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Arnad, oltre al lardo c’è di più: lo Chardonnay della Cooperativa La Kiuva

Cooperativa La Kiuva vino Arnad Valle d'Aosta (2)Grasso che cola. E per una volta non è quello dell’unico lardo a Denominazione d’origine protetta d’Italia. Ad Arnad, villaggio di 1.300 anime della bassa Valle D’Aosta, protetta da una gincana di stradine strette che conducono sulla riva di un torrente, opera la società cooperativa La Kiuva. Frazione Pied de Ville, civico 42, per i pignoli. Trecentosessantuno metri sul livello del mare, per i curiosi. E uno Chardonnay da far invidia alle più prestigiose case vitivinicole italiane, per chi mastica pane e vino. Sabrina Salerno e Jo Squillo per la colonna sonora: qui, ad Arnad, canterebbero che “oltre al lardo c’è di più”. Lo sa bene Ivo Joly, 43 anni, il dinamico presidente de La Kiuva. Una cooperativa che, oltre a competere con le prestigiose realtà private del vino valdostano, si è ormai inserita nel business della ristorazione, servendo menu a base di prodotti tipici proprio sopra i locali adibiti a cantina. Per trovare l’eccellenza vera, basta spostarsi nell’ampio wine store dotato di un moderno bancone per la degustazione dei vini. E chiedere uno Chardonnay. Anzi, due. La Kiuva produce infatti uno Chardonnay “base”, che definire “base” non si può. E un secondo, affinato in barriques: altro calice con cui varrebbe la pena di fissare un tête-à-tête. Prima o poi, nella vita.

Di colore giallo paglierino mediamente carico, lo Chardonnay La Kiuva presenta al naso note di frutta fresca a polpa bianca e gialla. Il caratteristico richiamo esotico all’ananas fa spazio con l’ossigenazione a sentori grassi, tipici del burro di montagna spalmato sul pane croccante. Una sorta di contrasto dolce-salato che si fa solido nel suo materializzarsi concreto. Preannunciando una beva di grande mineralità, struttura e persistenza. Per una “base” che “base” non è, come annunciato. Ed è questo il punto di partenza (d’eccezione) dell’altro capolavoro della cooperativa: lo Chardonnay barrique La Kiuva. Con la sua beva sapida e minerale resa ancora più morbida e rotonda dal legno cui è affidato l’affinamento del prezioso nettare, in grado di conferirgli inoltre un’apprezzabilissima vena balsamica. Vini che, bevuti giovani o più maturi (il barrique è un vendemmia 2011 perfettamente in auge), offrono il meglio dell’accoppiata costituita da terroir ed escursione termica, in questo angolo di Valle d’Aosta reso grande da Madre Natura. Lo stesso si può dire del Muller Thurgau, che sfodera senza ritegno una spalla acida invidiabilissima e una mineralità accentuata, ben calibrata con la piacevolezza delle note fruttate fresche. Meno significativi Pinot Gris e Petite Arvine, proposti in apertura di degustazione. Nettari comunque in grado di comunicare, seppur in maniera più soffusa, le peculiarità del marchio La Kiuva.

SPUMANTI E VINI ROSSI
Non mancano, per gli amanti delle bollicine, due metodo classico come il Seigneurs de Vallaise – 40% Chardonnay, 30% Pinot Noir e 30% Pinot Gris – dal perlage accattivante al palato e dal buon corpo (forse un po’ a discapito delle note fruttate) e l’ancora più interessante Traverse La Kiuva, spumante ottenuto al 100% da uve Nebbiolo. Quaranta mesi minimo di permanenza sui lieviti che conferiscono a questo “rosè” sentori di agrumi e crosta di pane, oltre agli accenni immancabili a piccoli frutti a bacca rossa. In bocca colpisce la gran sapidità, che gioca sottile su note eleganti di lime e pompelmo, nonché su una linea (rieccola) vagamente balsamica che richiama la mentuccia. Un corpo e una sostanza diversa da quella dei Nebbiolo rosé prodotti nel vicino Piemonte (per esempio nella zona di Ghemme, Novara), forse per quel calore nella beva espresso dai 13,5 gradi di percentuale d’alcol in volume. Capitolo rossi della Cooperativa La Kiuva di Arnad? A spiccare su tutti, ma agli antipodi tra loro, sono il Nebbiolo Picotendro e l’Arnad Montjovet Superior. Un Nebbiolo da assaporare giovane, il primo, che nel calice si mostra d’un rosso rubino intenso e che al naso evidenzia note di lamponi, fragoline di bosco e more mature. Corrispondente al palato, risulta morbido e avvolgente e dal tannino delicato, che ha comunque bisogno di qualche minuto per slegarsi completamente e conferire una dignitosissima eleganza alla beva. Ma se il Picotendro della Cooperativa La Kiuva è ottenuto mediante macerazione prefermentativa a freddo di 3-4 giorni e fermentazione a 30-32°, con macerazione delle bucce per 5/7 giorni e svinatura dolce, più complessa è l’elaborazione del Valle d’Aosta Doc Arnad Montjovet Superior. Vino rosso top di gamma de La Kiuva, è costituito da un 70% minimo di Nebbiolo, cui vengono aggiunti Gros Vien, Neyret, Cornalin e Fumin. La vinificazione è tradizionale, a cappello emerso, con lunga macerazione delle vinacce: sino a 15-20 giorni, a temperatura controllata, variabile tra i 28 e i 30 gradi. Fondamentale l’affinamento in legno per un periodo tra i 10 e i 12 mesi, cui vanno a sommarsi altri 6 mesi di maturazione in bottiglia, prima della commercializzazione. Un vino che nel calice si mostra d’un rosso rubino con riflessi granati, dal quale si sprigionano eleganti note fruttate (confettura), balsamiche e speziate. In bocca esprime tutta la potenza elegante del Nebbiolo: misurate ma intense le note balsamiche e speziate che ritornano anche al palato. E di nuovo un’accentuata sapidità, che chiama il sorso successivo. Solo cinquecento le bottiglie prodotte mediamente ogni annata, numero che sale a 5 mila per la “base” (che “base” non è).

“VIGNAIOLI PER PASSIONE”
Curioso scoprire dopo la degustazione che La Kiuva, nonostante il buon livello dei vini prodotti, costituisca l’attività “secondaria” dei quaranta soci della Cooperativa. “La maggior parte di noi – spiega il presidente Ivo Joly (nella foto) – non è dedita alla produzione di vino a tempo pieno. Si tratta di un’attività collaterale, affiancata a quella principale che può essere nel ramo dell’agricoltura o dell’artigianato. La sede principale è stata edificata nel 1975, una delle prime cantine concepite dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta. I primi conferimenti di uve e dunque la prima  vinificazione risalgono al 1979″. Dal 2008, anno nel quale La Kiuva ha deciso di produrre lo spumante metodo classico 100% Nebbiolo, la coop ha ridato vita ad alcune cantine storiche dislocate sul territorio di Arnad, oggi utilizzate principalmente come luogo per lo stoccaggio del vino in maturazione. “La sfida per il futuro – dichiara ancora il presidente Ivo Joly – è quella di offrire un prodotto che risulti concorrenziale sul mercato. Abbiamo prodotti di nicchia dei quali vantarci, capaci di conquistare anche mercati diversi da quello italiano. Esportiamo già negli Usa 20 mila bottiglie delle 100 mila prodotte complessivamente. L’interesse è crescente all’estero, sia sui vini da tavola sia sul nostro Picotendro. Sarebbe interessante, quindi, riuscire a consolidare ulteriormente la nostra presenza in Italia. Magari puntando tutto sul nostro Traverse. Superficie e potenzialità per incrementare ulteriormente la produzione ci sono – conclude Joly – ma dobbiamo innanzitutto tener conto della nostra realtà, tutto sommato giovane e costituita, appunto, da vignaioli per passione, più che per professione”. Basti pensare che, fino a 10 anni fa, i vigneti che conferivano alla Kiuva erano ancora a pergola. Oggi solamente filari. Splendidi. Pronti a perdersi, a vista d’occhio, con le montagne a fare da sfondo. O magari all’ombra del Forte di Bard. Tra i 13 ettari vitati che vanno da Hone a Montjovet.

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Cent’anni di basilico e vino: viaggio alla Anfossi di Albenga

Dormire “in cantina” e puntare la sveglia “ogni due-tre ore”, per controllare “il colore del rosato” ottenuto da uve Rossese. Che non dev’essere “né troppo rosso, né d’un rosso scialbo”. Problemi con cui solo un viticoltore ligure deve fare i conti. Problemi, per fare i nomi, di viticoltori di Liguria come Luigi Anfossi, trentacinque anni. Rappresentante della quarta generazione di una famiglia d’origine genovese – con influenze inglesi – che nel quartier generale di Bastia d’Albenga, Savona, produce basilico atto a divenire pesto destinato alla grande distribuzione italiana (Unilever). E vini (Vermentino, Pigato, Rossese Riviera Ligure di Ponente Doc e rosato) reperibili sugli scaffali di Esselunga e Carrefour. Un’impresa a conduzione famigliare che può annoverare tra i propri clienti la nota “John Frog”, nome col quale Luigi Anfossi ama chiamare la Giovanni Rana. Ma se è vero che il basilico rappresenta il core business dell’Azienda agraria Anfossi (10 gli ettari coltivati), degna di nota è anche la produzione di vini liguri, ottenuti grazie all’allevamento di 5 ettari di terreno vitato e dalle uve di alcuni conferitori della zona. Per una produzione annuale complessiva che si assesta sulle 70 mila bottiglie.

Un’azienda fondata nel 1919, che si appresta a spegnere entro breve le (prime) cento candeline. Una storia lunga un secolo che vede il suo momento chiave negli anni Ottanta, quando l’impresa agricola viene rilanciata sul mercato italiano ed europeo da Mario Anfossi con la collaborazione del socio piemontese Paolo Grossi. Al figlio Luigi il compito di occuparsi delle sorti del settore vitivinicolo. Diplomato in agraria dopo aver iniziato gli studi al Liceo Classico, Luigi sogna per la propria azienda e per il settore vitivinicolo ligure un futuro luminoso. “La Liguria ha grandissime potenzialità inespresse in questo settore – commenta Luigi Anfossi -. Potenzialità che potremmo alimentare innanzitutto iniziando a valorizzare a livello locale i nostri vini, ottenuti da vitigni autoctoni come il Pigato. Capisco che in un mondo globalizzato come il nostro sia corretto trovare anche in Liguria una selezione sterminata di Gewurztraminer. Ma se si puntasse di più sulla promozione dei vini locali, raccontandone la storia anche ai turisti nelle varie attività del lungomare, sono sicuro che ne trarrebbe grande beneficio tutta l’economia locale”. D’altronde “quanti liguri sanno come mai il Pigato si chiama così?”, chiede ironicamente Luigi Anfossi, alludendo alle “macchie” presenti sull’acino di questa straordinaria varietà autoctona della Liguria.

LA DEGUSTAZIONE
Il Pigato dell’Azienda agraria Anfossi, esprime tutta la ‘semplice complessità’ dei vini liguri. Di facile beva per i suoi richiami fruttati freschi, eppure tutto sommato ‘impegnativo’ per il suo corpo e la sua struttura, tutt’altro che banale. Morbido al palato, è capace di sorprendere con quella punta amara che risveglia i sensi, in un finale sapido che preclude un retrogusto amarognolo, stuzzicante, da sgranocchiare come le nocciole tostate. Un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo, insomma, da pescare tra le corsie degli store del marchio Caprotti a una cifra che si aggira solitamente attorno agli 8 euro. Non presente in Esselunga, ma comunque apprezzabilissimo, il Vermentino ligure di Anfossi. Meno impegnativo del Pigato, ancora più soave nei richiami fruttati, strizza l’occhio a un consumatore meno esigente di quello che preferisce il Pigato. Un Vermentino da regalarsi nelle giornate di sole, da abbinare a piatti di pesce o di carne bianca non troppo elaborati. Meno profumato, invece, il naso del rosato Paraxo 2015 Anfossi: classificato come vino da tavola, ottenuto come anticipato da uve Rossese rimaste a contatto con le bucce non oltre le 24 ore, soddisfa nell’abbinamento con piatti della tradizione come il coniglio alla ligure. Al palato sfodera infatti la buona struttura del Rossese e una complessità aromatica non banale (13% di alcol in volume). La degustazione si chiude con l’ottimo Rossese in purezza, l’unico vino rosso prodotto dall’Azienda agraria Anfossi di Bastia di Albenga. Uno di quei rossi non convenzionali, capaci di esprimere il meglio della terra di provenienza. Il Rossese Anfossi parla infatti – al naso – di resine di macchia mediterranea, in un concerto di piccoli frutti a bacca rossa. Corrispondente al palato, non manca un finale di buona persistenza. Un vino da assaporare sia con il pesce (provare per credere, per esempio con un piatto di tonno in crosta di pistacchio) sia con la carne (ben cotta). Il segreto dei vini Anfossi? Lo spiega Luigi. “Non possiamo contare su terreni in altura – commenta – ma abbiamo la fortuna di avere una grande vigna in prossimità del fiume Centa, qui ad Albenga. Viene così assicurata una buona escursione termica. In futuro mi piacerebbe comunque sperimentare qualcosa di nuovo, magari attraverso macerazioni prolungate delle uve per ottenere vini più longevi”. Segreti e progetti per il futuro di un viticoltore ligure pieno di idee. Una storia, quella di Anfossi, destinata a continuare a lungo.

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Vini al supermercato

Il Salice Salentino Riserva 2012 Selvarossa e il miracolo della lievitazione del prezzo

(3 / 5)Un’operazione commerciale di proporzioni “globali”, nel mondo della critica del vino “che conta”. O che dovrebbe contare. Giustifichiamo così, noi modestissimi commentatori di vinialsupermercato.it, la lievitazione del prezzo che sta subendo, nei supermercati italiani, il Salice Salentino Dop Riserva Selvarossa di Cantine Due Palme. Il prezzo del vino rosso pugliese della società cooperativa agricola di Cellino San Marco (Brindisi), supervalutato da tutte le più prestigiose “guide” del vino del Belpaese, cresce assieme al consenso ottenuto da parte dei “big” della critica enologica. E in Esselunga, che lo distribuisce sugli scaffali della propria fitta rete di supermercati, passa da 13 a quasi 17 euro. Nel giro di tre mesi scarsi. Per carità, non stiamo parlando certo di un caso clamoroso. Selvarossa Riserva è un buon vino. Ma a dirla tutta: per quasi 17 euro, in Gdo, si può bere decisamente di meglio. Per sdrammatizzare, basti pensare a quanto sta combinando l’e-commerce Tannico.it. Che sul proprio sito di vendita di vini online mette in bella mostra i “Tre bicchieri” affibbiati a Selvarossa dal Gambero più famoso d’Italia (vedi immagine sotto). E, magicamente, “sconta” ai propri clienti un 35% sul prezzo pieno, che sale – però – a ben 23 euro. Portando Selvarossa a un prezzo finale, sconto incluso, di 14,90 euro: spese di spedizione escluse, of course. Chapeau. Eppure sarebbe forse questa la “dimensione prezzo” corretta, al netto delle super valutazioni, di questo rosso di Puglia della coop brindisina.

