.
  • Amarone della Valpolicella Docg Classico Bio 2011 “Morar”, Valentina Cubi
    Colore seducente. Naso di frutto, di cuoio, sanguigno, ferroso, spezia, bacca di ginepro. Tutti profumi portati su da un alcol che fa da sprint ed è tutt’altro che disturbante. In bocca perfetta armonia tra note di frutta matura ed i ritorni di cuoio e liquirizia. Chiude sulla bacca di ginepro ed un tocco di prugna.
  • Colli Euganei Doc Merlot 2018 “Poggio alle Setole”, Vigne al Colle
    Rosso rubino, riflessi violacei. Un Merlot particolarmente espressivo, vero, tipico. Accenni verdi che donano freschezza alla parte di frutto maturo ed alla spezie dolce, liquirizia soprattutto. Grande bevibilità.
  • Toscana Igt 2015 “Cà”, Podere Fedespina
    Bel colore carico, gran bel frutto per un vino figlio della sua terra, anzi del suo terreno. Radici profonde che si fan largo tra il calcare. Ne risulta un sorso asciutto, di gran prospettiva, tra la pienezza dei primari e una riequilibrante verticalità. Quando si dice “in vino veritas”.
  • Colli di Salerno Igt Aglianico 2016 “Borgomastro”, Lunarossa
    Rosso rubino splendido. Al naso un gran frutto di bosco, tocchi di spezia nera e macchia mediterranea. In bocca meravigliosamente coinvolgente con le sue note di frutta croccante. Gran lunghezza. Un vino che sorprende per precisione.

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Menat, il vino calabrese in anfora georgiana: Gianni Lonetti fonda una nuova cantina

Nicola Finotto e Michele Vitale, in arte Menat, ne hanno fatta di strada dopo l’inserimento nella Top 100 Migliori Vini italiani di WineMag.it, nel 2019. I loro vini calabresi in anfora georgiana (qvevri) prodotti a a San Nicola dell’Alto, in provincia di Crotone, sono ora distribuiti in diversi Paesi d’Europa e del mondo.

Un progetto a cui ha contribuito come conferitore anche Gianni Lonetti, che nel maggio 2020 ha fondato la propria azienda, incentrato sulla vigna vecchia in contrada Fragalà di Melissa. Un terreno di 1 ettaro e mezzo, da cui hanno preso vita i primi vini di punta di Menat: “Ji Jian” e “Greko”, base Gaglioppo e Greco Bianco. Le uve tipiche della zona.

Nonostante la rottura con Lonetti, il progetto originario di Menat – vocabolo che significa “Domani” nella lingua della comunità arbëreshë locale – non cambia. La convinzione resta quella che il vino debba essere “naturale, senza la minima aggiunta di chimica, ma senza difetti e di grande bevibilità”.

La prova del calice convince appieno. Il Calabria Igt rosato “Menate Zero” dice tutto sin dal nome: un vino agile, di grande beva, che si apre con l’ossigenazione su ricordi di fiori di rosa e note di frutti di bosco, agrumi e una spezia leggera, dosatissima. Il classico rosato da bere ‘a secchiate’.

La Riserva “Ji Jian”, ottenuta da mosto fiore di Gaglioppo maturato 8 mesi in anfora georgiana, si presenta di un color mattone e sfodera un naso talcato, balsamico, con ricordi di arancia rossa, anice, mentuccia. Tannino disteso ed ennesimo vino dalla beva instancabile, sapida e di lunga persistenza.

Infine il Greco Bianco macerato “Greko”, ottenuto mediante contatto di 7 mesi con le bucce e una doppia torchiatura. Colore splendido e naso che segue a ruota, tra ricordi di zenzero candito, curcuma, fiori di sambuco e albicocca matura.

Bassa l’acidità e bassa la percentuale d’alcol in volume per questo vino bianco calabrese del tutto singolare e unico, la cui spina dorsale è rappresentata dalla piacevole percezione “tannica”, conferita dalla lunga macerazione.

Le prime tre etichette di Menat, che produce circa 4 mila bottiglie l’anno, sono finite non a caso in mezza Europa e nel mondo. Una storia di successo, che in realtà ne cela un’altra. Quella di Gianni Lonetti che, dopo la rottura con i due fondatori, sta costruendo il suo futuro accanto a uno dei vignaioli calabresi più in vista: Francesco De Franco di A’ Vita – Vignaioli in Cirò.

“In attesa che la mia cantina venga realizzata – spiega Lonetti a WineMag.it – ho vinificato la mia prima etichetta a casa di un maestro del vino calabrese, come De Franco. Il vino, ottenuto proprio dalla vigna di contrada Fragalà da cui nascevano i vini di punta di Menat, è un uvaggio di Gaglioppo (70%) e Magliocco (30%): si chiama ‘Juru‘, vendemmia 2019“.

Per il momento, Gianni Lonetti ha abbandonato le qvevri georgiane. “Ma quando potrò tornare a vinificare in proprio – spiega – tornerò alla terracotta. Non a quella georgiana: sto pensando alla spagnola o, ancora meglio, all’italiana”.

Il giovane vignaiolo di San Nicola dell’Alto sta sperimentando le Tinajas, ma sembra preferire il tricolore, in particolare quello dell’azienda leader mondiale nella produzione di vinificatori in terracotta: “Mi stanno convincendo particolarmente le anfore di Artenova – ammette – prodotte a Impruneta, in Toscana”.

