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Ovse: vola l’export di Prosecco, primo landbrand mondiale delle bollicine

Calcio, belle donne. E spumante. Gli italiani della crisi economica, dopo anni di riduzioni continue dei consumi, rinunciano ad alcuni ‘pezzi’ della spesa quotidiana. Ma non allo spumante. Soprattutto in occasione delle feste, come quelle pasquali.

E anche all’estero lo spumante italiano fa segnare cifre da record: 373 milioni le bottiglie consegnate sui vari mercati e un giro d’affari al consumo nel mondo di 2,573 miliardi di euro. I dati 2015 sono stati resi noti all’Ansa da Ovse-Osservatorio economico dei vini effervescenti, guidato da Giampietro Comolli.

“Negli ultimi cinque anni – osserva il fondatore dell’Ovse – l’Asti ha perso il 21% del mercato, mentre il Prosecco Doc è cresciuto mediamente del 21% annuo, più che raddoppiando la quota e diventando il primo landbrand al mondo per le bollicine, superando anche il generico Sekt. L’Italia è quindi primo Paese produttore, con una quota del 23%, e primo Paese esportatore di vini effervescenti al mondo, per il 32%. Ma il settore ha bisogno di una attenzione politica globale all’estero”.

Sul totale esportato, 288 milioni sono le bottiglie targate Prosecco, veneto-friulane, pari ad un valore all’origine di circa 800 milioni di euro. Rispetto al 2014, l’export dei vini spumanti registra un +17% dei volumi e un +14% di valore al consumo nei 90 Paesi di destinazione.

Il vecchio continente – continua Ovse – nel suo insieme si conferma ancora il principale acquirente di spumanti italiani, con oltre il 65% dei volumi. L’ esportazione si concentra in tre paesi: il 34% nel Regno Unito, il 19% negli Stati Uniti, il 18% in Germania.

Il Regno Unito è il primo paese importatore, con circa 100 milioni di bottiglie. Non più solo Gdo e spumanti generici: il Prosecco entra a pieno titolo in pub, circoli privati e ristoranti, e non solo italiani.

Grande sviluppo per l’e-commerce – sottolinea Ovse – ma 9 su 10 siti sono gestiti da importatori o distributori e non da aziende produttrici. In poco più di tre anni, la Francia conferma la scoperta del Prosecco, superando 1,1 milioni di bottiglie nel 2015, pari al 10% di tutti gli spumanti importati.

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Approfondimenti

Wine Monitor: Francia leader mondiale export (e import) di vino

I dati elaborati dal Wine Monitor, l’Osservatorio Nomisma sul mercato del vino, non lasciano spazio a interpretazioni. Nel 2015 l’export di vino francese ha raggiunto 8,3 miliardi di euro, il 54% in più di quanto messo a segno dall’Italia.
Ma la Francia non è solo il top exporter mondiale: nel mercato degli sfusi rappresenta il secondo importatore, dopo la Germania. Con quasi 6 milioni di ettolitri acquistati dall’estero.
Oltre a segnare un record per l’export di vino italiano, il 2015 ha consolidato il primato francese nella classifica dei vini più commercializzati al mondo: 14,1 milioni di ettolitri per un controvalore di 8,3 miliardi di euro, quasi il 7% in più rispetto all’anno precedente. Il divario con le performance dei vini italiani all’estero rimane ampio: 54% sul fronte dei valori, mentre dal lato dei volumi il rapporto di forza si ribalta, visto che noi esportiamo 20 milioni di ettolitri e cioè il 41% in più dei francesi.
Da qui si spiega anche il diverso prezzo medio all’export: 5,84 euro/litro dei cugini d’Oltralpe contro i 2,67 euro/litro dei nostri vini. Valori che diventano pari a 16,87 euro contro 3,52 euro nel caso degli sparkling, le “bollicine”, dove lo strapotere dello Champagne non lascia spazio a molti commenti, sebbene ci si possa consolare con il fatto che nel 2015 i produttori italiani hanno venduto nel mondo 2,8 milioni di ettolitri di spumante rispetto agli 1,8 milioni esportati dai francesi.
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Vino toscano: cresce l’export nei paesi extra Ue

In occasione del convegno sul vino tenutosi oggi a Chianti Banca ”I nuovi sostegni finanziari per la viticoltura toscana” sono stati divulgati i dati relativi alle esportazioni di vino toscano raccolti dall’Osservatorio Business Strategies Paesi Terzi, a cura di Nomisma Wine Monitor, su base Istat anno 2015.  Silvana Ballotta, Ceo di Business Strategies, società fiorentina che cura
l’internazionalizzazione di oltre 500 griffe enologiche del settore ha fatto il punto sulla misura Ocm Vino Promozione. L’Ocm vino è la regolamentazione unica dell’Unione Europea che detta alcune norme riguardanti il settore vitivinicolo, sia in ambito produzione, sia in ambito contributi a fondo perso assegnati alle aziende dal Ministero delle Politiche Agricole. L’Ocm vino paesi terzi, in particolare, assegna contributi a fondo perduto per le spese sostenute per la promozione del vino all’estero (partecipazione a fiere, degustazioni, pubblicità e anche finanziamenti di incoming di potenziali clienti nella propria cantina). ”La Toscana vive una stagione felice del proprio vino, con un aumento complessivo dell’export 2015 del 18,3%, trainato dalle destinazioni extra-Ue. L’export Paesi terzi è cresciuto infatti del 24,9% mentre l’aumento Ue si ferma a un pur lusinghiero +8,5% ” ha dichiarato Silvana Ballotta. Totale fatturato 900 milioni di euro. Nel mirino della campagna promozionale 2015-2016 i paesi dove si stanno concentrando maggiormente le esportazioni:Usa, Cina, Canada, Giappone e Russia con un investimento complessivo di 4,5 milioni di euro per un fatturato di 450 milioni di euro. Tra i risultati resi noti, ha sorpreso la performance della Cina (+53,4%, contro una crescita nazionale del 16,7%) dove è in partenza la Wine Academy curata proprio da Business Strategies, degli Usa (+39%) e del Canada (23,4%).  Quanto alle province toscane, vince la sfida Firenze con una crescita in valore del 27,2% rispetto al 2014, mentre Siena segna un +15,1%. Risultati positivi anche per la provincia di Livorno (+22,3%), Arezzo (+4,8%) Pisa (+8,2%) e Pistoia (+13,5%).
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Luglio con le star del vino e della musica: a Barolo il festival agrirock Collisioni 2016

Dopo il clamoroso successo di pubblico e stampa delle edizioni passate, con oltre 4 mila partecipanti unici alle singole degustazioni, il Progetto Vino di Collisioni torna anche quest’anno con una formula potenziata, portando da 15 a 50 i critici internazionali, gli importatori, i buyer, e i produttori stranieri impegnati nei gemellaggi che prenderanno parte all’edizione di quest’anno. Collisioni 2016 si conferma così il festival agri-rock di letteratura e musica più atteso in Italia: l’appuntamento è dal 15 al 18 luglio a Barolo, mecca del vino italiano, nel magnifico paesaggio delle Langhe piemontesi, patrimonio Unesco e palcoscenico naturale per ospitare nelle sue piazze musica, incontri, dialoghi con premi Nobel. Ma anche star della musica italiana e internazionale, in un’atmosfera informale di confronto e crossover tra le arti in dialoghi che vedono protagonisti scrittori, filosofi ma anche musicisti che normalmente siamo abituati ad ascoltare allo stadio. E che a Barolo prenderanno la parola in veste di narratori e di poeti, per indagare insieme la genesi e le influenze letterarie che hanno contribuito alla creazione delle grandi canzoni. Interverranno così artisti del calibro di Marco Mengoni, Mika, Negramaro e molti altri (+39.389.29.85.454, prevendita su Ticketone, Piemonteticket, Ciaoticket e nei punti vendita di Collisioni).
IL PROGETTO VINO DI COLLISIONI
Sono tre le anime che hanno decretato il successo internazionale di Collisioni, primo festival agri rock d’Europa: i grandi mostri sacri della musica mondiale come Elton John, i premi Nobel e le leggende viventi della letteratura, del giornalismo e del cinema, ma anche le grandi star del mondo del vino. La centralità dei grandi prodotti dell’enogastronomia italiana è un elemento essenziale dell’anima e dello spirito di Collisioni e si rinnova a ogni edizione grazie al Progetto Vino. Una serie di convegni, interviste, degustazioni e visite in azienda con i più importanti professionisti del vino a livello internazionale. Un programma di incontri, seminari e tasting che da un lato avvicina i grandi vini italiani e stranieri alle decine di migliaia di wine lovers presenti ogni anno all’evento, dall’altro permette ai produttori di presentare le proprie eccellenze agli esperti di tutto il mondo in degustazioni professionali private. Un panel di ospiti che raggiungeranno il Piemonte da tutto il mondo nei giorni del festival: oltre 80 esperti, sommelier di grandissimi ristoranti stellati italiani e internazionali, giornalisti, opinion leader, responsabili di catene di hotel di importanti mercati esteri, grandi collezionisti, esperti di marketing enogastronomico e di enoturismo. La scelta degli invitati rappresenta la vera cifra stilistica di Collisioni e del Progetto, perché caratterizza in modo inequivocabile la qualità e lo stile della manifestazione. Una rosa di esperti di esclusivo e di assoluto prestigio che nasce su espresso invito di Ian D’Agata, direttore creativo del Progetto Vino, che insieme a Filippo Taricco, direttore artistico di Collisioni, ha voluto realizzare fin dagli esordi un appuntamento caratterizzato da esperti di grande richiamo conosciuti in tutto il mondo.
D’Agata, premiato in autunno con il Louis Roederer International Wine Awards Book of the Year 2015 per il suo Native Wine Grapes of Italy – mai assegnato prima a un Italiano – Contributing Editor di Decanter e Staff Writer di Vinous, nonché direttore scientifico della Vinitaly International Academy, interrogato in merito alla nuova edizione di Collisioni, lascia trapelare sul sito ufficiale della manifestazione alcune indiscrezioni. Confermata la presenza a Collisioni 2016, fra gli altri, di Jeffrey Porter (USA), Wine Director dei circa 20 ristoranti Batali& Bastianich negli Stati Uniti e Keith Goldston (USA), Master Sommelier e Wine Director del Capella Hotel a Washington, DC., Anna Rönngren (Svezia),sommelière stellata del ristorante Frantzén e docente presso la Restaurangakademien. Bryant Mao (Canada), Chief Sommelier del ristorante Hawksworth, miglior Sommelier in British Columbia nel 2015. Leonid Sternik (Russia), miglior sommelier russo nel 2006 e proprietario del ristorante Vincent a San Pietroburgo e Elin McCoy (USA), responsabile della rubrica dedicata a wine&spirits per Bloomberg Markets, il cui proprietario sta decidendo se candidarsi o meno alla presidenza USA. E ancora, Jay Hutchinson (USA), sommelier del ristorante Ai Fiori, New York, Roberto Dante Martella (Canada),proprietario del ristorante Grano a Toronto, Beatriz Machado (Portogallo), sommèliere presso The Yeatman, Relais & Chateaux a Porto, “Best of Award of Excellence” wine list di Wine Spectator. Bernardo Silveira M. Pinto (Brasile),importatore di vino, Chris Horn (USA), Wine Director del Purple Café di Seattle, Madeleine Stenwreth (Svezia), Master of Wine. Anche quest’anno, inoltre, è confermata la presenza di esperti dall’estremo Oriente, tra cui, Dorian Tang (Cina), National Education Manager, ASC Fine Wines e Ying Guo (Cina), capo sommelier del Four Seasons a Shanghai.
LE DEGUSTAZIONI

“Sono tanti i giornalisti e i sommelier che mi chiedono ogni anno di intervenire – ammette D’Agata – naturalmente devo operare un’attenta selezione. Quello che mi preme maggiormente è portare nel parterre di Collisioni solo chi realmente decide ogni giorno le sorti dei vini italiani nei mercati consolidati e in quelli emergenti. Soltanto così questo progetto rappresenta un’opportunità di crescita concreta e contribuisce a diffondere nel mondo il meglio dei nostri prodotti”. Ecco dunque critici, esperti del mercato, sommelier che potranno interagire direttamente nelle degustazioni guidate con i partner del festival, nei quattro spazi dedicati all’approfondimento della cultura enogastronomica: il Tempio dell’Enoturista di Barolo, l’Enoteca Regionale, la Tasting Room.

