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Caso Scotti: l’Unione nazionale Consumatori vigila su Caduta Libera

“In linea generale la pubblicità non deve mai essere occulta e camuffata. Il Codice del Consumo, all’articolo 22, prescrive di indicare sempre l’intento commerciale di una pratica. Qualunque trasgressione può essere segnalata all’Antitrust per le opportune valutazioni”.

E’ quanto afferma l’Unione Nazionale Consumatori in merito al caso Caduta Libera, il programma di Canale 5 condotto da Gerry Scotti. Il conduttore, come denunciato da vinialsuper, avrebbe più volte fatto riferimento alla propria linea di vini della Doc Oltrepò Pavese, in vendita dal mese di maggio in diverse catene di supermercati.

LENTE D’INGRANDIMENTO
Secondo indiscrezioni, l’organismo che vigila sulla tutela dei diritti dei consumatori in Italia avrebbe inviato agli uffici competenti la documentazione sul caso Scotti. L’obiettivo sarebbe quello di stabilire se ci si trovi di fronte a semplici coincidenze o a violazioni di legge.

Per la seconda ipotesi non basterebbero sospetti. Servirebbero piuttosto precisi indizi. Sufficienti, dal punto di vista legale, per provare eventuali illeciti. Su Caduta Libera avrebbe puntato gli occhi anche l’Antitrust, che tuttavia “non rilascia commenti su casi specifici”. Almeno in questa fase.

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Squinzano Dop Rosso Riserva 2013, Corte Aurelio

(3,5 / 5) Un vino a due marce, da aspettare nel calice per comprenderlo fino in fondo. E’ lo Squinzano Dop Rosso Riserva “Corte Aurelio”, marchio Lidl. Una Denominazione raramente riscontrabile sugli scaffali dei supermercati, fuori dai confini della Puglia. Coraggiosa la catena tedesca della grande distribuzione a proporlo nei propri store, al prezzo (sconcertante, per certi versi) di 2,99 euro.

Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, la vendemmia 2013. Nel calice, lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio si presenta di un colore rosso rubino impenetrabile. Una bella tinta, tipica dell’uvaggio Negroamaro. La prima impressione all’olfatto non è invece delle migliori. Si limita, di fatto, al calore dell’alcolicità: la percezione, monocorde e poco definita, è quella dei frutti rossi sotto spirito. Troppo presto, però, per catalogare lo Squinzano di Lidl tra i vini al supermercato meno lodevoli.

Pian piano, di fatto, l’ossigenazione fa il suo lavoro sul nettare. Ecco che le note fruttate cominciano a prendere forme note: domina la scena la ciliegia, accanto a ribes, lamponi e more selvatiche. Netto lo spunto vegetale tipico della macchia mediterranea: salvia, rosmarino, ginepro. Poi, zafferano e pepe nero a folate.

In bocca la complessità non è certo pari a quella espressa al naso. Lo Squinzano Dop Rosso Riserva Corte Aurelio di Lidl si conferma vino di alcolicità sostenuta. Nonostante ciò, un nettare connotato da una grande semplicità di beva.

Alle note fruttate di ciliegia e lampone risponde un tannino vivo ma tutt’altro che “verde”, cui fa eco una bilanciata sapidità. Sufficiente la persistenza. In cucina, ottimo l’abbinamento di questo Squinzano Dop con le carni rosse in generale, con predilezione per le lunghe preparazioni e la selvaggina. Ottimo con primi a base di ricchi ragù di carne.

LA VINIFICAZIONE
Come spesso accade da Lidl, quasi impossibile risalire alla cantina produttrice e all’esatta tecnica di vinificazione. Sull’etichetta, di fatto, è indicato solo l’imbottigliatore: la solita V.E.B. di Bardolino, ovvero Enoitalia.

Di certo la Doc Squinzano, come da disciplinare, racchiude i vini prodotti nell’omonimo Comune della provincia di Lecce, oltre a quelli ottenuti per almeno il 70% dai vigneti di Negroamaro nei comuni di Novoli, San Pietro Vernotico e Torchiarolo e, solo in parte, nei Comuni di Campi Salentina, Cellino San Marco, Lecce, Surbo e Trepuzzi. Tutte realtà della provincia di Lecce e Brindisi.

Possono concorrere al blend la Malvasia nera e altri vitigni a bacca rossa coltivati nella zona. In generale, la predilezione è per il Sangiovese (massimo 15%). Lo Squinzano “Riserva” deve affinare per almeno due anni in cantina, di cui almeno 6 mesi in botti di legno. Da qui la complessità di un calice a due marce, come quello di Corte Aurelio.

Prezzo: 2,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Siccità e grandine: rischio stress idrico. Coldiretti: 1 miliardo di danni

Con il prolungarsi dell’assenza di pioggia in gran parte della Penisola, l’allarme siccità si è ormai esteso ad oltre i due terzi della superficie agricola nazionale. Interessando praticamente tutte le regioni, anche se con diversa intensità.

La situazione secondo le stime Coldiretti, “si sta aggravando con effetti catastrofici per la produzione con perdite ben superiori al miliardo stimato, se non pioverà nell’arco delle prossime due settimane in modo costante e non violento”.

Gli alberi da frutto stanno ancora resistendo. “Ma se non pioverà entro una settimana entreranno in stress idrico e le conseguenze si sentiranno sui frutti, che saranno mediamente più piccoli, con un calo quantitativo, anche se la qualità è salva”, evidenzia Coldiretti.

Le precipitazioni temporalesche in realtà non hanno scalfito lo stato di grave siccità dei campi lungo tutta la Penisola perché l’acqua, per poter essere assorbita dal terreno, deve cadere in modo continuo e non violento mentre gli acquazzoni aggravano i danni e pericolo di frane e smottamenti.

Danni costituiti soprattutto da violente grandinate. Come quella che ha colpito domenica 25 giugno la zona di Capriano del Colle, in provincia di Brescia. La foto diffusa dal viticoltore Davide Lazzari (vedi sopra) non lascia spazio a interpretazioni. Ed evidenzia, ancora una volta, le grandi difficoltà della vendemmia 2017, sempre legate alle incertezze del clima.

Il peggioramento più evidente è però nel centro Italia. Le precipitazioni sono risultate in calo del 77% e le temperature massime superiori di 3,9 gradi la media di riferimento. E’ quanto emerge dai dati dell’Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura (Ucea), relativi alla seconda decade del mese. Un quadro di “criticità diffusa nel centro Italia”.

LE REGIONI PIU’ A RISCHIO
Da una prima stima di Coldiretti in Abruzzo si parla per ora di una perdita di ricavo per le aziende agricole di almeno 100 milioni di euro con danni alle colture orticole e alla frutta e, nel caso dovesse perdurare la situazione di emergenza, anche alle colture più tradizionali quali vite e olivo.

In Toscana, sempre secondo Coldiretti, la produzione di cereali e crollata del 40%, con punte del 70% nel caso del mais e quelle di foraggi, ortaggi, pomodoro da industria e frutta sono diminuite fino al 50% mentre mancano i foraggi per gli animali.

I girasoli e il granoturco stanno seccando in Umbria, ma in difficoltà sono anche ampie aree del Lazio dove la produzione di frumento – precisa Coldiretti – risulta stentata, con pesante contrazione dei raccolti e calo della qualità e senza interventi immediati si rischia di perdere del tutto ortaggi, frutta, cereali, pomodori.

Nelle Marche situazione difficile per il mais che in questa fase di crescita avrebbe bisogno di acqua, ma in sofferenza è anche il girasole, in fase di crescita assieme agli ortaggi (dalle insalate alle zucchine, dai pomodori ai sedani, dai meloni ai cocomeri), specialmente in quei terreni dove non ci sono impianti di irrigazione.

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Caviro, il gigante del Tavernello. Tra Slow (Wine) e Rock ‘n’ Roll

Anche Golia ha un cuore. E batte slow. Very slow. Il gigante romagnolo del Tavernello, lo stesso capace di imbottigliare 2 milioni di ettolitri di vino l’anno, si avvale di due enologi attivisti di Slow Food e Slow Wine.

Il gigante in questione di nome fa Caviro, leader indiscusso del mercato nazionale del vino al supermercato. Tra i primi dieci al mondo per fatturato, con 304 milioni di euro. Nulla a che vedere con la Chiocciola di Carlo Petrini? Solo in apparenza. Pietro Cassani e Giacomo Mazzavillani (nella foto, sotto), rispettivamente responsabile del laboratorio enologico e del processo di lavorazione vino alla Caviro di Forlì, sono lì a dimostrare il contrario.

Il volto meno conosciuto della più grande cooperativa agricola italiana. Un impero fondato sui numeri, ma anche sulla qualità. “La costanza nella riconoscibilità dei nostri prodotti sul mercato – spiega Giordano Zinzani, responsabile Normative e Tecniche Enologiche di Caviro – è per noi il primo sinonimo di qualità, che riusciamo a garantire grazie al confronto trentennale con i nostri conferitori di uve e al lavoro dei nostri enologi. Un aspetto che ci viene riconosciuto da 7 milioni e 200 mila famiglie consumatrici in Italia”.

“I nostri standard qualitativi – precisa Zinzani – sono dettati da frequenti panel di assaggio dei prodotti dei nostri competitor internazionali. A livello operativo, invece, stimoliamo le 34 cantine conferitrici, situate da nord a sud del Paese, con un sistema di liquidazione che invogli a fare sempre meglio in vigna, di vendemmia in vendemmia”.

Tredicimila i viticoltori che fanno parte della famiglia Caviro, in sette regioni d’Italia. Trentasette mila gli ettari di vigneti lavorati, in totale. Tradotto: la cooperativa romagnola produce, da sola, l’11% dell’uva italiana. E’ grazie a questa grande disponibilità che i blend Tavernello riescono ad essere sempre uguali negli anni. “Riconoscibili dal consumatore”, per dirla con Zinzani.

Un puzzle, anzi la sintesi, “del meglio della produzione annuale dei vigneti dei conferitori”, assemblati da uno staff di 6 enologi (cinque di stanza a Forlì, uno a Savignano sul Panaro, nei pressi di Modena), tre analisti di laboratorio e quattro impiegati all’Assicurazione qualità.

“Il numero degli enologi, in realtà – spiega Giordano Zinzani – si aggira sulla cinquantina. I primi controlli vengono effettuati dalle nostre cantine associate, in loco. Le uve arrivano a Caviro già vinificate, secondo i rigidi parametri dettati ai viticoltori. Solo in questa fase, si assiste all’intervento diretto del nostro personale, che degusta e testa i campioni e li assembla, dopo aver identificato il blend più consono alle esigenze del mercato di riferimento, che sia italiano o estero”.

Altra faccia della medaglia, la produzione di vini a Indicazione geografica tipica (Igt) e a Denominazione di origine controllata (Doc), “in cui – commenta Zinzani – puntiamo a garantire, valorizzare e conservare la tipicità dei singoli territori”.

LE UVE CAVIRO: IL SISTEMA DI LIQUIDAZIONE
Dal Friuli Venezia Giulia arrivano principalmente Merlot, Cabernet, Refosco, Pinot Grigio, Glera, Chardonnay e Sauvignon (una cantina associata, 1790 ettari). Dall’Emilia Romagna Sangiovese, Lambrusco (principalmente Sorbara), Merlot, Ancellotta, Trebbiano, Chardonnay, Albana e Grechetto Gentile (14 cantine, 19.002 ettari). Dalla Toscana giungono Sangiovese, Brunello, Merlot, Trebbiano e Vermentino (2 cantine, 1.090 ettari).

Dall’Abruzzo Montepulciano, Trebbiano, Pecorino e Chardonnay (9 cantine, 8.218 ettari). Dalla Puglia Primitivo, Negroamaro, Malvasia Nera, Nero di Troia, Chardonnay, Bombino e Verdeca (3 cantine in Salento, 922 ettari). Dalla Sicilia, infine, Nero d’Avola, Syrah, Grillo, Catarratto, Inzolia e Grecanico (6366 ettari, una cantina: la Petrosino di Trapani, seconda per dimensioni in Italia solo a Settesoli).

Uve che hanno un prezzo. Di fatto, è sul terreno della liquidazione dei conferitori che si gioca una delle partite più importanti per Caviro. “Di anno in anno, verso dicembre – spiega Giordano Zinzani – la cooperativa stabilisce un budget per i vini. Viene stabilito un minimo garantito, che viene corretto in base alla conformità agli standard richiesti”.

Le sorti dei viticoltori è delle cantine associate a Caviro sono nelle mani di uno staff di enologi che si riunisce una volta alla settimana, a Forlì. “Tutte le singole partite – evidenzia Zinzani (nella foto) – sono valutate in funzione della qualità specifica di quel campione. Ogni ritiro viene catalogato e degustato da una commissione composta dagli enologi Caviro e da quelli delle stesse cantine associate. Degustazioni che, ovviamente, avvengono alla cieca, sulla base di schede di valutazione Assoenologi, con punteggio in centesimi. Questo punteggio, assieme alla rispondenza dei caratteri analitici, contribuisce alla modifica del prezzo base garantito ai soci”.

Raffaele Drei, presidente della Cooperativa Agrintesa, non ha dubbi. “Oggi Agrintesa è il socio più grande della compagine sociale Caviro e tramite il Consorzio colloca direttamente al consumatore una quota importante del proprio vino. Siamo fortemente impegnati e interessati alla crescita sia come quota di mercato che come modello di filiera vitivinicola integrata”.

“I fattori di successo per i soci Caviro sono stati ben delineati dai direttori delle Cantine intervenuti all’ultimo incontro con la base sociale: Cristian Moretti, direttore generale Agrintesa, Roberto Monti, direttore della Cantina Sociale Forlì e Predappio, Fabio Castellari, direttore della Cantina Sociale Faenza. Tutti hanno sottolineato, come comuni denominatori di crescita e sviluppo, l’avanguardia qualitativa per una buona liquidazione dei soci, l’innovazione e la capacità di differenziare”.

Rispetto alle zone più lontane dalla “base”, ai soci viene riconosciuta una cifra che si aggira attorno ai 35 centesimi al litro. Per i viticoltori dell’Emilia Romagna, si sale sino a 45 centesimi con il Lambrusco. I picchi si toccano con i vini Igt, 60 centesimi al litro, e a Denominazione di origine controllata, valutati in media fino a 1 euro. Cifre che Zinzani snocciola senza timore.

“Fra i principali tratti vincenti – aggiunge Raffaele Drei – sono stati individuati la concentrazione e specializzazione dei centri di vinificazione, la capacità di realizzare velocemente progetti di produzione per vini con caratteristiche diverse e una buona integrazione di pianura e collina. Per i soci di Caviro è di fondamentale importanza poter ragionare in una logica di mercato fatta anche di liquidazioni differenziate su molteplici variabili, come lo stabilimento, l’area di produzione, le giornate di conferimento e l’effettiva qualità. Merito anche di una base sociale caratterizzata da coesione e ricettività, aperta a un ricambio generazionale in grado di garantire uno sguardo sul futuro”.

IL TOUR
E che Caviro sia proiettata al futuro, lo si capisce al primo sguardo dello stabilimento di Forlì. Dall’esterno, gli 82 serbatoi del sito produttivo di via Zampeschi 117 offrono bene l’idea delle dimensioni del business della cooperativa, con i loro 340.578 ettolitri di capacità complessiva. All’interno, altri 133 “silos” contenenti vino, per un totale di 126.670 ettolitri. Caviro, per chi non l’avesse capito, è questo, prima di tutto: una delle maggiori cantine italiane, con serbatoi per un totale di 467.248 ettolitri complessivi. E’ qui che staziona il vino prima delle chiarifiche e delle filtrazioni, che anticipano la stabilizzazione.

Centonovantaquattro milioni di litri le vendite a volume del colosso romagnolo nel 2016, suddiviso tra i brand Tavernello, Castellino, Botte Buona, Terre Forti, Romio, VoloRosso, Salvalai, Cantina di Montalcino, Da Vinci, Leonardo, Monna Lisa e Cesari. Export in 70 Paesi. Due le linee per l’imbottigliamento. Quella nuova, inaugurata a settembre dello scorso anno, ha una velocità di 18 mila bottiglie l’ora. La più vecchia risale agli anni ’90 ed è ancora in funzione, anche se in fase di ammodernamento.

