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Vendemmia 2015 da record. Coldiretti avverte: allarme siccità nelle vigne d’Italia

La vendemmia 2015 sarà un successo. Lo assicura la Coldiretti, che annuncia il taglio del primo grappolo di Franciacorta in anticipo di una settimana rispetto al record già stabilito in Italia nel Dopoguerra. Una buona notizia a metà, dal momento che l’anticipo della vendemmia 2015 comporterà d’altro canto la necessità al ricorso di irrigazioni di emergenza, specie nei vigneti con esemplari giovani. Il caldo che da oltre un mese attanaglia l’Italia porterà, sempre secondo le stime di Coldiretti, a un aumento della produzione del 5 per cento circa, attestabile in 44 milioni di ettolitri totali. “Da oltre un decennio – evidenzia Coldiretti – non era mai iniziata cosi presto la vendemmia in Italia. Il distacco del primo grappolo di uva da vino Made in Italy del 2015 è avvenuto addirittura con quasi una settimana di anticipo rispetto allo scorso anno, in Franciacorta, dove si raccolgono le uve bianche destinate alla produzioni di spumanti che tradizionalmente sanciscono l’avvio delle vendemmia in Italia. Le condizioni climatiche con il grande caldo hanno accelerato i processi e anticipato la raccolta che si classifica come la seconda più precoce dal dopoguerra, seconda solo a quella del 2003, l’anno di una storica siccità, quanto di inizio il 2 agosto”.

La vendemmia parte con le uve Pinot e Chardonnay in un percorso che proseguirà a settembre ed ottobre con la raccolta delle grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo e che si concluderà nel mese di novembre con le uve di Aglianico e Nebbiolo e Nerello. Le stime della Coldiretti dunque saranno progressivamente definite perché molto dipenderà dalle prossime settimane in cui si inizierà a raccogliere tutte le altre uve e dall’andamento climatico dei giorni precedenti la raccolta. “In ogni caso – assicura la Coldiretti – lo stato fitosanitario dei vigneti è in tutta Italia molto buono con assenza di situazioni di criticità e la qualità attesa è superiore a quella dello scorso anno. Le temperature record di luglio hanno però fatto aumentare l’impegno ed i costi dei viticoltori che per scongiurare il rischio siccità che inizia a farsi sentire in diverse zone hanno dovuto intervenire con mirate irrigazioni di soccorso specie nei vigneti più giovani”.

Sul piano produttivo con queste premesse l’Italia dovrà rinunciare al primato produttivo rispetto alla Francia dove le prime per il 2015 danno una produzione che si attesterà sui 46,6 milioni di ettolitri, in leggero calo (-1%) sul 2014, secondo l’Istituto del Ministero dell’agricoltura d’oltralpe. Se non ci saranno sconvolgimenti si prevede che la produzione Made in Italy sarà destinata per oltre il 40 per cento ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola. Nel primo quadrimestre del 2015 le esportazioni sono intanto aumentate del 6 per cento in valore, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, con il risultato che oltre la metà del fatturato realizzato dal vino quest’anno sarà ottenuto dalle vendite sul mercato estero.

Con l’inizio della vendemmia, sempre secondo le stime di Coldiretti in Italia si attiva un motore economico che genera quasi 9,5 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino e che da occupazione a 1,25 milioni di persone. La vendemmia 2015 interessa 650mila ettari di vigne, dei quali ben 480mila Docg, Doc e Igt e oltre 200mila aziende vitivinicole dove quest’anno rispetto al passato con la crisi si prevede la presenza di un maggior numero di italiani, soprattutto giovani, rispetto agli extracomunitari, come confermano le richieste di lavoro.

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Rosso di Montalcino Doc 2013, Val di Suga

(4 / 5)Un vino potente, caldo, asciutto. È il Rosso di Montalcino Doc 2013 della cantina Val di Suga Srl Grezzana, azienda vitivinicola del colosso Bertani Domains Srl (Tenimenti Angelini) che opera appunto anche nel Comune della provincia di Siena dove è consentita da disciplinare la produzione di questo noto vino italiano. Nel calice, il Rosso di Montalcino Val di Suga si presenta di un rosso rubino intenso, con riflessi violacei. Il naso è un incendio: una vera e propria invasione dei tipici sentori del Montalcino. Si avvertono la particolare vena legnosa, nonché i richiami ai piccoli frutti di bosco e alla ciliegia. Timida anche qualche nota di mandorla, che avvolge il naso e smorza piacevolmente gli altri sentori, addolcendo l’esperienza olfattiva. Al palato, il Rosso di Montalcino Val di Suga conferma l’antipasto offerto al naso, proponendosi come uno dei rossi tipici senesi più potenti e di qualità in commercio nella grande distribuzione italiana (leggi qui la recensione di un altro Montalcino). Alla buona tannicità, che fa presagire la possibilità di conservare ancora qualche mese l’annata 2013 senza stapparla, si accostano le note di ciliegia e frutti di bosco e more sotto spirito. Grande corpo, grande equilibrio, grande carattere. Perfetto l’abbinamento con i piatti della tradizione toscana, ma anche a primi piatti con ragù e secondi di carne, bianca e rossa (meglio però il maiale o il vitello).
Il Rosso di Montalcino Val di Suga è uno dei prodotti di punta nella Gdo del gruppo Angelini-Bertani, che in quattro diverse regioni d’Italiana detiene 350 ettari di vigneti per un totale di 500 ettari di terreni. Il giro d’affari nel 2013 ammonta a circa 20 milioni di euro di fatturato tra Belpaese ed estero, con 3 milioni di bottiglie smerciate. Tra gli obiettivi del gruppo Bertani, quello di produrre in Toscana vini con l’utilizzo in purezza del Sangiovese, senza l’utilizzo sempre più frequente di altri uvaggi, su tutti Cabernet e Merlot.
Prezzo pieno: 10 euro
Acquistato presso: Esselunga
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Pintoresco Tempranillo de España – Luis Gurpegui Muga

(2,5 / 5)Pintoresco Tempranillo de España di ‘bodegas’ Luis Gurpegui Muga è un discreto vino da tavola che, a buon mercato, offre al consumatore italiano un’idea di massima di quello che è il gusto del vitigno più diffuso in Spagna, il Tempranillo appunto. Non stiamo parlando quindi della migliore espressione di questo uvaggio, che offre il meglio di sé in Rioja piuttosto che in Extremadura, regione della Spagna al confine col Portogallo. Pintoresco di cantine Luis Gurpegui Muga viene poi imbottigliato a San Adrian, in Navarra, dove ha sede l’azienda vinicola del gruppo Berceo. Ma veniamo alle caratteristiche di questo vino reperibile nei nostri supermercati. Nel calice si presenta di un colore rosso granato, con riflessi violacei. Al naso Pintoresco risulta pieno, accattivante, anche se un po’ troppo vinoso. Si avvertono note di legno, cuoio e liquirizia, addolcita da note fruttate. L’assaggio è caldo, con un’iniziale morbidezza che diviene poi lievemente allappante. In bocca compaiono ammiccanti sentori di piccoli frutti di bosco, irrobustiti nel finale da ciliegie che paiono sotto spirito, lasciando spazio a spezie (pepe nero) e di nuovo richiami al cuoio e alla liquirizia. Un vino piuttosto complesso dunque, che pecca tuttavia in equilibrio. Un aspetto perdonabile se pensiamo alla personalità degli abitanti della penisola Iberica, che Pintoresco sembra voler emulare in forma ‘liquida’. Non a caso, la bodega Luis Gurpegui Muga definisce Pintoresco come un vino “attraente e molto spagnolo”.

Di certo è curiosa anche l’origine dell’uva Tempranillo, da cui si ottiene in purezza Pintoresco. Solamente negli ultimi anni, uno studio dell’Istituto della Vite e del Vino della Rioja e dell’Instituto Madrileno di Ricerca e Sviluppo rurale, agrario e alimentare (Imidra) ha stabilito che il Tempranillo discende dalle uve Albillo Mayor e Benedicto, coltivate già dall’anno Mille nella zona della Valle dell’Ebro, il maggiore fiume di Spagna, nonché il secondo dell’intera penisola Iberica. Per le sue caratteristiche, il Tempranillo si abbina alla perfezione con piatti di carne al sangue, ma anche a primi saporiti.

Prezzo pieno: 6 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Is Argiolas Vermentino di Sardegna Doc – Argiolas

È una di quelle bottiglie che conservi per le grandi occasioni. O, per lo meno, una di quelle che decidi di stappare solo dopo esserti assicurato – più e più volte – che il pranzo o la cena in questione, beh…ne siano “degni”. Parliamo di Is Argiolas, uno dei più pregiati Vermentino di Sardegna acquistabili al supermercato. E questa volta, la ‘fatica’ è toccata a un amico che capitava per vacanza dalle parti di Cagliari. Bottiglia commissionata ad hoc e consumata in occasione di una cena di pesce fresco, dall’aeroporto al secondo. Tutto perfetto, insomma. Così come perfetto è Is Argiolas, Vermentino di Sardegna che la casa vitivinicola di Serdiana (CA) cresce con cura nelle proprie tenute di Selegas, piccolo borgo di appena 1.500 anime situato nell’area del Trexenta. I terreni di conformazione calcarea e argillosi sono ben esposta alla luce del sole, anche durante l’inverno, che risulta mite e con precipitazioni sporadiche, a fronte di un’estate al limite del torrido, ma ventilata. È il terroir perfetto per un vitigno semi aromatico. Ma il segreto di Is Argiolas Vermentino di Sardegna sta nella selezione delle uve, durante la fase di raccolta che avviene alle prime luci del giorno. Le migliori vengono pressate delicatamente e raffreddate a 10-12 gradi, con successiva decantazione naturale. Questo Vermentino in purezza viene poi lasciato a contatto con lieviti rigorosamente autoctoni, per consentire una fermentazione che avviene a una temperatura controllata di 16 gradi dai 25 ai 30 giorni. Segue poi un’altra delicata fase di ‘riposo’ sulle ‘lies’, le frecce fini degli lieviti che hanno terminato la loro fase di fermentazione e che, in questa fase, contribuiscono a irrobustire l’olfatto del prodotto finale, conferendo aromaticità. Ed è proprio l’olfatto, robusto, complesso, ampio e armoNico una delle note che rendono Is Argiolas Vermentino di Sardegna un vino davvero unico nel panorama enologico dello stesso Vermentino. Si avverte il profumo intenso di fiori, di erba appena colta, di frutta (pesca) e di mare. Al palato Is Argiolas è fresco e allo stesso tempo caldo; delicato, eppure robusto; fine, eppure spesso dei suoi 14,5 gradi, che contribuiscono a rendere la bevuta una vera e propria esperienza sensoriale, a tutto tondo. Un vino che merita un posto di riguardo tra i grandissimi bianchi della grande distribuzione organizzata italiana, che non a caso è inserito da Argiolas nella propria linea denominata “Prestigio”, a differenza di un altro (seppur ottimo) Vermentino di Sardegna, il Costamolino Argiolas di cui già vinialsupermercato.it ha trattato negli scorsi mesi e inserito nella linea base, denominata “Tradizione”.