Degustazioni e incontri dedicati alle etichette e le denominazioni, brevi seminari aperti al pubblico nazionale e internazionale di Collisioni per imparare a degustare e a riconoscere i grandi vini con la guida di produttori ed esperti internazionali, incontri promossi nei mesi precedenti al festival sui canali media e social di Collisioni, che lo scorso anno hanno registrato il sold out di prenotazioni prima ancora dell’inizio dell’evento. “Sono felice di aver contribuito a creare un progetto culturale sul vino che punta ad essere di assoluto prestigio e di ampio respiro internazionale – commenta ancora Ian D’Agata -. Collisioni è un festival eccezionale che riesce come nient’altro in Italia a mettere insieme artisti di valore unico conosciuti in tutto il mondo quali Sting, Mark Knopfler e premi Nobel per la letteratura, come Herta Muller o Vidia Naipaul utilizzando la cultura e lo spettacolo come strumenti per la promozione dei prodotti enogastronomici di tutte le regioni italiane in patria e all’estero. Nel pensare e costruire il programma – reso possibile grazie alla collaborazione delle tante realtà regionali e consorzi di tutela italiani che da anni sostengono il festival – ho cercato di rispondere a una doppia esigenza: da un lato invitare alcuni dei più autorevoli critici vinicoli e giornalisti al mondo, per creare una consuetudine tra la scena internazionale della critica vinicola, i produttori, i consorzi di tutta Italia e i loro vini. Dall’altra – conclude D’Agata – creare panel di degustazioni e incontri di carattere didattico che fossero comprensibili a un vasto pubblico. Incontri dinamici e accattivanti per non deludere le migliaia di appassionati che ogni anno da tutta Italia e dall’estero vengono a Collisioni anche per scoprire i grandi vini italiani e imparare a degustarli”.

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Vini al supermercato

Vallée d’Aoste Doc Blanc de Morgex et de La Salle 2014 Cave Mont Blanc

(4 / 5) Torniamo in Valle D’Aosta e peschiamo l’unico “esemplare” di questa regione tanto sconosciuta sullo scaffale del supermercato visitato. Vallée d’Aoste Doc Blanc de Morgex et de La Salle 2014 prodotto dalla cooperativa Cave Mont Blanc di Morgex in provincia di Aosta. Un vino affascinante già dal suo nome  francese, ma che anche nel calice ha saputo sfoderare le sue armi di seduzione.

LA DEGUSTAZIONE
Si fa riconoscere giovane, oltre che dall’annata, anche dal suo colore giallo paglierino con riflessi verdolini. Giovane anche nella freschezza del suo bouquet,  fine e delicato, ma non per questo meno complesso con note che spaziano dal floreale, alle erbe fini tipiche dei terreni dove viene coltivato il suo vitigno padre. Immancabile anche la frutta con note acidule di limone e ananas acerba, oltre a sentori minerali. Al gusto si riconferma molto fresco, gradevolmente fruttato con una chiusura anche sapida e persistente. Un ottimo e diverso alleato da accostare a piatti di pesce, primi piatti delicati, ma anche ideale come aperitivo grazie alla sua gradazione modesta di soli 11% alcol in volume.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% del vitigno Priè Blanc, vinificate tradizionalmente in bianco a temperatura controllata. L’affinamento avviene sempre in acciaio inox  e gli imbottigliamenti vengono fatti durante tutto l’anno in base alle esigenze commerciali, al fine di garantire sempre la freschezza del prodotto. Il vitigno Priè Blanc, anche conosciuto con il nome Blanc de Morgex è coltivato sui terreni più alti d’Europa per le sue caratteristiche di resistenza al freddo e alle avversità climatiche. Viene vinificato in purezza per produrre vini fermi, come in questo caso, ma anche spumantizzato.Cave Mont Blanc nasce nel 1983 e conta oggi 80 soci. Produce 140.000 bottiglie e ha intrapreso con successo la strada del recupero dei vigneti abbandonati sulle pendici del Monte Bianco. Oltre il 90% delle uve raccolte nei comuni di Morgex e La Salle per un totale di circa 18 ettari viene vinificata da questa realtà che, seppur tra le più piccole e tra quelle con minori possibilità di espansione, considerata l’ampelografia,  ha raccolto numerosi premi e riconoscimenti. E’ stata segnalata dalla nota rivista decanter fra le otto migliori realtà cooperative italiane, sarà presente anche durante la manifestazione dei vignerons a Courmayeur.

Prezzo pieno: 7,90 euro
Acquistato presso: Bennet

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news ed eventi

Barolo e Barbaresco, solo 1 euro di differenza da Esselunga. Il Consorzio: “Nessun allarme, le Docg crescono in valore”

Può un Barbaresco 2013 costare più di un Barolo 2011? E’ la domanda che si pone un lettore di vinialsupermercato.it, che ci ha inviato la fotografia del Barolo 2011 e del Barbaresco 2013 Sette Cascine, in vendita nei supermercati Esselunga. Come si evince dagli scatti, il Barolo è attualmente in promozione
a un prezzo di 11,75 euro (20% sconto carta fedeltà Fidaty) da un prezzo iniziale di 14,69 euro. Il prezzo pieno del Barbaresco 2013 Sette Cascine è invece 13,59 euro. Solo 1,10 euro di differenza, in sostanza, a giustificare un invecchiamento minimo che da disciplinare è di 3 anni per il Barolo e 26 mesi per il Barbaresco. Domanda lecita quella del nostro lettore, a dimostrazione di quanto sia crescente l’attenzione dei consumatori nella Gdo. “Non conosco il prodotto in questione – dichiara Andrea Ferrero, direttore del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – ma se mi dite che il produttore è Dfr Spa – Beni di Batasiolo, posso assicurare che è un’azienda seria, che lavora bene. Entrambi i vini sono dunque certamente conformi. Un prezzo così basso non ci fa certo piacere, ma va detto che lo zoccolo duro del Barolo è un altro e che non sono certo questi i riferimenti su cui poter trarre conclusioni sull’intera Denominazione. Il Consorzio, del resto, non può intervenire nei rapporti commerciali tra i singoli produttori e la Gdo, i cui prezzi a scaffale sono determinati soprattutto sugli ingenti quantitativi di bottiglie acquistate in blocco. Per noi l’importante è che si continui a produrlo e imbottigliarlo”. Secondo Ferrero “il prezzo non è poi neppure così basso”. “Mi sarei preoccupato di più  – aggiunge – se a vendere Barolo a 11 euro fosse stata un’enoteca. Trovandoci invece sugli scaffali della Gdo non penso che questo possa portare a una svalutazione dell’immagine del Barolo, che anzi fa registrare un naturale ricarico sul prezzo dello sfuso, in vendita a 8,50 euro al litro”. I costi dell’uva nel 2011 si assestavano fra i 3 e i 3,50 euro al chilogrammo. Cifre che hanno subito un’impennata nel 2012, salendo fra i 4 e i 4,50 euro. “Il prezzo dello sfuso cresce – conclude Ferrero – e cresce anche il valore dei terreni della zona. Sin ora, dunque, non abbiamo motivo di preoccuparci”.
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news ed eventi

Il Nibiò non demorde: è guerra contro il Consorzio Tutela del Barolo

“A volte un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”. E’ una citazione di Nelson Mandela che ben si addice all’associazione Terra del Nibiò in guerra ad armi “impari” contro il Consorzio Tutela del Barolo. Oggetto della contesa il riconoscimento del vino Nibiò colpevole di chiamarsi quasi come il celebre Nebbiolo. Il Consorzio Tutela del Barolo si oppone perché teme che il nome possa generare confusione tra i consumatori. Tra i promotori del recupero di questo antico vino del Basso Piemonte,Giuseppe Cavriani, ex sindaco di Tassarolo , sede dell’associazione nonché zona di produzione insieme a Gavi, che ha dichiarato al quotidiano La Stampa di ritenere questa obiezione sul nome inesatta e che la lotta non finisce qui. Il Nibiò è un vitigno autoctono molto simile al dolcetto, riscoperto solo recentemente. L’associazione Terra del Nibio’ si è costituita nel 2007, ma già dal 2000 il Comune di Tassarolo aveva affidato uno studio su questo vitigno al centro di ricerca vitivinicolo Tenuta Cannona di Carpeneto. Un dolcetto dal peduncolo rosso, il Nibiò, capace di regalare vini profumati, eleganti e dai tannini avvolgenti. Ma il peso del Consorzio Tutela del Barolo è stato sufficiente a far bocciare la richiesta dei piccoli produttori di Nibiò. “Ripresenteremo l’istanza, proponendo la denominazione ”Dolcetto Nibiò”, ha detto Luigia Zucchi, presidente dell’associazione. “La nostra richiesta ha un fondamento storico ben preciso, il Nibiò compare ad esempio nei mercuriali di fine Ottocento della città di Novi Ligure, e anche sui giornali locali dell’epoca”, ha aggiunto la Zucchi. Mentre l’associazione si prepara a dare battaglia al colosso del Barolo e alla Regione Piemonte la produzione del vino continuerà sotto la Doc Monferrato.
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news ed eventi

A Courmayeur il 26 marzo e il 25 aprile i vini valdostani fanno il bis

Lunedì 25 aprile Courmayeur ospiterà la prima edizione del ”Courmayeur Wine Fest”, evento organizzato da A.B.I. Professional Valle d’Aosta (Associazione Barmen Italiani) e da A.I.S. Valle d’Aosta (Associazione Italiana Sommelier). Dalle ore 11 alle ore 19 sarà possibile degustare ed acquistare le migliori etichette valdostane lungo la centrale via Roma, al Museo Trasfrontaliero e al Jardin de l’Ange. Non solo
vino, ma anche prodotti gastronomici, musica, animazioni, passeggiate in carrozza con un occhio di riguardo anche per i più piccoli. ”La Valle d’Aosta ha una forte tradizione vinicola, un patrimonio di esperienze e tradizioni che in questi ultimi anni è stato valorizzato da investimenti e studi mirati, e da un’accresciuta professionalità di tutti i produttori” ha raccontato a Vini e Sapori Bernardo Ferro, coordinatore regionale ABI Professional e Capo Barman del Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur, ideatore della manifestazione insieme al sommelier Francesco Stella, dell’AIS Valle d’Aosta. I vini valdostani sono migliorati qualitativamente, ottenendo anche importanti riconoscimenti, e una vetrina come quella del Courmayeur Wine Fest permette di presentarli al grande pubblico in una cornice prestigiosa”. Nel 2012 Courmayeur aveva lanciato una manifestazione simile la ”Royal Wine Festival Courmayeur”, che purtroppo non aveva avuto riscontro di pubblico, finita nell’oblio e con la gioia dei pochi fortunati visitatori che avevano potuto godersi vini e produttori in tranquillità. La ”Courmayeur Wine Fest” sembra avere un approccio completamente diverso che parte dalla strada, più in linea con le tendenze di altre manifestazioni che altrove  raccolgono sempre molto successo di pubblico. Oltre all’evento di strada, in serata, presso il prestigioso Grand Hotel Royal e Golf, è stato organizzato un aperitivo dove sarà possibile degustare il Wine Cocktail, creazione dedicata all’evento e a seguire una cena con gli Chef de Montagne stellati che per l’occasione hanno realizzato piatti diversi a base di prodotti locali che verranno proposti in abbinamento da A.I.S. Valle d’Aosta ai più premiati vini valdostani.  Sabato 26 Marzo, sempre Courmayeur, ospiterà la seconda edizione di ”Vignerons@Courmayeur” evento in parte benefico, dato che il ricavato della vendita dei calici andrà ad una associazione sportiva, l’Associazione Sport Per Tutti ”ASPERT” che opera in Valle d’Aosta. Un vero e proprio tour enologico organizzato con navette che si sposteranno, alla scoperta dei vini valdostani, tra gli hotel aderenti dove sarà possibile degustare vini e prodotti tipici. Tra le cantine partecipanti segnaliamo Cave des Onze Communes, della quale abbiamo già recensito il Valle d’Aosta Doc Torrette, Cave Mont Blanc recentemente indicata da Ian D’Agata in Inghilterra come eccellenza delle realtà cooperative italiane per il suo Blanc de Morgex de La Salle in arrivo a breve sulla nostra pagina, ma anche l’ imperdibile azienda Ermes Pavese.

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birra

Torna Fiera Birra Artigianale Forlì: corsi di degustazione e homebrewing il piatto forte

Venerdì 1, sabato 2 e domenica 3 aprile torna Fiera Birra Artigianale Forlì. L’evento, organizzato da Estrela Fiere, giunge quest’anno alla Terza Edizione e si terrà all’interno dei locali della Fiera di Forlì, in Via Punta di Ferro, 2.

