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Christo in Franciacorta, fiumi di spumante in vista per The floating piers. Ma prima le polemiche

Christo divide la Franciacorta. Sarà aperta al pubblico il 18 giugno l’opera degli artisti statunitensi Christo Vladimirov Yavachev e Jeanne-Claude Denat de Guillebon, ma è già polemica nel bresciano. “The floating piers”, questo il nome dell’installazione, consisterà in una passerella galleggiante sul lago d’Iseo, che consentirà di passeggiare sull’acqua, sul tragitto che collega Sulzano a Peschiera Maraglio e Sensole all’isola di San Paolo. Un’occasione da non perdere per il Consorzio Franciacorta, che si strofina le mani in previsione dell’arrivo di migliaia di turisti, non solo dall’Italia. Ma c’è chi non vede di buon occhio l’opera d’arte del duo statunitense. Piovono infatti le critiche sul profilo Facebook del Consorzio Franciacorta, che ha dato risalto alla notizia della prossima apertura dell’installazione. Perplessi soprattutto i residenti della zona, preoccupati per il “caos” che sarà causato dall’afflusso di migliaia di persone lungo le sponde del lago d’Iseo. C’è poi chi critica l’opera d’arte in sé, giudicandola una “mera trovata pubblicitaria”. Chi, invece, se la prende con la politica, per aver concesso le autorizzazioni. I costi di “The floating piers” saranno comunque sostenuti dallo stesso artista e dagli sponsor. “Una installazione che non fa danni, non è permanente, non costa, porta tantissima gente: perché c’è sempre qualche fenomeno che deve criticare tutto a prescindere?”, si chiede un altro residente della zona, evidentemente a favore di Christo. Resta il fatto che per il Consorzio Franciacorta, questa sarà un’ottima occasione per mettere in mostra le tanto rinomate bollicine.

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“Parchi eolici fuorilegge”, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti scrive al ministro Martina

La nascita dei parchi eolici non rispetta l’iter previsto dalla legge. E’ la denuncia della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), che osserva come “negli ultimi anni in varie regioni d’Italia decine di vignaioli e di agricoltori in genere si sono trovati davanti a una notifica di esproprio senza essere stati in alcun modo avvisati e tanto meno interpellati prima dell’avvio del procedimento”. Per questo i Vignaioli Indipendenti hanno scritto al Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina per chiedere un suo interessamento alla vicenda, precisando che la Fivi non è in alcun modo contraria ai parchi eolici e ritiene anzi di grande importanza la ricerca di fonti di energia rinnovabile. Il punto rilevato dai Vignaioli è il rispetto dei tempi di comunicazione dei progetti, che permetterebbero agli interessati di formulare le proprie osservazioni all’attenzione dell’autorità espropriante. “Siamo di fronte – spiega Matilde Poggi, presidente Fivi – a svariati casi di parchi eolici autorizzati senza che venisse interpellato il territorio e senza aver dato opportuna comunicazione dell’avvio dei procedimenti, come gli innumerevoli parchi eolici autorizzati negli ultimi anni dalla Regione Campania”. Agli agricoltori non resta pertanto che appellarsi al Tar, ma anche nel caso in cui fosse accolto il loro ricorso, pur avendo diritto ad un rimborso, si vedrebbero comunque espropriati per anni dei terreni e negata di fatto la possibilità di tornare alle condizioni antecedenti. “Il nostro auspicio – aggiunge Guido Zampaglione, vignaiolo in Calitri (Avellino) e consigliere nazionale Fivi – è che ci sia maggiore attenzione su questa vicenda e un interessamento che riguardi tutti i soggetti coinvolti a vari livelli, come i sindacati e le associazioni di categoria”.
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Vini al supermercato

Lambrusco Rosè Lini 910, Lini Oreste e figli Srl

(5 / 5) Non può che attirare l’attenzione un’etichetta così curiosa sullo scaffale del supermercato. Obiettivo centrato nella forma e soprattutto nella sostanza quello della cantina Lini 910, con il suo Lambrusco Rosè.

Un prodotto fresco e moderno, adatto a un utilizzo quotidiano, eppure allo stesso tempo tutt’altro che convenzionale. Vino da tavola sì, insomma, ma con una marcia (o due) in più. Ottimo anche nel rapporto qualità prezzo.

LA DEGUSTAZIONE
Il Lambrusco Rosè Lini910 sorprende, di fatto, non appena versato nel calice. Prima operazione: dimenticarsi la “spuma” corposa di certi conventional Lambrusco, per fare spazio a una più volatile ed evanescente, che sparisce in fretta.

Mentre sotto prende corpo quello che pare l’incrocio, sulla tavolozza di un pittore, tra un rosa cerasuolo e le tinte tipiche del sidro di mela. Ed è proprio alla mela il richiamo più marcato che giunge al naso. Polpa di mela matura, unita a sentori di amarena e fiori di rosa. Speculare la percezione al palato, che anticipa un finale acidulo e rinfrescante.

Il Lambrusco Rosè Lini 910 accompagna la tavola di tutti i giorni e, più pretenziosamente, piatti a base di pesce o carni bianche, nonché pietanze a base di verdure cotte. Da provare con i primi della tradizione emiliana, come le lasagne alla Bolognese.

LA VINIFICAZIONE
Si tratta del blend tra uve Salamino (80%) e Sorbara (20%), vinificate mediante breve contatto con le bucce, sino a ottenere la tonalità voluta. La rifermentazione avviene in autoclave, per un periodo di 3 mesi, a temperatura controllata. Un procedimento utile a ottenere una “bollicina fine, migliorandone la digeribilità”.

Un Lambrusco, insomma, trattato alla stregua del Prosecco da una cantina, la Lini Oreste e figli Srl, sorta a Correggio (Reggio Emilia) nel 1910 e ancora oggi sulla cresta dell’onda, grazie a un profondo percorso di restyling del marchio e delle caratteristiche di un Lambrusco alla portata del consumatore moderno. Un vero e proprio unconventional Lambrusco.

Prezzo: 3,95 euro
Acquistato presso: Conad

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Vini al supermercato

Bordeaux Réserve 2013, Barton & Guestier 1725

(3 / 5)E’ la regione vinicola più famosa al mondo che finisce con un suo “pezzo” sugli scaffali del supermercato. Parliamo del Bordeaux Réserve 2013 della storica Barton & Guestier 1725. Non certamente un “pezzo” da novanta, che comunque offre al consumatore l’opportunità di accostarsi (a buon prezzo) ai vini che hanno contribuito a rendere grande la Francia nel mondo. Il Bordeaux Réserve 2013 Barton & Guestier 1725 è un’Appellation Bordeaux Controlée. Nel calice si presenta di un rosso profondo, impenetrabile. Al naso evidenzia note suadenti di piccoli frutti a bacca rossa, amarena e fragoline di bosco, in un contorno di vaniglia conferito dall’affinamento in legno. Al palato è nuovamente fruttato e minerale, sapido e di corpo. Rispunta la nota di vaniglia, che contribuisce a un quadro di buona morbidezza, con una punta speziata che non guasta. Sufficientemente persistente il finale, così come l’eleganza conferita dal blend tra Cabernet Sauvignon e Merlot. Perfetto l’abbinamento con piatti a base di carni rosse e bianche, La casa produttrice Barton & Guestier, fondata nel 1725 dall’irlandese Thomas Barton e dal francese Daniel Guestier, è la più antica azienda in attività sul territorio di Bordeaux. I vini prodotti cominciarono a essere esportati principalmente in Irlanda, Inghilterra, Olanda e Stati Uniti. Oggi, la Barton & Guestier è invece un colosso che esporta dalla Francia in oltre 130 Paesi di tutto il mondo.

Prezzo pieno: 6,49 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Oltrepò Pavese protagonista al GoWine italian tour

Nuovi scenari di mercato per vini e spumanti dell’Oltrepò Pavese, ma anche per la prima zona vitivinicola di Lombardia che rivendica “il proprio valore aggiunto, con 13500 ettari a vigneto e una produzione che rappresenta il 60% dell’intera regione”. Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese lancia “GoWine Italian Tour”, per portare all’attenzione di professionisti, esercenti e appassionati al mondo del vino delle grandi città italiane le migliori etichette del territorio pavese. Si partirà da Genova, Milano,
Torino e Roma. Il primo evento della serie si svolgerà mercoledì 24 febbraio allo StarHotel President del capoluogo ligure. Sarà prevista un’apertura dei banchi d’assaggio ad accesso riservato agli operatori di settore, dopodiché le porte si apriranno a stampa e appassionati della rete GoWine. “Certi del fatto che alla nostra zona vitivinicola occorra rafforzare la rete vendita e la qualità percepita dei suoi vini e spumanti – spiega Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio Tutela vini Oltrepò pavese – abbiamo deciso di promuovere una serie di degustazioni soprattutto orientate al mondo del business”. In virtù di questa intesa, nel corso del 2016, il Consorzio darà alle aziende l’opportunità di essere protagoniste con i rispettivi marchi aziendali e le loro etichette in contesti importanti.

IL PROGRAMMA
“Gli appuntamenti – spiega Bottiroli – saranno promossi e divulgati capillarmente per favorire un miglior posizionamento delle referenze Oltrepò Pavese nel canale hotel, ristoranti e catering, oltre che sugli scaffali delle principali enoteche. Inoltre l’obiettivo è quello di raccontare a professionisti, ‘winelovers’ e agli opinion leader italiani un territorio, la sua identità e la sua storia”. Il partner sarà l’associazione Go Wine, nata nel 2001 da un’idea semplice, che prende ispirazione da come è cambiata, e velocemente, l’immagine del vino. Vino non solo inteso come prodotto di qualità ed espressione della cultura agroalimentare di un Paese, ma come prodotto che “mobilita e che fa viaggiare”.

Go Wine guarda “al consumatore di qualità che ama viaggiare per il vino, per conoscere i luoghi della produzione e si propone di costruire un progetto che gradualmente possa coinvolgerlo e stimolarlo”. “Il socio Go Wine – precisa Bottiroli – è sempre un professionista o un appassionato altamente preparato che promuove e pratica il turismo del vino ed è consapevole del particolare rapporto che lega ogni vino al suo territorio, con quei caratteri di tipicità ed unicità che sono alla base delle motivazioni del turismo del vino”.

LA RIBALTA NAZIONALE
Un Oltrepò che guarda dunque al futuro, cercando di levarsi di dosso l’etichetta di zona di produzione di vini di largo consumo. Un cammino lungo, che a Roma ha affondato nei giorni scorsi radici ben solide: il premio per il Miglior Spumante Metodo Charmat d’Italia nella guida “I Migliori vini italiani 2016” del noto critico, sommelier e giornalista Luca Maroni se l’è aggiudicato di fatto il Pinot Nero Spumante Extra Dry dell’azienda Vanzini di San Damiano al Colle. L’ennesima conferma del buon operato di un’azienda che opera dal 1890 nel territorio dell’Oltrepò Pavese, che per l’ottavo anno consecutivo si aggiudica il prestigioso riconoscimento.

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Approfondimenti

Gdo e Horeca, nemici per la pelle nel nome del vino?

Oggi vi racconto una storia, purtroppo vera. Stavo imboccando l’Autostrada, ieri mattina, dirigendomi da Milano verso il Piemonte. “Caro Bortone…”. E’ l’incipit, falsamente cordiale, di un messaggio ricevuto su Facebook da un operatore Horeca, conosciuto nei mesi scorsi in occasione di una manifestazione organizzata in un hotel milanese dall’associazione Go Wine.

