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Vinitaly 2016, la Federazione italiana Vignaioli Indipendenti raddoppia le presenze

La Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, torna a Vinitaly con una presenza più che raddoppiata. Quest’anno i vignaioli indipendenti saranno 116 in un’area espositiva dedicata di 640 metri quadri. Lo scorso anno erano 53 produttori in 288 metri. Come nella passata edizione, lo spazio Fivi si trova
all’interno del Padiglione 8, che quest’anno ospita anche le aree VinitalyBio e ViViT creando un percorso tra produttori che condividono valori di trasparenza, autenticità e individualità. “Nuovi vignaioli – dichiara Leonildo Pieropan, vicepresidente Fivi – hanno sentito la necessità di essere presenti insieme a noi quest’anno a Vinitaly per dare un segnale forte di associazione. Noi vignaioli rivendichiamo un ruolo importante nel territorio di appartenenza e garantiamo l’autenticità dei vini, in quanto frutto del nostro lavoro che seguiamo dalla vigna alla bottiglia. Vinitaly a Verona è un’occasione per farci conoscere dagli operatori del settore ma anche per raccontare in prima persona, con il cuore, il nostro vino”. Oltre alle 116 aziende, provenienti da tutte le regioni italiane, nell’area FIVI sarà presente un banco informativo dell’associazione dove essere aggiornati sulle tante iniziative portate avanti dalla federazione. Altre aziende associate saranno presenti in fiera con un proprio stand espositivo indipendente, nelle posizioni consuete. Inoltre, i vini di alcuni produttori FIVI saranno i protagonisti di una degustazione sui vini artigianali organizzata da Ian D’Agata lunedì 11 aprile dalle ore 15 alle 17 in sala Argento di Palaexpo. L’hashtag ufficiale è #siamoFIVI. Lo stesso utilizzato l’anno scorso quando fu uno dei top trend di Vinitaly 2015 sui social. L’Area FIVI è al Padiglione 8, stand B8-B9, C8-C9, D8- D9, E8-E9.
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Intreccio Chardonnay Blanc de Blancs spumante Brut, Cavit

(4 / 5)Novità in assortimento da Esselunga e non manchiamo l’appuntamento con la degustazione. Siamo nel mondo delle bollicine trentine Charmat con Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay vino spumante Brut della nota casa vinicola Cavit Trento. Uno sparkling wine ottenuto dunque mediante rifermentazione in autoclave (Metodo Martinotti) sulla base della tradizionale esperienza spumantistica di Cavit, che differisce dal Metodo Classico o Champenoise del disciplinare Trento Doc. Passiamo dunque al profilo organolettico. Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay vino spumante Brut Cavit si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdolini. La grana del perlage è mediamente fine e persistente. All’olfatto è intenso, fine e di complessità sottile: ai freschi sentori di mela Golden fa eco una crosta di pane fragrante. Stesse percezioni al palato, che si fa apprezzare per freschezza e corpo. Buona l’alcolicità (12%), morbidezza rotonda, indistinguibile la presenza di zuccheri residui, come vuole un buon Brut. Leggermente sapido, Intreccio Blanc de Blancs Chardonnay Cavit risulta dunque un vino spumante ben equilibrato, che punta tutto sulla freschezza della beva. Aspetto che ritroviamo anche in un retro olfattivo intenso, fine, sufficientemente persistente. Il compagno giusto, insomma, per un aperitivo informale. Può accompagnare anche il pesce, le carni bianche e i formaggi non stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Chardonnay utilizzate per dare vita a Intreccio Blanc de Blancs provengono dalle colline vitate della Vallagarina, in Trentino. Un’area che, dal punto di vista climatico, è caratterizzata da estati calde e buone escursioni termiche nel periodo di maturazione delle uve. Il vitigno Chardonnay, originario della Borgogna e coltivato in Trentino da oltre cent’anni, ha trovato in questa zona un ambiente particolarmente favorevole per esprimere tutto il suo potenziale qualitativo. La complessa gamma aromatica di questa varietà associata ad un buon tenore acidico la rende ideale per l’elaborazione di vini spumanti. Le uve, accuratamente scelte, vengono raccolte esclusivamente a mano. La preparazione del vino di base viene realizzata mediante vinificazione in bianco in piccoli contenitori in acciaio inox a temperatura controllata. Una fase, questa, in cui gli enologi di casa Cavit Trento assicurano di prestare “particolare cura”. Il vino-base ottenuto riposa per alcuni mesi in cantina e viene dunque sottoposto a rifermentazione in autoclave, seguita da un affinamento sui lieviti di sei mesi, prima dell’imbottigliamento. Cavit (Cantina Viticoltori del Trentino) è una cooperativa che riunisce undici cantine sociali trentine, con 4500 viticoltori associati, dalla Valle dell’Adige (Roverè della Luna) alla Vallagarina (Avio).Prezzo pieno: 7,19 euro
Acquistato presso: Esselunga
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Vini al supermercato

Brut fermentazione in bottiglia, Catturich Ducco

(4,5 / 5)Nasce dall’assemblaggio dei vini provenienti dai 28 cru di proprietà della Catturich Ducco lo spumante Brut fermentato in bottiglia.

Presente in diverse catene della gdo, come Ipercoop e Il Gigante, è il frutto dell’assemblaggio dello Chardonnay allevato nei comuni di Passirano, Monticelli Brusati e Provaglio d’Iseo, nel cuore della Franciacorta bresciana. Sotto esame la sboccatura 2015.

Già in bottiglia, completamente trasparente, si rivela di colore giallo paglierino. Una volta versato sfoggia un perlage mediamente fine e persistente.

La carica olfattiva è intensa, di sottile complessità. Si evidenziano note floreali fresche e fruttate di mela, pera e pesca, oltre a sentori di burro e latte di mandorle.

Una percezione, quella che richiama il latte, che si ripresenta al palato: marcatamente burroso e vellutato, con note persistenti di crosta di pane tipiche dei lieviti della zona. Di buon corpo e calda alcolicità, il Catturich Ducco Brut fermentazione in bottiglia si scopre piacevolmente rotondo, secco e fresco. Sapido ed equilibrato.

Buona anche l’intensità retro olfattiva, di qualità fine e persistenza sufficiente, sui sentori della crosta di pane. Decisamente matura la sboccatura 2015, nella sua fase migliore per essere consumata come aperitivo o con antipasti a base di pesce.

LA VINIFICAZIONE
L’allevamento dello Chardonnay viene condotto a cordone speronato, con una resa media di 100 quintali per ettaro. La raccolta viene effettuata nelle vigne Catturich Ducco in maniera manuale, con successiva pressatura soffice delle uve intere. Il mosto fermenta in vasche di acciaio inox.

L’assemblaggio avviene in primavera e, dopo il tiraggio, si lascia spazio a una rifermentazione in bottiglia a sovrapressione ridotta di un’atomosfera. Un’elaborazione di 9 mesi per questo Brut di casa Ducco, che procede alla sboccatura su piccole quantità, in base alle ordinazioni richieste.

Prezzo pieno: 6,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop / Il Gigante

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Natale Verga entra nel mercato del vino biologico. In Nord Europa è già un successo

Un Nero D’Avola-Cabernet e un Grillo-Cataratto. Il colosso Natale Verga sceglie l’Indicazione geografica tipica Sicilia per sfondare nel mercato del vino biologico. Un bianco e un rosso allo stesso prezzo, inferiore ai 6 euro, che costituiscono assieme una vera e propria entrata a gamba tesa in un segmento che si assesta sui 7-8 euro, nella maggior parte delle catene “di peso” della grande distribuzione organizzata italiana. Del resto, la politica dell’azienda di via Europa Unita 13 a Cermenate, è chiara: offrire ai consumatori un vino buono, sano. E a prezzo contenuto. “Per me il vino non è uno status symbol –  spiega Natale Verga dal suo quartier generale comense – va venduto a un prezzo corretto. Noi, chiaramente, facendo prodotti di largo consumo, abbiamo bisogno di venire incontro al portafoglio di tutti. Una politica, questa, che abbiamo deciso di adottare anche per la nostra nuova linea di vini biologici. Siamo riusciti a contenere il prezzo applicando gli stessi costi di imbottigliamento che registra il resto della produzione: il segmento più basso. Anche perché il concetto di base è che imbottigliare vino da 5 o da 10 euro costa uguale: a fare la differenza è il prodotto, non il contenitore”. Limitando i costi di imbottigliamento, Natale Verga riesce a presentare sul mercato “un vino biologico a un prezzo alla portata di tutti i consumatori interessati a questa tipologia”.

LA BUROCRAZIA
“Un prezzo molto accattivante per un prodotto buono – continua – che va a coprire un segmento sin ora rimasto scoperto”. Del resto, all’estero Natale Verga ha già avuto riscontri molto importanti sulla linea di vini bio. Il sell out del biologico è infatti iniziato a gennaio, fuori dai confini nazionali italiani. “Abbiamo cominciato con i Paesi del Nord Europa – spiega Verga – dove stiamo andando decisamente bene. E di recente abbiamo trovato un accordo con una catena americana che tratta solo prodotti bio. L’unico problema è la certificazione”. Già, la burocrazia. Quel mostro che schiaccia il mondo del vino italiano. Dai piccoli produttori, che attraverso la Fivi si stanno battendo in sede europea per un e-commerce più agile e snello, ai giganti come la Casa Vinicola Verga. “In America – spiega Natale Verga – ci sono problemi per la certificazione di un vino prodotto mediante il blend di uvaggi differenti. E anche sul discorso ‘bio’ loro sono un po’ più restrittivi”. Avesse scritto “ogm” al posto che “bio”, scherziamo noi, Natale Verga sarebbe già su tutti gli scaffali dei mall a stelle e strisce. Per quanto riguarda l’Italia, la prima catena dove abbiamo scovato i vini bio di Verga è Il Gigante, diffusa soprattutto in Lombardia, ma anche in Piemonte ed Emilia Romagna.

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Enovitis in Campo, tutto pronto per la “prima” in Puglia

Procede a pieno ritmo l’organizzazione della prossima edizione di Enovitis in Campo che, dopo il successo dello scorso anno in Sicilia, ritorna il 17 e 18 giugno con una “prima” assoluta in Puglia, al centro di un vasto comprensorio viticolo che farà convergere a Corato, Bari, presso l’azienda Torrevento gli operatori professionali di Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata e Calabria. Oltre all’intera regione ospite. L’edizione 2016 della manifestazione targata Unione Italiana Vini e Veronafiere, dedicata alla promozione delle tecnologie per la viticoltura, ha ricevuto il patrocinio della Regione Puglia e di FederUnacoma. Saranno i filari dell’azienda vitivinicola Torrevento, 250 ettari nella Murgia Settentrionale, ad accogliere la “due giorni” di prove in campo dinamiche, che vedrà al lavoro in vigneto macchine e attrezzature per ogni fase di lavorazione della vite e l’allestimento di aree tematiche dedicate ad argomenti specifici: viticoltura di precisione, olivicoltura ed energie alternative. Particolarmente ricco si annuncia poi il programma collaterale, con una forte connotazione formativa nei riguardi degli operatori della filiera, che sarà sviluppato attraverso visite guidate e seminari e workshop multidisciplinari dedicati alle nuove frontiere dell’innovazione in viticoltura, con particolare attenzione alla viticoltura di precisione, alla realtà del vigneto Puglia nelle due aree del Nord e del Sud della regione, alla coltivazione biologica, alla gestione suolo nell’interfila e nel sottofila, alla meccanizzazione dell’olivicoltura. Protagonisti a Enovitis in Campo 2016 saranno poi l’Innovation Challenge, la cui dead line di partecipazione è fissata per il prossimo 25 marzo, il premio assegnato da un Comitato scientifico alle migliori innovazioni tecnologiche presentate in fiera, e il Concorso Vota il trattore, organizzato in collaborazione con Unima e il portale della meccanizzazione agricola Macgest, grazie al quale sarà eletta la macchina più votata tra quelle esposte e provate in fiera, nelle categorie gommati, cingolati e semi-cingolati e isodiametrici.

