Olga Bussinello è la direttrice del Consorzio Tutela Vini Valpolicella. Una donna di grande classe, dall’outfit che non passa mai inosservato, come direbbero quelli che parlano bene di moda, abbinato a una grande dinamicità e concretezza, negli intenti e nelle dichiarazioni. Insomma: una di quelle figure istituzionali mai scontate, da cui attendersi chiarezza e pochi giri di parole.
È sua una delle riflessioni più sensate – e per nulla “precompilate” – di questo periodo nero che sarà ricordato da intere generazioni di addetti ai lavori del vino italiano prima per la spada di Damocle dei dazi Usa promossi da Donald Trump (argomento tornato più che mai attuale, proprio in questi giorni) e poi a causa dell’emergenza Coronavirus e del lockdown: “Facciamo ripartire il vino italiano partendo da casa. Per me casa è sicuramente #ValpolicellaWines! Cin Cin“, scrive di fatto Bussinello sui social.
Al di là del comprensibile focus sui vini della Valpolicella, la direttrice del Consorzio veneto ha posto l’accento su un tema centrale per il futuro del vino italiano: la necessità di tornare a guardare al mercato interno, per trovare nuovi sbocchi utili ad attutire il contraccolpo dei dazi (di Trump o di chicchessia) nonché di nuove ondate di Covid-19, che costringeranno tutti a trascorrere molto più tempo tra le mura domestiche e a riorganizzare la quotidianità.
Cosa serve, per raggiungere questo obiettivo? Solidità, prima di tutto. Delle imprese italiane, del mondo del lavoro. Perché la solidità genera fiducia e la fiducia (ri)attiva i consumi. In secondo luogo, investimenti. Sul Made in Italy, in Italia. Campagne di comunicazioni forti, che facciano da amplificatore alla necessità (mai così urgente) di riscoprire il nostro Paese, se non altro perché l’estero gioca al rimpiattino col nostro Paese.
Occorre poi lavorare quotidianamente tutti nella stessa direzione, affinché il consumatore sia sempre più consapevole delle proprie scelte, quando decide di portare qualsiasi alimento in tavola: il consumo consapevole è cultura.
Quanti italiani investono su un buon vino da condividere con la famiglia o il proprio partner, effettuando tale scelta con la corretta cognizione di causa? Ancora troppo pochi. Quanto margine di crescita ha il vino italiano, in Italia? Inimmaginabile, attraverso i corretti accorgimenti. Nulla di semplice o scontato, come tutte le vere sfide.
La bottiglia di vino, del resto, può essere la migliore scusa per raccontare una storia: di un territorio, di un produttore, del vignaiolo, così come di una cooperativa di viticoltori che tiene viva l’anima agricola di una fetta del nostro Paese, oppure di un’uva antica recuperata dall’oblio, solo per citare qualche esempio. Non è protezionismo o nazionalismo enologico, ma buonsenso: #buonsensoitaliano. Cin, cin.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.