Prezzo pieno: 9 euro
Acquistato presso: Auchan

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Vini al supermercato

Chiaretto Doc, Valtenesi Civielle

(3,5 / 5) E’ la curiosità di degustare un altro prodotto bresciano, dopo l’ottima esperienza con il Lugana Valtenesi, che mi ha spinto all’acquisto di un altro vino della stessa cantina: il Chiaretto Valtenesi (Civielle – Cantine della Valtenesi e del Lugana, Moniga del Garda). Si tratta dunque questa volta di un rosato, che come il Lugana sa catturare l’attenzione sugli scaffali del supermercato per il suo colore: un rosso tenue eppure luminoso, che ricorda quello di un petalo di rosa. L’annata che prendiamo in considerazione è la 2014. Il Chiaretto Doc Valtenesi è ottenuto dal blend di Groppello, Marzemino, Sangiovese e Barbera, uvaggi che nella zona del Lago di Garda hanno trovato terreno fertile dove sviluppare caratteristiche uniche rispetto al resto del panorama enologico nazionale, grazie alla conformazione morenica delle colline su cui crescono i vigneti e a un miocroclima ideale. Risulta così al naso un bouquet primaverile ed equilibrato, con punte vinose (tutt’altro che fastidiose o insistenti) certamente conferite dall’utlizzo del Barbera. Interessanti le note di fragola, chiaramente percepibili sia al naso sia, successivamente, al palato. Evidenti anche le note profumate di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato, il Chiaretto Valtenesi è ancora più complesso e riserva la sorpresa di un finale carico, lungo, reso ancora più caratteristico dai sentori di lime e bucce d’uva, oltre che dall’apporto immancabile e distinto del Sangiovese.

Perfetto l’abbinamento con piatti di pesce di lago e di mare, verdure, antipasti e carni bianche: piatti leggeri, insomma, estivi. Non a caso, dunque, il Chiaretto fu uno dei primi vini a ottenere in Italia la Denominazione di Origine Controllata, già nel luglio 1967. Un vino che affonda le sue radici nel territorio lacustre della provincia di Brescia, la cui tecnica di vinificazione fu messa nero su bianco già nell’Ottocento dal senatore veneziano Pompeo Molmenti, residente a Moniga del Garda. E’ la cosiddetta tecnica della ‘levata di cappello’, che consiste nel separare – a poche ore dalla soffice pigiatura delle uve – il mosto dalle bucce. Si tratta di un’operazione molto complessa e che richiede grande esperienza da parte dei vinificatori locali, in quanto la scelta del momento esatto per dividere mosto e bucce determina la corretta colorazione del vino e la tenuta stessa del colore del miglior Chiaretto, una volta imbottigliato. Tecnica che conoscono bene gli 80 soci della Valtenesi, che tengono alta anche nella grande distribuzione italiana, la bandiera dei vini di qualità.

Prezzo pieno: 6,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Terre d’Oltrepò di Broni: scandalo tra i vini Doc, Igp e Igt del Pavese in Lombardia

“Un Po’ di pazienza. Il nuovo sito sarà online a settembre”. O forse no. Nelle scorse ore, Guardia Forestale e Guardia di Finanza hanno perquisito la sede dell’azienda vinicola Terre d’Oltrepò, in via Sansaluto 81, a Broni, provincia di Pavia. Lo riferisce una nota dell’Ansa, secondo la quale sarebbero stati effettuati sequestri di vino all’interno della cantina, per un quantitativo totale di 16 milioni di litri di vino sfuso e settecentomila bottiglie.

L’intera annata 2014 della maggiore società cooperativa del settore in Lombardia è sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti con l’ipotesi di aver tentato di “commercializzare imponenti quantitativi di Doc, Igp e Igt dell’Oltrepò Pavese, per origine, provenienza e qualità diverso da quello dichiarato e del tutto incompatibili con l’effettiva quantità e qualità di uva prodotta e conferita dai soci” della cantina.

L’inchiesta, partita nel novembre 2014, ipotizza un giro d’affari fraudolento per un ammontare totale di circa 20 milioni di euro. In sostanza, è come se un Barolo venisse prodotto e commercializzato con uve non Nebbiolo, indicate però in etichetta, sulla base del disciplinare. Proprio negli ultimi giorni, la cantina Terre d’Oltrepò aveva iniziato una massiccia campagna pubblicitaria e sui social network, come Facebook, dove può già vantare oltre 3.500 iscritti. Le autorità competenti escludono comunque rischi per la salute dei consumatori.

 

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La Cala Vermentino di Sardegna Doc , Sella e Mosca

(3 / 5)“La Cala deriva il proprio nome della celebre insenatura della costa nord di Alghero, caratterizzata dalla presenza di particolari rocce viola continuamente erose dalle onde marine”. Presentazione ad hoc quella sull’etichetta di La Cala Vermentino di Sardegna Doc, della nota cantina Sella e Mosca di Alghero, Sassari. Vino dai profumi e dai sapori contrastanti, ma perfettamente bilanciati, che è stato in grado di aggiudicarsi premi e riconoscimenti internazionali per l’annata 2013 (medaglia di bronzo al Decanter World Wine Awards), un altro bronzo all’International Wine Challenge e per il Gambero Rosso per l’annata 2011, nonché giuidizi più che soddisfacenti (86/100, Robert Parker) dal The Wine Advocate per le annate 2010 e 2011. Quella che oggi finisce sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è l’annata 2014, la più ‘fresca’ – dunque – reperibile sugli scaffali dei supermercati italiani. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, il Vermentino di Sardegna Doc La Cala è contrastante al naso: si avvertono sentori minerali, amabilmente affiancati ai sentori floreali e aromatici del vitigno in questione. Al palato, questo Vermentino rivela sapori salini, mitigati in un’altalena di sensazioni fruttate: si avverte la pesca, l’albicocca, il limone. Il finale è lungo e piacevolmente morbido. L’abbinamento perfetto è con i secondi di pesce della tradizione sarda, così come con molluschi, ostriche e primi piatti impreziositi da conchigliacei e crostacei.

Sella e Mosca ottiene questo vino dalle proprie tenute site sul versante Nord Est di Alghero, su terreni ti tipo alluvionale. Le uve vengono raccolte nell’arco dei primi 15 giorni del mese di settembre, per essere macerate a freddo (mantenendo così l’aromaticità tipica del vitigno di origine spagnola, che ben si è adattato ormai al clima sardo). Il mosto così ottenuto da lieve spremitura viene lasciato a ‘riposare’ e fermentare, costantemente a bassa temperatura controllata. Il Vermentino Doc La Cala fa parte della linea “Radici sarde” di Sella e Mosca, azienda fondata nel 1899 da due avventurieri piemontesi che procedettero a una ciclopica bonifica di terreni della zona de I PIani. Ad oggi, questa storica azienda sarda può vantare 541 ettari di vigneti.

Prezzo pieno: 4,50 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Serché Barbera del Monferrato Superiore 2012 – Cantina produttori del Monferrato

(4,5 / 5) Abituati al Barbera come vino frizzante, il Barbera del Monferrato Superiore Serché Docg della Cantina produttori del Monferrato saprà sorprendervi e deliziarvi. E non solo perché si tratta di una versione ‘ferma’ di Barbera, ovvero non frizzante. Ma sopratutto perché questa bottiglia, praticamente introvabile nel mondo della grande distribuzione italiana, va certamente annoverata tra le migliori con un prezzo inferiore ai 10 euro. Insomma: provatela. Di colore rosso granato, Serché evidenzia sin da subito le caratteristiche di un vino piemontese di gran carattere. Al naso è profondo, con sentori di frutti di bosco a bacca nera, impreziositi da note di spezie (pepe nero) e legno, grazie l’affinamento in barrique. In solo aggettivo per riassumere le sensazioni olfattiva: etereo. All’assaggio, Serché è asciutto, ampio. Vino di gran corpo, di grande struttura ed equilibrio tra le note fruttate e quelle più ‘asciutte’, di spezie e legno. Sorprendente per lunghezza, è in grado di esaltare magnificamente piatti di carne rossa al sangue o di selvaggina. Tutte caratteristiche che si ritrovano nei grandi Barbera Superiore del Piemonte.

Si tratta di una Denominazione di origine controllata e garantita della zona collinare piemontese che si estende tra  le province di Alessandria e Asti. Terreni argillosi, ricchi di limo, sabbia e calcare che regalano appunto vini unici. La raccolta delle uve avviene in maniera manuale. La vinificazione prevede una fase di macerazione di otto giorni, con mescolamento automatizzato e stabilizzazione naturale a freddo. Segue poi una fase di affinamento di almeno 6 mesi in piccole barrique di rovere, prima dell’affinamento in bottiglia. Serché è senza dubbio il vino rosso di punta nei supermercati della Cantina  Produttori del Monferrato, azienda cooperativa sociale nata nel 1950 a Rosignano del Monferrato, in provincia di Alessandria, dall’unione di alcune cantine della zona. Non a caso fu una delle prime, nel 1975, a dotarsi in Piemonte di un impianto di termovinificazione per l’ottenimento di vini più fini e a minore contenuto di alcool metilico. Ad oggi risultano iscritti 1.070 soci, in grado di conferire qualcosa come 2 milioni e 800 mila quintali di uve atte alla vinificazione.

Prezzo pieno: 7,39 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Lugana Doc 2014 – Cantine della Valtenesi e del Lugana (Civielle)

(3,5 / 5) Molto più di un bianco. In sistesi estrema, è questa la frase che meglio rappresenta il Lugana Doc di Civielle, Cantine della Valtènesi e della Lugana di Moniga del Garda, in provincia di Brescia. Un vino sontuoso, in grado di reggere il confronto – nonostante il buon prezzo: poco più di  6 euro, ben spesi – con vini ben più “blasonati” o di cantine storiche come la veronese Sartori, anch’essa produttrice di un buon Lugana. Come recita il ‘claim’ di vinialsupermercato.it, il nostro compito è quello di guidare i clienti dei supermercati nell’acquisto di vini buoni e (possibilmente) anche a buon prezzo. Dunque, a volte, occorre sbilanciarsi. Se insomma foste alla ricerca di un buon Lugana, con quello di Civielle fareste certamente una scelta più che appagante. E vi spieghiamo il perché, con i dettagli di questa produzione derivante dal vitigno Turbiana, noto anche come Trebbiano di Lugana o Trebbiano di Soave. Nel calice, il Lugana Doc di Cantine della Valtenesi si presenta di un colore verdolino sgargiante. Al naso inizia subito a catturare l’attenzione con sentori caratteristici di legno, uniti a note aromatiche di salvia e semi di finocchio. In bocca questa Lugana è inizialmente fresca e minerale, ma tende a diventare corposa avvicinandosi al finale, che pare quasi speziato. Le note legnose e quelli tendenti alla liquirizia sono percepibili anche dai palati meno esperti. Ed è una vera e propria eccezione, in quanto la bottiglia in questione è di un Lugana base, vino che a differenza delle versioni “Superiore” e “Riserva” non subisce alcun affinamento. Anzi, trattasi di un vino d’annata, da bere giovane, possibilmente nell’arco dello stesso anno indicato sull’etichetta. La qualità di questo assaggio, lascia tuttavia presagire la possibilità di invecchiare la Lugana base Civielle almeno per altri 6 mesi, con gli stessi ottimi risultati. Caratteristiche, queste, che vengono conferite direttamente dai particolari terreni argillosi presenti nella zona di produzione, quella meridionale dello splendido Lago di Garda, a cavallo tra le province di Brescia e Verona e delle regioni Lombardia e Veneto.