Alla manifestazione saranno presenti più di 20 birrifici, per un totale di oltre cento birre artigianali, oltre a operatori di street food che per l’occasione proporranno al pubblico prodotti gastronomici d’eccellenza per accompagnare le bevute.

Durante i tre giorni della Fiera non mancheranno musica e aree adibite all’intrattenimento e al divertimento ma anche momenti di approfondimento che coinvolgeranno tutti gli appassionati. Come il “Corso di Degustazione Birra” di Unionbirrai Beer Tasters e il laboratorio “L’arte dell’homebrewing: produrre la birra in casa”, tenuto dall’Associazione UNper100.

GLI  APPUNTAMENTI
Per tutti coloro che volessero approfondire la propria conoscenza sulla birra artigianale, appuntamento immancabile è il corso breve di avvicinamento alle birre tenuto da Unionbirrai Beer Tasters.

Il Corso di Degustazione si terrà sabato 2 aprile durante la Fiera, tratterà svariati argomenti e seguirà i seguenti orari: dalle 12:00 alle 13:30 – Storia e degustazione; dalle 14:30 alle 16:00 – Ingredienti e produzione; dalle 16:30 alle 18:00 – Geografia della birra; dalle 18:30 alle 20:00 – Servizio e abbinamento. Durante ogni lezione è prevista la degustazione di tre birre. Per info e iscrizioni: corsidegustazione@unionbirrai.com.

Per tutti gli amanti dell’artigianale ecco il corso “L’arte dell’homebrewing: produrre la birra in casa”, un momento di approfondimento curato da UNper100. Il corso si terrà domenica 3 aprile alle ore 18. Per l’occasione, l’associazione illustrerà a tutti i presenti i metodi di produzione, gli ingredienti e le attrezzature necessarie per diventare un perfetto homebrewer. Non mancherà una dimostrazione pratica che coinvolgerà i presenti.

Oltre alla birra artigianale e all’ottimo street food a Fiera Birra Artigianale Forlì non mancheranno momenti musicali. Mirco Cattani & Dj Funkys animeranno il dj set, con i seguenti orari: venerdì 1 aprile dalle 19:30 alle 2; sabato 2 aprile dalle 18:30 alle 2; domenica 3 aprile dalle 18:30 alle 23.

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Vini al supermercato

Pinot Nero Alto Adige Doc Blauburgunder 2014, Kellerei Kaltern

(4 / 5) Una chicca in esclusiva per il Penny Market, il Pinot Nero Alto Adige Doc Blauburgunder prodotto dalla cantina Kellerei Kaltern di Caldaro. L’annata sotto la lente di ingrandimento la 2014, annata sfavorevole per le sue evoluzioni metereologiche che ha dato del filo da torcere anche ai contadini della cantina Kellerei di Caldaro, molto impegnati tra germogliamenti anticipati, persi poi nei mesi estivi che sono stati piovosi ed una maturazione molto lenta.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice il Pinot Nero Alto Adige Doc Blauburgunder si è presentato rosso  rubino tendente al granato, ma non molto carico. Il ventaglio olfattivo non è risultato particolarmente complesso, molto delicato ed incentrato soprattutto su piccoli frutti rossi, ciliegia e lampone con una leggera nota vanigliata sul finale. Al palato, nonostante un corpo medio ha convinto col suo gusto fruttato. Un ottimo equilibrio tra le componenti morbide e dure. Un tannino ingentilito accompagnato da una vena acida con tocco amarognolo sul finale che risulta comunque persistente. Il Pinot Nero Alto Adige Doc Blauburgunder prodotto dalla cantina Kellerei Kaltern si è aggiudicato nel  2011 l’oscar Gambero Rosso per il miglior rapporto qualità prezzo e nel 2010 ha guadagnato 89 punti dalla rivista Wine Spectator. Si adatta particolarmente a piatti di carni, selvaggina e formaggi stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Pinot Nero. Le viti hanno un età media che va dai 5 ai 20 anni, sono allevate a pergola e a guyot su terreni collinari calcarei argillosi, esposti ad est ad un’altitudine compresa tra i 450 e i 550 metri sul livello del mare. La vinificazione avviene con fermentazione sulle bucce a temperatura controllata per otto giorni. Una volta svolta anche la malolattica il vino viene posto ad affinare per 7 mesi in grandi botti di legno e cemento. La cantina Kellerei nasce nei primi del 900. Attualmente conta 400 soci per un totale di 300 ettari vitati. La realtà cooperativa non è in Alto Adige un sistema semplicemente economico o di struttura aziendale, ma un modello di vita che fa parte del retaggio e della vita di tutti i giorni. Kellerei rappresenta una delle cooperative più produttive con un numero di bottiglie a sei zero: 1.800.000 bottiglie suddivise tra vini bianchi che corrispondono al 45% della produzione e vini rossi per il 55% del quale il Pinot rappresenta una quota minima.

Prezzo pieno: 7,99
Acquistato presso:Penny Market

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Approfondimenti

Da Prosecco Doc a Prosecco Hot: il sexy gel è già realtà

E’ 100% made in Germany l’ennesimo sfruttamento illecito della parola ”prosecco”. Sexy product di Joydivision, azienda leader nella produzione e commercializzazione di articoli erotici che aumentano il desiderio, sono innocui per la salute e addirittura eco-friendly. Tra gli obiettivi aziendali, leggiamo da mission sul loro sito, proprio la realizzazione di prodotti che offrano vantaggi mai conosciuti prima. Per onestà intellettuale bisogna dire in questo caso non si sono inventati nulla visto che il connubio ”fragole e champagne” è da sempre evocativo, ma sicuramente il ”Prosecco” tira di più, basta vedere anche il recente scandalo delle caramelle al prosecco di cui vi abbiamo parlato.
Il miracoloso gel che farà ”spritzare” dal desiderio è stato notato in vendita sulla nota piattaforma Ebay. Come da recenti accordi presi tra l’Istituto per la Repressione Frodi del Ministero delle Politiche Agricole e le più grandi piattaforme di e-commerce, al venditore, che rischia solo una multa, è stata intimata la rimozione dell’annuncio effettivamente al momento scaduto.
“‘Stiamo facendo le opportune verifiche” ha spiegato Gianluca Fregolent, referente locale della Repressione Frodi. ”Se il Consorzio del Prosecco Doc non ha dato l’autorizzazione, il nome commerciale non può utilizzare quella dicitura. Tecnicamente il Prosecco potrebbe figurare tra gli ingredienti, ma non nell’etichetta”.
”Stavolta non siamo nell’ambito della frode alimentare, ma in quella della presentazione di un prodotto con utilizzo improprio del termine” ha specificato Gianluca Fregolent. Ma il lubrificante al Prosecco, non è già un ricordo come auspicato dal giornale, basta fare una banalissima ricerca su google per trovare altri siti sul quale il gel è disponibile.
Senza scomodare gli ispettori dell’Istituto Repressioni Frodi per noi trovare il produttore del ”Fun Glide” tradotto ”scorrimento divertente”  è stato velocissimo. E’ bastato ”scorrere”  il mouse  e trovare il prodotto alla pagina 25 del catalogo della Joydivision. Che poi, per dirla tutta, a livello etimologico sembra una barzelletta: ”pro-secco” che diventa improvvisamente ”pro-lubrificazione”, ma non sarebbe stato più logico chiamarlo ”pre-secco”?
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visite in cantina

I Nervi del Gattinara Docg: tour all’azienda vitivinicola “norvegese”

Ci sono storie di vino che passano pressoché indenni cataclismi e sfortune. Sino ad arrivare ai giorni nostri. Una di queste vede come teatro Gattinara. Poco più di 8 mila anime, in provincia di Vercelli. Siamo in Valsesia, alle pendici del Monte Rosa. In un piccolo Comune che dà anche il nome a un prestigioso vino ottenuto da uve Nebbiolo, il Gattinara Docg. Interprete storico di questo antico vitigno è la cantina Nervi. Ad accoglierci Claudia, che si occupa della parte logistica e anche delle visite. Mentre scendiamo nella parte storica dell’edificio, Claudia racconta che in Piemonte sono molto famose le Langhe, con Barolo e Barbaresco. Ma che non tutti sanno che anche in questa parte di Piemonte si producono degli ottimi vini. Non a caso la Cantina Sociale più antica d’Italia si trova ad Oleggio, Novara. Claudia spiega che Gattinara è da sempre una zona vocata alla viticoltura. Il suo passato è costellato da cataclismi, come una terribile grandinata, l’11 agosto 1905. Spazzò via tutto, viti comprese. I viticultori dell’epoca dovettero attendere almeno tre anni per cominciare a vedere il frutto del loro nuovo sacrificio. Fu proprio l’anno successivo a questo disastro, nel 1906, che Luigi Nervi costituì la Cantina. La parte più vecchia della cantina è quella da cui comincia il nostro tour. La parte storica dunque. Dove vasi vinari appartenenti a diverse epoche, tini tronco-conici, vasche in cemento del 900, convivono con le moderne vasche in acciaio installate nella parte più recente della cantina, ognuna destinata a produzione e invecchiamento di un particolare vino. Delle famiglia Nervi, tuttavia, non resta più nessuno dal 1975. Una storia complicata quella di questa cantina del Vercellese.

PASSATO E PRESENTE

Luigi Nervi ha avuto un solo figlio, Italo, morto prematuramente all’età di 62 anni, senza eredi. Italo ha lasciato l’azienda ai suoi dipendenti, che l’hanno portata avanti per circa 15 anni. Ma che purtroppo non hanno avuto la forza economica di fare gli investimenti necessari. La proprietà, nel 1991, passa così a Sitindustrie, azienda leader nel settore dell’acciaio. Per questioni economiche, anche Sitindustrie, nel 2007, ha dovuto vendere parte dei suoi rami d’azienda. Tra cui proprio Nervi, che era il suo fiore all’occhiello.

Nel 2010 la proprietà è finita in mano a quattro norvegesi, personaggi di spicco del mondo dell’alta finanza. Tutti tranne uno, importatore di vini che è anche proprietario di due cantine in Francia. In Norvegia, ci spiega Claudia, “il vino è un culto”. Ragion per cui i proprietari hanno voluto lasciare tutto com’era a Nervi. Rispettosi dello stile e dei dipendenti. L’enologo ha 52 anni: la sua avventura è cominciata qui, quando ne aveva solo venti. Merito dei norvegesi quello di introdurre nuove sperimentazioni, in particolare sui rosati e sull’utilizzo delle botti. Si è cercato di ricostruire la storia della Cantina e del Gattinara, finita per sbiadirsi nel tempo, tra tutti i passaggi societari. A Gattinara sono 13 le aziende operative per un totale di 104 ettari. E Nervi è una delle più grandi, con i suoi 30 ettari.

Oggi produce circa 140 mila bottiglie annue di cui 40 mila di rosato di Nebbiolo che va fortissimo in Norvegia. Da solo, il Paese del Nord Europa assorbe circa 20 mila bottiglie. In Europa la Norvegia è non a caso il primo mercato di Nervi. Seguono Francia Inghilterra, Belgio Germania, Svizzera, ma anche Australia, Giappone, Stati Unit. In Italia Nervi distribuisce in Horeca e una parte irrisoria, circa 3 mila bottiglie, finisce in grande distribuzione organizzata. Con una delle loro etichette storiche, quella del Cardinale, principalmente presente sugli scaffali Coop e Ipercoop di Piemonte e parte della Lombardia. Ma ogni dirigente ha i suoi vezzi e l’amministratore delegato attuale ha fortemente voluto adibire una stanza della cantina a Museo. Claudia lo definisce “improvvisato”, perché hanno comprato in blocco le bottiglie da un’enoteca a San Giulio. L’idea era quella di vedere l’evoluzione delle etichette e della denominazione stessa: sono esposte tantissime annate. Luigi Nervi ha richiesto la Doc nel 1967, l’anno successivo al Barolo, mentre la Docg invece è recentissima (1999). Tra le etichette notiamo “Riserva del titolare”, prodotta fino agli anni 70. Poi, quando la legge lo ha consentito, Italo Nervi ha deciso di etichettare con il nome dei cru che a Gattinara sono veramente storici, alcuni citati nel 1200 come il Valferana. Sono presenti anche vecchie bottiglie della linea del Cardinale, quella attualmente in grande distribuzione. Raffigurano il cancelliere Mercurino d’Arborio di Gattinara, che fu Gran Cancelliere alla corte di Carlo V di Spagna nel XVI secolo. Si dice infatti anche che “Spanna”, nome locale affibbiato al Nebbiolo, derivi da Spagna.