In quest’area dello stabilimento, il prodotto finito viene movimentato su pallet da veri e propri robot. “Le chiamiamo navette – precisa l’enologo Pietro Cassani, che guida il tour -. Si muovono autonomamente su percorsi prestabiliti del magazzino di stoccaggio e sono solo uno degli aspetti all’avanguardia del sito produttivo di Forlì”. In uno degli angoli dello stabile, di fatto, sembra aprirsi una porta temporale sul futuro. Roba da farti sentire – almeno per un attimo – un po’ come Donny Darko, alle prese col suo coniglio gigante.

Un magazzino da 10 mila posti pallet completamente robotizzato, col quale alcune catene della Grande distribuzione (o, meglio, i loro Ce.Di, i centri distributivi delle varie insegne) hanno la possibilità di connettersi via web, emettendo ordini che vengono indirizzati direttamente a una delle 14 “ribalte” del magazzino, in base alla destinazione. Ti pizzichi la guancia mentre osservi quel braccio meccanico, senza il minimo controllo umano, andare a pescare proprio quel pallet, lassù.

La voce dell’enologo Cassani, Cicerone per un giorno, ti riporta alla realtà, poco più in là. Davanti alle bobine di Tetra Pak pronte per la sterilizzazione, prima di essere riempite di vino in impianti simili a quelli utili per “inscatolare” latte. Guardi in faccia i dipendenti uno ad uno, credendo che all’improvviso salti fuori Michael J. Fox. Aguzzi le orecchie per sentire qualcosa d’altro (che so? Johnny B. Good, per restare in tema).

Ma il suono, sottile e monotono, è quello della catena di montaggio dei brik di Tavernello. L’unico elemento che, nel suo piccolo, ricorda quella chitarra rosso fiammante. Altro che quattro quarti. Qui si gira al ritmo di 7-8 mila pezzi l’ora, su un totale di 10 linee. Vino in brik pronto per il consumo, “senza pastorizzazione, bensì con filtrazione sterile”, tiene a precisare Cassani. L’enologo del rock’n’roll di Caviro.

Prima di raggiungere i laboratori d’analisi, dove l’intero staff è all’opera sugli ultimi campioni giunti allo stabilimento, ecco l’unica zona inattiva del magazzino: quella per il confezionamento dei “Bag in Box” da 3 e 5 litri, destinati sopratutto al mercato francese. La grandeur. Come formato, s’intende. Bien sûr.

IL FENOMENO TAVERNELLO
Italiana, italianissima, anzi romagnola (se no si offende), l’inclinazione (linguistica) di Elena Giovannini (nella foto). “L’upgrade qualitativo dei prodotti – commenta la responsabile Marketing Daily di Caviro – è stato uno degli obiettivi perseguiti dalla nostra azienda sin dal 1983, anno in cui abbiamo dato vita al vino in brik. Inizialmente era soltanto Sangiovese o Trebbiano. Poi, chiaramente, i volumi venduti erano talmente elevati che il sourcing non era più sufficiente a coprire la richiesta. I due vitigni sono ancora parte fondamentale dei nostri blend, vino bianco e vino rosso d’Italia”.

Cosa caratterizza questa marca? “Il fatto di garantire uniformità di gusto e una costanza negli anni – replica Giovannini – un grande pregio per i nostri consumatori”. Chi sono? “Il target è ben definito: è chiaro che si parla di quotidianità, ma anche di garanzia di un certo standard qualitativo”. La diversificazione dell’approccio al mercato del vino da parte dei consumatori, anno dopo anno, ha convinto tuttavia Caviro ad allargare la proposta di referenze, riunite sempre sotto lo stesso marchio.

“Nel 2010 lanciamo i frizzanti bianco e rosato – ricorda Elena Giovannini – come naturale prosecuzione della marca generica Tavernello, sempre a base delle nostre cantine sociali socie. Successivamente il lancio dello Chardonnay e, per la prima volta, vini di provenienza siciliana come il Syrah Cabernet: per la prima volta inseriamo vini di provenienza siciliana. Fino ad arrivare alla prima Doc che è il Pignoletto, proveniente dalle colline di Imola. Un vino non molto conosciuto fuori dai confini regionali, che noi abbiamo contribuito a distribuire sul mercato”.

“Facile dunque intendere come sul mercato internazionale il ‘Red blend’ Tavernello giochi un ruolo fondamentale – evidenzia la responsabile Marketing Daily di Caviro – dato che i tanti vitigni italiani non sono semplici da conoscere e da scegliere, per il consumatore straniero. Red blend, dunque, come sintesi della qualità italiana. Ovviamente abbiamo bene in mente qual è il nostro mestiere e il consumatore al quale vogliamo parlare, sia in Italia sia all’estero. E di conseguenza sviluppiamo prodotti adatti a quel tipo di esigenza: quella quotidiana”.

Un’azienda, Caviro, capace di rispondere col Pignoletto al fenomeno Prosecco. Un botta e risposta che lega il vitigno emiliano a quello veneto, anche dal punto di vista dialettico-ampelografico: Glera-Prosecco, Grechetto Gentile-Pignoletto. Inutile precisare che Caviro produca anche il re delle bollicine Charmat, grazie alle rinnovate sinergie con la Viticoltori Friulani La Delizia, in seguito all’inaugurazione della nuova sede di Orcenico Inferiore di Zoppola, il maggiore polo per la spumantizzazione del Friuli Venezia Giulia.

Tra i blend in degustazione segnaliamo, su tutti, il Trebbiano – Pinot Bianco Rubicone Igt 2016. Un mese e mezzo di legno per il Trebbiano, il resto acciaio. Altro vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato, tra i varietali, il blend tra Sangiovese e Merlot.

GLI ALTRI SEGMENTI DEL BUSINESS
Caviro, in realtà, non significa solo vino. La cooperativa romagnola è un vero e proprio universo circolare. “Il nostro modello di business – commenta Giordano Zinzani, tra l’altro presidente del Consorzio Vini di Romagna – è tale da iniziare in vigna per poi tornarci, con uno scarto sulla produzione quantificabile in un risicato 1%”.

Oltre al vino, la cooperativa romagnola è leader in Italia nel settore distilleria. Una diversificazione che consente a Caviro di inserirsi nel mercato dei farmaci, con la produzione – su tutti – di acido tartarico e delle “basi” alcoliche già addizionate di mentolo per il colluttorio Listerine, commercializzati dall’altro colosso Johnson & Johnson.

“In Francia vendiamo molti alcoli destinati alle liqueur d’expedition degli Champagne”, rivela Zinzani. Non ultimo il business del recupero degli scarti dell’attività di vigna, che consente a Caviro di produrre – oltre a derivati farmaceutici, alimentari e agronomici – anche energia.

Quella prodotta dal sito produttivo di via Zampeschi 117 sarebbe in grado di illuminare a giorno l’intera città di Forlì (120 mila abitanti). Energia che si tramuta in compost e fertilizzanti, chiudendo il cerchio col loro ritorno nelle vigne italiane dei soci. E allora tutto questo è slow, very slow o rock ‘n’ roll? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Joe Bastianich e i furbetti del Prosecco Rosè. Il Consorzio: “Valutiamo azioni legali”

Mezzo mondo ne parla, attraverso stampa (poco) specializzata e wine bloggers. Metà ristorazione internazionale ce l’ha in carta (dei vini). Google non mente. Joe Bastianich (forse) sì. Parliamo del Prosecco Rosè. Un’invenzione tutta marketing e zero sostanza. Perché il Prosecco Rosè non esiste. Anzi: è una truffa.

Una menzione, “Prosecco”, utilizzata a sproposito da diversi siti web americani che hanno a listino “Flor”, il “Prosecco Rosè” prodotto dal noto giudice di MasterChef Italia. In realtà si tratta di un blend composto al 90% da Glera (vitigno principe del “Prosecco”, suo sinonimo sino al 2009), cui viene aggiunto un 10% di Pinot Nero vinificato in rosa. Il che lo rende tutto tranne che un Prosecco. Tantomeno “Rosè”.

Un gioco che può funzionare (e pure tanto) all’estero. Basta interrogare il motore di ricerca Google per scoprire quanti ristoranti hanno in carta “Flor” tra le “bollicine”, in qualità di “Prosecco Rosè”. Qualcuno arriva a definirlo, addirittura, “The Champagne of Venice“: lo Champagne di Venezia. Sconcertante scoprire che alcuni esercizi si trovino anche in Italia. Tra questi proprio Ricci Milano, storico ristorante meneghino rilanciato nel 2015 da Joe Bastianich e Belen Rodriguez, in zona Stazione centrale.

Difficile pensare alla svista per uno come Bastianich, che produce direttamente “Flor” appoggiandosi (pare) a una “big” della spumantizzazione della zona di Valdobbiadene (indovinate quale). Fingendoci interessati al prodotto contattiamo il ristorante dei due vip. Chi ci risponde, dall’altra parte dello smartphone, è una donna: “L’azienda produttrice di ‘Flor’ è Bastianich”. Bingo.

Convinti che si tratti di una mera operazione di marketing, Oltreoceano, anche alcuni wine bloggers interrogati da vinialsuper. Tutti concordi nel commentare la presenza sul mercato a stelle e strisce del “Prosecco Rosè Flor” come “an American marketing strategy”. Una “strategia di marketing” destinata al mercato americano.

LA POSIZIONE DEL CONSORZIO PROSECCO DOC
“Tutti i tentativi di contraffazione – afferma Stefano Zanette (nella foto), presidente del Consorzio Prosecco Doc – rientrano tra i comportamenti lesivi della nostra Denominazione e come tali vanno condannati. Quello denunciato da vinialsupermercato.it n
on è un caso isolato: il ‘Prosecco Rosè’ rientra fra le tante segnalazioni che continuamente giungono in Consorzio”.

“Solo nell’ultimo anno – precisa Zanette – ne abbiamo intercettate oltre 500. Nello specifico, però, non si tratta di un errore commesso dai produttori, bensì dell’esercizio nel caso del ristorante Ricci Milano, di proprietà di Belen e Bastianich. Ovviamente questo non diminuisce l’importanza dell’episodio in esame: il fatto è grave e merita la massima attenzione”. L’ufficio legale del Consorzio, di fatto, è già all’opera.

“Oggi – aggiunge Luca Giavi, direttore generale del Consorzio Prosecco Doc  – l’overbranding del Prosecco porta a identificare con la nostra Denominazione l’intera categoria ‘spumanti’. Ritengo che tante volte si tratti di un problema di ignoranza delle regole, piuttosto che di malafede. Infatti, casi come questi, all’estero sono decisamente più diffusi”.

Un fronte sul quale il consorzio trevigiano si è rimboccato le maniche. “Abbiamo più volte richiamato l’attenzione dei rappresentanti di categoria di esercenti e commercianti sul tema del corretto utilizzo delle indicazioni geografiche – evidenzia Giavi -. C’è ancora molto da fare, ma stiamo mettendo a punto diversi progetti in tal senso”.

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Maculan: “Faremo il vino rosso più buono d’Italia da viti resistenti”

“La nostra sfida per il futuro? Fare il vino rosso più buono d’Italia da varietà resistenti”. Fausto Maculan sceglie la strada delle varietà di vite resistenti alle malattie.

Il produttore di Breganze (Vicenza), marchio noto in particolare per il Torcolato e i rossi Fratta e Crosara, metterà a dimora il prossimo autunno i primi vigneti di Merlot Khorus e Sauvignon Rytos, due varietà resistenti selezionate dall’Università di Udine. Una conversione che nel corso di un decennio coinvolgerà progressivamente tutte le varietà coltivate.

“Il primo impianto sarà complessivamente di sole 4000 viti – spiega Maria Vittoria Maculan, responsabile della produzione – ma la nostra intenzione è di rinnovare via via i vigneti più vecchi con varietà resistenti alla malattie. È necessario specificare che queste varietà non sono individui geneticamente modificati, ma tipi ottenuti da incroci intraspecifici con il cambiamento solo del 5% dei cromosomi, ovvero di quelli responsabili degli effetti delle malattie sull’uva. Con queste varietà possiamo applicare solo uno o due trattamenti all’anno rispetto ai 10-11 che si praticano generalmente nel nostro territorio”.

LA SVOLTA
La prima vinificazione dai nuovi vigneti è attesa per il 2020. “Puntiamo ad avere un vino eccellente entro il 2023 – aggiunge Angela Maculan, responsabile commerciale – anno della cinquantesima vendemmia di nostro padre. Certamente il vino per celebrare quella ricorrenza sarà da vitigni resistenti”.

Una scelta fortemente voluta dalla nuova generazione, avallata da Fausto Maculan, che guarda anche al presente: “Nell’attesa di convertire tutta la produzione alle nuove varietà stiamo sperimentando nuove macchine irroratrici: diffondono il prodotto unicamente sulle foglie, aspirando le eccedenze. Niente più deriva aerea e dispersione per terra”.

Una svolta storica per l’azienda fondata nei primi anni Cinquanta da Giovanni Maculan e saldamente nelle mani di Fausto dal 1973. L’annata 2013 è stata la sua quarantesima vendemmia, celebrata con XL Vendemmia, vino a tiratura limitata voluto dalle figlie Angela e Maria Vittoria per festeggiare il padre.

Appena 300 magnum di Cabernet Sauvignon Breganze DOC prodotto con uve provenienti dal vigneto Branza e vestite con un’etichetta realizzata a mano dall’artista vicentino Pino Guzzonato trasformando in carta la fibra ottenuta dai raspi degli stessi grappoli d’uva da cui si è ottenuto il mosto.

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Mipaaf – Federbio: scontro su riforma controlli del biologico

Inizia tra le polemiche l’iter per l’approvazione del decreto sui controlli in materia di produzione agricola e agroalimentare biologica. Lo scorso venerdì, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera allo schema legislativo che aggiorna le disposizioni ferme al decreto 220 del 1995, adeguandole anche alle normative europee. Una “bozza” che non convince la Federazione italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica.

“La riconferma dei poteri all’Ispettorato Centrale Repressione Frodi del Ministero è l’anticamera dell’inefficacia del provvedimento”, commenta Federbio in una nota. “Federbio propone il nuovo Comando Unità per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare dell’Arma dei Carabinieri come autorità più qualificata per migliorare sensibilmente l’efficacia dei controlli sul biologico italiano e rendere questo settore un faro per lo sviluppo dell’agroalimentare a livello europeo”.

Il provvedimento, così come approvato dal Consiglio dei Ministri, si pone l’obiettivo di “garantire una maggiore tutela del consumatore e assicurare una maggiore tutela del commercio e della concorrenza. Semplificare e unificare in un solo testo di legge la materia dei controlli sulla produzione agricola biologica e rendere il sistema dei controlli più efficace anche sotto il profilo della repressione”.

“Vogliamo rendere sempre più forte, sicuro e trasparente – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina – il settore biologico italiano. Siamo leader in Europa per numero di operatori e vediamo una crescita progressiva delle superfici coltivate a biologico. Con questo provvedimento c’è un salto di qualità nei controlli, per dare sempre più garanzie ai consumatori e ai produttori onesti”.

“Mettiamo in un unico testo tutte le disposizioni in materia – aggiunge Martina – e soprattutto introduciamo disposizioni contro i conflitti di interesse che si sono verificati in passato. Rendiamo più corretti e trasparenti i rapporti tra controllori e controllati, in modo da rafforzare la credibilità di un settore assolutamente strategico”.

IL SISTEMA DEI CONTROLLI
Il decreto conferma che il Ministero Delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) è l’autorità competente per l’organizzazione dei controlli e che delega tali compiti ad organismi di controllo privati e autorizzati. L’Ispettorato centrale per la tutela della qualità e la repressione frodi dei prodotti agroalimentari rilascia le autorizzazioni all’esercizio dei compiti di controllo e dunque vigila e controlla l’attività degli organismi.

Al fine di rafforzare il sistema, al Comando unità tutela forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri è attribuita, oltre all’attività di controllo sugli operatori, anche quella di vigilanza sugli organismi di controllo. Le Regioni e le province autonome conservano ed esercitano l’attività di vigilanza e controllo negli ambiti territoriali di competenza.

Il decreto introduce inoltre “meccanismi a rafforzamento della leale concorrenza e per l’eliminazione dei conflitti di interessi degli organismi di controllo”. Per questo “gli operatori del biologico non possono detenere partecipazioni societarie degli organismi di controllo”. Gli organismi di controllo “non possono controllare per più di 5 anni lo stesso operatore e devono garantire adeguate esperienza e competenza delle risorse umane impiegate”.