Spazio anche a momenti più ludici e conviviali, infine, con Enovitis in Campo Junior, iniziativa realizzata in collaborazione con i più importanti brand della trattoristica, che consentirà ai più piccoli di guidare in tutta sicurezza dei trattori “a misura” di bambino. E, non poteva mancare, l’appuntamento con la partita Italia-Svezia, che sarà possibile seguire in diretta su maxi schermo il 17 giugno. “La viticoltura  – dichiara Massimo Goldoni, presidente FederUnacoma – è un’eccellenza dell’agricoltura italiana e anche della meccanica Made in Italy. Le industrie del nostro Paese sono infatti all’avanguardia nella realizzazione di trattori specializzati, attrezzature per i trattamenti e per ogni operazione colturale, sistemi per la raccolta del prodotto che consentono di realizzare una viticoltura di altissima qualità. Caratteristiche territoriali, tecniche colturali, tecnologie meccaniche – continua Goldoni – sono elementi inscindibili nel settore della viticoltura, ed è proprio per sottolineare questa stretta integrazione che la Federazione italiana dei costruttori di macchine agricole FederUnacoma ha voluto aderire all’evento di Enovitis in Campo. La viticoltura è insieme passione e tecnologia e questo è il messaggio di Enovitis”.

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Nuove frontiere anti ossidazione del vino: addio ai solfiti?

Solfiti sì, solfiti no. Solfiti meno. Sono loro i principali attori contro uno dei nemici numero uno del vino: l’ossidazione. Ma oggi un gruppo di ricerca collaborativo formato da Cantine MezzaCorona, Fondazione Edmund Mach Centro Ricerca ed Innovazione e Nomacorc, uno dei produttori
leader di sistemi di chiusura per vino al mondo, ha scoperto nuove reazioni chimiche che permettono una migliore comprensione del destino dei composti antiossidanti del vino, come anidride solforosa e glutatione, in presenza di ossigeno. Un risultato ottenuto mettendo sotto la lente di ingrandimento i meccanismi di ossidazione del vino in bottiglia. “Lo scopo del progetto – spiega Maurizio Ugliano dell’Università di Verona, ex responsabile della ricerca enologica presso Nomacorc – era di ottenere una migliore conoscenza delle reazioni chimiche che occorrono nel vino dopo l’aggiunta di una piccola quantità di ossigeno all’imbottigliamento o successivamente, attraverso la chiusura”. “Abbiamo scelto un approccio metabolomico, che prevede di effettuare un’analisi globale dei composti del vino”, spiega Fulvio Mattivi, ricercatore alla Fondazione Edmund Mach in Italia. Lo studio è stato effettuato su 12 vini bianchi, prodotti da sei differenti varietà di uva. Tutti erano stati imbottigliati dalle Cantine MezzaCorona con arricchimento dell’ossigeno controllato a mezzo di un analizzatore di ossigeno NomaSense, sotto la supervisione del responsabile del controllo qualità Paolo Pangrazzi. Sono state analizzate un totale di 216 bottiglie di vino. È stato possibile separare nel campione fino a 8 mila composti, generando oltre 1,7 milioni di dati. “Questo tipo di analisi globale – aggiunge Mattivi – è diventato il metodo ideale per svelare nuove reazioni chimiche nel vino, dal momento che può misurare la presenza di diverse centinaia di composti, inclusi quelli sconosciuti. L’analisi statistica dei dati raccolti permette di identificare i composti la cui concentrazione è più influenzata dall’ossigeno. Come risultato, abbiamo evidenziato 35 composti in cui la concentrazione è stata fortemente influenzata dall’ossigeno e per 20 di essi è stata identificata una struttura chimica”.
Sono state scoperte così nuove reazioni chimiche che coinvolgono l’anidride solforosa. “La SO2 reagisce con altri antiossidanti presenti nel vino come il glutatione – spiega Panagiotis Arapitsas, ricercatore alla Fondazione Edmund Mach – riducendo la loro capacità antiossidante complessiva. Invece di avere un effetto additivo hanno cioè reagito tra di loro, eliminandosi a vicenda, lasciando il vino meno protetto! La SO2 reagisce anche con alcuni derivati degli amminoacidi e delle vitamine, attraverso almeno due nuovi percorsi di reazione. In tutti i casi queste reazioni sono favorite dalla presenza di ossigeno”. Queste scoperte saranno utili per il settore enologico, in particolar modo per sostenere un uso più intelligente dell’anidride solforosa. Infatti una misurazione abituale dei composti capaci di reagire con i solfiti potrebbe contribuire a valutare la concentrazione di solfito appropriata per la protezione ottimale del vino. E, in prospettiva, per diminuire la quantità aggiunta di SO2. “Questi risultati consentono anche di ottenere nuovi indicatori per comprendere meglio la capacità di ciascun vino di resistere all’ossidazione – fa notare Stéphane Vidal, vice-presidente di Enology and Wine Quality Solutions a Vinventions – e quindi una migliore gestione dell’ingresso dell’ossigeno durante e dopo l’imbottigliamento”. Per esempio, nel caso della necessità di un’elevata protezione, un controllo specifico dell’ossigeno all’imbottigliamento, associato alla scelta di un sistema di chiusura adatto, assicurerà che il vino sia protetto dall’ossidazione durante il suo invecchiamento in bottiglia.
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Vini al supermercato

Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc, Viticoltori Alto Adige

(4,5 / 5) Neppure 6 euro per il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc della cantina Viticoltori Alto Adige. E’ la sorprendente promozione messa in atto dalla catena Ipercoop, per smaltire quelli che – evidentemente – erano dei “fondi” di magazzino dell’annata 2012.

Attualmente in commercio in Gdo, come spiega Stefan Unterhauser, Sales Assistant Germania e Unione Europea della cantina di Appiano, Bolzano, c’è già la vendemmia 2015, mentre la 2013 non è stata prodotta.

Ne approfittiamo per proporvi l’esito di una degustazione sorprendente, che dimostra come l’evoluzione in bottiglia di un bianco di tendenza come il Gewurztraminer, solitamente reperibile in pronta beva sugli scaffali dei supermercati italiani – dunque con annate più recenti, come la 2014 o, ormai, la 2015 – regali invece emozioni inaspettate, almeno ai più.

LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo dorato acceso con riflessi verdolini, il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc dei Viticoltori Alto Adige mostra già di aver passato indenne gli anni nei magazzini e sugli scaffali del supermercato. Al naso, alcun segno di appassimento sgradito.

Anzi: è spiccatamente fruttato, aromatico per la precisione: a note ancora fresche di litchi e pesca fanno eco quelle più strutturate dal tempo, di albicocca sciroppata e pera matura. Ecco poi le spezie: chiodi di garofano, zenzero, una punta di cannella, in piacevole contrasto con la freschezza conferita dai sentori di mentuccia.

Un naso davvero complesso. Che, solo per intenderci, avvicina questo Gewurztraminer alle percezioni olfattive di certi passiti. Al palato, poi, risulta rotondo, grazie evidentemente al buon apporto della glicerina, sostanza che conferisce morbidezza alla beva.

A dominare sono nuovamente le sensazioni fruttate e speziate già ritrovate al naso, in perfetta armonia tra loro. Un Gewurztraminer che, giunto a questa fase di maturazione ottimale, possiamo definire strutturato, molto caldo in termini di alcolicità, ma anche fresco (acidità) e sapido. Tutti elementi in perfetto equilibrio tra loro.

Ottimo anche il quadro retro olfattivo: molto intenso, spiccato e penetrante, fine e persistente. L’abbinamento perfetto è quello con il sushi. Ma restando in Italia, è ottimo non solo come aperitivo, ma anche per accompagnare secondi a base di pesce, crostacei o pietanze molto saporite e piccanti. Importante servire a una temperatura di 10-12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Ci ha sorpreso constatare, visto l’esito della degustazione, che la cantina Viticoltori Alto Adige consigli di consumare questo prodotto entro 2-3 anni dalla data di vendemmia: noi di vinialsupermercato.it ci sentiamo di regalare a questo prodotto almeno altri 12 mesi di “vita”, certo consapevoli che la bottiglia diventi appannaggio di bevitori più esperti e consapevoli delle potenzialità del vitigno.

E a proposito, parliamo di un vitigno aromatico, autoctono del Sudtirol, come tiene a specificare la cantina sociale bolzanina, che raggruppa “circa 2.000 piccoli produttori locali, per lo più aziende agricole a conduzione familiare da tante generazioni che sono associate alle diverse cantine di spicco della Regione”.

La vite viene allevata col sistema della controspalliera, nei terreni compatti e ad alto contenuto di materiali calcarei e argillosi dell’Oltradige. La pigiatura avviene in maniera delicata, per non disperdere gli aromi. La decantazione è statica, con fermentazione a temperatura controllata. Il vino matura dunque 6 mesi in vasche di acciaio, prima di essere commercializzato.

Cosa ci insegna il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc 2012? Che non tutti i bianchi “invecchiano” male. Anzi: se il supermercato vuole liberarsi degli avanzi con promozioni come questa (45% di sconto sul prezzo pieno) è bene approfittarne. Purché si sappia distinguere il “pacco” dall’affare. E anche per questo ci siamo noi ad aiutarvi.

Prezzo pieno: 10,90 euro
Acquistato presso: Ipercoop

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Vini al supermercato

Chianti Classico Docg 2012, Lamole di Lamole Santa Margherita

(4 / 5) Qualche perplessità per una capsula di sughero con un anomalo intaglio, nella parte a contatto con il vino, subito fugata dall’analisi olfattiva e gustativa. Ci siamo avvicinati così, con la paura di rimanere delusi dallo scherzo di un “tappo”, al Chianti Classico Docg 2012 Lamole di Lamole prodotto dal Gruppo Vinicolo Santa Margherita di Greve in Chianti, Firenze. Ai dubbi iniziali fa spazio, entro breve, la soddisfazione di aver trovato sugli scaffali della grande distribuzione organizzata italiana l’ennesimo prodotto “degno” di recare la fascetta Docg. E soprattutto di aver scovato (vera rarità) un ottimo Chianti – più in generale, un buon toscano – al supermercato. Passiamo dunque all’esame. Nel calice, il Chianti Classico Docg 2012 Lamole di Lamole si presenta di un rosso rubino accesso, con unghia tendente al granato. Al naso è eccezionale: un crescendo di percezioni, mentre il vino si apre col passare dei minuti, a contatto con l’ossigeno. Si passa da un’iniziale predominanza floreale e fruttata, di viola mammola, ciliegie e piccoli frutti a bacca rossa, all’evoluzione progressiva dei sentori terziari. Su uno sfondo speziato di zafferano, ecco sopraggiungere le erbe aromatiche: origano e alloro secco. Questo Chianti Classico diviene ancora più affascinante quando il Cabernet Sauvignon (utilizzabile da disciplinare per un massimo del 20%, in blend col vitigno principe del Chianti, il Sangiovese) fa bella mostra di sé, sfoderando la sua carica olfattiva caratteristica: il peperone verde. Una grande intensità ed eleganza che speriamo di ritrovare anche al palato. E non restiamo certo delusi: gran sapidità, anche se prevale un’acidità fresca che fa salivare, invitando alla beva. Di calda ma sontuosa alcolicità, il Chianti Classico Lamole di Lamole Santa Margherita regala anche in bocca le note tipiche dei piccoli frutti rossi e una tannicità giusta, ottimale. Un gusto dunque armonico, raffinato. A questo punto non può che chiudere il cerchio un retro olfattivo intenso, fine; e una Pai sufficientemente persistente, per una vendemmia 2012 pronta, con ulteriore margine di miglioramento in bottiglia. L’abbinamento perfetto? Quello con gli affettati e la carne alla brace in generale. Una sfida? Provarlo con la faraona alla birra.