Tirando le somme, Lugana Doc di Cantine della Valtenesi e del Lugana è un’ottima scoperta. L’abbinamento, letteralmente perfetto, è con piatti di pesce di lago o di mare. Ma provatelo anche con delle pennette al salmone, impreziosendo il tutto con pomodorini freschi, un filo di panna, erba cipollina e un buon olio steso a crudo. Sarà un successo assicurato. Un grande prodotto reperibile tra gli scaffali del supermercato. E del resto non poteva che essere così, per una cantina fondata nel 1920 dal grande Nino Negri, che oggi ha saputo mantenersi al passo coi tempi, investendo peraltro nel rispetto dell’ambiente, con la produzione di vini biologici.

Prezzo pieno: 7,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Pinot Bianco Friuli Grave Doc 2014, Forchir

(4 / 5)Vino di punta in Germania, fiore all’occhiello nel nostro Alto Adige, il Pinot Bianco è un vino dalla storia controversa. Solo di recente, infatti, si è scoperto che non deriva da una “mutazione” del Pinot Grigio, bensì dal suo “fratello rosso”: il Pinot Nero. E oggi, sotto la lente d’ingrandimento di vinialsupermercato.it, finisce in particolare il Pinot Bianco Fiuli Grave Doc di una grande azienda friulana: la Forchir di Pordenone, che lo produce e imbottiglia – per l’esattezza, come da disciplinare – a San Giorgio della Richinvelda. Le rese molto basse per ettaro di questo uvaggio sui terreni alluvionali, calcarei o dolomitici della zona, ne costituiscono il segreto del successo qualitativo rispetto ad altri territori in cui storicamente il Pinot Bianco è stato esportato. Il Pinot Bianco Friuli Grave Doc di Forchir si presenta nel calice di un colore giallo paglierino intenso, sgargiante. Al naso fa presagire note minerali, che poi spiccheranno all’assaggio, conferendogli una certa eleganza. A tali note minerali si accostano sentori di frutta: pesca, albicocca mela e mandorla, che regala un finale lungo, deciso, quasi tostato. La vinificazione avviene per maceratura a freddo delle bucce, con pressatura soffice e macerazione a temperatura controllata. Segue poi la fase di affinamento, in apposite vasche di acciaio. Si tratta di un vino che fino a una ventina di anni fa veniva accostato, almeno in Italia, allo Chardonnay, tanto da essere chiamato “Pinot-Chardonnay”. In realtà, anni di esperienza dei viticoltori italiani hanno reso ormai questo uvaggio ben differente. Forse non nobile come i Pinot bianchi alsaziani, ma comunque una buona bevuta da accompagnare a un antipasto o a minestre, oppure a piatti di pesce anche ben elaborati.

Prezzo pieno: 6,20 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Viognier Terre Siciliane Igt 2013 – Barone di Montalto

(4 / 5) Di nuovo una grande soddisfazione dai bianchi di Sicilia acquistabili al supermercato. Oggi, sotto la lente di vinialsupermercato.it, c’è il Viognier Terre siciliane Igt di Barone di Montalto, annata 2013. Un vino che si presenta sugli scaffali in una veste accattivante: bottiglia trasparente, elegante, che lascia brillare d’un giallo sgargiante, quasi d’oro, il prezioso contenuto. “Prezioso” soprattutto per la qualità, perché il prezzo è più che abbordabile (soprattutto se si riesce a reperire questo prodotto in promozione). Veniamo alle specifiche. Il Viognier Terre Siciliane Igt Barone di Montalto si presenta nel calice del colore sopra descritto. Al naso è molto caratteristico: si fanno avanti pesca, albicocca, banana, miele e fiori bianchi. Un bouquet particolare, che cattura l’attenzione per aromaticità. Al palato dominano indiscutibilmente le note fruttate: ecco di nuovo la pesca, molto persistente, accanto a sentori di albicocca. Le note di limone e agrumi, percepibili nel finale, sono precedute da sentori esotici di banana e melone, che rendono quasi scontato l’accostamento di questa bottiglia ad altre con uvaggio Chardonnay. L’abbinamento perfetto è quello con il pesce crudo: provatelo con il sushi, o con altre pietanze crude della tradizione giapponese. Ottimo anche con l’etnico cinese, per la vicinanza alle note dolciastre e agrumate di alcune salse. Da provare anche come aperitivo o accostato a formaggi (di capra, per esempio) di media stagionatura.

Questa bottiglia rappresenta pressoché un “unicum” nel panorama delle ‘enoteche’ della grande distribuzione organizzata. Merito dell’uvaggio utilizzato: quel Viognier così raramente reperibile al supermercato. La Barone di Montalto Spa lo ottiene dalle proprie vigne situate nella Valle del Belice, più esattamente nella cantina di Santa Ninfa, in provincia di Trapani. Si tratta di un vitigno francese, originariamente diffuso solamente nella valle del Rodano, che ha conosciuto un grande successo sin dalla metà degli anni Novanta, cominciando a essere coltivato anche in altri Paesi. Per caratteristiche climatiche e morfologiche, la Sicilia si presta a ottime produzioni. Eppure, una ricerca condotta negli Usa ha dimostrato una forte somiglianza genetica del Viognier con un vitigno tipico del Piemonte: la Freisa, a sua volta parente del Nebbiolo (da cui nascono grandi vini come il Barolo e il Barbaresco).  Così come nella tradizione originaria, il Viognier Barone di Montalto viene lavorato in una prima fase a freddo, per mantenerne le caratteristiche organolettiche e aromatiche. Le uve vengono pressate e lasciate a contatto con le bucce per 12 ore alla temperatura di 4 gradi, per poi passare alla macerazione in botti di acciaio, a una temperatura che non supera i 14 gradi. L’affinamento dura circa 3 mesi, con rimescolamenti (batonnage) di cadenza settimanale.

Prezzo pieno: 6,65 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Pinot nero vinificato in bianco vivace Oltrepo’ Pavese Doc – La vinicola Broni

 Il Pinot nero vinificato in bianco de La Vinicola Broni è un vino bianco di grande tradizione nella zona di produzione di questa Denominazione di Origine controllata: l’Oltrepò Pavese. Si fa apprezzare per la sua leggerezza e versatilità, che lo rende adatto come aperitivo ma anche come accompagnamento a tutto pasto: dai primi piatti leggeri, passando da primi di pesce o di carni di pollo e maiale, sino al contorno e infine al dolce. Un vino, dunque, che non offre particolare attrattiva olfattiva né gustativa, ma che spicca per capacità di adattamento e freschezza. Nel calice si presenta di un colore giallo paglierino con lievi riflessi verdognoli, velati da leggere bollicine. Il naso è piuttosto piatto, anche se si avvertono le note floreali caratteristiche del vigneto. All’assaggio, il Pinot nero vinificato in bianco de La Vincola Broni si presenta sapido, con note fruttate di albicocca e pesca e un retrogusto agrumato piuttosto persistente. Il finale è morbido, lievemente ammandorlato. La temperatura di servizio adatta è di 8 gradi, fino a un massimo di 10 gradi. La vinificazione in bianco si ottiene separando le bucce dal pestato, durante la fase di pressaggio. Il mosto viene poi lasciato a riposare a una temperatura controllata di 5-6 gradi. Va bevuto giovane, per apprezzarne meglio l’aromaticità e la freschezza.

La Vinicola Broni è la più antica azienda di produzione vinicola del territorio Oltrepadano. Fondata a Broni, piccolo Comune di 10 mila anime in provincia di Pavia, nel 1948 dal padre dell’attuale amministratore delegato, Roberto Calì, la Vinicola Broni si trova nel centro vitivinicolo dell’Oltrepò, zona collinare 50 chilometri a sud da Milano, a ridosso della Pianura Padana al confine fra l’Emilia ed il Piemonte. “Una grandissima tradizione enologica unita ad un’équipe di esperti enologi e cantinieri della zona – si legge sul sito Internet aziendale – fanno di quest’azienda un equilibrato mix di moderna tecnologia e grande tradizione, da cui nascono tre linee di vini, per noi sinonimo di passione ed armonia. Passione che sfocia anche nell’ambito sportivo quando nel 1958 La Vinicola Broni porta al Giro d’Italia con il capitano Aldo Moser ed il direttore sportivo Cosante Girardengo la squadra Calì-Broni Girardengo”. Un’armonia esaltata anche dalla produzione di vini spumanti e vini barriccati, premiati nei concorsi enologici Spumanti d’Italia della Valdobbiadene (Veneto) e Talento d’oro dell’Oltrepò Pavese (Lombardia). Oggi l’azienda dispone di uno stabilimento di 10 mila metri quadrati a Broni e di una cantina di pigiatura a Santa Maria della Versa, con una produzione di circa un milione e mezzo di bottiglie a Denominazione di Origine controllata all’anno.

Prezzo: 5 euro
Acquistato presso: Carrefour
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Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Dop – Falesco

(3,5 / 5)Avete presente i messaggi arrotolati in una bottiglia e lasciati da qualcuno in balia del mare, fino ad essere scoperti e letti su una spiaggia, magari dall’altra parte del mondo e a distanza di diversi anni? Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Falesco è un po’ anche questo. Una bottiglia che racchiude una storia. In stato liquido, sì. Ma pur sempre una storia. Una di quelle che ti portano indietro negli anni. Al tempo dei re e dei cavalieri, dei papi e dei loro servitori. Correva l’anno 1111 quando il vescovo Johannes Defuk, al seguito dell’esercito di Enrico V di Franconia, percorreva la strada che dall’Europa centrale portava a Roma, dove il condottiero tedesco doveva incontrare papa Pasquale II, per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. Il vescovo, grande appassionato di vini, desideroso di scoprire nuovi sapori, aveva incaricato il suo coppiere – un funzionario di alto rango – di precederlo sulla via per Roma, degustando per lui il vino nelle varie osterie. Qualora il vino fosse stato buono, il coppiere avrebbe dovuto scrivere fuori dalla locanda la parola “Est!”, ovvero “c’è!”. Se il vino fosse stato ancora più buono, la formula sarebbe stata “Est! Est!!”. Il servitore riempì le porte delle locande con le due formule, ma solo a Montefiascone – alle porte di Roma – scrisse quello che il vescovo sperava di trovare: “Est! Est!! Est!!!”. Ovvero: qui “c’è vino eccellente!”. Narra la leggenda che il vescovo, condividendo il parere del coppiere, volle trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Montefiascone, dove morì – si narra – in seguito a un coma etilico. E a Montefiascone fu seppellito, nella chiesa di San Flaviano. Sulla lapide si legge l’incisione: “Per il troppo Est! Qui giace morto il mio signore Johannes Defuk”. Leggende a parte, il “Falesco”, così come viene rinominato Est! Est!! Est!!!, è un prodotto che merita la fama guadagnata grazie a questa leggenda, al di là del marketing correlato. Si tratta di una denominazione di origine protetta di Viterbo e provincia, nell’alta Tuscia, nei Comuni di Comuni di Montefiascone, Bolsena, San Lorenzo Nuovo, Grotte di Castro e Gradoli.
 