LA NOSTRA DEGUSTAZIONE
Per giudicare bisogna assaggiare, lo abbiamo sempre sostenuto. E allora ecco qui le nostre note degustative del Salice Salentino Dop Riserva Selvarossa Cantine Due Palme. Sotto la nostra lente di ingrandimento, la vendemmia 2012. Precisiamo innanzitutto che si tratta di un rosso riserva ottenuto per l’85% dalla varietà Negroamaro, completata da un 15% di Malvasia Nera. Nel calice, il vino si presenta d’un rosso rubino intenso, poco trasparente, profondo, con riflessi amaranto. Al naso un gran calore alcolico, che solo in parte si giustifica con i 14,5% di alcol in volume. Con l’ossigenazione emergono interessanti note fruttate di ciliegia (sotto spirito, più che in confettura) e decisi spunti terziari di vaniglia e liquirizia. Un vino che, al palato, si presenta caldo. Il tannino è avvolgente e il retrogusto richiama le note di frutta a bacca rossa (ciliegia) già avvertite al naso, che si arricchiscono di una nota amarognola tipica della carruba. Un vino che, tuttavia, pare “sfuggire” via veloce, senza lasciare una firma inconfondibile in bocca, tale da giustificarne il prezzo. E non si capisce neppure – ma sarà sicuramente un nostro limite – come possa evolvere ulteriormente negli anni questo tanto decantato Salice Salentino da 17 euro in Gdo.

Del resto, a Vinitaly 2016, lo scorso aprile, era stato lo stesso direttore commerciale di Cantine Due Palme, Giacomo Di Feo, ad annunciare chiaramente ai lettori di vinialsupermercato.it l’ormai imminente lievitazione dei prezzi di Selvarossa: “Stiamo riposizionando verso l’alto il prezzo del nostro vino top di gamma presente nei supermercati Esselunga – ammetteva Di Feo – a fronte di un prezzo iniziale di circa 13 euro. Una catena che ben lo espone non può che essere per noi un valore aggiunto”. Coerenza e onestà che meritano un riconoscimento, al di là delle grandi recensioni che negli ultimi mesi hanno favorito il processo di lievitazione di Selvarossa Due Palme in Gdo e, per certi versi, anche in Horeca. E con altrettanta coerenza e onestà, noi di vinialsupermercato.it vi consigliamo di provare un altro vino rosso di Puglia di Cantine Due Palme, dal rapporto prezzo-qualità davvero eccezionale: parliamo del Susumaniello Serre (9/11 euro in Esselunga o nei supermercati Il Gigante, i primi ad averlo in assortimento, anche nel nord Italia). Un vino, questo sì, di cui innamorarsi. Per davvero.

Prezzo pieno: 16,90
Acquistato presso: Esselunga

 

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Vini al supermercato

Kerner Alto Adige Valle Isarco Doc 2015, Abbazia di Novacella

Complesso, armonico, eclettico. Gaudium Kerner Alto Adige Valle Isarco Doc 2015 Abbazia di Novacella è tutto questo. Un vino che nel calice si presenta di un giallo paglierino con chiari riflessi verdolini. Al naso note florali fresche, ma soprattutto fruttate di pesca, albicocca, frutta esotica (papaya), scorza d’arancia e una vena speziata di pepe bianco. Tutti sentori che è possibile ritrovare anche al sorso. Kerner 2015 Abbazia di Novacella è un vino fresco, che denota una certa sapidità abbinata a uno spunto minerale importante. Beverino, nonostante i 13,5% di alcol in volume, si fa apprezzare per il calore e la fluida morbidezza. Non si tratta del prodotto di punta della Stiftskellerei Neustift (Abbazia di Novacella, per l’appunto) di Varna, Alto Adige. Ma è certamente uno dei migliori vini bianchi altoatesini reperibili sugli scaffali della grande distribuzione italiana, nel rapporto qualità prezzo. In cucina accompagna alla perfezione gli aperitivi, le insalate, i primi piatti con condimenti saporiti. Non disdegna, ovviamente, il pesce, con i crostacei in pole position, e i formaggi a latte crudo di media stagionatura. Un consiglio? Provatelo con una vellutata di sedano e patate.

LA VINIFICAZIONE
Introdotto come vitigno in Alto Adige circa vent’anni fa, il Kerner dell’Abbazia di Novacella viene prodotto nei vigneti situati nei Comuni di Bressanone, Varna e Naz-Sciaves, tutti situati a un’altitudine variabile tra i 600 e i 750 metri sul livello del mare. Le viti affondano le radici in un terreno ricco di ghiaia limosabbiosa di origine morenica. L’esposizione è a sud, sud-ovest, con una pendenza del 25-40%. Il Kerner viene allevato a Guyot, con una densità di 6-7 mila piante per ettaro e una resa media di 65 ettolitri. Le uve vengono vendemmiate all’inizio del mese di ottobre. La vinificazione e la maturazione avvengono in acciaio inox, a una temperatura di fermentazione di 20 gradi circa. I lieviti utilizzati sono naturali e selezionati. Fondamentale l’affinamento di 6 mesi in acciaio inox, prima della commercializzazione. A oltre 850 anni dalla fondazione, l’Abbazia dei Canonici Agostiniani di Novacella conduce oggi 20 parrocchie attraverso l’opera pastorale. Ogni anno migliaia di visitatori vengono accolti nell’abbazia di Novacella, che si sostiene economicamente proprio grazie alla coltivazione e la vendita di prodotti agricoli come erbe aromatiche e frutta. E, ovviamente, attraverso l’attività della Cantina dell’Abbazia, capace di ottenere con i suoi vini grandi riconoscimenti, anche a livello internazionale.

Prezzo: 7,90 euro
Acquistato presso: Iper Coop

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Mezzo secolo di Tavernello: Elio e le Storie Tese show per Caviro

Un concerto gratuito di Elio e le Storie Tese, in piazza del Popolo a Faenza. Ha deciso di festeggiare così, Caviro, i suoi 50 anni dalla fondazione. Appuntamento per mercoledì 29 giugno, alle 21.30. Una scelta originale quella di supportare l’Emilia Romagna Festival per il concerto di Elio e le Storie Tese, “dettata – spiega in una nota il colosso che produce, su tutti, il vino in brik Tavernello – da una forte comunanza di tratti tra Caviro e la famosa band, come lo spirito avanguardista, la genuinità e la trasparenza, ma soprattutto la popolarità, che trasversalmente ha portato entrambi ad avere un vasto successo nel proprio campo”. Una crescita lunga mezza secolo, quella di Caviro, che ha portato il gruppo di Faenza a diventare leader italiano per quota di mercato, distribuzione e awareness dei propri marchi. Dodicimila i viticoltori che costituiscono la più grande filiera vitivinicola in Italia, 34 le cantine in sette regioni. Per un totale di 35 mila ettari e una produzione totale che si assesta su numeri impressionanti: il 10% dell’uva italiana trasformata in vino. “Quest’anno – commenta Carlo Dalmonte, presidente di Caviro Sca – festeggiamo una ricorrenza davvero significativa per il gruppo. Il merito è di tutti coloro che durante la vita della Cooperativa hanno dato il loro imprescindibile contributo: dai fondatori, che per primi hanno avuto la capacità di visione che ha determinato il carattere e la forza di Caviro, a tutti i soci, collaboratori e dirigenti di ieri e di oggi”. “Proprio per celebrare questo storico anniversario – continua Dalmonte – abbiamo deciso di fare un regalo ai cittadini di Faenza: un concerto gratuito in piazza del Popolo di Elio e le storie tese che speriamo possa non solo far divertire, ma anche contribuire a rinsaldare ancora di più il nostro legame con i cittadini, anzi le persone, che come noi vivono e lavorano in un territorio che conferma ogni giorno la sua forte capacità produttiva”. I festeggiamenti iniziano in realtà martedì 28 giugno, in una serata ad hoc organizzata da Caviro con la stampa. Mattatore della serata, rigorosamente a porte chiuse presso il Teatro Masini di Piazza Nenni, a Faenza, sarà Elio, per una volta senza Storie Tese. Sul palco proporrà al pubblico un repertorio eterogeneo e sorprendente. Dallo swing di Fred Buscaglione alle canzoni della mala di Strehler passando per ‘Largo al Factotum’, Cavatina di Figaro, tratta dal Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. La serata sarà moderata da Federico Fazzuoli, primo testimonial Tavernello e volto storico di Linea Verde. Poi Caviro festeggerà con il territorio che storicamente la ospita: la sera del 29 giugno in piazza del Popolo a Faenza Elio e le Storie Tese al gran completo faranno ballare la città con la tappa di “Energumeni in ferie tour”, concerto-anteprima dell’Emilia Romagna Festival, offerto da Caviro.

I NUMERI DEL GRUPPO
Costituita nel 1966, Caviro rappresenta la più grande filiera vitivinicola italiana con 12 mila viticoltori. Tra i 34 soci figurano 31 cantine cooperative, che raggruppano produttori su una superficie di oltre 33 mila ettari e che producono circa 6 milioni di quintali di uva. Del totale soci, 26 cantine cooperative conferiscono vino, 5 cantine e 1 Consorzio conferiscono i sottoprodotti delle loro lavorazioni. Inoltre Caviro comprende una cooperativa del settore ortofrutticolo e si avvale di un socio sovventore. Sono ben 50 gli enologi del gruppo, che esporta in oltre 70 Paesi una vasta gamma di vini italiani, acquistabile in Gdo, nell’Horeca e sul web. “A permettere questa competitività sui diversi mercati – evidenzia Caviro – sono strategie di branding in continua evoluzione e la decisione di operare con partner importatori scelti fra i primi tre di ogni Paese o direttamente tramite proprie strutture. A fare la differenza però sono anche le sinergie attuate in termini organizzativi, logistici e di investimento, un’elevata esperienza tecnica e una conoscenza approfondita dell’enologia italiana e dei suoi trend a livello mondiale”. Il gruppo presieduto da Carlo Dalmonte comprende anche la Divisione Distilleria, seconda in Italia nella produzione di alcool con una quota del 25% e co-leader mondiale nell’acido tartarico naturale. “Caviro – evidenzia Delmonte – opera prestando la massima attenzione non solo al rapporto qualità-prezzo, ma soprattutto all’ecosostenibilità. La tutela dell’ambiente per questa realtà passa attraverso una serie di fattori e di pratiche che interessano ogni fase, dal vigneto al bicchiere. Per garantire l’anima ‘green’ delle proprie etichette l’azienda utilizza fonti rinnovabili per la generazione di energia dagli scarti di lavorazione, valorizza i sotto-prodotti agroindustriali trasformandoli in materie prime per il comparto farmaceutico e beverage. A questo si aggiunge il recupero dell’acqua”.

Con un fatturato 2015 di 300 milioni di euro, Caviro occupa 494 dipendenti. Le vendite di vino a volume nel 2015 sono stimate in 190 l/mln. Il target di riferimento sono le 7,3 milioni di famiglie consumatrici in Italia, con una quota di mercato a valore dell’8,3%. Le 31 cantine del gruppo ricavano 4,8 milioni di ettolitri di vino che conferiscono a Caviro in misura fra il 17% e il 60%. Il gruppo di Faenza imbottiglia circa 2 milioni di ettolitri, di cui l’88% è vino dei soci. Negli ultimi 6 anni Caviro ha investito circa 100 milioni di euro nei suoi stabilimenti produttivi di Forlì (vino), Savignano sul Panaro (vino), Faenza (distilleria ed energia) e Treviso (acido tartarico). La posizione competitiva in Italia vede Caviro sempre sul podio: primo gruppo per quota di mercato a volume e valore, primo nel brik a volume e valore, terzo nel vetro a volume e valore. La posizione competitiva sui mercati esteri vede Tavernello come primo marchio di vino italiano nel mondo. Caviro è inoltre uno dei leader del settore distilleria: secondo produttore alcool in Italia a valore, secondo a volume, secondo produttore mondiale di acido tartarico naturale e primo in Italia per recupero acque reflue aziende alimentari.

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Quatar Pass per Timurass: i migliori vini degustati tra i Colli Tortonesi

Slow Food Piemonte e Valle D’Aosta fa centro, un’altra volta. Si è conclusa con un successo la grande domenica tra le cantine della Doc Colli Tortonesi, lo scorso 19 giugno. Quatar Pass per Timurass, quarto appuntamento del ricco programma di Cantine a Nord Ovest, ha visto la partecipazione di 210 persone. E mentre la macchina organizzativa di Slow Food è già all’opera per il prossimo appuntamento (il 23 luglio per “Scopri il Canelli”, incentrato sull’Oro Giallo, il Moscato d’Asti) Leo Rieser, responsabile eventi della banda piemontese della chiocciola, gongola per il risultato raggiunto. “E’ stata l’edizione di Quatar Pass per Timurass di maggiore successo – evidenzia – pur essendo questo appuntamento uno dei meno storici dell’intero candelario. Abbiamo incontrato persone che erano già state qui nelle edizioni precedenti, a dimostrazione della grande attrattività di questo territorio, che oltre al Timorasso offre grandi vini rossi e specialità gastronomiche eccezionali, come il formaggio Montebore e il salame Nobile del Giarolo”. Un ‘microclima’ particolare, dunque, anche per i rapporti tra viticoltori. “La peculiarità dei Colli Tortonesi – sottolinea Rieser – è che l’esponente d’eccellenza Walter Massa ha saputo recuperare un vitigno autoctono come il Timorasso e creare, assieme ad altri grandi pionieri della zona, un sistema di sincera collaborazione tra viticoltori. Una collaborazione fattiva, tutt’altro che di facciata. Non so quanto sia sincera o puramente provocatoria la dichiarazione che nel 2018 smetterà di fare vino, a voi rilasciata. Quello che mi sento di dire – conclude l’esponente Slow Food – è che qualsiasi cosa farà, la saprà fare benissimo. Walter Massa è un grande, non hai mai sbagliato un colpo. Ma è anche l’uomo dei grandi annunci, dunque staremo a vedere”.