“Quando pubblico (su Facebook, ndr) recensioni o fotografie di vini presso i miei clienti è pacifico che sono io che li propongo e loro ce l’hanno in carta. Ho clienti e produttori che, oltre al sottoscritto e al suo entourage, sono allergici alla Gdo. La tengo negli amici, ma cerchi di trattenersi dal proporre vini da Gdo e soprattutto in contesti legati a ristoranti citati in tag”.

Facciamo un passo indietro, sorvolando sulle infantili implicazioni del messaggio. Nei giorni scorsi, questo operatore Horeca (che, ricordiamo, è l’acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café e riguarda la distribuzione diretta di prodotti in contesti alternativi alla grande distribuzione organizzata, come hotel, ristoranti, catering e bar-caffetterie) pubblica la foto di un vino dell’Oltrepò Pavese, in un ristorante.

Oltre al “like”, decido ci commentare, suggerendo al soggetto in questione di provare il Bonarda fermo dell’Oltrepò Pavese dell’azienda agricola vitivinicola Bagnoli, una perla in un territorio pressoché vocato ai grandi numeri. Tale produttore non opera nella Gdo, bensì in contesti di alta ristorazione e gastronomia.

Volevo suggerire, in sostanza, un assaggio di qualità. Vinialsupermercato.it, del resto, si occupa anche di questo, grazie alla sezione “Vigne d’Italia”: oltre alle recensioni dei vini “da supermercato”, nostro “core business“, siamo sempre a caccia di realtà che – a prescindere dalla distribuzione o meno nei canali gdo – offrano prodotti da non perdersi.

IL BONARDA DELLA DISCORDIA

Al di là della scarsa vena social, è la “violenza” del contenuto del messaggio ricevuto dall’operatore Horeca che mi ha lasciato di stucco.  Portandomi oggi a questa riflessione: Gdo e Horeca sono davvero così lontane?

O, per lo meno: lo sono ancora? Si può davvero “essere allergici” alla Gdo, lavorando in Horeca? Il mondo del vino, fondato a nostro avviso sulla condivisione dei saperi e del gusto, può ammettere tali prese di posizione meramente fondate su un discorso commerciale e di business?

Personalmente ritengo di avere una risposta a queste domande. Se ancora oggi c’è gente “allergica” alla Gdo non è colpa degli antistaminici poco efficaci in commercio. E a proposito di farmacie, credo che certi operatori Horeca, se potessero, si batterebbero per l’eliminazione delle cantine della Gdo, un po’ come la lobby delle case farmaceutiche si sta battendo per i farmaci di fascia C nei supermercati.

Ma si tratta di una minoranza: perché chi ha polso e coscienza del proprio ruolo in Horeca sa benissimo – come ci ha confermato la totalità degli operatori sin ora intervistati – che i due “canali” operano in parallelo, come binari che non si incontrano mai, pur andando (per certi versi) nella stessa direzione: il vino. Insomma: se qualche operatore Horeca starnutisce ancora, nel 2016, al cospetto della Gdo, è un problema tutto suo. Sinceri auguri, di pronta guarigione.

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Vini al supermercato

Lacryma Christi del Vesuvio bianco Doc, Mastroberardino

(4 / 5) Leggenda narra che dal pianto di Dio nacque la vite dalla cenere, sul vulcano Vesuvio. E vogliamo crederci, noi che il Lacryma Christi bianco di Mastroberardino l’abbiamo degustato fino all’ultima goccia. Retaggio importante quello che si porta sulle spalle questa Doc: nel vedere il Golfo di Napoli, unico lembo di cielo sottratto a Lucifero, Dio pianse. E dalle sue lacrime nacque la vite. Un vino pretenziosamente celeste, dunque, quello che finisce oggi sotto la nostra lente di ingrandimento, per la vendemmia 2014. Eppure così legato alla terra, a Madre Natura. A un suolo vulcanico che si esprime sotto forma liquida, nel Lacryma Christi del Vesuvio bianco Doc Mastroberardino, in tutta la sua mineralità.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice scivola d’un giallo paglierino tendente al dorato. Al naso arriva travestito di pesca matura, pera, agrumi, con speziatura che ricorda la cannella e la liquirizia. Al palato è suadente, come chi ti racconta una storia antica di cui vorresti conoscere in fretta il finale. In un contorno minerale delizioso, giustamente sapido, parla nuovamente di pesche, pere e buccia d’agrumi. Si dilunga, quasi ammandorlandosi. Sarebbe un peccato “sprecarlo” con l’antipasto, a meno che questo non sia d’alto livello. Ottimo piuttosto con piatti di pesce e crostacei, sia primi che secondi importanti e gustosi, perché capace con la sua freschezza e il suo corpo di reggerli alla perfezione. A una temperatura che non dovrebbe superare i 13 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Lacyma Christi del Vesuvio bianco Doc Mastroberardino è ottenuto mediante vinificazione di sole uve Coda di Volpe. I vigneti – di età media di 15 anni – sono esposti principalmente a Sud-Est, a un’altitudine di 170 metri sul livello del mare, con una densità d’impianto di 2.500 ceppi circa per ettaro, allevati a raggiera e spalliera con potatura guyot. La vinificazione è classica in bianco, in serbatoi di acciaio a temperatura controllata. Segue un periodo di affinamento in bottiglia per almeno un mese, prima della commercializzazione. Una storia di qualità, quella della famiglia Matroberardino, che affonda le sue radici oltre due secoli fa, in Irpinia, per la precisione nel Comune di Atripalda, Avellino.

Prezzo pieno: 12,49
Acquistato presso: Carrefour

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Pilu Niuru classic Salento Igp, Taurosso

(4 / 5) Non abbiamo dubbi: Pilu Niuru Classic Salento Igp sarebbe il vino preferito di Cetto La Qualunque, il personaggio portato in televisione e al cinema dal grande Antonio Albanese. Un vino che racconta la “voglia di pilu cronica che risale al tardo Medioevo”, nel suo essere “qualunquemente” accattivante sullo scaffale del supermercato dal quale lo “preleviamo”, per approfondirne la conoscenza. Senza veli. Ovvero stappandolo, per intenderci. La premessa è che Pilu Niuru è un Negroamaro del Salento, ma non di quelli scialbi. Celebra nel nome “la sensuale femminilità tipica delle donne salentine dagli ammalianti occhi e lunghi capelli neri”, come spiega la stessa casa produttrice Taurosso di via Taranto 76, Campi Salentina, Lecce. Vestito solo di un calice trasparente, Pilu Niuru si mostra come mamma l’ha fatto: d’un rosso rubino carico, acceso. Sarà la timidezza? Noi, voraci, non vediamo l’ora di assaggiarlo. Ma prima ci annusiamo un po’. Pilu Niuru emana prugna, mora, liquirizia e cuoio. Non dev’essere una preda facile. La mordiamo. E in bocca è calda, speziata, di nuovo sa di more e, soprattutto, di piccoli frutti a bacca rossa. Tira fuori le unghie e le conficca nel palato quando estrae un tannino vivo, suadente. Forse un po’ troppa verve e allora lo allontaniamo. La “sensuale femminilità salentina” va presa a sorsi meditati, altrimenti rischia di dare alla testa. Anche perché la temperatura sale, sorso dopo sorso. E Pilu Niuru li fa sentire tutti i suoi 13,5 gradi di alcol in volume. Pilu Niuru Salento Igp Taurosso è il compagno di primi piatti della tradizione culinaria salentina, ma è in grado – per struttura e corpo – di essere abbinato con piatti di carne arrosto e formaggi di media stagionatura. E’ chiaro come si tratti di uno dei fiori all’occhiello del marketing della casa leccese Taurosso, che gli ha dedicato addirittura una pagina Facebook ad hoc, a dire la verità poco aggiornata. Si sa, del resto: per certe cose, basta il nome.

Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Etna Bianco Doc 2014 Le Sabbie dell’Etna, Firriato Winery

(5 / 5)La finezza e i profumi del Carricante, unita alla potenza strutturale del Cataratto. C’è riuscita Firriato a produrre un vino “di territorio” con l’Etna Bianco Doc 2014 Le Sabbia dell’Etna. Un vino bianco serio, impegnato, elegante. E allo stesso tempo divertente, sorprendente, gustoso. Quasi da mordere. Un po’ come racchiudere in bottiglia lo spirito tumultuoso e volatile di un vulcano, per godersi lo spettacolo che sa offrire Madre Natura. Etna Bianco Doc 2014 Le Sabbie dell’Etna Firriato scende scorrevole e cristallino in un calice che si tinge d’un giallo paglierino chiaro, con riflessi verdognoli. Al naso è intenso, schietto, fine. Di quella complessità fatta dall’unione ordinata delle piccole cose: fiori di mandorla, ginestra e mimosa, frutti a polpa bianca come la pera e la pesca, oltre a immancabili richiami agli agrumi di Sicilia. Ricorda il mare e, forse per questo, l’impronta tipicamente salina che sarà il punto di forza al palato è già ben evidente, tra i profumi di frutta matura. In bocca, Sabbie dell’Etna Firriato si scopre vino di corpo, caldo, rotondo, tanto fresco da tendere al “vivo”, splendidamente sapido e di un equilibrio salino in perfetta armonia con le note di frutta che solo certi vini blend di Sicilia sanno regalare. Intenso, fine e persistente anche una volta deglutito. L’abbinamento migliore? Quello con l’estate. E con tutto ciò che parli di mare. A una temperatura di 10-12 gradi. Ottimo, insomma, il rapporto qualità prezzo.

LA VINIFICAZIONE
L’Etna Bianco Doc Le Sabbie dell’Etna 2014 Firriato è il frutto della vinificazione delle uve Carricante e Cataratto prodotte nel Comune di Castiglione di Sicilia, in provincia di Catania. Il terreno è di tipo sabbioso, di matrice vulcanica, con elevata capacità di drenare le acque. L’esposizione dei vigneti è sul versante nord orientale dell’Etna, a un’altezza compresa tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare, con allevamento a controspalliera. Poco più di quattromila piante per ettaro, per una resa di circa 7 mila kg. La vendemmia manuale ha inizio nella seconda decade del mese di ottobre. La pressatura delle uve è soffice e la fermentazione ha luogo a una temperatura controllata, tra i 16 i 18 gradi, per 15 giorni. Importanti per gli aromi e i profumi conferiti al vino i tre mesi di affinamento sulle fecce nobili, in serbatoi di acciaio inox con rimontaggi giornalieri. Segue una fase di affinamento in bottiglia, della durata di 2 mesi, prima della commercializzazione.

Prezzo pieno: 8,99 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Gutturnio Doc Classico Riserva 2010 Costa Pancini, vitivinicola Montesissa

(4 / 5) Ottenuto come di consueto dalla vinificazione delle uve Barbera e Bonarda dei Colli Piacentini, il Gutturnio Doc Classico Riserva 2010 Costa Pancini dell’azienda agricola vitivinicola Francesco Montesissa non ha nulla a che vedere col ‘solito’ Gutturnio piacentino. Si tratta infatti di un vino fermo, senza la classica ‘spuma’ che contraddistingue il più noto tra i vini Doc di Piacenza, che a Carpaneto Piacentino ha di fatto un riconosciuto quartier generale.

