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Cuvée Adamantis, Cantina Valle Isarco: «Così l’Alto Adige investe sui vini premium»

Cuvée Adamantis Cantina Valle Isarco Kellerei Eisacktal così Alto Adige investe su vini premium fine wine prezzo armin gratl
Si scrive “Cuvée Adamantis“, si legge “fortuna”: quella che premia gli audaci. In un periodo caratterizzato dalla contrazione delle vendite di vino su scala globale, le cooperative vitivinicole dell’Alto Adige continuano il loro ambizioso percorso di premiumizzazione della produzione. A iscrivere un altro vino ai vertici della gamma – nonché alle prime posizioni della “classifica dei vini altoatesini più costosi – è ancora Cantina Valle Isarco (in tedesco Kellerei Eisacktal). La cantina sociale diretta da Armin Gratl si prepara a commercializzare, a partire da ottobre 2024, l’annata 2021 di Cuvée Adamantis, Vigneti delle Dolomiti Igt che sintetizza le peculiarità della zona. Basi solide con un 50% di Sylvaner, combinato a percentuali minori di Grüner Veltliner, Pinot Grigio e Kerner. Un «Super Alto Adige» o, ancora meglio, un «Super Valle Isarco», dal prezzo importante: 68 euro più Iva, che lievitano a 100 euro – su per giù – a scaffale.

ADAMANTIS CUVÉE 2021: UN «SUPER VALLE ISARCO»

Solo 2 mila bottiglie (numerate) per l’etichetta che, in realtà, ha fatto il suo esordio assoluto sui mercati lo scorso anno, con l’annata 2020. Ma è grazie all’andamento della vendemmia 2021 che Cuvée Adamantis ha trovato i parametri sensoriali desiderati: «Un vino fresco, da bere, da secondo e terzo calice, capace di accompagnare bene un pranzo o una cena, a tutto pasto; ma pensato soprattutto per essere consumato anche da solo, al calice, per la sua bella verticalità e mineralità». Proprio così lo immaginava Armin Gratl, manager protagonista tanto del record del fatturato di Cantina Valle Isarco nel 2023  – 7,85 milioni di euro, mentre è solo in lieve contrazione quello del 2024, a 7,7 milioni – quanto delle decisioni e della stilistica dei vini, accanto al giovane enologo Stefan Donà – subentrato un anno fa ad Hannes Munter – e al superconsulente Riccardo Cotarella.

LA RICETTA DI ARMIN GRATL: FATTURATO ALLE STELLE E VINI DI BEVA

«Cuvée Adamantis – spiega a winemag il direttore generale di Kellerei Eisacktal – è il nostro ultimo vino top di gamma, nel quale vogliamo racchiudere l’essenza della Valle Isarco. Per questo motivo abbiamo fatto ricorso ai vitigni simbolo della nostra zona, a partire proprio da una componente preponderante di Sylvaner, che si attesta al 50%. Mi piace definire questo vitigno lo “Chardonnay di montagna” della Valle Isarco: con la varietà francese abbiamo fatto delle prove, in passato, nell’ottica di realizzare un vino importante. Ma il risultato, in termini di territorialità, non era lo stesso. Il nostro vino deve “sapere” di montagna e crediamo di aver trovato la sintesi perfetta, se così si può dire, con Cuvée Adamantis 2021».

CUVÉE ADAMANTIS CANTINA VALLE ISARCO: L’ASSAGGIO

Alla prova del calice, di fatto, il nuovo vino di punta di Cantina Valle Isarco racchiude, condensa e sintetizza tutte le (migliori) caratteristiche dei vitigni di cui si compone l’assemblaggio. Un vino che fa dell’acidità, e dunque della freschezza, il suo punto forte (solo il 50% della massa compie la fermentazione malolattica). Senza rinunciare, tuttavia, a un certo peso specifico al palato, col frutto esotico e la vena glicerica (alcol ben integrato, a 13,5% vol.) che ribattono colpo su colpo all’esuberanza verticale e a una sapidità elegante, in abito da sera. Aiuta e non poco – soprattutto ora che il vino è giovane e mostra, quasi ruggendo, le proprie abilità in prospettiva – il magistrale utilizzo dei legni di rovere francese, per il 50% nuovi. La tostatura è delicata e contribuisce ad elevare il gradiente di gastronomicità del nettare.