Vengono poi introdotti nuovi “obblighi di comportamento degli organismi di controllo”, che discendono dai “principi di trasparenza e correttezza e conseguenti sanzioni amministrative pecuniarie, con funzioni deterrenti”. La norma istituisce “una banca dati pubblica di tutte le transazioni commerciali del settore biologico fruibile da tutti gli operatoti del sistema, per rendere più trasparenti le transazioni e più tempestiva l’azione antifrode e maggiore la tutela dei consumatori”.

LA POSIZIONE DI FEDERBIO
“Chiediamo da anni una riforma radicale del sistema di certificazione di settore – dichiara Paolo Carnemolla (nella foto), presidente di Federbio – a cui abbiamo lavorato concretamente in tutte le precedenti legislature. Abbiamo denunciato, come Federazione che rappresenta tutte le componenti del biologico italiano, le inefficienze e i comportamenti scorretti di tutti i protagonisti del sistema di certificazione, anche quando si è trattato di organismi di certificazione soci di Federbio.

“Abbiamo dato piena disponibilità al ministro Martina a sostenere un provvedimento che intervenisse in maniera drastica su alcune degenerazioni del sistema di certificazione e quindi accogliamo di buon grado alcune novità introdotte dal testo approvato dal Consiglio dei Ministri”.

“Non possiamo però accettare – continua Carnemolla – che si intervenga in maniera drastica solo sulla parte privata del sistema, ovvero su organismi di certificazione e operatori, con evidenti impatti e oneri, lasciando all’Ispettorato centrale repressione frodi le medesime funzioni e responsabilità per le quali si è dimostrato negli anni recenti quanto meno inadeguato, attribuendogli un potere ancora maggiore attraverso un sistema di sanzioni amministrative pericolosamente discrezionale e autoreferenziale”.

“Ci chiediamo – conclude Carnemolla – che senso abbiano avuto la riforma del Corpo Forestale e la costituzione di un nuovo Comando presso l’arma dei Carabinieri, che comprende anche le competenze del Nucleo antifrodi operante presso il Mipaaf, se questa che è la più grande e qualificata forza di polizia ambientale e agroalimentare in Europa non viene utilizzata a tutela di un settore strategico per ambiente e agroalimentare come il biologico. Una scelta che agevolerebbe anche un maggiore coinvolgimento delle Regioni, altrimenti di fatto escluse dall’attività di vigilanza nel loro territorio”.

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Dieci Champagne da favola nel “mare” di Alassio

Meno “zucchero”, ma più “legno” e struttura nel calice. E in vigna, grande attenzione alle frontiere della viticoltura biodinamica, oltre a una spinta sostanziale sulla valorizzazione della parcellizzazione.

“Un Mare di Champagne”, evento di punta delle bollicine francesi in Italia, si conferma anche quest’anno passerella privilegiata per comprendere i nuovi trend di mercato del Metodo Classico più venduto al mondo.

Dall’11 al 14 giugno, al Grand Hotel Alassio & Spa, le 56 maison presenti hanno presentato Champagne con dosaggi zuccherini generalmente risicati, o comunque al di sotto dei massimali della classificazione ufficiale. Un discorso che vale soprattutto per i Brut, trovati troppe volte “piacioni” all’edizione precedente di “Un mare di Champagne”. Merito del dilagare della moda Pas Dosè? Può darsi.

Altro dato che emerge, l’innalzamento qualitativo degli Champagne biodinamici. Con le maison “verdi” ormai pronte a competere alla pari con chi adotta metodi tradizionali, in campagna e dans la cave. “Merito, nella maggior parte dei casi – spiega Livia Riva, La Dame du Vin – della grande attenzione alla pulizia in cantina da parte delle maison che si cimentano nella viticoltura biodinamica”.

Realtà eccezionali come quella di Hugues Godmé, vigneron di Verzenay che vive quasi ventiquattr’ore su ventiquattro tra le sue vigne. Troviamo Godmé direttamente sul podio dei nostri migliori assaggi all’edizione 2017 di Un Mare di Champagne.

I MIGLIORI SECONDO VINIALSUPER
1) Brut Reserve, Boizel. Blend composto per il 55% da Pinot Noir, 30% da Chardonnay e 15% da Pinot Meunier. Tre anni sui lieviti, 30% di vini di riserva. Bollicina finissima e persistente. Al naso zabaione, crema pasticcera, biscotti e lime. In bocca tagliente, minerale e agrumato.

Complesso, ma di una bevibilità eccezionale. Caratteristiche che, unite a un prezzo da listino veramente interessante, gli consentono di raggiungere la vetta della nostra classifica. Uno Champagne, il Brut Reserve Boizel, distribuito in Italia da Feudi di San Gregorio.

2) Cuvée Extra Brut 3c, Bourgeois-Diaz. Il “base”, che “base” non è. Champagne eccezionale questo, considerando il posizionamento nella gamma della maison di Crouttes-sur-Marne.

Nasce dai 7 ettari in conversione biodinamica di proprietà della Bourgeois-Diaz ed è composto da un 55% di Pinot Meunier, un 28% di Pinot Noir e un 17% di Chardonnay. Eccole le “3c”, ovvero i tre vitigni (cépages), che danno vita a un calice indimenticabile, in perfetto equilibrio tra il morbido e l’austero.

3) Extra Brut Fins Bois, Hugues Godmé. Eccolo qui il capolavoro bionamico dell’uomo che sussurra alle vigne. Sessanta percento Pinot Noir, 40 Chardonnay, con il 60% di vini di riserva affinati per l’80% in botti piccole: la formula, più complicata a leggersi che a bersi, di uno Champagne profumato, freschissimo e succoso. Tre grammi litro di residuo zuccherino, giusto per offrire l’ultimo dettaglio tecnico. Per il resto, è da provare.

4) Brut Nature – Dosage zero, Ar Lenoble. Altro ottimo blend che vede il Meunier farla da padrone con un 45%, su Chardonnay (25%) e Pinot Noir (30). Prezzo da listino, 27 euro. Qualità da vendere. Il Meunier proviene da Damery, Valle della Marna, mentre per lo Chardonnay Ar Lenoble ricorre al Grand Cru di Chouilly.

Il Pinot nero, Premier Cru, è invece coltivato a Bisseuil. Un Brut Nature che ha conferma nel calice tutte le aspettative: “dritto”, capace di arrivare al cuore con note fruttate di pera e arancia candita, ben bilanciate con una schietta mineralità e da folate di zenzero.

5) Zero dosage Blanc de Blancs, Encry. Finalmente uno Chardonnay emozionante, pensato e voluto da Encry come la “massima espressione del territorio”. Per intenderci, stiamo parlando dei “vicini di vigna” di Krug, a Mesnil-sur-Oger. Il Blanc de Blancs Zero dosage, 36 mesi sui lieviti, è sboccato à la voleè. Un Blanc de Blancs tipico, ma anche moderno. Impossibile staccarsi da un calice che offre un sorso non eccessivamente complesso ma assolutamente pieno, rigoglioso.

6) Brut Esprit Nature, Henri Giraud. Non tragga in inganno il nome di fantasia, “Nature”. Si tratta infatti di un Brut, da 7-8 grammi litro di dosaggio. Diciotto mesi di affinamento sui lieviti. Quanto basta per ottenere un altro Champagne tutt’altro che banale, ma dalla straordinaria bevibilità. Ottanta percento Pinot Noir, 20 Chardonnay della Valle della Marna. Colpisce per la mineralità e la muscolatura, capaci insieme di “coprire” lo zucchero e di far pensare a un dosaggio zero sui generis. Uno dei prodotti più caratteristici della Maison Henri Giraud.

7) Extra Brut Le Fond du Bateau n 9, Pertois-Lebrun. Un luogo unico come il villaggio di Cramant, grand cru della Côte des Blancs. Un unico vitigno, ovviamente Chardonnay. Un solo anno di raccolta, che riflette l’andamento climatico. E un basso dosaggio zuccherino, pari a 1,5 grammi. Le Fond du Bateau n 9 è lo Champagne  che fa dell’insieme di diverse unicità il proprio punto forte. Minimo cinque anni di affinamento sui lieviti per un Extra Brut che offre un pregevole naso di pasticceria, utile a “stordire” prima di un palato tagliente, dominato da note agrumate di pompelmo. Finale e retro olfattivo virano nuovamente sulla crema. Uno Champagne stupefacente, di delicata complessità.

8) Rosé, Boizel. Di nuovo Boizel, questa volta con il rosé ottenuto al 55% da Pinot Nero, cui viene aggiunto un 30% di Chardonnay e un 15% di Meunier. L’impronta dell’uvaggio predominante è evidente, grazie anche all’utilizzo di un 8% di vino rosso proveniente dai vigneti di Cumières e Les Riceys. Come dalle migliori attese dominano il quadro i frutti rossi, la cui fragranza viene mitigata dalla morbidezza del Meunier e dall’eleganza dello Chardonnay. Uno Champagne che fa dell’equilibrio il suo punto forte, sfoderando un finale lungo, fresco e piacevolmente sapido.

9) Cote de Noir, Henri Giraud. Tutto bellissimo, tranne il conto: si aggira attorno ai 100 euro il prezzo medio sul mercato di Cote de Noir, Champagne Blanc de Noir della maison Henri Giraud. Un calice che fa della struttura e della profondità il proprio asso nella manica. Frutta esotica e miele si incontrano al naso col pepe bianco. Grande freschezza al palato, con il sorso chiamato da una spiccata mineralità, che contribuisce a definire la struttura della beva. Un 100% Pinot Noir di grande compattezza e carattere.

10) Brut Selection, Le Brun Servenay. Vien voglia d’assaporare un’altra delle ostriche servite dagli chef Selecta al Grand Hotel Alassio & Spa mentre si assapora il Brut Selection della maison Le Brun Servenay. Un 100% Chardonnay, dunque un Blanc de Blancs, di tutto rispetto. Ottenuto da vigne di età compresa tra i 20 e i 25 anni, regala un naso intenso di iodio e agrumi. Pregevole la corrispondenza al palato, dove questa selezione proveniente dal gran cru di Avize si conferma Champagne di finissima struttura e carattere.

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Gerry Scotti vignaiolo: nuova sfida all’Antitrust a Caduta Libera (video)

Più che alla verdura, alla frutta. A meno di due mesi dall’esposto dell’Associazione nazionale Consumatori all’Antitrust per la “pubblicità occulta di prodotti commerciali sui social network” da parte di alcuni vip – tra cui Belen, Fedez, Anna Tatangelo, Melissa Satta – Gerry Scotti sembra voler sfidare in tv l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Nel mirino l’ultima puntata di Caduta Libera, il quiz di Canale 5 condotto dal popolare presentatore Mediaset di Miradolo Terme (Pv). Come successo in un altro caso denunciato da vinialsuper, Scotti ha utilizzato una domanda a tema enologico per fare riferimento alla sua linea di vini, in commercio in alcuni supermercati dallo scorso mese di aprile.

IL CASO
“Verdura a cui può essere difficile trovare il giusto vino da abbinare”. Otto lettere. La concorrente ci mette poco a rispondere: “Carciofo”. Gerry ancora meno a cogliere l’ennesima palla al balzo: “Io l’ho trovato il vino ideale per il carciofo. E’ un bel rosato che si fa in provincia di Pavia”.

ll pubblico rumoreggia. Qualcuno si lascia scappare una sonora risata, svelando di aver ben capito il riferimento. A questo punto lo Zio Gerry alza le mani: “No – si affretta a precisare – non sto pubblicizzando nulla. Ho detto che è un bel rosato”. Per poi rincarare la dose, inequivocabilmente: “Ha un nome di una vigna. E non posso aggiungere altro”.

LA BEFFA
Duplice la beffa dello scatenato conduttore pavese. Il riferimento non sarebbe solo al suo rosato da Pinot Nero “Pumgranin”, ma anche all’utilizzo in etichetta della parola “vigna”, contestato da Michele Antonio Fino, professore associato di Fondamenti del Diritto Europeo dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in un’intervista esclusiva rilasciata a vinialsuper, lo scorso 6 aprile.

“La pubblicità occulta – dichiara Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, a proposito dei casi di Fedez, Belen, Tatangelo e Satta – ha il potere di influenzare inconsapevolmente i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand. A maggior ragione è efficace se fatta da personaggi famosi, i cosiddetti influencer“.

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Vini al supermercato

Brut Rosè Trentodoc Le Premier, Cesarini Sforza

(4 / 5) E’ tra i vini spumanti Metodo Classico trentini più diffusi al supermercato. Parliamo del Brut Rosè Trentodoc Le Premier di Cesarini Sforza. La variante rosata del classico Le Premier, prodotto con sole uve Chardonnay.

Per ottenere il colore rosato viene infatti aggiunta una piccola percentuale di Pinot Nero, uva dal grappolo rosso. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper la sboccatura 2016.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Brut Rosè Trentodoc Le Premier Cesarini Sforza si presenta di un colore buccia di cipolla cristallino, luminoso. Il perlage è fine e persistente. Non resta che avvicinarlo al naso per avvertire l’impronta tipica del Pinot Nero: i frutti rossi come la fragolina di bosco, i lamponi e il ribes fanno tuttavia da sfondo alle più marcate note di lieviti e crosta di pane.

Corrispondente al palato, il Rosè Cesarini Sforza Le Premier sfodera nuovamente la carica delicata e sottile dei frutti rossi già avvertita al naso. Netta, poi, la svolta verso tinte mediamente balsamiche, che ricordano le erbe di montagna. Chiusura sulla mineralità tipica del Trentodoc, capace di ricordare la soluzione salina. Percezioni che, unite in un sorso mediamente caldo e secco, esaltano la sottigliezza di un perlage capace di solleticare delicatamente la lingua. Un bel quadro trentino, di assoluta qualità.

LA VINIFICAZIONE
Il Brut Rosè Le Premier Cesarini Sforza è prodotto all’85% con uve Chardonnay, cui viene addizionato un 15% di Pinot Nero. La zona di produzione, come da disciplinare, è quella della Trento Doc. In particolare, i vigneti hanno esposizione a Sud, Sud-est e sono collocati su una fascia che va dai 450 ai 700 metri sul livello del mare.

La composizione del terreno è di tipo strutturato e profondo, franco argilloso. Le radici della vite affondano in un composto ricco di pietre, sciolti fluvio-glaciali da disfacimento di rocce porfiriche e sabbiosi. La forma di allevamento è il Guyot, a pergola semplice trentina, con una densità di impianto di 4 mila ceppi per ettaro.

La vinificazione prevede la raccolta manuale di Chardonnay e Pinot Nero nella prima decade di settembre, pressatura soffice delle uve intere, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox e affinamento sulle lisi per circa 6 mesi.

Prezzo: 11,70 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Radici del Sud 2017: i migliori vini degustati

Riflettori accesi sul vino del Meridione d’Italia a Radici del Sud. Alla XII edizione del Salone dei vini e degli oli meridionali, in scena il 4 e 5 giugno al Castello di Sannicandro di Bari, in passerella la viticoltura delle regioni Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia.

Un livello medio alto quello riscontrato ai banchi di degustazione, allestiti dall’associazione ProPapilla, capitanata da Nicola Campanile, in tre sale dello splendido maniero Normanno-Svevo.

Novantaquattro aziende rappresentate, capaci presentare in concorso 350 vini, settanta dei quali approdati alle finalissime di fine mese. Questi, invece, i migliori vini degustati a Radici del Sud dalla redazione di vinialsuper

SPUMANTI
1)
Un assortimento completo, profondo, pregiato, fa di Colli della Murgia – realtà da 200 mila bottiglie l’anno certificata biologica con base a Gravina in Puglia (BA) – la cantina più interessante dell’intera costellazione di Radici del Sud 2017. Sbaraglia a mani basse la concorrenza nella sezione spumanti, con lo statuario Metodo Classico Brut 2012 “Amore Protetto”.

“Si tratta dell’evoluzione della scommessa della nostra azienda – spiega Saverio Pepe – dai risvolti ‘sociali’: produrre una bollicina che contrastasse il proliferare del Prosecco, ormai divenuto anche in Puglia sinonimo di ‘bollicina’. Siamo partiti così da uno Charmat, per poi evolverci nella direzione di questo Metodo Classico, a completamento del nostro percorso”.