LA DEGUSTAZIONE
Un vino corposo, di struttura, capace di esaltare piattianche elaborati. Nel calice, il Gutturnio Doc Classico Riserva 2010 Costa Pancini dell’agricola vitivinicola Montesissa si presenta di un rosso rubino con unghia granata, a dimostrazione di una perfetta conservazione.

Al naso frutti rossi, tra cui spicca il lampone, e frutti a bacca nera come le more. Ma anche richiami alla confettura degli stessi frutti, in un contorno evidente di vaniglia (e liquirizia) dovuto all’affinamento in legno. E sullo sfondo sentori di alloro e rosmarino, che caratterizzano ulteriormente un naso tutt’altro che banale.

In bocca il Gutturnio Doc Classico Riserva 2010 Costa Pancini è principalmente sapido in ingresso. Diviene poi fruttato (ecco ancora more e lamponi), morbido, giustamente tannico e asciutto, nonché caldo. Ed è il tannino a dimostrare che si tratti del momento giusto per stappare la bottiglia, per una vendemmia – la 2010 – che continuerà a conservare le proprie caratteristiche gusto-olfattive ancora per qualche mese, prima di iniziare un irrimediabile quanto fisiologico “declino”. Perfetto l’abbinamento di questo Gutturnio con piatti importanti di carne, dai primi ai secondi, compresa la selvaggina. Ottimo anche con formaggi stagionati: provatelo col Grana Padano, come suggerisce la stessa casa produttrice. Non fate però l’errore (imperdonabile) di servire questo Gutturnio Riserva alla stregua dei Gutturnio frizzanti: non va messo in frigorifero, per non compromettere la beva a causa dell’astringenza del tannino. Va piuttosto consumato a una temperatura di 18-20 gradi. Possibilmente stappandolo con almeno mezzora di anticipo.

LA VINIFICAZIONE
La tecnica di vinificazione del Gutturnio Doc Classico Riserva 2010 Costa Pancini prevede un utilizzo del 60% di uve Barbera e del 40% di uve Bonarda. La predominanza del primo è netta e serve a caratterizzare la beva, rendendola più austera ed elegante. La fermentazione delle uve avviene in acciaio, con macerazione sulle bucce della durata massima di 14 giorni. Seguono 9 mesi di maturazione e affinamento in barrique di rovere e altri 5 in bottiglia, prima della commercializzazione. Il Gutturnio Doc Classico Riserva è il prodotto “top” di gamma (almeno per la grande distribuzione organizzata) dell’azienda vitivinicola Montesissa, che da cinque generazioni opera nel mondo del vino commercializzando varietà autoctone.

Prezzo pieno: 8,49
Acquistato presso: Il Gigante

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Toscana, il Consorzio Cortona Doc cresce e si presenta al Buy Wine

Sarà presente anche il Consorzio Vini Cortona alla quarta edizione di Buy Wine, il workshop B2B, organizzato dall’Agenzia regionale Toscana Promozione per favorire l’incontro tra la Toscana del vino e il trade internazionale, che si tiene ogni anno a febbraio. Il 13 febbraio, presso lo Star Hotel Michelangelo di Firenze, undici aziende della Cortona Doc avranno modo di incontrare da vicino i 240 buyer stranieri tra importatori, distributori, Gdo e
HoReCa, provenienti da mercati storici, ma anche da piazze nuove, per un totale di 36 paesi rappresentati. Tra questi un ruolo importante è giocato da Stati Uniti (44), Canada (39), Cina (25), Brasile (12), Australia (12), Giappone (11), Danimarca (10), Germania (8), Corea del Sud (7) e Messico (7) che, complessivamente, rappresentano oltre il 72.9% dei buyer internazionali partecipanti. Oltre agli operatori saranno presenti anche circa 150 giornalisti della stampa di settore, anche in questo caso provenienti da tutto il mondo. “Un’occasione importante per una realtà come quella di Cortona – spiega Marco Giannoni, presidente del Consorzio (nella foto sopra) – perché ci permette in una sola occasione di poter presentare la nostra denominazione e il nostro territorio a centinaia di operatori di vari mercati internazionali e proprio promuovere l’internazionalizzazione è uno degli obiettivi di questo consorzio”. A presentare i vini sarà la miglior sommelier d’Italia della Fisar, Anna Cardin, per tutto il giorno di sabato impegnata presso il desk del Consorzio.

UN WORKSHOP NEL TERRITORIO
Dalla giornata di domenica 14 febbraio, 35 operatori in rappresentanza dei principali Paesi del mondo, saranno a Cortona partendo proprio da uno dei simboli della storia del borgo toscano in provincia di Arezzo, il Museo dell’accademia etrusca e della città (Maec). Proprio qui, dopo una visita del museo, potranno degustare i prodotti tipici accompagnati dai vini del territorio nella suggestiva Sala della Roccia. Nel pomeriggio la delegazione sarà divisa in piccoli gruppi che visiteranno alcune aziende vitivinicole. La giornata si concluderà con una cena tradizionale dopo la quale gli operatori avranno modo di soggiornare in alcuni agriturismi di Cortona. Il tour proseguirà il 15 febbraio con la visita ad altre aziende del territorio.

IL NUMERI DEL CORTONA DOC
Il vino a Cortona rappresenta sempre di più un importante indotto economico. Dalla creazione della Cortona Doc le aziende si sono moltiplicate di anno in anno e il settore ha richiamato numerosi investimenti. Attualmente vengono prodotte in media oltre un milione di bottiglie all’anno, mentre il valore economico, con un fatturato medio che supera i 3 milioni di euro. Oltre 500 sono gli addetti ai lavori coinvolti, senza contare l’indotto (tra turismo e aziende artigiane) che rappresenta per questo borgo

toscano. A livello di mercati nel 2015 la bilancia è protesa verso l’estero per il 60% circa. Usa, Nord Europa sono i principali mercati, ma sono in crescita il Canada, Brasile, Cina e Giappone. La restante fetta percentuale va in Italia, Toscana, Lombardia e Lazio in particolare.

IL CONSORZIO CORTONA DOC
Costituito nella primavera del 2000, è il Consorzio che svolge la funzione di controllo e tutela dei vini a Doc Cortona e ne diffonde la conoscenza con un’efficace attività culturale, divulgativa e promozionale. Protegge l’immagine ed il prestigio della denominazione con continui controlli di qualità e intraprende iniziative di carattere culturale tendenti a far conoscere nel mondo Cortona, il suo territorio ed i suoi vini. Attualmente le aziende consociate sono ventinove e rappresentano la quasi totalità dei produttori.

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Locorotondo Dop Terrantica di Puglia, San Martino Coluccivini

(4 / 5) Prendetelo sul serio, perché il nome potrebbe trarre in inganno. E non solo quello: anche il prezzo, che neppure sfiora i 3 euro, rischia di far sembrare Locorotondo Dop prodotto e imbottigliato a Martina Franca (Bari) dalla San Martino Coluccivini, un vino di dubbio valore.

La degustazione convince anche il più ostico a ricredersi. Locorotondo Dop fa parte della linea Terrantica di Puglia dell’azienda San Martino Coluccivini. Il tappo risulta ben conservato e fa presagire, appena tolto, di essere al cospetto di un vino molto fruttato. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2013, non la più fresca dunque. Ma comunque il prezioso nettare conserva le caratteristiche sperate, che richiamano i sentori tipici dei due uvaggi utilizzati per produrre Locorotondo: Verdeca (80%) e Bianco D’Alessano (20%).

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice il vino si presenta di un giallo dorato scarico, con riflessi verdolini. Al naso si sprigionano piacevoli e intensi sentori di datteri, pesca sciroppata, amarena, litchi. Curiosissimo l’impatto con tutti questi profumi, in un contorno floreale fresco che invita all’assaggio. Al palato, Locorotondo Dop 2013 Terrantica di Puglia dell’azienda San Martino Coluccivini si presenta con la stella spavalderia con cui aveva incontrato, poco prima, il naso. Di nuovo sentori spiccatamente fruttati di dattero e pesca, che scendendo in gola si fa più amara, ricordando la percezione tipica del morso ai semi dell’uva: un mix tra l’amarognolo e l’acidulo piacevole, per i richiami erbacei che fanno capolino prima e durante un finale di sufficiente persistenza, decisamente sapido. Tanto da invitare subito al sorso successivo. Un vino leggero, di appena 11,5 gradi, ma capace di reggere il confronto con piatti pesce, crostacei e carni bianche, oltre a poter essere tipicamente utilizzato come aperitivo.

LA VINIFICAZIONE
Che dire? Locorotondo Dop Terrantica di Puglia dell’azienda San Martino Coluccivini non è certamente uno dei vini di tendenza nel nord Italia. Ma restare quasi dimenticato sugli scaffali del supermercato ha fatto certamente bene a una bottiglia che ha guadagnato in “esperienza” e complessità dalla vendemmia 2013. L’area di produzione di questo vino è la Valle d’Itria e i comuni limitrofi. La spremitura delle uve Verdeca e Bianco D’Alessano avviene in maniera soffice, con vinificazione in bianco e criomacerazione per conservarne al meglio gli aromi. La fermentazione avviene a temperatura controllata, tra i 18 e i 20 gradi. Prima dell’imbottigliamento, Locorotondo Dop matura in vasche d’acciaio. Guidata dall’enologo Francesco Colucci in collaborazione col figlio Piercesare, la cantina San Martino Coluccivini si è rinnovata tecnologicamente da oltre 20 anni, a distanza di quasi un secolo dalla sua fondazione in via Locorotondo, a Martina Franca.

Prezzo pieno: 2,74 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I

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Vini al supermercato

San Valentino, che vino comprare? Dieci bottiglie al supermercato prodotte con “blend”

Cos’è l’amore, se non una miscela di elementi che regalano un’unione, una fusione perfetta? Sappiate che anche le uve… s’innamorano. Creando quello che, in gergo tecnico, viene definito blend. Ovvero l’utilizzo di differenti uvaggi, per ottenere il taglio desiderato. E dare vita a un vino che non è nient’altro che la perfetta “fusione” tra uve differenti. Per il giorno di San Valentino, abbiamo deciso di suggerirvi dieci vini acquistabili al supermercato capaci di rendere ancora più speciale
la ricorrenza, anche a tavola. Per una scelta più ampia, potete invece fare riferimento alla lista dei migliori vini degustati da vinialsupermercato.it nel 2015.

VINO ROSSO:
1) Amarone 2012 Pagus Bisano
2) Villa Antinori Rosso Toscana Igt 2013, Antinori
3) AsiOtus, vino varietale Mgm Cuneo

Un Amarone, dunque: vino veneto per eccellenza, ottenuto mediante una vinificazione che lo rende di per sé uno dei vini più affascinanti al mondo. E’ il frutto dell’amore tra uve Corvina e Rondinella. Poi un rosso toscano d’eccellenza, prodotto da uno dei migliori marchi del vino made in Italy, Antinori: frutto dell’incontro tra Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. E, infine, quello che potremmo definire l’outsider, la sorpresa: AsiOtus, o Asio Otus, vino varietale prodotto nella zona di Cuneo, risultato accattivante dell’unione perfetta tra uvaggi Cabernet, Merlot e Syrah.