CLAUDIO MARIOTTO

Non è iniziato da Walter Massa il tour di vinialsupermercato.it tra le cantine dei Colli Tortonesi. Bensì da un altro grande riferimento della zona: Claudio Mariotto. Lo abbiamo raggiunto nella cantina di strada per Sarezzano 29, proprio a Tortona, dopo aver ritirato il nostro calice al banchetto Slow Food allestito presso “Il Dì Cafè” di corso Leoniero, angolo piazza Duomo. Grande ressa già alle 11 alla cantina di Mariotto. “Il Timorasso – dichiara il viticoltore – ha fatto sì che un territorio pressoché sconosciuto avesse visibilità. Oggi il Timorasso è a New York, Tokyo, Londra e in tutto il mondo. in vigna l’attività viene portata avanti nel rispetto dell’ambiente, senza entrare però nella partitocrazia del mondo del vino di oggi: mi riferisco alle bandierine del ‘biologico’ o del ‘vino etico’. Facendo vino buono, senza avere soldi per fare pubblicità, si diventa dei riferimenti: il marketing nel vino si fa con le bottiglie buone, bicchiere dopo bicchiere. In una parola, il mio vino è vero”. Oltre a uno splendido Derthona 2010, vino delizioso che promette ancora parecchi anni di evoluzione in bottiglia, degustiamo Pitasso 2004: ottenuto dalla vigna storica di Timorasso, esposta a sud est sul territorio di Vho, colpisce per la potenza espressa dalla struttura, ma anche per le note fruttate che esaltano una beva lenta e voluttuosa, in un sorso che pare di glicerina pura. Le radici profonde della vecchia vecchia pescano gli elementi nutritivi da un suolo che regala un’espressione fantastica di Timorasso, da provare. Ottimi anche i rossi di Mariotto. La Freisa 2014 Braghé è un esempio di quanto questo antico vitigno autoctono piemontese possa essere (anzi debba essere) ulteriormente valorizzato in Italia e nel mondo. Un naso elegante e fine di rosa e piccole bacche rosse, precede un palato in cui le note fruttate di marasca e lampone – chiare, distinte, pulite – chiudono un sorso di grande corpo e sapidità. Chiudono il cerchio i vini Barbera di Mariotto, vero trait d’union di un terroir capace di regalare grandi bianchi, ma anche eccellenti rossi. Non a caso Poggio del Rosso è il vino preferito del viticoltore tortonese, quello che considera la migliore espressione della sua intera produzione. E non solo per una questione di cuore, dal momento che “Il Rosso” è il soprannome col quale veniva chiamato il padre Oreste. Il Poggio del Rosso affina 3 anni in cantina, per la maggior parte in rovere. Risulta così un vino dal tannino morbido ma vivace, impreziosito da note di ciliegia e cioccolato. Sentori terziari di grande pregevolezza già percepibili al naso: dalla cannella al tabacco dolce, dal caffè alla liquirizia.

LA COLOMBERA

Non è dello stesso impatto “emotivo” la visita all’azienda Agricola Semino Piercarlo “La Colombera” di strada comunale per Vho, 7, a Vho per l’appunto. Degustiamo Derthona e Il Montino, entrambi ottenuti da uve Timorasso. Viene proposta una mini verticale che mette in luce le grandi capacità di invecchiamento del vitigno, anche se i prodotti de La Colombera paiono meno ‘pronti’ in gioventù rispetto ad altri degustati domenica 19 in zona Tortona. Le annate 2014 e 2013 suggeriscono di bere Cortese piuttosto che Timorasso, per trovare soddisfazioni immediate sia al naso sia al palato. Merita invece una menzione il Derthona 2009: caldo, complesso, finalmente corposo e strutturato. Capace di regalare i tipici idrocarburi e sentori minerali del vitigno. Lascia perplesso il prezzo di vendita della vendemmia 2009 Derthona: soli 9 euro, a dispetto degli 8 euro delle vendemmie ‘giovani’. In una zona vinicola capace di fare squadra come in poche altre in Italia, una tale disparità di prezzi tra le stesse annate di diversi produttori rischia di sconcertare il consumatore. E deviarlo verso la ricerca del prezzo, più che della qualità. Un punto, questo, su cui devono lavorare in concerto i produttori di Timorasso, pur nell’autonomia delle singole aziende vitivinicole. Alla Colombera apprezziamo anche il naso di Suciaja, rosso ottenuto da uve Nibiò, vitigno autoctono dei colli tortonesi, ‘parente’ del Dolcetto. Ottimo invece nel complesso Arché 2011, altro vino rosso de La Colombera, ottenuto questa volta da uve Croatina. Dopo un breve appassimento sulla pianta, i grappoli vengono raccolti e vinificati. Il vino matura 14 mesi in tonneaux, regalando un naso speziato (pepe) e di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato buona la struttura e il corpo: tannino piuttosto elegante e alcolicità sostenuta (14,5%) ma tutt’altro che fastidiosa, impreziosita da una sapidità non banale.

WALTER MASSA
Il filosofo del vino, il pioniere e marinaio che ha condotto Tortona a Hong Kong, passando per Londra, New York e Tokyo. Dire Timorasso senza citare Walter Massa è come parlare di calcio senza aver mai toccato un pallone. Lo raggiungiamo all’ora di pranzo nel suo quartier generale di piazza Capsoni 10, a Monleale. Quando arriviamo, Massa sta dicendo messa. E’ al centro di una lunga tavolata, affollata di ospiti che lo ascoltano come se stesse parlando il Messia. Perché Walter Massa è il verbo del Timorasso e il Timorasso è il verbo di Walter Massa. Per questo, chi non c’era, provi a portarsi a casa un Costa del Vento (dalla vendemmia 2014 in giù, finché il portafogli lo consente); o uno Sterpi 2013, un Timorasso che pare per certi versi Vermentino di Gallura. “Io prendo quello che la natura mi dà e cerco di portarlo in bottiglia”, dice Walter Massa mentre invita Pigi, la sua graziosa “badante”, a smettere di riempire i piatti di cassoeula e brodo con i ceci: “Sono qui per il vino, mica per mangiare!”. “Qui abbiamo l’acqua ligure, il vento piacentino, ma ci troviamo in Piemonte: siamo bastardi pieni”, scherza (ma non troppo) Massa, sollevando l’ilarità generale. E tra un sorriso e l’altro spuntano i vini rossi. E che rossi. Pertichetta 2010, 14,5%, ottenuto da uve Croatina, e soprattutto Bigolla 2001, 14,5% di Barbera granata, da definire con una sola parola: eccezionale.

OLTRETORRENTE
Dal mito alla new entry. Il passo è breve tra i Colli Tortonesi. Approdiamo così in via Cinque Martiri, a Paderna, dove Chiara Penati e Michele Conoscente, marito e moglie di 35 e 38 anni, sono espatriati da Milano per inseguire il loro sogno, dopo la laurea in Agronomia e diverse esperienze in aziende del settore. Tutto inizia nel 2010, con l’acquisto dell’attuale cantina su tre piani, un edificio storico nel centro del paese, parzialmente ristrutturato. Vengono condotte qui nei primi anni, per la vinificazione, le uve provenienti dal primo ettaro e mezzo di Oltretorrente, che prende il nome “da un romantico episodio di resistenza nell’omonimo quartiere di Parma – spiega Chiara – durante il ventennio fascista: alcuni abitanti, grazie a fantasiosi espedienti, fecero credere di essere armati fino ai denti, barricandosi in un palazzo e scacciando così le milizie. Un episodio che dimostra come, a volte, basta poco per fare le cose in grande e raggiungere grandi obiettivi”. In effetti la produzione di Oltretorrente è degna di nota. Oggi l’azienda può contare su un’altra struttura, sempre a Paderna, in grado di sostenere la lavorazione dei 3,5 ettari complessivi sin ora acquistati. “Si tratta di vigne vecchie – spiega Chiara – dai 20 anni ai 100 anni, con una media di 60”. Un aspetto fondamentale per comprendere la maturità di questa piccola ,e interessantissima realtà. In degustazione non troviamo (purtroppo) una grande varietà di prodotti. L’antipasto è il Cortese 2015, ottenuto dalla pressatura soffice delle uve intere, seguita da un affinamento di 8 mesi in acciaio sui propri lieviti, senza malolattica. Un’attenzione che offre un ottimo naso, fragrante, floreale e fruttato. Al palato vince invece lo spunto minerale, apprezzabilissimo. Sorprendente il Timorasso 2014, che regala note eleganti di fiori bianchi (camomilla). Al palato grande acidità e bel corpo, sorretto anche da una sapidità e da una mineralità che fanno presagire le grandi potenzialità del prodotto. Sulla via di una buona evoluzione anche il Timorasso 2013, l’unico in occasione di Quatar Pass a mostrare venature di uva passa e frutta candita. Buoni prodotti anche i due Barbera dei Colli Tortonesi, con quella Superiore (vendemmia 2012) che si eleva nettamente sulla prima per la grande pulizia delle note fruttate, sia al naso sia in bocca, impreziosite dalle spezie (liquirizia) e da un tannino levigato. “Accorpando vigne di anno in anno – annuncia Chiara – non siamo ancora riusciti a certificarci come produttori biologici, ma questo è il progetto per il futuro”.

POGGIO AZIENDA VINICOLA
Un capitolo a parte merita l’azienda vincola Poggio di Vignole Borbera, sempre in provincia di Alessandria ma all’estremo confine con la Liguria: per intenderci, siamo a pochi chilometri dall’outlet dell’abbigliamento di Serravalle Scrivia (buon motivo per combinare le due visite). Ci troviamo nella preziosa sottozona delle “Terre di Libarna”. Ezio e Mary Poggio, fratello e sorella, lui enologo, lei farmacista, rappresentano la terza generazione di una famiglia che vive nel mondo del vino da 50 anni, che da circa 15 anni ha iniziato a produrre in proprio, appoggiandosi anche su una filiera di piccole aziende agricole limitrofe, alcune delle quali condotte da giovani viticoltori. “Il Timorasso nasce qui come vitigno, in Val Borbera – sottolinea Mary – poi è stato portato nel Tortonese. A un certo punto scomparve per via delle malattie della vite e dello spopolamento delle valli, con gli abitanti della zona attirati dalle industrie, nelle grandi città come Genova, nel dopoguerra. Negli anni 90 Walter Massa ha avuto il merito di cominciare la riscoperta di questo autoctono. Noi siamo arrivati un po’ più tardi, nel 2002, avviando la produzione”. Nella Valle Borbera e nella limitrofa Valle Spinti, negli anni 40, c’erano 275 ettari di vigneto, tutti persi. Oggi in produzione ce ne sono una decina, tutti inseriti nella sottozona Terre di Libarna della Doc Colli Tortonesi. Quella della famiglia Poggio è stata una scommessa: “Abbiamo iniziato a impiantare Timorasso nella speranza che di lì a pochi anni fosse riconosciuta la Doc, altrimenti avremmo dovuto estirpare – sottolinea Mary -. Fortunatamente l’abbiamo ottenuta e abbiamo deciso di chiamare questa sottozona ‘Terre di Libarna’ in onore del sito archeologico di Libarna, che si trova a 4 Km da noi: un’antica cittadella romana, del II secolo avanti Cristo, che godeva di una fiorente viticoltura in Val Borbera e Spinti”.

I vigneti del Poggio si trovano tutti a un’altezza compresa tra i 450 ai 550 metri sul livello del mare. Le viti, come nel Tortonese, affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo. Ma le grandi escursioni termiche permettono di produrre un Timorasso da degustare a tutti i costi. Diverso da quello di Tortona e Vho: un Timorasso dall’acidità ancora più spiccata. Con una gradazione alcolica inferiore anche di due gradi rispetto alla media tortonese, che si aggira sui 14 – 14,5%, compensata però da una balsamicità magicamente avvolgente. I risultati ottenuti dal Poggio dalla prima vendemmia del 2008, fa pensare ai coraggiosi Ezio e Mary che avrebbero potuto produrre con successo anche una versione spumantizzata. Ed è così che nel 2010 nasce Lusarein, ottenuto in purezza da uve Timorasso, raccolte precocemente, ottenendo una “base” da 11,5 gradi. Uno charmat d’autoclave lunga (6 mesi), imbottigliato a 12,5 gradi. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, Lusarein sfodera una spuma leggera con perlage fine e persistente. Al naso note minerali e agrumate. In bocca una sapidità piuttosto spiccata, cui fa eco un’acidità notevole: caratteristiche che invitano al sorso successivo, che si chiude con un retrogusto amarognolo. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato a primi e secondi di pesce, ma anche alle carni bianche. Di Lusarein 2014 sono state prodotte 4 mila bottiglie. Ottimi, del Poggio, anche L’Archetipo e il Caespes, ottenuti sempre da uve Timorasso 100%. Caespes è il base, di cui degustiamo l’annata 2014, già pronta a sorprendere per la grande acidità che regala una beva facile, ma tutt’altro che banale. Si sale ulteriormente di livello con L’Archetipo 2013, dalla notevole vena balsamica, che diventa ancora più profonda e fresca nella vendemmia 2011, davvero degna di nota. Tutti vini ottenuti da rese per ettaro basse, sotto i 50 quintali. Un numero che, per la vendemmia 2015, è sceso addirittura a 35 quintali. Diciottomila le bottiglie prodotte complessivamente dal Poggio, tutte all’insegna di una grande qualità.

AZIENDA AGRICOLA RICCI
Di grande pregio anche la produzione dell’azienda Azienda Agricola Ricci, situata in via Montale Celli 9, Costa Vescovato. Una realtà alla quale ci siamo avvicinati in occasione del Vinitaly 2015. Carlo Daniele Ricci, il titolare, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso senza pari. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacio. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora le tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere puro, tanto risulta morbido e rotondo il nettare, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità tra produttori. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Quale immagine migliore per la Doc Colli Tortonesi?

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Brexit e Ue: nel mondo del vino c’è chi se ne frega

God save the wiine (doppia “i” voluta, adesso indovinate la pronuncia). E poi chi se ne frega della regina Elisabetta. Men che meno dei suoi sudditi, divisi tra leave o remain. Il vino unisce tutto. E tutti. Chiedetelo a Luisa Todini.

Presentazioni di rito lunghe come la Bibbia. Piene di contraddizioni a cui solo la fede (per l’anti politica) può dare una spiegazione. Logica, s’intende.

Dal 1994 al 1999 in Forza Italia come eurodeputata, viene proposta da Renzi come presidente di Poste Italiane nel 2014, pur essendo in quota Lega.

Ricopre nel contempo, dal 2012, l’incarico di consigliera nel CdA Rai, dal quale si dimette il 19 novembre 2014. Non prima d’aver votato contro il ricorso al decreto Irpef presentato dal governo italiano (presieduto da Renzi) nel mese di aprile: un ricorso che prevedeva il prelievo forzoso dalle casse dell’azienda televisiva per circa 150 milioni. Chapeau.

Ma è della Todini imprenditrice del vino che c’importa, in fondo. O no? A proposito, ultimo capitolo del curriculum: Luisa Todini è anche la titolare di Cantina Todini, che il 23 giugno ha annunciato a Londra la propria intenzione di “continuare a investire e a scommettere sul mercato britannico”.

DENTRO O FUORI
“Continuiamo comunque a investire in un luogo dove abbiamo sempre investito – dichiarava la Todini a un giorno del voto – e continuiamo a farlo anche ora. La mia speranza è che non ci sia la Brexit. Che tutti gli inglesi capiscano”. Secondo la Todini, il Regno Unito “continuerà a essere una piazza fondamentale per il made in Italy, anche con Brexit.

Io sono qui per raccontare un pezzo di territorio italiano, l’Umbria, e nello specifico Todi, presentando vini d’eccellenza a base di Sangiovese e Grechetto”. Grande risalto per queste dichiarazioni sui media italiani.

Così come grande risonanza è stata data dalla stampa italiana alla presentazione dei vini Todini in occasione di due eventi organizzati ad hoc: uno a Bianco43, ristorante al 43 di Greenwich Church street, Londra; l’altro al Novikov nel Mayfair, esclusivo distretto londinese. Presenti, tra gli altri, l’ambasciatore italiano Pasquale Terracciano e lo chef Giorgio Locatelli. Entrambi i ristoranti hanno i vini Todini in wine list.

“Per noi – evidenzia Luisa Todini al Sole 24 Ore – questo è un grande punto di arrivo, ma vuole essere anche un punto di partenza. Il mercato britannico ha riservato una calorosa accoglienza ai nostri vini Todini: nel giro di un anno, dopo il debutto nel 2015, i vini sono presenti in oltre 25 ristoranti su tutto il territorio, con una vendita di oltre 8 mila bottiglie prodotte da uve autoctone. L’intenzione ora è di ampliare la presenza a un numero ancora più grande di ristoranti e anche di arrivare sugli scaffali di una selezionata grande distribuzione. Le trattative sono già in corso”. Good save the (Todini) wiine.