LA VINIFICAZIONE

La vinificazione viene effettuata con macerazione di circa 7-10 giorni a una temperatura controllata di 24-26 gradi, in ambiente ridotto, con intervento di microssigenazione. Dopo 6 mesi in acciaio il vino viene immesso in botti grandi di rovere, dove affina. Le uve provengono ovviamente dall’area del Chianti Classico, a un’altitudine che varia tra i 350 e i 500 metri sul livello del mare. Il sistema di allevamento delle vigne è a cordone speronato e archetto chiantigiano: le radici affondano in un terreno ricco di scisti e arenarie di galestro, dunque di natura sedimentaria. La densità d’impianto varia dalle 3.300 alle 5.128 piante per ettaro, vendemmiate dal periodo che corre tra la fine di settembre e quella di ottobre. Alla storica cantina e vinsantaia, collocata su uno dei magazzini del Castello di Lamole, edificio risalente alla metà del Trecento, il Gruppo Vinicolo Santa Margherita ha negli anni realizzato una seconda cantina di vinificazione più moderna in Lamole, a poche decine di metri dalla piazza dominata dalla chiesa romanica di San Donato, oltre al nuovo polo produttivo di Greti in Chianti. Tradizione e futuro che, in questo angolo di Toscana, procedono di pari passo.
Prezzo pieno: 11,90 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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Vino, poco ma buono: consumi dimezzati in Italia in 30 anni. Cresce l’enoturismo

Dallo scandalo del metanolo ad oggi i consumi di vino degli italiani si sono praticamente dimezzati passando dai 68 litri per persona all’anno del 1986 agli attuali 37 litri che rappresentano il minimo storico dall’Unità d’Italia nel 1861. E’ quanto affermano la Coldiretti e la Fondazione Symbola sulla base del Dossier ‘Accadde domani. A 30 anni dal metanolo il vino e il made in Italy verso la qualità’. Il risultato è che la quantità di vino Made in Italy
consumato all’interno dei confini nazionali è risultata addirittura inferiore a quella nel resto del mondo. In Italia si beve meno, ma si beve meglio con il vino che si è affermato nel tempo come l’espressione di uno stile di vita “lento” attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi in alternativa agli eccessi. In Italia si stima la presenza di 35mila sommelier, ma un numero crescente di giovani ci tiene ad essere informato sulle caratteristiche dei vini e cresce tra le nuove generazioni la cultura della degustazione consapevole con la proliferazione di wine bar e un vero boom dell’enoturismo, dalle strade alle città del vino, che è una realtà consistente in Italia dal 1994, quando intorno a “Cantine aperte” nacque un movimento che oggi registra circa 3 milioni di turisti l’anno, per un giro d’affari che si attesta intorno ai 4 miliardi.

I NUMERI

Il 73% dei consumatori di vino lo bevono in casa, prevalentemente durante i pasti, apprezzando in otto casi su dieci più il vino rosso rispetto al bianco o alle bollicine che invece sono preferiti da chi lo consuma fuori casa per il 62%, secondo una recente indagine dell’Osservatorio vino dalla quale emerge che cresceranno di oltre l’8% i consumi di vino al ristorante nei prossimi due anni, per lo più al bicchiere, dove avranno la meglio le etichette locali o regionali per il 94,5% dei consumatori. Il vero cambiamento rispetto al passato si registra infatti nelle scelte di consumo con i vini del territorio che fanno registrare i maggiori incrementi della domanda a livello nazionale dove, a fronte di una stagnazione dei consumi, è boom per gli acquisti di vini autoctoni dal Pecorino al Pignoletto, dalla Falanghina al Negroamaro. Nel tempo della globalizzazione gli italiani bevono locale con il vino a “chilometri zero” che è il preferito nelle scelte di acquisto in quasi tutte le realtà regionali.

L’ENOTURISMO
La domanda sostenuta di vini di produzione locale ha spinto la nascita a livello regionale di numerose realtà per favorirne la conoscenza, la degustazione e l’acquisto. Sono molte le aziende vitivinicole che aprono regolarmente o in speciali occasioni le porte ai visitatori per far conoscere la propria attività con i metodi di produzioni dal vigneto alla cantina. Sono oltre 1000 i produttori di vino certificati che fanno parte della rete di vendita diretta di Campagna Amica attraverso punti vendita e mercati degli agricoltori dove vengono offerti vini locali a chilometri zero.

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Vini al supermercato

Soave Doc Classico Terre del Vulcano, Corte Allodola Cantina Lidl

(4,5 / 5) Eccolo qui – ma non ditelo a Slow Food & Co. – un altro valido prodotto della cantina vini Lidl. Parliamo del Soave Doc Classico Terre del Vulcano, prodotto e imbottigliato all’origine dalla società agricola Corte Allodola di Monteforte d’Alpone, in provincia di Verona. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014.

LA DEGUSTAZIONE
Il Soave Doc Classico Terre del Vulcano Corte Allodola si presenta nel calice di un giallo paglierino con lievi riflessi verdognoli. Limpido, trasparente e intenso il colore che espirme. Come intenso risulta al naso: pulito, esente da anomalie, nonché elegante. La natura dei profumi va dal florale al fruttato.

Chiari i richiami a un delicato e fresco biancospino, ma anche alla margherita. Presenti anche note agrumate di limone, in uno sfondo minerale che sfocia – a vino ormai ben ‘aperto’ nel calice – in un punte speziate di zenzero che ci portano a definire l’olfatto complesso.

Ottime premesse, dunque, quelle che conducono all’esame gustativo. Al palato il corpo è buono, l’alcolicità calda. Il Soave Doc Classico Terre del Vulcano Corte Allodola risulta morbido, secco, leggermente più sapido che fresco: aspetto che ci porta a definire comunque la beva equilibrata, considerato che siamo di fronte a una tipologia di vino che fa della mineralità un’arma vincente.

In bocca troviamo mela, Pera Kaiser, mandorla. Ma a incuriosire è una curiosa nota di liquirizia dolce, che ci conduce verso un finale nuovamente fresco e sapido, di sufficiente persistenza. Fine e intenso anche il retro olfattivo. Maturo lo stato evolutivo per la vendemmia 2014. L’abbinamento in cucina? Ottimo come aperitivo, può essere servito in accompagnamento a piatti a base di pesce e verdura.

LA VINIFICAZIONE
La zona di origine di produzione del Soave Doc Classico Terre del Vulcano è quella del Comune di Monteforte D’Alpone e Soave, dove si trovano parte dei 40 ettari totali in conduzione dell’azienda agricola Corte Allodola.

Il suolo è di origine vulcanica, così come suggerisce lo stesso nome di fantasia assegnato a questo Soave Doc Classico realizzato in esclusiva per la catena di supermercati Lidl. La forma di allevamento prevalente è la tradizionale Pergoletta Veronese.

Le uve utilizzate, come da disciplinare, sono la Garganega e il Trebbiano di Soave, quest’ultimo addizionato con una percentuale del 15% rispetto all’uvaggio principe della zona. Corte Allodola, per i curiosi, è una società commerciale fondata nel 2013, cui rispondono due società agricole a conduzione famigliare, giunte alla quarta generazione.

Dai 40 ettari vitati, collocati interamente sul territorio del Veneto, provengono le uve che finiscono poi trasformate in un volume d’affari che si aggira sulle 600 mila bottiglie l’anno. Per Lidl, Corte Allodola non realizza solo il Soave ma anche il Pinot Grigio Veneto, il Rosso Veneto Igt, l’Amarone e il Ripasso.

Prezzo pieno: 3,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Vino italiano, dal metanolo al record delle esportazioni

Il vino ha fatto segnare nel 2015 il record storico nelle esportazioni che hanno raggiunto il valore di 5,4 miliardi con un aumento del 575% rispetto a 30 anni fa quando erano risultate pari ad appena 800 milioni di euro. E’ quanto affermano la Coldiretti e la Fondazione Symbola sulla base del Dossier ‘Accadde domani. A 30 anni dal metanolo il vino e il made in Italy verso la qualità’. Trenta anni fa, nel marzo 1986, in seguito
alle segnalazioni di alcuni casi di avvelenamento registrati a Milano, è dato l’incarico al sostituto procuratore della Repubblica Alberto Nobili di fare luce su quello che sarebbe stato un clamoroso scandalo del settore alimentare: il vino al metanolo. Vittime, decine di intossicati, inchieste giudiziarie e l’immagine del Made in Italy alimentare drammaticamente compromessa in tutto il mondo, ma anche un nuovo inizio con la rivoluzione che ha portato il vino italiano alla conquista di storici primati a livello nazionale, comunitario ed internazionale. Il risultato è che oggi nel mondo 1 bottiglia di vino esportata su 5 è fatta in Italia che si classifica come il maggior esportatore mondiale di vino. Il 66% delle bottiglie di vino esportate dall’Italia sono Dog/Doc o Igt. In termini di fatturato il primo mercato del vino Made in Italy con il valore record delle esportazioni di 1,3 miliardi di euro sono diventati gli Stati Uniti che hanno sorpassato la Germania che rimane sotto il miliardo davanti al Regno Unito con oltre 700 milioni di Euro. Ma negli ultimi anni si sono aperti nuovi mercati prima inesistenti come quello della Cina dove le esportazioni di vino hanno superato gli 80 milioni di euro nel 2015. Nel 2015 rispetto all’anno precedente le vendite hanno avuto un incremento in valore di oltre 13% negli Usa, mentre nel Regno Unito l’export cresce dell’11% e la Germania rimane sostanzialmente stabile. In Oriente le esportazioni sono cresciute sia in Giappone sia in Cina rispettivamente in valore del 2% e del 18%. Negli Stati Uniti – continuano Coldiretti e Symbola – sono particolarmente apprezzati il Chianti, il Brunello di Montalcino, il Pinot Grigio, il Barolo e il Prosecco che piace però molto anche in Germania insieme all’Amarone della Valpolicella ed al Collio.

Lo spumante è stato il prodotto che ha fatto registrare la migliore performante di crescita all’estero con le esportazioni che sfiorano per la prima volta il record storico del miliardo di euro nel 2015. Il risultato è che all’estero si sono stappate piu’ bottiglie di spumante italiano che di champagne francese, con uno storico sorpasso con il 2015 che si chiude con volumi esportati pari ad una volta e mezzo quelli degli spumanti transalpini (+50%). Nella classifica delle bollicine italiane piu’ consumate nel mondo ci sono nell’ordine il Prosecco, l’Asti, il Trento Doc e il Franciacorta che ormai sfidano alla pari il prestigioso Champagne francese. Per quanto riguarda le destinazioni, la classifica è guidata dal Regno Unito con circa 250 milioni di euro e un incremento del 44% nel 2015, ma rilevanti sono anche gli Stati Uniti con circa 200 milioni ed un aumento del 26% a valore.

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Cocktail, è il Negroni quello preferito dagli italiani. E al Dreamplanet Award Cocktail Team Toscana 2016 trionfa Giacomo Ferrari

Tra i circa cinquanta cocktail riconosciuti a livello internazionale, quello che gli italiani preferiscono, secondo la Federazione italiana Barman , è il Negroni. Il cocktail a base di Gin, Campari e Vermouth rosso è infatti quello più ordinato, soprattutto all’ora dell’aperitivo. Un orgoglio particolare visto che il Negroni è nato in Italia, a Firenze per la precisione, negli anni Venti del XX Secolo presso il Caffè Casoni, grazie alla fantasia del conte Camillo Negroni il quale decise di sostituire al Seltz del suo amato Americano (altro tra i preferiti) del Gin per riassaporare il ricordo dei suoi viaggi londinesi. A distanza di quasi un secolo il Negroni resta una degli aperitivi più amati. Tra quelli di nuova generazione invece da segnalare i vari Sour, apprezzati soprattutto in discoteca dai più giovani, ma anche Long Island, Moscow Mule e il Cosmopolitan. La categoria conta 149.885 strutture in attività per un volume di affari complessivo di oltre 18 miliardi di euro. Ed è un lavoro ‘al femminile’ (60%) visto che 6 addetti su 10 sono donne, per un totale di 360mila addetti. In media si pagano 0,94 euro per un caffè, 1,27 per un cappuccino, 3 euro per un panino. Sono Valle d’Aosta, Sardegna e Liguria le regioni con la maggiore concentrazione di bar, mentre la Sicilia è fanalino di coda. Nel corso degli anni la presenza degli stranieri è cresciuta significativamente, sia tra gli imprenditori che tra i lavoratori dipendenti, con 45.950 addetti di nazionalità straniera e una percentuale sul totale del 21,5%. Ben il 17,1% del totale dei bar si concentra in Lombardia con oltre 25mila esercizi, 15.187 sono i bar del Lazio (10,2% del totale) e 13.859 in Campania (9,3% del totale). Il primo gradino del podio per concentrazione di bar spetta alla Valle d’Aosta, che risulta l’unica regione con un saldo positivo tra aperture e chiusure (515 bar sul territorio con un indice di densità per mille abitanti del 4%). Seguono Sardegna (5.056 esercizi con un indice di densità del 3,1%) e Liguria (5.601 bar con un indice di densità del 3,5%). Fanalino di coda la Sicilia , con 8.153 bar e un indice di densità che si attesta solamente all’1,6.