E grazie al sapiente mixaggio di uve Trebbiano (50%), Malvasia (20%) e Roscetto (20%), cresciute a un’altezza di 300 metri sul livello del mare. Sotto la lente di vinialsupermercato.it, l’annata 2014. Di colore giallo paglierino brillante, Est! Est!! Est!!! di Montefiascone si presenta al naso molto vinoso, con richiami fortemente e piacevolmente aromatici. All’assaggio emergono note fruttate ben equilibrate, che si sposano con l’ottima acidità  e sapidità. Fondamentale, in questo senso, l’apporto aromatico-esotico dell’uvaggio Roscetto, che ammorbidisce e ingentilisce il palato assieme alla Malvasia. Un vino da servire una temperatura non superiore ai 12 gradi, che può fungere da eccellente aperitivo ma che è in grado di accompagnare egregiamente anche piatti di verdure cotte e pesce.
 
Entrando più nello specifico, Est! Est!! Est!!! di Montefiascone si ottiene da viti con un’età media di 18 anni. La fermentazione avviene in botti di acciaio Inox, a una temperatura di 18 gradi, con l’aggiunta di lieviti indigeni. Viene saltato il passaggio della fermentazione malolattica, in favore del successivo affinamento in bottiglia. Falesco è il marchio della famiglia Cotarella, fondato negli anni Sessanta, “quando Antonio e Domenico Cotarella – si evince sul sito aziendale – viticoltori in Monterubiaglio, hanno realizzato la prima cantina per la produzione in proprio di vino. I fratelli Renzo e Riccardo Cotarella, entrambi enologi cresciuti in una terra di lunghe tradizioni vinicole, spinti dalla passione del padre Domenico, hanno poi fondato nel 1979 l’attuale Falesco, trasformando quella che era una piccola azienda familiare in un’impresa di successo da lasciare alle generazioni successive”. “Gli investimenti effettuati da allora – continua la nota di Falesco – sono stati indubbiamente di grande entità, ma oggi, a distanza di oltre trent’anni, possono considerarsi ampiamente ripagati, soprattutto in termini affettivi. Nell’azienda di famiglia, infatti, lavorano attualmente le figlie Dominga, Marta ed Enrica, riversandovi lo stesso entusiasmo e coinvolgimento dei loro padri. La quarta generazione di nipoti, poi, lascia intravedere un futuro altrettanto importante per il marchio”.
 
Prezzo pieno: 4,79 euro
Acquistato presso: Esselunga
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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Alla scoperta dei vini e delle cantine di Cipro

Le valigie scorrono lente verso i legittimi proprietari sul rullo bagagli del Terminal 1, aeroporto Milano Malpensa. D’un tratto, la mente vola indietro di qualche giorno. Vuoto d’aria. Flashback. Pedro, uno degli eredi titolari della Vouni Panayia Winery, ripone con cura in un elegante cartonato una bottiglia di Barba Yiannis. “Here you are, enjoy it”. Stretta di mano, saluti di rito. E da quello stesso istante non pensi ad altro che al viaggio che, quella bottiglia di fragile vetro, dovrà affrontare nella stiva dell’aeromobile di compagnia Aegean, col quale sei appena atterrato a Milano dopo una settimana di vacanza sull’isola di Cipro. La Dea bendata sembrerebbe stata benevola. Fronte e retro, la valigia è pulita. Nessuna macchia viola, di vino infranto. Check definitivo: Barba Yiannis ce l’ha fatta. Sì. Dio benedica il pilota. Una settimana di vacanza a Cipro può bastare per fare la conoscenza dei migliori prodotti delle vigne cipriote.

E alla Vouni Panayia Winery, al 60 di Archiepiskopou Makariou III Avenue, nel villaggio di Panayia, distretto di Paphos, Cipro centro-occidentale, la bandiera dell’enologia isolana viene tenuta alta sin dalla fondazione, avvenuta nel 1987 su intuizione di un uomo formatosi al dipartimento di Viticultura e Enologia del Ministero dell’Agricoltura di Cipro, Andreas Kyriakides. Oggi, ad accogliere i numerosi visitatori di tutto il mondo dietro al banco degustazioni della casa vinicola, c’è Pedro. Terza generazione, stessa passione. E una invidiabile formazione enologica, portata a termine niente meno che in Toscana.

VOUNI PANAYIA WINERY
               
Calice e piattino di formaggi locali: la degustazione dei vini dell’azienda di famiglia può cominciare. Le uve utilizzate sono tutte autoctone di Cipro. Si parte ovviamente dai bianchi, con Alina: dalle uve Xynisteri nasce un vino delicato, soave. Al naso emergono note di frutta esotica, pesca e limone. A dominare il palato sono appunto i sentori aciduli, che lasciano spazio a un finale più fruttato. Il secondo calice viene riservato a una “chicca” di Panayia: Spourtiko, nome del vino ottenuto dalla medesima uva, coltivata unicamente dalla famiglia Kyriakides nei vigneti di proprietà, nel cuore dei monti Troodos. Di colore giallo trasparente, Spourtiko risulta più secco di Alina.

Sentori di mela e finale lungo. Tocca poi a Promara, bianco più “importante”, affinato per due mesi in botti di rovere francese. Naso pieno, di frutta tropicale. La stessa percepibile al palato, in un finale delicatamente citrico. Quarto e ultimo bianco degustato: Alina medium dry. Uve Xynisteri, come per l’Alina “base”, ma in questo caso coltivate a un’altitudine superiore, tra gli 800 e i 1150 metri sul livello del mare, in suoli prettamente calcarei.

Ne risulta un bianco dalle note piacevolmente minerali. Sorprendente il finale, tendente al mieloso su note di arancia e limone. La degustazione prosegue con un rosato dal nome esotico, Pampela. In realtà si tratta di un blend di uve autoctone di Cipro, Maratheftiko e Mavro. Di colore rosso sgargiante, luminoso, si presenta al naso con carattere: si percepiscono note di ciliegia, fragola, arancia matura e melograno. Al palato è ricco, pieno, equilibrato, anche nel finale, lungo e fruttato.

Capitolo vini rossi. Quello di Barba Yiannis, per intenderci. Un amore sbocciato dopo l’assaggio di Plakota, il primo dei red wines proposti da Pedro. Siamo di fronte all’ennesimo blend, questa volta di tre differenti uvaggi: Maratheftiko, Mavro e il mai citato Ofthalmo. Un rosso aromatico, fruttato, che ricorda alcuni Cannonau sardi. Ciliegia, mora e mirtillo al naso; prugna al palato, delicato e tondo.

E infine, Barba Yiannis. Eccolo, il re dei vini Panayia. Di colore rosso impenetrabile, profondo, regala al naso decisi sentori fruttati e terziari, conferiti dall’affinamento. Il palato è elegante, pulito, asciutto. Chiaro il tocco della barrique francese, in cui Barba Yiannis riposa dodici mesi, affidandosi prima dell’imbottigliamento. Tredici gradi per un vino piacevolmente caldo, in cui spuntano neppure tanto timidamente vaniglia e cioccolato. Sorprendente.

Da provare. Pedro accompagna poi i visitatori nel sul regno: lo stabilimento della Vouni Panayia Winery. “Per me, per noi – dichiara timido, ma con orgoglio – fare vini non è semplicemente un modo come un altro di ‘fare impresa’, bensì un vero e proprio stile di vita. Qualcosa che ormai abbiamo nel sangue da diverse generazioni”.

E la si può toccare con mano questa passione. La si percepisce chiaramente tra le botti di acciaio dove le uve subiscono i primi trattamenti dopo la vendemmia, a cavallo tra i mesi di settembre e ottobre. Sullo stanzone veglia un dipinto di Dioniso, la divinità che – secondo il mito – insegnò agli uomini l’arte di produrre vino. Si scende poi sotto il livello del suolo. Ancora più nel cuore dei monti Troodos.

Qui riposano le bottiglie di vino Panayia, ordinatamente riposte in posizione orizzontale, come a formare un mosaico di sapori e profumi solo da scoprire. Poco lontano, due operai sistemano con cura le sei bottiglie che compongono ogni cartone di vino. Trecento ogni ora. “Quasi tutti i nostri macchinari provengono dall’Italia – evidenzia Pedro, sorridendo e ammiccando gli ospiti di Milano – e in particolare sono prodotti da un’azienda del Veneto”.

Regna il silenzio poco oltre, quando il giovane mostra la stanza delle barrique francesi. Sembra di percepire il sonno operoso dei vini. “Utilizziamo solo due volte ogni botte – spiega Pedro – e poi la rivendiamo ad altri produttori locali di vino, che le utilizzano per l’affinamento di vini liquorosi come la tradizionale Commandaria, o liquori come la Zivania (Zibania)”.

Le barrel hanno una capienza tra i 200 e i 250 litri e sono collocate in una stanza a temperatura naturale di 18-20 gradi. Ultima tappa della visita ai ‘sotterranei’ della Vouni Panayia è il museo dei vini prodotti in loco, dove è possibile ammirare la prima bottiglia, datata 1990. Il tour è finito, ed è già ora di tornare verso Paphos.

Non prima di aver ammirato la pineta che circonda le vigne della Vouni Panayia Winery, che si estendono su una superficie di oltre 25 ettari, lavorati prettamente a mano, con l’ausilio di un piccolo trattore (un ambiente protetto, che aderisce al network “Life, Natura 2000).

Vigne che ogni anno consentono la produzione di 300 mila bottiglie di vino. Rigorosamente autoctono, unicamente cipriota. Distribuite anche nei supermercati locali, comprese le grandi catene internazionali della grande distribuzione organizzata (Gdo), come il gruppo francese Carrefour.