ADAMANTIS 2021: “FILARI PREMIUM” PER LA CUVÉE DI CANTINA VALLE ISARCO

Protagonisti del nuovo vino, al di là della stilistica e delle strategie di posizionamento dell’etichetta – l’80% delle bottiglie viene distribuito su assegnazione in Italia, con prevalenza assoluta dell’Alto Adige, mentre l’export è guidato dagli Stati Uniti, in testa New York e San Francisco – sono alcuni dei 130 soci della cooperativa che ha sede a Chiusa (Bolzano). Cuvée Adamantis è infatti frutto di un progetto di zonazione specifica di diversi vigneti già “in forza” alla prestigiosa linea Aristos di Cantina Valle Isarco. «Più che parcelle, filari altamente selezionati – spiega ancora Armin Gratl – sulla base della qualità delle uve che hanno dimostrato di poter produrre in cinque anni di sperimentazioni». Poche linee di grappoli, baciati dalla fortuna. Quella che aiuta gli audaci, in Alto Adige.


IL PROFILO SENSORIALE DI CUVÉE ADAMANTIS (95/100 WINEMAG)

  • Fiore: 8.5
  • Frutto: 9
  • Spezie, erbe: 7.5
  • Freschezza: 9
  • Sapidità: 8
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 9
  • Facilità di beva: 9
  • A tavola: 8.5
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Valutazione in centesimi winemag.it: 95/100
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Villa Corniole batte Barons de Rothschild (Lafite): in Tribunale vince “Sagum”


La
piccola (ma solo per dimensioni) cantina italiana Villa Corniole ha battuto in tribunale nientemeno che il colosso francese Barons de Rothschild (Lafite). I francesi avevano portato in corte i trentini per via del nome fittizio di uno dei loro Pinot Nero: “Sagum” avrebbe imitato la linea di Bordeaux “Saga R”. Il giudice ha però dato ragione all’azienda italiana. Stabilendo che «non c’è alcun rischio di confusione tra le due etichette, da parte dei consumatori». Il nome “Sagum”, d’altro canto, deriva da “Jugum” – poi traslato appunto in “Sagum” – antico nome con cui veniva identificato il comune di Giovo, in cui vengono coltivate le uve Pinot Nero di Villa Corniole. Domaines Barons de Rothschild (Lafite) dovrà pagare le spese legali del procedimento, per un ammontare che sfiora i 4 mila euro.

«Dopo un lungo percorso – commenta la cantina guidata da Maddalena Nardin – possiamo dire che la nostra piccola cantina vince finalmente il ricorso contro il colosso francese che contestava il nome del nostro Pinot Nero Sagum. È stato difficile, ma la giustizia ha prevalso. Continueremo a produrre il nostro vino con lo stesso amore e impegno, fieri di portare avanti il nostro nome. Tutto questo ci insegna che a volte anche Davide può vincere contro Golia, il piccolo può vincere contro il colosso. Non ci resta che brindare a questo trionfo, che ci rende ancora più orgogliosi delle nostre radici e del nostro territorio cembrano. Ringraziamo di cuore lo studio legale Botteon che ci ha assistiti al meglio in questo percorso».

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«Vuoi volare con noi? Bevi al massimo due bicchieri»: la battaglia anti alcol di Ryanair

Fa discutere nel Regno Unito la proposta dell’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary. Il Ceo della compagnia aerea low cost vorrebbe stabilire «un massimo di due bicchieri di alcol per passeggero negli aeroporti», al bancone dei bar o dei pub degli scali. Una sorta di limite per poter volare, sulla scorta della tolleranza (minima o addirittura nulla, in alcuni Paesi) al consumo di alcolici per chi vuole mettersi alla guida, sulla terra ferma. All’origine della richiesta del rappresentante di Ryanair ci sarebbe «un’impennata di casi di violenza a bordo», sugli aerei della compagnia britannica. Con protagonisti «passeggeri in stato di alterazione per l’assunzione di alcol, pastiglie o polveri». Nessuna misura viene comunque annunciata sul taglio dell’alcol a bordo dei velivoli Ryanair.