BARMAN, ECCO LE NUOVE “LEVE”

E con il suo Gin Fusion è Giacomo Ferrari (nella foto), 22 anni di Viareggio, il vincitore del “Dreamplanet Award Cocktail Team Toscana 2016”. Dodici i partecipanti alla competizione, andata in scena proprio ieri a Carrara Fiere durante la “Tirreno CT” per scegliere il migliore barman della Toscana da far entrare nella rappresentativa regionale. E’ quindi Ferrari, proveniente dai corsi FIB della provincia di Lucca il primo componente del “Cocktail Team Toscana” che rappresenterà la toscana alle finali 2016 del Cocktail & Apetizer Show che si svolgerà ad ottobre. Tante novità nei cocktail ma ha spiccare è stato proprio Gin Fusion perché è il risultato di una infusione a freddo di alcune erbe aromatiche insieme al distillato di base e poi filtrato e successivamente miscelato. A comporre la giuria: Maria Teresa Poli dell’Academy Toscana e Enrico Rovella Presidente Academy Piemonte. Anche per la 36esima edizione di Tirreno C.T. la Federazione italiana barman, la Fib , ha scelto questa fiera per lanciare i propri master professionali pensati per la formazione dei più giovani. “Fondamentale per creare un professionista che possa soddisfare le esigenze del cliente di oggi – spiega Mario Caterino, responsabile eventi della Federazione italiana Barman – formazione che non deve essere solo di tipo tecnico e pratico, ma anche di educazione nei confronti di chi ordina il cocktail”. Tre sono gli ingredienti che deve usare un barman per arrivare al successo: onestà, simpatia e buongusto. Lo dice la stessa Fib presentando i corsi. “Sono sempre di più i giovani interessati a questo mestiere – conclude Caterino – serve però passione e devozione per poterlo fare con professionalità e cura”.

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Vini al supermercato

Ribolla Gialla Doc Collio, Cantina Produttori Cormòns

(3 / 5) Sono forse un po’ troppi 13 euro per le emozioni che è in grado di regalare la Ribolla Gialla Doc Collio Cantina Produttori Cormòns. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014. Non certo un’annata felicissima, ma non per questo il vino in questione ha subito un deprezzamento sugli scaffali dei supermercati italiani, che lo espongono in sell out tra i 12 e i 14 euro. Di colore giallo paglierino intenso, con riflessi verdognoli, la Ribolla Gialla Doc Collio Cantina Produttori Cormòns si presenta limpida e trasparente. All’esame olfattivo risulta intensa, di carica “normale”. E’ la complessità che lascia qualche perplessità, parendo pressoché monocorde sul tema floreale, con qualche vena di limone a far capolino sullo sfondo. Definire “elegante” tale percezione ci sembra fuorviante. Al palato prevale su tutto una buona sapidità, ben calibrata con le note agrumate. Di fresca acidità, si fa desiderare in quanto a corpo e alcolicità. Aspetti che ci condono a giudicare “debole”, complessivamente, la beva: sufficientemente equilibrata. Il retro olfattivo si conferma leggero, mediamente fine. Poco persistente, per una vendemmia 2014 che speriamo di poter definire pronta, anche se i margini di miglioramento non sembrano poi così evidenti, visti i presupposti. Un vino, la Ribolla Gialla Doc Collio 2014 della Cantina Produttori Cormòns, che suggeriamo di abbinare ad antipasti leggeri e delicati. Oppure a primi come la zuppa di pesce e a secondi semplici (filetto di salmone o di trota salmonata), nonché alle carni bianche. Va prestata particolare attenzione alla temperatura di servizio: in inverno tra i 12 e i 14 gradi, mentre in estate non deve superare gli 8-10 gradi.

LA VINIFICAZIONE
La Ribolla Gialla Doc della Cantina Produttori Cormòns è ottenuta mediante vinificazione in purezza delle uve Ribolla gialla, la cui vendemmia inizia nelle prime settimane di settembre. Le uve vengono diraspate e macerate a freddo, al fine di conservare gli aromi. Segue poi la fermentazione a una temperatura controllata di 16 gradi, della durata di 15-20 giorni. Il vino viene quindi lasciato riposare per alcuni mesi, microfiltrato e dunque imbottigliato. L’affinamento avviene in gradi botti di acciaio. Nata sul finire degli anni Settanta, la Cantina Produttori Cormons è oggi costituita da oltre centocinquanta viticoltori che operano in una delle zone vitivinicole più vocate al mondo, il Friuli Venezia Giulia dalle zone vitivinicole più pregiate del mondo.

Prezzo pieno: 13,49
Acquistato presso: Iper

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Vini al supermercato

Cerasuolo di Vittoria Docg 2014, Judeka

(4 / 5) Eccoci a recensire il secondo prodotto dell’Azienda vitivinicola Judeka, inserito di recente sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Dopo il Frappato Vittoria Doc, la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it si concentra sul Cerasuolo di Vittoria Docg 2014 Judeka. Un vino più austero del precedente, in grado di aggiudicarsi la medaglia d’argento al Decanter World Wine Awards 2014. Di fatto, le differenze sono tutte nell’utilizzo di differenti uvaggi: se il Frappato Vittoria Doc è ottenuto mediante vinificazione delle sole uve Frappato in purezza, il Cerasuolo di Vittoria, unica Docg siciliana, viene prodotto grazie al blend tra Nero D’Avola (60%) e lo stesso Frappato (40%). Nasce così un vino leggermente più alcolico, 13,5 gradi contro i 13% del Frappato, capace anche in questo caso – vera particolarità – di essere abbinato divinamente a piatti di pesce come il tonno al naturale, appena scottato, o all’aceto balsamico, oltre che a piatti della tradizione sicula e alla carne in generale. Nel calice, il Cerasuolo di Vittoria Docg Judeka si presenta di un rosso brillante. Al naso frutti a bacca rossa come lampone, amarena e melograno, su uno sfondo più austero e “legnoso” tipico del Nero D’Avola, con speziatura al pepe nero. Al palato è molto sapido, caldo, con i frutti rossi lunghi e carnosi che sembrano allungarsi direttamente dall’olfatto alle papille gustative. La freschezza della beva, assieme a un’alcolicità invitante, suggeriscono i sorsi verso un finale che richiama nuovamente amarena e lampone.

LA VINIFICAZIONE
La zona di produzione del Cerasuolo di Vittoria Docg Judeka è quella di Caltagirone, in provincia di Catania, dove ha sede la stessa cantina siciliana. L’impianto dei vitigni Frappato e Nero D’Avola è a controspalliera a cordone speronato, con una densità di 4.186 piante. La vinificazione avviene in maniera tradizionale, in rosso, con contatto con le bucce per 12-14 giorni a una temperatura controllata di 22-24 gradi, in vasche d’acciaio inox. Il vino, prima della commercializzazione, affina ulteriori 4 mesi in bottiglia. Il Cerasuolo di Vittoria Docg Judeka, vendemmia 2014, è un vino pronto, con ulteriore possibilità di migliorare dal punto di vista organolettico nei successivi 4 anni.

Prezzo pieno: 9,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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visite in cantina

Barrique e bollicine. Viaggio all’Azienda vitivinicola Montesissa, fra tradizione e futuro

Il Gutturnio Riserva, vino fermo, di struttura, affinato in legno, è un prodotto difficile da reperire sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Siamo andati a trovare una famiglia di viticultori piacentini che produce vini dagli anni Venti, tra cui proprio un Gutturnio Riserva finito sotto la nostra lente di ingrandimento, nelle scorse settimane. Ci troviamo a Rezzano di Carpaneto Piacentino, in località Buffalora, nel pieno della Val Chero, sul territorio collinare che si apre a pochi chilometri dall’Autostrada A1, non lontano dal borgo medioevale di Castell’Arquato e da Velleja Romana.
Ad accoglierci c’è Ilaria Montesissa, 37enne cotitolare dell’azienda di famiglia, sorta su quello che all’inizio dello scorso secolo era un bosco. “Pian piano – spiega – la famiglia ha iniziato a impiantare vigneti e a vendere uva al mercato. Poi siamo passati alla vinificazione, con vendita di vino sfuso alle osterie di Piacenza.
In seguito, con l’avvento di mio nonno Francesco, di mia nonna Alma Franchini e dei loro figli Roberto e Gianluigi, mio padre e mio zio, l’azienda vitivinicola Montesissa ha iniziato ad abbandonare le damigiane e a dedicarsi all’imbottigliamento”. Una vera e propria rivoluzione quella apportata in cantina, ma che parte in realtà dalla vigna. Siamo a 200 metri sul livello del mare, in una zona collinare dal terreno limoso argilloso.
Ottima l’esposizione dei vigneti, su tutti e quattro i punti cardinali. Trenta ettari totali, di cui oltre venti vitati. La Montesissa coltiva le varietà principali del Piacentino. Dunque Malvasia, Ortrugo, Barbera e Bonarda, oltre agli internazionali Chardonnay, Merlot e Syrah.
La casa-cantina della vinicola Montesissa, con una superficie di 500 metri quadrati, si affaccia su un terrapieno vitato, alla base del quale scorre il torrente Chero. Il vento sferza la valle e regala a questa porzione di territorio del Comune di Carpaneto Piacentino l’inequivocabile nome: Buffalora.
“Tutte le uve vengono conferite qui durante la vendemmia – spiega Ilaria Montesissa – vinificate, imbottigliate e vendute. In base alle annate, produciamo tra le 180 e le 200 mila bottiglie. Solo una piccola parte, circa il 2%, finisce nella grande distribuzione organizzata. In particolare abbiamo raggiunto un accordo con la catena Il Gigante”.
IL RAPPORTO CON LA GDO
Ed è proprio sugli scaffali del gruppo milanese di Bresso che abbiamo pescato l’ottimo Gutturnio Riserva Costa Pancini, vendemmia 2010, prodotto dall’azienda vitivinicola Montesissa. Un rapporto piuttosto turbolento, tuttavia, quello con la catena di supermercati presieduta da Giancarlo Panizza.
“Per via di alcune incomprensioni – spiega Luca Montesissa, 34 anni, cugino di Ilaria e cotitolare dell’azienda – molto probabilmente si terminerà entro breve la nostra avventura in gdo, per lo meno con la catena attuale”. Problemi che riguarderebbero l’etichettatura delle bottiglie da un lato, “poco gradita al buyer, nonostante l’invio di numerose altre etichette differenti, con layout più moderni”.
Mentre dall’altro le “difficoltà nella gestione degli ordini e delle consegne”, che finiscono per appesantire il lavoro di quella che – tutto sommato – è una piccola azienda a conduzione famigliare, in cui il 60 % del fatturato è rappresentato dalle vendite nel canale Horeca (dunque enoteche e ristorazione) e il restante riguarda la vendita a privati e al dettaglio, soprattutto in provincia di Piacenza.
“Non avevamo mai lavorato prima con la Gdo – aggiunge Ilaria Montesissa – soprattutto perché abbiamo prezzi medi un po’ più alti degli altri produttori della zona, con un produzione più piccola e tesa verso la qualità. I supermercati chiedono prezzi più bassi. Abbiamo deciso comunque di provare, incanalando in gdo la vendita di alcuni nostri prodotti: Bonarda, Barbera, Gutturnio ‘base’ e Riserva, oltre all’Oltrugo.
In generale, non possiamo certo definire negativa questa esperienza, anche se ci spiace un po’ vedere il prodotto deprezzato, quando è posto in promozione!”. Nella zona, del resto, sono molti i produttori che hanno deciso di investire nella grande distribuzione.
“Il supermercato – commenta Ilaria Montesissa – non è più visto come luogo dove poter reperire solo vini di bassa qualità, con prezzi bassi. C’è molta scelta, dunque il cliente può trovare anche vini da 30 euro, di qualità buona. Vendere vino al supermercato, insomma, non è più penalizzante a livello d’immagine per le aziende vinicole”. Come si fa, allora, a contrastare chi accetta di vedere il proprio Bonarda o il proprio Ortrugo a 1,99 euro nei supermercati?
“Noi abbiamo sempre creduto nella qualità più che nella quantità – risponde piccata Ilaria Montesissa – e nonostante avessimo sin dagli anni passati prezzi più alti rispetto agli altri, i clienti ci hanno sempre dato costantemente la soddisfazione più grande: costa di più ma torno da voi, ci dicono in molti, perché il vostro vino è più buono, il mattino seguente non ho il mal di testa, non mi viene il mal di stomaco e posso berne un bicchiere in più senza star male! Negli anni la qualità non è cambiata, anzi è in costante miglioramento. E alla fine sono le persone che ti fanno capire che se lavori bene ne vale la pena, anche in periodi di crisi come questo”.
Un mercato in crescita, anche per la Montesissa, è quello dell’estero. “Abbiamo un commerciale in Cina – spiega Ilaria – e stiamo cominciando a stringere rapporti commerciali con il Paraguay, mercato che si sta aprendo e in cui riponiamo speranze.
In Cina abbiamo un collaboratore italiano che ha inserito i nostri vini in una sorta di catena di enoteche, il cui titolare era alla ricerca di prodotti italiani dal medio-basso livello fino all’alto livello. Dunque ha fatto un groupage in varie zone d’Italia, tra cui Piacenza, decidendo di inserire i nostri vini. Non sono quantità grandissime, ma siamo presenti con prodotti di qualità che ci assicurano un buon ritorno, anche a livello di immagine”.