Una manovra più che riuscita, con la marcia della qualità ingranata. “Amore Protetto” è una chicca da conservare per le migliori occasioni. Prodotto con uve Fiano Minutolo raccolte a mano e pressate direttamente, svela nel calice un perlage finissimo, in un tripudio giallo paglierino brillante, con riflessi verdolini.

Naso marcato di miele millefiori, con richiami a metà tra l’agrumato, l’esotico e la frutta candita, in un quadro di grande finezza che si ritrova anche al palato. Qui, a sorprendere, è la freschezza quasi balsamica della beva, unita a una buona sapidità. Ciliegina sulla torta? Una persistenza pressoché infinita.

VINI BIANCHI
1) Il Basilicata Bianco Igt 2016 “Accamilla” di Camerlengo è l’unico vino bianco dell’azienda agricola di Antonio Cascarano a Rapolla, in provincia di Potenza. Un mix di tre uve a bacca bianca trattate in vinificazione alla stregua dei rossi, alla maniera degli “Orange wine”.

L’apporto predominante (60%) è quello della Malvasia, raccolta in vigna una volta raggiunta una leggera surmaturazione. Completano il blend un antico clone di Fiano, il Santa Sofia, e il Cinguli, altro clone di Trebbiano Toscano. Tini di castagno per la macerazione, con le prime ore di follature che interessano anche i raspi delle tre uve.

Che dire? Il Castello di Sannicandro di Bari sembra sparire tra i profumi di questo calice che porta idealmente al Collio friulano e alla Slovenia. Un apporto, dunque, di tipo aromatico e tannico ben costruito, per un vino messo in bottiglia da circa cinque mesi. Non manca, anzi è ben marcata, la firma del terroir vulcanico in cui opera la cantina Camerlengo. Un sorso di eccezionale rarità.

2) Secondo gradino del podio per il Fiano di Avellino Docg 2014 “Numero Primo” di VentitréFilari, preziosa realtà di “artigiani del vino” di Montefredane, in provincia di Avellino. “Ventitré come l’anno 1923 – spiega Rosa Puorro – in cui nonno Alfonso nasceva. E ventitré come il numero di filari del nostro vigneto”. Un marketing efficace, che regge.

Anche (e soprattutto) in un calice che mostra un’evoluzione sostanziale rispetto al primo vino proposto: la stessa etichetta di Fiano, vendemmia 2015 (appena messa in commercio, ma con altrettante potenzialità d’affinamento). Il giallo dorato di cui si tinge il vetro è un inno al buon bere in Campania.

L’equilibrio tra acidità e sapidità fa il resto, in un contesto tutto sommato rotondo, morbido. Il segreto di questo Fiano? Nove mesi sulle fecce, che ne fanno un vero e proprio concentrato dell’essenza del grande vitigno irpino.

3) Sul bigliettino da visita di Mario Notaroberto c’è scritto in chiare lettere: “Contadino”. Un marchio di fabbrica genuino, che si ritrova anche nel Fiano Cilento Dop Valmezzana 2015 della sua cantina, Albamarina. Siamo in località Badia nel Comune di Centola, una sessantina di chilometri a Sud di Agropoli, in provincia di Salerno. Un progetto “contadino”, quello di Mario Notaroberto, che mira al rilancio del Cilento nel nome di un’enogastronomia fondata sul valore della “terra”.

E di “terra” ne troviamo tanta nel suo Fiano. Due le annate in degustazione, con la 2015 che – rispetto alla 2016 – evidenzia un’evoluzione già netta, tutt’altro che completa. Note floreali e fruttate si mescolano a richiami erbacei decisi, naturali. Sembra d’essere in piena campagna quando al naso giungono richiami d’idrocarburo, spiazzanti. In bocca gran calore e pienezza: l’acidità rinfrescante ben si calibra con una mineralità degna di nota. Un vino da aspettare, il Fiano Cilento Dop Valmezzana di Albamarina, come dimostrerebbe – secondo Notaroberto – il vendemmia 2012, “ancora in progressione in bottiglia”.

VINI ROSSI
1) E’ di Elda Cantine il miglior rosso di Radici del Sud 2017: si tratta del Nero di Troia Puglia Igp 2014 “Ettore”. Lo premiamo per la grande rappresentatività del vitigno che sa offrire nel calice e per l’utilizzo moderato di un legno che, in altri assaggi, ha distolto l’attenzione dalla vera potenzialità del Nero di Troia: il binomio tra frutta e spezia.

Giova a Elda Cantine la scommessa pressoché totale su questo uvaggio, con il claim aziendale “dalle radici al suo profumo” che, in realtà, è la sintesi della scoperta della “vocazione innata” di Marcello Salvatori. Un progetto del 2000 dedicato alla madre Elda.

Siamo sui Monti Dauni, più precisamente a Troia, in provincia di Foggia. Qui Elda Cantine ha recuperato ed alleva uno dei vigneti più alti dell’intera regione Puglia, situato a 400 metri sul livello del mare. Il Nero di Troia Puglia Igp 2014 “Ettore” è vinificato in acciaio, prima di passare in botti di rovere per 12 mesi.

2) Riscomodiamo Antonio Cascarano per il racconto dell’Aglianico del Vulture Doc 2012 Camerlengo, vino simbolo della sua cantina di Rapolla, in Basilicata. Una sintesi perfetta tra potenza ed eleganza: forse tra le più belle espressioni del vitigno attualmente in commercio in Italia. La corrispondenza gusto-olfattiva è pressoché perfetta: naso e bocca assistono a un rincorrersi tra note marasca, ribes, lamponi, prima di una chiusura delicata di vaniglia, che nel retrolfattivo vira su terziari di cacao e tabacco dolce.

Al palato l’impronta del terroir più evidente: una spiccata mineralità che allarga lo spettro dei sentori, chiamando il sorso successivo e accompagnando verso un finale lunghissimo, tra il fruttato e il sapido. Dodici mesi in barrique di primo, secondo e terzo passaggio, più un affinamento di 8 mesi in bottiglia. Nessuna chiarifica e nessuna filtrazione. Da provare.

3) Per la piacevolezza della beva ecco il Syrah Vino Rosso Doc Sicilia 2014 di Fondo Antico, azienda agricola di proprietà della famiglia Polizzotti Scuderi situata in frazione Rilievo, a Trapani. Un vino dall’interessantissimo rapporto qualità prezzo, che dimostra come il Sud del vino possa concedersi anche prodotti non troppo elaborati, “quotidiani”, ma di qualità. Gran bel naso di frutti rossi puliti, con richiami caratteristici di pepe e macchia mediterranea. In bocca una piacevole morbidezza giocata di nuovo sui frutti rossi, unita a una grande freschezza che chiama il sorso successivo.

VINI ROSATI
Altra menzione per Colli della Murgia, tra i vini rosati. E non solo per il coraggio di mettere in bottiglia, in Puglia, un rosè dallo stile provenzale. Profumi intensi, acidità, freschezza. Questi i tratti distintivi del Rosato Igp Puglia 2016 Sellaia, ottenuto al 100% da uve Primitivo. Colore cerasuolo didattico, colpisce al naso per la pulizia delle note di frutta rossa e floreali di rosa. Una finissima delicatezza che ritroviamo anche al palato, in perfetto equilibrio tra durezze e morbidezze. Buona la persistenza. Uno schiaffo alla Puglia dei rosati ruffiani, che stancano al secondo sorso.

IL FUTURO DI RADICI DEL SUD
Già si conoscono le date della prossima edizione di Radici del Sud, che dal 5 all’11 giugno 2018 tornerà ad occupare le sale del Castello Normanno Svevo della cittadina barese. Già confermato l’impianto, con i consueti incontri BtoB dedicati alle aziende, il concorso dei vini e la due giorni dedicata al pubblico.

La vera novità riguarderà il panel di degustazione, che si amplierà anche all’olio con tre diverse giurie: una composta da tecnici olivicoli, una da massaie e l’ultima da studenti delle scuole alberghiere. “Un modo nuovo di avere a disposizione punti di vista diversi su un mondo, quello dell’olio, con un potenziale ancora fortemente inespresso”, commentano gli organizzatori del Salone.

Altra novità riguarda la due giorni dedicata al pubblico. Il Salone si trasformerà in un vero e proprio mercato del vino e dell’olio, durante il quale i visitatori, oltre ad assaggiare, potranno anche comprare i prodotti delle aziende.

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Enjoy Collio Time, fra strafalcioni e strategia di comunicazione criptica

Attesi da giorni, ecco finalmente ulteriori dettagli su “Enjoy Collio Time“, l’evento organizzato dal Consorzio Tutela Vini friulano “per pensare al Collio del futuro”.

Un ricco calendario di eventi, dal 14 al 18 giugno prossimi, non certo agevolati da una strategia di comunicazione (incomprensibilmente) complicata, al limite del masochismo: informazioni fornite a “spizzichi e bocconi”, peraltro solo a chi si iscrive sul portale enjoycollio.it, e dettagli forniti in maniera poco precisa, non aiutano certo il “winelovers” italiano (figurarsi lo straniero) a pianificare una gita fuori porta all’insegna dell’enogastronomia friulana.

Per non parlare dello strafalcione grammaticale presente sulla pagina web dove è possibile acquistare i ticket d’ingresso alla manifestazione (citiamo letteralmente, mostrandovelo in foto sopra: “un’evento”). Come dire: per il “Collio del futuro”, meglio ripartire dalle basi. Tant’è.

DETTAGLI “TOP SECRET”
Secondo le ulteriori sommarie informazioni fornite dall’organizzazione, i primi tre giorni sono dedicati agli operatori della stampa specializzata nazionale ed estera e ai produttori: prevedono degustazioni, itinerari e presentazioni.

Enjoy Collio Time entrerà nel clou per i winelovers a partire dal weekend. Sabato 17 giugno, dalle ore 17 alle ore 22, presso il Teatro Tenda del Castello di Gorizia, saranno presenti produttori di vino e tipicità gastronomiche locali per la “Mostra d’assaggi e degustazioni” (biglietti a 19 euro acquistabili qui).

Domenica 18 giugno sono invece previste visite guidate nelle cantine dei produttori del Collio e itinerari guidati alla scoperta delle meraviglie enogastronomiche locali (. In contemporanea, sempre nel weekend, i ristoranti di Gorizia e provincia, in collaborazione con l’associazione Gorizia in tavola, proporranno al pubblico menu appositamente studiati per l’evento.

E’ dunque il “Tempo” il tema del primo evento del Collio all’interno della nuova strategia di posizionamento “Enjoy Collio Experience”. I visitatori verranno coinvolti (“enjoy”) per conoscere un prodotto di eccellenza, immergendosi nel Collio per comprenderne storia e valori (“experience”) dove le tradizioni e la natura si raccontano e si svelano.
L’esperienza di quest’anno è incentrata sul valore del Tempo, come storia, presente e soprattutto futuro, ma anche del vino: il tempo della natura ed il tempo delle persone.

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Emilia Sur Lì: vini liberi, anche dal Fisco

Ci sono sfumature capaci di rovinare un bel quadro. Un po’ come i baffi sulla Gioconda, se fossimo al Louvre. Venature dadaiste, in grado di farti andar via dall’edizione 2017 di Emilia Sur Lì – festival dei Vini emiliani rifermentati sui lieviti, con la bocca in paradiso. Ma la coscienza all’inferno.

Tanti buoni vini rifermentati e qualche eccezionale metodo classico (“outsider” solo in teoria) all’Agriturismo La Longarola di Lesignano de Bagni, poco fuori Parma, venerdì 2 giugno. Ma una “leggerezza fiscale” impressionante, con bottiglie vendute da alcuni produttori senza alcuna ricevuta. Vini liberi, insomma. Anche dal Fisco. Vini anarchici. Vini, in realtà, masochisti.

Di fatto, un vero peccato in termini di lungimiranza. Al di là degli aspetti legali della questione, non è la prima volta che assistiamo in presa diretta allo “smercio” di vino senza scontrino, a fiere ed eventi che spesso vedono protagonisti vignaioli “controcorrente”. I paladini della naturalità in vigna, in grado di concordare su rigidi disciplinari di produzione che prescindono (in positivo) dai disciplinari, scivolano (non tutti, è chiaro: ma a questo punto qualcuno isoli i furbi) sulla buccia di banana della legalità.

Un trend pericoloso, che rischia alla lunga – su scale nazionale – di non dare il giusto valore alla produzione di vino naturale. Un’evasione fiscale che fa male a un movimento, quello dei vini prodotti “secondo natura” (senza solfiti aggiunti, biologici, biodinamici…) che meriterebbe d’essere raccontato ogni giorno per l’aumento di interesse da parte del pubblico. Dati positivi a cui questo fenomeno perverso – più italiota che italiano – non può che tranciar le gambe. Perché la storia – da che mondo e mondo – si fa coi numeri. Non con le chiacchiere o le poesie su madre natura, nemica – evidentemente – più dell’industria del vino che dell’industria del denaro.

I MIGLIORI ASSAGGI
Emilia Sur Lì 2017 resta comunque, a tutti gli effetti, una manifestazione di livello nel panorama dei vini “alternativi”. Ecco i nostri migliori assaggi di vini rifermentati e sboccati, compresi alcuni “Metodo Classico” esemplari.

1) Grechetto, Azienda Agricola Gradizzolo. Sono tutti da assaggiare i Grechetto dell’Azienda Agricola Gradizzolo di Monteveglio, in provincia di Bologna. Che si tratti di “Gradizzolo” 2005, rifermentato erbaceo, balsamico, dalla chiusura speziata e lunghissima, o del Grechetto 2015 in anfora (naso splendido sull’anice), oppure del Grechetto 2012, imbottigliato a febbraio 2013 (gran pienezza e complessità, pur mantenendo una straordinaria facilità di beva) i vini di Antonio Ognibene lasciano il segno.

2) “Per Franco” e “Rosso Bergianti”, Azienda Agricola TerreVive Bergianti Vino. Qui siamo a Gargallo di Carpi, in provincia di Modena. “Per Franco” è uno spumante Metodo Classico Rosè ottenuto in purezza da uve Lambrusco della varietà Salamino. Nulla a che vedere con la media dei Lambruschi tradizionali, da cui si discosta fin dalla prima olfazione di cipria, che vira subito sulla frutta.

Uno spumante deciso, di carattere, ben retto su una schiena muscolosa. Non tanto, però, da comprometterne l’assoluta piacevolezza della beva. Rosso Bergianti è invece ottenuto con l’aggiunta di un 20% di uve Lambrusco Sorbara alla base Salamino. Un Metodo Classico giocato sull’acidità tipica, appunto, del Sorbara. Un Lambrusco da bere tutto d’un fiato.

3) Harusame, Casè… naturally wine. Alberto Anguissola tira fuori dal suo scrigno di Casal Pozzino di Travo in Val Trebbia (Piacenza), uno spumante rosato di Pinot Nero in purezza a dir poco eccezionale. Ne vanno matti in Giappone, ma anche in Italia rischia di creare dipendenza. Dopo un affinamento in acciaio per circa un anno, al vino viene aggiunto mosto fresco di Pinot Nero della vendemmia successiva, “in modo da ottenere il livello zuccherino corretto per avviare la rifermentazione in bottiglia”.

Non viene fatto uso di zuccheri industriali o lieviti selezionati per Harusame: solo madre natura per la presa di spuma. Al naso nocciola tostata, che torna prepotente in un palato a dir poco sconvolgente per l’uvaggio. Fragranza pura, soprattutto quando nel retro olfattivo fa capolino l’arachide. La frontiera naturale e dorata di un Pinot Nero, a pochi chilometri dalla sua patria d’elezione: l’Oltrepò Pavese.

4) Spumante Metodo Classico Brut Bianco Antico 2014 Vej, Podere Pradarolo. Altro assaggio sconvolgente il 100% Malvasia di Candia aromatica prodotto in località Serravalle, nel Comune di Varano dè Melegari. Siamo nella bassa Valle del Ceno, in provincia di Parma. Nove mesi complessivi di macerazione: i primi tre prevedono profondi rimontaggi, che anticipano i successivi 6 mesi a cappello sommerso. L’estrazione è totale e in bocca è evidente l’eccezionale equilibrio tra bollicina e tannino. Per la seconda fermentazione è stato utilizzato il mosto 2015.