Durissime le parole di Michael O’Leary alla stampa britannica: «Non vogliamo negare alle persone di bere – ha dichiarato al Daily Telegraph – ma non permettiamo alle persone di guidare in stato di ebbrezza, eppure continuiamo a farle salire su aerei a 33 mila piedi. Un tempo, chi beveva troppo si addormentava. Ora alcuni passeggeri assumono anche pastiglie e polveri: un mix che genera comportamenti aggressivi, difficili da gestire. Finché riescono a stare in piedi, mescolandosi nei gruppi di passeggeri ai gate, la fanno franca. Appena decolla l’aereo assistiamo a reazioni inaccettabili, tanto che il personale Ryanair ispeziona le borse alla ricerca di alcolici prima che i passeggeri si imbarchino sui voli per Ibiza. Questa è una delle “destinazioni festaiole” più colpite, insieme alle isole della Grecia».

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Mundus Vini Summer Tasting 2024: più giovani degustatori, più giudizi moderni

Mundus Vini Summer Tasting 2024: più giovani degustatori, più giudizi moderni. Photo Credit: AD LUMINA

EDITORIALE – Chiude con un successo forse mai così fragoroso Mundus Vini Summer Tasting 2024, edizione estiva del concorso enologico internazionale organizzato dalla casa editrice Meininger Verlag, a Neustadt an der Weinstrasse, in Germania (29 agosto-1 settembre, qui i risultati dell’Italia). “Fragoroso” perché il quartetto composto da Ulrich Fischer, Robert Joseph, Christian Wolf e Kirk Bauer, insieme con Andrea Meininger-Apfel e Christoph Meininger, è riuscito ad andare ben oltre la degustazione di 3.914 vini da 39 Paesi (in testa l’Italia con 1.130 vini) da parte di 119 giudici internazionali di 32 diverse nazionalità. Dalla Germania arriva infatti più di un messaggio forte e chiaro all’intero settore. Il primo, scusate la franchezza, è la necessità di “sfoltimento” generazionale della critica enologica internazionale. Ma si è anche discusso, senza giri di parole, delle derive allarmistiche sull’alcol e dei nuovi trend di consumo. Vediamo i temi, punto per punto.

GIUDICI PIÙ GIOVANI A MUNDUS VINI: COSA CAMBIA?

Circa una ventina di giudici di età avanzata (uguale o maggiore a 70 anni) sono stati sostituiti da esperti del settore più giovani, al Mundus Vini Summer Tasting 2024. Si tratta per lo più di professionisti europei, di età compresa fra i 30 e i 40 anni. Nella commissione che ho avuto l’onore di presiedere quest’anno, ben due giovani membri hanno fatto il loro esordio assoluto al concorso (peraltro due donne, dettaglio rilevante in termini di “quote rosa”). L’età media del mio tavolo è così scesa a circa 40 anni (quattro membri su 5 sotto i 40 anni, uno di 65 anni), in perfetta armonia con il vento di ringiovanimento deciso dal board di Meininger Verlag e in controtendenza con le edizioni passate. I “giudici senior” rimasti a casa erano stati premiati sul palco di Mundus Vini in occasione della Spring Edition dello scorso febbraio, per il loro impegno sin dagli esordi del concorso.

Ma cosa è cambiato, a livello pratico? Secondo il mio personale avviso, il concorso ha fatto un passo da gigante quest’anno, soprattutto nella corretta valutazione di vini più freschi, dotati di acidità vibranti e di un profilo meno condizionato da sovra concentrazioni, alcol ed utilizzo di barrique nuove o chips. Una riprova? Lo straordinario flight di Chianti Classico che ha visto premiate – almeno al nostro tavolo – espressioni tanto tipiche quanto “verticali” della denominazione, che come altre si sta orientando verso un profilo che premia la bevibilità, senza per questo rinunciare a tipicità, carattere e capacità di affinamento. Stessa storia per i Nebbiolo da Barolo o, restando in Piemonte, per alcune Barbera d’Asti e Barbera d’Alba. Da innamorarsi, a maggioranza assoluta, certi Ciliegiolo della Toscana, in compagnia di varietà autoctone in ascesa come il Pugnitello.

L’OTTIMA PERFORMANCE DEI VINI… “MODERNI”

L’Italia si è comportata molto bene anche con il Prosecco Rosé, mai così “croccante” (!) e leggibile sui descrittori floreali e fruttati del Pinot Nero, nel matrimonio sensoriale con la Glera. Impressionante, peraltro, l’uniformità tra i diversi campioni di Prosecco Doc “in rosa” (ho scritto “uniformità”, non “standardizzazione”). È il segnale di una base produttiva che sa dove andare, in locomotiva, alla conquista dei mercati internazionali (alzi la mano, a proposito, chi non ha ancora compreso le ragioni pratiche del successo del Prosecco, a livello intergalattico; sì, proprio così: probabilmente gli extraterrestri non vivono d’acqua, ma un giorno ritroveremo tra le mani di ET una bottiglia di spumante Made in Veneto, o Friuli…).