KAMANTERENA SODAP LTD WINERY
Il wine tour prosegue più a valle. E l’esperienza alla Kamanterena – Sodap Ltd Winery si può racchiudere tutta in un aggettivo: vulcanica. Merito di Irene Georgiu, la tour guide che ci accompagna nella degustazione, mescolando la propria passione per i vini ciprioti a nozioni di vita privata e battute degne d’un comico di Zelig.

Un metro e cinquanta di pura elettricità, umanità e simpatia. E quel fare materno che con guasta, se accostato tanto ai vini quanto agli ospiti. Ma cominciamo con il contestualizzare. Ci troviamo esattamente in località Stroumbi, nel distretto di Paphos, all’interno di una cooperativa sorta in loco nel 2004, ma che unisce dal 1947 oltre diecimila famiglie di produttori di vino di tutta l’isola di Cipro.

Siamo a un’altezza di circa 600 metri sul livello del mare, nella casa di una pluripremiata impresa vitivinicola, capace di aggiudicarsi premi internazionali al Decanter World Wine e all’International Wine & Spirits Competition, grazie a un sapiente mixaggio delle uve autoctone con quelle internazionali (Shiraz, Cabernet Sauvignon, Merlot, Semillon). Per intenderci: 2 milioni di bottiglie prodotte mediamente all’anno.

Il biglietto da visita con il quale il gruppo Sodap, secondo indiscrezioni, sta tentando di allettare nuovi soci o acquirenti, navigando finanziariamente in acque che non sarebbero limpide come quelle del mare di Cipro. E mentre alcuni colossi bancari stanno alla finestra, i vini prodotti nello stabilimento di Stroumbi continuano a essere esportati principalmente in Paesi come Danimarca (Horsholm e Rodding), Spagna (La Jonquera), Belgio (Woluwe Saint Lambert).

E ancora Grecia (Atene), Germania (Berlino), Giappone (Tokyo), Australia (Sydney), Stati Uniti d’America (New York e Florida), Francia (Orlienas), Svezia (Solna) e Repubblica Ceca (Praga). Una vocazione internazionale, quella di Kamanterena Sodap, che si riflette appunto sull’assortimento di vini commercializzati e proposti in degustazione.

Ed ecco addentrarci nell’affaire dell’istrionica Irene Georgiou. La prima bottiglia che stappa è uno Xynisteri della linea Kamanterena. Un bianco secco, di colore giallo paglierino intenso, con riflessi verdi. Naso energico, palato accattivante e astringente: mela verde, limone e lime.

Dodici gradi: più leggero di altri Xynisteri, ma più pulito e lungo nel finale. Passiamo poi all’assaggio di Arsinoe 62, un altro vino derivato da uve dell’autoctono Xynisteri, selezionate appositamente nella zona di Laona, nel distretto di Paphos. L’affinamento in bottiglia ne migliora l’aromaticità e lo rende il miglior accompagnamento testato in loco ai piatti di pesce e carne di pollo dei tradizionali Meze di Cipro.

E mentre Irene stappa il primo rosso, alla Sodap inizi a sentirti un po’ come a casa, coinvolto dalle storie di vita vissuta di questa straordinaria donna, di origini turche, con legami di sangue in Romania. E che ha vissuto per diversi anni persino in Canada.

Nel cielo dell’ampia stanza adibita a enoteca, Irene culla un calice d’un rosso di cui l’azienda va fiera: il Maratheftiko della linea Stroumbeli. “Il nostro enologo – spiega la guida, tenendo gli occhi fissi su quel calice – tiene molto alla perfetta ossigenazione dei vini, prima dell’assaggio. In questo momento sarebbe fiero di me”.

La risata che segue è incredibilmente contagiosa. Il Maratheftiko offerto risulta in effetti un ottimo esempio della potenza che può offrire quest’uva cipriota. Di colore rosso intenso, profondo, esprime un elegante profumo di frutti di bosco, cuoio e legno.

Il palato è asciutto, pulito, con un finale in cui emerge tutto il carattere della barrique francese, resa ancora più elegante dalla vaniglia. Irene passa poi ai blend. E’ il momento di assaggiare un altro “pezzo da 90”: il blend tra Maratheftiko e Cabernet Sauvignon cipriota, della linea Mountain Vines. Nel calice si presenta di un rosso intenso, tendente al viola.

Colpisce l’intensità delle note fruttate, che abbracciano sentori di legno affumicato. Al palato si presenta complesso, ricco, lungo: si avvertono note di frutti di bosco e barrique. I tannnini risultano eleganti, caratteristici del Cabernet. Un bel mix, a metà tra Francia e Cipro. Ultimo assaggio: tocca allo Shiraz della linea Stroumbeli.

Un bel rischio, quello corso da Irene, dal momento che ho subito precisato di non amare gli Shiraz “moderni” diffusisi come funghi negli ultimi dieci anni, in ogni angolo del Pianeta – rimanendo fedele al gusto di quelli siciliani. Ma quella di Irene è una scommessa vinta.

Già, perché lo Shiraz Stroumbeli della Kamanterena Winery Sodap Ltd è incredibilmente fedele alla tradizione italiana, più che a quella francese. Non presenta, per esempio, alcuna nota dolciastra, che caratterizza gli Shiraz francesi (forse più internazionali di quelli siculi, ma certamente meno fedeli al terroir). E, a completare l’opera, il profumo che si diffonde nel calice è magico: intenso, caldo, con spiccate note speziate e rinfrescanti sentori di menta e pepe.

All’assaggio, questo rosso si presenta molto ben strutturato: buono il corpo e decisamente soddisfacente la lunghezza, in un crescendo di spezie e frutti di bosco a bacca scura. Sarebbe stato meraviglioso poterlo accorstare, all’istante, a un buon filetto di carne al sangue. Ma questo è il momento dei saluti, che con Irene non può essere che quello di un sentito, accorato “arrivederci”.

KEO
Parlare di vini di Cipro non può prescindere dal raccontare un’altra realtà: quella di Keo. La sede di produzione si trova nella parte centro-meridionale dell’isola, a Limassol (in italiano, Limisso), seconda città dello Stato di Cipro per numero di abitanti (circa 190 mila).

Lo stabilimento principale è collocato a poca distanza dal porto, ma esistono attualmente altri due poli di produzione, uno a Mallia e l’altro a Pera Pedi, sui monti Troodos, nella regione di Krasochoria. A Limassol l’azienda ‘sforna’ attualmemente 30 mila ettolitri di birra al mese, mentre nelle altre due sedi viene prodotto vino.

La conoscenza con Keo avviene non appena sbarcati sull’isola, dove in ogni angolo sono presenti pubblicità di questo colosso. Il primo bacio avviene quasi spontaneamente, nel primo locale di Cipro dove il turista sosta alla ricerca di refrigerio. La birra Keo è una lager leggera che deve competere soltanto con un altro prodotto: la birra Lion. Ma il confronto con questa superpotenza del settore è improponibile.

Èquasi raro trovare qualche ristorante o chiosco che abbia entrambe in lista. Il risultato è che Keo opera in un regime di quasi totale monopolio sull’isola. E di conseguenza i prodotti risultano poco tipici, poco ciprioti, troppo internazionali (nel senso negativo del termine) e troppo “chimici”.

Nei vini Keo, acquistabili in ogni catena di distribuzione di Cipro, sia essa nazionale o internazionale (Carrefour, per intendenrci) si avverte un utilizzo smodato dei solfiti. In sintesi: due bicchieri e sei KO. Anzi, KeO. Un esempio? Provate lo Xynisteri, acquistabile anche al Lidl locale.

CYPRUS WINE MUSEUM – MUSEO DEL VINO DI ERIMI, LIMASSOL
Altra tappa obbligata per gli amanti del vino a Cipro è il Cyprus Wine Museum, il Museo del vino di Cipro. Situato a Erimi, piccolo borgo di 1.400 abitanti a pochi chilometri da Limassol. Si tratta di una meritevole iniziativa privata di Anastasia Guy, che ha messo a disposizione del pubblico (biglietto di ingresso tra i 4 e 7 euro) la propria collezione privata di cimeli dell’arte di fare il vino, abbinando al tour guidato del museo la degustazione dei vini rigorosamente ciprioti prodotti e venduti sul posto, recanti il marchio Cyprus Wine Museum.

Si passa dal Maratheftiko al Mattaro, nonché all’immancabile Xynisteri, per poi degustare – accompagnati da dolci tipici – la famosa Commandaria, uno dei vini più antichi del mondo, che per Riccardo Cuor di Leone era “il re dei vini e un vino da re”. “Le uve di Mavro e Xynisteri – spiega Anastasia Guy – vengono lasciate appassire sulla vite, raccolte tardivamente per elevarne il tasso zuccherino presente in ogni acino. Vengono poi lasciate al sole a seccare e solo in seguito pigiate.

Di questo vino liquoroso parla Esiodo, già nell’800 avanti Cristo. Ma conosce una diffusione eccezionale al tempo delle Crociate, quando diventa il vino per eccellenza nei banchetti regali. Questa denominazione di origine controllata – la più antica del mondo anche secondo il Guinness World Records – è consentita solo in quattordici villaggi dell’omonima regione dominata dal castello di Kolossi, situato a pochi chilometri dal Cyprus Wine Museum, in cui si può ancora respirare il fascino dell’epoca del Cavalieri Templari.

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Negroamaro Salento Rosato 2014 – Tenute Al Bano Carrisi

(2,5 / 5) Attira sugli scaffali del supermercato il rosato sgargiante, quasi luminoso, del Negroamaro Rosato del Salento Igp Tenute Al Bano Carrisi. Il noto cantante produce vini nella sua tenuta in contrada Bosco Curtipetrizzi, a Cellino San Marco, in provincia di Brindisi. E vale la pena di provarlo, dopo aver già testato il Negroamaro e il Primitivo del Salento che riscossero molto successo (in termini di vendite) in un supermercato alle porte di Milano. Il risultato non è esattamente lo stesso. Il Negramaro Rosato del Salento Igp Tenute Al Bano Carrisi delude. Troppo acido nel finale. E tale acidità è tutto quel che resta in ‘ricordo’ dell’assaggio. Ma andiamo con ordine. Nel calice, questo rosato si presenta come detto di un colore accattivante. Luminoso. Al naso, le note predominanti sono quelle esotiche del melone e della banana. Si avvertono anche piacevolmente e con un po’ di sorpresa la fragola e il lampone. All’assaggio, il Negramaro Rosato di Carrisi si presenta subito astringente. Le note citriche hanno la meglio sul resto dei sentori, sbilanciando il palato verso un finale troppo acido. Difficile accostare questa bottiglia a piatti di pesce poco elaborati o dalle ‘carni’ troppo delicate: ne risentirebbero, così come certi molluschi e crostacei pregiati. Meglio quindi l’abbinamento con fritti di pesce o pesci alla griglia. “Quando ero bambino Don Carmelo, mio padre, mi portò alla vigna e mi insegnò a liberarla dalle erbacce. ‘Se dai alla terra, la terra ti dà’, mi diceva. Così – spiega il cantante sul sito Internet delle Tenute Carrisi – ho capito che prima ancora del vino, dalla vigna ti veniva un sorso di saggezza. Ho dedicato al ‘Mio Vecchio Saggio’ questo vino che mi aiuta a riscoprire il calore degli affetti ed il colore degli anni”.