Le novità non finiscono qui. Il vignaiolo Lonetti potrà contare su ulteriori 5 ettari di vigneto, in una posizione particolare, ovviamente sempre in Calabria. “Per via dei cambiamenti climatici – rivela a WineMag.it – ho deciso di spostarmi dalla costa verso l’entroterra, con altri 5 ettari di vigneto a Pallagorio, altro paese di tradizione arbëreshë, non lontano da San Nicola dell’Alto”.

Una scelta di campo importante. Il Comune – poco più di mille abitanti – si trova sempre in provincia di Crotone, ma a ridosso dei monti della Sila: “Per l’esattezza – spiega Lonetti – pianterò Gaglioppo e Greco Bianco, a 554 metri sul livello del mare“. Insomma, c’è tanta carne al fuoco tra le nuove leve del vino calabrese.

© Riproduzione riservata di testi e foto

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Cinque vini bianchi per Natale dalla Top 100 migliori vini italiani WineMag.it

Cinque vini bianchi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a un rigoroso blind tasting.

  • Alto Adige Doc Chardonnay 2018 “Flora”, Girlan
    Giallo paglierino, riflessi dorati. Nota mielata di primo naso. L’ingresso in bocca è morbido per poi affilarsi grazie alla viva freschezza. Ricco e con una intrigante complessità data dal varietale, non dall’affinamento. Di grande eleganza, bilancia sapientemente note citriche e cremosità da pasticceria.
  • Soave Doc 2017 “Le Cervare”, Zambon
    Giallo paglierino. Al naso una pietra focaia “didattica”, esuberante. Il vulcano ammansisce fiori e frutti pur presenti, dimostrando come il vino sia ancora giovanissimo. In bocca una buona freschezza e grande sapidità, su note di frutta matura ed una leggera chiusura citrica. Persistenza da campione.
  • Vino bianco “Escamotage”, Simone Cerruti
    Giallo paglierino carico. Naso splendidamente aromatico. Salvia, mentuccia, uva sultanina, eucalipto, verbena. In bocca domina una gran vena salina. Dritto e verticale, con ritorni del varietale in chiusura. Un vino gastronomico che dà il meglio di sé a tavola.
  • Trebbiano Spoletino Igt 2019 “Maceratum”, Fongoli
    Orange. Naso di erbe, radice di liquirizia, zenzero ed agrume candito. In bocca tannino non ruvido ma presente, a sua volta stuzzicato da un agrume succoso. Chiude su ritorni di radice di liquirizia, lungo. Accenno di sale e gran freschezza. Vino manifesto di un movimento, quello dei cosiddetti “vini naturali”, che troppo spesso si perde in sofismi. Ma quando fa sul serio, fa sul serio. Così.
  • Melissa Doc Greco di Bianco 2019 “Caraconessa”, Fezzigna
    Giallo paglierino. Bel naso di bergamotto, agrumi, erbe mediterranee. Leggero tocco di spezia bianca. Sorso teso ma agile, lungo sulla freschezza e su ritorni di agrumi. Vino manifesto del vitigno e della zona.

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Cinque spumanti per Natale dalla Top 100 migliori vini italiani WineMag.it

Cinque spumanti per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a un rigoroso blind tasting.

  • Alta Langa Docg Brut 2014 “Cuvée Leonora”, Cascina Bretta Rossa
    Un vero e proprio vino di terroir, ottenuto da uve Pinot Nero e Chardonnay, allevate a 400 metri sul livello del mare. Giallo paglierino, riflessi dorati. Perlage fine e persistente. Note di frutta matura, mineralità calcarea, piacevole freschezza. Armonico in bocca, chiude su una leggera vena amaricante.
  • Vsq Metodo classico Nature “Ugo Botti”, Tenuta la Vigna
    Guarda un po’ che succede (di molto bello, s’intende) a un passo dalla Franciacorta. Lo Champenoise di Tenuta la Vigna si presenta di un giallo paglierino con rifessi dorati. Perlage molto fine e molto persistente. Nota di pasticcera classica dello Chardonnay, a far da sottofondo ad agrumi e frutti perfettamente maturi. Chiusura su sale e liquirizia netta. Bello il profilo calcareo, che regala un sorso asciutto. Una perla, in una gamma più che mai completa.
  • Vsq Metodo classico Blanc de Blancs Extra Brut, Monsupello
    La maison dell’Oltrepò pavese tiene alta la bandiera del territorio con uno Champenoise di pura classe, ottenuto da uve Chardonnay in purezza. Giallo paglierino, riflessi dorati. Perlage molto fine e molto persistente. Al naso tocco di liqueur, poi gelsomino, frutto maturo, esotico. Centro bocca salino e cremoso, dritto e freschissimo. Gran chiusura su note di crema pasticcera.
  • Lessini Durello Doc Riserva 2016 Pas Dosè, Dal Maso
    Non sbaglia un colpo la cantina Dal Maso, che ha scelto di scendere in campo nella sfida degli spumanti Metodo classico base Durella. Carattere ed estrema gastronomicità per questo spumante che racconta bene l’annata.
  • Asolo Prosecco Superiore Docg 2019 Extra Brut, Tenuta Amadio Rech Simone
    Uno spumante di grandissima stoffa, ottenuto da vecchie viti. Perlage fine e molto persistente. Naso burroso, tocco di lievito e note di ananas, banana, papaia. Ingresso di bocca minerale, per poi ritornare su un frutto pienissimo e perfettamente maturo anche nel lungo finale, fresco e preciso. Il perlage ‘lavora’ benissimo sulla frutta matura, conferendo cremosità assoluta. La gemma in una gamma completa, di altissimo livello. Azienda da tenere in assoluta considerazione nel panorama di Asolo e del Prosecco Superiore.