Non hanno fatto “paura”, ai giudici, Fiano e Falanghina tesi e salini, minerali e bilanciati nella componente alcolica. Così come hanno convinto, e parecchio, alcuni splendidi “Super Romanian” base Feteasca Neagra, capaci di abbinare frutto, corpo, beva e capacità di invecchiamento. O i Cabernet Sauvignon dell’Australia, senza sovra estrazioni ormai da qualche annetto senza risultare affatto “vuoti”, al pari degli uvaggi Tempranillo-Garnacha-varietà bordolesi dalla Cariñena (Spagna), piacevolmente freschi e liberati dalle intemperanze della loro tradizionale robustezza alcolico-estrattiva. D’altro canto, nessuna paura per le interpretazioni innovative di una varietà molto tannica, come il Saperavi della Georgia, altra grande, positiva sorpresa dell’edizione estiva di Mundus Vini.

Il gruppo di giovani produttori tedeschi del Palatinato, Die Junge Pfalz, al Mundus Vini Summer Tasting 2024. Sotto: Lukas Hammelmann e lo spumante senz’alcol “Freepearl” di Weingut Holz-Weisbrodt

PIÙ GIOVANI… CON I GIOVANI DI DIE JUNGE PFALZ

Esempi, questi, utili a comprendere come sia utile «andare avanti ed evolversi» – queste le parole utilizzate da Christian Wolf per spiegare il ricambio generazionale in corso a Mundus Vini – anche tra chi giudica i vini alla cieca ad un concorso. Perché nel calice di ogni giurato si possono trovare descrittori capaci di richiamare viaggi, scoperte ed assaggi quotidiani recenti, aggiornati; oppure frontiere stilistiche internazionali che faranno la storia del settore e determineranno il successo (e la sopravvivenza) di determinate regioni vinicole, sconosciute a palati stagni e a gambe ormai stanche di essere curiose.

A completare la “vista sul futuro” del Summer Tasting 2024, il pomeriggio di assaggi dei vini di Die Junge Pfalz, il gruppo dei giovani produttori del Palatinato (vedi le foto sopra), con un vino più buono dell’altro (su tutti, segnatevi Riesling Zeiskamer Klostergarten trocken, Chardonnay Hochstadt Roter Berg trocken e Spätburgunder Hochstadt Roter Berg trocken del giovanissimo Lukas Hammelmann, distribuito in Italia da Ca’ di Rajo Group e presente in città come Milano da Cantine Isola). Per il board di Mundus Vini, in definitiva, solo applausi. Un esempio da seguire, in ogni angolo del pianeta (Italia compresa).

LE DERIVE ALLARMISTICHE SUL CONSUMO DI ALCOLICI

Secondo e ultimo tema “extra degustazione” del Mundus Vini Summer Tasting 2024 è stato la presa di posizione decisa e ferma del gruppo editoriale tedesco Meininger e del board del concorso contro le derive allarmistiche sul consumo di alcolici. Christoph Meininger e Christian Wolf si sono scagliati senza mezze parole contro il fronte anti-vino «che non distingue tra il consumo responsabile e l’abuso di alcolici». Da qui l’invito a tutti i giudici presenti a farsi «ambasciatori della cultura del vino, settore dal quale dipendono le sorti di centinaia di migliaia di lavoratori, nonché dell’intero indotto».

Parole ferme, pronunciate sia sul palco di Mundus Vini, prima dell’avvio dei lavori, sia nel pomeriggio alla Weingut Holz-Weisbrodt, cantina di Weisenheim am Berg che interpreta in maniera eccellente uno dei trend del 2024 del vino internazionale: la produzione di vini dealcolati. Lo spumante senza alcol “Freepearl” ricorda la mela verde e gli agrumi, su sottofondo esotico sferzato da un perlage piuttosto elegante per la categoria, ed è stato premiato in precedenti edizioni di Mundus Vini con la medaglia d’argento. Una buona alternativa al vino. Se proprio ce ne fosse bisogno.