L’UVA, LE VIGNE, LA VINIFICAZIONE

Un’azienda che sta cercando nuovi mercati nell’estero, dunque, la vitivinicola Montesissa. Ma che gioca in maniera consapevole il suo ruolo anche nel Piacentino, evitando di contribuire al declassamento di prodotti come il Bonarda o l’Oltrugo dei Colli Piacentini, divenuti ormai veri e propri concorrenti sulla tavola dei consumatori del Nord Italia, alla stregua del Bonarda o del Pinot dell’Oltrepò Pavese.

“Ed è un peccato – evidenzia Ilaria Montessissa – che in zona non si riesca a fare squadra, per far conoscere anche nel Sud Italia un vino di pregio come può essere il Gutturnio, che in meridione in pochissimi conoscono”. Negli anni, di fatto, la Montesissa, dopo aver tentato di cambiare “il verso delle cose” assieme ad altri produttori della zona, ha deciso di uscire dal Consorzio Vini Doc Piacentini.

“Non siamo più iscitti da due anni – spiega Ilaria Montesissa – in quanto riteniamo che non serva a nulla essere iscritti a un ente che negli anni non è riuscito a promuovere a dovere la cultura del vino piacentino, al di là dei confini della stessa provincia. Del resto è la burocrazia, più in generale, che sta ostacolando lo sviluppo di tante aziende vitivinicole serie”.

La produzione d’eccellenza della Montesissa è certificata del resto dalle tante botti presenti nell’area della cantina vecchia, la parte storica dell’azienda che risale agli anni Sessanta. “Il nonno Francesco – commenta Ilaria – è un amante dei vini fermi e affinati in botte, per cui non poteva dedicare parte della produzione al Gutturnio Riserva, ma anche a un Bonarda Riserva, non venduto in gdo, che molti apprezzano e che costituiscono assieme il vero fiore all’occhiello della nostra azienda”.

Il Bonarda, denominato “El Ladar è ottenuto mediante affinamento in barrique di quasi 12 mesi, per poi maturare ulteriormente in bottiglia per un anno, prima della commercializzazione. Dal 2003, nelle annate migliori, ne vengono prodotte circa 2 mila bottiglie l’anno e non mancheremo di fornire ai nostri lettori l’esito della degustazione di una bottiglia della vendemmia 2009.

“Raccogliamo l’uva dopo averla fatta sovramaturare sulla pianta – spiega Ilaria Montesissa – e poi la vinifichiamo. È l’esatto opposto del consueto Bonarda piacentino: un vino ‘gnucco’, di gran corpo, che raggiunge anche i 15,5 gradi di alcol in volume. Il 2003, peraltro, si sta ammorbidente adesso…”.

Del resto, tutti sanno ormai che l’ultima frontiera del vino sono le bollicine. E anche alla Montesissa non stanno a guardare.

I clienti moderni chiedono sempre più spesso vini facili da bere – ammette Ilaria – è dunque abbiamo cominciato sin dal 2003 a provare uno spumante metodo classico e, da ormai tre anni, produciamo anche un Pinot Nero vinificato in bianco col metodo Charmat“.

“Effettivamente un mercato in crescita, con la produzione praticamente duplicata nel giro degli ultimi due anni, riducendo la produzione dei fermi affinati in legno. Come del resto è in crescita la produzione di un Gutturnio Classico Superiore, vino fermo più facile da bere rispetto al Riserva, anche per la sua gradazione che non supera i 13,5 gradi”. Insomma, alla Montessissa si guarda al futuro con le bollicine. Tenendo sempre lo sguardo e la mente fissi alla tradizione piacentina Doc.

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Unione italiana vini a Poderi del Nespoli, Zonin: “La qualità non basta più per competere”

“Dobbiamo fare più sistema con tutti i soggetti del territorio: aziende, ristoranti, enoteche, sommelier, distribuzione organizzata, per condividere e promuovere un processo culturale univoco che premi sia il mondo del vino sia i consumatori. Il consumo di vino al ristorante nei prossimi due anni è stimato possa crescere di oltre 8% con una predilezione verso i vini locali o regionali (94,5% degli intervistati), a suffragare il concetto dell’importanza del territorio, e con una forte tendenza a consumare vini al bicchiere (94% degli intervistati), indice del fatto che la modalità di consumo è cambiata e che dobbiamo muoverci per trovare le formule opportune per essere al passo col tempo. La cultura della qualità e del territorio, anche per la distribuzione moderna, saranno il focus su cui concentrare gli sforzi nei prossimi anni”. Con queste parole Domenico Zonin, Presidente Unione Italiana Vini, ha chiuso oggi i lavori della Tavola Rotonda dal titolo “Mercato interno del vino: quali le prospettive del 2016?”, organizzata presso Poderi dal Nespoli (Nespoli, FC) da Unione Italiana Vini, in collaborazione con Foragri, con l’obiettivo di fornire una panoramica complessiva sullo status e sulle prospettive del comparto vitivinicolo per il 2016, dialogando con le istituzioni e con i più autorevoli esponenti del mondo vitivinicolo nazionale, i rappresentanti della Gdo, della ristorazione, delle enoteche, con il supporto dei dati forniti dall’Osservatorio del Vino. “La reputazione dei nostri prodotti – precisa Simona Caselli, assessore Agricoltura Regione Emilia Romagna – si fa qui, sul territorio. Sono la qualità prodotto, il luogo di produzione, la relazione con la gente, che ti fanno riconoscere. La nostra gastronomia sta ottenendo risultati straordinari, costruendo attenzione sui nostri prodotti e trainando il turismo. Però dovrà sempre più essere unita al mondo del vino, dovranno viaggiare insieme per portare soddisfazione maggiore per tutti. Il lavoro sulla qualità va spiegato e serve attenzione complessiva affinché non diventi fuori portata per i consumatori. Serve equilibrio e la ristorazione in questo è molto importante. Di deve ragionare, in sintesi, in termini di sistema”.

“LA QUALITA’ NON BASTA PER COMPETERE”
“La cosa certa, almeno così i dati di Fipe ci dicono – spiega Zonin – è che dobbiamo insistere sul tema della cultura perché, se ben l’85% dei consumatori intervistati ritiene di non conoscere il vino, significa che da qui dobbiamo partire per promuoverlo attraverso un marketing della conoscenza, per il quale siamo disposti ad investire”. “La qualità non basta più per essere competitivi – conclude il presidente Zonin – ma deve essere supportata da un processo di crescita culturale da parte sia delle aziende sia del consumatore. Il territorio e la tradizione sono fattori prioritari per raccontare il nostro vino e sempre più dobbiamo imparare ad insistervi per far capire la complessità e l’unicità che siamo capaci di esprimere attraverso i nostri prodotti. Aiuteremo così anche il consumatore a recepire il vino non come semplice bevanda ma come il prodotto finale di un sistema responsabile, appassionato e ricco di professionalità. Questo farà la differenza per crescere in primis sul mercato interno e poi sul mercato estero, grazie a una migliorata percezione che deriverà proprio da questa nuova cultura”.

PODERI DEL NESPOLI

L’importante conferenza si è tenuta ieri proprio a Poderi del Nespoli, cantina romagnola che dal 1929 produce vino di qualità, tra l’alto già finito anche sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it: qui le nostre recensioni del Rosso Poderi del Nespoli e del Bianco Poderi del Nespoli, in vendita sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Una realtà di riferimento nel panorama enologico della Romagna, grazie all’impegno della famiglia Ravaioli, che piantò i filari del primo podere acquistato nel borgo di Nespoli, a cui negli anni si è affiancata la concezione imprenditoriale della famiglia Martini, che ha saputo guardare lontano e portare il nome di Poderi dal Nespoli e della Romagna nel mondo. Oggi, infatti, Poderi dal Nespoli unisce la storia e la tradizione con le tecnologie all’avanguardia, il rispetto per l’ambiente con la promozione dell’enoturismo come efficace modo di avvicinare il pubblico al vino. Sistemi di produzione moderna, sperimentazioni e ricerca, infatti, si accompagnano a un modello di imprenditorialità basato sull’esperienza diretta da parte del consumatore, che qui può scoprire e conoscere l’intera filiera produttiva, dal vigneto alla cantina, dall’imbottigliamento alla commercializzazione, fino al calice.

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Aglianico Igp Salento Viticultori di San Giuseppe, Cantine San Marzano

(3 / 5) Con i suoi 4,59 euro, l’Aglianico Igp Salento Viticultori di San Giuseppe rappresenta uno dei vini rossi “top di gamma” della catena di supermercati Eurospin, che lo evidenzia a scaffale con la dicitura “Le nostre stelle”.

Un prezzo modesto, dunque, in linea con le politiche del gruppo veronese noto al grande pubblico per il claim “La spesa intelligente”. E interessante è anche questo vino, prodotto da una società cooperativa, le Cantine San Marzano di San Marzano di San Giuseppe, Taranto, capace di aggiudicarsi diversi premi e riconoscimenti a livello non solo italiano, ma anche internazionale. Interessante dunque constatare, ancora una volta, come l’attenzione per il buon vino stia facendo lievitare la qualità dei prodotti nella grande distribuzione organizzata, compresi i discount.

Passiamo dunque sotto la lente di ingrandimento l’Aglianico Igp Salento Viticultori di San Giuseppe, vendemmia 2015. Nel calice il vino si presenta di un rosso rubino intenso, con riflessi violacei. Un colore tipico del vitigno in questione. Al naso si scopre senza la minima timidezza, intenso, caldo, con note di frutti rossi maturi. Al palato la vena fruttata si conferma predominante, ma l’alcolicità contribuisce a regalare eleganza e struttura alla beva, piacevolmente fresca e sapida. Rendendo l’Aglianico Igp Salento Vitivultori di San Giuseppe il vino giusto per accompagnare antipasti a base di salumi, primi piatti con ragù di carne, nonché secondi leggeri, sempre a base di carne. Un vino giovane quello degustato, che si presta anche a un ulteriore affinamento in bottiglia.

LA VINIFICAZIONE
Stiamo dunque parlando di un vino abbastanza versatile, prodotto a San Marzano, nel Salento, in Puglia. Le vigne si trovano a un’altezza di circa 100 metri sul livello del mare, esposte a temperature medie molto alte e a una piovosità particolarmente bassa. I terreni sono a grana medio-argillosa, con profondità abbondantemente sotto il metro. La densità d’impianto è di 4.500 viti per ettaro. La vendemmia avviene nelle prime settimane di ottobre. Una volta raccolte, le uve vengono macerate a temperatura controllata per circa dieci giorni. Per la fermentazione alcolica dell’Aglianico Igp Salento, le Cantine San Marzano di San Marzano San Giuseppe utilizzano lieviti selezionati, procedendo poi ad un affinamento in acciaio.