Prezzo pieno: 5,59 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Valpolicella Ripasso Classico Superiore Doc, Cantina Valpolicella Negrar

(4 / 5) Una bella sorpresa trovare sugli scaffali del supermercato un Valpolicella Ripasso Classico Superiore Doc in promozione. In particolare quello di Cantina Valpolicella Negrar. Molto più di una bottiglia e molto più di una Doc.

Una vera e propria istituzione in Veneto e tra tutti gli amanti del buon vino. Anche perché, per dar vita al Ripasso, occorrono tecniche specifiche di vinificazione che nobilitano il senso della ‘bevuta’. E si inseriscono direttamente nel solco della grande tradizione e cultura del “far vino” in Italia.

LA DEGUSTAZIONE
Il Valpolicella Ripasso Classico Superiore di Cantina Valpolicella Negrar (Comune di 17 mila anime alle porte di Verona) è un vino rosso che nel calice si presenta di un colore rosso rubino intenso, tendente al viola scuro. L’annata in questione, in particolare, è la 2013, che registra 13,5 % vol.

Già versandolo si esaltano le note di mora, amarena, ciliegia matura e barrique, in un finale tutto speziato tendente al pepe nero. Note speziate che prevalgono all’assaggio nei primi istanti, scaldando piacevolmente il palato e lasciando poi spazio note fruttate di amarena, tabacco e vaniglia.

La sensazione è quella di una morbidezza intensa, anche se parrebbe un ossimoro. Nel finale, lungo, di nuovo le note speziate, assieme a tutto il carattere della barrique francese, in cui le uve sono maturate per almeno dodici mesi. L’abbinamento più consigliato è quello con le carni rosse e con la selvaggina.

Ma questa bottiglia saprà sorprendervi anche accostata a primi piatti saporiti o a secondi di carne bianca ben speziata. Provatela, per esempio, con delle cosce di pollo al curry e curcuma: le note speziate della carne faranno da contraltare alle note speziate del vino, ammorbidendosi grazie ai tannini gentili e avvolgenti. Vale però la pena di spendere altre parole per la grande tradizione veneta del Ripasso.

Come suggerisce il nome stesso di questa Doc, il Valpolicella base (ottenuto secondo disciplinare dalle qualità Corvina, Corvinone, Rondinella e in percentuali inferiori di Forselina, Negrara e Oseleta) viene riversato nei tini dove precedentemente sono state pigiate le uve per l’Amarone, a loro volta precedentemente lasciate appassire al sole, subendo così una delicata fase di rifermentazione.

Circa venti i giorni in cui le vinacce riposano in questa prestigiosa culla. Un procedimento, quello del “ripasso”, che ha del magico. Un’alchimia pari a quella di una storia d’amore, nata da un incontro. Da una scintilla. E il vino così ottenuto viene in seguito affinato in botte. Il Ripasso si trasforma così in una vino maturo, affascinante e coinvolgente. Un vino con una storia da raccontare.

Prezzo pieno: 7,69 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc – Conte Carlo Giorgi di Vistarino 1674

(4 / 5) Eleganza e carattere. Non è facile trovare al supermercato delle bottiglie di Bonarda che alzino l’asticella della qualità. C’è quello troppo frizzante, che perde di concretezza e sostanza. Oppure quello tutto schiuma, che si rivela poi inconsistente all’assaggio. Per gli amanti del buon vino (e in generale della buona tavola) vale dunque la pena spendere qualche euro in più. E accaparrarsi, magari in promozione, una bottiglia di Bonarda Doc Conte Carlo Giorgi di Vistarino 1674.

L’omonima azienda che lo produce, in frazione Scorzoletta a Pietra de’ Giorgi, in provincia di Pavia, aderisce al Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò pavese. Una garanzia pressoché assoluta del rispetto dell’identità di questo rosso vivace, simbolo dei vini della Lombardia e della stessa regione del Nord Italia. Il Bonarda Doc Conte Carlo Giorgi di Vistarino si presenta nel calice di un colore rosso porpora: profondo, scuro, cupo, violaceo. Sembra già di assaporarne le note di frutti di bosco mentre la schiuma, voluminosa e generosa, si lascia sopraffare dall’ossigeno, evaporando in pochi secondi.

I profumi sono quelli caratteristici del Bonarda, con note intense (appunto) di viola, mora e marasca. Ma è al palato che questo Bonarda stacca la concorrenza, almeno nella grande distribuzione organizzata. Buon corpo e struttura, eppure grande leggerezza; le note di frutti di bosco sono persistenti, eppure piacevoli e delicate. L’abbinamento, scontato, è con i piatti della tradizione pavese: antipasti di salumi e formaggi di buona stagionatura, primi con sughi anche elaborati di carne, risotto alla Lomellina (con fegatini) e risotto ai funghi, nonché a piatti come il cotechino, il salame cotto e le carni rosse, cassoeula e bolliti.

“L’origine del nome Bonarda – come spiega lo stesso Consorzio di Tutela Vini dell’Oltrepò pavese – è incerta. Secondo alcuni autori, il nome deriverebbe dal patronimico longobardo Bono con l’aggiunta di ‘hard’, che in longobardo significava ‘coraggioso e forte’. La ricostruzione si basa sul fatto che i Longobardi ebbero come capitale Pavia, con estensione del loro dominio anche in Oltrepò. Il vino Oltrepò Bonarda si ottiene da uva Croatina, la cui etimologia deriverebbe da ‘croatta’, ‘cravatta’, e starebbe a indicare che il vino ottenuto da Croatina si beveva nei giorni di festa, quando appunto veniva indossata la cravatta”. Una storia insita anche nella famiglia che produce il Bonarda finito quest’oggi sotto la lente di vinialsupermercato.it.

“Da Augusto Carlo Giorgi di Vistarino, che per primo, alla fine dell’Ottocento, avviò in Oltrepò la coltivazione del Pinot Nero, ai successori Ottaviano e Carlo, sino ad arrivare alla più recente generazione rappresentata oggi da Ottavia Giorgi di Vistarino – evidenzia l’azienda produttrice – continua a rimanere identica la volontà di perseguire la qualità attraverso la creazione di vini autentici ed eleganti, fedele espressione del territorio da cui hanno origine”. La proprietà si estende per oltre 826 ettari di cui 200 vitati, tutti iscritti all’Albo della Doc Oltrepò Pavese e coltivati a Pinot Nero, Riesling Renano, Pinot Grigio, Moscato, Croatina e Barbera.

Prezzo pieno: 6,50
Acquistato presso: Il Gigante

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Xyinisteri 2014, Keo Limassol Cyprus

(2 / 5) E’ tra i bianchi di più largo consumo a Cipro lo Xyinisteri prodotto dal colosso Keo Limassol Cyprus, presso lo stabilimento di Mallia, sui monti Troodos. Si può reperire questa bottiglia a buon mercato, presso le catene internazionali della grande distribuzione che operano sull’isola, come Lidl e Carrefour. Ma se ci si aspetta di assaporare la vera fragranza dell’uva autoctona più diffusa a Cipro, Xynisteri, con oltre 2.200 ettari di vigne dedicate, si rimane sostanzialmente delusi. L’apporto “chimico-industriale” operato nello stabilimento Keo è ben evidente. Parlano i solfiti, ben avvertibili, nonché l’acidità stessa del vino, che sembra chiaramente ‘corretta in laboratorio’. Passiamo al dettaglio. Naso debole, quasi impercettibile. Emergono sentori acri, di limone, e qualche nota minerale, evanescente. Al palato lo Xynisteri Keo è inizialmente delicato, leggero. Per poi rivelare meglio la propria natura, di limone acerbo e lime. La persistenza è buona, ma consiste nelle sole note acide, che risultano infine troppo astringenti. Vino di facile beva, che rischia tuttavia di risultare pesante (12,5 % vol.) già al secondo bicchiere, per le cause elencate sopra. Consigliato l’abbinamento in occasione di aperitivi leggeri, senza troppe pretese, a una temperatura non superiore ai 12 gradi.

Prezzo: 4,50 euro
Acquistato presso: Lidl, Larnaca (Cipro)

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Chardonnay California 2012, Turning Leaf Vineyards

(3,5 / 5) “Refresh” è la parola d’ordine per la Turning Leaf Vineyards. Ed è questo quello che ci si può aspettare maggiormente dallo Chardonnay californiano oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.

Lo Chardonnay California Turning Leaf, annata 2012, è una piacevole risposta alla calura estiva. Freschezza allo stato puro. La casa vinicola del gruppo E. & J. Gallo Winery, con sede a Modesto, cittadina di poco più di 200 mila abitanti capoluogo della contea di Stanislaus, California, lo sa bene e punta tutto sul lato “forte” dei propri vini. Leggeri, di facile beva. Estivi, in una sola parola.

LA DEGUSTAZIONE
Lo Chardonnay in questione, annata 2012, è avido al naso. Si fatica a intuire qualche nota esotica di banana e pesca, che poi si esprimono meglio all’assaggio. Piacevole, delicato, fruttato. Quasi convincente.

Un vino da accompagnare a piatti altrettanto freschi, come un buon prosciutto e melone, un’insalata, un antipasto a base di verdura. Perché no: anche a un take away di cucina giapponese. Astenersi se le portate in tavola sono di pesce, soprattutto se il piatto è complesso.

Le note fruttate dello Chardonnay californiano Turning Leaf sono fatte solamente per dissetare e accompagnare portate poco impegnative. In America, e in particolare in California, lo Chardonnay la fa da padrone tra i bianchi. Secondo dati piuttosto recenti, sono oltre 95 mila gli acri coltivati con questo uvaggio nel solo Stato dove opera la Turning Leaf Vineyards.

Prezzo pieno: 6 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Do Case Asolo-Prosecco superiore DOCG – Az. Agr. Luca Ricci

(4 / 5)Grande aromaticità e sapidità, combinate a freschezza e alla bellezza del perlage. In estrema sintesi, è quello che può offrire al consumatore il Do Case Asolo-Prosecco superiore, denominazione di origine controllata e garantita extra dry, millesimato. Sotto la nostra lente d’ingrandimento, l’annata 2014 che porta 11 gradi di vol. Viene prodotto dall’Azienda agricola Luca Ricci di via Cucco 27, a Collalto di Susegana, in provincia di Treviso. Un territorio che si divide tra boschi e colline, sentieri ricchi di storia e di Prosecco. Siamo infatti tra Valdobbiadene e Conegliano, dove la qualità delle “bollicine” è garantita (oltre che controllata) ormai dal 2009.