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Dino Taschetta, Colomba Bianca: «La Sicilia può diventare salotto buono del vino italiano»


Un’estate diversa, col fiato sospeso. È alle prese con il tentativo di salvataggio di Cantine Europa, il presidente di Colomba Bianca, Dino Taschetta. I risultati della vendemmia 2024, che si prevede molto scarsa in Sicilia per via della siccità, sarà determinante per le sorti della cooperativa di Petrosino (Trapani), a cui ha teso la mano una realtà – per l’appunto Colomba Bianca – che, invece, macina successi sui mercati ed è arrivata ad assestarsi ai primi posti in Italia per crescita della quota export. All’orizzonte, anche una possibile fusione tra le due cooperative siciliane. L’intervista al presidente di Colomba Bianca, Dino Taschetta.

Presidente Taschetta, da quanto si sta occupando del caso Cantine Europa?

La cantina sta attraversando un periodo complicato perché i soci devono ancora ricevere i pagamenti del 2022. Un gruppo di questi soci ha raccolto le firme e ha sfiduciato il consiglio d’amministrazione, eleggendone uno nuovo che si è ritrovato di fronte una situazione complicata. Quindi sono venuti a cercarmi. So che hanno parlato anche con altri. La proposta di Cantine Europa era quella di fare una fusione con noi, dunque con Colomba Bianca.

La fusione tra Cantine Europa e Colomba Bianca sarebbe stata un’operazione sostenibile?

Per una fusione ci vogliono i dati, ci vuole tempo. Bisogna studiare le carte. Non si inizia un percorso se non si sa dove andare a parare. Quindi, siccome considero il problema grosso, ho proposto di iniziare dividendolo a “pezzetti”. Il primo pezzetto è la salvaguardata della produzione, dando così una sicurezza ai soci che rischiavano di fuggire tutti.

Da qui l’idea di salvare in primis la vendemmia 2024 di Cantine Europa, corretto?

Esattamente. Abbiamo proposto ai loro soci di diventare, per ora temporaneamente, anche nostri soci. Facciamo la vendemmia e gli garantiamo sia l’anticipo, sia il pagamento delle uve, come Colomba Bianca. Nel frattempo, per cercare di dare continuità all’azienda, abbiamo deciso di condurre le operazioni di raccolta nel loro stabilimento.

Ma di che quantità parliamo, presumibilmente?

Tenga conto che Cantina Europa, fino a 7-8 anni fa, era la cantina siciliana più grande, lavorando oltre 600 mila quintali di uva. Numeri enormi. Avevano 5 mila ettari prima che alcuni soci li abbandonassero. Quelli che hanno già aderito alla nostra proposta lavorano circa 2 mila ettari e non so fino a che cifre arriveremo. Noi faremo la vendemmia, pagando il conto lavorazione. E, nel frattempo, c’è da indire un tavolo tecnico per capire come affrontare il futuro. Lì ognuno deve fare la propria parte, oltre a capire se si vuole arrivare al salvataggio di Cantine Europa nella sua autonomia, o in eventuale fusione con noi.

Colomba Bianca e i suoi soci gradirebbero la fusione con Cantine Europa?

Bisogna stare molto attenti. Colomba Bianca è in una situazione equilibratissima. Ma, da presidente, ho il dovere di stare coi piedi per terra, dunque vedremo. A mio parere bisognerà attivare sicuramente un po’ di ammortizzatori sociali. Cantine Europa ha 25 dipendenti che noi non possiamo assorbire e assumere. Ma la cosa principale è capire quanta uva porteranno i loro soci in questa vendemmia 2024.

Qual è la soglia che garantirebbe una certa sostenibilità all’azienda?

Con 150 mila quintali potremmo cominciare a progettare qualcosa. Se ne portano meno, tutto diventa più complicato e sarà un problema. Ma per la Sicilia, la vendemmia 2024, è forse la peggiore della storia.

La quantità che sarà conferita dipende quindi più dalle condizioni climatiche o dai soci?

Dipenderà più dalle condizioni della vendemmia 2024, siamo alle prese con la siccità. Secondo me, poi, loro hanno perso troppo tempo. I soci non si sentivano sicuri e hanno iniziato tempo fa a cercare altri lidi. Alcuni erano già venuti da noi, altri si sono mossi in altre cantine. Ognuno, quando inizia a perdere produzione, cerca di aiutarsi in tutti i modi.