VINO BIANCO:
1) Langhe Bianco Divin Natura, Teo Costa
2) Gewurztraminer Leda, Aneri
3) Vignes de Nicole L’Assemblage Blanc, Paul Mas Domaines

Vogliamo suggerirvi un bianco “naturale”, capace di mostrare carattere, ma senza causare il mal di testa: Langhe Bianco Divin Natura di Teo Costa è il bianco che fa la caso degli intolleranti ai solfiti, prodotto in Piemonte senza aggiunta di solforosa durante la vinificazione. E’ il frutto dell’amore tra uve Sauvignon Blanc e Roero Arneis. Ecco poi l’immancabile Gewurztraminer, più difficile a dirsi che a bersi: vino di grande struttura, prodotto dall’ottima casa Aneri di Verona e imbottigliato nei pressi di Bolzano, in Alto Adige. Gradazione alcolica sostenuta, carattere e aromaticità da vendere, è il risultato dell’unione tra uve Gewurztraminer, Riesling, Sauvignon, con l’aggiunta di un 5% di un uvaggio che resta “segreto”. Ci spostiamo infine in Francia per il sorprendente Assemblage Blanc di Paul Mas Domaines: uve Sauvignon Blanc, Picpoul, Viognier e Chardonnay in perfetto equilibrio. Innamorate, insomma.

BOLLICINE:
1) Valdobbiadene Superiore Cartizze Docg, Col Del Sol, Drusian
2) Do Case Asolo Prosecco Docg, Ricci (magnum)

Immancabile lo spumante per San Valentino. E allora abbiamo scelto due bollicine venete, differenti Prosecco ottenuti dall’amore tra uve Glera e altre varietà autoctone locali. Cin Cin! Ma a tal proposito vogliamo anche segnalarvi due prodotti che abbiamo di recente toccato “con mano”, nel meraviglioso regno della Franciacorta. Al supermercato potete trovare la linea Cuvée imperiale di Berlucchi. Vi suggeriamo Vintage Millesimato e Max Rosè.

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“Vendemmia 2015 da record? Solo per l’industria del vino”. La denuncia di Francesco Paolo Valentini

Francesco Paolo Valentini non è mai stato uno di quelli che, per dirla in gergo, la mandano a dire. Produttore di successo di vini e di olio nel suo Abruzzo, è stato ospite nei giorni scorsi della trasmissione Tg2 Insieme. Un’occasione imperdibile per cantarle manco fosse a San Remo. Nel mirino del vignaiolo, prima di tutto anche agricoltore, le pompose “dichiarazioni giornalistiche” in base alle quali, quella del 2015, è stata una vendemmia straordinaria.

“Bisogna sfatare il mito dell’annata siccitosa come garanzia di elevata gradazione alcolica del vino – ha dichiarato Valentini – perché non è vero: sussiste piuttosto una fittizia gradazione zuccherina, dovuta a disidratazione dell’acino, ma in realtà non c’è evoluzione, perché qualunque organismo vivente, vegetale e animale, per eccesso di caldo blocca la propria crescita”.

A tal proposito, Valentini ha eseguito uno studio delle vendemmie delle varietà Trebbiamo d’Abruzzo e Montepulciano della propria azienda, dal 1817 al 2007. “Fino agli anni Settanta del Novecento – ha spiegato Valentini – la vendemmia avveniva durante la prima metà del mese di ottobre. Poi un crollo, che corrisponde all’aumento dell’industrializzazione con ricadute dirette, evidentemente, sull’effetto serra”.

Nel 2007 abbiamo addirittura vendemmiato le nostre varietà il 31 agosto, perché a quella data avevano raggiunto la giusta maturazione zuccherina . Il problema è che la maturazione dell’uva non è solo quella zuccherina”.

C’è anche quella fenolica, importantissima, perché riguarda il corretto sviluppo nell’acino di aromi, colori e profumi che saranno poi trasferiti al vino. “Se noi andiamo ad analizzare i vinaccioli, cioè i semini dell’uva che ha la corretta maturazione zuccherina – ha evidenziato Valentini – vediamo che questi sono verdi, cioè non evidenziano più una corretta maturazione fenolica. Non hanno una colorazione marrone, cioè non c’è un processo di lignificazione. La stessa polpa, che aderisce ai vinaccioli, è aspra. E la materia colorante, le materie polifenoliche, sono instabili, cioè non mature”.

A RISCHIO LE PRODUZIONI ARTIGIANALI

Ma le anomalie non si fermerebbero qui. “Abbiamo assistito a un crollo di parametri come quello dell’acido malico – ha aggiunto il viticoltore – e i Ph tendono ad alzarsi. Durante la fermentazione tumultuosa, ovvero la fermentazione alcolica, chi non utilizza lieviti estranei come l’artigiano, nota che i lieviti hanno subito una trasformazione, ovvero hanno maggiore virulenza: le temperature di fermentazione spontanea, cioè non controllata, risultano particolarmente elevate. Noi artigiani siamo un avamposto e notiamo tutto”.

Per questo, secondo Francesco Paolo Valentini, “gli agricoltori dovrebbero avere il coraggio di raccontare le cose come stanno al posto di seguitare a raccontarci tutti gli anni la solita storiella dell’annata migliore di sempre“.

“Ci sono giornalisti con proprietà chiaroveggenti – ha denunciato Valentini – che sembrano predire l’esito di una vendemmia due o tre mesi prima che venga portata a termine. Nella vita ci sono priorità e l’utile non è solo quello economico. Abbiamo il dovere di informare l’opinione pubblica su quello che sta accadendo, in modo che si possano prendere provvedimenti“.

Sempre secondo Valentini, il danno riguarderebbe direttamente solo le piccole imprese vitivinicole. “Riuscire a gestire i cambiamenti climatici è difficile per noi, cerchiamo piuttosto di assecondare quello che accade, anche perché le nostre sono produzioni artigianali ed è fondamentale mantenere il pieno rispetto della materia prima, al contrario delle lavorazioni industriali che interferiscono con la materia prima. Riuscirci è sempre più difficile e sempre più improbabile e, alla lunga, non sappiamo come andrà a finire”.

“Nella lavorazione industriale – ha evidenziato Valentini – si riesce a sopperire a maturazioni che non sono complete, in un modo o nell’altro. Nella lavorazione artigianale questo non può avvenire”. Insomma, per Valentini la vendemmia 2015 sarà sì straordinaria. Ma solo per gli enologi delle grandi cantine.

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Il vino è “femmina”. Ecco la Festa delle Donne del Vino

Sabato 5 marzo, in oltre venti cantine e luoghi del vino di tutta la Toscana, si celebra per la prima volta in Italia la Festa delle Donne del Vino. Un appuntamento unico nel suo genere, nato da un’idea di Donatella Cinelli Colombini, neo presidente nazionale dell’Associazione Donne del Vino, la realtà che raggruppa produttrici, enologhe, enotecarie, giornaliste, esperte e sommelier, legate al mondo del vino al femminile, e promosso dalla delegazione toscana. “Un appuntamento che mancava e che abbiamo deciso di far nascere proprio in Toscana, patria del vino al femminile – spiega la delegata toscana delle Donne del Vino, Antonella D’Isanto – con l’obiettivo di inaugurare un percorso che renda la donna sempre più protagonista anche nella scelta e nell’abbinamento di questo prodotto, fino a oggi ancora troppo declinato al maschile”.

“IL VINO IN TAVOLA”
Le aziende aderenti promuoveranno nell’arco della giornata eventi di diversa natura. Si va dal corso di bon ton a tavola, all’abbinamento vino e cibo (rigorosamente fatto tra chef, produttrice e sommelier donna), passando per veri e propri corsi su come si comunica il vino alle donne e tanto altro ancora. Oltre venti cantine condotte da donne daranno vita a un evento primo in Italia che insieme vuol celebrare l’importanza della donna nella società, ma ancor più in un settore, quello del vino, che ancora oggi è visto dal punto di vista dell’uomo. “Un’iniziativa che vale anche una scommessa – dice la Presidente delle Donne del Vino, Donatella Cinelli Colombini – ma che potrà essere un punto di riferimento nel tempo per sviluppare un cambiamento di approccio delle consumatrici di vino che oggi sono sempre in numero maggiore e sempre più esigenti”.  L’elenco delle cantine partecipanti e i relativi programmi sarà disponibile su www.festadonnedelvino.it 

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Enovitis, successo a Verona per la Fiera delle tecnologie per la viticoltura. Ed è boom per le “Università della terra”

Ha chiuso con un grande successo di pubblico la prima edizione di Enovitis, l’evento organizzato da Unione Italiana Vini e Veronafiere presso la Fieragricola di Verona. Il programma di promozione delle tecnologie per la viticoltura ha infatti catalizzato l’attenzione degli operatori della filiera che in gran numero hanno partecipato ai diversi eventi in programma
dal 3 al 6 febbraio scorsi. “Innovazione” e “aggiornamento professionale” sono state le parole d’ordine dei workshop tecnico-scientifici e dei seminari Tergeo, che hanno puntato i riflettori su tematiche di grande attualità “con lo scopo di rispondere in modo concreto alle esigenze della viticoltura e olivicoltura moderna”. Grande affluenza anche al Sensory Bar curato Unione Italiana Vini dove, attraverso degustazioni guidate e sessioni formative di analisi sensoriali, è stata posta all’attenzione del pubblico un’ampia selezione di vini e olii italiani. All’appuntamento scaligero il Sensory Bar si è presentato con la nuova brand identity, volta a sottolineare il suo ruolo attivo quale attività originale di servizio nella promozione del food & beverage. “A Fieragricola, con Enovitis, è nato un nuovo ‘luogo’ – ha commentato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – dove l’esposizione della migliore tecnologia di settore ha trovato il suo naturale completamento. La partnership con Unione Italiana Vini per identificare nel brand Enovitis un punto di riferimento europeo per la promozione delle tecnologie per la viticoltura ha centrato l’obiettivo”.

PROSSIMA TAPPA: LA PUGLIA
Il prossimo appuntamento in questa direzione sarà la prossima edizione di “Enovitis in campo“, che si svolgerà in Puglia, a Corato, provincia di Bari, nella tenuta Torrevento. Il 17 e 18 giugno prossimi sarà dunque dato largo spazio alle sperimentazioni in campo delle diverse attrezzature per l’impianto e la gestione del vigneto e dell’oliveto, con un’attenzione sempre alta anche all’aspetto della formazione e aggiornamento degli operatori. “Il successo di Enovitis a Fieragricola – ha commentato Francesco Pavanello, direttore generale di Uiv – conferma come per gli operatori della filiera sia sempre più strategico e irrinunciabile poter accedere a contenuti qualificati di innovazione che possano favorire lo sviluppo e la crescita del settore in un’ottica di sostenibilità globale. Ma conferma anche come la vera innovazione nasce solo quando sono coinvolti, in un sistema di relazioni forte e sinergico, tutti i soggetti e i livelli della filiera. La ricerca teorica che accoglie e studia i bisogni delle aziende e la ricerca applicata, quella dei fornitori di servizi, prodotti e attrezzature, che li interpreta e li concretizza in soluzioni produttive”.