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I vini di Terra d’Aligi, dalla Cococciola al Montepulciano: una finestra sull’Abruzzo

Terra d’Aligi, in una parola l’Abruzzo. Non poteva scegliere nome migliore, la famiglia Spinelli, per celebrare l’attaccamento alle proprie origini: “È la regione d’Italia in cui viviamo, la Terra d’Aligi, la terra dei nostri vini”.

Un riferimento al pastore Aligi, protagonista de “La Figlia di Iorio”, celebre tragedia in tre atti di Gabriele D’Annunzio, eterno poeta abruzzese. Come pastori, anche gli Spinelli dimostrano di sapersi muovere “con i piedi per terra e lo sguardo avanti”.

“I piedi per terra sono l’amore per il territorio e la profonda conoscenza di ciò che può produrre: sono la tradizione, la capacità innata di tastare il terreno, di sentire l’aria, di scovare vigne nuove e sfruttare al massimo le potenzialità dei terroir”.

Nei vini Terra d’Aligi, prodotti con le uve della Val di Sangro, si ritrovano tradizione e futuro, “pastorizia” e abilità imprenditoriale. Lo dimostrano gli otto assaggi della linea riservata all’Horeca dalla famiglia Spinelli.

LA DEGUSTAZIONE

Terre di Chieti Igt Cococciola 2019, Terra d’Aligi (13%): 90/100
Giallo paglierino non particolarmente carico, ma luminoso. Naso intenso, che lascia grande spazio agli agrumi: lime, pompelmo, bergamotto, tra buccia e polpa. Poi pesca e melone bianco ed ananas, in un incedere prezioso e preciso di note esotiche, circoscritte in un quadro marino, iodico, incomplessito da ricordi di macchia mediterranea sempre più presenti, con l’ossigenazione

Il sorso è teso, vibrante, animato da una gran freschezza e salinità che giocano sulla frutta matura. Più che sufficiente anche la persistenza, su tinte ammandorlate. Un vino che non stanca mai e si presta anche ad ottimi abbinamenti a tavola, in particolar modo con piatti a base di pesce e sushi.

Terre di Chieti Igt Passerina 2019, Terra d’Aligi (13%): 88/100
Giallo paglierino. Naso sul frutto esotico, tropicale, con ricordi minerali e calcarei. Sorso connotato da una freschezza agrumata, veriticale. Buon apporto di frutto in un calice che si rivela sorprendentemente giovane, per affilatezza dei sentori. Una Passerina di carattere, insomma, che non rinuncia alla consueta vena fruttata, ma che mostra al momento più la sua anima “marina”. Perfetto, di fatto, l’abbinamento col pesce.

Terre di Chieti Igt Pecorino 2019 “Zite”, Terra d’Aligi (13,5%): 91/100
Naso intrigante per questo Pecorino che tinge il calice di un giallo paglierino acceso. Al bel bouquet di fiori di campo di abbinano ricordi di nocciola tostata e di una succosa pesca a polpa gialla. Intensa anche la macchia mediterranea, con rosmarino, timo e alloro in primissima vista.

Il sorso denota una buona struttura e un buon corpo, oltre che una freschezza e una salinità capaci di giocare sull’equilibrio dei ritorni di frutta matura. Lungo e intenso il finale, per un nettare di buona gastronomicità.

Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2019, Terra d’Aligi (13%): 92/100
Colore tipico della Denominazione, un bel cerasuolo per l’appunto, luminoso, quasi psichedelico e carico di profumi. Si avverte la piccola frutta a bacca rossa perfettamente matura, come la ciliegia, il lampone e la fragolina, ma anche un ribes ancora croccante.

Il palato è quello di un vino di assoluta dignità propria, quello che non tutti i rosati italiani riescono ad avere. La frutta è pienamente matura, in perfetto equilibrio con la freschezza.

Tra le voci del “cesto” palesatosi al naso domina quella della ciliegia matura, ben sostenuta da ricordi erbacei, che accompagnano verso un finale disteso, giustamente amaricante e preziosamente “vinoso”. Vino con cui divertirsi a tavola, anche in accompagnamento a zuppe di pesce o, ancor meglio, legumi.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2017, Terra d’Aligi (13,5%): 89/100
Rosso rubino impenetrabile, dalla bell’unghia violastra. Naso intenso, in cui frutto e vegetale convivono all’unisono, in armonia, lasciando il giusto spazio ai terziari. Primo naso effettivo del frutto, che sfiora la confettura di ciliegia e di mora.

Al palato una bella tensione di freschezza e salinità, in pregevole contrasto (ed equilibrio) coi i ritorni di frutta già avvertita al naso. Lungo il finale, con sorprendenti ricordi d’agrume rosso (arancia sanguinella) a dimostrare quanto la pienezza del sorso e la struttura non siano affatto “sedute” sulla glicerina dei 13,5 gradi di percentuale d’alcol in volume. Vino importante e serio, che necessita di altrettanta consistenza nel piatto, per l’abbinamento.