IL BORDEAUX SALE, I BUYER GONGOLANO
Forse più preoccupazione regna in Francia. Secondo gli analisti economici del Regno Unito, il mercato del vino pregiato nel Regno Unito potrebbe registrare un arresto.

Brexit rende di fatto più costoso il vino dei Paesi Ue per gli acquirenti muniti di sterline. In un momento in cui il settore del vino mostrava segni di ripresa, la prima prima vittima del voto Brexit potrebbe essere la campagna francese per l’anteprima del Bordeaux 2015.

“L’incremento dei prezzi del Bordeaux era già stato paventato nelle scorse settimane, prima del referendum – evidenzia Justin Gibbs a Liv-ex, piattaforma di trading di vini con sede a Londra – ma con una sterlina debole possiamo aspettarci un ulteriore incremento del prezzo di oltre il 10%”.

Liv-ex segnala al contempo un boom di ordini di vino durante la scorsa notte. Un boom proveniente prevalentemente da Hong Kong, ma anche degli Stati Uniti. Semplice la spiegazione. I buyer di questi mercati pensano di poter contrattare con il Regno Unito prezzi d’affare per il vino nelle prossime settimane, se la sterlina rimane debole.

“Gli acquirenti muniti di dollaro – evidenzia Gibbs – potrebbero utilizzare questo come un’opportunità per accumulare vini”. L’analista ritiene comunque che “il mercato del vino pregiato è relativamente resistente agli shock rispetto ad altri settori. Le papille gustative dei clienti non sono cambiate durante la notte”.

Will Hargrove, imprenditore del settore del vino nel Regno Unito, sottolinea  che “ci vorrà tempo per conoscere le conseguenze di Brexit”. “Chiaramente – prosegue – l’incertezza nei mercati finanziari non giova a nessuno. Sento dire che in autunno sapremo veramente quali sono gli effetti dell’uscita dall’Unione europea. Ma nel frattempo l’anteprima Bordeaux è in gran parte diventata un esercizio di intermediazione”.

Secondo l’imprenditore inglese, il settore del vino britannico “voleva rimanere nell’Ue. Ma il popolo britannico si è espresso in altro modo, decretando l’apertura di un nuovo capitolo della nostra storia. Lavoreremo per aiutare il governo a preservare il nostro accesso al mercato unico, sostenendo le esportazioni e trattando per ottenere i migliori accordi di libero scambio internazionale”.

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Vini al supermercato

Refosco dal Peduncolo Rosso Friuli Colli Orientali 2014, Jean Paul Roble

Frutto di un ‘concept’ raro da rinvenire tra i banchi della grande distribuzione organizzata italiana, i vini Jean Paul Roble 85 15 nascono “da un concetto di terroir ispirato ai territori della Borgogna, di Pomerol, di Bordeaux e della Loira”. Vini francesi destinati prevalentemente a un pubblico di “nicchia”, la cui filosofia, coniugata all’italiana, mira a rivolgersi “a un pubblico più vasto”. Non a caso Jean Paul Roble non è il nome del produttore, bensì lo ‘pseudonimo’ dietro al quale si ‘cela’ Effe. Ci Parma Srl: uno dei colossi del mercato italiano del vino. Tra le Doc commercializzate con questo marchio, prodotte esclusivamente nei Colli Orientali del Friuli, in un appezzamento di 16 ettari sulla collina di Ipplis, coltivata per 3 ettari a Pinot Grigio, 3 a Friulano, 3 a Sauvignon, 5,5 a Chardonnay, 1,5 a Refosco e 1 a Merlot, peschiamo proprio il Refosco dal Peduncolo Rosso. Per l’esattezza, la vendemmia che finisce sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014, per la quale figura come imbottigliatore l’azienda agricola Ca’ Ronesca Sas di Dolegna del Collio, in provincia di Gorizia. Un vino che, all’esame visivo, si presenta d’un rosso rubino intenso. Al naso esprime note di buona intensità, che richiamano la viola e piccoli frutti a bacca rossa. Già all’olfatto uno spunto vinoso, classico del vitigno, che ritroviamo poco dopo al palato. Così come si ripresentano pure le note fruttate fresche di piccole bacche rosse, come ribes e lampone, cui si accosta piacevolmente la bacche nere della mora selvatica, dallo sprint acidulo finale. Un quadro che fa del Refosco dal Peduncolo Rosso Friuli Colli Orientali Doc 2014 Jean Paul Roble un vino rotondo, di facile beva, non impegnativo. Un vino pulito e leggero, ma capace di mostrare una certa trasversalità e versatilità negli abbinamenti con la cucina italiana. Un prodotto, insomma, che accompagna pietanze non eccessivamente complesse.

LA VINIFICAZIONE
Il Refosco dal Peduncolo Rosso Jean Paul Roble, come anticipato, proviene da un appezzamento di 3 ettari, posto nel comune di Premariacco, in provincia di Udine. Più esattamente, nella piccola frazione di Ipplis. Il vigneto si trova in una zona collinare, con altezza variabile tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare. I suoli sono di tipo marnoso e calcareo, ricchi di elementi nutritivi come potassio, magnesio, calcio, ferro, manganese, zinco. Allevate con il sistema del guyot lineare, lasciando quattro gemme per ogni pianta, come in uso in questa zona di produzione del Refosco, le viti – di 4 anni – registrano una densità di 3.600 piante per ettaro. Le rese si assestano sui 70 quintali per ettaro: 1 Kg circa, per pianta. La vinificazione prevede, dopo la fermentazione a temperatura controllata tra i 25 e i 28 gradi, un affinamento in vasca di acciaio per alcuni mesi. il Refosco Jean Paul Roble 2014 ha riposato altri due mesi in bottiglia, prima di essere immesso in commercio. Ne sono state prodotte 30 mila bottiglie.

Prezzo pieno: 5,90 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I (Finiper)

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Il mare di Alassio? E’ di champagne. Per due giorni

I sogni diventano realtà, ad Alassio. Ma solo per due giorni. “Un mare di Champagne” è il nome della più grande degustazione di “bollicine” francesi della riviera ligure. Interverranno ben quarantadue maison, che presenteranno oltre cento Champagne. L’appuntamento è dalle ore 12.00 alle ore 20.00 presso il Grand Hotel Alassio & Spa di Alassio, Savona. Spazio anche per le primizie gastronomiche di Selecta Spa: dal Baccalà dissalato tradizionale Rafols alle Ostriche Cadoret, dalle Mazzancolle di Porto Santo Spirito al gusto inconfondibile dei Salumi del Podere Cadassa. La degustazione è aperta agli operatori di settore (sommellier tesserati Fisar, Onav, Ais, Fis, Amira, Donne del Vino, Accademia della Cucina, Slow Food, ingresso a 25 euro), al pubblico di appassionati (35 euro) e alla stampa italiana. L’accredito online, unitamente al bonifico bancario, garantiscono l’accesso alla degustazione, giunta ormai alla sua IV edizione. Di tutto rispetto la lista delle maison di Champagne presenti: AD Coutels, AR Lenoble, Ayala, Barons de Rothschild, Bonnaire, Charles Heidsieck, Chassenay d’Arce, Collet, Comte de Montaigne, De Castelnau, De Venoge, Delaplace, Deutz, Devaux, Drappier, Duval Leroy, Encry, Frank Pascal, Gremillet, Henriot, Lancelot-Pienne, Lanson, Le Brun Servenay, Legras & Haas, Louis Brochet, Louis de Sacy, Palmer & Co, Paul Bara, Paul Goerg, Paul Louis Martin, Perrier-Jouët, Pierre Gimonnet & Fils, Piper Heidsieck, Pol Roger, R & L Legras, Steinbrück, Ulysse Collin, V. Etien, Veuve Clicquot, Vieille France, Vollereaux, Vranken Pommery. La degustazione è aperta agli operatori di settore, al pubblico di appassionati e alla stampa italiana.

IL PROGRAMMA
Oltre alla degustazione, “Un Mare di Champagne” prevede anche tre seminari di approfondimento presso la Sala riservata Grand Hotel Alassio & Spa: anche in questo caso occorre iscriversi per partecipare, sino all’esaurimento dei posti disponibili. Dalle 15 alle 15.45 spazio a “Champagne, un vino unico al mondo: storia e leggenda, uomini e terroir”. Relatore Livia Riva, La Dame du Vin. Dalle 16 alle 17 “Champagne e Cucina: esaltazione del gusto ed arte e scienza del servizio”, relatore Alessandro Scorsone. Chiude i seminari, dalle 17.15 alle 18.15, “Chef e Champagne: magia in cucina”, che vedrà nuovamente relatrice Livia Riva, oltre all’intervento di Alida Gotta, finalista Master Chef 2015, che delizierà gli ospiti col suo show cooking. Un Mare di Champagne si chiuderà martedì 21 giugno con la cena di gala al Golf Club di Garlenda, location di grandissimo prestigio. Il menu degustazione, preparato a più mani da tutti gli chef Macramè, vedrà anche la partecipazione di illustri Ospiti stellati: Maurulio Garola di La Ciau del Tornavento di Treiso; Federico Gallo della Locanda del Pilone di Madonna di Como; Massimo Viglietti, dell’Enoteca Achilli di Roma; e Franco Ascari, chef pasticcere di Selecta Spa. Ogni portata sarà abbinata ad uno Champagne: Perrier-Jouet, Deutz, V. Etien, Devaux e Krug. E’ previsto un servizio di navetta, su richiesta. Per informazioni e prenotazione (obbligatoria) alla cena di gala: +39 3664815006. Una vera e propria esperienza di gusto: anche perché, ciascuna portata, sarà accompagnata da un abbinamento Champagne diverso. Grande protagonista della serata sarà il pastry chef di Selecta Franco Ascari, che per l’occasione proporrà la sua ultima deliziosa creazione: Mousse di Albicocca e Basilico, Crumble al Sesamo nero, Gelato Coeur de Guanaja 80% Valrhona.

GLI ORGANIZZATORI
Macramé è un Consorzio che oggi riunisce ristorazione e ricettività. Ha come obiettivo primario “la continua ricerca del bello e del buono, attraverso il divertimento, l’intrattenimento, le curiosità, la promozione del territorio”. In particolare si distingue nella cucina, che – per dirla alla Macramé – “è espressione fedele di un territorio ricco di prodotti di altissimo pregio”. Dai frutti del mare a quelli della terra, la missione è “valorizzare la materia prima nel rispetto della stagionalità e della natura trasferendo nei piatti la passione e la creatività che contraddistinguono i diversi ristoranti”. Tanti attori con le proprie peculiarità ma uniti da un comune denominatore: offrire il meglio ai propri ospiti. Al termine della stagione 2012, il Gabbiano e il Palma, ovvero Paolo e Massimo mettono le basi del Consorzio, coinvolgendo altri cinque ristoranti affini. Ed è così che nasce il primo evento del gruppo: “Alassio Street Food Festival – la cucina gourmet scende in strada”. Da questa fortunata esperienza prendono il via una serie di incontri, in cui si disquisisce di cucina e si degustano grandi etichette. Le voci dei sette cominciano a sovrapporsi e piano piano a fondersi in un’unica melodia. Come una trama di preziosi fili che con pazienza e abile maestria diventa un bellissimo merletto. Ecco trovato il titolo che li rappresenta: Macramè. Il sotto titolo è presto stilato: “Dire, Fare, Mangiare”. E anche Bere. Oggi il consorzio Macramè si compone di otto elementi: Gabbiano, Lamberti, La Prua, Mozart, Panama, Villa della Pergola, Viola e Chef Massimo Viglietti.

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Export di vino italiano: da gennaio a marzo 1,3 miliardi

Inizia sotto una buona stella l’avventura di Antonio Rallo alla presidenza dell’Osservatorio del Vino italiano. Il firmamento è quello dell’export di vino made in Italy. Che da gennaio a marzo vale 1,3 miliardi. Per gli amanti delle statistiche, una cifra che significa un +3% del comparto comparto, rispetto al 2015. “Il 2016 – commenta Rallo, succeduto da pochi giorni a Domenico Zonin – si prospetta un anno molto interessante per il vino italiano. E’ presto per parlare di bilanci, ma la tendenza è decisamente positiva. L’export cresce in valore del 3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, raggiungendo 1,23 miliardi di euro. In particolare, è in salita la domanda estera di vini italiani a denominazione che fa registrare +11% a valore e +7% a volume”. Qualche numero in più? Le bollicine confermano l’appeal di sempre per un valore di 230 milioni di euro (+21%) e 678 mila ettolitri (+26%). Il Prosecco guida questa domanda con un incremento del 31% a valore (174 milioni di euro) e del 33% a volume (461 mila ettolitri). Buoni risultati si registrano anche sui vini fermi Dop testimoniando come il successo degli spumanti italiani stia contagiando anche altri prodotti vinicoli, che continuano la crescita seppur a ritmi più sostenuti. Cifre diffuse da Istat ed elaborati da Ismea, partner dell’Osservatorio del Vino, relativamente all’export del vino nel primo trimestre 2016. “Anche se siamo solo al principio dell’anno, questi dati parlano chiaro – continua Antonio Rallo – è evidente che la qualità italiana sui mercati stranieri venga recepita in modo netto e che i nostri prodotti siano riconosciuti come ambasciatori del miglior made in Italy. Il calo ormai strutturale dell’export dei vini comuni e sfusi in favore dei prodotti di qualità, sollecita uno sforzo ulteriore che dobbiamo fare come sistema paese per conquistare nuove quote di mercato per i nostri vini a Denominazione di Origine (DO), non accontentandoci di crescere solo a valore proprio in virtù del fatto che la richiesta di vino è orientata verso prodotti i qualità. Il 2016 dovrà essere l’anno in cui si ricomincerà a vedere incrementi sui volumi dei vini a DO, migliorando ulteriormente le performance del valore delle esportazioni”. 

“La progressione dell’export – conclude il presidente Rallo (nella foto) – incide positivamente anche sulle quotazioni dei vini nel mercato interno, segno che la catena del valore del vino sta portando risultati positivi su tutti gli anelli della filiera. La cultura del consumatore sta cambiando in modo radicale, sia nel mercato interno sia in quello estero. L’imperativo, pertanto, è continuare a percorrere la strada della qualità per affermare, insieme al nostro vino, i nostri valori e le nostre tradizioni, unici al mondo e apprezzati da un pubblico sempre più ampio”. Vini e mosti nel complesso fanno rilevare ottime performance nelle esportazioni di questi primi 3 mesi 2016. Gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato in termini di esportazioni, che continua a crescere (sullo stesso periodo 2015) con un incremento in valore del 5% per un corrispettivo di 330 milioni di euro. Per il Regno Unito l’export vale 152 milioni di euro (+7%) mentre l’Austria fa registrare un lusinghiero +13% in valore (22,5 milioni di euro). Buone notizie dalla Cina dove il vino italiano cresce in valore del 15% (21 milioni di euro) e in volume del 17% (65 mila ettolitri). Nota positiva dalla Russia, che ha ripreso a crescere con un +6% in valore (11 milioni di euro) e un + 11,6% in volume (47 mila ettolitri). L’Import dei primi 3 mesi del 2016 vede una frenata significativa, segnando un -10% in valore (57 milioni di euro) e un -48% in volume (380 mila ettolitri).