BOOM DI ISCRIZIONI ALLE “UNIVERSITA’ DELLA TERRA”
Un interesse, quello per la terra e per le tecnologie legate alla sua coltura, che viene confermato anche dai dati diramati in mattinata da Coldiretti, anche se riferiti alla sola Lombardia. E ‘ un vero e proprio boom, di fatto, quello che registrano le cosiddette  “Università della terra”. Negli ultimi cinque anni gli iscritti alla facoltà di Scienze Agrarie Alimentari e Ambientali della Cattolica nei campus di Piacenza e Cremona sono aumentati di quasi il 60%, mentre alla Statale di Milano la crescita sfiora il 48%: si è passati da 2.712 a oltre quattromila studenti. E’ quanto emerge da una ricerca di Coldiretti Lombardia sul successo delle facoltà agricole, tanto che dal 2010 a oggi sono cresciute anche le nuove immatricolazioni: +86% per le Scienze agrarie in Cattolica, +47% per Veterinaria alla Statale di Milano e +13% per Scienze agrarie e alimentari sempre nell’ateneo meneghino.

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Berlucchi e la Franciacorta: tuffo nelle bollicine di Corte Franca

Ci sono parole che raccontano da sole più di un libro intero. E altre che è meglio non usare più. Negli ultimi vent’anni, la Franciacorta sta scrivendo pagine importanti dell’enologia italiana. Un successo tanto grande da permettere a qualcuno di spingersi anche un po’ più in là del proprio “naso”. Nel territorio del lessico e della grammatica.

Dei sinonimi e dei contrari. Giovanni Felini, sommelier Ais del servizio Accoglienza e Ospitalità di Berlucchi, riceve il gruppo di visitatori del sabato mattina con la scioltezza del Cicerone navigato. A nessuno verrebbe in mente di pensare che è reduce da un concerto heavy metal. Ma a 37 anni non si dicono più bugie ed è lui stesso ad ammetterlo, per rompere il ghiaccio. In azienda dal 2005, sa come tenere gli occhi incollati a sé.

Con la gestualità tipica di chi ama quello che racconta. Perché ce l’ha dentro. Bollicine miste a sangue, nelle vene. Attenti, però, a parlare con lui di “spumante” Berlucchi. Nella casa del fondatore Guido, la parola d’ordine – ed ecco la magia del vino che scrive vocaboli nuovi sui dizionari – è “Franciacorta”.

“Un territorio – spiega Giovanni Felini (nella foto a destra) – che si sta muovendo negli ultimi 55 anni con la sicurezza della qualità. Un prodotto che non vuole essere una succursale di qualche altra zona che produce Metodo Classico, bensì un’entità propria, a sé stante. E’ un’identità vera, che dev’essere assolutamente contraddistinta. La Franciacorta sta facendo passi da gigante, passi veri. Sta portando benefici a un territorio dalla vocazione agricola in maniera sostenibile. Presto arriveremo a percentuali di vigneti a conduzione sostenibile e biologica tra le più alte d’Europa. Una grande qualità che si sta concentrando attorno a una grande personalità: quando bevete un Franciacorta non bevete un Metodo Classico o uno spumante, o qualcosa che dev’essere necessariamente paragonato a produzioni simili. Bevete Franciacorta, punto. Un prodotto di qualità certa e comprovata, fiero della propria etichetta”.ù

Dire Franciacorta significa, insomma, raccontare la storia di un territorio unico al mondo, dotato di un “terroir magico”, per dirla con le parole di Felini. “Chardonnay e Pinot Nero – spiega al principio del tour alla Berlucchi – vengono prodotti in tutto il mondo. Come in tutto il mondo esistono ottimi enologi. La vera peculiarità della Franciacorta è il terroir, ovvero quel limbo di terra, ora coltivato a vite, tra il ‘nulla’ della Pianura Padana a sud e la zona montagnosa a nord, dove un tempo esisteva un enorme ghiacciaio, poi ritiratosi, lasciando al terreno caratteristiche uniche. L’ago della bilancia in questa zona è costituito dal lago d’Iseo, che grazie a particolari correnti ascensionali provenienti dalla Valcamonica soffia su questa zona aria che regala benefici unici alla vite”.

LA STORIA DI UN MITO
In Franciacorta, territorio che comprende 19 Comuni tra cui una fetta di territorio della città di Brescia, i vigneti hanno caratteristiche ben precise. La vite viene allevata a cordone speronato o guyot. Le piante sono una accanto all’altra, in modo da costringere le radici a spingersi verso il fondo del terreno, fino a 20-25 metri di profondità, alla ricerca di nutrimento. Si chiama “competizione radicale”.

Alla Berlucchi, in particolare, le uve vengono raccolte in cassette da 18 chilogrammi, per evitare che la pressione di un grappolo sull’altro crei fermentazioni spontanee. La resa per ettaro è di circa 9.500 chilogrammi, per un sesto d’impianto di 10 mila piante per ettaro. All’avanguardia la tecnologia nelle cantine Berlucchi. Il passaggio che fa la differenza è la pressatura, eseguita con moderne presse chiamate Coquard, simili ad un “torchio ribaltato”.

“La pressione avviene da destra verso sinistra – spiega Giovanni Felini – causando la caduta per gravità del mosto. Il 35% costituirà il mosto fiore A, che andrà a costituire la base per le nostre riserve e millesimati e a discendere fino alle basi. Nel secondo frazionamento avremo un massimo del 60% per il mosto fiore B, utilizzato per millesimati e basi. Segue la fase di fermentazione, prevalentemente in acciaio e soltanto un 3-4% del totale in legno vecchio, oltre al quarto passaggio. La scelta dell’acciaio è scontata, in quanto si tratta di un materiale che lascia intatte le proprietà organolettiche, esaltando in questo modo le differenze e le sfumature tra zone diverse appartenenti allo stesso terroir Franciacorta”.

Giovanni Felini guida poi il gruppo nella “cantina vecchia”, dove viene tracciata la storia della Berlucchi. Tutto comincia negli anni Cinquanta, quando Guido Berlucchi, proprietario di 9 ettari di terreni vitati a bacca bianca, decide di chiedere la collaborazione di un giovane enologo, Franco Ziliani, per offrire maggiore stabilità alla produzione.

Il maggiordomo mi scortò nel salotto di Palazzo Lana Berlucchi. Le note di “Georgia on my mind” vibravano nell’aria: Guido Berlucchi era al pianoforte. Rimasi incantato dall’eleganza della sua figura, dalla maestria con cui le sue mani accarezzavano i tasti. Volsi lo sguardo ai muri secolari, ai ritratti di famiglia; notai gli arredi preziosi. Tutto emanava raffinatezza non ostentata. Berlucchi richiuse il piano, mi salutò con calore e iniziò a interrogare me, giovane enologo, sugli accorgimenti per migliorare quel suo vino bianco poco stabile. Risposi senza esitazione alle sue domande, e nel salutarlo osai: “E se facessimo anche uno spumante alla maniera dei francesi?”. (Franco Ziliani)

Nasce così il Pinot del Castello, poi divenuto il Pinot di Franciacorta Guido Berlucchi. Nel 1968 il riconoscimento della Doc, sostenuta da numeri che testimoniano una crescita impressionante. Nel 1961 le bottiglie prodotte in Franciacorta non superavano le 3 mila unità.

Cifra oggi lievitata a 16 milioni, su un totale di 37-38 milioni di Metodo Classico in Italia. Un cammino che porta nel 1990 alla nascita del Consorzio, che cinque anni più tardi, nel 1995, battezza la neonata Docg Franciacorta. L’espressione di questo territorio a firma di Berlucchi è legato – oltre alla sottozona del terroir – soprattutto al grado zuccherino, volutamente dosato al minimo degli standard.

“Per il Brut, per esempio – spiega Giovanni Felini – sono consentiti da 6 a 15 grammi per litro di zuccheri. Berlucchi si attesta alla base, 5,5-6 g/l. Zero grammi per i Pas Dosè, 3 per l’Extra Brut, 12 per gli Extra Dry e 40 per i Demi Sec, nonostante il limite di 50 g/l. Accompagniamo questo sciroppo con pochissime dosi di vini maturati in barrique”.

BERLUCCHI IN GDO

Un tratto distintivo che caratterizza Berlucchi anche in grande distribuzione organizzata, ovvero nella linea di prodotti acquistabili al supermercato. Una gdo di cui il colosso di Corte Franca si ‘serve’, sfruttandola come “volano” per il top di gamma. “Il rischio di lavorare con la grande distribuzione – ammette Giovanni Felini – è quello di abbassare la percezione di qualità.

L’opposto, ovvero la grande qualità della gdo, è quella di essere capillare, arrivando direttamente all’interno di una famiglia. La nostra azienda si suddivide in quattro linee di produzione. Quella ‘base’ è destinata ai supermercati ed è denominata Cuvée Imperiale: troviamo Brut, Max Rosè, Demi Sec e Vintage millesimato. Ci presentiamo dunque alla gdo con una qualità vera”.

“Immaginiamo – continua il responsabile Accoglienza e Ospitalità di Berlucchi – di andare in una cantina e di scoprire la perla rara, la grande riserva, di cui si producono solamente cento bottiglie. Ovvio che quella bottiglia sarà perfetta, ma quello che dà veramente carattere e sicuramente dà importanza a un’azienda è la base. Se noi dovessimo sbagliare una produzione come la Cuvée Imperiale, sbaglieremmo il 60% di quello che produciamo, con ricadute certe sul 60% del fatturato dell’intera azienda”.

Dare dunque il meglio nella produzione del prodotto base, destinato ai supermercati, risulta per noi il primo incentivo per arrivare in modo credibile nelle case dei consumatori, invogliandoli al contempo ad avvicinarsi al resto della gamma, verso l’alto. Se la persona si lega al prodotto base, di per sé dall’ottimo rapporto qualità prezzo, si affeziona al brand e sarà in grado, una volta sperimentati gli altri nostri prodotti, di confermare certamente la grande validità della stessa Cuvée Imperiale”.

Riguardo al prezzo, Felini ammette che “il posizionamento si sta rivalutando negli ultimi anni”, per via del successo crescente della Docg. “Ad oggi – precisa – vendiamo il Metodo Classico di riferimento al prezzo più basso, che però stiamo cercando di aumentare dal momento che siamo nati in Franciacorta e abbiamo messo la Franciacorta in etichetta. Oggi il listino della Gdo corrisponde ai volumi delle singole catene, con relativa scontistica legata al giro d’affari”.

Sono 4 milioni e 200 mila le bottiglie Berlucchi che ogni anno finiscono nei calici dei consumatori. La parte del leone spetta ovviamente alla Cuvée Imperiale, con 2 milioni e mezzo di bottiglie. Le restanti sono suddivise tra le linee ’61, Cellarius e Palazzo Lana.

Quest’ultima definita in pochissime migliaia di bottiglie e solo nelle annate eccezionali. Un giro d’affari che per il 90% resta tra i confini italiani, considerato che fuori dall’Italia non viene spedita la Cuvée imperiale.

L’ERBA DEL VICINO
Da attento osservatore delle dinamiche italiane, Giovanni Felini si spinge a fornirci la propria visione sulle dinamiche di un territorio vicino, l’Oltrepò Pavese, che a differenza della Franciacorta fatica a trovare spazio e rilevanza nazionale.