“Facciamo tanta fatica in vigna per portare in cantina uve sane, comprese ovviamente le bucce: perché poi dovremmo gettarle via?”: il commento di Claudia Iannelli, toscana doc trapiantata in Emilia per seguire il sogno del marito Alberto Carretti, lascia pochi spazi alle interpretazioni. Un Pas Dosè sboccato alla Volé da lasciare il segno. Vej si presenta nel calice di un giallo intenso, tra la camomilla e l’ambrato. Al naso la tipicità della Malvasia di Candia, con uno spunto floreale di rosa. Al palato si fa serio, grazie all’apporto dei tannini che chiamano piatti anche importanti. Lo immaginiamo su un’anatra all’arancia. Divino.

5) Barbera 2014, Camillo Donati. Gli effetti della rifermentazione in bottiglia sono ormai pressoché svaniti nella Barbera 2014 di Camillo Donati, orgoglioso viticoltore emiliano di Barbiano, Parma. Frutta rossa deliziosa al naso, di rara pulizia (alla cieca, note che farebbero quasi pensare a un Pinot Nero altoatesino).In bocca, il residuo zuccherino non infastidisce la beva, che resta seriosa nonostante la predominanza delle note fruttate. D’obbligo lasciare respirare un po’ il vino nel calice, per assaporarne l’evoluzione all’olfatto: la frutta rossa diventa cornice di liquirizia dolce e note erbacee mediterranee. Tutto bellissimo.

6) Frisant Bianco 2016, Il Farneto. A Castellarano, provincia di Reggio Emilia, Bella interpretazione del vitigno Spergola, autoctono dell’Emilia, cui viene aggiunto un 40% di Sauvignon In degustazione la vendemmia 2016, rifermentata a maggio.Naso delicato di pera Williams e fiori bianchi freschi per questo “Frizzante” di colore giallo paglierino intenso. Inattesa un’acidità così spiccata al palato, ben equilibrata con il ritorno delicato delle note fruttate e una mineralità che chiama il sorso successivo.

7) Lambrusco dell’Emilia Igt Rosso Frizzante Secco “Al Scur”, Ferretti Vini.. Frizzanti per Natura. Ottenuto da un 90% di uvaggio composto da sette varietà di Lambrusco (Maestri, Marani, Salamino, Grasparossa, Oliva, Barghi, Foglia frastagliata) e un 10% di uva Ancellotta, altra autoctona emiliana. E’ un Lambrusco sui generis, tutt’altro che “piacione” o “femminile”.

Solo apparentemente una contraddizione, se si considera che la Ferretti Vini è oggi un’azienda a conduzione femminile, grazie all’impegno delle sorelle Elisa e Denise, che hanno saputo far tesoro degli insegnamenti del padre Sante, per 40 anni cantiniere alla Cantina Sociale di Campegine.

“Al Scur”, di fatto, è tradizione e naturalezza. Spuma corposa che tinge un calice porpora, impenetrabile. Naso di quelli che rendono giustizia ai vini naturali, grazie all’apporto di un Grasparossa audace, animale. Il tutto senza perdere finezza. Un anziano contadino con le mani sporche di terra, ma in camicia. Pronto per la messa della domenica.

8) Lambrusco dell’Emilia Igp Frizzante Rosso Secco “Ponente 270”, Podere Cipolla. Denny Bini ci manda in confusione. Tocca rileggere tre, quattro volte gli appunti prima di battere la recensione del suo Lambrusco Ponente 270, piena di ossimori: degustandolo al banco d’assaggio di Emilia Sur Lì, scriviamo prima “austero”, poi “rotondo”. Proprio così, non è un errore. Un’interpretazione esemplare di un blend di Lambrusco Salamino, Malbo Gentile, Grasparossa e Sorbara.

Un vino fresco ed equilibrato, sia al naso sia in bocca, tutto giocato su grasse note fruttate (tendenti al maturo) e su una bevibilità eccellente. Un Lambrusco semplice, ma tutt’altro che banale. Da provare, sempre in casa Podere Cipolla – Denny Bini, il Grasparossa Libeccio 225: più spigoloso e muscoloso, per via di una spalla acida ben più consistente.

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Vini al supermercato

Vermentino di Sardegna Doc 2016 Aragosta, Cantina Santa Maria La Palma

(2 / 5) Non ce ne vogliano il Decanter, l’International Wine Challenge, il Gambero Rosso e l’associazione italiana sommelier (Ais), che tra il 2003 e il 2014 hanno premiato il Vermentino di Sardegna Doc Aragosta della Cantina Santa Maria La Palma con medaglie, “bicchieri” e “grappoli”.

Il vino simbolo della cantina di Alghero, pur presentandosi sugli scaffali di gran parte dei supermercati italiani a prezzi più che allettanti, non andrebbe certo segnalato nel “gotha” dei grandi vini della Sardegna. Un vino bianco che non risponde certo alle esigenze di chi cerca qualcosa più del prezzo, acquistando vino al supermercato.

LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia sotto la lente di vinialsuper è la 2016, l’ultima in commercio. Il Vermentino di Sardegna Doc Aragosta di Cantina Santa Maria La Palma si presenta nel calice di colore giallo paglierino, con riflessi verdolini. Al naso, l’aromaticità tipica del vitigno è solo apparente. Analizzando con attenzione l’olfatto, paiono evidenti i sentori “rinoplastici” di mela golden, pesca, frutti esotici (ananas, mango) e fiori di glicine.

Al palato il corpo è leggero. La percezione “amarognola” tipica della chiusura di gran parte dei Vermentini di Sardegna sovrasta, fin dall’ingresso in bocca, le attese note fruttate. Una nota tanto evidente da coprire anche la mineralità, altro tratto distintivo del vitigno sardo. Un peccato. La persistenza è tutta giocata, monocorde, sul contrasto tra la suddetta nota amarognola, la frutta e la soluzione salina. Facile la beva, per chi non ha pretese di gusto tipico e d’abbinamento. Unica raccomandazione una temperatura di servizio non superiore ai 12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Il nome “Aragosta”, scelto dalla Cantina Santa Maria La Palma per il suo Vermentino “base”, si deve all’abbinamento per antonomasia di questo vino bianco ad Alghero: quello con l’aragosta alla catalana. Ricetta e vino “popolare”: un binomio che funziona, proprio per il prezzo allettante di questo nettare, colonna portante del fatturato di una cantina che vinifica 700 ettari complessivi di terreni dei circa 600 soci della cooperativa. La mancanza di notizie sulla tecnica di vinificazione di Aragosta, suggerisce una lavorazione tradizionale degli acini di Vermentino, raccolti senza una particolare selezione nei vigneti algheresi della nota cantina sarda.

Prezzo: 4,50 euro
Acquistato presso: Auchan / Carrefour / Coop / Esselunga

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Andrea Sartori nuovo presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella

“Sono felice di essere stato scelto per svolgere questo incarico proprio nella zona viticola dove la mia famiglia ha iniziato questo percorso. Credo che i vini della Valpolicella rappresentino, in questo momento, un volano non solo per la viticoltura di Verona ma anche per l’intera economia del nostro sistema: confido dunque in un lavoro di collaborazione di tutto il consiglio di amministrazione per mantenere e per amplificare questo nostro ruolo di primaria importanza”.

Questa la prima dichiarazione di Andrea Sartori (nella foto), nuovo presidente del Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella, ente che tutela – tra gli altri vini – uno dei simboli del Made in Italy nel mondo: l’Amarone.

Esponente della quarta generazione di una famiglia storicamente votata alla produzione del vino, dal 2000 è Presidente di Casa Vinicola Sartori. Dal 2004 al 2010 è stato Presidente di Unione Italiana Vini e, sempre in questi anni, è stato Presidente della Confederazione Vite e Vino e dell’E.M.E. Dopo un periodo di studi alla Columbia Business School della Columbia University, in U.S.A., nel 2015 è diventato Presidente di Italia del Vino Consorzio. Carica, quest’ultima, che manterrà fino al 2018.

Oltre ad Andrea Sartori, il nuovo corso del Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella si avvarrà di consiglieri di fresca nomina: Roberta Corrà, Direttore Generale Gruppo Italiano Vini; Umberto Pasqua di Bisceglie, Presidente Pasqua Vigneti e Cantine; Marco Speri, Titolare Secondo Marco; Marcello Vaona, Titolare Azienda Agricola Novaia.

I revisori dei conti di nuova nomina sono Ernesto Maraia ed Egidio Chiecchi. I Consiglieri riconfermati sono Daniele Accordini, Direttore Generale Cantina Sociale di Negrar; Sergio Andreoli, Consigliere di amministrazione del Gruppo Collins S.p.a. e Consigliere di amministrazione Cantina di Colognola; Mauro Bustaggi, Titolare Corte Figaretto; Luca Degani, Direttore Generale Cantina Valpantena Verona; Paolo Fiorini, Responsabile tecnico Cantina di Soave; Lucio Furia, Presidente Società Agricola Tenute Salvaterra; Andrea Lonardi, Direttore Commerciale Bertani Domains; Giuseppe Nicolis, Titolare Nicolis Angelo e Figli; Marco Sartori, Titolare Azienda Agricola Roccolo Grassi; Vittorio Zardini, Presidente Cantina Sociale di San Pietro in Cariano. Il revisore dei conti riconfermato è Franco Puntin.

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Enjoy Collio (14-18 giugno): il Friuli del vino guarda al futuro

“Un nuovo percorso per pensare al Collio nel Futuro, forte dei suoi valori e della sua storia”. Così il Consorzio Tutela Vini Collio sintetizza “Enjoy Collio – Persone, vino, territorio”, l’evento in programma da mercoledì 14 a sabato 18 giugno. Un viaggio nella magia dei vini della rinomata area vinicola del Friuli Venezia Giulia.

In provincia di Gorizia, a ridosso del confine con la Slovenia, nasce il Collio, zona di produzione di pregiati vini ai quali nel 1968 è stata riconosciuta la Doc. Un territorio ideale per una vacanza “slow”, tra storia, cultura ed enogastronomia.

Il “Tempo” è il tema del primo evento del Collio all’interno della nuova strategia di posizionamento “Enjoy Collio Experience”. Per i dettagli è ancora presto. Quel che è certo è che i visitatori saranno coinvolti (“enjoy”) per conoscere un prodotto di eccellenza, immergendosi nel Collio per comprenderne storia e valori (“experience”) dove le tradizioni e la natura si raccontano e si svelano. Una “esperienza” incentrata sul “valore del Tempo” come storia, presente e soprattutto futuro, ma anche del vino: il tempo della natura ed il tempo delle persone.

IL CONSORZIO
“Dentro Enjoy – spiega il Consorzio Tutela Vini – c’è la magia del Collio, fatta di persone che con le loro vite hanno vestito questa terra della sua cultura, coi suoi confini in movimento, con i vigneti che si arrampicano sulle colline regalandoci vini straordinari”.

“I 1500 ettari vitati – evidenzia il Consorzio – si alternano a piccoli borghi in un territorio fatto di sole colline, piene di vite, che si raccontano nei vini. Passione, impegno, tradizione, cultura e clima, convivono in equilibrio con un ecosistema che vince la sfida col tempo, e che con i suoi vini guarda al futuro, con una visione forte e condivisa, retta dalla propria storia e dal coraggio dei produttori”.

“Il Consorzio tutela vini Collio, terzo consorzio per fondazione in Italia, ottiene il riconoscimento della DOC nel 1968. Rappresenta 166 aziende di questo straordinario territorio. Un’oasi di vita immersa tra dolci e lussureggianti colline – evidenzia ancora il Consorzio – accarezzate dai vigneti curati come giardini. La vocazione alla coltura della vite ha radici antiche e qui nascono i vini bianchi tra i più pregiati al mondo vere e proprie opere d’arte contadina. È l’amore per questa terra che guida il cuore dei produttori, lo stesso amore che si respira guardandosi attorno. Armonia ed equilibrio con la natura in un tempo scandito da antichi ritmi rurali che ricordano come l’agricoltura sia l’arte di saper aspettare”.

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news visite in cantina

Sulle ali del Moscato di Scanzo con capitan De Toma

Ditegli di tutto. Tranne che è uno coi piedi per terra. Giacomo De Toma è la contraddizione fatta uomo. Fino a ieri capitano di Boeing su tratte internazionali. Oggi pilota privato, in giro soprattutto per l’Europa. Ma col cuore sempre tra le sue vigne di Moscato di Scanzo.

La destinazione più desiderata, quella che non scorre sui tabelloni aeroportuali, è Scanzorosciate. Il paesello che ospita la Docg più piccola d’Italia. Altro che New York, Hong Kong o Città del Capo. E come dargli torto.

Dalla casa-cantina disposta su tre piani nella frazione di Rosciate, tra filari decennali che sfidano la gravità ci si dimentica in un attimo di essere ad appena 6 chilometri dal centro della città di Bergamo. Un’oasi di pace e di silenzio. Dove crescono rigogliosi i grappoli di Moscato di Scanzo, trattati come figli da capitan De Toma e dalla moglie Stefania. Passione, professionalità, coraggio e dedizione contraddistinguono una cantina che, di anno in anno, raccoglie premi e riconoscimenti a livello internazionale.

Merito anche di un terroir unico, contraddistinto dalla presenza di una formazione calcareo-marnosa nota col nome di “Sasso della Luna”, che conferisce mineralità al calice fruttato di Moscato di Scanzo. Una terra arida, ciottolosa, con pendenze degne della “viticoltura eroica” italiana. Per le radici della vite significa naturale competizione idrica e altrettanto naturale controllo di una resa limitata per ceppo. Tradotto: poca quantità, tanta qualità.

“Un Comune, quello di Scanzorosciate, ben servito dalla rete viabilistica urbana che circonda la città di Bergamo – evidenzia Giacomo De Toma – ma che sembra appartenere a un’altra dimensione. Pare di essere in un piccolo angolo di Toscana, per la presenza di numerosi vigneti della Valcalepio, ma anche di ulivi ed uliveti”.

Chi si aspetta un Moscato tradizionale si sbaglia. Il Moscato di Scanzo è una varietà autoctona a bacca rossa, che dà vita a un vino passito (dunque dolce) eccezionale e unico nel suo genere.

“Mentre in casa si comincia ad accendere i caloriferi – sottolinea il viticoltore bergamasco – noi iniziamo la vendemmia tardiva del Moscato di Scanzo, nel mese di ottobre. Segue l’appassimento delle uve su graticci per almeno 35 giorni (ben oltre il disciplinare, ndr) e la vinificazione in vasche di cemento vetrificato, con inoculazione di lieviti selezionati”.

Ad assicurare le perfette condizioni per la fermentazione e la maturazione, una grotta comunicante con la stanza delle botti, scoperta in occasione di alcuni lavori di ristrutturazione della storica cantina. Uno spaccato perfetto del terreno dove affondano le radici le vigne.

La famiglia De Toma, giunta ormai alla quarta generazione (con la quinta già scalpitante ai box di partenza) possiede 2,5 dei 32 ettari vitati di Scanzorosciate e produce 4 delle 50 mila bottiglie da mezzo litro dell’intera Denominazione di origine controllata e garantita, su cui vigila un Consorzio a capo di 20 produttori.

Un vino dai numeri risicati, ma dalla storia antichissima. I primi cenni storici risalgono al 1300-1400. Notizie della fine del Settecento riguardano poi Giacomo Quarenghi, architetto bergamasco ai servigi della zarina Caterina II, abituato a portare in Russia il Moscato di Scanzo prodotto dalle sue vigne. Terreni che, proprio in quell’epoca, sono stati ereditati dalla famiglia De Toma, come prova lo storico atto notarile a firma dalla contessa vedova del Quarenghi. Si parla di questo straordinario vino anche in occasione delle battaglie tra Guelfi e Ghibellini, durante le quali si verificarono vere e proprie “razzie di carri di Moscatello di Scanzo”.

La svolta, per i De Toma, avviene negli anni Settanta. Il nonno di Giacomo acquista una superficie importante, che consente alla famiglia di passare dal consumo privato alla commercializzazione. E con Giacomo De Toma, lontano ormai da qualche anno dai cieli di mezzo mondo, la sterzata è definitiva. Il Moscato De Toma è sulla carta dei vini di prestigiosi ristoranti stellati italiani e internazionali.