Prezzo pieno: 4,59 euro
Acquistato presso: Eurospin

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Vini al supermercato

Cannonau di Sardegna Doc Riserva 2011, Sella e Mosca

(3 / 5) La 2011 non è tra le annate pluripremiate, ma conserva comunque il fascino del vino da lungo affinamento il Cannonau di Sardegna Doc Riserva 2011 Sella e Mosca, imbottigliato all’origine dalla storica casa vitivinicola di Alghero, Sassari. Un vero affare trovarlo in promozione al supermercato. Si tratta di un prodotto differente dal Cannonau classico, a partire dallo stesso disciplinare di produzione che prevede un anno di affinamento in più di ottenere la qualifica “Riserva”. Nel calice si presenta di un rosso rubino carico, con unghia granata. Al naso è intenso, elegante, complesso. Note floreali di viola predominanti, cui fa eco una speziatura ben marcata che richiama liquirizia, tabacco e cuoio. Non mancano le note fruttate di piccoli frutti di bosco e di prugna, che ritroviamo poi anche al palato, dove eleganza e finezza la fanno da padrona grazie all’evidente apporto delle note speziate conferite dal legno. Il Cannonau di Sardegna Doc Riserva 2011 Sella e Mosca si conferma così vino strutturato, di alcolicità calda ma non fastidiosa, piacevolmente rotondo e secco, di fresca acidità, correttamente sapido. Il tannino, per l’annata 2011, è giunto a una perfetta maturazione, con margini di ulteriore miglioramento nel medio termine. Un vino, dunque, equilibrato, di buona intensità e finezza retro olfattiva, persistente. Ottimo l’abbinamento con la selvaggina e, in generale, con i piatti di carne. Anche alla griglia.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Cannonau vengono pigiate e diraspate prima di procedere a una macerazione a freddo per almeno tre giorni. In questo periodo avviene l’estrazione dalle bucce della sostanza colorante e dei tannini favorevoli al processo di lungo invecchiamento in storici fusti di rovere, secolari. La fermentazione avviene alla temperatura di 25-28°, per circa 12 giorni. I vitigno Cannonau viene coltivato nelle Tenute Sella e Mosca situate nel quadrante di Sud-Est, esposto ai venti del Grecale. La raccolta avviene nel tardo autunno, quando alcuni acini cominciano ad evidenziare un leggero appassimento sulla pianta. Un altro prodotto, questo Cannonau Riserva, che dimostra l’ottimo lavoro in grande distribuzione della storica Sella e Mosca, fondata nel lontano 1899 dall’ingegnere Sella, nipote dello statista Quintino Sella, e dall’avvocato Mosca, due piemontesi che in Sardegna hanno trovato una nuova patria.

Prezzo pieno: 8,99 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Live Wine 2016, il vino artigianale al Palazzo del Ghiaccio di Milano

Si preannuncia spumeggiante la prossima edizione di Live Wine, al Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi 14, a Milano. L’appuntamento è un must per gli amanti del buon vino: in degustazione i prodotti di 140 cantine italiane e internazionali, attentamente selezionate da Ais Lombardia e da “Vini di Vignaioli” Fornovo, realtà che ha come scopo “la tutela dei vini sani, che esprimono il loro territorio e la loro annata”. Vini “vivi e digeribili”, dunque, la cui produzione “non è soggetta alla moda del momento ma solo alla natura”. Si aprono le danze sabato 5 marzo, dalle 14 fino alle 20. Domenica 6 marzo l’appuntamento è dalle 12 alle 20, con area dedicata appositamente ai bambini. Lunedì 7 marzo, invece, porte aperte dalle 10 alle 17. Sono molte le attività collaterali che caratterizzeranno l’edizione 2016 di Live Wine. Quattro degustazioni uniche saranno condotte da Samuel Cogliati (iscrizioni al sito: http://www.livewine.it/it/incontri-e-degustazioni-guidate-2016/): “Loira: il territorio, i vignaioli, i vini” e “Jura: il territorio, i vignaioli, i vini”, con intervista e degustazione assieme a François Morel; “Laguna nel bicchiere”, alla scoperta dei rarissimi vini di Venezia; e infine “Champagne: Blanc de…quoi?”, un percorso alla cieca nel cuore della Francia.

Inoltre l’imperdibile occasione di conoscere le leggendarie birre Lambic del birrificio belga Cantillon, in un percorso curato dall’esperto Patrick Böttcher. Tra gli eventi del ‘fuori salone’ Live Wine Night segnaliamo il party dedicato al “buon bere” e alla musica dal vivo, organizzato con la collaborazione del ristorante Un Posto a Milano a Cascina Cuccagna, sabato 5 marzo, dalle 20.30 in via Cuccagna 2. Durante il salone sarà possibile acquistare i vini direttamente dagli espositori e degustare anche cibo artigianale di qualità. L’ingresso al pubblico costa 16 euro, che diventano 13 per i soci Ais. Per gli operatori Horeca 10 euro, previa iscrizione al link: http://www.livewine.it/it/operatori/.

LA DEGUSTAZIONE
I vini in degustazione avranno caratteristiche ben precise, legate alle tecniche di produzione dei vignaioli che aderiscono all’evento. Invalicabile, per esempio, il limite di 50 mg/l di solforosa totale per i vini rossi (la legge ne permette fino a 150 mg/l). Limite di 70 mg/l di solforosa totale per i vini bianchi e rosati (la legge ne permette fino a 200 mg/l). Limite di 100 mg/l di solforosa totale per i vini dolci (i limiti di legge vanno dai 200 ai 300 mg/l a seconda delle tipologie). Vini, inoltre, che presenteranno una varietà di colori differente da quelle canoniche, capaci di discostarsi dal classico “giallo paglierino” o dal “rosso granato”, ottenuti dalla vinificazione di vitigni autoctoni.

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Coldiretti, dietrofront dell’Europa: il vino Doc italiano è salvo

La Commissione europea fa dietrofront sulla proposta di liberalizzazione dei nomi dei vitigni fuori dai luoghi di produzione. Una decisione che scongiura una vera e propria sciagura per il vino italiano. Valgono infatti almeno 3 miliardi i vini Made in Italy identificati da denominazioni che rischiavano di essere di essere scippate all’Italia, se fosse stato consentito
anche ai vini stranieri di riportare in etichetta nomi quali Aglianico, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Verdicchio, Negroamaro,  Falanghina, Vermentino o Vernaccia, solo per fare alcuni esempi. A dare l’annuncio del passo indietro della Commissione europea è la Coldiretti, che esprime evidente apprezzamento. “Il rischio – commenta il presidente Roberto Moncalvo, presidente dell’organizzazione – era quello di una pericolosa banalizzazione di alcune tra le più note denominazioni nazionali, che si sono affermate sui mercati nazionale ed estero grazie al lavoro dei vitivinicoltori italiani. Il futuro dell’agricoltura italiana ed Europea dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività territoriali che sono state la chiave del successo nel settore del vino dove hanno trovato la massima esaltazione”. La notizia della possibile ‘estensione’ delle denominazioni era rimbalzata sul finire di gennaio dalla Commissione europea, scatenando le polemiche dell’intero comparto del vino Made in Italy.

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Vini al supermercato

Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri, cantina Lidl

(4 / 5) Lidl conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno (e ce n’è), che nulla è casuale nelle scelte compiute per la cantina vini. Come? Affidando a un’azienda di tutto rispetto, la società agricola Catturich Ducco di Passirano, Brescia, la realizzazione in esclusiva di un Franciacorta “every day low price”.

Parliamo del Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri, finito sotto la nostra lente di ingrandimento con la dovuta curiosità del caso. Non aspettatevi troppo e riuscirete pure a farvi piacere questo prodotto, tenendo sempre a mente l’obiettivo della catena tedesca è quello di offrire prodotti qualitativamente buoni, a prezzo contenuto.

E non si può certo dire che 7,49 euro siano soldi spesi “male” per il Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri, sboccatura autunno 2015. Passiamo dunque questo prodotto sotto setaccio.

LA DEGUSTAZIONE
All’esame visivo, lo spumante prodotto in esclusiva dalla Catturich Ducco per Lidl si presenta vestito d’un giallo paglierino limpido, trasparente, piuttosto chiaro. La grana del perlage è mediamente fine, la persistenza così come discreta risulta l’effervescenza e la persistenza del perlage.

Un po’ disordinate, tuttavia, le “bolle”. All’olfatto, il Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri non risulta leggero, schietto e mediamente fine. Semplice la complessità olfattiva, con i classici richiami alla crosta di pane e al burro, con quest’ultimo predominante.

All’esame gustativo risulta di corpo e caldo, anche in virtù dei 13 gradi di alcol in volume che fa registrare la bottiglia. Rotondo, secco, fresco e sapido. Uno spumante sufficientemente equilibrato, insomma, che si rivela intenso, mediamente fine, ma poco persistente nel retro olfattivo.

Il Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri accompagna aperitivi, pizza, primi e secondi piatti di pesce o di carne bianca, non troppo elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Per quanto riguarda la tecnica di vinificazione, Catturich Ducco precisa che si tratta di un Blanc de Blancs, ovvero Chardonnay in purezza, con affinamento in bottiglia per 24 mesi circa. Con i suoi 125 ettari, Catturich Ducco è una delle società agricola che posseggono maggiori terreni nella Docg Franciacorta, potendo così sviluppare al meglio le caratteristiche peculiari di un terroir dalle mille sfaccettature.

Prezzo pieno: 7,49 euro
Acquistato presso: Lidl

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Vini al supermercato

La Segreta Rosso Doc Sicilia, Aziende agricole Planeta

(4 / 5) Si dice che se le fondamenta sono solide, sarà solida tutta la casa. Un principio che vorremmo fare nostro nel raccontarvi un pezzo di Sicilia da versare nel bicchiere di tutti i giorni: La Segreta Rosso Doc Sicilia, della casa vitivinicola Planeta di Menfi. Un vino base, dunque, che nel suo “piccolo” racconta la qualità con cui questa famiglia siciliana produce ed esporta il nettare di Bacco in Italia e nel mondo. Planeta La Segreta Rosso Doc Sicilia è il riuscito blend tra Nero D’Avola (50%), Merlot (25%), Syrah (20%) e Cabernet
Franc (5%) che, nel calice, si presenta di un rosso rubino intenso. Il naso, non a caso, richiama il nome stesso del vino: quella “Segreta” che non è nient’altro che il bosco che circonda la vigna dell’Ulmo di proprietà di Planeta, situata vicino a Sambuca di Sicilia, paese di origine araba che si affaccia sulle sponde del Lago Arancio. Troviamo dunque sentori boisé, boscosi, che conferiscono al vino una fruttata eleganza, accostati a quelli speziati di cacao, liquirizia e tabacco. Una vena balsamica che si trasforma in grande freschezza al palato, dove Planeta La Segreta Rosso Doc Sicilia si scopre nuovamente fruttato, tannico al punto giusto, di corpo, caldo. Un vino che guadagna in morbidezza con l’ossigenazione, divenendo ancora più ruffiano e sapido. Perfetto compagno per piatti della tradizione culinaria mediterranea, si abbina ancor meglio alle carni e ai primi saporiti e ‘grassi’, molto conditi.

LA VINFICAZIONE
Prodotto per la prima volta nel 1995, anno di fondazione della casa vinicola Planeta, La Segreta Rosso Doc Sicilia è ottenuto dalla vinificazione delle uve provenienti dalle vigne Dispensa, Gurra e Buonivini. Tutte situate a un’altezza che varia tra i 100 e i 250 metri sul livello del mare. Merlot e Syrah vengono raccolti i primi di settembre, mentre il Nero d’Avola alla fine dello stesso mese. La vinificazione prevede una diraspapigiatura iniziale, seguita da un minimo di 10 e un massimo di 14 giorni di permanenza sulle bucce. L’affinamento avviene in acciaio inox. Viene infine imbottigliato nei primi giorni del mese di febbraio successivo all’anno di vendemmia e commercializzato.

Prezzo pieno: 7,49 euro
Acquistato presso: Carrefour

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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Teo Costa Selezione Giobbe, viaggio tra i vini senza solfiti

Fontina valdostana e salame di maiale razza Cavour tagliato a fette spesse, come si faceva una volta. E tra un boccone e l’altro, pillole di vino. Anzi, di vita. Entrare in casa dei Costa è un po’ come aprire un varco spaziotemporale sui tempi che furono. Sulle famiglie di una volta. Quelle che oggi sembrano non esistere più. Una famiglia del vino, per l’esattezza. Che “mastica” mosto da quattro generazioni.

Viviana, la figlia ventenne di Roberto Costa, attuale “reggente” dell’Azienda Agricola Teo Costa assieme al fratello Marco, ci accoglie nella casa-cantina di via San Salvario 1, a Castellinaldo d’Alba, Cuneo, in un sabato mattina uggioso. Fuori la nebbia, ma dentro casa è subito chiara l’impressione di trovarsi al cospetto di persone profondamente legate al proprio lavoro e alla terra in cui sono nate.

“Nonno Antonio (nella foto, sotto) è la nostra guida e la nostra forza ancora oggi – ammette la giovane con gli occhi che sorridono, parlando del capostipite di una generazione di vignaioli – è del ’39 e si occupa ancora della parte agricola della nostra azienda, in vigna. Ora capirete perché è soprannominato Giobbe! Un nome che in paese hanno finito per accostare, poi, a tutta la nostra famiglia”.

Ci vuole testardaggine, pazienza e soprattutto passione per portare avanti generazione dopo generazione un’azienda vitivinicola fiorita grazie all’impegno di nonno Antonio “Giobbe”, e cresciuta negli anni grazie ai suoi figli.