Ho avuto modo di consumare assieme ad alcuni amici Do Case in occasione di una grigliata, come aperitivo. Il successo è stato grandioso. Di colore giallo paglierino brillante, ravvivato dal perlage, questa bottiglia si presenta al naso col suo ricco bouquet floreale e sentori di agrumi. All’assaggio emerge in modo prepotente la frutta: oltre agli agrumi si evidenzia la pera, la mela. Il finale è asciutto, pulito, armonico. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato anche a piatti di pesce e frutti di mare, ma anche a minestre, formaggi freschi (non stagionati), minestre di legumi e – perché no? – anche alla carne di pollo e tacchino. Oltre alla varietà Glera, l’Azienda agricola Luca Ricci utilizza, come da disciplinare, varietà autoctone della zona come Verdiso, Perera e Binchetta, per evidenziare ancor meglio la tipicità di un territorio straordinario. “Le due case si specchiano sopra la collina, la proteggono. Qui tutto riesce a toccare il cielo, qui tutto è armonia”. Do case.

Prezzo pieno: 12 euro
Acquistato presso: Esselunga, Abbiategrasso (Mi)

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Colomba Platino terre siciliane Igt, Duca di Salaparuta

(5 / 5) C’è un motivo se un vino viene prodotto ininterrottamente dal 1959. Nel caso del Colomba Platino di Duca di Salaparuta, la ragione non è da ricercare solamente nel vitigno utilizzato: l’Insolia, il più antico della Sicilia. La freschezza e l’unicità di questa bottiglia nel panorama della grande distribuzione organizzata italiana, oltre all’ottimo rapporto qualità-prezzo, rende questo vino una scommessa da poter giocare a occhi chiusi, quando si è alla ricerca di un abbinamento perfetto (e di classe) a portate di pesce, crostacei, frutti di mare. Di colore giallo paglierino, si presenta al naso molto ben strutturato ed elegante, con decisi sentori di agrumi. Un vino che si conferma molto fruttato anche all’assaggio: di nuovo limoni, arance e una punta di nocciola nel finale. Lungo, deciso, fresco e persistente. Piacevolmente astringente. Elegante, insomma, come già detto. In particolare, si tratta di una indicazione geografica tipica ottenuta nella splendida zona della provincia di Agrigento, tra Ribera e Cattolica, dove si alternano macchie di vegetazione selvatica, campi di frumento, uliveti e terreni di un bianco calcareo, dove affondano le loro radici le terrazze di vigneti Insolia, degradanti verso il mare. La vendemmia avviene in maniera manuale nel mese di settembre. Le uve vengono pressate molto delicatamente e in seguito fatte fermentare a 16-17 gradi, per circa 15 giorni. Per poi subire un lungo contatto con i lieviti, prima della maturazione a temperatura controllata sino a primavera, per favorire l’illimpidamento naturale. Altri due mesi in bottiglia e il Colomba Platino di Duca di Salaparuta è pronto per essere consumato, non più “vecchio” di due anni (la bottiglia degustata è dell’annata 2013). Il Gruppo Duca di Salaparuta riunisce tre brand storici che rappresentano la Sicilia e l’Italia nel mondo: Corvo e Duca di Salaparuta, nati nel 1824, e Florio nato nel 1833. Acquisite dalla Illva Saronno Holding e riunite in un’unica realtà, le due Aziende storiche costituiscono il primo gruppo vitivinicolo privato dell’isola che si prefigge lo scopo di “raccontare la storia e la terra attraverso luoghi suggestivi come le Tenute e le storiche Cantine”.

Prezzo pieno: 7,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Patrimonio 2011 Salento Igp – Taurosso

(5 / 5) Patrimonio, ovvero uno dei più fulgidi esempi di come si possa bere “bene”, scegliendo un vino tra gli scaffali di un supermercato italiano. Stiamo parlando di una bottiglia che di per sé sfiora il costo di dieci euro. E dalla quale, quindi, si può (si deve) pretendere molto. Un’aspettativa pienamente realizzata da questo rosso Negroamaro 2011 a indicazione geografica protetta della casa vinicola Taurosso Srl, con sede in provincia di Lecce, a Campi Salentina, ma imbottigliato a Manduria, in provincia di Taranto. Una zona che offre ampie garanzie, che tuttavia non sempre bastano ad assicurare buone bevute. Il segreto di Patrimonio 2011 Selento Igp Taurosso è nel calore che emana. Un calore innanzitutto profumato. Di amarena, piccoli frutti rossi e spezie come il pepe nero e l’harissa. Un calore che si conferma anche all’assaggio: inizialmente vellutato, morbido, ma pronto a rivelarsi ben presto corposo e strutturato, per via della lunga macerazione a cui vengono sottoposte le uve Negroamaro in fase di maturazione del vino. Inutile sottolineare come si un tratti uno di quei classici vini rossi di struttura, adatti ad accompagnare carni rosse, anche al sangue, carni alla griglia e alla brace, nonché formaggi a pasta dura molto saporiti.

Patrimonio ha tra l’altro ottenuto nel 2012 il Gold Award al China Wine Awards Best Value 2012, che potremmo definire la versione “cinese” dell’italianissimo Vinitaly, con produttori provenienti da ogni parte del globo. Nonché la Berlin Gold Medal al Berliner Wein Trophy 2012. Un successo riconosciuto anche a un altro vino di Taurosso: quel Pilu Niuru che può essere considerato il fratello minore di Patrimonio. Per quanto riguarda le specifiche tecniche, la zona di produzione, come già evidenziato, è quella dell’entroterra del Salento. L’età media della vite è tra i 20 e i 40 anni, con una produzione di 7 tonnellate per ettaro. La tecnica di produzione è basata su una pigiatura soffice e una lunga macerazione della durata di dieci giorni, a cui segue una lenta fase di fermentazione.

Prezzo pieno: 9,35 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Ziggurat Montefalco rosso DOC – Tenute Lunelli Umbria

(5 / 5) Astenersi indecisi. Dovrebbe esserci scritto così, a caratteri cubitali, sull’etichetta frontale di Ziggurat Montefalco rosso 2009 delle Tenute Lunelli. Già, perché questo vino è un’esplosione. Di potenza. Di gusto. Di carattere. Roba da palati forti. In questa bottiglia, la potenza del rosso di Montefalco – il Sagrantino – incontra il Sangiovese e la sua eleganza. Ciò che ne scaturisce è un vino di grandissima forza. Speziato. Infuocato. E non è un eufemismo. Potrebbero trarre in inganno, infatti, i 13.5 gradi che farebbero pensare a una predominanza organolettica del Sangiovese sul Montefalco, vino che raggiuge (e supera) anche i 15 gradi, in alcune delle sue più grandi espressioni. Ziggurat Lunelli è la rappresentazione liquida delle monumentali costruzioni dell’epoca mesopotamica: gli “ziqqurat”, che come le piramidi poggiavano su una base ampia, affusolandosi verso il cielo. Così come questo vino inizia ampio e caldo, per raggiungere “punte” di grande carattere nel finale, in un concerto speziato e balsamico che conferisce all’assaggio immensa eleganza. Si abbina alla perfezione con le carni rosse poco cotte e con i piatti della tradizione toscana, nonché con la selvaggina.

Entrando nelle specifiche tecniche, Ziggurat è un blend così composto: Sangiovese 70%, Sagrantino 15%, Cabernet e Merlot 15%. La raccolta avviene in maniera manuale, tra i mesi di settembre e ottobre, nei vigneti di proprietà della famiglia Lunelli, a Montefalco e Bevagna, in Umbria, più esattamente in provincia di Perugia. Si tratta di terreni di composizione limoso -argillosa, dotati di una buona potenzialità agronomica, ben strutturati e resistenti alla siccità estiva. La macerazione si protrae per una ventina di giorni, con una prima fase compiuta a freddo, alla temperatura di 12 gradi, per 20 ore, per poi proseguire a 26- 28 gradi in botti di acciaio. Evidente, all’assaggio, come Ziggurat abbia subito anche una fase di maturazione (12 mesi in barrique da 225 e tonneaux da 500 litri) e almeno 6 mesi in bottiglia. Un vino sontuoso, che si presta anche a un ulteriore invecchiamento in bottiglia.

Prezzo pieno: 8,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)

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Shiraz Yellow Tail – Casella Wines Yenda, Australia

(3 / 5) Origini molto dibattute per il vitigno Syrah (Shiraz). Chi sostiene sia stato introdotto in Europa dall’Iran (dove ancora oggi esiste una metropoli di oltre un milione di abitanti, nella regione di Fars), e chi è più propenso a credere si tratti di un cultivar autoctono siculo, in particolare della provincia di Siracusa, che è andato perduto per poi essere reintrodotto nell’isola, con piante provenienti dalla Francia.

Il fatto è che per un italiano, che apprezza la cultura culinaria del proprio Paese, ritrovare sulla tavola un Syrah come quello di Yellow Tail può risultare di difficile “comprensione”. In particolare il Shiraz è australiano.

LA DEGUSTAZIONE
Al naso colpisce per le prepotenti note di frutti di bosco, prima ancora che per le spezie (pepe nero), a mio avviso troppo “lontane” e poco persistenti, perché sommerse da altre note che richiamano l’amarena.

Le note speziate si avvertono in maniera netta, invece, all’assaggio, reso da queste lungo e persistente, con richiami alla liquirizia dolce, molto gradevoli. Ne risulta un vino troppo “dolce” per essere abbinato ai piatti della tradizione italiana. Per non parlare dell’abbinamento consigliato sull’etichetta posteriore della bottiglia: una bistecca. Rischioso provarci.

Prezzo: 6 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Templum Cannonau di Sardegna DOC – Cantina Gallura Sca Tempio Pausania

(4 / 5) E’ il profumo che sorprende del Cannonau di Sardegna Templum, denominazione di origine controllata prodotta dalla Cantina Gallura Sca di Tempio Pausania, cittadina a nord dell’isola, a ovest di Olbia. In questo vino, di colore rosso rubino intenso, si trova quell’inconfondibile richiamo alla viola mammola che porterebbe dritti in Toscana, tra i vini del Chianti. Qui però il Sangiovese non c’entra, ed è questa la particolarità. E tra i sentori, anche quello della prugna matura. Per la produzione vengono utilizzate uve 100% Cannonau. La raccolta avviene in maniera manuale, seguita da una fase di macerazione delle vinacce della durata di 8-10 giorni. La maturazione avviene in cantina, per un periodo che va dagli 8 ai 12 mesi. Ne scaturisce un vino rosso pieno, sapido, del tipico “gusto” vinoso del Cannonau, capace di richiamare sentori di frutti di bosco. Perfetto l’abbinamento con le carni rosse, alla selvaggina, al formaggio pecorino sardo maturo. Sorprendente se abbinato alle carni e verdure in occasione di una grigliata. E’ consigliabile il servizio rigoroso a temperatura ambiente (16-18 gradi), stappando la bottiglia almeno mezzora prima di gustarla.