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Chianti Classico Docg Pèppoli 2013, Marchesi Antinori

E’ la persistenza il valore aggiunto del Chianti Classico Docg Pèppoli Marchesi Antinori. Il buon nome della casa vinicola fiorentina costituisce di per sé garanzia di qualità assoluta. E il Chianti Classico Pèppoli è, di fatto, il risultato della ricerca di un prodotto di facile consumazione. Tutt’altro che banale, ma allo stesso tempo (volutamente) non complesso. Un Chianti che sembra voler condurre con una certa fretta al proprio finale, lungo e persistente: non perché ‘consapevole’ d’aver poco da raccontare nel mezzo. Piuttosto per giungere presto al meglio di sé. Sfoderando presto il proprio asso nella manica. Un ospite timido e discreto, pur delizioso e raffinato. Per il quale aggiungere – volentieri – un calice a tavola. La trama del Chianti Classico Pèppoli Antinori inizia a raccontarsi da sola già all’esame visivo. Il colore rosso rubino vivo, intenso, suggerisce la grande centralità delle note fruttate, ricercate e volutamente ‘spinte’, sia al naso sia al palato. Il Sangiovese (90%) sussurra le classiche note di viola che avvolgono i frutti rossi. Merlot e Syrah aggiungono suadenza e nerbo, suggerendo tinte terziarie speziate delicate e vaniglia. Fondamentale in questo senso l’apporto dell’affinamento in barriques. Il Chianti Classico Pèppoli Antinori accompagna trasversalmente, dai primi ai secondi, la cucina di media complessità. Qualche suggerimento? Un ragù saporito, una bistecca alla fiorentina, un formaggio come il Bitto della Valtellina. Da provare anche con le empanadas argentine.

LA VINIFICAZIONE
Questo Chianti Classico di casa Antinori è ottenuto, come anticipato, da uve Sangiovese, Syrah e Merlot. Le varietà vengono vinificate separatamente. Il Sangiovese svolge la macerazione in acciaio per circa 10 giorni,  mentre Merlot e Syrah necessitano di più tempo. L’obiettivo è quello di “ottenere tannini soffici e preservare le note fruttate”. La fermentazione malolattica, utile alla trasformazione del ‘duro’ acido malico nel ‘morbido’ acido lattico, avviene prima dell’inverno per tutte e tre le varietà. All’inizio del 2014, il Chianti Classico Docg Pèppoli 2013 Antinori è stato assemblato e immesso in legno grande, dove è rimasto a riposare per circa un anno. L’ulteriore maturazione è avvenuta in botti di rovere di Slavonia, mentre un 10% è stato affidato a piccole barriques. L’imbottigliamento è avvenuto nella primavera 2015. L’annata 2013 è stata caratterizzata da frequenti precipitazioni durante i mesi invernali e temperature sotto la media durante i mesi primaverili. Il germogliamento della vite è avvenuto in ritardo di 10-15 giorni rispetto alla media. Il caldo, sopraggiunto intorno alla metà di luglio, ha accelerato i processi di maturazione delle uve, che sono proseguiti con regolarità durante l’estate. Le alte temperature e le ottime escursioni termiche de mese di settembre hanno permesso di arrivare a una corretta maturazione delle uve. Pèppoli è stato introdotto nel 1988 da Marchesi Antinori, in seguito alla prima vendemmia 1985.

Prezzo: 18,49 euro
Acquistato presso: Iper la grande I, Finiper

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Sedàra Sicilia Doc Rosso 2013, Donnafugata

Non certo la migliore espressione dei vini rossi della casa vinicola siciliana Donnafugata, Sedàra Sicilia Doc Rosso 2013 si presenta da sé sull’etichetta”d’autore” posta sul retro bottiglia: peraltro di difficile lettura, non solo per i caratteri troppo “piccoli” ma anche per la scelta di stampare le note descrittive su una raffigurazione delle cantine di Contessa Entellina (tutto bellissimo – per carità – ma difficile da apprezzare appieno tra le corsie di un supermercato). Vino “piacevole e informale”, si può leggere, “dalla pizza al barbecue”. Insomma, il vino “base” Donnafugata. Da apprezzare non per particolari doti, ma proprio per la sua intrinseca trasversalità nell’accompagnare le pietanze di tutti i giorni. Un vino, Sedàra Sicilia Doc Rosso, che si presenta nel calice di un rosso profondo, poco trasparente. Il suo punto forte? Quell’essere timido in entrata e forte in chiusura, sia al naso sia al palato. Con la frutta rossa (ciliegia) che si esprime intensa prima di lasciare spazio a una speziatura decisa, di pepe nero e chiodi di garofano. Sentori che, all’olfatto, si fanno tuttavia sempre meno eleganti nel calice, col passare dei minuti. Vino fresco e di facile beva nonostante i 13 gradi, risulta morbido e rotondo in bocca. Caratteristiche, queste, che lo rendono l’accompagnamento perfetto per piatti non troppo elaborati: la cucina di tutti i giorni, senza troppi fronzoli, sembra insomma il territorio prediletto di questo vino rosso siciliano. A una temperatura di servizio tra i 16 e i 18 gradi.

LA VINIFICAZIONE
A comporre il ‘quadro’ di Sedàra Sicilia Doc Rosso Donnafugata sono Nero d’Avola (prevalente), Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. La zona di produzione è quella della Sicilia sud occidentale, più precisamente quella della Tenuta di Contessa Entellina e dei territori limitrofi. Le vigne sono tutte collocate a un’altitudine che varia dai 200 ai 600 metri sul livello del mare, con orografia collinare e suoli franco-argillosi a reazione sub-alcalina (pH da 7,5 a 7,9). Ricca la presenza di elementi nutritivi (potassio, magnesio, calcio, ferro, manganese, zinco) mentre il calcare totale varia dal 20 al 35%. Il vigneto è allevato con il sistema della controspalliera, con potatura a cordone speronato, lasciando da 6 a 10 gemme per pianta. La densità d’impianto varia da 4.500 a 6 mila piante per ettaro e rese di circa 85 quintali per ettaro (1,6 kg per pianta). La vendemmia delle uve destinate al Sedàra inizia a fine agosto con il Merlot e prosegue nelle prime due settimane di settembre con la raccolta di Syrah, Nero d’Avola e Cabernet Sauvignon. La fermentazione è svolta in acciaio con macerazione sulle bucce per circa 10 giorni alla temperatura di 25-28° gradi e per circa 6- 8 giorni alla temperatura di 24-25°C. A fermentazione malolattica svolta, segue l’affinamento per 8 mesi in vasca e poi in bottiglia per almeno altri 5 mesi. La longevità di Sedàrà, una volta messo in commercio, è di 4-5 anni. Immortale, invece, la raffigurazione in etichetta che riporta alla memoria Angelica Sedàra e l’affascinante sua interprete Claudia Cardinale, protagonista del film “Il Gattopardo” di Luchino Visconti.

Prezzo: 7,49
Acquistato presso: Carrefour

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vini#1 visite in cantina

Insight Sauvignon Blanc Marlborough 2013, Vinultra

Sentiamo spesso parlare di vini neozelandesi. Vini che, ormai, è facile reperire anche sul mercato italiano. Vinialsupermercato.it, come al solito, cerca di aiutarvi nelle scelte in campo enologico. E oggi racconta di un Sauvignon Blanc proveniente proprio dalla Nuova Zelanda. Si tratta del Sauvignon Blanc 2013 Insight, “single vineyard” Marlborough, prodotto dalla cantina Vinultra nella Waihopai Valley. Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, di buona limpidezza. Al naso esprime un bouquet estremamente ampio e accattivante, molto “femminile” e floreale. Si passa dal passion  fruit alla classica foglia di pomodoro, fino alle note di zenzero fresco. Un naso prezioso, che anticipa un sorso ancora più soddisfacente. La frutta esotica torna prepotentemente, il che potrebbe far risultare questo vino stucchevole. Ma immediatamente sopraggiungono note agrumate di pompelmo rosa, a bilanciare il tutto. Completano il quadro note speziate e minerali. Il ritorno, una volta deglutito il vino, è di quello di piacevoli  e persistenti foglie di pomodoro, oltre agli onnipresenti agrumi e alle spezie.
LA VINIFICAZIONE
L’azienda Vinultra è situata a Malborough, sulla East coast della Waihopai Valley, uno dei territori più conosciuti e vocati alla coltivazione della vite in Nuova Zelanda. Il vitigno scelto per la produzione di questa etichetta si sviluppa su due terrazze differenti: quella inferiore è estremamente ricca di sassi, un terreno limoso e argilloso. Quella superiore,  invece, sempre composta di argilla e limo, presenta in abbondanza grandi blocchi di ghiaia, in questo caso friabile. Il sistema di allevamento è la controspalliera e la raccolta delle uve Sauvignon Blanc avviene tra la fine del mese di aprile e l’inizio di maggio. La diraspatura è seguita da una pressatura con pressa pneumatica. Le uve subiscono poi criomacerazione per 48 ore, processo utile alla conservazione degli aromi varietali dell’uva. La fermentazione avviene in vasche d’acciaio e il vino riposa sur lies, ovvero “sulle bucce”, per diversi mesi prima di essere imbottigliato.
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Vino argentino protagonista al Milano Latin Festival

Trenta etichette di vino argentino, più due di vino cileno. Giusto per non farsi mancare niente, tra un boccone e l’altro di empanadas. Non solo danze al Milano Latin Festival 2016. Il vino sudamericano sarà infatti grande protagonista dell’evento che ogni anno attira migliaia di appassionati di musica e balli latino americani. L’appuntamento per tutti i winelovers è all’enoteca dell’importatore Federico Guillermo Bruera, allestita proprio all’interno degli spazi del Milano Latin Festival, in viale Milanofiori ad Assago, alle porte di Milano. Un appuntamento che ha preso il via lunedì 6 giugno e animerà la movida milanese fino al 16 agosto. “Abbiamo deciso di approfittare di questa bella opportunità offerta dal Milano Latin Festival – spiega Bruera, che a Genova gestisce l’impresa di import Via dell’Abbondanza – per far conoscere a più persone possibili il vino argentino e, in generale, quello sudamericano. Uno spazio enoteca che si affiancherà alla consueta rummeria, divenuta ormai una tradizione”. Federico Guillermo Bruera, del resto, importa da 11 anni vini argentini e sudamericani in Italia. Conosce il mercato. E sa dove puntare il mirino, per fare centro. “Al Milano Latin Festival – spiega – propongo una selezione di etichette prevalentemente provenienti dall’Argentina, scelte tra le 120 a nostra disposizione”. Venti le cantine argentine interessate. Una sola quella cilena. Qualche consiglio? Cascherete sempre in piedi, scegliendo un vino ‘a caso’ della Bodega del Fin del Mundo di San Patricio del Chañar, uno di Bodega La Rural Rutini Wines o di Bodega Santa Julia di Mendoza. Per chi vuole provare qualcosa di davvero alternativo c’è il liquore di Yerba Mate, un’erba dalle miracolose proprietà benefiche per l’organismo. “Pur essendo l’Italia uno dei maggiori Paesi produttori di vino – evidenzia l’importatore Bruera – il consumatore italiano è particolarmente curioso e sperimenta volentieri. Il mercato dei vini argentini e sudamericani, in Italia, è in crescita non solo nella ristorazione, ma anche nelle enoteche. Ed è sempre più facile trovare vini del Sud America anche in ristoranti che non propongono esclusivamente cucina latina”. Il giro d’affari, per Bruera, si assesta sulle 100 mila bottiglie l’anno. Numeri che fanno di Via dell’Abbondanza un vero e proprio riferimento, nel Belpaese. “Non a caso – commenta Bruera – siamo stati fornitori esclusivi per il ristorante argentino del Padiglione Argentina, a Expo Milano 2015. E siamo organizzatori e creatori del Malbec World Day Milano, dove si degustano ogni anno più di 60 Malbec, nel mese di aprile”. Insomma: il via alle danze è stato dato lunedì. Adesso, in alto i calici.

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La Cité du Vin de Bordeaux fa infuriare il Movimento Turismo del Vino

“L’enoturismo è tricolore, lo si può dire con certezza. Ma è un tricolore francese, non certo il nostro”. A tuonare così è il presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino (Mtv), Carlo Pietrasanta (nella foto), a commentato delle “recenti importanti iniziative” intraprese dai “cugini” francesi “in favore dell’enoturismo”.

“Come in un film già visto – dichiara Pietrasanta – la Francia ci sovrasta in quanto a programmazione e managerialità della cosa pubblica. E quello che è successo nell’ultimo anno è sotto gli occhi di tutti: Parigi ha messo in piedi un portale che raccoglie tutta l’offerta enoturistica del Paese e che funziona benissimo, nonostante non sia costato milioni di euro come i nostri, inutili, siti vetrina. E non è un caso che il portale, che punta ad attirare 4 milioni di nuovi enoturisti stranieri entro il 2020, anche attraverso prenotazioni dirette dal sito – sia stato presentato dal ministro degli Esteri”. Pietrasanta fa riferimento all’inaugurazione, avvenuta a fine maggio a Bordeaux, de La Cité du vin, “La città del vino”.

“E non è un caso neppure che, giusto un anno fa – prosegue il presidente del Movimento del Turismo del Vino – lo stesso ministro francese Laurent Fabius abbia annunciato un piano speciale con un fondo nazionale in favore del comparto. Detto, fatto. E mentre in Italia, da Expo in poi, in tutti i grandi comizi sul vino nessun politico dimenticava di citare l’enoturismo, in Francia si stanziavano decine di milioni di euro per investire veramente”.

Per il presidente del Movimento Turismo del Vino, che conta circa mille cantine associate, gli 81 milioni di euro impiegati per costruire La Cité du vin de Bordeaux “sono la ciliegina su una torta che nella regione fattura, sotto la voce turismo, ben 4 miliardi di euro l’anno e che negli ultimi 15 anni ha triplicato i propri visitatori da 2 a 6 milioni, con 50 mila posti di lavoro diretti”. Una ciliegina che, secondo le stime, porterà altri 450 mila visitatori l’anno. “Tutto ciò – aggiunge Carlo Pietrasanta – mentre da noi non si trova nemmeno la quadra per fare un nuovo regolamento comune”.

Il riferimento è all’an­nosa questione della vecchia legge sulle Strade del Vino del 1999, “che non ha mai contemplato la possibilità di fattu­rare visite, attività e mescita di vini in cantina, nonostante siano ormai diventate pratiche comuni e voci importanti di bilancio”.

E se Cantine Aperte spopola, con un numero di persone pari agli spettatori di 50 partite di Serie A, “noi – attacca Pietrasanta – ci sentiamo come una provinciale tra i giganti del calcio internazionale”. “Siamo in attesa, per esempio, di un testo unico sul vino – spiega il presidente del Mtv – che doveva essere presentato al Vinitaly 2015 e poi al Vinitaly 2016, dove è passata solo una bozza. E in cui, deo gratias, è inclusa una mini postilla che dovrebbe aprire almeno alle degustazioni in cantina. Ma tant’è – conclude Pietrasanta – la grandeur francese partorisce le montagne. Noi purtroppo nemmeno un topolino”.