Cinquecentomila bottiglie l’anno prodotte, di cui 180 mila circa finiscono sugli scaffali delle maggiori catene della grande distribuzione organizzata in Italia, ormai da una decina d’anni: da Coop a Esselunga, da Bennet a Carrefour, per citarne solo alcune. E una filosofia ben precisa, riscontrabile in ogni singola goccia a marchio Teo Costa: la centralità dell’uva.

IL PROTOCOLLO PRODUTTIVO
“Facciamo vini con le uve”, è la definizione di Viviana che sembra scontata, banale. Ma per capirla fino in fondo basta assaggiare i vini più complessi e strutturati della Teo Costa, come il Barolo Monroj, il Barbaresco Lancaia, o il Barbera d’Alba Castellinaldo.

Vini in cui il frutto, pur affinando in legno come da disciplinare, è al centro del naso e del palato. E ci rimane, dal primo sorso all’ultimo. E’ il trionfo della morbidezza e di un bere capace di accontentare, trasversalmente, tanto gli amanti del nettare di Bacco più esigenti, quanto i neofiti.

“Partiamo con un’uva pulita in vigna – spiega Roberto Costa – perché l’abbiamo fortemente voluta produrre così, rispettandola per quello che è. E in cantina proseguiamo con questa filosofia. Pochi solfiti, nessuna chiarifica animale, nessuna concentrazione, nessuna pastorizzazione. Andiamo così a imbottigliare un prodotto che è il più vicino possibile alla natura. Un prodotto pulito, dunque, che consegniamo ai consumatori con la certificazione di Bureau Veritas, ente leader a livello mondiale nei servizi di controllo, verifica e certificazione per la Qualità, Salute e Sicurezza, Ambiente e Responsabilità Sociale”.

Una strada, quella che ha deciso di percorrere l’Azienda agricola Teo Costa, che vede protagoniste anche altre 21 realtà agricole di Castellinaldo d’Alba, pittoresco paesino che un tempo ospitava due castelli, uno dei quali fu distrutto dalla famiglia rivale.

“Come vignaioli di Castellinaldo – spiega Roberto Costa – abbiamo deciso di sottoscrivere un protocollo produttivo che ci permetta di produrre innanzitutto uve pulite e, in seguito, vini puliti. Come? No al diserbo, no al concime chimico, no ai prodotti di sintesi sulle viti che poi entrano in linfa, no ad antibotritico e dunque antimuffa che rallenta le fermentazioni”.

Si arriva così in cantina con un prodotto che ha una chimica bassissima (Rma), ridotta anche dell’80-90 per cento rispetto agli standard. E si completa il ciclo riducendo all’osso l’utilizzo di solfiti, grazie a una pratica ormai brevettata che ci consente, attraverso una selezione di un ceppo indigeno di lieviti capaci di dare luogo a una buona fermentazione, di produrre minime quantità di anidride solforosa naturale”. Un vino che, tuttavia, alla Teo Costa, non tengono affatto a definire “vegano”.

CONCRETEZZA VS MARKETING
“La tecnologia moderna – precisa Roberto Costa (nella foto a sinistra, assieme al fratello Marco)- consente a tutti di non utilizzare più chiarifiche animali, lavorando con filtri o decantazioni a freddo che sostituiscono per esempio la colla di pesce, una volta in voga. Trovo dunque che sia una scelta puramente legata al marketing quella di mettere in etichetta la dicitura ‘vegano’. E’ un po’ come dire ‘Faccio il vino e ho i capelli neri’: i tuoi capelli neri non sono un tratto distintivo! Dire che non usi solfiti è invece un messaggio forte, perché molti oggi ancora li utilizzano”.

“I vini sono quasi tutti vegani, ormai. Quando si danno messaggi veritieri – precisa Roberto Costa – si arricchisce il panorama dell’offerta alla clientela e si offrono prodotti innovativi e realmente differenti. Quando invece si cade nel banale, si finisce solo per creare confusione sul mercato”. E il mercato del vino, all’azienda agricola Teo Costa, lo conoscono bene.

“Abbiamo iniziato in Horeca – spiega Roberto Costa – per poi indirizzare una parte delle vendite alla grande distribuzione organizzata. Il concetto che non si possa trovare qualità tra i vini del supermercato è ormai ampiamente superato. Poteva andar bene fino a vent’anni fa. Oggi abbiamo catene che fanno tendenza e che hanno i sommelier in corsia, almeno nel fine settimana. Noi abbiamo creduto nella gdo più di dieci anni fa e siamo stati tra i primi che, pur avendo una grande presenza in Horeca, hanno accettato di servire anche l’altro canale. E’ stata un’intuizione fondamentale. Qualcuno rideva all’inizio, criticandoci. L’importante è differenziare”.

Come? “Lavorando sulle etichette – replica Roberto Costa – non sui prodotti, in modo da non andare ad accavallare due sistemi che hanno bisogno di marginalità differenti. I prodotti che offriamo alla gdo sono buoni come quelli che offriamo alla ristorazione: è un lavoro sulla qualità che ci sta portando a crescere sia nella gdo sia nella ristorazione. Questo significa che i due mercati possono certamente viaggiare assieme, ma non solo: si aiutano a vicenda, nel senso che la capillarità territoriale dei supermercati è tale da consentire al cliente di un ristorante di acquistare un nostro prodotto che gli è piaciuto aggiungendolo semplicemente al carrello della spesa”.

I due mercati convivono dunque alla Teo Costa, con un rapporto di 7 a 3 appannaggio dell’Horeca sulla gdo. “Lavoriamo in maniera straordinaria con la gdo – commenta Roberto Costa – sono stati tutti dei grandi signori con noi. D’altro canto per loro avere sullo scaffale, direttamente dal produttore, senza giri di distribuzione, un prodotto già affermato come il nostro, è anche un motivo di lustro”.

IL FUTURO E LE SPERIMENTAZIONI
Tutto, però, prende forma dalla base. Cinquanta gli ettari in produzione di proprietà della Teo Costa, che acquista una piccola parte delle uve “da aziende agricole storiche e fidate della zona di Castellinaldo d’Alba”. Un apporto che sarà fondamentale anche nei prossimi anni. Il cinquantenne Roberto Costa, infatti, sogna in grande per la quarta generazione.

“L’obiettivo – ammette – è quello di arrivare a un milione di bottiglie l’anno, nei prossimi 20 anni”. Un disegno che, probabilmente, passerà anche dal successo di alcune sperimentazioni in corso tra i vigneti della Selezione Teo Costa, che riguardano uve autoctone e non solo. Esperimenti per ora top-secret, che non mancheremo di svelare non appena possibile ai nostri lettori.

“Il sabato – sorride Roberto Costa – è il giorno che dedichiamo al giardinaggio, per così dire. Ci stiamo divertendo un po’ con alcune talee, per staccare la spina da quello che è il lavoro settimanale”. Del resto, dopo una vendemmia soddisfacente come quella dello scorso anno, è giusto cercare un po’ di relax, almeno un giorno a settimana.

“La vendemmia 2015 è stata straordinaria – ammette Roberto Costa -. Ho cinquant’anni e da trenta vendemmio. Di grandi come questa forse non è mai viste. Secondo me è quasi unica. Già in vigna ci siamo accorti che stavamo partendo con un cavallo di razza: quando pigi delle uve che fanno mediamente 21-22 di Babo, a volte anche a 23-23,5 per i nostri Barolo, Barbaresco e grandi Barbera, perfette, sane, di colore e di struttura…finisci con lo sperare che di vendemmie così ce ne siano almeno due ogni 10 anni!”.

“Vasche che hanno fermentato 40-45 giorni, perché c’erano concentrazioni zuccherine enormi… Questa non è una grande annata, questa è una grandissima annata! Chi sostiene altro vuole solo differenziarsi”, conclude Roberto Costa. Un’impresa che riesce comunque benissimo, quella di differenziarsi, anche alla Teo Costa di Castellinaldo d’Alba.

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Christo in Franciacorta, fiumi di spumante in vista per The floating piers. Ma prima le polemiche

Christo divide la Franciacorta. Sarà aperta al pubblico il 18 giugno l’opera degli artisti statunitensi Christo Vladimirov Yavachev e Jeanne-Claude Denat de Guillebon, ma è già polemica nel bresciano. “The floating piers”, questo il nome dell’installazione, consisterà in una passerella galleggiante sul lago d’Iseo, che consentirà di passeggiare sull’acqua, sul tragitto che collega Sulzano a Peschiera Maraglio e Sensole all’isola di San Paolo. Un’occasione da non perdere per il Consorzio Franciacorta, che si strofina le mani in previsione dell’arrivo di migliaia di turisti, non solo dall’Italia. Ma c’è chi non vede di buon occhio l’opera d’arte del duo statunitense. Piovono infatti le critiche sul profilo Facebook del Consorzio Franciacorta, che ha dato risalto alla notizia della prossima apertura dell’installazione. Perplessi soprattutto i residenti della zona, preoccupati per il “caos” che sarà causato dall’afflusso di migliaia di persone lungo le sponde del lago d’Iseo. C’è poi chi critica l’opera d’arte in sé, giudicandola una “mera trovata pubblicitaria”. Chi, invece, se la prende con la politica, per aver concesso le autorizzazioni. I costi di “The floating piers” saranno comunque sostenuti dallo stesso artista e dagli sponsor. “Una installazione che non fa danni, non è permanente, non costa, porta tantissima gente: perché c’è sempre qualche fenomeno che deve criticare tutto a prescindere?”, si chiede un altro residente della zona, evidentemente a favore di Christo. Resta il fatto che per il Consorzio Franciacorta, questa sarà un’ottima occasione per mettere in mostra le tanto rinomate bollicine.

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“Parchi eolici fuorilegge”, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti scrive al ministro Martina

La nascita dei parchi eolici non rispetta l’iter previsto dalla legge. E’ la denuncia della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), che osserva come “negli ultimi anni in varie regioni d’Italia decine di vignaioli e di agricoltori in genere si sono trovati davanti a una notifica di esproprio senza essere stati in alcun modo avvisati e tanto meno interpellati prima dell’avvio del procedimento”. Per questo i Vignaioli Indipendenti hanno scritto al Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina per chiedere un suo interessamento alla vicenda, precisando che la Fivi non è in alcun modo contraria ai parchi eolici e ritiene anzi di grande importanza la ricerca di fonti di energia rinnovabile. Il punto rilevato dai Vignaioli è il rispetto dei tempi di comunicazione dei progetti, che permetterebbero agli interessati di formulare le proprie osservazioni all’attenzione dell’autorità espropriante. “Siamo di fronte – spiega Matilde Poggi, presidente Fivi – a svariati casi di parchi eolici autorizzati senza che venisse interpellato il territorio e senza aver dato opportuna comunicazione dell’avvio dei procedimenti, come gli innumerevoli parchi eolici autorizzati negli ultimi anni dalla Regione Campania”. Agli agricoltori non resta pertanto che appellarsi al Tar, ma anche nel caso in cui fosse accolto il loro ricorso, pur avendo diritto ad un rimborso, si vedrebbero comunque espropriati per anni dei terreni e negata di fatto la possibilità di tornare alle condizioni antecedenti. “Il nostro auspicio – aggiunge Guido Zampaglione, vignaiolo in Calitri (Avellino) e consigliere nazionale Fivi – è che ci sia maggiore attenzione su questa vicenda e un interessamento che riguardi tutti i soggetti coinvolti a vari livelli, come i sindacati e le associazioni di categoria”.
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Vini al supermercato

Lambrusco Rosè Lini 910, Lini Oreste e figli Srl

(5 / 5) Non può che attirare l’attenzione un’etichetta così curiosa sullo scaffale del supermercato. Obiettivo centrato nella forma e soprattutto nella sostanza quello della cantina Lini 910, con il suo Lambrusco Rosè.

Un prodotto fresco e moderno, adatto a un utilizzo quotidiano, eppure allo stesso tempo tutt’altro che convenzionale. Vino da tavola sì, insomma, ma con una marcia (o due) in più. Ottimo anche nel rapporto qualità prezzo.

LA DEGUSTAZIONE
Il Lambrusco Rosè Lini910 sorprende, di fatto, non appena versato nel calice. Prima operazione: dimenticarsi la “spuma” corposa di certi conventional Lambrusco, per fare spazio a una più volatile ed evanescente, che sparisce in fretta.