Abruzzo Doc Rosso 2015 “Zurle”, Terra d’Aligi (14%): 88/100
Rosso rubino intenso, con unghia violacea. Primo naso e palato sui terziari, accostati un po’ troppo prepotentemente ai sentori di frutta, coprendoli. Vino che piace certamente all’estero, segno di una gamma costruita sì sulla tipicità, ma che tiene conto anche delle esigenze (e dei gusti) del mercato internazionale.

Tanta spezia, dunque, calda ed orientaleggiante: cumino e curcuma, oltre alla vaniglia Bourbon. Bei ritorni di confettura in chiusura, sul filo sospeso dell’alcol. Del resto, come ricorda la retro etichetta, “Zùrle” è la parola che, nel dialetto abruzzese, descrive il divertimento dei bambini nel saltellare e rincorrersi. L’ebrezza e il distacco dalla quotidianità che non guastano mai, anche nella vita degli adulti.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2016 “Tatone”, Terra d’Aligi (14%): 94/100
Rosso rubino impenetrabile e denso che inizia già a disegnare, sin dal colore e dalle prime movenze, le fattezze di un monumento: quello a nonno Spinelli, chiamato appunto “Tatone”. Al naso e al palato, in perfetta corrispondenza, un tesoro di frutta e di terra, di mani pulite del lavoro in vigna e dei suoi risultati più attesi.

C’è la mora, l’amarena, il ribes. Note precise, senza sbavature. E poi c’è la polvere di cacao, la radice di rabarbaro e di liquirizia, l’avena tostata. C’è la macchia mediterranea, immancabile in un rosso del centro Italia che ha così tanto da raccontare. La chiusura è tesa, come il sorso. Col tannino che tenta, in cravatta, di asciugare un succo grondante. “Tatone” è il vino della domenica. Un contadino con la giacca.

Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva 2014 “Tolos”, Terra d’Aligi (14,5%): 92/100
Rosso rubino dall’unghia ancora una volta violacea, a denotarne una gioventù tutt’altro che scontata. Al naso è un vino prezioso, ricercato, tipico. Capace di esaltare la grande Denominazione abruzzese e la denominazione dell’uva Montepulciano.

Tanta mora, di quelle che si trovano d’estate ancora appese alle piante, in campagna: nere come la pece con qualche pois rosso, segno di una maturazione non ancora compiuta nella propria interezza. C’è poi il ribes, in tutta la sua croccantezza. Tanta macchia mediterranea (rosmarino, alloro, su tutti), unita a risvolti di terra bagnata, di muschio, terra bagnata. Di fungo, oltre che di resina di pino.

In bocca si ritrova tutto questo, in un quadro di perfetta corrispondenza che segna un sorso materico e cerebrale. Terziari un po’ troppo pronunciati sul tannino, specie in chiusura, appiattiscono tale vigoria su note polverose, di cacao. Un bel bere, in compagnia di piatti di selvaggina e carni alla griglia.

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∗DISCLAIMER L’articolo e la degustazione non sono stati commissionati dall’inserzionista
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Monsupello Blanc de Blancs: sfida allo Champagne e dedica a mamma Carla

Saggezza, tenacia, tecnica, emozione. In una parola Monsupello Blanc de Blancs, il nuovo Metodo classico Extra Brut della storica maison di Torricella Verzate (PV). Un’etichetta che condensa la storia centenaria degli eredi di Carlo Boatti e Carla Dallera. E accende la luce sull’Oltrepò pavese del presente e del futuro, sempre più casa dello spumante italiano di gran qualità. Che non teme confronti. Neppure con i francesi della Champagne.

La presentazione del Monsupello Blanc de Blancs – in vendita da questa mattina a 30 euro più Iva – è avvenuta ieri al Castello di San Gaudenzio di Cervesina (PV). Un elegante Albergo Ristorante che dal giorno dell’inaugurazione – avvenuta il 16 dicembre 1977 – brinda con le bollicine oltrepadane della cantina fondata dal compianto Boatti.

La location perfetta per un Metodo classico base Chardonnay di classe assoluta, che ha già fatto incetta di premi dalle maggiori guide enologiche italiane. Inserito nella Top 100 Migliori Vini italiani di WineMag.it, è stato premiato anche da Gambero Rosso e Slow Wine e inserito nella “Top 25” vini italiani del Merano Wine Festival 2020, notizia data ieri dal patron della kermesse altoatesina, Helmuth Köcher.

“Dedico questo spumante a mia madre Carla”, ha commentato un commosso Pierangelo Boatti, insieme alla sorella Laura Boatti: “Questo Metodo classico – ha aggiunto – è la risposta alla sfida lanciataci da alcuni amici e colleghi italiani e francesi, che hanno voluto metterci alla prova con lo Chardonnay, uvaggio tipico in Champagne adottato per la prima volta in purezza da Monsupello, da sempre fedele al Pinot Nero dell’Oltrepò pavese”.

Non a caso l’etichetta, a livello grafico, strizza l’occhio al noto brand di Champagne Salon, produttore di Mesnil sur Oger, Grand Cru della Côte des Blancs. Tinte verde scuro e scritte oro, a richiamare una sfida accettata a tutto tondo. Dal concept al calice.