LE CITÈ DU VIN DE BORDEAUX
L’idea di rendere l’area di Bordeaux un “magnete per l’enoturismo in Francia”, come ha spiegato Philippe Massol (nella foto), direttore della Fondazione per la Cultura e civiltà del vino francese, il giorno dell’inaugurazione de La Citè du Vin, “è nata osservando i visitatori arrivati a Bordeaux, interessati al vino ma senza un posto per soddisfare le loro aspettative”.

Un discorso iniziato nel 2008, germogliato nell’ambito della campagna elettorale locale, per un progetto condiviso da entrambi gli schieramenti politici, che poi hanno finito per opporsi.

Infine, Alain Juppé (LR) ha prevalso sul socialista Alain Rousset. Pochi anni prima, un tentativo meno ambizioso ristrutturazione di una cantina sul Quai des Chartrons non aveva sollevato particolare interesse. L’incontro tra Massol e Sylvie Cazes, poi eletto a sindaco di Bordeaux, co-proprietario del Château Lynch – Bages a Pauillac e creatore dell’agenzia di turismo del vino di Bordeaux Saveurs, servì a catalizzare le energie verso il risultato finale.

Il sostegno del sindaco di Bordeaux ha fatto il resto. Un progetto, Le cité du Vin, che si basa su altri illustri esempi di enoturismo virtuoso in Europa, come il Museo Vivanco della cultura del vino in Rioja, Spagna , e l’Hameau Duboeuf di Romanèche Thorins, nel Beaujolais, in grado di attirare quasi 100 mila visitatori all’anno.

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Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt 2009, Fattoria Il Palagio

(4,5 / 5) Figlio di Cambio e Perfetta, lo scultore e architetto Arnolfo di Cambio è senza dubbio una delle figure centrali dell’arte Medioevale.

A lui è dedicato l’omonimo Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della società agricola Fattoria Il Palagio, proprietà dei marchesi Tortoli Matteucci acquistata nel 1979 dalla nota famiglia del vino italiano Zonin, che la converte dall’indirizzo cerealicolo e olivicolo originale all’attuale viticolo e olivicolo.

Ci troviamo appunto in località Il Palagio a Castel San Gimignano, in provincia di Siena. Un vino con una storia da raccontare, insomma, questo Sangiovese in purezza che “scomoda” un nome altisonante della scuola cistercense. E un vino che, date le premesse, non delude affatto le attese. Anzi.

LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2009, quella finita sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, sorprende oltre le attese. Nel calice il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio si presenta di un rosso rubino tendente al granato. Scorre mediamente denso, colorando il vetro d’una tinta poco trasparente.

Al naso risulta di un balsamico intrigante. Tra le note di frutti rossi e quelle floreali di viola mammola si fa largo una speziatura decisa di liquirizia dolce, che domina la scena e mitiga sentori più duri, di cuoio. L’ossigenazione del prezioso nettare nel calice regala di lì a poco l’incedere, timido e delicato, del baccello di vaniglia.

Un lampo di femminile gentilezza, prima di un assaggio che risulta di primo acchito antitetico. In bocca, il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio entra – di fatto – piuttosto austero. Per aprirsi, poi, alle note fruttate (piccole bacche rosse) e speziate (liquirizia dolce), già avvertite al naso.

Il tannino, elegante e suadente, accompagna un sorso di facilità non comune tra vini di tale alcolicità (13,5%) ed evoluzione (vendemmia 2009, ricordiamolo). Così come non risulta comune quel rincorrersi, quasi giocoso, tra un’acidità ancora viva e una spiccata sapidità, figlie di uno dei territori italiani maggiormente vocati alla viticoltura. Intenso e fine anche una volta deglutito, l’Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della Fattoria Il Palagio è un vino di assoluto livello, da degustare anche in compagnia di un buon libro.

A tavola, l’abbinamento perfetto è quello con le portate “importanti” a base di carne, dalla selvaggina alle grigliate consistenti, pur non disdegnando i formaggi di media stagionatura. La temperatura di servizio? Tra i 16 e i 18 gradi, per apprezzarlo appieno, a sorsi pazienti e rispettosi.

LA VINIFICAZIONE
Il territorio da cui prende vita il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio è quello di Castel San Gimignano, Siena: più esattamente dal Poggio di Tollena. Il mosto di uve Sangiovese (in purezza) è ricavato da vendemmia manuale, che avviene nella prima decade del mese di ottobre.

Viene posto in fermentini verticali, dove ha luogo la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni, alla temperatura di 28 gradi. Successivamente avviene la fermentazione malolattica, il processo che consente la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino, dunque, viene posto in botti di rovere. Resta a maturare per i successivi 18 mesi.

Un ulteriore affinamento in bottiglia, per un periodo di circa 4 mesi, anticipa la commercializzazione. Fattoria Il Palagio, oggi proprietà di Gaetano Zonin, domina un tipico poggio toscano nella Val d’Elsa senese, nel comune di Colle di Val d’Elsa e per una piccola parte nel comune di San Gimignano. Le vigne, situate a un’altitudine di 350 metri sul livello del mare, hanno un’estensione di oltre cento ettari, di cui 95 coltivati a vite e 16 ad olivo.

Prezzo: 13,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Alghero Doc Le Arenarie 2014, Sella e Mosca

(4 / 5)Sauvignon alla “sarda”. Ecco cos’è, in estrema sintesi, l’Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca. E se a qualcuno suona strano, basti pensare che questa varietà autoctona francese è presente tra i vigneti sperimentali della casa vinicola sassarese da quasi vent’anni. Nel calice il vino si presenta di un giallo paglierino carico, quasi tendente al dorato, pur conservando riflessi verdolini. Leggermente velato. Al naso, se stappato alla corretta temperatura di servizio, si rivela intenso e continuo nelle percezioni tipiche del Sauvignon, dalla frutta fresca (pera, pesca) e tropicale (ananas) sino ai più complessi sentori minerali e vegetali. Ma è anche in grado di sorprendere, con richiami al cedro e alla macchia mediterranea che si rivelano in seguito a una moderata ossigenazione nel calice, disegnano distintamente rosmarino, peperone e foglia di pomodoro. Un naso elegante e ricco, che conduce la mente in un viaggio tra i paradisi marittimi della Sardegna. Merito dei richiami salmastri che ritroviamo anche al palato. In bocca, di fatto, acidità e sapidità sembrano sfidarsi ad armi pari in un confronto che – in definitiva – non vede né vincitori né vinti. Una beva resa “facile” da queste caratteristiche, ma tutt’altro che banale: ben rotonda e avvolgente. Le note vegetali di peperone dolce tornano a presentarsi prima di un finale leggermente astringente e “citrico”. Tutte caratteristiche che fanno dell’Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca il compagno perfetto per accompagnare piatti a base di pesce, molluschi e crostacei. A una temperatura ideale di servizio di 12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Il Sauvignon in purezza è una delle varietà previste per la produzione di vini appartenenti alla Doc Alghero. Le uve, raccolte nelle ore più fresche della giornata, vengono macerate a freddo nelle cantine Sella e Mosca per circa 12 ore, dopo una soffice pigiatura. Il mosto ottenuto da leggera spremitura con presse pneumatiche viene illimpidito per decantazione a freddo e la fermentazione a bassa temperatura controllata, che non supera mai i 15 gradi, dura oltre due settimane. L’Alghero Doc Le Arenarie Sella e Mosca fa parte della linea “Cuore Mediterraneo” della cantina della provincia di Sassari, parzialmente reperibile sugli scaffali della grande distribuzione organizzata italiana, dove la cantina è molto attiva.

Prezzo: 8,89 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Ristorante Navedano di Como, il paradiso gourmet di Clooney

Quel platano che da 120 anni cresce rigoglioso, affondando le radici nel suolo che un tempo ospitava un vecchio mulino, in fondo, racconta la vera storia dell’angolo di paradiso per palati chiamato Navedano. La veranda esterna gli si adatta attorno, a simboleggiare la cura e l’attenzione con cui la storica famiglia titolare accoglie, con naturale cordialità, gli ospiti. Cucina raffinata e carta dei vini che regala un memorabile Gewurztraminer: gli ingredienti di una serata perfetta e indimenticabile a Como, a pochi minuti d’auto dal frastuono milanese. Un ristorante di classe assoluta, con un “piatto” d’eccezione tra le righe del menu: quella capacità di farti sentire “a casa”, di entrare subito in perfetta sintonia con le sale raffinatamente curate, grazie all’eleganza e gentilezza dei titolari. Dal 1896 il Navedano è nelle mani della famiglia Casartelli. I coniugi Giuliano e Lella guidano con abilità e sapienza quello che è il primo (e forse unico) esempio in Italia di “ristorante-serra”. Una passione tramandata a Giuliano dal padre, Vittorio, che coniugata all’alta cucina regala agli ospiti di questo ristorante un’esperienza sensoriale a 360 gradi. Al Navedano il tempo si ferma, o quanto meno rallenta i battiti. Come in una Spa. Un “centro benessere” per palati alla ricerca di emozioni uniche, in un ambiente fine, disegnato e curato in ogni suo centimetro. In sala, la professionalità dei camerieri e della figlia sommelier di Giuliano e Lella, completa il quadro. Non a caso il Navedano è il ristorante preferito dall’attore americano George Clooney, che a Como – più esattamente a Lario – dimora nella splendida Villa Oleandra. Ed è così che ci si sente al Navedano: protagonisti di un film. O, quanto meno, di una fiaba.

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Oltrepò Pavese: un concorso nazionale del vino all’Enoteca di Cassino

La Lombardia si candida per la seconda volta in pochi mesi a diventare capitale del vino italiano. Dopo l’accordo tra Fiera Milano e Veronafiere per un’edizione “meneghina” di Vinitaly, Wine Discovery Milano, ecco la proposta di un concorso enologico nazionale dedicato ai vini. L’idea è di Patrizio Chiesa, segretario della della Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepò Pavese, realtà presieduta da Roberto Lechiancole. A Giulio Vecchio, agronomo ed enologo di fama nazionale, la regia dell’evento. La sede concorsuale sarà l’Enoteca Regionale di Cassino Po, presieduta da Luigi Paroni e gestita da Filippo Arsi. Il primo tavolo di discussione, svoltosi giovedì scorso alla presenza dell’assessore all’Agricoltura Gianni Fava, ha visto di comune accordo Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, nelle persone del presidente Michele Rossetti e del direttore Emanuele Bottiroli, e Distretto del Vino di Qualità, rappresentato da Luca Bellani e Aldo Dallavalle. Saranno presto coinvolte Ais, Fisar e Onav. L’idea è arrivare al lancio ufficiale quanto prima e alle premiazioni nella primavera 2017. Regione Lombardia ha espresso il suo favore rispetto all’iniziativa e la disponibilità a sostenerla con modalità da definirsi, anche coinvolgendo Ascovilo, l’associazione regionale dei consorzi di tutela vini.

“LA LOMBARDIA RIPARTE DAL VINO”
“L’idea – spiega Patrizio Chiesa – nasce dal fatto che in Oltrepò è attiva la prima enoteca dei vini lombardi e che al momento manca un concorso che possa dare lustro a storia, qualità e identità dei marchi vinicoli della nostra regione”. La scelta di Giulio Vecchio come coordinatore tecnico si basa sulla sua provata competenza e sulla necessità d’interloquire con il ministero, visto che che un concorso nazionale deve garantire il rispetto di regole ben precise, che garantiscano professionalità, terzietà, trasparenza in ogni fase del percorso e oggettività dei giudizi espressi. “Sarà un concorso che farà bene al territorio nel suo insieme – evidenzia il comitato promotore – una terra da valorizzare e far conoscere. Pensiamo cosa rappresentano oggi il Merano Wine Festival, la Mostra Nazionale Vini di Pramaggiore e la Douja d’Or per i rispettivi territori. Dobbiamo partire da qui e trasformare, con serietà e impegno, il nuovo concorso di Lombardia in una risorsa per l’economia locale e regionale”. Il progetto è proprio quello di rendere il nome del concorso, in fase di definizione, “un marchio per la Lombardia del vino” e “un fregio in termini di comunicazione e marketing, per le aziende vinicole che prenderanno parte alla sfida”.

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Cantine Aperte 2016: quasi un milione di persone per la festa del vino

Con quasi un milione di enoappassionati, il weekend di Cantine Aperte ha fatto il pieno di visitatori, conquistando un grande successo di pubblico e di ‘social addicted’. La kermesse promossa dal Movimento Turismo Vino, che si è chiusa oggi in tutta Italia, si conferma infatti la più amata dai wine lover, desiderosi di enocultura a diretto contatto con i vignaioli e i territori vitivinicoli, ma anche tra i temi social più di tendenza, con #CantineAperte2016 secondo trending topic su Twitter nella mattinata e nel primo pomeriggio di oggi. Per Carlo Pietrasanta, presidente del Movimento Turismo Vino: “La domenica piovosa al Centro-Nord – commenta – non ha limitato più di tanto la voglia di campagna delle famiglie italiane e soprattutto dei giovani, che attraverso il vino mostrano sempre più un inedito interesse verso l’agricoltura anche come sbocco professionale. Cantine Aperte ha dimostrato oggi più che mai il valore aggiunto dei propri territori vinicoli e dei suoi paesaggi, un valore che abbiamo abbinato a iniziative solidali e dei cui risultati daremo evidenza nei prossimi giorni”. Tra degustazioni, abbinamenti cibo-vino, trekking tra le vigne e proposte all’insegna di arte, musica e sport, Cantine Aperte è stata infatti un’occasione per sostenere la ricerca sul cancro, grazie all’iniziativa ‘Un bicchiere per la ricerca’ con Airc, messa in campo da alcune delle principali regioni italiane e a cui ha aderito pure Andrea Pirlo.

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Francia, grandine devasta vigneti di Chablis: “Annata maledetta”

“Diluvio e grandine sul vigneto di Chablis questo pomeriggio a Prehy e Courgis. Non c’è più niente. Il 2016 è un anno maledetto per i viticoltori!”. E’ lapidario il commento di un viticoltore francese in seguito alla violenta tempesta che ha travolto la zona di Auxerre, in Borgogna, venerdì 27 maggio. Uno sfogo, quello del vignaiolo, affidato al social network Facebook. Con tanto di fotografie a documentare lo strazio. La grandine è scesa sui vigneti a sud di Chablis, intorno Préhy, piccolo villaggio di 150 anime situato nel dipartimento della Yonne. Ghiaccio e pioggia torrenziale si sono lasciate alle spalle uno scenario apocalittico, prima di dirigersi verso Tonnerre. Quella del 2016 è un’annata tormentata per la viticoltura europea. Sul finire del mese di aprile erano stati i viticoltori svizzeri a lanciare l’allarme meteo. Subito seguiti da quelli italiani, come evidenziato dalla stessa Coldiretti.

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vinialsupermercato.it a Radio Deejay

Ci hanno scritto in tanti dopo la diretta radio del 25 maggio a Tropical Pizza, uno dei programmi di punta di Radio Deejay, condotto da Fabrizio Lavoro, in arte Nikki, con Fosca Donati e Aldino di Chiano dj Aladyn.