LA CANTINA

Nei vari locali ritroviamo stanze con botti di diverse dimensioni e diverse provenienze, alcune enormi, capaci di contenere 7600 litri. Tonneau a media tostatura che però non hanno convinto la proprietà, rilasciano troppi tannini gallici e sentori vanigliati che non vogliono nel loro prodotto. Vasche di cemento che, spiega Claudia, hanno dei grossi vantaggi a differenza dell’acciaio: “Il cemento è microporoso, rivestito da una speciale resina che consente comunque una micro ossigenazione. Il vino non si ossida ed il prodotto è molto sano e pulito”. Negli anni Ottanta molte cantine si sono convertite all’acciaio, le vasche di cemento sono state sostituite e anche Nervi ha seguito questa linea, ma alcune sono rimaste in quanto incastonate nell’edificio come colonne portanti. L’alternativa, scherza Claudia, “sarebbe stata quella di abbattere l’edificio, invece sono rimaste e sono addirittura utilizzate”. Poi ci accompagna nella vasta zona logistica, le bottiglie sono adagiate su placche che Claudia benedice, con i cestelli era un disastro quando se ne rompeva qualcuna: “Sono una grande invenzione – spiega – possono supportare fino a 5 bancali sovrapposti”. Risaliamo nella zona moderna dove ci sono vasche d’acciao a temperatura controllata utilizzate principalmente per il Gattinara base, i rosati e Coste della Sesia. I cru vanno tutti in legno, anche se tutto il Gattinara fa comunque legno. “Il Cardinale destinato alla grande distribuzione – spiega Claudia – non è un prodotto di serie B, è solo una questione di etichette”. Ci spostiamo dunque verso la sala degustazioni, attigua a un altro locale adibito a museo. Qui è possibile vedere le foto dei vigneti, in particolare Molsino e Valferana. Ci sono scatti risalenti al periodo antecedente la grandinata del 1905, quando a Gattinara era tutto vitato: 600 ettari contro i 104 attuali. E poi foto della famiglia Nervi. E una vetrinetta con bottiglie particolari di Gattinara. Claudia ci mostra un fiaschetto che a noi sembra quello del Chianti , ma che qui hanno scoperto fosse in uso per il Gattinara. Una vecchia bottiglia di un vino volutamente “Nebiolo”, un Gattinara del 1964 comprato sfuso e imbottigliato dai Marchesi di Barolo e una mappa catastale dei vigneti di Gattinara scoperta recentemente, che risale al periodo Napoleonico. Gattinara faceva parte dell’impero francese, stupefacente osservarne i dettagli, considerato che all’epoca non esistevano satelliti.

LA NOSTRA DEGUSTAZIONE

Il primo prodotto che vogliamo degustare è il rosato di Nebbiolo. Il tappo è a vite, ci lascia un po’ perplessi, ma Claudia sostiene con fermezza che in Norvegia è un must. L’etichetta è molto particolare, disegnata appositamente da un artista norvegese, anche se è stata molto criticata perché considerata triste e lugubre. Sempre parlando di rosati, Claudia spiega che il Nebbiolo si presta molto ad essere così vinificato, cosa che fanno anche i vicini di Ghemme e Boca, con ottimi risultati. Il prodotto è molto fresco, da bere giovane, il colore è molto chiaro perché il contatto sulle bucce è volutamente breve. Il Gattinara invece è un prodotto completamente diverso. Si presta molto all’invecchiamento, ma non va confuso con il Barolo. Va apprezzato per la sua tipicità, anche perché qui ci sono cloni leggermente diversi. Tra le annate che degustiamo, 2010 e 2011, notiamo leggere differenze di colore. “Dipende molto dalle annate – evidenzia Claudia – e addirittura dai vitigni, tra Molsino e Valferana ci sono grosse differenze, hanno differenti esposizione”. Le vigne sono relativamente giovani, hanno tra i trenta e i quarant’anni, e i terreni sono un mix di argilloso per il 25 per cento. Poi porfidi di origine vulcanica, di colore rossiccio molto carico di ferro: Molsino è più granitico, Valferana più raffinato. E le caratteristiche del terroir si sentono tutte nel calice. La nostra visita si conclude e lascia domande irrisolte. Chissà cosa sarebbe accaduto se la famiglia Nervi fosse stata ancora in vita? Chissà se Italo Nervi, con un nome così patriottico, avrebbe mai potuto immaginare un futuro norvegese per la sua azienda?

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L’Oltrepò pavese pronto a ”invadere” la Russia

Grande fermento al Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese reduce dal Prowein 2016 dove si è presentato con le sue eccellenze Pinot Nero e Metodo Classico intenzionato ad espandersi sempre più oltre i confini regionali e nazionali. ”Dobbiamo internazionalizzare vini e territorio un po’ per scelta e un po’ per necessità. I dati dell’osservatorio internazionale dell’OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino) attestano un consumo di vino calato del 6% nel 2014 a 20.4 milioni di ettolitri. Si è al minimo storico. I principali istituti di ricerca e statistica nazionali fotografano consumi interni sotto i 30 litri pro capite nel 2015, contro i 45 del 2007. Il vino italiano di qualità ha bisogno di diversificazione, di target e di mercati” queste le parole di Emanuele Bottiroli, direttore e segretario del Consorzio, a Voghera News e a La Provincia Pavese.  Svariate le iniziative pianificate per perseguire questo ambizioso obiettivo che passerà  anche dalle profonda revisione dei disciplinari di produzione, già in atto con la collaborazione di Uiv e Università di Milano. A fine marzo sarà presentato il programma ”Oltrepò Export Academy” al quale parteciperanno nomi illustri del mondo del vino italiano e internazionale. I produttori andranno a lezione di inglese tecnico, di marketing strategico, di tendenze anche in ambito packaging delle bottiglie, parteciperanno a degustazioni comparative per conoscere meglio i competitor sui mercati esteri e capire le evoluzioni dei gusti dei consumatori internazionali. ”Non basta più dire che il vino è buono perché così piace a noi e piaceva ai nostri padri, dobbiamo riflettere in cerchio sulle mutate abitudini dei winelovers, da quelli italiani a quelli che abitano dall’altra parte del mondo”, questa la presa di coscienza di Emanuele Bottiroli. Tra i paesi obiettivo del Consorzio anche i paesi dell’Est con i quali si stanno già muovendo i primi passi. In particolare, si è appena conclusa una tavola rotonda  al centro Riccagioia  (Centro di Ricerca Formazione e Servizi della Vite e del Vino) tra Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, Comunità Montana e una delegazione di professionisti, diplomatici ed  investitori russi ed armeni per dare maggiore visibilità ai prodotti  e alle tradizioni dell’Oltrepò in un’ottica di possibili accordi economici.  ”Il dialogo avviato dovrà essere capillarmente esteso al sistema impresa territoriale, nella certezza che per andare lontano serve un grande gioco di squadra” ha spiegato Michele Rossetti, presidente del Consorzio che ha scoperto durante l’incontro che è proprio il Pinot nero, del quale Oltrepò vanta la maggior superficie vitata, il vino preferito dal premier Vladimir  Putin. Mentre il Consorzio si augura di vendere presto il suo Pinot nero a Putin noi ci auguriamo che davvero gli sia gradito, non si possono mai prevedere le reazioni dello zar di ghiaccio.
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In Abruzzo e in Sicilia il vino si degusta in treno

Il treno del vino è in partenza sul binario 1. Tutti in carrozza il 15 Maggio 2016 per una degustazione su rotaia a bordo di un treno storico che condurrà da Sulmona fino a Roccaraso lungo i binari della Transiberiana d’Italia, andata e ritorno. A partecipare all’evento, promosso da Movimento Turismo del Vino Abruzzo, Ferrovie dello Stato Italiane e dall’associazione Le Rotaie ci saranno 20 aziende vitivinicole abruzzesi. Un viaggio attraverso il Parco Nazionale della Majella con due soste, a Cansano e Palena durante l’andata e a Campo di Giove e Pettorano sul Gizio al ritorno per assaggiare i vini delle aziende partecipanti. Non sarà necessario portare alcun bagaglio, solo munirsi di calice e borsina alla partenza e, per chi lo desidera, acquistare il pranzo al sacco organizzato presso il Pratone di Roccaraso. La manifestazione, nasce come anteprima dell’ormai storico appuntamento ”Cantine Aperte” in programma sabato 28 e domenica 29 maggio. Dal 1993, l’ultima domenica di Maggio, le cantine socie del Movimento Turismo del vino, da Nord a Sud, aprono le porte agli enoturisti dando la possibilità non solo di degustare ed acquistare il vino, ma anche di visitare le vigne, le cantine e di scoprire cosa c’è dietro questo mondo. Sullo stesso binario, si fa per dire, anche la Sicilia che dal 30 Aprile lancia il suo primo ”treno del vino” che permetterà ai  visitatori e ai turisti di percorrere le pendici dell’Etna a bordo dell’automotrice a scartamento ridotto della Ferrovia Circumetnea, per inoltrarsi poi, con il Wine Bus, nelle strade del vino a scoprire le più belle cantine dell’Etna e i migliori vini locali attraverso degustazioni guidate.
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Radici del Sud, prime cento adesioni al XI Salone dei vini meridionali

A un mese dall’ultimo termine utile entro il quale far pervenire la propria domanda d’adesione, le iscrizioni a Radici del Sud hanno già raggiunto quota 100, testimoniando così il notevole interesse da parte delle Aziende produttrici verso la collaudata manifestazione che da oltre dieci anni propone sulla ribalta italiana e mondiale la particolare produzione di vino da vitigno autoctono meridionale, con grande successo di pubblico e di critica.
La manifestazione andrà in scena a Bari, in Puglia, dal 7 al 13 giugno. Confrontando l’andamento dello scorso anno con l’attuale si delinea evidente un cospicuo aumento del numero delle cantine che parteciperanno a Radici del Sud 2016 e si invitano pertanto le aziende che desiderino partecipare a inviare con sollecitudine la documentazione necessaria, magari ben prima dell’ultimo giorno utile per aderire, ovvero il 10 aprile.
Altresì la disponibilità per prenotarsi agli incontri btob con la più affermata compagine di buyer nazionali ed internazionali che presenzieranno all’evento sta terminando e a tal proposito è doveroso ricordare che comunque le Aziende potranno confrontarsi con gli operatori di mercato durante l’ultima giornata di Radici del Sud, quella dedicata dal Salone del Vino, quando il numero delle Cantine che parteciperanno col proprio banco di degustazione potrà essere più ampio.
Gli organizzatori di Radici del Sud sono in questi giorni impegnati a definire i dettagli dei press tour che coinvolgeranno i giornalisti stranieri nella visita delle Cantine proprio nei loro territori; la novità di quest’anno è che sono previste “strette collaborazioni con altri soggetti promotori di eventi enologici per incrementare un processo di condivisione di attività che rafforzi l’immagine e la capacità di penetrazione dei mercati del comparto vitivinicolo dei nostri territori, accorpando le significative esperienze e competenze dei protagonisti del settore”.
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A Roma torna Enotica: vino ed Eros dal 18 al 20 marzo

Tutto pronto a Roma per la VI edizione del Festival del Vino e della Sensualità, ”Enotica”, evento dedicato al connubio immortale tra Vino ed Eros. Un percorso sensoriale alla scoperta del piacere della condivisione di un bicchiere di vino che si articolerà tra le Centocelle del Forte Prenestino, centro sociale occupato ed autogestito dal 1986. La manifestazione, organizzata
dall’enoteca del centro sociale nata nel 2008, prosegue il percorso avviato nel 2004 con l’organizzazione della prima edizione di Terra e Libertà Critical Wine, figlia dell’incontro tra Luigi Veronelli enologo anarchico e i movimenti da sempre sensibili ai problemi della terra, dell’agricoltura e dell’ambiente. L’appuntamento è dal 18 al 20 marzo. Non un vino qualunque e commerciale, ma il vino critico degli artigiani del vino. Produttori di vino naturale, biologico o biodinamico, non filtrato, frutto di colture virtuose. Realtà agricole che hanno scelto di operare con logiche distanti da quelle delle produzioni agricole di massa. Un’occasione, quella di Enotica, non solo per i consumatori più avvezzi o gli habitué, ma anche per i più scettici per avvicinarsi a questa tipologia di vino che va spiegato per essere compreso ed eventualmente apprezzato.  Non aspettatevi sommelier in livrea con taste de vin, ma solo contadini genuini portavoce di questo ”sovversivo” nettare. Oltre al vino, cibi biologici e biodinamici prodotti della stessa filosofia e tanto divertimento con proiezioni cinematografiche, concerti, dj set, spettacoli di cabaret e mostre, solo per chi è disposto a lasciarsi andare.
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Vini al supermercato, crescono le vendite nella Gdo italiana: Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano al top