“Da consumatore – spiega – ritengo che l’Oltrepò Pavese non riesca a emergere per una questione culturale. Sono sempre stati legati a un vino di massa, o comunque a un vino di consumo di massa e di basso profilo. Per loro emergere significa spolverarsi da dosso questo aspetto. Un po’ come fare la ristrutturazione di una casa: diventa più bella, ma perde il fascino antico. Ora: meglio la funzionalità o il fascino? Sarebbe perfetto ricostruirla rendendo questo fascino più funzionale. L’Oltrepò Pavese si contraddistingue tuttavia anche per grandi produzioni di Pinot Nero in purezza. Quello che dovrebbero fare è essere un po’ meno tosti, un po’ meno cocciuti e collaborativi. Tra di loro, innanzitutto”. Un consiglio che sarà considerato dalle parti di Pavia?

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Cecchi punta gli occhi sull’Alto Adige: Castelfeder entra in distribuzione

La distribuzione della Famiglia Cecchi si arricchisce e diversifica ulteriormente grazie all’inserimento dell’azienda Castelfeder di Egna (Bolzano) che va ad affiancare la maison di Champagne Collard Picard e Castiglion del Bosco di Montalcino. “Crediamo fondamentale intraprendere un percorso di lungo termine con la famiglia Giovanett – dichiara Luca Stortolani, direttore commerciale Italia della Famiglia Cecchi – che produce vini straordinari e con la quale condividiamo visione e filosofia. Allo stesso tempo siamo certi che mettere a disposizione della nostra ormai strutturata forza vendite un’azienda altoatesina con queste caratteristiche, possa essere un ulteriore motivo di crescita”.  “Per Castelfeder – aggiunge Ivan Giovanett – è stato fondamentale sapere che dietro a una distribuzione ci fosse non solo  un’azienda commerciale in grado di garantire certi risultati, ma anche una famiglia con cui condividere gli stessi valori umani e professionali”. La casa vinicola Luigi Cecchi e figli Srl è tra le aziende toscane maggiormente rappresentate nelle catene della grande distribuzione italiana. Al quartier generale di località Casina dei Ponti 56, a Castellina in Chianti, provincia di Siena, si affianca oggi una realtà altoatesina fondata nel 1970 da Alfons Giovanett.

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Montefalco Sagrantino Docg 2009 Laurenzia, Vignaboldo Umbria Brogal Vini

(3 / 5)Vi siete mai sentiti spossati, giù di corda, fuori forma? Ecco come deve sentirsi il Montefalco Sagrantino Docg 2009 Laurenzia del Vignaboldo Umbria, imbottigliato da Brogal Vini Srl a Bastia Umbra. Un vino che non offre certamente al consumatore del supermercato la migliore espressione di un vitigno che fa del tono, della vigoria e dell’agonismo olfattivo e gustativo il suo tratto distintivo. Presentato giustamente come il vino top di gamma dell’azienda umbra di via degli Olmi 9, giudichiamo il prezzo (pieno) praticato da Esselunga un po’ esagerato al cospetto del riscontro degustativo ottenuto: corretto invece il posizionamento in fascia promozionale, in un’ottica prettamente legata al rapporto qualità prezzo. Montefalco Sagrantino Docg 2009 Laurenzia del Vignaboldo si presenta nel calice di un rosso granato con riflessi violacei. Al naso le percezioni derivanti dal lungo affinamento in legno sovrastano note fruttate di more selvatiche, appena percettibili: domina il cuoio, stretto a cintura attorno al collo della piccola bacca nera. In bocca risulta caldo, più fruttato che al naso, dotato di buona speziatura, asciutto. Il tannino risulta ancora troppo invadente, aspetto che ci porta a considerare la bottiglia pronta, ma con discreto margine di evoluzione futura. Fondamentale stappare un’ora prima della consumazione. L’abbinamento perfetto è quello con la selvaggina e la carne arrosto. Il Sagrantino Vignaboldo 2009 si attiene al disciplinare di produzione di una Docg che consente la produzione di questo vino solamente in quattro piccoli comuni della provincia di Perugia: Montefalco per intero, nonché in porzioni del territorio di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria, chi più chi meno vocati alla produzione di questa straordinaria espressione monovarietale italiana.

Prezzo pieno: 13,49 euro
Acquistato presso: Esselunga

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De Novo Calepino Igt Bergamasca: la triste storia del novello rimasto sugli scaffali del supermecato

Peggio del vino in brik. Peggio del vino “da discount”. Peggio che…peggio non si può. Non s’era mai visto un prezzo così, al supermercato, per un vino in bottiglia di vetro. Il “record” spetta (suo malgrado) al De Novo Calepino Igt della Bergamasca, vino novello dell’azienda vitivinicola Il Calepino di Marco Plebani. Certamente a insaputa della casa produttrice di Castelli Calepio, in provincia di Bergamo, il novello in questione è stato posto in promozione smaltimento dalla catena di supermercati Gigante al prezzo di 0,90 euro. Novanta centesimi. Il prezzo della bottiglia non varierà fino al 9 marzo 2016, quando le scorte di De Novo Calepino rimaste nei punti vendita dovrebbero essere ormai terminate, grazie alla spinta della super offerta shock. Si tratta dell’esempio lampante di come agisca la Gdo nei confronti del vino che intenda “smaltire”. Nelle scorse settimane, lo stesso novello bergamasco era in promozione al 50%, rispetto al prezzo pieno di 4,99 euro col quale è stato posizionato sugli scaffali a partire dal 30 ottobre scorso, come previsto per legge per i vini novelli 2015. Troppo poco, evidentemente, per “fare fuori” (è il caso di dirlo) il novello più costoso dell’intero assortimento.

E così, dagli uffici di Bresso dell’azienda milanese che dal 1972 opera nella grande distribuzione organizzata, si è deciso per una vera e propria “decapitazione”: 90 centesimi. L’iniezione letale, per dirla all’americana. Del resto, il novello (italiano) è un vino di pronta, prontissima beva. Da consumare in autunno. O, al massimo, nei successivi 6 mesi dall’inizio della commercializzazione. E possiamo assicurarvi che la regola vale anche per il Novo Calepio Igt Bergamasca dell’azienda vitivinicola Il Calepino, che non supera la nostra prova di degustazione per un letterale (nonché fisiologico) inasprirsi dei toni del blend tra Marzemino e Merlot, ricetta di successo che la casa di Castelli Calepio porta avanti da ormai trent’anni. Al di là dello shock emozionale, va detto che il prezzo praticato dalla catena Il Gigante per smaltire la scorta di novelli è in linea con l’andamento del mercato di questa tipologia di vini. Che nell’arco degli ultimi dieci anni risulta in vera e propria caduta libera. Così come la produzione.

Secondo i dati forniti da Assoenologi, fino al 2005 venivano prodotte in Italia 17 milioni di bottiglie di vino novello, contro i 3-4 milioni del 2015. Un dato che scende a 2 milioni, secondo il report di Coldiretti. Un vino, insomma, che non va più di moda, anche se segna tuttora un momento di festa per molte cantine, al termine della vendemmia. Ecco, dunque, perché il povero vino novello De Novo Calepino ha dovuto subito una tale onta. Lui che – siamo certi – sarebbe finito volentieri prima in un carrello della spesa. E poi sulla tavola di qualche cliente, già a ottobre dello scorso anno. Ad accompagnare, oh sì, un piatto fumante di caldarroste.

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L’e-commerce al tempo dei vignaioli Fivi: il futuro è ancora da scrivere

“E-commerce? Una parola bellissima, che presuppone un concetto geniale: poter acquistare su Internet, comodamente seduti davanti al proprio pc, o attraverso smartphone. E ricevere la merce direttamente a casa, in un paio di clic”. Non ha dubbi Daniele Chiappone, produttore di ottimi vini piemontesi nell’Astigiano e membro della Federazione italiana vignaioli indipendenti, sull’utilità del commercio elettronico di beni di vario genere e utilità. Peccato che non possa parlare alla stessa maniera dell’e-commerce di vino. “Il problema – spiega – è che gli alcolici sono sottoposti ad accise che variano di Stato in Stato, come stabilito dall’Unione europea. Questo tipo di regolamentazione, tuttavia, danneggia soprattutto i piccoli produttori. Se da un lato produrre meno di mille ettolitri all’anno garantisce meno costi, per esempio non avendo sul groppone i costi di un magazzino fiscale e del reperimento di un importatore per l’estero, dall’altro essere piccoli produttori comporta percorsi accidentati dovuti alle pressioni delle lobbies della Cee”. Daniele Chiappone (nella foto, sotto) parla con i numeri alla mano. Riferisce, per esempio, che “spedire una bottiglia in Spagna o Portogallo, con consegna in 3-5 giorni lavorativi, costerebbe 57 euro”. Cifra che scende a 55 per la Francia. Sessanta euro per il Benelux. Cinquantanove euro per la Grecia e 71 euro per la Svezia. “Più bottiglie spedisci – spiega Chiappone – meno paghi le spese di spedizione. Ma le cifre restano altissime: per un collo di sei bottiglie spedito in Spagna o Portogallo, 135 euro. In Francia 135 euro. In Belgio, Olanda o Lussemburgo 130 euro. Per la Svezia ne occorrono 135”. Peggiora la situazione fuori dai confini dell’Europa. Alcuni esempi? Spese di spedizione di 86 euro per una singola bottiglia negli Usa o in Canada, che diventano 147 euro se si vuole spedire in Giappone. Eppure è un Paese europeo, moderno e spesso citato quale modello politico e sociale, a detenere il triste record: la Finlandia. “Come per altri Stati del Nord Europa – spiega il vignaiolo piemontese della Fivi – in Finlandia sussiste il monopolio dello Stato sugli alcolici. Qui è la macchina statale che rallenta il meccanismo di libero scambio delle merci, secondo il proprio interesse: il vino è sottoposto a una tassazione esagerata, mentre non vale lo stesso per la birra, che gode di accise più leggere. Tutto ciò genera distorsioni sul prezzo finale al consumatore che causano l’impossibilità stessa della vendita, con costi di spedizione che, per una singola bottiglia, arrivano a toccare i 200 euro”. A far lievitare i costi di spedizione, va detto, non sono solo le accise dei singoli Stati. Bensì la burocrazia.

IL “SISTEMA NIZZA” COME MODELLO
“Le compagnie che si occupano di trasporti – spiega Daniele Chiappone – sono chiare al momento del preventivo relativo a spedizioni in Europa o all’estero. Una parte consistente dei costi ricade sulla necessità di sbrigare un numero incredibile di procedure burocratiche e compilazione di documenti doganali di cui si occupano le stesse aziende che effettuano spedizioni, che hanno istituito uffici ad hoc per evitare di incorrere in sanzioni”. Ma allora che senso ha l’Unione europea? “In questo caso nessuna – risponde piccato Daniele Chiappone – e le cose non cambieranno finché le lobbies continueranno a farla da padrona. Quel che è grave è che si fa tanto, a livello territoriale, per favorire oggi fenomeni come l’enoturismo. E poi ci perdiamo nella burocrazia, aggravando produttori e consumatori di costi che, con una gestione migliore dell’intero apparato, si potrebbero evitare”. Il produttore cita per esempio il ‘Sistema Nizza’, “che funziona davvero, perché è tutto leale”. “I produttori – dichiara – ci sono e sono leali, i vigneti e le colline ci sono e sono leali, i ristoranti ci sono e sono leali. L’accoglienza c’è ed è leale. La passione dei produttori c’è ed è leale. Per forza funziona il Sistema Nizza. Se con la ‘scusa’ di far visitare le colline che producono vino ai turisti americani o giapponesi io li accolgo in modo tale da fargli vivere anche tutto il resto del territorio, facendoli sentire a casa o ospitati come dei re, questi vorranno tornare a Nizza e parleranno bene di questa zona, una volta tornati nei loro Paesi d’origine. Questo modello – continua Chiappone – è replicabile ovunque, in tutta Italia e anche in altri settori, al di là di quello vinicolo. Basta che ognuno faccia la sua parte per migliorare veramente le cose, ovviamente se si vuole migliorarle realmente…”.