“Lo Chardonnay non è una novità assoluta per Monsupello – ha precisato l’enologo Marco Bertelegni – dal momento che le stesse uve, provenienti dalla vigna Montagnera, sono da sempre impiegate per completare la cuvée composta al 90% dal Pinot Noir, nel Brut e nel Nature”.

In particolare, la vigna con esposizione a Est, situata di fronte alla sede aziendale, presenta piante con età media compresa fra i 25 e i 30 anni. Il 60% del vino base è d’annata e vinificato in acciaio, mentre il restante 40% affina in barrique usate, scelte per completare e arricchire la verve dello Chardonnay più giovane.

La prima sboccatura del Metodo Classico Blanc de Blancs di Monsupello (novembre 2019) ha riposato sui lieviti 50 mesi. Ne seguiranno altre, sino a un massimo di 70, 80 mesi, come nel caso della Cuvée Ca’ del Tava.

“L’Oltrepò pavese – ha ricordato nel suo intervento Carlo Veronese, direttore del Consorzio Tutela Vini locale – è uno dei pochi territori dove vengono bene praticamente tutte le uve”.

“Quello che manca – ha aggiunto – è riuscire a essere come Monsupello, unica azienda oltrepadana veramente conosciuta in tutta Italia e non solo. È arrivato il momento che anche altri colleghi facciano lo stesso, girando il mondo per rendere ancora più famoso l’Oltrepò”. Chi accetta la sfida?

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Terre di Leone, leggerezza e modernità nella Valpolicella Classica

C’è chi è nato per sfoggiare borse eleganti e chi per portare zaini pesanti sulle spalle, con la stessa agilità di una pochette. I vini della Valpolicella di Terre di Leone colpiscono per leggerezza e modernità, costruite sulla consapevolezza di scelte difficili. Persino evitabili.

Una coerenza rara nell’Italia del vino anni Duemila, sancita dal matrimonio inscindibile tra la vita privata e quella professionale di Federico Pellizzari e Chiara Turati. Mr e Miss Terre di Leone.

Rese striminzite in vigna. Massima attenzione all’ambiente. E, soprattutto, autocritica alle stelle. Tanto da poterla scambiare, di primo acchito, per falsa modestia. Un perfezionismo attestato da anni e anni di prove, prima dell’esordio sul mercato, nel 2010.

Siamo a Marano, nella Valpolicella Classica. Ma potremmo essere a Minsk o Addis Abeba. La vita e il lavoro di Federico Pellizzari e Chiara Turati paiono un’opera d’arte. Un quadro originale, che starebbe bene al Louvre di Parigi. Come al Moma di New York.

Passano anche per la Bielorussia e l’Etiopia le storie “pesanti” della coppia, attorcigliate come vivide radici ai calici di Terra di Leone. La coppia di vignaioli ha deciso di adottare in questi due Paesi i propri figli, oggi ormai felici adolescenti, cresciuti in un Veneto non sempre aperto ad accogliere.

Sembra di ritrovare nel calice, all’unisono perfetto, quell’influsso di un Est Europa dagli inverni gelidi, che non perdonano errori di calcolo e misura; e quell’Africa calda e imprevedibile, capace di emozionare con un gesto semplice o un sorriso.

Berreste, voi, Amarone dal lunedì al venerdì? Probabilmente no, ma è questo il senso di una linea che solo chi ha dentro un mondo potrebbe immaginare: si chiama “Il Re Pazzo” ed è la gamma di “vini quotidiani” con cui Terre di Leone prova a spiegare in maniera semplice, disinvolta ma vera, una Valpolicella di straordinaria modernità e leggerezza.

Grandi profumi. Integrità assoluta del frutto. La stessa che si ritrova anche nel rosso Igt “Dedicatum“, ottenuto dall’assemblaggio di 14 uve della Valpolicella: l’emblema della passione di Federico Pellizzari per lo Châteauneuf-du-pape.

Fiore all’occhiello della produzione, l’Amarone Riserva che – se ce ne fosse bisogno – dà ancora una volta la tara a Terre di Leone: “Avremmo sempre avuto, a rigor di disciplinare, la possibilità di indicare la Riserva, visti i lunghi tempi di affinamento. Ma all’inizio ci sentivamo fuori posto“. Oggi non più. Ed è solo l’inizio, per una delle massime espressioni del vino della Valpolicella. Classica e non.

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Aspetta il Gavi che lui t’aspetta: verticale Gavi Marchese Raggio 2015, 2016 e 2017

Tre annate di Gavi del Comune di Gavi Docg di Marchese Raggio – La Lomellina (2017, 2016 e 2015) che dimostrano l’assunto: aspetta il Gavi, che lui t’aspetta. Il bianco piemontese, per l’esattezza alessandrino, “invecchia” bene. Il tasting in verticale.