Mentre sotto prende corpo quello che pare l’incrocio, sulla tavolozza di un pittore, tra un rosa cerasuolo e le tinte tipiche del sidro di mela. Ed è proprio alla mela il richiamo più marcato che giunge al naso. Polpa di mela matura, unita a sentori di amarena e fiori di rosa. Speculare la percezione al palato, che anticipa un finale acidulo e rinfrescante.

Il Lambrusco Rosè Lini 910 accompagna la tavola di tutti i giorni e, più pretenziosamente, piatti a base di pesce o carni bianche, nonché pietanze a base di verdure cotte. Da provare con i primi della tradizione emiliana, come le lasagne alla Bolognese.

LA VINIFICAZIONE
Si tratta del blend tra uve Salamino (80%) e Sorbara (20%), vinificate mediante breve contatto con le bucce, sino a ottenere la tonalità voluta. La rifermentazione avviene in autoclave, per un periodo di 3 mesi, a temperatura controllata. Un procedimento utile a ottenere una “bollicina fine, migliorandone la digeribilità”.

Un Lambrusco, insomma, trattato alla stregua del Prosecco da una cantina, la Lini Oreste e figli Srl, sorta a Correggio (Reggio Emilia) nel 1910 e ancora oggi sulla cresta dell’onda, grazie a un profondo percorso di restyling del marchio e delle caratteristiche di un Lambrusco alla portata del consumatore moderno. Un vero e proprio unconventional Lambrusco.

Prezzo: 3,95 euro
Acquistato presso: Conad

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Vini al supermercato

Bordeaux Réserve 2013, Barton & Guestier 1725

(3 / 5)E’ la regione vinicola più famosa al mondo che finisce con un suo “pezzo” sugli scaffali del supermercato. Parliamo del Bordeaux Réserve 2013 della storica Barton & Guestier 1725. Non certamente un “pezzo” da novanta, che comunque offre al consumatore l’opportunità di accostarsi (a buon prezzo) ai vini che hanno contribuito a rendere grande la Francia nel mondo. Il Bordeaux Réserve 2013 Barton & Guestier 1725 è un’Appellation Bordeaux Controlée. Nel calice si presenta di un rosso profondo, impenetrabile. Al naso evidenzia note suadenti di piccoli frutti a bacca rossa, amarena e fragoline di bosco, in un contorno di vaniglia conferito dall’affinamento in legno. Al palato è nuovamente fruttato e minerale, sapido e di corpo. Rispunta la nota di vaniglia, che contribuisce a un quadro di buona morbidezza, con una punta speziata che non guasta. Sufficientemente persistente il finale, così come l’eleganza conferita dal blend tra Cabernet Sauvignon e Merlot. Perfetto l’abbinamento con piatti a base di carni rosse e bianche, La casa produttrice Barton & Guestier, fondata nel 1725 dall’irlandese Thomas Barton e dal francese Daniel Guestier, è la più antica azienda in attività sul territorio di Bordeaux. I vini prodotti cominciarono a essere esportati principalmente in Irlanda, Inghilterra, Olanda e Stati Uniti. Oggi, la Barton & Guestier è invece un colosso che esporta dalla Francia in oltre 130 Paesi di tutto il mondo.

Prezzo pieno: 6,49 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Oltrepò Pavese protagonista al GoWine italian tour

Nuovi scenari di mercato per vini e spumanti dell’Oltrepò Pavese, ma anche per la prima zona vitivinicola di Lombardia che rivendica “il proprio valore aggiunto, con 13500 ettari a vigneto e una produzione che rappresenta il 60% dell’intera regione”. Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese lancia “GoWine Italian Tour”, per portare all’attenzione di professionisti, esercenti e appassionati al mondo del vino delle grandi città italiane le migliori etichette del territorio pavese. Si partirà da Genova, Milano,
Torino e Roma. Il primo evento della serie si svolgerà mercoledì 24 febbraio allo StarHotel President del capoluogo ligure. Sarà prevista un’apertura dei banchi d’assaggio ad accesso riservato agli operatori di settore, dopodiché le porte si apriranno a stampa e appassionati della rete GoWine. “Certi del fatto che alla nostra zona vitivinicola occorra rafforzare la rete vendita e la qualità percepita dei suoi vini e spumanti – spiega Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio Tutela vini Oltrepò pavese – abbiamo deciso di promuovere una serie di degustazioni soprattutto orientate al mondo del business”. In virtù di questa intesa, nel corso del 2016, il Consorzio darà alle aziende l’opportunità di essere protagoniste con i rispettivi marchi aziendali e le loro etichette in contesti importanti.

IL PROGRAMMA
“Gli appuntamenti – spiega Bottiroli – saranno promossi e divulgati capillarmente per favorire un miglior posizionamento delle referenze Oltrepò Pavese nel canale hotel, ristoranti e catering, oltre che sugli scaffali delle principali enoteche. Inoltre l’obiettivo è quello di raccontare a professionisti, ‘winelovers’ e agli opinion leader italiani un territorio, la sua identità e la sua storia”. Il partner sarà l’associazione Go Wine, nata nel 2001 da un’idea semplice, che prende ispirazione da come è cambiata, e velocemente, l’immagine del vino. Vino non solo inteso come prodotto di qualità ed espressione della cultura agroalimentare di un Paese, ma come prodotto che “mobilita e che fa viaggiare”.

Go Wine guarda “al consumatore di qualità che ama viaggiare per il vino, per conoscere i luoghi della produzione e si propone di costruire un progetto che gradualmente possa coinvolgerlo e stimolarlo”. “Il socio Go Wine – precisa Bottiroli – è sempre un professionista o un appassionato altamente preparato che promuove e pratica il turismo del vino ed è consapevole del particolare rapporto che lega ogni vino al suo territorio, con quei caratteri di tipicità ed unicità che sono alla base delle motivazioni del turismo del vino”.

LA RIBALTA NAZIONALE
Un Oltrepò che guarda dunque al futuro, cercando di levarsi di dosso l’etichetta di zona di produzione di vini di largo consumo. Un cammino lungo, che a Roma ha affondato nei giorni scorsi radici ben solide: il premio per il Miglior Spumante Metodo Charmat d’Italia nella guida “I Migliori vini italiani 2016” del noto critico, sommelier e giornalista Luca Maroni se l’è aggiudicato di fatto il Pinot Nero Spumante Extra Dry dell’azienda Vanzini di San Damiano al Colle. L’ennesima conferma del buon operato di un’azienda che opera dal 1890 nel territorio dell’Oltrepò Pavese, che per l’ottavo anno consecutivo si aggiudica il prestigioso riconoscimento.

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Approfondimenti

Gdo e Horeca, nemici per la pelle nel nome del vino?

Oggi vi racconto una storia, purtroppo vera. Stavo imboccando l’Autostrada, ieri mattina, dirigendomi da Milano verso il Piemonte. “Caro Bortone…”. E’ l’incipit, falsamente cordiale, di un messaggio ricevuto su Facebook da un operatore Horeca, conosciuto nei mesi scorsi in occasione di una manifestazione organizzata in un hotel milanese dall’associazione Go Wine.

“Quando pubblico (su Facebook, ndr) recensioni o fotografie di vini presso i miei clienti è pacifico che sono io che li propongo e loro ce l’hanno in carta. Ho clienti e produttori che, oltre al sottoscritto e al suo entourage, sono allergici alla Gdo. La tengo negli amici, ma cerchi di trattenersi dal proporre vini da Gdo e soprattutto in contesti legati a ristoranti citati in tag”.

Facciamo un passo indietro, sorvolando sulle infantili implicazioni del messaggio. Nei giorni scorsi, questo operatore Horeca (che, ricordiamo, è l’acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café e riguarda la distribuzione diretta di prodotti in contesti alternativi alla grande distribuzione organizzata, come hotel, ristoranti, catering e bar-caffetterie) pubblica la foto di un vino dell’Oltrepò Pavese, in un ristorante.

Oltre al “like”, decido ci commentare, suggerendo al soggetto in questione di provare il Bonarda fermo dell’Oltrepò Pavese dell’azienda agricola vitivinicola Bagnoli, una perla in un territorio pressoché vocato ai grandi numeri. Tale produttore non opera nella Gdo, bensì in contesti di alta ristorazione e gastronomia.

Volevo suggerire, in sostanza, un assaggio di qualità. Vinialsupermercato.it, del resto, si occupa anche di questo, grazie alla sezione “Vigne d’Italia”: oltre alle recensioni dei vini “da supermercato”, nostro “core business“, siamo sempre a caccia di realtà che – a prescindere dalla distribuzione o meno nei canali gdo – offrano prodotti da non perdersi.

IL BONARDA DELLA DISCORDIA

Al di là della scarsa vena social, è la “violenza” del contenuto del messaggio ricevuto dall’operatore Horeca che mi ha lasciato di stucco.  Portandomi oggi a questa riflessione: Gdo e Horeca sono davvero così lontane?

O, per lo meno: lo sono ancora? Si può davvero “essere allergici” alla Gdo, lavorando in Horeca? Il mondo del vino, fondato a nostro avviso sulla condivisione dei saperi e del gusto, può ammettere tali prese di posizione meramente fondate su un discorso commerciale e di business?

Personalmente ritengo di avere una risposta a queste domande. Se ancora oggi c’è gente “allergica” alla Gdo non è colpa degli antistaminici poco efficaci in commercio. E a proposito di farmacie, credo che certi operatori Horeca, se potessero, si batterebbero per l’eliminazione delle cantine della Gdo, un po’ come la lobby delle case farmaceutiche si sta battendo per i farmaci di fascia C nei supermercati.

Ma si tratta di una minoranza: perché chi ha polso e coscienza del proprio ruolo in Horeca sa benissimo – come ci ha confermato la totalità degli operatori sin ora intervistati – che i due “canali” operano in parallelo, come binari che non si incontrano mai, pur andando (per certi versi) nella stessa direzione: il vino. Insomma: se qualche operatore Horeca starnutisce ancora, nel 2016, al cospetto della Gdo, è un problema tutto suo. Sinceri auguri, di pronta guarigione.

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Vini al supermercato

Lacryma Christi del Vesuvio bianco Doc, Mastroberardino

(4 / 5) Leggenda narra che dal pianto di Dio nacque la vite dalla cenere, sul vulcano Vesuvio. E vogliamo crederci, noi che il Lacryma Christi bianco di Mastroberardino l’abbiamo degustato fino all’ultima goccia. Retaggio importante quello che si porta sulle spalle questa Doc: nel vedere il Golfo di Napoli, unico lembo di cielo sottratto a Lucifero, Dio pianse. E dalle sue lacrime nacque la vite. Un vino pretenziosamente celeste, dunque, quello che finisce oggi sotto la nostra lente di ingrandimento, per la vendemmia 2014. Eppure così legato alla terra, a Madre Natura. A un suolo vulcanico che si esprime sotto forma liquida, nel Lacryma Christi del Vesuvio bianco Doc Mastroberardino, in tutta la sua mineralità.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice scivola d’un giallo paglierino tendente al dorato. Al naso arriva travestito di pesca matura, pera, agrumi, con speziatura che ricorda la cannella e la liquirizia. Al palato è suadente, come chi ti racconta una storia antica di cui vorresti conoscere in fretta il finale. In un contorno minerale delizioso, giustamente sapido, parla nuovamente di pesche, pere e buccia d’agrumi. Si dilunga, quasi ammandorlandosi. Sarebbe un peccato “sprecarlo” con l’antipasto, a meno che questo non sia d’alto livello. Ottimo piuttosto con piatti di pesce e crostacei, sia primi che secondi importanti e gustosi, perché capace con la sua freschezza e il suo corpo di reggerli alla perfezione. A una temperatura che non dovrebbe superare i 13 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Lacyma Christi del Vesuvio bianco Doc Mastroberardino è ottenuto mediante vinificazione di sole uve Coda di Volpe. I vigneti – di età media di 15 anni – sono esposti principalmente a Sud-Est, a un’altitudine di 170 metri sul livello del mare, con una densità d’impianto di 2.500 ceppi circa per ettaro, allevati a raggiera e spalliera con potatura guyot. La vinificazione è classica in bianco, in serbatoi di acciaio a temperatura controllata. Segue un periodo di affinamento in bottiglia per almeno un mese, prima della commercializzazione. Una storia di qualità, quella della famiglia Matroberardino, che affonda le sue radici oltre due secoli fa, in Irpinia, per la precisione nel Comune di Atripalda, Avellino.

Prezzo pieno: 12,49
Acquistato presso: Carrefour

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