Questa è l’occasione per ringraziarvi tutti! E a grande richiesta pubblichiamo di seguito il link ai vini citati durante l’intervista: il vino rosso Villa Antinori Toscana Igt, in vendita nei supermercati Esselunga, lo spumante Franciacorta Brut Brolo dei Cavalieri e il vino bianco Soave Doc Classico “Terre del Vulcano” in vendita da Lidl. Nikki ci ha chiesto di citare alcuni vini “strepitosi” nel rapporto qualità-prezzo.

Una domanda a bruciapelo, alla quale abbiamo risposto volentieri. Ovviamente avremmo potuto citare molti altri esempi. Per scoprire tutte le “chicche” in vendita al supermercato, dunque, non vi resta che seguirci! Per chi si fosse perso l’intervista, ecco qui il podcast.

Qui invece l’intervista di noi di vinialsupermercato.it a Francesco Quarna, caporedattore e social manager di Radio Deejay, nonché grande appassionato di quel meraviglioso vitigno chiamato Nebbiolo.

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Crai, Tavernello a 12 euro nel centro storico di Firenze. E il Chianti? In frigorifero. A 15 euro

Paghereste un Tavernello 12,76 euro? E un Corvo Bianco di Salaparuta 21,98 euro? Niente paura. Si può spendere anche un po’ meno: 15 euro per un Chianti bello “freddo”, li investireste? Domande retoriche per molti italiani. E forse è proprio questo il motivo per il quale, in una grande città del Belpaese, patria della cultura e dell’arte, sempre affollata da centinaia di migliaia di turisti provenienti da ogni angolo del mondo, troviamo questi prezzi in un supermercato Crai. Non è uno scherzo. Piuttosto una delle facce peggiori della Gdo. Quella che si approfitta dell’ignaro turista. E fa cassa, con margini sbalorditivi su prodotti che, in altri supermercati della stessa città, costerebbero (almeno) tre volte meno. Siamo a Firenze. E il negozio di alimentari della catena di Desenzano del Garda (Bs) è quello di Piazza San Lorenzo. Pieno centro storico fiorentino.

All’ombra dell’omonima Basilica, dietro alla quale si staglia la forma della cupola della Cappella dei Principi, si assiste a un fenomeno “paranormale”. La lievitazione dei prezzi dei vini. Roba che manco il Mago Casanova di Striscia la Notizia riuscirebbe a replicare. D’accordo: non stiamo parlando del Tavernello classico, quello in brik. Ma 12,76 euro per il blend varietale Syrah Cabernet sembrano davvero tanti. Così come tanti ci appaiono i 21,98 euro del Corvo Bianco di Salaparuta, un Igt Terre Siciliane che in altre catene di supermercati troviamo a 6-7 euro. Normale, così, constatare che lo Schioppettino Colli di Poianis arrivi a costare 37,70 euro. Ma ancora più curiosa è la scelta di mettere in frigorifero il Chianti. E non a 16 gradi, come consigliava nel 2013 lo stesso Consorzio Vino Chianti che, a Roma, presentava il progetto “Chianti fresco: gustalo a 16 gradi”, in collaborazione con Co.Vi.Ro., l’Arte dei Vinattieri e l’Accademia della Cultura Gastronomica. Scelte che lasciano perplessi, in una città che nel mondo rappresenta l’arte di fare vino in Italia. E in una catena che, come Crai, pubblicizza “etica” e “attenzione ai prodotti tipici locali”, come propria “bandiera”.

La replica di Crai, attraverso l’Ufficio stampa, non ha tardato ad arrivare. “Ci teniamo innanzitutto a ringraziare per la segnalazione – ci scrivono dalla sede di Segrate (MI) -. Purtroppo il titolare di questo negozio non si è attenuto e non  ha seguito le indicazioni che diamo in merito alla politica commerciale e di pricing. Va considerato che abbiamo più di 2200 negozi e oltre 1000 imprenditori che seguono in modo coerente e allineato tutte le indicazioni che, come centrale Crai prima, e poi come Cedi responsabile del territorio di competenza, diamo per la gestione dei prodotti.  La vostra segnalazione ci aiuta a intervenire tempestivamente”.

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Francesco Quarna, il “Nebbiolo addicted” di Radio Deejay

E alla fine t’accorgi che ha ragione lui. Il “primitivista”, “montagnard” e “nebbiolista”, come ama definirsi su Twitter, Francesco Quarna. T’accorgi che – parafrasando Andreotti – il vino annoia, chi (la passione) non ce l’ha. Ma noi sì. Eccome. Ed è per questo che incontriamo negli studi di Radio Deejay, in via Massena 2 a Milano, un nostro follower d’eccezione: il web content manager Francesco Quarna, per l’appunto.

Fatecela tirare un po’, adesso, da dietro la tastiera, mentre stendiamo il testo di quest’intervista. Perché al Deejay Building le gambe tremavano, di quel tremore tipico di chi ha la fortuna di entrare a piè pari in un sogno. Radio Deejay è da una vita la nostra radio di riferimento.

E toccarla con mano non è “roba” da poco. Francesco ci accoglie con un bel tour dell’edificio. Per lui abbiamo incartato a dovere una bottiglia di Grumello Valtellina Superiore Docg Mamete Prevostini. Un 100% Nebbiolo, con cui contiamo di fare centro con Quarna, grande amante del Nebbiolo in purezza.

Francesco, per i più sbadati: qualcosa su di te Nella mia vita ho sempre fatto solo radio, prima come fonico, poi come deejay, poi nell’ufficio Musica.

Sono a Radio Deejay dal 2003, dove oggi ricopro il ruolo di caporedattore e social manager, oltre a seguire la parte di programmazione musicale di “Tropical Pizza”.

Ho una compagna di lungo corso e una bimba di 4 anni, che si chiama Giuditta. Loro sono la mia prima passione. Poi vengono musica, vino e montagna.

Da buon piemontese, allora, non ti manca nulla “sotto casa” Esattamente. Sono originario di un paese che si chiama Ghemme. E la mia famiglia è proprio originaria del Piemonte, tra Vercelli e Novara. Sono cresciuto lì, con un forte legame alla terra. I miei nonni hanno sempre avuto dei piccoli appezzamenti di terra, coltivati a vite. Si sono sempre fatti il vino da soli, per uso e consumo personale.

Esser cresciuto in una zona che ha vissuto e sta vivendo un revival enologico, mi gasa molto! Ci sono un sacco di produttori giovani, che stanno innalzando il livello del vino dell’Alto Piemonte, conosciuto altrimenti soprattutto per le Langhe.

Da amante di Cesare Pavese, vivo quotidianamente questa dicotomia tra città e paese: trascorro cinque giorni a settimana a Radio Deejay e, negli altri due, avverto il bisogno di tornare a casa, tra le vigne, a fare danni! Ho proprio bisogno di respirare, di vedere orizzonti. Se non vedo il Monte Rosa almeno una volta a settimana mi manca proprio l’aria, il fiato…

Dal paesello della provincia piemontese alla metropoli milanese: uno shock? La città è una figata e la radio è un mondo meraviglioso, che mi ha dato da vivere e regalato un sacco di soddisfazioni. Però, diciamo che le radici affondano nei suoli fluvioglaciali di Ghemme, piuttosto che nell’asfalto cittadino.

Ti definisci “primitivista”, “montagnard” e “nebbiolista”: qual è il fil rouge? “Primitivista” per il mio legame fortissimo con la natura, nel solco tracciato da filosofi e poeti come Ralph Waldo Emerson, che si sono esplicati poi in opere come “Walden ovvero vita nei boschi” di Henry David Thoreau. Tutti temi ripresi poi da Mario Soldati nel Novecento: natura, contemplazione.

Di lì il passo è breve verso l’altra definizione, “montagnard”: amo andare in montagna, sono un alpinista di serie b! “Nebbiolista” perché sono cresciuto bevendo Nebbiolo: secondo me, e non solo secondo me, è il vino più elegante del mondo, oltre ad avere un modo eccezionale di leggere il terreno e di trasferire nel bicchiere quello che c’è nella terra. Il richiamo del suolo, insomma, è sempre presente dentro me. E’ questo il filo conduttore.

E se non fossi nato in Piemonte? Beh, certamente mi sarebbe piaciuto nascere in Borgogna! Ma so di poter risultare prevedibile con questa risposta, quindi aggiungo anche Nuova Zelanda, dove fanno dei Sauvignon incredibili.
Che fai? Tradisci il Nebbiolo? E’ un altro tipo di vino, ma bevo anche i bianchi. Mi piacciono quelli molto minerali, il Riesling in particolare. Da buon piemontese aggiungo l’Erbaluce. Vini comunque scarichi di colore, freschi, modello Reno, dove senti tanto la nota minerale, la pietra focaia.

Ma il vino di tutti i giorni qual è? Un vino fatto “in casa”, blend tra vari autoctoni piemontesi come Nebbiolo, Uva Rara e Vespolina. Se devo invece scegliere un vino per il sabato sera o nelle occasioni, si tratta sicuramente di Nebbioli da invecchiamento: Ghemme, Gattinara, Carema, Valtellina, Nebbioli delle Langhe. Tutti vinificati in botte grande, evoluti, dagli 8 anni in su. Quest’anno sto bevendo il 2007-2008. L’ultimo vino aperto è un Barbaresco 2009, pensando fosse pronto vista l’annata calda. Invece probabilmente un paio d’anni ancora in bottiglia gli avrebbero fatto bene. In ogni caso bevo sempre in compagnia.

Quale vino regali, invece? Di solito cerco di fare da ambasciatore della mia terra, cambiando di volta in volta produttore. Quindi regalo dei Ghemme, dei Gattinara, dei Lessona, dei Bramaterra. Mi è capitato una volta di regalare un ottimo Barolo e di sentirmi dire che faceva schifo: la persona a cui lo avevo donato non era un intenditore e lo ha stappato ad agosto. Accompagnandolo con un piatto di pasta! In generale, il vino ce l’ho sempre con me. Se mi capita di fare dei viaggi in treno porto spesso una bottiglia delle mie parti, per fargli respirare un’aria diversa. Perché il vino cambia in base a dove si trova. Ricordo ancora il Boca bevuto sull’Alpe Sattal, un rifugio a oltre 2 mila metri situato nella zona di Alagna Valsesia, gestito dal mio amico Jo. Aveva tutto un altro sapore rispetto a quello a cui siamo abituati giù in paese.

Acquisti vini al supermercato? Sì, certo. Ma se acquisto, la condizione essenziale è che siano vini imbottigliati all’origine. Cerco sempre questa formula: “all’origine”. Altrimenti non acquisto. Mi dà sicurezza questa dicitura, forse perché mi dà l’idea che ci sia un coinvolgimento maggiore da parte del produttore – viticoltore. Altro criterio di acquisto sono le offerte: ma cerco di non scendere mai sotto la soglia dei 5 euro, a meno che non si tratti di un’offerta al 50%. D’altro canto non supero mai 15 euro a bottiglia. E cerco di stare local. Apprezzo infatti molto le catene che hanno una selezione di vini locali dichiarata, come Tigros e Carrefour, per fare due esempi.

Qual è la catena della Gdo che più ti soddisfa? Sicuramente Coop, che in alcuni punti vendita ha addirittura una cantinetta dedicata ai vini del posto, separati dal resto dell’enoteca del supermercato. Ma mi trovo bene anche con Esselunga, che ha un bell’assortimento.

Che cos’è per te il vino? Il vino è un veicolo emozionale, molto efficace, un po’ come la musica. Ha una capacità incredibile di raccontare una storia attraverso i sensi. Il vino è cultura, ha un qualcosa da dire. E’ complesso da realizzare: può vantare una componente di terreno, clima e uomo che nessun’altra cosa ha. E in più riesce a far leva sui sensi, colpendoti dritto alla pancia, al cervello. Il vino, se è buono, te lo ricordi. Ha una potenza evocativa forte. E’ un’emozione. Un’esperienza multisensoriale.

Tornando alla tua terra d’origine: cosa manca all’Alto Piemonte? Quali invece i punti di forza? Secondo me il punto debole è la difficoltà nel fare sistema. Non c’è massa critica. Ci sono troppe Doc piccole che confondono il consumatore, spesso figlie di campanilismi incredibili. Fosse per me, in zona esisterebbero solo tre Docg: Ghemme, Gattinara, Boca.
Il resto, con buona pace dei miei amici produttori di Sizzano, Fara, Bramaterra, Coste della Sesia, Colline Novaresi… Farei un conto unico, creando una Doc “Alto Piemonte”. Punto di forza dell’enogastronomia piemontese potrebbe poi essere il connubio riso-vino. Abbiamo picchi di qualità ed eleganza che non hanno eguali in Italia nel vino.
E il riso cresce praticamente solo lì in Italia, con la Dop della Baraggia Biellese e Vercellese. Si potrebbe partire da questo punto di forza per costruire attorno il resto. E dal canto mio, con gli amici Mauro e Marco, ho di recente fondato un sito, altropiemonte.it, che parla proprio di questa zona straordinaria ma ancora poco conosciuta, pur essendo distante pochi chilometri da Milano, da Malpensa e da Torino.
Il rapporto di Milano con il vino? C’è ancora molto da fare. E’ una piazza che, secondo me, andrebbe ancora evangelizzata. Si parla un po’ troppo per sentito dire. Non si fa cultura. Va tutto ad ondate, in base alla moda del momento: Morellino, Nero D’Avola, ora Prosecco. Ma il primo passo dovrebbe essere quello di calmierare i prezzi.
Non è possibile trovare calici di modesti Dolcetto a 6,50 euro al calice. Le liste dei vini, del resto, sono troppo omologate tra loro. Secondo me si dovrebbe bere più local: puntare sull’Oltrepò Pavese, oppure sull’altra Doc, quella vera e propria milanese, che è la San Colombano. La ‘Milano da Bere’, beve. Ma non bene. A Torino si beve decisamente meglio.
E a Radio Deejay, chi beve oltre a Francesco Quarna? Dj Aladyn e Nikki, i due colleghi con cui condivido “Tropical Pizza”. Nikki è uno da barrique e litighiamo sempre su questa cosa. A lui piacciono i vini belli ‘tostati’, californiani, quelle cose lì. Chi beve peggio? Meglio non dirlo!
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Vini al supermercato

Sant’Antimo Doc Focaia 2012, Società agricola Centolani

(5 / 5) Tra le tante Doc e Docg della Toscana, una certa Gdo (quella che lavora bene) non dimentica la Denominazione di origine controllata Sant’Antimo: praticamente sconosciuta tra i clienti dei supermercati e (ammettiamolo) poco nota anche tra i professionisti del settore.

Parliamo di Ipercoop, che nei suoi ipermercati offre a poco più di 7 euro una vera e propria “chicca”: il Sant’Antimo Doc Focaia della Società agricola Centolani Srl di Montalcino, Siena.

Una di quelle bottiglie, insomma, che danno la “cifra” del lavoro di un buyer vini della grande distribuzione. Plausi (doverosi) a parte, veniamo al dunque.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Sant’Antimo Doc Focaia Centolani, vendemmia 2012, si presenta d’un rosso porpora, con sfumature e unghia violacea. Poco trasparente, scorrevole, si rivela complesso al naso. I sentori fruttati (frutti rossi) e floreali (viola) lasciano spazio a un’evoluzione vegetale che ricorda il rosmarino.