FIVI INSISTE IN COMMISSIONE EUROPEA

Ed è una parte da leone quella che sta facendo la Federazione italiana vignaioli indipendenti in Commissione Europea. La presidente Matilde Poggi ha scritto ai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Federica Guidi per sollecitare l’adozione di accordi bilaterali per la libera circolazione dei vini all’interno degli Stati membri. “Accogliamo evidentemente con favore – scrive oggi ai ministri Matilde Poggi, presidente Fivi – il fatto che la Commissione preveda la creazione di uno sportello unico. Tuttavia, se le tempistiche sono troppo lunghe, l’unica soluzione possibile nel breve termine rimane la conclusione di accordi bilaterali tra gli Stati membri. Abbiamo bisogno di soluzioni concrete e immediate per far si che le nostre aziende rimangano competitive. In attesa di una soluzione comune europea – conclude Matilde Poggi –  chiediamo al governo di mettere in atto al più presto gli accordi bilaterali per la vendita diretta dei nostri vini a destinazione degli altri paesi europei”.
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La vite del futuro sopravvive alla Botrytis Cinerea. E migliora la complessità del vino

Venti nuove varietà di vite selezionate dai ricercatori della Fondazione Edmund Mach si presentano al mondo vitienologico trentino. Questa mattina ricercatori e produttori si sono dati appuntamento, a San Michele, per degustare e valutare insieme i vini prodotti da questi nuovi genotipi che provengono dalla selezione di oltre 30 mila semenzali
e sono il frutto di una paziente ed impegnata attività di miglioramento genetico tradizionale che dura da oltre 10 anni. Si tratta di 12 varietà rosse e otto varietà bianche, coltivate nei vigneti sperimentali di San Michele. Nel 2014 erano stati presentati i primi quattro vitigni selezionati dai ricercatori di San Michele tolleranti alla botrite (Iasma eco 1, Iasma Eco 2, Iasma Eco 3, Iasma Eco 4) . Oggi protagoniste sono varietà che presentano caratteristiche differenti: tolleranti alla botrite, che si adattano meglio al clima, che danno cioè la possibilità di raccogliere le uve in periodi più adatti, con timbri aromatici differenti e quelle che sono in grado di aumentare la complessità del vino. L’incontro di oggi ha visto partecipare molti rappresentanti del mondo viticolo ed enologico: dai produttori singoli agli associati, come il Consorzio vini e i Vignaioli, per arrivare ai rappresentanti del mondo vivaistico, incluso il Consorzio Innovazione Vite, accanto ai funzionari della Provincia autonoma di Trento. Erano presenti il direttore generale, Sergio Menapace, il vicepresidente Gabriele Calliari, alcuni consiglieri di amministrazione, la dirigenza e la squadra di ricercatori impegnata nell’attività di miglioramento genetico. “Ora stiamo raccogliendo i dati necessari alla predisposizione di un dossier che andrà a sua volta sottoposto al Ministero per l’iscrizione nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite – spiega Marco Stefanini, coordinatore della piattaforma miglioramento genetico della vite – un risultato che è stato possibile grazie al lavoro di diverse professionalità: da quelli che hanno permesso di realizzare l’incrocio, seguirlo e allevarlo, selezionarlo, fino ad arrivare a chi ha fornito i dati, lo ha microvinificato e infine degustato”.

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Divagazioni (semiserie) sul Morellino di Scansano Docg 2014 La Torre Frescobaldi

(2 / 5) L’Italia del vino al supermercato è di fronte a un paradosso. Una delle sue regioni simbolo, la Toscana, finisce sempre più spesso per deludere quei clienti alla ricerca di un prodotto non standardizzato, fuori dalle righe. Ma a un prezzo giusto, accessibile a tutti. Dal pensionato all’impiegato, per intenderci. Un prezzo che, comunemente, potremmo stabilire attorno alla cifra di 6-7 euro. E’ la riflessione che sorge spontanea dopo l’ennesima degustazione “flop” di un vino rosso che di Toscano ha tutto, a partire dalla Denominazione di Origine controllata
e Garantita, ma che tuttavia non riesce a lasciare il segno sperato. Parliamo del Morellino di Scansano La Torre della nota casa vitivinicola Marchesi de’ Frescobaldi. Un vino che in etichetta viene presentato come “potente” e “intenso”, che di potente e intenso ha tuttavia davvero ben poco. Nel calice si presenta d’un rubino acceso, dal quale provengono scarichi sentori “vinosi” tendenti all’etereo, cui fanno eco piccoli frutti rossi. Al palato, il Morellino di Scansano La Torre Frescobaldi è asciutto, moderatamente fruttato (di nuovo piccoli frutti a bacca rossa), dotato di un finale sufficientemente persistente e tendente all’amarognolo. Buono l’abbinamento con carni rosse e formaggi stagionati.

LA NOSTRA PROPOSTA
In definitiva, un vino che non lascia l’impronta auspicata per la fascia prezzo in cui è inserita. A parziale ‘discolpa’ dei produttori, un’annata, la 2014, che non è stata certo felice per la vendemmia. Ma non basta. E allora noi di vinialsupermercato.it lanciamo una provocazione: perché non introdurre in etichettatura obbligatoria un indice di valutazione relativo alle condizioni meteorologiche che hanno preceduto la vendemmia? In questo modo, il consumatore “medio” avrebbero un parametro in più per giudicare il vino che sta acquistando. E le case produttrici un po’ meno coraggio di immettere sul mercato prodotti sulla cui qualità non si discute, ma che non possono essere venduti allo stesso prezzo di vendemmie fortunate solo per il “nome”. Se è il “Dio Denaro” che deve vincere, insomma, almeno si avverta prima, e chiaramente, il consumatore.

Prezzo pieno: 7,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico 2014 Barò, Terre Cortesi Moncaro

(4 / 5) Peschiamo tra gli scaffali di Conad questo Verdicchio dei Castelli di Jesi decisamente a buon prezzo. La casa vinicola produttrice è Terre Cortesi Moncaro Soc. Coop Agricola di Montecarotto, provincia di Ancona. Vendemmia 2014.

Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Barò Moncaro si presenta nel calice di un giallo paglierino con riflessi verdolini. Scorre nel calice lasciando presagire una certa morbidezza.

Al naso, Barò è floreale, di biancospino e acacia, ma anche di agrumi (pompelmi ben evidenti) mandorla e pera.

Al palato è di fatto sorprendentemente morbido, beverino, invitante: ecco nuovamente le note agrumate e quelle di frutta a polpa bianca ad anticipare un finale che tende all’amarognolo. Sufficiente la persistenza.

Buon vino, in definitiva, per qualità prezzo, il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Barò di Terre Cortesi Moncaro si abbina alla perfezione con le portate di pesce, in particolare di pesce azzurro, ma anche con la carne bianca.

LA VINIFICAZIONE
La regione di provenienza di questo nobile vitigno, il Verdicchio, utilizzato per Barò in purezza, sono le Marche. In particolare, la provincia di Ancona, nell’area classica di produzione. L’età dei vigneti varia da 8 a 30 anni, in un suolo di origine sedimentario marino alluvionale, con prevalenza di argilla e sabbia del plio-pleistocene e miocene.

Le altitudini variano dai 220 ai 380 metri sul livello del mare, in un’area collinare. L’allevamento del Verdicchio da parte di Moncaro viene effettuato a guyot e capovolto, con una densità d’impianto di 1700-3000 ceppi per ettaro, con una resa di 110-120 quintali d’uva. La raccolta viene effettuata sia a mano sia meccanicamente.

Per la vinificazione del Verdicchio Castelli di Jesi Barò di Terre Cortesi Moncaro è prevista una pressatura soffice, con decantazione statica e fermentazione a temperatura controllata, mediante l’apporto di lieviti selezionati, con successiva breve sosta sulle fecce. La maturazione del vino avviene in bottiglia, con affinamento in magazzini termocondizionati.

Prezzo: 4,48 euro
Acquistato presso: Conad

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Amarone 2012, l’anteprima è al supermercato. A 13,99 euro. Ecco perché

Penny Market brucia tutti sul tempo. E sul prezzo. E’ già in vendita sugli scaffali del soft discount del gruppo tedesco Rewe l’Amarone 2012 a marchio Montigoli. Il prezzo? Eccezionale: 13,99 euro. In linea con quello praticato da Lidl e da altri discount che operano sul suolo italico. Ma l’Anteprima Amarone 2012 non sarà questo weekend, a Verona? Se lo chiedono in molti e la risposta è “sì”. In realtà, la nuova annata di uno dei vini che contribuiscono a rendere grande l’Italia nel mondo, è già in vendita nei supermercati. Per una questione puramente commerciale. Ma nel pieno rispetto del disciplinare di produzione. Che prevede, per l’Amarone della Valpolicella 2012, la possibilità di immissione in commercio già dal gennaio 2015. Ovvero, dopo “un periodo di invecchiamento di almeno due anni con decorrenza dal 1° gennaio successivo all’annata di produzione delle uve”. “L’Amarone Montigoli – spiega Luca Bissoli, direttore commerciale della Cantina di Negrar – è un nostro prodotto che otteniamo nell’omonima zona della Valpolicella. E’ un prodotto fresco, ma pronto. In questo Amarone si cerca di dare più risalto al frutto, alla rotondità, alla piacevolezza della beva, piuttosto che ad altre caratteristiche come la complessità e la struttura”. L’Amarone Montigoli 2012 in vendita da Penny Market è il classico vino di qualità trasversale, capace di soddisfare l’ampia platea di pubblico della grande distribuzione organizzata. Non un vino “da discount”, bensì un Amarone piacevole, destinato certo più al “bevitore medio” che all’intenditore vero e proprio. “Montigoli è un Amarone di grande qualità – continua Bissoli – e di assoluto rispetto del disciplinare di produzione, ottenuto in conformità delle caratteristiche del pubblico a cui è destinato, ovvero quello dei supermercati”.

LA STRATEGIA DEL CONSORZIO?
Si tratta, peraltro, di una scelta precisa del Consorzio Tutela Vini Valpolicella. “All’Anteprima Amarone 2012 che andrà in scena nel weekend a Verona – spiega ancora il direttore commerciale di Cantina Negrar, Luca Bissoli – saranno presenti molte aziende agricole, tra loro diverse per filosofia di produzione e offerta dell’Amarone. Aziende di grandi dimensioni come la nostra hanno la necessità finanziaria di porre un prodotto sul mercato nei termini stabiliti dal disciplinare, ma in tempi più brevi, per far rendere l’investimento finanziario: tenere l’Amarone fermo in cantina per 3 anni vorrebbe dire utilizzare valore e quindi posticipare la disponibilità del ritorno dell’investimento stesso”. Diverso il discorso per un’azienda di piccole dimensioni. Che, facendo affinare il prodotto per un periodo più lungo, fa guadagnare complessità alla beva. “Inutile sottolineare che nel canale ho.re.ca – evidenzia Bissoli – l’Amarone 2012, venduto nel 2015, ha poco appeal e non incontra l’interesse degli operatori, alla ricerca di annate più strutturate. Per questo il Consorzio ha deciso di presentare con un anno di ‘ritardo’ un Amarone già commercializzato dal 2015: per offrire una proposta complessiva dei vari produttori, molti dei quali sono piccoli”. Il vero Amarone sarà dunque quello che scorrerà a fiumi a Verona, nel weekend? “No – chiosa Bissoli -. Quello sarà un Amarone più complesso, con maggiore affinamento rispetto a quello già in vendita per esempio nei supermercati”. Una questione di stile, insomma. Certo è che l’Amarone 2012 mette d’accordo tutti: chi vuole la botte piena. E chi preferisce la moglie ubriaca.

