Caporalato in vigna in Piemonte: in manette la banda di sfruttatori albanesi (VIDEO)

L’operazione delle Fiamme gialle. Paga attorno ai 6 euro al giorno per i lavoratori immigrati

CANELLI – Ennesimo caso di caporalato in vigna. Trenta braccianti agricoli di origini africane, cingalesi, indiane e albanesi sono stati “sistematicamente maltrattati e duramente sfruttati” da una donna con doppia cittadinanza italoalbanese e dai suoi complici, in Piemonte, in particolare nell’Astigiano.

Gli immigrati, secondo le indagini, alloggiavano in anguste dimore fatiscenti e insalubri ed erano costretti a dormire su materassi appoggiati al pavimento, a mangiare in ridottissimi spazi comuni e a condividere l’unico bagno a disposizione per entrambi i sessi.

Le indagini coordinate dal Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica di Asti Francesca Dentis hanno consentito alle Fiamme Gialle della Tenenza di Canelli, coadiuvati dai militari del Gruppo di Asti, di eseguire nei confronti della donna un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di caporalato.

Il profitto complessivo dei reati commessi dall’arrestata e dei suoi connazionali, calcolato anche con il contributo di personale dell’Inps e dell’Ispettorato Territoriale del lavoro di Asti, ammonta a circa 75 mila euro.

I risultati delle complesse investigazioni sono stati raggiunti nell’arco di circa un anno. Sono in corso accertamenti di polizia economico-finanziaria per contestare le irregolarità previdenziali e fiscali di cui si è resa responsabile l’arrestata. Un’attività illegale che interesserebbe anche altri 82 braccianti.

La donna, scoperta dalla Tenenza della Guardia di Finanza di Canelli, avvalendosi di tre suoi connazionali albanesi, costringeva persone bisognose, dimoranti in luoghi di rifugio improvvisati, quali stazioni ferroviarie, giardini pubblici o presso la sede della Caritas di Canelli, a lavorare dalle 8 alle 11 ore al giorno. Il tutto anche facendo ricorso a intimidazioni e minacce.

I lavoratori stranieri venivano reclutati per essere impiegati in diverse aziende agricole del basso astigiano e della confinante provincia di Cuneo, in valle Belbo e Val Bormida, dove venivano sfruttati per le coltivazioni vitivinicole, “in totale subordinazione e sudditanza psicologica”, riferiscono gli inquirenti.

Alla paga oraria delle vittime dello sfruttamento, che non superava i 6 euro all’ora, rispetto ai 10 euro circa previsti, venivano decurtate persino le spese per il pernottamento, che si aggiravano tra i 4 e i 5 euro a notte e, talvolta, venivano loro addebitate anche le spese per il trasporto.

I braccianti venivano accompagnati in vigna dai caporali albanesi, che provvedevano a impartire loro gli ordini, assegnandoli agli imprenditori agricoli dai quali l’indagata riscuoteva direttamente cospicue somme di denaro.

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