Non mancano le note boisé. E una speziatura che tende al cuoio, alla liquirizia e al tabacco dolce, delicato. Un naso ricco di emozioni, pronto a evolversi nel calice, tra un sorso e l’altro. Grandi, dunque, le attese nell’assaggio. Che non delude. Al palato, Focaia Sant’Antimo Doc Centolani premia le attese con un tannino suadente, una beva calda e fine, in cui le note fruttate rincorrono quelle speziate. Ma a colpire è l’ottima sapidità, che impreziosisce un quadro già praticamente perfetto.

E il retrogusto non è da meno, con la sua leggera vena amarognola in chiusura. Persistente il retro olfattivo, per una vendemmia – la 2012 – che è pronta a regalare le stesse emozioni ancora per qualche anno. Un vino, in definitiva, che si abbina a piatti di carne mediamente elaborati, come arrosti e cacciagione, a una temperatura di servizio di 18 gradi. Il rapporto qualità prezzo resta comunque il piatto forte di questa bottiglia.

LA VINIFICAZIONE
Il Sant’Antimo Doc della Società Agricola Centolani Srl è ottenuto dalla vinificazione di uve Cabernet Sauvignon (40%), Merlot (40%), Syrah (10%) e Petit Verdot (10%), prodotte sul versante sud ovest di Montalcino. I terreni sono di tipo galestroso e lievemente argilloso. I vigneti sono esposti al sole a un’altezza di 400 metri sul livello del mare. La vendemmia avviene nel corso della prima decade del mese di ottobre.

Le uve vengono diraspate e pigiate in maniera soffice, con successiva macerazione in acciaio Inox, per 20 giorni. In questo periodo sono frequenti i rimontaggi e le follature. Durante questa fase si completa la fermentazione alcolica, a una temperatura variabile tra i 28 e i 30 gradi. Il vino, dunque, riposa per 6 mesi in barrique francesi da 225 litri. L’affinamento prosegue per i successivi 4 mesi in botti grandi di rovere di Slavonia da 50 ettolitri. Infine, altri 6 mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio.

La Società agricola Centolani Srl risponde alla famiglia Peluso Centolani, proprietaria dell’omonima azienda che comprende, a Montalcino, due grandi realtà produttive: la Tenuta Friggiali, dove ha sede anche la cantina e il centro amministrativo, e la Tenuta Pietranera, per un totale di 200 ettari circa, tra vigneti, oliveti, seminativo e bosco.

Prezzo pieno: 7,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop

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Concours Mondial de Bruxelles 2016: i vini italiani premiati

Sono stati resi noti da qualche ora i risultati del Concours Mondial de Bruxelles 2016. “Ancora una volta – evidenziano gli organizzatori in una nota – il Concorso s’impone come rivelatore delle ultime tendenze e mutazioni del pianeta vitivinicolo di cui fornisce una panoramica istantanea e annualmente aggiornata”. Quest’anno il concorso ha fatto tappa a Plovdiv, in Bulgaria. Oltre 8.750 i vini che hanno partecipato alla selezione, provenienti da 51 Paesi. A giudicarli, una selezione dei migliori degustatori del mondo intero. Sommelier, buyer, importatori, giornalisti ed esperti di vino: in tutto 320 differenti personalità dell’enologia, di 54 nazionalità, che si sono riuniti per tre giorni per valutare l’insieme dei campioni presentati. “La diversità sia dei prodotti che dei profili dei degustatori – evidenziano gli organizzatori del Concorso mondiale di Bruxelles – rappresenta proprio la peculiarità di questa competizione, che nell’arco di pochi anni è riuscita a diventare un vero ‘campionato del mondo’ della degustazione di vini”. Allo scopo di aiutare il consumatore nelle future scelte di acquisto, sono state attribuite tre tipi di medaglie: Gran Oro, Oro e Argento. Clicca QUI per consultare l’elenco dei vini italiani premiati, in ordine alfabetico. Oltre alle medaglie, il Concours Mondial de Bruxelles conferisce anche premi speciali ai vini che hanno ottenuto il miglior punteggio nella loro categoria. Eccoli di seguito.

Rivelazione per tipologia di vino
Gran Medaglia d’Oro – Rivelazione Bianco 2016:
Aquilae Grillo Bio, Italia, Terre Siciliane IGP, CVA Canicattì
Gran Medaglia d’Oro – Rivelazione Spumante 2016:
Champagne Diogène Tissier et Fils Cuvée N°17, FranciaChampagne, SARL Diogène Tissier et Fils
Gran Medaglia d’Oro – Rivelazione Rosé 2016:
Turasan Blush Rosé, Turchia, Turasan Bagcilik ve Sarapçilik LTD. STI.
Gran Medaglia d’Oro – Rivelazione Rosso 2016:
Podere Brizio Riserva, Italia, Brunello di Montalcino DOCG, Podere Brizio
Gran Medaglia d’Oro – Rivelazione Vino Dolce 2016:
Domaine du Mont d’Or Sous l’Escalier, Svizzera, Petite Arvine du Valais, SA Domaine du Mont d’Or
Rivelazione della Giuria
Cava Adernats Brut, Spagna, Cava Reserva, Vinícola de Nulles SCCL
Tamarí Dos Mundos, Argentina, Finca La Celia S.A.
Bouza Tannat B2 Parcela Única, Uruguay, Bouza Bodega Boutique Chacras del Sur SA
Clos Malverne Auret, Sud Africa, Clos Malverne Wine Est.
Virgo Portogallo, Alentejo branco, Soc. Agríc. da Herdade da Torre do frade
Viña Puebla Madre del Agua, Spagna, Ribera del Guadiana, Bodegas Toribio
Vecchie annate eccezionali
Kopke Porto Colheita 1984, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
Kopke Porto Colheita 1978, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
Barros Porto Colheita 1974, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
Kopke Porto Colheita 1941, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
Cálem Porto Colheita 1961, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
Kopke Porto Colheita 1966, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
Kopke Porto Colheita 1957, Portogallo, Porto Colheita, Sogevinus – Fine Wines
D’Oliveiras Madeira Wines 1973, Portogallo, Madeira, Pereira d’Oliveira (Vinhos) LDA
D’Oliveiras Madeira Wines 1981, Portogallo, Madeira, Pereira d’Oliveira (Vinhos) LDA
Vintage 1981 Terrassous, Francia, Rivesaltes, SCV Les Vignobles de Constance et du Terrassous
La 24a edizione del Concours Mondial de Bruxelles si svolgerà a maggio 2017 nella città di Valladolid, in Spagna. Un’occasione unica di scoprire la diversità dei vini della regione di Castiglia e León.
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Vini al supermercato

Falanghina del Molise Doc 2015, Di Majo Norante

“Confezionare a prezzi naturalmente competitivi vini che rispondono perfettamente alla complessità del gusto contemporaneo”. Se questo è l’obiettivo annunciato, non si può dire che la Di Majo Norante non lo abbia centrato in pieno. Anche nella linea di vini proposti alla Gdo. Sotto la nostra lente di ingrandimento finisce oggi la Falanghina del Molise Doc 2015 Di Majo Norante. Un prodotto che definire per l’ottimo rapporto qualità prezzo sarebbe riduttivo. Nel calice si presenta di un giallo paglierino dorato con riflessi verdolini. Al naso, oltre a delicate note floreali di fresca ginestra, regala abbondanti folate di pesca e fragola. Spazio anche alla frutta tropicale, ben rappresentata da ananas, banana e lime. In bocca, oltre a una fresca acidità, colpisce per la sapidità ben calibrata con le note fruttate già descritte al naso, con predominanza – in questo caso – della banana. Sontuoso il finale, tra l’amarognolo e l’acidulo, capace di rievocare il melograno. Non manca una spruzzata speziata, riconducibile al pepe bianco. Bottiglia dall’alcolicità calda ma non fastidiosa, si presta a un ulteriore evoluzione in bottiglia nell’arco dei prossimi 2-3 anni. La Falanghina del Molise Di Majo Norante è un vino da consumare a tutto pasto, a partire dagli antipasti. Sposa alla perfezione anche piatti a base di crostacei, oltre a primi e secondi a base di pesce. Temperatura di servizio: 10-12 gradi centigradi.

LA VINIFICAZIONE
La zona di produzione di questa Falanghina è chiaramente quella del Molise, terra che Di Majo Norante ha contribuito a far conoscere in Italia e nel mondo. Siamo a nord del Gargano, sul territorio del Comune di Campomarino, in provincia di Campobasso. Più esattamente in contrada Ramitello, a un’altitudine di 100 metri sul livello del mare. Terreni argillosi e in parte sabbiosi, dove le viti di 15 anni di età media sono allevate a spalliera, con una densità di 4.400 piante per ettaro. La superficie totale destinata alla Falanghina è di 12 ettari, con una produzione che varia tra gli 80 e i 120 quintali per ettaro. La vendemmia avviene nel mese di ottobre. La vinificazione prevede la macerazione a contatto con le bucce, per 24-36 ore. Segue la fermentazione in vasche d’acciaio, a una temperatura di 16-18 gradi. E’ prevista anche la fermentazione malolattica. Della Falanghina del Molise Di Majo Norante vengono prodotte circa 20 mila bottiglie annue. Alessio Di Majo ama definirsi “vignaiolo testardo e controcorrente”, che “ha sacrificato produttività e omologazione del gusto al perseguimento costante della qualità e della tipicità, nella convinzione che i vitigni meridionali siano più adatti alle condizioni pedoclimatiche del Contado del Molise”.

Prezzo pieno: 8,90
Acquistato presso: Iper la grande I (Finiper)

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Puglia, Cantine Aperte 2016 con il bus del Movimento Turismo del Vino

Saranno 55 le aziende vitivinicole che apriranno le porte della Puglia agli enoappassionati per mostrare quello che c’è dietro ogni calice di vino, con ricchi programmi di iniziative culturali, musicali, eventi e attività ad accompagnare le degustazioni dei vini di produzione. Tutto il territorio sarà protagonista attraverso i suoi vignaioli: veri e propri “professionisti dell’accoglienza in cantina” che, con passione e costante impegno, disegnano il volto dell’enologia pugliese. L’appuntamento con Cantine Aperte 2016 in Puglia è per il 29 maggio. E la vera novità sono i bus che consentiranno di raggiungere comodamente le cantine. Un’opportunità offerta dal Movimento del Turismo del Vino, nell’ambito del progetto Top Wine Destination. Cantine Aperte diventa così il wine day per eccellenza, da godere in uno dei dieci itinerari in partenza da Foggia, Trani, Bari, Ostuni, Brindisi, Taranto, Lecce. Ciascun itinerario prevede la visita a quattro cantine con light lunch, accompagnati da un sommelier dell’Ais Puglia. Per tutti i dettagli sugli itinerari e l’acquisto del wine day basta consultare il sito puglia.topwinedestination.com.

LE APP INFORMATIVE
Cantine Aperte 2016 in Puglia sarà anche l’occasione per divulgare, formare e informare sui vini regionali, con l’iniziativa #salvalagoccia, veicolata dal dropstop che i visitatori riceveranno in omaggio all’acquisto del calice, al costo di 5 euro. Al motto “Non una goccia di vino deve andare persa!”, tutti i winelovers potranno accedere alle app Ampelopuglia e Top Wine Destination attraverso gli indirizzi web e i QR code riportati sul flyer informativo che accompagna il simpatico e utile gadget. Le due app sono state pensate per fornire ai visitatori tutte le informazioni sui vini di Puglia e sulle opportunità di enoturismo nella regione. Ampelopuglia offre dettagli sulle denominazioni di origine, i territori e i principali vitigni autoctoni che definiscono la tipicità esclusiva dei vini di Puglia. Top Wine Destination illustra invece le opportunità di enoturismo e di turismo rurale offerte dal Movimento Turismo del Vino Puglia nelle cantine socie e nei più bei territori vitivinicoli, per scoprire la Puglia del vino 12 mesi all’anno. La festa del vino non sarebbe tale senza le centinaia di etichette in degustazione, dalle annate storiche e ultimissime novità sul mercato, con verticali, laboratori e minicorsi di degustazione guidati da enologi e sommelier. E per passare una giornata di svago, oltre che di apprendimento, in ogni cantina tante iniziative ricreative, giochi, spettacoli di musica e connubi vino/arte aspettano i visitatori. I winelovers potranno scegliere di raggiungere le cantine anche autonomamente. Per esempio in bici, unendosi all’iniziativa delle associazioni Fiab Ruotalibera Bari e Cicloamici Brindisi/Mesagne e Lecce.

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Wine Discovery Milano: dal 2017 un “Vinitaly Verona Bis” in Lombardia

Un “patto di non concorrenza”, che prevede la realizzazione di un evento denominato “Wine Discovery”, gestito da Veronafiere. A Milano. Fiera Milano e l’ente autonomo veronese provano così a rispondere “all’esigenza di creare sinergie di filiera nell’interesse degli operatori del settore agroalimentare”. “Wine Discovery” Milano 2017 sarà dunque curata dalla Vinitaly International Academy. Ma in trasferta nel capoluogo lombardo. Coinvolgerà la produzione italiana e internazionale, esperti del mondo vitivinicolo e sommelier “in eventi di promozione e formazione professionale rivolti agli operatori”. “Grazie a questo accordo – spiega Corrado Peraboni, amministratore delegato di Fiera Milano – le due società fieristiche mettono a fattore comune la propria esperienza superando logiche di parte per creare un’offerta in linea con le attese di un mercato maturo e sempre più orientato all’internazionalizzazione”. Per Peraboni “è il riconoscimento che Milano fa del ruolo di Verona nel settore del vino: Vinitaly è una eccellenza del made in Italy, che è compito di tutti tutelare”. Sant’Ambrogio benedice San Zeno, insomma. E il matrimonio fa contenti un po’ tutti, in un periodo in cui tante aziende del settore cominciano a guardare con sempre maggiore interesse gli eventi fieristici esteri (vedi Prowein), snobbando Vinitaly.

“Questa nuova partnership strategica tra Verona e Milano – commenta Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – rappresenta un esempio per l’intero sistema nazionale delle fiere. Come auspicato dal settore agroalimentare si mettono da parte i localismi, con l’obiettivo di unire le forze e sostenere insieme un comparto che, nel 2015, ha raggiunto un export di 36,8 miliardi di euro, in crescita del 7,4% sull’anno precedente”. In un mercato fieristico sempre più competitivo e internazionale, Veronafiere e Fiera Milano scelgono “di ottimizzare le risorse, creando sinergie di filiera tra le manifestazioni per lo sviluppo del business di espositori e operatori”. “L’accordo – continua Mantovani – finalmente attua in concreto quel percorso di razionalizzazione voluto dall’ex viceministro del Mise Carlo Calenda e portato avanti dal suo successore, Ivan Scalfarotto e dal Ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina. La collaborazione con Fiera Milano ci permette di capitalizzare ulteriormente il know how vitivinicolo, forte del successo della 50ª edizione di Vinitaly e del padiglione Vino – A Taste of Italy a Expo 2015″. Veronafiere e Fiera Milano hanno anche stabilito di valutare, entro un mese dalla edizione congiunta 2017 di SaMoTer e Transpotec Logitec (Verona, 22-25 febbraio), la realizzabilità di un piano industriale per lo svolgimento in contemporaneità delle due rassegne anche nelle edizioni successive.

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