  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2017, Marchese Raggio – La Lomellina (14%): 89/100
    Giallo paglierino tenue, ottima luminosità. Primo naso intenso e da subito elegante, fiori bianchi freschi e agrumi, buccia di lime, pesca, ananas e un tocco di radice di liquirizia. In bocca un’ottima freschezza, ingentilita a dovere dai 14% d’alcol in volume. Il sorso si allunga su note di pesca tabacchiera (quella a polpa a bianca) che ricordano il melone bianco, su un sottofondo agrumato e iodico. Bel vino, anche dal punto di vista della gastronomicità.
  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2016, Marchese Raggio – La Lomellina (13%): 87/100
    Giallo paglierino pieno, primi flebilissimi riflessi dorati. Naso più profondo, con le note di radice di liquirizia ancora più in primo piano. La frutta non manca. Sono i ricordi di pesca, in particolare, a farsi largo con l’ossigenazione. Ancora più evidente la mineralità, che asciuga il sorso, nonostante il buon apporto glicerico (13%). Il sorso è più snello del precedente, ma salinità e freschezza fungono ancora da spina dorsale. Altro bel vino con cui giocare in cucina. Va detto: fra i 3 in batteria, il più stanco.
  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2015, Marchese Raggio – La Lomellina (13%): 90/100
    Giallo paglierino netto, accenni dorati sarcastici. Primo naso su uno sbuffo di idrocarburo, ma è la parte vegetale che sorprende maggiormente. Alla consueta nota di radice di liquirizia si abbinano ricordi di verbena, mentuccia e un tocco mediterraneo, di rosmarino fresco.L’ossigenazione lascia spazio a ricordi umami (per intenderci la salsa di soia o il “mono-glutammato di sodio”, per i tecnici all’ascolto). La complessità olfattiva è degna di un’ulteriore attesa dell’espressione globale del nettare nel calice, a costo che si scaldi un poco.Un rischio che vale la pena di correre, per poi rinfrescare il bicchiere prima dell’assaggio, con un altro goccio. Qualche minuto ancora e nasce un fiore bianco dal giallo luminoso di cui si è ormai vestito il calice: più biancospino che glicine. Un gesto di coraggio, che dà il largo ad altri slanci “giovanili”. Si distingue nettamente una bella componente fruttata, esotica: ananas e pesca sui ricordi d’agrume perfettamente maturo.Ingresso di bocca piuttosto morbido, prima di una buona tensione dettata dall’acidità, ancora viva: il sorso è in definitiva fresco, all’insegna di un vino che ha ancora molto da raccontare, nella sfida col tempo. L’ultima parola, prima della chiusura del sipario, è su un ritorno delle morbide note fruttate avvertite in ingresso, senza che la freschezza ceda affatto il passo.

LA VINIFICAZIONE

L’area di produzione, come suggerisce l’etichetta, è quella del Comune di Gavi, nell’Alessandrino, in Piemonte. I vigneti di Cortese, con esposizione a Sud-Est, si trovano a un’altitudine compresa tra 250 e 280 metri sul livello del mare.

Il suolo è composto da marne sabbiose che conferiscono una resa di 70 quintali per ettaro. Le uve Cortese, utili alla produzione del Gavi del Comune di Gavi Marchese Raggio, vengono raccolte solitamente nella seconda metà di settembre. La vendemmia è manuale, in cassette forate da 20 kg.

Riguarda solo i migliori grappoli che, una volta in cantina, vengono sottoposti a una pressatura soffice e a una successiva fermentazione in recipienti di acciaio inox. La temperatura viene mantenuta costantemente bassa, fino all’esaurimento di tutti gli zuccheri, al fine di preservare gli aromi primari del Cortese.

Il mosto non svolge la fermentazione malolattica e il vino atto a divenire Gavi del Comune di Gavi di Marchese Raggio affina tra i 4 e i 6 mesi in acciaio prima di essere imbottigliato. Per l’immissione in commercio dell’ultima annata occorrono solitamente altri 4 mesi.

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Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016, Emidio Pepe

Sulla scia della stagionalità, che richiede vini freschi che ben si adattano alle temperature estive, ecco l’ottimo Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016 di Emidio Pepe. Un grande produttore abruzzese, fermo difensore (dal 1964) dei suoi “terroir”, rispetto alle veloci evoluzioni della chimica in viticoltura.

Un fautore, pertanto, di una filiera agricola totalmente biologica. Una filosofia produttiva vincente, che ha permesso alla cantina Emidio Pepe di essere conosciuta e apprezzata in tutto il mondo.

LA DEGUSTAZIONE
Alla vista, quella del Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016 di Pepe è una delle più belle rappresentazioni di “rosa” della tipologia. Al naso spicca tutto il frutto demandato dalla bacca rossa del Montepulciano d’Abruzzo. Lampone e fragole mature, quasi da confettura, si abbinano al melograno.

Presente anche una parte floreale, dalla trama fitta e delicata. Al palato, il Cerasuolo 2016 di Emidio Pepe si dimostra un vino dalla forte predisposizione alla gastronomia, anche quella più complessa.

Un frutto pertanto persistente, ricco ed intenso a livello aromatico, che contribuisce al bell’equilibrio del vino. L’espressione massima, in tema di abbinamento, può ricercarsi in secondi a base di carne bianca, brodetto di pesce abruzzese, oppure salumi e formaggi (specie dell’Abruzzo) di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
Come da tradizione, le uve della cantina Pepe vengono pigiate ancora con i piedi, in tini di legno, per poi essere vinificate in bianco con una fermentazione senza bucce, in vasche di cemento vetrificate.

L’imbottigliamento e il successivo affinamento avviene senza alcuna filtrazione e conferisce al Cerasuolo autenticità e territorialità. Quella più vocata, per tradizione, all’artigianalità abruzzese.