E a Vinitaly lo stand della cantina è ormai preso dall’assalto da vip e intenditori che fanno a gara per aggiudicarsi i pochi posti alle degustazioni delle vecchie annate, praticamente introvabili e (giustamente) a peso d’oro: 2001, 2003, 2008, 2010. Verticali fino all’ultima vendemmia in commercio, la 2013, organizzate con Aspi Verona e il sommelier Fabrizio Franzoi.

In botte riposa la 2015, che già esprime tutte le sue potenzialità: un bouquet di grande eleganza al naso, su frutti di bosco, fragolina in primis, marasca e floreale di rosa. In bocca le medesime note fruttate, fini. L’acidità chiama un sorso dietro l’altro. E il retro olfattivo, lungo, ricorda di nuovo i piccoli frutti di bosco, impreziositi da una chiusura di rabarbaro.

UN BERGAMASCO IN FRANCIACORTA
Un vino per palati fini, insomma, il Moscato di Scanzo De Toma. Un passito da conservare per le grandi occasioni, o i momenti di festa. Oltre al vino, i De Toma offrono un panettone al Moscato di Scanzo e preziosi cioccolatini al Moscato e alla Grappa di Moscato di Scanzo.

“Un progetto – spiega Giacomo De Toma – cui ci siamo affacciati con lo stesso piglio, volto all’eccellenza. Il panettone è prodotto da una pasticceria di nostra fiducia attorno all’inizio del mese di dicembre, con ingredienti freschissimi e tecnica artigianale, tanto è vero che ha la scadenza di un mese. Per i cioccolatini ci siamo invece affidati a due professionisti assoluti come Cristian Beduschi e Claudio Bonezzi”. Ne è nato un bijoux ripieno di crema al passito bergamasco, ricoperta da una sfoglia sottilissima di cacao fondente all’80-85%. Roba da farfalle nello stomaco.

Ma è sulla vicina Franciacorta che Giacomo De Toma e famiglia hanno messo gli occhi, con un altro progetto all’insegna della qualità. “A fronte dell’insistenza di alcuni nostri clienti, che ci chiedevano di abbinare al Moscato di Scanzo una ‘bollicina’, due anni fa abbiamo deciso di acquistare 2 ettari di terreni tra Gussago e Provaglio d’Iseo, nel Bresciano, vitati a Chardonnay. Vigne di età compresa tra i 20 e i 25 anni, i cui frutti vengono lavorati in conto terzi da un’azienda del posto, che si occupa delle delicate fasi dell’imbottigliamento e affinamento del nostro Franciacorta Blanc de Blancs Extra Brut”.

Affinato sui lieviti per 32 mesi, è il frutto della collaborazione tra De Toma, il sommelier Aspi Fabrizio Franzoi – con cui è stata studiata la liqueur – e l’enotecnico freelance Andrea Gozzini. Un Franciacorta innovativo, più secco e minerale della media franciacortina. Perlage fine, naso di ananas, agrumi, mango maturo. Palato corrispondente, con bollicina non aggressiva, giocato all’insegna della delicatezza e della facilità di beva. Un Franciacorta a tutto pasto, di cui De Toma produce circa 5 mila appassionate bottiglie.

La produzione della bollicina si va ad affiancare a quella dei rossi tradizionali della cantina De Toma: il “quotidiano” Capriccio dell’Abate (12,5%) e il più complesso Cardinale, affinato in barrique (12,5%). Entrambi ottenuti dal blend tra uve Merlot (50%), Cabernet Sauvignon (30%) e Moscato di Scanzo (20%).

IL CONSORZIO
“Il Moscato di Scanzo – dichiara Paolo Russo (nella foto), presidente del Consorzio della Docg bergamasca – è un vino unico sotto diversi aspetti. E’ l’unico vino passito Docg ottenuto da uve di Moscato a Bacca rossa, nonché l’unica Docg della bergamasca e la quinta della Lombardia. Inoltre è l’unico vino orobico ottenuto da un vitigno autoctono e costituisce la più piccola Docg d’Italia, in quanto producibile solo nella zona collinare del Comune di Scanzorosciate”.

“Il Consorzio, nato nel 1993 – continua Russo – ha come obiettivo quello di preservare l’unicità di questo vino e raggruppare i tanti piccoli produttori per creare ‘massa critica’. Ad oggi, tra i 20 associati, il più piccolo produce 600 bottiglie e il più grande (tra i piccoli) arriva a 5 mila bottiglie”.

Chiare le idee sul mercato. “Al momento lo sbocco principale del Moscato di Scanzo è il domestico, ma abbiamo dei soci che sono arrivati ad esportare il 30% della produzione all’estero, principalmente negli Stati Uniti, ma anche in Svizzera, Svezia, Cina e Taiwan”.

“Un’occasione unica per conoscere sempre di più questo passito straordinario – evidenzia Paolo Russo – è partecipare alla Festa del Moscato di Scanzo, un evento pensato dal Consorzio e dall’associazione Strada del Moscato di Scanzo e dei sapori scanzesi ormai 12 anni fa, che oggi ha raggiunto rilevanza regionale, raggiungendo una media di 40 mila presenze”. L’edizione 2017 si terrà come di consueto prima della metà di settembre, a Scanzorosciate.

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Al via l’80a Mostra Vini del Trentino: parola d’ordine “enodiversità”

Dal 1925 al 2017. Con qualche interruzione dovuta a problemi organizzativi o alla guerra, tanta è la strada percorsa dalla Mostra vini del Trentino. Un evento che festeggia in questi giorni l’ottantesima edizione all’insegna della parola d’ordine “enodiversità”. Confermandosi come una delle rassegne enologiche più longeve d’Italia.

Questa mattina a Palazzo Roccabruna si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della manifestazione, cui hanno partecipato i rappresentanti degli enti organizzatori: Giovanni Bort, presidente della Cciaa di Trento, Bruno Lutterotti e Graziano Molon, rispettivamente presidente e direttore del Consorzio vini del Trentino, Elda Verones, direttrice dell’ApT di Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi, Roberto Stanchina, assessore comunale alle politiche agricole, Michele Dallapiccola, assessore provinciale all’agricoltura, Francesco Antoniolli, presidente della Strada del vino e dei sapori del Trentino.

“IL VINO E’ CULTURA”
Nell’introdurre l’incontro, Mauro Leveghi, segretario generale della Camera di commercio di Trento, ha ricordato le origini della Mostra, nata nel lontano 1925 allo scopo di far incontrare venditori e acquirenti del mondo del vino, ma trasformatasi negli anni: “Oggi la Mostra  ha un significato prettamente culturale, serve a dar forza al brand Trentino, a sostenere l’immagine del territorio all’interno e all’esterno di esso”.

Giovanni Bort, presidente dell’Ente di via Calepina, ha sottolineato come la Mostra sia da sempre “la cartina al tornasole dell’andamento del settore vitivinicolo locale e il riflesso di quella parte della società trentina che direttamente o indirettamente lavora nel campo vitivinicolo”.

“La Mostra è anche l’occasione per riflettere sulle prospettive del settore. Benché il mercato internazionale sia strategico per molte grandi imprese del vino, il Trentino non può più ragionare solo in termini di fatturato e di volumi”. Così Bruno Lutterotti, presidente del Consorzio, che ha sottolineato come le peculiarità organolettiche dei nostri vini derivino dalla variabilità delle componenti pedoclimatiche del territorio.

“Sarà sempre più importante quindi – evidenzia ancora Lutterotti – continuare con il percorso intrapreso di valorizzazione e tutela dell’ambiente in modo da gettare le basi, anche in termini di formazione, affinché le 6000 aziende del comparto possano essere pronte, se lo vorranno, per fare in futuro un salto verso forme di produzione di tipo anche biologico”.

“UN TRENTINO ENODIVERSO”
A rappresentare il Comune di Trento, l’assessore alle politiche agricole, Roberto Stanchina, che, oltre ad aver evidenziato il legame storico fra la mostra e la città, ha richiamato la necessità di stringere la collaborazione fra istituzioni, cantine ed operatori commerciali perché il vino trentino possa essere sempre più presente nell’offerta locale.

L’assessore provinciale all’agricoltura, Michele Dallapiccola, ha posto l’accento sull’importanza delle “differenze all’interno di un quadro complessivamente unitario”: “Vogliamo un Trentino enodiverso, che promuova la biodiversità in termini di specie viticole e di produzione. In quest’ottica allora perde di senso anche l’opposizione fra grandi cantine e vignaioli perché di fatto essa corrisponde a diverse segmentazioni del mercato. In virtù della propria identità ognuno può trovare la sua collocazione sul mercato rispondendo alle diverse attese del consumatore. Dalla pluralità dei suoi attori il settore trae forza”.

Infine il presidente della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino, Francesco Antoniolli e la direttrice dell’Apt di Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi, Elda Verones,  hanno illustrato il contributo al programma offerto dalla rete dei bar, dei ristoranti e degli alberghi con proposte gastronomiche e pacchetti turistici dedicati. Ha concluso Graziano Molon, direttore del Consorzio vini del Trentino passando in rassegna le iniziative della 80^ edizione della Mostra e ricordando la collaborazione con il Movimento Turismo del Vino che nei giorni 27 e 28 maggio celebra la 25^ edizione di “Cantine aperte”.

IL PROGRAMMA DELLA MOSTRA
Le cantine partecipanti sono quarantadue, con oltre 130 etichette in degustazione. Da Palazzo Roccabruna, che è la sede principale dell’evento – nonché dell’enoteca provinciale del Trentino – le iniziative si estendono anche nei 22 locali della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino che proporranno aperitivi e menù dedicati, oltreché nelle 18 cantine che aderiranno alla 25^ edizione di Cantine Aperte, consentendo ai visitatori interessanti escursioni nei luoghi in cui il vino nasce con degustazioni enologiche e gastronomiche (www.movimentoturismovino.it).

L’80^ edizione della Mostra offre un calendario ricco di proposte, in cui il vino incrocia la gastronomia, il Jazz ed altre coinvolgenti esperienze sensoriali. Si parte con le degustazioni ai tavoli dell’Enoteca giovedì 25 maggio dalle 17 alle 23. Stesso orario anche venerdì 26 maggio, mentre sabato 27 e domenica 28 maggio si apre alle 11 per chiudere rispettivamente alle 23 e alle 22.

Uno dei momenti qualificanti di questa ottantesima edizione è il talk show condotto da Nereo Pederzolli venerdì 26 maggio alle 17.00 a Palazzo Roccabruna: “Generazioni a confronto. Tra passato e presente uomini e donne del vino trentino”.

Pederzolli farà il punto su ottant’anni di mostra avvalendosi delle testimonianze di Elvio Fronza, Lucia Letrari, Giacomo Malfer, Filippo Scienza e Luigi Togn.

Jazz & Wine è l’appuntamento organizzato nella corte interna dell’Enoteca per trascorrere un’ora in compagnia del vino e del jazz “live” di Matteo Turella (chitarra), Luca Rubertelli (sax) e Giordano Grossi (contrabbasso) giovedì 25 maggio alle 20 e di Franco Testa (contrabbasso), Edoardo Morselli (chitarra) e Stefano Pisetta (batteria) venerdì 26 maggio alle 20.

Per chi invece preferisse un’immersione sensoriale fra luci, colore, musica, spettacolo e degustazione, ritornano anche quest’anno i laboratori del gusto “Divinisensi”, proposti da Carlo Casillo e Mariano De Tassis in collaborazione con il sommelier Mario Dorigatti: giovedì 25 e venerdì 26 maggio alle 19 e alle 21, sabato 27 maggio alle 18 e alle 21 e domenica 28 maggio alle 18 e alle 20 (prenotazioni allo 0461/887101).

Infine l’abbinamento cibo-vino: nella cucina di Palazzo Roccabruna i ristoranti Van Spitz di Frassilongo (venerdì dalle 19.00 alle 23.00) e Cant del Gal di Tonadico (sabato dalle 12.00 alle 23.00) si cimenteranno in piatti gustosi della tradizione abbinati ai vini in mostra.

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Vini al supermercato

Sorpresa da Auchan: Franciacorta 2005 a 5,93 euro

(5 / 5) L’astuccio nero, è vero, è un po’ usurato. Ma chi se ne importa, se poi il vino in bottiglia è buono. E di fatto non riserva sorprese il calice di Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia, prodotto dall’omonima cantina di Erbusco, nel Bresciano.

La catena di supermercati Auchan doveva “disfarsi” di alcuni avanzi di magazzino. Ecco dunque il prestigioso metodo classico lombardo a prezzi pazzi sugli scaffali: 5,93 euro. Un 40% di sconto su un prezzo pieno comunque allettante per uno spumante vendemmia 2005: 9,89 euro.

Decidiamo di acquistare tre bottiglie e di testarlo. Ne traiamo l’ennesima testimonianza di come i prezzi del vino della Grande distribuzione, spesso, non siano figli della qualità del prodotto. Piuttosto delle mere logiche commerciali (qui il nostro approfondimento), legate ai contratti stipulati con i fornitori e ai costi di stoccaggio, non indifferenti.

LA DEGUSTAZIONE
Una degustazione, quella del Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia che tornerà sicuramente utile in futuro: perché questo spumante – ne siamo certi – tornerà a presentarsi nei prossimi mesi sugli scaffali di Auchan o di altre catene di supermercati, vista l’impronta aziendale della cantina di Erbusco. E allora voi sarete lì, pronti a farne incetta.

Nel calice, questo metodo classico franciacortino si presenta di privo di particelle in sospensione. Cristallino, molto trasparente, luminoso. Il colore è un invitante giallo dorato, di grande intensità. Le premesse per un’ottima conservazione del nettare in bottiglia, prima della sboccatura avvenuta nel 2016 (a scaffale anche una 2015), ci sono tutte: di fatto, anche il naso non delude.

Con intensità sostenuta, ma allo stesso tempo con grande pulizia, si riescono a distinguere sentori di frutta matura e richiami esotici di lime, uniti alla scorza della buccia d’arancia. Poi, il corredo che ci si può attendere da un metodo classico affinato così a lungo: biscotto al burro e lievito. Non manca una vena sottile balsamica, che impreziosisce il quadro complessivo.

Al palato, nuove conferme della straordinarietà del prodotto, in termini di qualità prezzo: la nota di lime già avvertita al naso si fa tutt’uno col perlage, in ingresso, per tornare poi a presentarsi in un finale sufficientemente lungo.

In mezzo, il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia sfodera corpo e calore di tutto rispetto, giocato sull’equilibrio tra un’acidità piena e la vena dolciastro-balsamica del miele di tiglio. Non mancano echi di frutta secca. Chapeau.

Per quanto riguarda l’abbinamento in cucina, è straordinaria anche la versatilità di questo prodotto, che ricorda quella di certi metodo classico a base di uve Durella: evoluti sì, ma non troppo impegnativi. Dunque bene a tutto pasto, o in accostamento a primi e secondi a base di carne bianca e pesce (in frittura, perché no?), mediamente elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia si compone per il 70% di uve Chardonnay e per il 30% di uve Pinot Nero, allevate a mezza collina in diversi comuni della Franciacorta. In seguito alla raccolta manuale delle uve viene eseguita la pressatura soffice. La fermentazione del mosto avviene in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata, con l’impiego di lieviti selezionati. In primavera il vino viene posto in bottiglia per una lenta rifermentazione, a contatto con il proprio lievito. Ultimo dettaglio? Sul web, il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia è reperibile a un prezzo che oscilla tra i 19 e i 25 euro. Ancora dubbi sui vini in offerta al supermercato?

Prezzo: 9,89 euro
Acquistato presso: Auchan

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Vini al supermercato

Barbera d’Asti Superiore Docg 16 mesi 2014 Le Orme, Michele Chiarlo

(4,5 / 5) “Il nostro primo vino, l’amore più grande”. Basterebbero queste parole per descrivere il calice di Barbera d’Asti Superiore 16 mesi 2014 “Le Orme”.

Le stesse usate dalla Michele Chiarlo per definire il “vino d’entrata” dell’azienda di Calamandrana distribuito sugli scaffali della grande distribuzione organizzata, in particolare di Esselunga.

E se la “base” è questa, figurarsi le vette della produzione di questa cantina, vero e proprio riferimento di qualità dell’enologia piemontese (e italiana). Ma a noi spetta andare oltre.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, la vendemmia 2014 mostra una veste color rosso rubino, con riflessi violacei. Limpida e carica. Al naso la vena fruttata – tipica della Barbera d’Asti – è di rara eleganza tra le referenze Gdo. Uno di quegli olfatti che, da soli, portano la bocca a salivare, pregustando il nettare. Piccoli frutti rossi fragranti e ciliegia, uniti a una vena floreale fresca e a un accenno di mineralità. La stessa che, poi, sarà confermata al palato.