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Vermentino di Sardegna Dop 2014, Monte Janu Cantina Lidl

(3,5 / 5)A volte la vita ti regala sorprese, giusto un centimetro più in là di dove le stavi cercando. Succede di passare al setaccio la “Selezione Gambero Rosso” della Cantina vini Lidl senza trovare un’etichetta che convinca per davvero. Senza se e senza ma. E poi, un giorno, l’occhio cade su un’altra bottiglia. In vendita a 2,29 euro. Pochi facing più in là di quelle consigliate dagli esperti del Gambero romano. Decidi di acquistare, quasi per scommessa, il Vermentino di Sardegna Dop 2014 della casa Monte Janu. Giusto il tempo che giunga a temperatura, in frigorifero. E’ l’ora di cena. E tua moglie – casualmente – prepara pesce. Il gioco di coincidenze comincia a farsi intrigante. Sliding doors. Ti guardi attorno e manca solo Gwyneth Paltrow. Nel calice il Vermentino di Sardegna Dop 2014 Monte Janu si tinge d’un giallo accesso, che ricorda vagamente la sua chioma. Quella di Gwyneth, s’intende. Mentre tua moglie impiatta gamberi, al naso il vino comincia a dare i primi segnali. Di fumo? Tutt’altro, siate clementi con Lidl. Sono fiori di campo e frutta, pesca per l’esattezza. In un contorno d’erbe di macchia mediterranea. Un tuffo nel blu dei mari di Sardegna. Il film è iniziato e anche il palato vuole la sua parte. In bocca il Vermentino Dop 2014 Monte Janu è morbido, rotondo. Molto aggraziato. Piacevole. Parla di frutta piuttosto matura, a bacca gialla: di nuovo quella pesca avvertita al naso, vera guest star del bicchiere. Nel finale, quasi a rompere l’idillio, una punta d’amaro. E’ la caratteristica classica dei Vermentini, che rende questo di cantina Lidl ancora più apprezzabile. Con o senza Gwyneth Paltrow. Per 2,29, bottiglia che lascia pienamente soddisfatti. Adatta ad accompagnare con la propria freschezza primi e secondi di pesce, ma anche carni bianche. Due parole sulla casa vinicola produttrice. Giusto due: nel senso che non v’è notizia. Pecca che riscontriamo spesso nei vini Lidl, la carenza di informazioni in etichetta. L’imbottigliatore, invece, è più noto: Enoitalia di Calmasino, Bardolino, di cui abbiamo già ampiamente dibattuto.

Prezzo pieno: 2,29 euro
Acquistato presso: Lidl

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Cinquant’anni di Vinitaly: programma e novità dell’edizione 2016

Il conto alla rovescia è iniziato. Si terrà a Verona, dal 10 al 13 aprile, la cinquantesima edizione di Vinitaly, la più ampia rassegna internazionale di vini e distillati che ogni anno va in scena nella città simbolo del Veneto, Verona. La 50a edizione, assicurano gli organizzatori, “segnerà il punto di partenza per un nuovo futuro”. Con una certezza che è ormai tradizione: la presenza di oltre 4 mila aziende che esporranno i loro prodotti
(clicca qui per vedere l’elenco completo). Tra le novità, una riguarda il premio Vinitaly 2016. Le sorti del vincitore saranno nelle mani di “giudici specializzati per aree produttive, in grado di comprendere la qualità sulla base delle specifiche peculiarità del luogo di origine dei vini, esprimendo il loro valore in centesimi”. Con 5 Star Wines, Vinitaly offrirà così ai vini che supereranno i 90 punti “uno strumento di marketing estremamente moderno ed efficace, perché comprensibile e riconoscibile dai consumatori di tutto il mondo”. Le imprese interessate a partecipare potranno iscriversi dall’1 febbraio al 18 marzo. I “vini a cinque stelle” saranno contrassegnati “da un logo geometrico, moderno, che ricorda stilizzata l’Arena di Verona, contenente il punteggio ottenuto espresso in centesimi, studiato per essere applicato alla bottiglia ed essere ben visibile da diverse angolazioni”. “Il Premio 5 Star Wines, che rappresenta l’evoluzione, dopo 22 edizioni, del Concorso Enologico Internazionale – spiega in un comunicato Veronafiere – si presenta nuovo esteriormente e nella sostanza. Con il nuovo premio non ci saranno più primi, secondi e terzi posti con medaglie d’oro, d’argento e di bronzo, e nemmeno gran menzioni, ma solo la dichiarazione del punteggio ottenuto, a patto che sia uguale o superiore a 90 centesimi”. “Questo – prosegue il omunicato – renderà più trasparente il rapporto con il mercato, dove a un premio corrisponde un valore reale, immediatamente codificabile dal consumatore e dai buyer. Per rendere ancora più qualitativa e oggettiva la valutazione, le commissioni, formate da esperti internazionali coordinati da Ian D’Agata (Direttore Scientifico di Vinitaly International Academy con 15 anni di esperienza nei più importanti concorsi enologici, tra cui l’International Wine Challenge e il Decanter World Wine Awards, anche come panel chairman) saranno divise per macro aree: ad esempio Stati Uniti/Canada, Sud America, Francia, Germania/Austria, Italia (quest’ultima articolata per zone di produzione) e Cina. Ciò significa che ogni campione, qualsiasi sia la sua origine, potrà contare su un giudizio basato sull’effettiva conoscenza degli specifici vini e delle area geografica di provenienza”. Già definito l’elenco dei general chairmen e dei panel chairmen, composto da Master of Wine, Master of Sommelier, sommelier pluripremiati e giornalisti esperti.

I PREMI SPECIALI
Sono confermati, invece, i Premi Speciali pensati per dare un riconoscimento alle aziende che maggiormente si distingueranno: oltre al Premio Gran Vinitaly (assegnato alle due aziende, una italiana e una estera, che conquisteranno i punteggi più alti), si aggiungono il Trofeo Vino Bianco, il Trofeo Vino Rosso, il Trofeo Vino Rosato, il Trofeo Vino Frizzante, il Trofeo Vino Dolce e il Trofeo Vino Spumante. “Il Premio 5 Star Wines – evidenzia Veronafiere – diventa così per i vini premiati una garanzia di qualità riconoscibile in tutto il mondo, spendibile dalle cantine per il proprio marketing. I vini vincitori del Premio Internazionale Vinitaly – 5 Star Wines, inoltre, saranno presentati durante apposite degustazioni inserite nell’ambito di eventi organizzati nel corso di Vinitaly e Vinitaly International”. Anche la scelta delle data, dall’1 al 3 aprile 2016, a pochi giorni dell’apertura di Vinitaly, permette alle aziende vincitrici di presentare i propri prodotti comunicando i premi ottenuti ai buyer, che possono così avere uno strumento immediato per scegliere tra le nuove produzioni. L’apertura delle iscrizioni e il ricevimento campioni deve avvenire tra l’1 febbraio e il 18 marzo 2016. Ci saremo anche noi di vinialsupermercato.it. Come sempre a caccia dell’eccellenza, tra le aziende partecipanti che operano anche nella grande distribuzione organizzata.

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Anteprima Amarone 2012, appello di Cantina Negrar ai sindaci della Valpolicella

È un invito a gettare lo sguardo (e il cuore) oltre l’ostacolo e a pensare alla gestione del territorio confrontandosi con il carattere internazionale che contraddistingue i migliori territori vitivinicoli al mondo, quale è la Valpolicella, quello che Renzo Bighignoli, presidente di Cantina Valpolicella Negrar (230 soci, oltre 700 ettari di vigneto) rivolge ai sindaci di Negrar, San Pietro in Cariano, Marano, Fumane e Sant’Ambrogio, i cinque comuni della ValpolicellaClassica. “Una grande denominazione come la Valpolicella, che ha nell’Amarone il vino simbolo a livello mondiale, avrebbe bisogno di una gestione del territorio e del paesaggio più coordinata, con regole condivise da tutte le amministrazioni comunali che la governano”, afferma Bighignoli (nella foto). Cinque Comuni, ma per i produttori, un unico territorio. “Quando vendiamo all’estero i nostri vini, noi produttori vendiamo il brand Valpolicella, non certo l’appartenenza a una singola vallata, che rimane un’importante peculiarità da raccontare ai consumatori per far apprezzare ancor più i nostri vini”, aggiunge Daniele Accordini, direttore della Cantina. “A nostro avviso, anche le 5 amministrazioni della Valpolicella Classica dovrebbero riuscire a pensare come fossero un unico ente territoriale in grado di mediare tra i vari portatori d’interesse: i viticoltori, gli ambientalisti, e gli enti istituzionali extraterritoriali che vengono di volta in volta coinvolti nella progettualità di un’area vitivinicola. Per continuare a competere nello scenario mondiale, sarebbe importante per i produttori poter contare su una politica unica di gestione che abbia a cuore l’interesse del territorio nella sua interezza. Comprendiamo la difficoltà, ma è uno sforzo che una grande denominazione come la Valpolicella dovrebbe saper fare”, conclude Bighignoli. L’invito della Cantina rivolto ai Sindaci della Valpolicella Classica ad un’unitarietà vitivinicola di intenti arriva a pochi giorni da Anteprima Amarone, evento di interesse mondiale organizzato dal Consorzio Valpolicella (30-31/1/16, Verona, Palazzo della Gran Guardia), ed a cui la cantina Cooperativa negrarese parteciperà servendo in degustazione l’annata protagonista dell’evento, il 2012, e come annata storica, l’Amarone Vigneti di Jago 2008. “Il 2012 è stata un’annata molto calda, l’Amarone che ne è uscito è molto concentrato e con note marmellatose. Perde un po’ di territorialità, qualità che si esprime nelle annate più fresche, ma rimane una delle migliori annate degli ultimi 10 anni”, dichiara Accordini, enologo della Cantina. Che però, è completamente conquistato dall’andamento della vendemmia 2015. “Rischio di apparire banale nel definirla eccezionale, ma è quanto penso. La ritengo più equilibrata della vendemmia 2011, fino ad oggi l’annata che ritenevo qualitativamente migliore, perché era stato un anno in cui aveva piovuto con regolarità, senza lasciare la vite in stress idrico, ma nel 2015, più siccitoso, abbiamo potuto contare sulla scorta d’acqua del piovoso 2014, e dunque il caldo notevole ha sviluppato notevolmente la fotosintesi, per cui c’è stata più concentrazione di zuccheri e coloranti. L’annata 2015 sarà quindi di grande equilibrio e longevità, con tannini molto morbidi e dolci”.
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