Torna a crescere il volume e il valore delle vendite di vino nei supermercati italiani. Aumentano anche i prezzi medi, mentre la pressione promozionale rimane invariata. Sono queste le prime anticipazioni dell’istituto di ricerca Iri, in vista di Vinitaly 2016. Tra i vini più venduti d’Italia crescono Nero d’Avola, Vermentino e Trebbiano. Passerina, Valpolicella Ripasso e Nebbiolo sono gli outsider. Bene anche gli spumanti e il vino biologico. Dopo anni di stasi, insomma, si registra una crescita più decisa
delle vendite di vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (Gdo), sia in volume che a valore. In attesa della 50° edizione di Vinitaly, che si terrà a Verona dal 10 al 13 aprile, Iri ha elaborato in esclusiva per Veronafiere i dati sull’andamento di mercato nel 2015. Le vendite delle bottiglie da 75cl aumentano del 2,8% a volume rispetto al 2014, e le bottiglie da 75cl a denominazione d’origine (Doc, Docg, Igt) del 1,9%. Rispettivamente le vendite a valore crescono del 4,0% e del 3,8%. “Una crescita doppiamente positiva – ha commentato Virgilio Romano, Client Solutions Director di Iri – perché non è stata stimolata né dalla crescita promozionale né da prezzi in calo. La pressione promozionale, infatti, rimane su livelli alti ma inalterati rispetto all’anno precedente, mentre i prezzi sono in aumento: i vini a denominazione di origine, ad esempio, hanno prezzi medi in crescita dell’1,9%. Dopo un lustro di assenza, la crescita contemporanea di volumi e valori ci lascia ben sperare per gli anni futuri”. Risultati positivi anche per gli spumanti venduti in Gdo: + 7,8% a volume e +7,5% a valore, anche se il prezzo medio è leggermente ridimensionato rispetto al 2014. I vini biologici crescono a volume del 13,2% (a valore del 23%), ma i litri venduti sono ancora limitati: un milione e 630 mila.

“IL CONSUMATORE E’ PIU’ MATURO”
“A poco più di un mese dal via del 50° Vinitaly  – spiega Giovanni Mantovani, Direttore generale di Veronafiere – si tratta di anticipazioni che fanno ben sperare in una crescita più strutturale del mercato interno del vino. Da sottolineare il continuo aumento delle vendite a valore, segno che il consumatore è più maturo: ricerca e sceglie la qualità. Si tratta di una strada che con Vinitaly abbiamo sempre sostenuto e promosso a livello commerciale e culturale, nelle nostre iniziative e negli incontri b2b tra Gdo, aziende e buyer”. Il vino più venduto in assoluto nei supermercati italiani rimane il Lambrusco con 12 milioni e 771 mila litri venduti, sempre tallonato dal Chianti, che vince però la classifica a valore. Al terzo posto sale lo Chardonnay, un bianco di vitigno internazionale, che cresce del 9% a volume. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (+4,6%), del Vermentino che cresce dell’8,5% e del Trebbiano (+5,6%). Tra i vini “emergenti”, cioè quelli che hanno fatto registrare nel 2015 un maggior tasso di crescita, il primo posto va alla Passerina marchigiana, con una progressione del 34,2% che va a bissare il successo registrato negli anni scorsi dal Pecorino (Marche e Abruzzo), classificatosi stavolta 3°. Due bianchi con prezzi medi a bottiglia di circa 4 euro. Da notare la seconda posizione del veneto Valpolicella Ripasso e la quarta posizione del piemontese Nebbiolo, che costano mediamente 7,69 euro il primo e 5,91 euro il secondo, a conferma che le crescite si leggono anche su vini importanti in termini di prezzo e di complessità. La ricerca completa verrà presentata nel corso della tavola rotonda su vino e grande distribuzione che si terrà a Vinitaly lunedì 11 aprile, alle ore 10.30 nella sala Vivaldi del PalaExpo, con la partecipazione di produttori e distributori.

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Vini al supermercato

Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj 2015, Le Carline

(3 / 5) Vino ”eticamente corretto” il Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj prodotto dall’azienda agricola Le Carline di Pramaggiore presente con due rossi e due bianchi sullo scaffale del supermercato. Biologico, vegano e senza solfiti il tris di aggettivi a corredo del prodotto.
Tipologia di vino che risponde ad una richiesta di mercato, che seppur ancora di nicchia, si sta facendo sempre più strada nella nostra cultura e nella grande distribuzione. La menzione “vegano”, non passa inosservata in un supermercato ”generico” e non specializzato, ragion per cui finisce sotto la nostra lente di ingrandimento.
LA DEGUSTAZIONE
Appena aperto sembra avere un sentore acre,  quasi ”acetico”, che sparisce con una adeguata ossigenazione. Dopo un’oretta dall’apertura, il Merlot Doc Lison Pramaggiore Tenuta del Giaj prodotto dall’azienda agricola Le Carline prende vita e si rivela un vino totalmente diverso. Finalmente lo spettro olfattivo si delinea anche se resta pressoché semplice: vinoso con leggeri sentori fruttati ed erbacei.
Al gusto è di corpo medio, caldo ”meno”: sembra leggermente vivace, rotondo e secco. Un vino fresco, leggermente sapido e giustamente tannico. Leggero con una gradazione del 12% di alcol in volume è un vino tranquillo da tutto pasto che si fa bere comunque con piacevolezza. Impiega un po’ a carburare il che potrebbe essere di difficile interpretazione per i consumatori più impazienti.  Non è il classico vino chiavi in mano o da ”colpo di fulmine”, richiede una “conoscenza” primaria minima prima di rendersi più interessante.
Sicuramente di ottimo rapporto qualità prezzo in un segmento di mercato che risulta quasi sempre poco accessibile è adatto ad arrosti, fritti ed umidi, carni bianche e rosse oppure da abbinare a salumi e da giovanissimo anche alla frittura di pesce, per buona pace dei vegani.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Merlot nella zona Lison Pramaggiore secondo le regole del reg.UE 203/2012 per il vino biologico e con il disciplinare per la certificazione dei prodotti destinati ai consumatori vegetariani e vegani. Il prodotto è quindi frutto della sola fermentazione del succo di uva senza aggiunta di alcun additivo. Dopo il raccolto le uve vengono pulite e raffreddate e le bucce macerate in via dinamica con follatura tradizionale. La fermentazione avviene a temperatura controllata. Dopo la malolattica e il contatto per alcuni mesi con la propria feccia fine, il vino viene illimpidito e conservato a temperatura controllata in acciao prima di essere imbottigliato.
La linea di prodotti a marchio ”Tenuta del Giaj” raggruppa i vini destinati ai negozi della Grande Distribuzione Organizzata. Giai è una frazione di Annone Veneto, una delle Città del Vino facenti parte dell’area Doc Lison Pramaggiore insieme alla stessa Pramaggiore, San Stino di Livenza e Portogruaro, dalla quale provengono  parte delle uve biologiche utilizzate. Dal 1988 l’azienda agricola Le Carline di Pramaggiore produce vini biologici e dal 2010, per seguire la crescente richiesta  di consumo di alimenti senza sostanze chimiche, ha investito anche nella linea senza solfiti aggiunti.
Prezzo pieno: 5.90 euro
Acquistato presso: U2/Unes
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Fiera Pessima 2016 ospita Bruno Vespa vignaiolo e ”quasi cittadino” di Manduria

C’era anche Bruno Vespa , ospite ed interlocutore al convegno sul vino di venerdì alla ”Fiera pessima” 2016 di Manduria. Dal 2014 infatti il noto giornalista è entrato a far parte della categoria dei vignaioli con la sua azienda Futura 14 e il suo marchio ”Vespa Vignaioli per passione”. Nel luglio del 2015 ha acquistato la masseria Li Reni a Manduria, tenuta nella quale saranno impiantati 12 ettari di Primitivo. Nonostante le origini abruzzesi e le pressioni del governatore della Regione Abruzzo, Bruno Vespa ha scelto per la seconda volta la Puglia. Un amore nato già tempo fa: il giornalista era infatti socio, con altre tre persone della masseria Cuturi, società che ha abbandonato in seguito a scontri di visione sulle strategie. La migliore società è fatta da un numero di soci dispari e il numero deve essere minore di tre si usa dire: questa volta il giornalista ha scelto di correre quasi in solitaria, condividendo solo con i due figli l’enoica impresa. ”Coltiverò solo vitigni autoctoni” ha dichiarato il giornalista che ha anche annunciato il lancio di un vino rosato che denominerà ”FlaRo”, in onore delle due tenniste pugliesi Flavia Pennetta e Roberta Vinci.

Non c’è tempo da perdere per Bruno Vespa: ”Girando fra gli stand della Fiera, ho appreso che a Manduria si è iniziato ad imbottigliare il vino nel 1970. Nel 1975 è stata creata la denominazione ad origine controllata. Poi tutto è caduto nel dimenticatoio sino al 1998. Pensate a quanto tempo si è perso. Ma gli errori del passato ora diventano opportunità del futuro”. Negli anni 80 infatti anche un’azienda di Manduria era stata coinvolta nello scandalo del metanolo, ma è proprio dalla presa di coscienza che ne è seguita che è nato un grande vino, il Primitivo di Manduria e in generale il vino italiano ha raggiunto livelli di eccellenza. ”Avrei potuto fare il commerciante dei vini: li avrei acquistati, avrei apposto il mio nome e li avrei immessi nel circuito commerciale, invece ho scelto di produrli, con la speranza di raccontare il mio vino nel mondo” ha affermato Vespa. A Fiera Pessima 2016 nessun plastico, fortunatamente, della tenuta che diventerà anche relais vista vigne, solo tanta gioia da parte del giornalista per l’ottenimento dei permessi edilizi e per la promessa della cittadinanza onoraria.

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Greco, Fiano e Taurasi: le docg irpine debuttano al Prowein

Sarà Alessandro Scorsone, uno tra i più noti sommelier italiani, volto televisivo e curatore di guide, a fare da padrino ai vini irpini che per la prima volta sbarcheranno al Prowein di Düsseldorf. La partecipazione alla fiera, considerata da molti operatori di settore quella con il più alto tasso di professionalità è stata fortemente voluta dalla Camera di Commercio di Avellino, da sempre attenta alla promozione dei vini irpini che già detengono una quota export del 15% verso la Germania per un valore di 2.4 milioni di euro. In programma presso lo stand De.s.a. (Deutschland Sommelier Association) nel padiglione Italia, da sempre uno dei più frequentati, wine tasting delle tre Docg Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi, uno al giorno. ”Tre degustazioni da non perdere per approfondire la conoscenza con tre vini che raccontano un sud Italia sorprendente, diverso, tutto da scoprire”, ha dichiarato Sofia Biancolin, presidente De.s.a.  Tre vini di grande valore prodotti in pochi chilometri quadrati secondo Scorsone che li fa rientrare di diritto nel gotha della produzione enoica mondiale, con delle etichette in grado di stupire anche gli esperti più smaliziati.

Le tre Docg irpine rappresentano il 75% delle Docg Campane. Curioso che sul sito del Consorzio di Tutela dei Vini Irpini, che sembra quasi abbandonato, non si faccia menzione dell’evento e che sia stata proprio la Camera di Commercio a farsi carico del “battesimo” di questi grandi vini al Prowein. Il Consorzio di Tutela dei Vini Irpini durante il recente convegno ”L’Irpinia del Vino tra mercato locale e mercato globale”, tenutosi lo scorso 25 Febbraio ad Avellino è stato fortemente attaccato. Ritenuto inefficace ed inesistente, sono state richieste richieste le dimissioni della Presidentessa Milena Pepe, colpevole di non aver saputo rivoluzionare quest’organismo che in questi anni non ha fatto nulla per le aziende del territorio, a causa soprattutto dell’egocentrismo di molte cantine troppo concentrate a far crescere il loro di brand e senza rendersi conto che l’unico modo di affacciarsi al mercato sia quello di fare strategie comuni. Modalità operative ben distanti dal vincente Consorzio dei Vini Sannio, che sarà comunque presente al Prowein o da realtà come quelle della Toscana che ha addirittura dato luce ad A.vi.to proprio per intraprendere azioni coese sui nuovi mercati.