“Le Orme” 2014 è una Barbera d’Asti Superiore in evoluzione. Lo si capisce dal caldo ingresso in bocca: un teatro naturale che si apre – corrispondente all’olfatto – su sentori di piccoli frutti rossi. Intensità e finezza sono pari al corpo, di buona struttura. L’acidità è spiccata e ben si bilancia con la vena sapida. Lunghissimo il retro olfattivo, sempre sui frutti rossi.

Se legno è stato utilizzato – come risulta dalla tecnica di vinificazione – questo è tutt’altro che invasivo: oseremmo dire neppure percettibile, tanto è preponderante la vena fruttata che domina la beva. L’abbinamento perfetto della Barbera d’Asti Superiore 16 mesi Le Orme di Michele Chiarlo è con i primi piatti al ragù. Può essere accostata anche a secondi di carne bianca e rossa.

LA VINIFICAZIONE
Le uve per Le Orme provengono dalla tenuta Orme su La Court, situata a Castelnuovo Calcea (AT) e da altre vigne di Barbera situate nell’Astigiano, Montemareto e Costa delle Monache.

Non facile ottenere un prodotto di tale eleganza e qualità in occasione di una vendemmia come la 2014. Chiarlo ha effettuato “diradamenti estremi per vendemmiare infine solo grappoli perfettamente sani”. La resa della Barbera ha così registrato un decremento del 28% rispetto alla media (5-6 grappoli per ceppo). La vinificazione prevede 16 mesi complessivi in acciaio, legno e bottiglia.

Prezzo: 8,80 euro
Acquistata presso: Esselunga

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Caro Gerry, quante domande sul vino a Caduta libera!

Da “Chi vuol essere milionario?” a “Chi vuol essere vignaiolo?”, il passo è breve. Chiedere per credere a Gerry Scotti, che forse chiamerà così il suo nuovo programma in onda sulle reti Mediaset. O forse no? Sarcasmo che sorge in base alle segnalazioni di alcuni attenti lettori di vinialsuper.

Secondo i quali, la terza edizione di “Caduta Libera”, il quiz a premi condotto nel preserale di Canale 5 dallo “Zio Gerry”, sembra essersi trasformata in un gioco sull’enologia. Una metamorfosi tutt’altro che kafkiana.

Da quando il conduttore Mediaset ha annunciato pubblicamente l’avvio della produzione di una linea di vini nel suo Oltrepò Pavese, le domande di “Caduta Libera” – come mai prima – vertono sovente sul mondo del vino.

LA CRONOLOGIA NON MENTE
E’ il 10 aprile quando Scotti presenta in pompa magna alla stampa il suo progetto da “vignaiolo”, in collaborazione con la nota cantina Giorgi di Canneto Pavese (Pv). La notizia viene data in pasto ai media proprio in occasione di Vinitaly, la più importante rassegna nazionale sul vino in programma annualmente a Verona. In sala tanti vip: da Rodolfo “Rudy” Zerbi al maestro Beppe Vessicchio.

C’è addirittura un rappresentante del Gambero Rosso, che interviene al tavolo dei relatori accanto a Gerry Scotti e a Fabiano Giorgi, patron della cantina pavese partner del conduttore Mediaset. Baci, abbracci, applausi. Tutto bellissimo.

Grande ressa, nelle ore successive, allo stand della famiglia Giorgi, nel cuore del padiglione dedicato all’Oltrepò pavese: i vini col “faccione” di Scotti fanno bella mostra sul bancone e lo staff fatica a contenere l’ondata di appassionati e curiosi. Un successo di pubblico, anche se i vini – secondo noi, modesti commentatori – non sono granché.

Vinitaly esaurisce così la sua spinta mediatica. Ma allo Zio Gerry serve meno di un mese per tornare a parlare di vino. E lo fa a “Caduta libera”, per l’appunto. E’ il 5 maggio quando a uno sfortunato concorrente viene chiesto qual è il nome di un noto “Vino rosso dell’Oltrepò pavese”. Dieci lettere. La prima è una “B”, l’ultima una “O”.

E’ il “Barbacarlo”, vino rosso che ha fatto la storia dell’Oltrepò pavese del vino, ma non tanto da essere alla portata “popolare” del target Mediaset delle 19. Tant’è. Gerry assiste alla caduta nella botola del concorrente lodando Lino Maga, padre di questo vino oltrepadano, noto appunto col soprannome di “Signor Barbacarlo”.

Passano appena tre minuti. Scoccano le 19.53. Il canale è lo stesso, il programma pure: Canale 5, “Caduta libera”. “La zona vitivinicola più celebre della California?”, chiede Scotti a un altro concorrente. E’ la “Napa Valley”. E anche in questo caso l’ignaro concorrente scivola sul vino. Sprofondando nella botola.

Si susseguono un altro paio di segnalazioni che giungono alla nostra redazione. Fino alla puntata di stasera, 19 maggio. “Caduta libera” è iniziato da 9 minuti quando il campione di turno decide di sfidare un giovane di un metro e novanta d’altezza, con la camicia blu. Si chiama Marco.

“Da dove vieni?”, chiede Scotti. Il ragazzo è di Santena, vicino Torino. “Cosa fai nella vita?”, incalza poi lo Zio Gerry. “Sono un call center manager“, risponde il giovane. “Di cosa vi occupate?”, chiede un sempre più interessato Scotti. “Vini e creme”, è la clamorosa risposta del concorrente. Bingo.

Un assist che sembra servito sul piatto d’argento. “Vini?”, chiede Scotti. “Perbacco – aggiunge, mettendosi le mani sul petto – che ti dicono dei miei vini? Parlano bene?”. “Sì”, replica il giovane, che in verità tradisce parecchio imbarazzo. “Se dici no si apre la botola subito – scherza Gerry – non c’è nessun problema!”.

Il conduttore, non pago, rincara la dose imitando Adriano Celentano: “Stanno andando forte (i miei vini, ndr), vi ringrazio. Perché li ho fatti col cuore”. Davvero a Gerry Scotti serve tutto questo? Di certo ai concorrenti di Caduta libera serve arrivare in studio preparati. Sul vino.

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Vini Doc e Docg Montefalco: i migliori al supermercato

Seconda fermata Montefalco. Dopo la grande degustazione di vini dell’Oltrepò pavese destinati agli scaffali della Grande distribuzione organizzata, vinialsuper passa al setaccio la denominazione Montefalco.

Un territorio che conta 1500 ettari vitati e 70 aziende vinicole, per una produzione complessiva di poco superiore a 3 milioni di bottiglie. Un balzo nell’Umbria di grandi vini come il Montefalco Sagrantino Docg, secco e passito, o il Montefalco Rosso Doc. Senza dimenticare vini bianchi come il Montefalco Grechetto Doc e il Montefalco Bianco Doc, poco trattati dalla critica enologica e spesso bistrattati dalle catene della Gdo.

L’occasione per la degustazione è offerta dall’ultima edizione di Vinitaly. A guidarla è Maruska Passeri, responsabile delle attività promozionali, tecniche e amministrative del Consorzio di Tutela Vini Montefalco, accanto al presidente Amilcare Pambuffetti.

“Con le recenti modifiche al disciplinare della Denominazione di origine controllata Montefalco – evidenzia Pambuffetti – abbiamo cercato prima di tutto di valorizzare i nostri vini bianchi. La distinzione tra Montefalco Grechetto e Montefalco Bianco ci consente di valorizzare rispettivamente due vitigni autoctoni come il Grechetto e il Trebbiano spoletino. Successivamente abbiamo allargato per il Montefalco Rosso la parte a Sagrantino, portandola dal 15 al 20% (rispetto alla base preponderante di Sangiovese, ndr). Questo perché il Montefalco Rosso è il vino più venduto della denominazione, anche in Gdo. E quindi abbiamo inteso dare ulteriore spinta a questo fenomeno”.

Le modifiche arrivano in un 2017 da ricordare per il Consorzio umbro. Non solo perché il disciplinare del Montefalco non subiva “ritocchi” dal 1992. Ma soprattutto per il 25° compleanno della Docg Sagrantino. “Molte aziende del territorio sono di medie e piccole dimensioni – evidenzia il presidente Pambuffetti (nella foto) – e riescono a raggiungere la Gdo solo a livello locale, dove le varie catene di supermercati intendono valorizzare le produzioni locali”

“Ci sono invece altre aziende – continua Pambuffetti – che riescono a penetrare la Gdo a livello nazionale. In base ai dati in nostro possesso non possiamo che essere soddisfatti: agiamo in una fascia medio alta e costituiamo una componente di lustro nell’assortimento dei vini dei supermercati. Ovviamente la promozione del nostro territorio, come Consorzio, passa anche da iniziative come quelle legate al giro d’Italia del ciclismo”.

La Crono Sagrantino, con i suoi 40 chilometri tra le colline vitate di Montefalco, Bevagna, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo, svoltasi proprio martedì 16 maggio. Iniziative che danno lustro a un territorio che, negli anni, ha visto salire l’export di vino sino al 30% della produzione totale, con Stati Uniti e Canada a fare da apripista, seguiti da Inghilterra e Germania.

LA DEGUSTAZIONE
“Come Consorzio abbiamo il compito di rappresentare tutti indistintamente, ma possiamo dire che l’integrazione delle aziende italiane che hanno investito nella nostra zona costituisce un arricchimento complessivo. Dopodiché, come ovvio, ogni singola azienda promuove una diversa filosofia di fare vino ed è giustificata dalle caratteristiche della propria rete distributiva. La cosa a cui teniamo è il livello singolo e complessivo, con la consapevolezza che le ‘interpretazioni’ possono essere diverse”.

E’ questo il commento del presidente del Consorzio di Tutela Vini Montelfalco, in seguito all’esito della nostra degustazione di 20 referenze di Montefalco Doc e Docg destinati ai supermercati. A uscirne male, di fatto, è un’azienda molto nota a livello nazionale, la Casa Vinicola Luigi Cecchi: una storica realtà del vino di Toscana con base a Castellina in Chianti (SI), che alla fine degli negli anni Novanta ha deciso di acquistare Tenuta Alzatura nel territorio del Montefalco Sagrantino (tre vigneti a Monterone, San Marco e Alzatura). Il Montefalco Rosso Doc di Cecchi, in batteria con altri 8 vini della medesima tipologia, non convince: facile, “piacione”, sfacciatamente “quotidiano”. In poche parole, poco territoriale e molto commerciale.

I ROSSI
Già, perché si può essere “autentici” anche in Gdo. Ne sono una prova altri due Montefalco Rosso Doc. Quelli di Fratelli Pardi e dei Viticoltori Broccatelli Galli. Il primo è un vendemmia 2015 ottenuto dal blend tra Sangiovese (70%) più un 15% di Sagrantino, completati da Merlot e Cabernet (vecchio disciplinare).

Il secondo è costituito da Sangiovese e Sagrantino e convince per il grande equilibrio. Menzione anche per il Montefalco Rosso Doc di Goretti: 60% Sangiovese, 20% Merlot, 20% Sagrantino, perfetto compromesso tra semplicità della beva e austerità del corpo, senza cadere in banalità.

Tra i Montefalco Sagrantino Docg la spunta su tutti Cantina Adanti, con quello che è uno dei suoi vini di riferimento, prodotto sin dal 1979. Naso pregiato per la vendemmia 2009, che vibra tra le classiche note fruttate, la grafite e la balsamicità delle erbe aromatiche. Un Sagrantino di grande freschezza quello della casa di Bevagna (PG).

Merita tanto, tra i Sagrantino Docg presenti nei supermercati italiani, anche quello di Antonelli San Marco. Stessa vendemmia, la 2009. E stessa lunga tradizione, per un’etichetta, “Chiusa di Pannone”, prodotta ininterrottamente dal 1981. Un olfatto strepitoso per ricchezza e intensità, cui risponde un palato all’altezza, di grande pienezza. Un Sagrantino da mordere. Prodotti talmente lontani dal Sagrantino di Montefalco Docg “La Campana” di Cecchi, da sembrare di un’altro pianeta.

MONTEFALCO GRECHETTO E BIANCO DOC
E’ di nuovo Antonelli San Marco a spuntarla tra i Montefalco Grechetto Doc in degustazione. La vendemmia è la 2016, davvero fortunata. Il bianco, ottenuto al 100% dal vitigno autoctono a bacca bianca più coltivato in Umbria, esprime un naso intenso che vira dall’esotico al floreale fresco.

Un vino da bere a secchiate d’estate, eppure non banale. La percentuale d’alcol in volume (14%) è sostenuta e conferisce morbidezza e intensità al palato. Completa il quadro un’acidità che aiuta i sorsi a rincorrersi.

Menzione anche per il Montefalco Grechetto Doc 2016 di Adanti, vino bianco che colpisce per l’equilibrio e l’eleganza delle note fruttate e la spiccata mineralità. Un vino da riscoprire negli anni, conservando in cantina qualche bottiglia per valutarne l’evoluzione.

Infine è senza rivali, tra i Montefalco bianco Doc, quello di Scacciadiavoli. Un blend tra Grechetto (50%), Trebbiano (25%) e Chardonnay (25%) vinificati separatamente. Il Grechetto affina in serbatoi di acciaio, lo Chardonnay in botti di legno e il Trebbiano in serbatoi di acciaio, con le bucce. Un bianco strutturato, complesso sia al naso sia al palato, che consente di spingersi a tavola verso abbinamenti di pari entità. Colpisce l’intercalare tra la frutta fresca e quella secca: un gioco bellissimo tra morbidezze e percezioni croccanti. Completa il quadro, al naso, una punta di idrocarburo e di erbe aromatiche.

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Vini al supermercato

Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014, Sartori

(4 / 5) E’ uno dei prodotti di punta della casa vinicola Sartori, nel mondo della Grande distribuzione organizzata. Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo, spesso soggetto a promozioni nelle varie catene di supermercati, è un ottimo prodotto di avvicinamento ai grandi vini della Valpolicella, area nota soprattutto per la produzione dell’Amarone.

Di fatto, il Ripasso è un “cugino” del grande vino del Veneto, portabandiera del Made in Italy nel mondo. Il nome “Ripasso” è dovuto alla particolare tecnica di produzione, che prevede un periodo di macerazione del vino a contatto con le vinacce fermentate di uve atte alla produzione di Amarone (o di Recioto).

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori si presenta di un rosso rubino tendente al granato, impenetrabile. Al naso richiami inconfondibili e tipici di frutti di bosco, tra cui dominano quelli a bacca rossa (ribes e lamponi), senza tuttavia coprire i sentori di mora. Anche i terziari sono evidenti all’olfatto: a tre anni dalla vendemmia, ricordano soprattutto il tabacco, ma anche lo stecco di liquirizia. Con l’ossigenazione, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo Sartori guadagna un pregevole spunto di rosmarino.

L’ingresso al palato è caldo, corrispondente all’olfatto nei richiami ai frutti rossi di bosco. Bocca che poi vira sulla sapidità, che assieme a una equilibrata acidità contribuisce a regalare una beva seriosa ma tutto sommato facile, su piatti di media elaborazione a base di carne e selvaggina. Più che sufficiente la persistenza nel retro olfattivo, dove si assiste al ritorno piuttosto prepotente dei frutti di bosco, questa volta in veste più simile alla confettura.

LA VINIFICAZIONE
Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori è prodotto con uve Corvina (55%), Corvinone (25%), Rondinella (15%) e Croatina (5%), allevate nella zona collinare attorno alla città di Verona. Le radici affondano in terreni di tipo argilloso-calcareo.

In seguito alla selezione delle uve nel vigneto, viene eseguita una delicata pigia-diraspatura e fermentazione a temperatura controllata, per 8-10 giorni. La fase che caratterizza il prodotto, come anticipato, è quella del successivo “ripasso” del vino sulle vinacce dell’Amarone. Un’operazione condotta nel mese di febbraio.

Una seconda fermentazione che favorisce sia l’estrazione dei tannini, sia la longevità, sia l’estrazione degli aromi tipici dell’Amarone. Dopo la fermentazione malolattica inizia l’affinamento di circa 12-18 mesi, che prevede anche un passaggio in botti di medie e grandi dimensioni. Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno 6 mesi in bottiglia.