In commercio, nella grande distribuzione, questo Cannonau sa certamente distinguersi rispetto a quello di altri marchi. Ma non è un caso che Templum si trovi a competere appena sotto la fascia prezzo del mostro sacro Argiolas. Un lavoro certosino, quello della Cantina Gallura, che si concretizza in particolare con altri vini non distribuiti in Gdo, che hanno la particolarità di essere prodotti con uve Nebbiolo, tipiche del Piemonte, trapiantate in Sardegna. Li cito, per curiosità dei buongustai: Karana, Dolmen e Lunanova.

Prezzo: 6,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)

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Chianti Leccioni 2013 DOCG – Marchesi de’ Frescobaldi

(4 / 5) Andiamo dritti al punto focale: tra le (troppe) bottiglie di Chianti presenti nella grande distribuzione organizzata, questa non vi deluderà. Sembra paradossale, ma trovare ormai una bottiglia di buon Chianti al supermercato è diventata un’impresa. Non è uno scherzo. Troppe, ormai, le varietà reperibili sugli scaffali, spesso a prezzi ‘gonfiati’ rispetto all’effettiva qualità della bottiglia. In particolare, questo Chianti 2013 Leccioni di Frescobaldi fa parte di una confezione doppia, contenente anche un Vin Santo della stessa casa toscana. Si tratta di una denominazione di origine controllata e garantita. Un Chianti di colore rosso rubino sgargiante, dal profumo intenso, con sentori di viola mammola. Un vino seducente, sin da quando lo si stappa. Morbido, vellutato. Lungo e persistente. Perfetto accompagnamento di piatti della tradizione toscana (affettati, formaggi), ma anche di carne alla griglia e – più banalmente – pizza al salame. Deve il suo nome ai “Lecci”, le tipiche piante mediterranee della famiglia delle Fagaceae, che adornano le ville della zona del Chianti, assieme ai cipressi, nelle vicinanze delle vigne.

Per la produzione del Chianti Leccioni viene utilizzato prevalentemente Sangiovese (non vengono specificati altri uvaggi). Le uve subiscono un processo di macerazione di nove giorni, per poi passare alla fermentazione alcolica, seguita da quella malolattica. L’affinamento avviene in contenitori in acciaio Inox e infine in bottiglia, per due mesi.

La lunga storia della famiglia Frescobaldi inizia intorno all’Anno Mille col fiorire dell’attività bancaria della Firenze medioevale. In breve i Frescobaldi diventano protagonisti assoluti della vita politica ed economica e si guadagnano il titolo di tesorieri della Corona inglese. Iscrivono il loro nome nella storia di Firenze, commissionando grandi opere pubbliche e architettoniche come il ponte Santa Trinita sul fiume Arno e la basilica di Santo Spirito, affidata a Filippo Brunelleschi. Tra i rappresentanti più illustri della famiglia, Dino Frescobaldi fu poeta del Dolce Stil Novo, noto anche per aver recuperato e restituito all’amico Dante Alighieri in esilio, i primi canti della Divina Commedia, permettendogli di continuare l’opera. Gerolamo Frescobaldi, musicista e compositore, è tutt’oggi considerato uno dei più importanti esponenti della musica Barocca. L’inizio della produzione vitivinicola è documentata agli inizi del 1300, nella storica Tenuta di Castiglioni in Val di Pesa, a sud-ovest di Firenze. Fin dall’inizio i vini Frescobaldi sono noti per qualità e tipicità tanto che agli inizi del 1400 grandi artisti del Rinascimento come Donatello e Michelozzo Michelozzi ne erano illustri estimatori. Un secolo più tardi i loro vini venivano serviti sulle tavole della Corte inglese di Enrico VIII e della Corte Papale.

Prezzo: 6 euro
Acquistato presso: Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)

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Cirò bianco DOC – Caparra e Siciliani

(3,5 / 5) Per la sua facilità di beva, potrebbe essere eletto senza troppi rivali “vino d’estate”. Il fatto è che il Cirò bianco a denominazione di origine controllata di Caparra e Siciliani sa essere anche qualche cosa di più. Soprattutto se, pescandone una bottiglia dagli scaffali del supermercato, non ti accorgi che nel carrello è finito un ‘esemplare’ dell’annata 2012. Una volta in tavola non resta che assaggiare: prima di giudicare con troppa superficialità, basandosi solamente sul fatto che a maggio 2015, quella bottiglia, potrebbe risultare ormai “datata”. Breve inciso sull’argomento: è buona consuetudine, per la maggior parte dei vini bianchi, scegliere bottiglie con annate che non superino i due anni dalla data di acquisto. Ed è proprio per questo che nei supermercati vengono sovente applicati forti sconti sulle annate meno recenti, a cavallo della consegna – da parte dei fornitori – degli stock della nuova vendemmia.

Il Cirò 2012 di Caparra e Sicliani – imbottigliato a Cirò Marina, in provincia di Crotone, in Calabria – deve invece aver conquistato ‘carattere’, invecchiando un altro anno prima di essere stappato. Nel calice, il colore è quello classico: giallo paglierino, piuttosto intenso. Al naso risulta molto vinoso. Una caratteristica che non tutti apprezzano, specie in un bianco del genere, da 11,5 gradi, a cui si chiederebbe maggiore delicatezza. Ma i gusti son gusti: ed è proprio questa spiccata ‘vinosità’ che ha reso gustosa la bottiglia. Tale caratteristica si è infatti ripresentata al momento dell’assaggio. Note agrumate, con predominanza del limone. Buona lunghezza. Un prodotto di assodata qualità, nonostante il modico prezzo, che si abbina alla perfezione con antipasti e primi a base di pesce, servito rigorosamente fresco, alla temperatura di 8 gradi. (leggi anche la recensione del Cirò bianco 2013 DOP Calabria – Senatore).

Produttori di vino sin dal XIX secolo, le famiglie Caparra e Siciliani hanno una solida tradizione agraria e vitivinicola in particolare. Nel 1963, facendo tesoro comune di queste esperienze, nasce l’azienda che attualmente opera esclusivamente nella zona del “Cirò” e del “Cirò Classico”, lavorando le uve provenienti dai vigneti di  proprietà dei soci, estesi per circa 213 ettari. La Caparra & Siciliani ha uno stabilimento vinicolo moderno, tecnologicamente organizzato e della capacità complessiva di 31 mila ettolitri., divisi in 110 vasi vinari, distribuiti su tre piani, oltre a 150 barriques di rovere “Allier”. La cantina ha prestato fin dalla nascita particolare cura all’imbottigliamento ed il prodotto da imbottigliare, come evidenzia la stessa azienda, “viene selezionato dopo un accurato esame condotto con autentica passione vitivinicola, profonda competenza e coscienza professionale”. Tutto il sistema è infatti curato da uno dei maggiori enologi italiani: Fabrizio Ciufoli.
Prezzo: 4,90 euro
Acquistato presso: Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)

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Chardonnay Yellow Tail 2013 – Casella Wines Yenda Australia

(3,5 / 5) L”unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi”. Scomodo volentieri Marcel Proust per raccontare la storia di una bottiglia. Esagero? Forse. Ma la magia che sembra avvolgere la linea di vini Yellow Tail della Casella Wines, conquista e fa sognare. E non può che essere la ricerca di un sogno quello che ha portato Filippo e Maria Casella, nel lontano 1957, a partire per un viaggio di quattro settimane dalla loro Sicilia verso la sconosciuta Australia, dove poi fondarono – esattamente a Wakley Rd, Yenda, nella zona sud est del continente – la loro azienda vinicola presso la Fattoria 1471 (Farm 1471). Un marchio nato ufficialmente nel 1969, da una famiglia che il vino ce l’aveva nel sangue, già in Sicilia. Fino a diventare quello dell’australiano oggi più venduto al mondo.

In particolare mi vorrei concentrare sullo Chardonnay di Yellow Tail. Un vino particolarissimo. Unico nel suo genere. “Con una personalità tutta sua”, come indica la stessa casa vinicola sull’etichetta posteriore della bottiglia. Nel calice si presenta di un colore verdognolo sgargiante, capace di incrementare – se possibile – la curiosità verso l’assaggio. Al naso sembra quasi non si tratti neppure di Chardonnay. E infatti Yellow Tail propone vini “nuovi”, moderni. Reinterpretando i classici, questa casa vinicola ha come proposito quello di arrivare al palato di tutti, ovvero ai palati di tutto il mondo. Giungono di fatto le note di frutti esotici e di agrumi, ma si percepisce ben chiara la predominanza del melone, che spicca anche al palato, assieme alla pesca. Il finale è morbido e si fa apprezzare per suo il grande equilibrio. L’abbinamento, quasi scontato, è con primi piatti a base di pesce. Ma provatelo anche con una ricca coppa di gelato alla panna, magari farcito da qualche fragola.

Prezzo: 7,80 euro
Acquistato presso: Esselunga, Abbiategrasso (MI)

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Morago Cabernet Sauvignon delle Venezie 2011 – Pasqua vigneti e cantine

(4 / 5) Un vino rosso di grande eleganza e morbidezza il Morago Cabernet Sauvignon delle Venezie di Pasqua Vigneti e Cantine Spa. E’ il risultato di un grande lavoro nelle cantine della casa di Verona, terra di grande tradizione vinicola. L’uva viene diradata nel vigneto, in modo da ottenere una bassa resa per ettaro. Il 30% delle uve viene posto in cassette di legno e lasciato ad appassire per circa sessanta giorni. Le uve pigiate vengono fatte fermentare in serbatoi d’acciaio, con ripetute follature, in modo di poter estrarre polifenoli e sostanze coloranti. A fine fermentazione segue il travaso e la fermentazione malolattica. In seguito, il vino viene affinato in barrique per 7-8 mesi e per ulteriori 4-5 mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio. E in effetti, al momento della scelta sullo scaffale del supermercato dove l’ho acquistato, ho preferito portarmi a casa l’annata 2011, rispetto alla 2012. Il Morago Carbernet Sauvignon delle Venezie è infatti un rosso che si presterebbe a un ottimo invecchiamento in bottiglia, ovviamente ben conservata in posizione coricata e lontana da fonti di calore e luce.

Nel calice si presenta di un rosso rubino intenso. Dà come l’idea di essere un vino denso, sanguineo. Al naso emergono note di frutti rossi e, quasi impercettibilmente, di vaniglia. L’assaggio è delizioso. I frutti rossi conferiscono grande morbidezza, mentre l’affinamento in barrique regala sentori di spezie e conferisce un buon corpo e una buona struttura a questo Cabernet Sauvignon veneto. Delicatissime arrivano al palato anche note di mandorla e, nuovamente, vaniglia. Bottiglia assolutamente consigliata a chiunque voglia bere qualcosa di non convenzionale, lontana dai soliti schemi. Ottimo l’abbinamento con primi piatti saporiti, carni rosse (anche al sangue), nonché con cacciagione e selvaggina.

Prezzo: 8,90 euro
Acquistato presso: Il Gigante, Assago Milanofiori (MI)

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