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Vini al supermercato

Trento Doc Brut Cantine Atesine sboccatura 2014

(5 / 5) ”Le cose migliori arrivano quando meno te lo aspetti”. Nel caso specifico la cosa inaspettata è la finezza dello spumante metodo classico Trento Doc Brut prodotto dalle Cantine Atesine di Trento. Nulla da invidiare a nomi altisonanti, cosiddetti leader di prodotto, che si possono trovare in gdo e non solo. Uno spumante classico, il Trento Doc delle Cantine Atesine che, visto così con un’etichetta di poco appeal, passa un po’ inosservato. L’apparenza però spesso inganna, infatti una volta stappato si è rivelato uno spumante di grande personalità. Va detto che le produzioni del Trentino, anche per la gdo, si distinguono sempre. Con le cantine trentine si casca sempre bene.

LA DEGUSTAZIONE
Per quanto riguarda l’analisi organolettica, il Trento Doc Brut Cantine Atesine, nel calice si presenta di un bel giallo paglierino dorato con un perlage mediamente fine ed estremamente persistente, anche se diffuso su più di una catenella. Un naso di grande freschezza, elegante,  con dolci note fruttate di mela e agrumi, fiori delicati, accenni di lieviti e crosta di pane a completare un quadro invitante. Al palato una bollicina incisiva al punto giusto, un buon corpo accompagnato da una vivace vena acidità, sapidità e mineralità per un sorso armonioso. Un finale persistente e retrogusto con sfumature agrumate. Una di quelle bottiglie che con i suoi 12,5% di gradazione, alla giusta temperatura di servizio, si svuota rapidamente. Ma noi di vinialsupermercato, anche se farà inorridire qualcuno, abbiamo conservato (bene) un bicchiere per il giorno successivo, proprio per testarne la tenuta. Ebbene, al secondo giorno sembrava appena stappato e altrettanto gradevole. Lo spumante Trento Doc Brut, ha un residuo zuccherino di 4 g/l. E’ ideale come aperitivo, con pietanze a base di pesce, ma anche a tutto pasto, addirittura con la pizza e la piadina, come viene proposto nei brunch after ski.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Chardonnay da vigneti di accertata vocazionalità situati a nord est di Trento che godono di ottima esposizione. La denominazione di origine controllata ”Trento” identifica il Trentino vitivinicolo ed impone la spumantizzazione secondo il metodo classico di rifermentazione in bottiglia. Le uve sono raccolte a mano. Dopo la diraspatura segue una macerazione sulle bucce di 10/12 ore, illimpidimento naturale del mosto, aggiunta di lieviti selezionati, fermentazione e sosta di 3/4 mesi sui lieviti prima del tiraggio. In primavera viene fatta la cuvée e preparato il vino base che viene posto a rifermentare in bottiglia. per un periodo di sosta minimo sui lieviti di 15 mesi. Lo spumante Trento Doc prodotto da Cantine Atesine riporta in contro etichetta la data di sboccatura 2014, come previsto dal disciplinare. Le produzioni che hanno una sosta sui lieviti inferiore a 24 mesi non possono indicare l’annata, ma devono indicare la sboccatura appunto. Le Cantine Atesine, si trovano a Casteller in provincia di Trento e sono specializzate nella produzione e ingrosso di vini e spumanti.
Prezzo pieno: 6.99
Acquistato presso: Penny Market
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The Wine Advocate 2016: cartellino rosso per i Sauvignon friulani

La tutela del giudizio ed il rispetto per i consumatori americani sopra ogni cosa. Questa la ragione che ha spinto Monica Larner, ad escludere i produttori di Sauvignon friulano dalle recensioni 2016 della nota rivista americana The Wine Advocate. Nel corso del mese di settembre 2015, tra Udine e Gorizia erano stati sequestrati in 17 cantine, una serie di campioni di mosto, contenenti un preparato innocuo dal punto di vista della salute, ma non previsto dal disciplinare di produzione. Il preparato, riconducibile al consulente Ramon Persello, collaboratore di numerose cantine friulane e non solo, indicato come ”genio della chimica” sarebbe stato in grado di esaltare i profumi del vino rendendoli concorrenziali anche nelle annate peggiori. Le lunghe tempistiche della nostra giustizia ,che non si sono smentite nemmeno per la Sauvignon Connection, non hanno aiutato la responsabile italiana della rivista, che ha atteso fino all’ultimo notizie certe dalla magistratura. ”Proprio per riuscire ad avere più certezze sulla vicenda ho fatto slittare il capitolo della rivista dedicato ai vini friulani ad aprile, quando tradizionalmente esce quattro mesi prima, tra novembre e dicembre. Ma ormai non possiamo più aspettare, perchè la vendemmia 2015 è praticamente già in commercio”. La rivista non è nuova a queste decisioni, aveva destinato la stessa sorte nel 2008 al Brunello di Montalcino, per lo scandalo Brunellopoli. Uno stop cautelativo dunque, per queste etichette che sono molto apprezzate dai consumatori americani e che hanno un grosso riscontro in termini economici per i produttori, considerato che il prezzo al dettaglio negli States si aggira intorno alla media dei 100 dollari. In attesa dei risultati delle analisi della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento), guidate dal dottor Mario Malacarne e di ulteriori sviluppi sull’inchiesta, Monica Larner parlerà comunque dell’accaduto durante la presentazione dell’annata vinicola friulana, senza entrare però nei particolari di quello che è uno scenario davvero dalle tinte fosche.”Può darsi che sia scaturito tutto da qualche invidia tra vignaioli, non mi stupirei e non sarebbe una caratteristica solo dei friulani, funziona così un po’ in tutta Italia, basti pensare che a Montalcino, dove si produce il Brunello, arrivano persino a rigare le auto dei concorrenti” ha osservato la curatrice.

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Il team working del vino toscano si chiama A.vi.to


Un giro di affari di 1,1 milardi di euro realizzati per il 70% oltre confine nazionale e 5100 imprese coinvolte: questi i numeri della nascente associazione A.Vi.To mega consorzio Toscano di cui faranno parte 21 delle 28 realtà di tutela dei vini Doc e Docg. A farne parte tra gli altri, il consorzio del Brunello di Montalcino, del Nobile di Montepulciano, del Chianti Classico e del Chianti Docg, ma anche consorzi di tutela
di vini doc, come quello di Bolgheri, dei vini di Maremma o del Montecucco. Padre putativo dell’iniziativa il Consorzio del Chianti Classico che lanciò la proposta durante le difficili fasi di approvazione del Piano Integrato territoriale della Toscana del 2014. A.vi.to sarà un’associazione ”itinerante”. La sede dell’associazione sarà infatti quella del Presidente pro tempore che sarà in carica solo per un anno, pronto a lasciare il testimone, come in una staffetta, al  successore. A rompere il ghiaccio sarà Fabrizio Bindocci, attuale Presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino che, per il suo anno di presidenza, sarà affiancato da Luca Sanjust della Doc Valdarno di Sopra suo vice. ”Con il nuovo consorzio dei consorzi vogliamo riproporre un’azione unitaria per affrontare le nuove sfide sul territorio, a cominciare dalla nuova legge regionale sugli ungulati (ovvero caprioli e cinghiali, che devastano i nostri vigneti) che, approvata nelle scorse settimane, dovrà ora essere tradotta in decreti applicativi, ma soprattutto con la nuova associazione contiamo di promuovere un approccio congiunto e tutto made in Tuscany ai nuovi mercati” ha dichiarato Giuseppe Liberatore, capo del Consorzio del Chianti Classico. Il neo presidente di A.vi.to ha accettato di buon grado la sfida, convinto che l’associazione potrà recitare un ruolo determinante nell’affrontare i nuovi mercati, tra cui la difficile Cina. Per farlo si renderà necessario anche un cambio generazionale ai vertici delle aziende, del quale sono allo studio le modalità. ”I giovani, a differenza di chi li ha preceduti, sono ”nativi internazionali”, ovvero, hanno la giusta spinta ai mercati esteri. Proprio ciò che serve per dare un futuro ai nostri prodotti” ha detto Fabrizio Bindocci.
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Vini al supermercato

Cool Wine, da Penny Market e Coop la Puglia fa tendenza con i vini del Tacco

(4 / 5) Una fila di etichette colorate, grintose ed accattivanti. Ogni colore un vino diverso, ogni etichetta l’iniziale di una parola identificativa. Fino a comporre la scritta “Tacco”, che identifica la forma della Puglia. Ovvero l’acronimo di Terra, Amore, Coraggio, Creatività, Orgoglio. Facile essere audaci, perché la catena di “discount di qualità” Penny Market, ci ha spesso sorpreso, in positivo. E lo fa anche stavolta, con una linea di prodotti delle Cantine Teanum di San Severo (Foggia), mai recensite prima su vinialsupermercato.it, ma a noi ben note. In una sorta di degustazione “verticale”, anzi “alfabetica”, partiamo dalla lettera “T”: ovvero dal blend tra uve Bombino e Fiano. Un mix ben riuscito, con percentuali che si assestano al 70% per il primo uvaggio autoctono dell’Alto Tavoliere delle Puglie, e 30% per il secondo. Un vino che si presenta denso nel calice, dove scorre mostrando un giallo paglierino carico. Al naso evidenti richiami di frutta a polpa gialla matura, sciroppata: pera, albicocca, amarena. E una speziatura che ricorda vagamente la noce moscata. Ottime premesse.

TERRA

Al palato, “Terra” Bombino – Fiano 2014 richiama nuovamente tinte fruttate, ben calibrate con toni più austeri, erbacei, tendenti all’amarognolo. E’ così che si evidenzia la buona alcolicità del prodotto (13%) che non infastidisce: dona bensì piacevolezza alla beva, fresca e sapida. Un vino equilibrato e sufficientemente persistente, da abbinare ad antipasti leggeri, risotti e primi a base di pesce. Le uve Bombino e Fiano crescono a un’altitudine di 150-200 metri sul livello del mare e vengono allevate a spalliera, con un resa di 100 quintali per ettaro. La raccolta avviene in maniera manuale, con successiva spremitura soffice e fermentazione in acciaio, a una temperatura controllata di 14 gradi. Sempre in acciaio avviene la maturazione, mentre l’affinamento è affidato alla bottiglia, prima della commercializzazione.

CORAGGIO
Passiamo poi al Nero di Troia-Negroamaro Igt “Coraggio” 2014. Il calice si tinge di un profondo colore rosso scuro. Al naso sprigiona un intenso spettro di sentori: il vinoso iniziale lascia spazio alla frutta, ciliegia, ribers nero, ma anche prugna secca. Effluvi di pepe e anche una piccola percezione di vaniglia. Una complessità olfattiva sorprendente. Al palato è molto caldo, il gusto pieno e rotondo. Sul fronte delle componenti dure è accompagnato da un’acidità fresco viva, sapidità, un tannino equilibrato. Chiude fruttato e persistente, lasciando anche un leggero retrogusto amarognolo a completare una buona beva. La gradazione alcolica, con i suoi 13%, è assolutamente tollerabile. Si abbina a carni arrosto, selvaggina e tagliate di manzo. Prodotto con uve 70% Nero di Troia e 30% Negroamaro. I vigneti, allevati a spalliera ed alberello si trovano a 200 mt sul livello del mare. Le bucce vengono lasciate a macerare per 22 giorni in acciaio. Successivamente il vino viene affinato in botti di legno francese ed americano e in bottiglia. L’uva Nero di Troia è la bacca di un vitigno autoctono pugliese, il nome deriva proprio dalla carica polifenolica che tende a dare al vino una colorazione molto scura che ricorda il nero. Il vitigno è stato per lungo tempo destinato a rafforzare vini deboli di corpo attualmente viene vinificato anche in purezza.

CREATIVITA’

Ecco dunque l’ultimo dei nostri prodotti della linea Cool Wine degustati: ovvero la seconda “C” di “Tacco”, “Creatività”. Si tratta anche in questo caso di un blend tra gli uvaggi Nero di Troia (70%) e Aglianico (30%) salentino. Ritroviamo il rosso impenetrabile, con unghia tendente al granato, del precedente vino degustato. Al naso è profondo, con intense percezioni di confettura di frutti rossa e spezie come la liquirizia, nonché sentori di cuoio. Un vino che pare già caldo al naso, con i suoi 13,5 gradi di alcol in volume. E si riconferma tale al palato, dove rispecchia l’analisi olfattiva: ecco nuovamente la frutta, ben sostenuta da una freschezza e da una sapidità viva, in un finale persistente che tende al rabarbaro. Le vigne che danno vita a questo blend crescono a un’altitudine di 150 metri sul livello del mare, allevate a spalliera. La produzione per ettaro si assesta sui 90 quintali. Anche in questo caso la raccolta delle uve avviene manualmente. La vinificazione prevede 24 giorni di macerazione in contenitori d’acciaio. Segue poi la maturazione in botti di legno francese e in vasche di acciaio, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia.