Prezzo: 7,49
Acquistato presso: Esselunga

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Vermentino Salento Bianco Igt Perla dello Jonio 2016, Cantina Coppola

(4 / 5) E’ uno dei quattro vini della linea “Perla dello Jonio” di Cantina Coppola destinati alla Gdo. Parliamo del Vermentino Salento Bianco Igt prodotto e imbottigliato dalla storica cantina di Gallipoli, in provincia di Lecce.

La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper è la 2016. Grande piacevolezza e facilità di beva, oltre a un ottimo rapporto qualità prezzo, ne fanno un prodotto di tutto rispetto nella “nicchia” dei vini bianchi di Puglia, storicamente terra di grandi e corpulenti rossi.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Vermentino Salento Bianco Igt 2016 di Cantina Coppola si presenta di un giallo paglierino piuttosto intenso, con riflessi verdolini che rendono il nettare brillante. Al naso è intenso, aromatico: richiami floreali di ginestra e mandorlo fanno da contraltare a sentori fruttati di pesca a polpa bianca. Più nascosti richiami alla macchia mediterranea contribuiscono a far emergere l’impronta minerale di questo vino.

E’ in bocca, di fatto, che il Vermentino Perla dello Jonio di Cantina Coppola rivela il suo carattere marcatamente salino. Un tuffo a bocca aperta nel mare di Puglia, dopo aver inspirato i profumi di questa terra straordinaria. Ma chi pensa a un vino “duro” si sbaglia: il palato, nonostante la percezione iodica, si equilibra sulle morbidezze. Un Vermentino di corpo leggero ma non banale, estivo, rotondo. In cui l’acidità gioca un ruolo fondamentale in termini di freschezza della beva. Sorprende (ma solo per la fascia prezzo di riferimento) anche la persistenza più che sufficiente di questo vino bianco pugliese.

Perfetto come aperitivo, il Vermentino della linea Perla dello Jonio di Cantina Coppola si sposa in cucina con piatti semplici della tradizione mediterranea. Accompagna bene antipasti di mare e di terra, primi e secondi non troppo elaborati a base di pesce e, in generale, le carni bianche. Non sfigura neppure alla prova del fritto.

LA VINIFICAZIONE
Cantina Coppola alleva Vermentino dal 1980 in Agro di Alezio, nella Tenuta Santo Stefano, a 72 metri sul livello del mare, sul golfo di Gallipoli. Il sistema di conduzione è la spalliera. I grappoli vengono raccolti a mano, attorno alla metà del mese di agosto e vinificati in maniera tradizionale. L’intero processo di vinificazione avviene in loco, compreso l’imbottigliamento.

“Perla dello Jonio – spiega Giuseppe Coppola – è una linea che abbiamo lanciato da qualche tempo con lo slogan ‘Gusto Quotidiano’, intendendo in questo modo la filosofia del vino di qualità per un consumo giornaliero, con un prezzo accessibile”. L’immagine in etichetta è il perimetro stilizzato del periplo del centro storico di Gallipoli. Un segno dell’inscindibile legame tra i vini di Cantina Coppola, che opera a Gallipoli dal 1489 – ormai alla quindicesima generazione di vignaioli – e il territorio di produzione.

Prezzo: 3,50 euro
Acquistato presso: Famila (Megamark); IperMac

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Signorvino e Domori: i segreti dell’abbinamento cioccolato vino

Chiedigli con cosa l’abbina. C’è un momento preciso in cui il “goloso” si trasforma in gourmand: quando nella testa gli balena il pensiero d’abbinare a quella tavoletta di cioccolato un buon vino. Questione di gusto. Ma anche di sensibilità. E di tecnica.

Occasione imperdibile per tutti i buongustai la degustazione organizzata mercoledì 10 aprile presso Il Centro di Arese (MI) da Signorvino e Domori. Cinque varietà del miglior produttore di cioccolato al mondo, abbinate a tre primizie dell’enologia italiana.

Apurimac (dark chocolate 70%), Sur del Lago (fine cacao 70%), Morogoro (fine cacao 70%) e Criollo (80 e 90%), a fare da contraltare al Barolo Chinato di G.D. Vajra, al Marsala Superiore Riserva 10 anni “Oro” di Marco De Bartoli e al Brandy italiano di Villa Zarri. Che si cercasse concordanza o contrapposizione, poco importa. Il risultato della degustazione condotta per Domori da Giulia Agnolin (marketing) e Beatrice Gaboardi (store manager Arese) e per Signorvino dal wine specialist Matteo Sala e dallo store manager Alessandro Mazzoleni, è stata pura emozione.

LA DEGUSTAZIONE
Si parte con Sur del Lago, cacao 70% proveniente dalla patria del cioccolato Domori, il Venezuela. Un fondente con richiami di mandorla, caffè e un sottofondo nemmeno troppo soffuso di tabacco. Con il Barolo Chinato di G.D. Vajra l’abbinamento funziona, eccome. Tutto si gioca sulle morbidezze. Con il chinato che prova a fare il furbo, sfoderando nel retro olfattivo una spezia piccante che non intacca la piacevolezza dell’abbinamento.

Tocca poi ad Apurimac, dark chocolate 70% originario del Perù. Un cacao Trinitario dall’acidità più spiccata rispetto a quella di Sur del Lago. I richiami di note floreali fresche, spuma di latte e toffee sono una sorpresa. L’abbinamento con il Barolo Chinato Vajra è solo apparentemente in contrasto: la grande freschezza che contraddistingue tutta la produzione della cantina di Via della Viole fa il pari con l’acidità del cioccolato, rinvigorendone con le erbe addizionate al nobile vino Docg piemontese la struttura fresca. Chapeau.


Tocca ora a Morogoro, altro 70% cacao fine proveniente però dalla Tanzania. L’abbinamento con il Marsala Superiore Riserva 10 anni “Oro” di Marco De Bartoli esalta la tostatura del cioccolato e i suoi richiami al legno. Una persistenza aromatica intensa infinita, frutto dell’incontro tra la nocciola tostata che contraddistingue Morogoro Domori e il contributo dei 10 anni di affinamento in fusti di rovere e castagno del Marsala De Bartoli.

Il secondo cioccolato abbinato all’affascinante semi-secco siciliano è il Criollo 80% (Venezuela). La percezione zuccherina è inferiore rispetto a Morogoro. Più evidente la pastosità al palato. Un test più arduo, dunque, per il Marsala. L’abbinamento, in questo caso, si gioca tutto sul filo dell’alcolicità. Il poderoso ma elegante Criollo riesce così a svelare la vena “secca” della base Grillo del Marsala De Bartoli. E’ un trionfo per le papille gustative.


Si passa dunque al Brandy italiano di Villa Zarri, ottenuto dalla casa emiliana su una base di uve Trebbiano. Giulia Agnolin pesca dal mazzo un Criollo 90%, che trae inganno per il colore chiaro, che ricorda tutto tranne un fondente “così fondente”. Un cacao delicato e prezioso, che lascia la bocca pulita. Rotondo. Il Brandy sfoderato dal wine specialist Matteo Sala gioca sullo spunto tannico del cioccolato, che non manca. E, al contempo, ne esalta l’aromaticità.

Tutto bellissimo. Eppure mai quanto la chicca finale. Domori, infatti, ha nel suo paniere anche le fave di cioccolato. Un abbinamento emozionale quello con il Brandy italiano Villa Zarri, che gioca tutto sulla vena vegetale della fava e del Trebbiano. Un modo perfetto per concludere una degustazione da favola.

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Iper La Grande i, “Giro d’Italia in 80 vini”: degustazione e sconti sulla linea Grandi Vigne

Dal Barolo al Nero d’Avola, dal Prosecco alla Falanghina del Sannio. Sarà un vero e proprio “Giro d’Italia in 80 vini” quello in programma all’Iper Fiordaliso di Rozzano (MI), sabato 13 e domenica 14 maggio. Il primo appuntamento della grande degustazione delle “eccellenze vinicole” del marchio Grandi Vigne, la private label di Iper La Grande i.

Tutte etichette di piccoli produttori italiani, selezionati per la catena di supermercati di Montebello della Battaglia (PV) dalla società di consulenza Think Quality di Cuneo. Dopo Rozzano, toccherà ai punti vendita di Savignano sul Rubicone (centro commerciale Iper di Rimini, 11-12 agosto), Seriate (Bergamo, 9-10 settembre) e Milano Portello (6-7-8 ottobre). Chiusura del “tour” in pompa magna, il 21 e 22 ottobre, nel nuovo punto vendita di Arese, presso Il Centro.

Ad attendere i clienti all’interno dei supermercati Iper La Grande i ci saranno i produttori degli 80 vini della linea “Grandi Vigne”, pronti a rispondere a domande e curiosità, assieme ai sommelier della Federazione italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori (Fisar). Il calice di degustazione, prodotto da Bormioli e serigrafato “Grandi Vigne”, sarà acquistabile al costo di 3 euro. A ognuno sarà consegnato un quaderno con elenco completo, breve descrizione e prezzi dei vini in degustazione suddivisi per regione, sul quale appuntare le valutazioni degli assaggi.

Per tutti i possessori di Carta Vantaggi, a Rozzano è previsto uno sconto del 20% su tutti i vini della linea “Grandi Vigne”, dal 9 al 21 maggio. Un risparmio che salirà al 30% in occasione delle degustazioni di ottobre presso i punti vendita di Milano Portello e Arese.

“UNA SCELTA ETICA”
Coltivazione delle viti con l’utilizzo di concimazioni naturali e attenzione alla biodiversità, rispetto dell’ecosistema di cui il vigneto è parte, rafforzamento della naturale resistenza delle viti, affinamento e imbottigliamento in accordo con la natura delle uve.

Sono solo alcune delle attenzioni dedicate dai viticoltori selezionati da Iper la Grande I per la linea Grandi Vigne. La convinzione è che “i vini più grandi spesso nascono in piccolo”.

“La linea Grandi Vigne – spiega Salvatore Caraglia di Think Quality (nella foto) – è distribuita nei punti vendita Iper La grande i e, dallo scorso anno, nei supermercati Unes. Si tratta di circa 80 denominazioni italiane, tutte prodotte da aziende agricole all’origine. Al family feeling dell’etichetta frontale fa eco un’etichetta posteriore sulla quale è riportato il nome e il cognome del produttore. Una scelta ‘drastica’, nel senso buono del termine, nell’ottica di valorizzazione di produttori proprietari di vigne e di cantine, al posto degli imbottigliatori”.

Drastico è anche il processo di selezione dei vini che finiscono sugli scaffali Finiper. “Sono tutti prodotti dal vantaggiosissimo rapporto qualità prezzo – evidenzia Caraglia – che superano test di degustazione alla cieca condotti tra numerosi campioni di vini di fascia prezzo anche superiore, acquistati nei punti vendita della concorrenza o reperiti direttamente nelle cantine di altri produttori italiani”. Un metodo denominato Wine Market Matrix (WMM), brevettato proprio dalla società di consulenza di Cuneo. Vini capaci dunque di competere, a livello sensoriale, con altri della stessa denominazione, ma di fascia prezzo più elevata.

IL FUTURO DI “GRANDI VIGNE”: BIO E SENZA SOLFITI
Anno dopo anno, la linea Grandi Vigne ha radunato oltre trenta fornitori provenienti dalle regioni italiane a più alta vocazione vitivinicola. A piccoli e medi produttori, praticamente sconosciuti, si affiancano grandi nomi. Come Cantina Cortaccia in Alto Adige, o Caparzo per i vini della Toscana.

Ottocentomila bottiglie prodotte complessivamente in un anno, sull’intera linea. E vendite per referenza che vanno dalle 4 mila alle oltre 120 mila unità. Grandi Vigne su grandi cifre, dunque. Come dimostrano le 96 mila bottiglie battute in cassa nel giro di due settimane, in occasione della promozione della scorsa Pasqua nei supermercati Iper La grande I.

“Il futuro – annuncia Salvatore Caraglia – ci vedrà impegnati verso una maggiore attenzione nei confronti dei vini bio e senza solfiti. Non a caso Iper è la prima catena della grande distribuzione italiana che ha investito su una linea di vini senza solfiti aggiunti, a marchio privato. Un progetto avviato lo scorso anno, che avrà sempre più spazio”. Un motivo in più per non perdersi il Giro d’Italia in 80 vini.

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Passito di Pantelleria Doc 2013 Nabil, Miceli

(3,5 / 5) Una chiara nota ossidativa per la bottiglia della vendemmia 2010 ci convince a testare anche la 2013 prima di recensire Nabil, il Passito di Pantelleria Doc delle cantine Miceli. Se nel primo caso il “difetto” è evidente (ma comunque non abbastanza da disturbare in maniera netta la beva) nel secondo è appena percettibile.

Un marchio di fabbrica del produttore? Forse. Di certo c’è che, a conti fatti, il Passito di Pantelleria Nabil è un buon compromesso “qualità prezzo” per chi è a caccia di un vino da abbinare a dolci e prodotti di pasticceria.

Nel calice si presenta di colore ambrato, limpido e trasparente, intenso. Al naso è intenso e tipico. La caccia alla nota ossidativa lascia presto spazio all’albicocca, agli agrumi (arancia candita) e al miele millefiori. Sentori che certamente prevalgono su una leggera balsamicità (finocchietto sotto spirito, anice, mentuccia,) e, soprattutto, sulla percezione di soluzione salina che ritroveremo poi al palato. Un olfatto schietto, dunque, di sufficiente finezza. Ma non certo di elaborata complessità.

In bocca, il Passito di Pantelleria Doc Nabil di Miceli si conferma di corpo, caldo, di buona morbidezza. Le note fruttate mature rendono piacevole la beva, ben calibrate con un’acidità rinfrescante e una salinità che chiama il sorso successivo. Un Passito che, tuttavia, lascia qualcosa a desiderare nel retrolfattivo: leggera la carica aromatica, abbandonata anche dall’acidità. Lo zucchero, così, risulta troppo invasivo e preponderante.

LA VINIFICAZIONE
Nabil è l’etichetta destinata ai supermercati nel quadro della produzione di vini passiti delle Cantine Miceli, che oltre a Sciacca possiedono vigneti e uno stabilimento per l’imbottigliamento dei vini sull’isola di Pantelleria, in contrada Rekale. La base per ottenere il passito Nabil, come da disciplinare, è lo Zibibbo. Uve che vengono lasciate ad appassire sulla pianta e successivamente al sole, prima di essere vinificate.

La Miceli nasce negli anni 30 quando il comandante di Marina Ignazio Miceli smise di ammassare e trasportare con la sua goletta Jasper vino sfuso siciliano da Castellamare del Golfo in diversi porti italiani e francesi. Aprì dunque una rivendita di vino in via Gagini, nel cuore di Palermo. Negli anni Sessanta, il figlio Salvatore e il nipote Ignazio iniziando a produrre in proprio. Una tradizione arrivata sino ai giorni nostri.

Acquistato presso: Auchan
Prezzo: 13,29 euro

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Sakura Award: la Barbera d’Asti che piace alle giapponesi

Altro che tè verde e sakè. La Barbera d’Asti Superiore Nizza “Ru” prodotta da Daniele Chiappone a Nizza Monferrato fa impazzire le donne giapponesi.

Lo dimostra la medaglia d’oro che si è aggiudicata l’azienda vitivinicola Erede di Chiappone Armando al Sakura Award 2017. Solo donne in giuria. Tutte esperte e professioniste del mondo del vino, capitanate dalla Wine consultant, Wine educator e Writer Yumi Tanabe.

La Barbera d’Asti Superiore Nizza “Ru” di Daniele Chiappone si è aggiudicata una delle 899 medaglie d’oro del concorso internazionale, spuntandola tra un totale di 4.212 campioni.

“Un bel risultato che arriva dall’altra parte del mondo – commenta il produttore piemontese – e che dimostra la vocazione internazionale dei nostri prodotti. Ru, in particolare, può essere considerata la nostra bandiera. Fa piacere sapere che una giuria di esperte donne giapponesi l’abbia così apprezzata, anche tra molte altre etichette di produttori italiani”.

Il Sakura Award – Japan Women’s Wine Awards è giunto ormai alla sua quarta edizione. Si tratta del più grande risultato della Wine & Spirits Culture Association, ente che ha come obiettivo l’incremento del consumo responsabile di vino  in Giappone, sotto la guida di Yumi Tanabe.

 

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