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Il “Tiurema” di Enò-Trio, ovvero il Pinot Nero dell’Etna di Nunzio Puglisi

Il “Tiurema” di Nunzio Puglisi (Enò-Trio Vini, Randazzo – CT), in fin dei conti, è semplice nella sua decostruzione delle circostanze e delle abitudini: prendi il Pinot Nero, mettilo sull’Etna e vedi che succede.

Il risultato è un altro vino, diverso da quello che ci si potrebbe aspettare conoscendo il “Noir”. Più simile ai francesi “estremi” che a tanti italiani. Meno leggiadro in bocca e più muscoloso, potente. Eruttivo.

Un Pinot nero che pare in guerra con se stesso, un po’ incazzato con chi l’ha messo sul bordo di un cratere siciliano, invece che a Mazzon. Ma che guardandosi allo specchio, in fondo, si piace (e piace) esattamente così com’è: diverso. Che “Tiurema” sarebbe se raccontasse quello che sappiamo già?

Del resto, Nunzio Puglisi non ci gira attorno: “Partendo dalla necessità di voler dare un nome al nostro Pinot Nero, conoscendo le difficoltà che bisogna affrontare per arrivare a portare a giusta maturazione le uve, consapevoli del fatto che il Pinot Nero è una delle varietà più complicate da gestire durante la vinificazione, certi e sicuri che il nostro non sarà mai uguale per ogni annata vendemmiale, siamo arrivati qui: Tiurema”.

Tutto un progetto, una aspirazione, una idea, una utopia. Una sfida che abbiamo voluto imporci di voler portare a termine e far conoscere. Una visione differente di Pinot Nero perché prodotto sull’Etna a mille metri sul livello del mare, su un terreno argilloso; un invito rivolto a voi per scoprire insieme le caratteristiche che presenta di anno in anno“.

“Una complessità – conclude Nunzio Puglisi, vertice dell’Enò-Trio con le figlie Stefany e Désirée – che va dalla coltivazione all’imbottigliamento di una nostra idea di Pinot Nero tutta da condividere”.

Una concezione che è cambiata negli anni, pur rimanendo fedele all’idea iniziale, portando la cantina a produrre vini sempre più eleganti e in grado di valorizzare appieno il terroir etneo.

Non solo col Pinot Nero “Tiurema”, ottenuto da un vigneto di 40 anni, ma anche con il Traminer “Dissidente”, tra i migliori assaggi al Mercato Fivi 2019 di Piacenza. Provare per credere.

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Cantine degustati da noi news news ed eventi vini#02

Nicosia punta sull’Etna Doc con nuove etichette di Contrada

Dalla fine dell’Ottocento (1898) e da cinque generazioni, la famiglia Nicosia si dedica alla viticoltura. Alle pendici dell’Etna, la cantina oggi guidata da Carmelo Nicosia e dai figli Francesco e Graziano, sembra aver trovato il suo habitat naturale. Un progetto enologico in crescita.

Nel futuro di Nicosia c’è infatti l’avvio della produzione di altri “vini di Contrada“, ottenuti da vigne storiche di proprietà e di recente acquisizione, nei Comuni di Zafferana Etnea, Santa Venerina e Linguaglossa. Etichette che andranno a consolidare una produzione già ricca di sfaccettature e sfumature.

Siamo nel territorio di Trecastagni, nella zona Sud-Est del vulcano, a circa 600 metri sul livello del mare. Le vigne si estendono per 10 ettari ai piedi di uno dei tanti crateri etnei inattivi, Monte Gorna e sul Monte San Nicolò (8 ettari), situato a un chilometro di distanza. Completano il parco vigneti alcune piccole proprietà nei dintorni.

In queste zone, che ricadono nei territori della Doc Etna, Nicosia alleva Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio per i rossi; Carricante, Catarratto e Minnella per i bianchi. Piccole parcelle costituiscono i Cru, destinate al Bianco Riserva e al Rosso Riserva che i portano i nomi della zona.

La cantina di 6 mila metri quadrati coperti – 33 mila totali – gioca sul binomio tra modernità e tradizione. All’interno si trovano un negozio e l’accogliente Osteria, che offre ristoro agli amanti dei piatti della Regione e non solo. Il sommelier Santi Natola accompagna  alla scoperta del territorio.

Il tutto attraverso piatti e vini che lo raccontano, secondo i principi e i valori della famiglia Nicosia. Di particolare interesse è l’uso delle botti (di primo e, soprattutto, secondo e terzo passaggio) ricavate sia da rovere francese che americano e acacia, in grado di cedere ai vini sensazioni speziate e mielate di grande piacevolezza.

Tutti gli imbottigliamenti godono di certificazione biologica, alcuni dei quali attestati bio-vegan. La gestione delle vigne è affidata all’agronomo Alessandro Logenco, che opera in sinergia con l’enologa, nonché compagna di vita, Maria Carella.

LA DEGUSTAZIONE

Etna Doc Bianco 2019 Monte San Nicolò (13%)
L’uvaggio che lo compone è Carricante per il 95% e Minnella per il restante 5%. Affinato in vasche d’acciao per 7/8 mesi e, successivamente, in bottiglia per 3/4 mesi.