LA CANTINA TEANUM
Il vini “Tacco” fanno parte della linea Cool Wine, per la quale la cantina Teanum ha creato un sito Internet dedicato. La sintesi di questi prodotti è “emozioni per tutte le occasioni” e la riprova è proprio la qualità di questo vino quotidiano, che con una trama semplice riesce a regalare un’emozione a tavola. Le Cantine Teanum sono un’azienda giovane, innovativa, ma con una pluriennale esperienza enologica. La mission prevede la produzione di vini di alto profilo qualitativo ad un prezzo competitivo. Obiettivo raggiunto, vista la serie di riconoscimenti sin ora collezionati. Alcuni vini sono menzionati sulla guida de L’Espresso. “Con la linea Tacco – evidenzia Elisabetta Capobianco dell’Ufficio Commerciale Italia Cantine Teanum – siamo presenti presso Coop  e Penny Market, oltre che in piccoli supermercati indipendenti, ormai da circa 3 anni. I risultati sono buoni. Il mercato, del resto, apprezza la qualità di tali prodotti e il packaging accattivante”. (di Viviana Borriello e Davide Bortone)
Prezzo pieno: 2,99 euro
Acquistato presso : Penny Market – Coop
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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Antichi Vigneti di Cantalupo, il Nebbiolo alla “novarese”. Alla scoperta del regno di Alberto Arlunno

Umiltà e semplicità. Sono le caratteristiche con le quali Alberto Arlunno dirige una delle più importanti cantine di Ghemme. Siamo in Piemonte, poco al di là del confine con la Lombardia, in provincia di Novara. Terra dove l’uva Nebbiolo viene trasformata pazientemente in vino dai viticoltori locali.

Il signor Alberto ci accoglie con un sorriso che metterebbe a proprio agio anche il più timido dei visitatori. Il sorriso di chi ti apre le porte del suo mondo. Di casa sua. Perché è qui che abita il cuore di quest’uomo: alla cantina Antichi Vigneti di Cantalupo. Tutt’attorno, le “figlie” putative di Alberto Arlunno: le vigne.

“Andiamo in vigna, che preferisco”, dice appunto. Ci accompagna, sulla collina che sovrasta la collina, a bordo della sua Fiat Multipla che segna inesorabili 376.000 chilometri di fatiche. Il vignaiolo accosta su un crostone di terreno. ‘Va che bello! Prima fotografate la terra”, esordisce. Gli occhi brillano, come se fosse per lui la prima volta. Poi prosegue: ”Questa è una collina fluvio glaciale creata dai detriti accumulati dallo scioglimento di un ghiacciaio ed in parte trasportati dal fiume Sesia. Non è il mio vigneto di punta, ma è sicuramente tra i migliori”.

La nostra intervista non poteva sperare in teatro migliore. Una camminata tra i filari, allevati a Guyot. Alberto passeggia, ogni tanto si ferma ad ammirare una legatura, a controllare un palo, si stupisce di fronte ai rami di vite che gli sembrano uno stemma araldico. Guarda la sua vigna, con l’espressione di chi non smette di sorprendersi, centimetro dopo centimetro, di qualcosa che in fondo conosce come le sue tasche.

”Quante volte passa di qui il sottoscritto? Ogni volta – ammette – c’è un particolare nuovo che mi affascina”. ”Guarda che bello qui, con il prato appena tagliato. Sembra una vigna inglese”. E fa una fotografia. ”…Poi quando intorno è spenta ogni altra face, e tutto l’altro tace, odi il martel picchiare”, non manca neppure una citazione leopardiana dal Sabato del villaggio.

LA STORIA

Antichi Vigneti di Cantalupo è un’azienda vinicola di 35 ettari, ”tutto Nebbiolo al 105%”, scherza Alberto, fissandoti col piglio di chi s’aspetta che quella battuta, studiata e ripetuta chissà quante volte, faccia ridere di volta in volta nuovi interlocutori. E così succede.

”Cantalupo – spiega – è una trasformazione di un’azienda di famiglia. Quando è arrivata la Doc Ghemme si è pensato di rinnovare i vigneti, di ampliarli, di rifare la cantina nuova. chiamandola con quello che era il nome di un vigneto, il Cantalupo”.

Antichi Vigneti di Cantalupo nasce nel 1977, ma la famiglia Arlunno è a Ghemme dalla notte dei tempi. I nuovi impianti sono del 1970, il primo vino a “marchio” Cantalupo invece è del 1974.

Oggi l’azienda produce circa 180.000 bottiglie. Tre impiegati lavorano quotidianamente tra vigna e cantina, con picchi che raggiungono la ventina di persone, durante potatura e vendemmia. A proposito di potatura: essendo sul finire di febbraio, chiediamo ad Alberto come procedono i lavori. Ci risponde, in piemontese, che da quelle parti si dice ”chi ha la vigna sua va a potarla al mese di marzo”.

Ma loro, con i 35 ettari vitati, se andassero al mese di marzo “dovrebbero spararsi”! Noi che arriviamo dalla grande città proviamo a volte invidia per chi ha la possibilità di lavorare in mezzo alla natura. ”C’è un grande lavoro?” chiediamo ad Alberto. ”Abbastanza… Sufficiente…”, ride. Poi prosegue: ”Ogni tanto viene voglia di scappare!”. Ma Alberto, anzi, resta. E inizia a raccontarci del vitigno.

”Il Nebbiolo è importante ed è interessante anche per il fatto che puoi fare di tutto – spiega – anche la bollicina con un metodo Charmat, senza andare troppo lontano. Abbiamo fatto una prova di Metodo Classico, è lì dal 2002 che dorme: due esperimenti, uno in rosato e una prova di bianco, poca roba, ma non so dirvi com’è, non l’ho ancora assaggiata”.

Di fronte al vigneto c’è una collina dalla forma particolare, è l’occasione per Alberto di farci una vera e propria lezione di geologia sulla Valsesia. ”Quella montagna che sembra un panettone Galup, è la reliquia dell’oceano: la Tetide era l’oceano che divideva l’Africa dall’Europa. Quando, per effetto dei movimenti della crosta terrestre, l’Africa ha perso l’America Meridionale, si è creato un baratro enorme”.

L’Africa si è scontrata con l’Europa, la famosa deriva dei continenti. A partire da 60 milioni di anni fa è cominciato il processo che ha dato origine tra le varie cose alla catena delle Alpi”.

In corrispondenza di questa zona, c’è stato un rovesciamento a 90 gradi della crosta terrestre, “un ricciolo di burro” lo definisce Alberto, che ha fatto riemergere un vulcano fossile  scoppiato ai tempi della Pangea.

”Il Monte Rosa – continua Alberto Arlunno – fa parte della zolla europea. In Valsesia, dopo Varallo c’è Balmuccia, praticamente l’ultimo paese ‘africano’. Scopa invece è il primo paese ‘europeo’. Si passa anche senza passaporto”. Alberto non perde occasione di scherzare.

UN TERROIR UNICO

L’area di Ghemme, fa parte di quello che oggi è un geo parco Unesco. Il Super Vulcano è una scoperta relativamente recente, frutto di un lavoro di 36 anni del professore Sinigoi dell’Università di Trieste, con la collaborazione di un luminare dell’Università di Dallas.

Per Alberto, è una grande fortuna avere qui questo vulcano fossile che in termini di terroir ha creato una varietà incredibile. ”Gattinara – commenta il vignaiolo – ha i vigneti sulle colline, sulla parte vulcanica riemersa. Boca ha una zona vulcanica, mentre una parte del territorio è alluvionale, dovrebbe avere un’altra Doc. La collina di Ghemme è il compendio delle mineralità della Valsesia, qui c’è la macedonia Valsesiana, la sommatoria di tutto quello che si trova in Valsesia”.

Stesso vitigno, su terreni diversi anche a poca distanza, che dà frutto a vini completamente diversi. Mentre torniamo verso la cantina cambiamo discorso, parliamo della zona dal punto di vista turistico e del mercato. Questa è un’area poco valorizzata, ma Alberto dice di aver letto su una rivista di settore che “nell’Ottocento Ghemme e Gattinara erano l’epicentro qualitativo dei vini piemontesi”.

Poi sono successe molte cose, le due guerre, le leggi sulle denominazioni, le mode dei vitigni alloctoni, dei Merlot e dei Supertuscan. Mentre loro andavano avanti a Nebbiolo, “nel quale la gente non trovava il colore impenetrabile”. Poi un’inversione di tendenza: in Italia si sono accorti delle potenzialità dei vitigni autoctoni.

Barolo e Barbaresco nelle Langhe, dove si beveva solo Dolcetto, hanno saputo prendere un treno che invece questa zona ha perso. Slow Wine e il Gambero Rosso gli hanno dato una bella mano. I turisti in zona sono sempre venuti, molti dall’estero: Europa, anche dall’Est, Belgio, Germania altalenante.

Quando i tedeschi avevano il Marco – spiega Alberto Arlunno – prendevano i vini più importanti, poi con la crisi hanno tirato un po’ i remi in barca, preferendo poche bottiglie di alta gamma e acquistandone molte di fascia media”.

E poi molti svizzeri, qualche francese, giapponesi e norvegesi. Con la Cina un principio di business dieci anni fa, ma poi non ci sono stati sviluppi. La sorpresa maggiore è quella dei turisti provenienti dalla Norvegia, così com’è norvegese la proprietà di un’altra cantina della zona.

Antichi Vigneti di Cantalupo dal 92 produce un vino che va alla grande in Norvegia, un rosato (ebbene sì) differente da quelli che forse abbiamo nel retro cranio. Un rosato di Nebbiolo che ha la struttura di un rosso. ”C’è gente che non vuole saperne di rosato e poi tra le varie cose lo assaggia in cantina e lo porta a casa”, commenta Alberto Arlunno.

LA CANTINA, LA DEGUSTAZIONE

Le pareti esterne della cantina sono un museo a cielo aperto, numerosi fonti storiche sono in bella mostra. Ghemme, ma anche i vigneti di Cantalupo hanno uno stretto legame con i monaci cluniacensi dell’Abbazia di Cluny.

I monaci hanno saputo mantenere viva la viticultura anche in periodi difficili come il Medioevo, epoca di carestie, guerre, invasioni, calamità naturali. Nel 1600 erano proprio loro con le Colline Novaresi a fornire una buona parte del vino al Ducato Milanese che aveva mantenuto stretti legami con l’Abbazia di Cluny.

Il vigneto di Cantalupo è intitolato proprio ad uno degli abati di Cluny più importanti, San Maiolo. E Ghemme fa parte dei siti cluniacensi di un grande itinerario culturale, al quale Alberto Arlunno ha dedicato addirittura un vino Colline Novaresi, l’Abate di Cluny. Alberto Arlunno è davvero un’enciclopedia vivente, un motore di ricerca sul qualche si può ricercare qualsiasi informazione.

Un uomo di una cultura sopraffina in tante materie. Scienze, geografia, storia, geologia, ma anche arte. Arte, quella che si respira nella cantina che sembra un teatro, un anfiteatro fatto di gradoni che si sviluppano sulla collina, sui quali riposano botti di diverse dimensioni. Uno spettacolo che lascia senza fiato.

Poi la chicca. Una porticina che sembra la cella di un monastero ci conduce in un corridoio sul quale affacciano altrettante piccole celle, dove possono riposare fino a 5000 bottiglie a regime. Ogni cella è un cru. Le bottiglie restano lì per almeno un anno. Tutte dormono su drappi di velluto rosso. Questo angolo della cantina rappresenta un infernot moderno.

Dei vini di Antichi Vigneti di Cantalupo che abbiamo degustato non vogliamo parlare, vi basti sapere che è davvero imbarazzante decidere quali bottiglie portare a casa. Sarebbe troppo banale celebrare le qualità di ognuna, dalla base fino a quello che potremmo definire “top di gamma”. Di certo sono tutte produzioni che, pur mostrando grande carattere già ai nostri giorni, rendono merito alla grandezza del Nebbiolo come vitigno da “invecchiamento”.

La vera sfida, infatti, sarà degustare anche tra 10 anni le bottiglie che oggi potreste assaggiare, guidati dal titolare di questa splendida realtà vitivinicola novarese. Andare a conoscere Alberto Arlunno e visitare gli Antichi Vigneti di Cantalupo vuol dire arricchirsi d’una bellissima esperienza. Nozioni, emozioni indelebili.