Alla vista si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, cristallino. Al naso sono percepibili profumi floreali e fruttati, di pera e mela, agrumi. Vino giovane, al palato spicca una comprensibile e notevole acidità, sapido, dalla velata mineralità. Un vino non ancora in commercio.

Etna Doc Bianco 2018 Monte Gorna 2018 (13%)
Costituito da un blend di Carricante per l’80% e Catarratto  per il 20%. Affinamento in vasche d’acciaio, breve passaggio, pari a 3/4 mesi, in tonneaux d’acacia, stesso periodo ma in bottiglia, per finire.

Alla vista giallo paglierino, riflessi verdolini, brillante. Al naso fine, più floreale che fruttato, delicato miele, agrumi e, col tempo, in successione, note di frutta secca e balsamiche di alloro. Al palato, assai gradevole l’evidente nota minerale, ottima acidità, accompagnata da ben presente sapidità. Un vino ben Fatto.

Etna Doc Bianco Riserva 2016 Monte Gorna 2016 (13%)
Prevalente presenza di Carricante, il 90%, in blend con una minore quantità di Catarratto per il 10%. Affinamento: metà produzione sosterà sei mesi in barrique di secondo passaggio, mentre, l’altra metà farà sei mesi in barrique di terzo passaggio. Seguirà ulteriore elevazione, per circa un anno, in bottiglia.

Colore giallo dorato. Il naso è complesso, fruttato, ricorda la mela cotogna, delicatamente mielato. Al palato regna una notevole acidità, nonostante l’annata non recentissima, è sapido, con una gentile nota minerale. Di ottima struttura, grande equilibrio. Imperdibile.

Spumante Doc Sicilia Brut Carricante 2017 (sbocc. 2019 – 12%)
Concepito con solo Carricante, farà affinamento esclusivamente in acciaio e, almeno, 18 mesi in bottiglia sui lieviti. Perlage fine, di buona persistenza. Colore giallo paglierino, riflessi verdolini, cristallino.

Al naso ricorda molto, soprattutto nel tempo, la matrice comune ai bianchi fermi: profumi  floreali e miele che, insieme a  sentori di lievito, trovano conferma al palato. Ricchissima acidità, per caratteristica dell’uva d’origine, il Carricante si rivela vitigno ostico per la spumantizzazione.

Merita indubbiamente l’assaggio, per carpirne le peculiarità. Nei prossimi anni si punta alla realizzazione di espressioni più mature, che raggiungeranno i 36 e i 60 mesi sui lieviti.

Spumante Doc Etna Brut 2016 (sbocc. 2019 – 11.5%)
Nessun blend per questo spumante, previsto l’utilizzo di solo Nerello Mascalese. Un Blanc de Noir affinato non meno di 24 mesi sui lieviti, dal perlage fine e persistente.

Colore giallo paglierino. Al naso complesso ed elegante, si alternano sentori floreali e fruttati, immancabili lievito e crosta di pane. Acidità persistente, sostenuta da una, molto presente, mineralità. Equilibrato.

Etna Doc Rosso 2017 Monte Gorna (13%)
Le uve utilizzate, per questo vino convincente, sono Nerello Mascalese 80% e Nerello cappuccio 20%, per il più classico dei blend della Doc Etna Rosso. Circa la metà della produzione, dal 40 al 50%, sarà destinata alla botte grande (3-4 mesi), per poi sostare ulteriormente in barrique di 2° e 3° passaggio (5/6 mesi). La restante parte affinerà in acciaio. Seguiranno sei mesi da trascorrere in bottiglia.

Dal colore rosso rubino, con gli anni tenderà a degradare verso toni granati, in linea con le caratteristiche dei vini da Nerello Mascalese. Al palato si distingue subito per le note di frutta rossa, spezie, capperi, liquirizia nel finale. Piacevole beva, per via della buona freschezza, si sente il legno ma senza eccessi. Buona struttura generale.

Etna Doc Rosso Riserva 2013 Monte Gorna (13.5%)
Realizzato con Nerello Mascalese per il 90% e Nerello Cappuccio per il 10% , la Riserva gode di un periodo di quiescenza in cantina di quattro anni (almeno) dalla vendemmia e, secondo disciplinare di produzione, dodici mesi di botte. Per il proprio vino, Nicosia ha previsto due anni di barrique di rovere francese di 2° e 3° passaggio.

Colore rosso rubino, tendente al granato. Al naso sono piacevoli le sensazioni olfattive di erbe aromatiche e spezie, di cannella, macchia mediterranea, rosmarino. Complesso. In bocca domina il tannino che pervade il palato. Molto evidente l’uso della botte. E’ buona la freschezza, persistenza notevole. Strutturato.

Igt Sicilia Nerello Mascalese 2014 “Sosta Tre Santi” (13.5%)
Nato per celebrare il legame della cittadina etnea ai Tre Santi protettori (Alfio, Filadelfo, Cirino), che qui fecero il loro passaggio e ai quali viene riconosciuta devozione, il vino è ottenuto da uve Nerello Mascalese provenienti da diverse vigne della proprietà.

Molto caratterizzato dalle botti di provenienza, determinato dalla permanenza di dodici mesi in barrique di rovere francese, seguiranno dodici mesi in bottiglia. Forte personalità, in bocca svela una inclinazione verso profumi fruttati e speziati legati al territorio. Strutturata la trama tannica, di buona freschezza e persistenza.

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