Gli Antichi Vigneti di Cantalupo oltre che sui libri del mondo del vino dovrebbero essere riportati anche sulle mappe turistiche, sui luoghi assolutamente da visitare anche da non eno appassionati. Addirittura da chi si trova in zona perché attirato esclusivamente dal “Super Vulcano”.

Anzi, diciamola tutta: il vero Super Vulcano della Valsesia è Alberto Arlunno. Un vulcano effusivo in continuo fermento. La sua cultura, le sue vaste conoscenze sono tutte lì nella camera magmatica della cantina Antichi Vigneti di Cantalupo. Pronte a risalire lungo il ‘camino’.

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L’eroico rosso replica a settembre: in scena lo Sforzato

Pare prematuro, ma in Valtellina, a Tirano, hanno già bloccato l’agenda per il weekend del 17-18 Settembre 2016. Protagonista di quel fine settimana sarà il vino più celebre della Valtellina, lo Sfursat. Primo rosso passito secco che si è fregiato della Docg nel 2003, lo Sforzato è frutto di un’attenta selezione di uve nebbiolo appassite sui graticci e di un lungo affinamento in legno e in bottiglia. “Eroico rosso Sforzato wine festival” il nome della manifestazione dedicata al prodotto più rappresentativo del territorio. L’evento sarà promosso già al Vinitaly 2016. Il consorzio turistico ha infatti preparato un pieghevole da distribuire a Verona durante quella che è l’ideale vetrina mondiale per fare promozione. “Per non arrivare ad organizzare all’ultimo momento, questo rappresenta un piccolo primo passo per dire che già ci siamo” ha dichiarato Nino Negri, presidente del consorzio turistico.
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Tecnicismi o racconti emozionali? Le degustazioni si sfidano ad Orcia

Cosa preferiranno i wine lovers alla prossima edizione dell’Orcia Wine Festival di San Quirico d’Orcia? La degustazione tecnica del vino o la degustazione accompagnata dalle narrazioni dei vignaioli sul loro vissuto di vita in cantina e in vigna? Questa è la sfida organizzata dal Comune
di San Quirico d’Orcia, dal Consorzio del vino di Orcia e da Onav per la manifestazione che si terrà tra il 23 e il 25 Aprile 2016. ”Il vino Orcia, – ha spiegato Donatella Cinelli Colombini, presidente del Consorzio del vino Orcia – che nasce in una quarantina di piccole cantine dove quasi tutto è ancora fatto a mano, spesso dal produttore in persona, è il più adatto per giocare fra la novità e la tradizione dello storytelling, una tecnica di comunicazione attualissima eppure molto antica”. Durante le tre giornate della kermesse, come ogni festival che si rispetti, banchi di assaggio, degustazioni guidate, wine class, laboratori, possibilità di acquistare il vino, ma soprattutto da domenica pomeriggio alle 16 il contest tra queste due tipologie di approccio al vino.

Gli organizzatori inoltre, hanno pensato ad altre opportunità per gli eno appassionati. Accanto alle consolidate visite in cantina gli Orcia wine tour, Orcia wine walking e Orcia wine bike. Ognuno potrà scegliere il mezzo per visitare il territorio lungo la strada del vino d’Orcia. ”Il vino più bello del mondo unito al paesaggio più bello offrono un’esperienza totale unica e indimenticabile da vivere nel cuore della Val d’Orcia” parola del sindaco di San Quirico d’ Orcia Valeria Agnelli. La Val d’Orcia è una regione in parte patrimonio Unesco, i suoi vini hanno la denominazione Doc dal 2000. Prodotti con uve Sangiovese e Orcia Sangiovese  vinificate in bianco, rosso, rosato e vin santo. L’Orcia Wine Festival è una buona occasione per visitare il territorio, conoscere questo vino e partecipare alla sfida sull’analisi organolettica del vino tra tecnicismi ed emozioni.

 
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Liberalizzazioni Ue sui nomi dei vitigni: Italia contro Spagna e Portogallo

Durante la tavola rotonda avente oggetto le liberalizzazioni Ue in materia di nomi dei vitigni, tenutasi stamattina a TipicitàPaolo De Castro, coordinatore S&D Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale dell’Europarlamento, intervenuto in video conferenza ha dichiarato: ”Non c’è alcuna spinta da parte dell’Unione Europea a ridurre le tutele del nostro vino, anzi, con il Pacchetto qualità le garanzie si sono rafforzate. Il problema legato alla cosiddetta semplificazione in materia di vitigni identitari è invece commerciale e di interpretazione del regolamento sul legame dei vitigni con il territorio”. ”L’Ue – ha aggiunto De Castro – non sta assolutamente cambiando direzione, il problema è di natura legata a logiche commerciali che vedono da una parte l’Italia e la Francia reclamare lo status quo, dall’altra Paesi come la Spagna e il Portogallo, che già producono vini identitari come ad esempio il Lambrusco, ma che in virtù di questa norma non possono dare il nome del vitigno. La promessa di ritiro dell’atto delegato da parte del Dg Agricoltura, Joost Korte – ha concluso – significa aver vinto una battaglia ma non la guerra”. Alberto Mazzoni, direttore dell’IMT il consorzio che tutela 16 denominazioni marchigiane promotore della tavola rotonda, non esclude, qualora si dovesse perdere questa battaglia la possibilità di identificare una doc ”Marche” proprio per non buttare all’aria un lavoro di promozione e valorizzazione dei vini fatto dalla Regione Marche e dal loro Istituto negli ultimi 15 anni. La coordinatrice del settore vitivinicolo dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Ruenza Santandrea che sta preparando la prossima riunione dell’Intergruppo vino con il commissario Hogan  a Strasburgo dell’ 8 Marzo p.v ha dichiarato: ”La nostra è una battaglia senza se e senza ma. La partita delle liberalizzazioni non è ancora vinta ma ci conforta constatare che se un tempo l’Italia andava in ordine sparso oggi ci siamo compattati, sia in ambito istituzionale che di filiera. Ed è importante, perché le lobby si trovano a tutti i livelli, anche in Europa”. Sul tema è intervenuto anche Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc: ”Oggi per le nostre denominazioni è in corso una battaglia epocale a Bruxelles. Occorre far capire all’Europa che per l’Italia ci sono delle esigenze e delle storie di cui tener conto. Gli stessi accordi bilaterali con gli Stati Uniti hanno mostrato dei meccanismi difficili. Oggi la regola del trade mark non è la soluzione a cui puntiamo, miriamo piuttosto al riconoscimento pubblico della denominazione e non alla registrazione privata”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Cagiano de Azevedo, direttore generale di Federvini che sostiene che non sia creando nuove indicazioni geografiche che aumenti la tutela. La via dei marchi è costosissima, occorre cominciare a ragionare sull’identità del vino italiano e sulla cultura dei nostri territori. La difesa del made in Italy, anche nel settore del vino riveste una importanza fondamentale anche per Domenico Mastrogiovanni, funzionario del Dipartimento Sviluppo agroalimentare e territorio della Confederazione italiana agricoltori. ”Dobbiamo recuperare la capacità di fare lobby dentro il sistema della Commissione Ue per rappresentare le nostre istanze”. Per Giulio Somma invece, responsabile comunicazione Unione Italiana Vini ci sono anche altri problemi: ”Nel documento sulle liberalizzazioni, oltre al tema dei vitigni, c’è un passaggio ancora più insidioso che non è stato evidenziato. Mi riferisco al ”marketing standard” che avrebbe voluto far passare in nome della semplificazione e della normalizzazione lo smembramento del regolamento sull’etichettatura del vino e uniformarlo a quello degli altri settori agricoli. Un’ipotesi devastante per il nostro settore. Da due anni stiamo lavorando sul Testo Unico del vino per aiutare i produttori a ritrovare in un unico corpus giuridico tutte le norme che riguardano il settore, e mentre noi semplifichiamo, Bruxelles complica”. Anna Casini, vicepresidente e assessore all’Agricoltura della Regione Marche, va ben oltre il concetto di vitigno. La proposta di liberalizzazione rappresenta una vera e propria minaccia commerciale e culturale: ”Forse dovremmo cominciare a pensare a un paniere di vini marchigiani che possa essere riconosciuto come unico e particolare”.
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Cina: boom di iscrizioni alla prima Wine Academy italiana


L’altra faccia della “muraglia”. Non basta all’Italia essere il secondo Paese esportatore di vino nel mondo, con un valore di 5,4 miliardi, per non incontrare difficoltà sul mercato cinese. La maggiore quota di export verso la Cina appartiene alla Francia che detiene il 67% delle esportazioni contro il 10% dell’Italia. Le ragioni di queste difficoltà sono diverse, il vino italiano in Cina è piuttosto sconosciuto, considerato troppo tannico ed acido. Diverse iniziative sono state messe in atto per il 2016 per cercare di invertire la rotta. Dal 2 aprile a Shanghai, la città più aperta alla cultura occidentale e al vino europeo aprirà la prima Wine Academy che offrirà corsi per Wine Lovers e per Wine Professionals dedicati interamente al vino italiano. I corsi saranno tenuti da Sam Chen, sommelier certificato WSET, speaker per diversi eventi sul vino italiano e ambasciatore di diverse cantine italiane. Wine Academy, progetto curato dall’azienda fiorentina Business Strategies, leader nei percorsi di sviluppo delle pmi su mercati esteri che assiste oltre 400 imprese del made in Italy del vino, sarà patrocinato da Ismea.

L’interesse nei confronti dei corsi, sold out già a settembre, è davvero un buon segnale. ”In Cina c’è voglia di vino italiano” ha dichiarato l’amministratore delegato di Business Strategies. ”Per intercettare questo interesse ci vuole una strategia capillare, dalla promozione, alla sperimentazione di modalità di integrazione del vino italiano con la gastronomia cinese e alla conoscenza del mercato cinese”. La società di Firenze, presenterà inoltre a Vinitaly un’indagine sui consumatori cinesi con un focus Nomisma, società che realizza indagini e attività di ricerca economica, sulla fascia 20-35 anni, coetanei dei Millennials americani (i nati tra il 1980 e il 2000). L’incremento del mercato cinese potrebbe andare a beneficio anche del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc che nonostante gli ottimi numeri concentra il 70% dell’export su tre paesi e la Cina non fa parte di questi. Se uno di questi mercati manifestasse problemi sarebbe un grave danno economico. Nel 2015 sono state imbottigliate 356 milioni di bottiglie di Prosecco, +15%, il 72% all’export, differenziare i mercati è un obiettivo del presidente del Consorzio Stefano Zanette.

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Vini al supermercato

Montepulciano d’Abruzzo Dop Niro 2012, Citra

(3 / 5) Medaglia d’oro a Mundus Vini 2012 e medaglia di Bronzo all’International Wine and Spirit Competition, eppure, il Montepulciano d’Abruzzo Dop Niro 2012 di Citra non ci ha convinto del tutto. Vediamo perché ha disatteso le nostre aspettative. Una volta versato nel calice è limpido e poco trasparente. Il colore è rosso rubino leggermente granato all’unghia. Al naso i sentori fanno fatica ad esprimersi. Inizialmente è prevalentemente vinoso, poi evolve alla ciliegia sotto spirito e a note speziate di pepe. Al gusto è molto caldo, un vino dal 13% di gradazione alcolica. Buona l’acidità e la sapidità, ma il tannino non è perfettamente integrato. Gli aromi al palato sono prettamente fruttati, ma a livello retro olfattivo non è particolarmente persistente. Per questo finale corto, per il leggero sbilanciamento verso le componenti dure e per il bouquet non particolare questa bottiglia non ci ha soddisfatto appieno. Certamente ha un ottimo rapporto qualità prezzo, è sicuramente un vino di buona beva, ma a voler essere pignoli non si fa ricordare, resta molto ordinario. Il Montepulciano d’Abruzzo Dop Niro di Citra è un vino a tutto pasto. Si abbina a primi piatti a base di funghi, tartufo o sughi succulenti, ma anche a pietanze a base di carne alla brace e al forno. Ideale con salumi, formaggi stagionati e addirittura con la cioccolata fondente.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Montepulciano. I grappoli,
raccolti
a
mano,
sono
vinificati
tradizionalmente a temperatura
controllata. Dopo la malolattica il vino decanta in acciaio inox e quindi viene affinato in barrique. Citra si trova in Abruzzo, in provincia di Chieti. Dal 1973 è una delle più importanti realtà territoriali che raggruppa nove cantine sociali. La sua bottaia è la più grande del centro Italia ed i suoi vini sono distribuiti in una cinquantina di nazioni su tutti i continenti. E’ possibile trovare un vino Citra anche su alcuni voli di linea.

Prezzo pieno: 4,50 euro
Acquistato presso: Bennet

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