Per le cooperative, il vero patrimonio non sono i beni, ma i soci e le uve che vengono conferite. Tutte le attrezzature, i macchinari e gli immobili hanno valore sulla base delle uve che lavorano. Se non arriva uva, tutto perde di valore. Il vero problema di Cantine Europa è che è venuta a mancare, negli anni, la base sociale. La struttura era progettata per fare determinati volumi, molto, molto ingenti, che sono venuti a mancare.

Mi sembra di poter dire che Cantine Europa è solo una delle punte dell’iceberg di una cooperazione vinicola italiana in crisi. Cosa ne pensa?

Di fatto, è un po’ una situazione generalizzata. Se la politica non si rende conto di cosa può fare per il futuro, sarà un disastro. Vede, qui da noi si riempiono tutti la bocca di parole come turismo, questo e quell’altro. Ma se l’agricoltura non funziona, tutto il sistema rischia di andare in crisi. Al posto di fare ricerche di mercato e di sviluppo del settore, sembra si voglia trasformare la Sicilia in una centrale elettrica a cielo aperto. Pare che la gente non veda l’ora di togliere la vigna e mettere pannelli fotovoltaici e pale eoliche. Questo è un problema serio, altro che ponte sullo stretto. Qua ci vorrebbe un Piano Marshall per rendere irrigabile una buona parte dei terreni.

La siccità rischia di dare una stangata mortale alla viticoltura in Sicilia?

Non è possibile che abbiamo le rese più basse, in alcuni casi, di tutta Italia, e che ci ritroviamo però a competere sui mercati con chi fa 400 quintali ad ettaro. Tenga conto, così per darle a un numero, che quest’anno la Sicilia rischia di avere rese di 40 quintali all’ettaro. Una cifra assolutamente insostenibile. Si sta perdendo gran parte della produzione perché non abbiamo l’acqua per irrigare.

In altre parti del mondo, i deserti si fanno diventare giardini: noi, i giardini, li stiamo facendo diventare deserti. È un meccanismo che chiede vendetta. Il 2024 è un anno con piovosità esageratamente basse. Ma solitamente, la Sicilia, è un territorio dove piove, d’inverno. Se costruissimo le infrastrutture, ovvero le dighe e le linee di distribuzione dell’acqua, rendendo irrigabili gran parte dei terreni, la Sicilia potrebbe davvero fare delle cose strepitose. Un tempo la Sicilia vendeva quantità. Oggi vende qualità.

Eppure le dighe, in Sicilia, ci sono

Su 52 dighe ce ne sono forse 45 che non possono riempirsi al massimo o perché non sono collaudate, o perché necessitano di manutenzione. È come se uno ha una Ferrari in mano, senza sterzo. Non si può gestire un’azienda mettendo il santino e sperando che Dio ci aiuti, facendo arrivare l’acqua al momento giusto. Bisogna che qualcuno capisca che ci vogliono progetti a lungo termine, seri, che salvaguardino la possibilità di arrivare alla soluzione.

La scarsa produzione, del resto, è una minaccia per l’esistenza delle cantine, soprattutto quelle di grandi dimensioni e le cooperative. Come vi state organizzando?

Normalmente facciamo rese medie di 70 quintali all’ettaro. Quest’anno ne faremo 40, ma si potrebbero fare benissimo 100 o anche 120 q/h, irrigando i vigneti, senza intaccare la quantità. La Sicilia ha perso 40 mila ettari di vigneto negli ultimi 30 anni. Se ne perde altri 30 nei prossimi 5 anni, è chiaro che tutto il sistema va in crisi. Mi vanto di dirigere una delle cooperative più solide che ci sono in Sicilia. Ma se manca la base sociale, perché i soci non ce la fanno più a campare con 40 quintali all’ettaro, pur pagati a cifre astronomiche, l’azienda perde la sua sostenibilità. È chiaro che, prima o dopo, si estirperà la vigna. Per mantenere il sistema, occorrono una serie di azioni che non possono essere demandate alle singole aziende: spettano alla politica.

Eppure la priorità della politica per la Sicilia sembra il ponte sullo stretto di Messina

Tutti quanti dicono che vogliono fare il ponte. Ma al 90% dei siciliani non frega niente del ponte! Chiaramente io non sono contro a quest’opera, attenzione. Per me lo possono anche fare. Ma ci sono delle priorità, perché i siciliani che devono andare a prendere quel ponte dal loro paese, possono impiegare anche 4 ore di macchina, con 25-30 interruzioni sul tragitto! E se invece, prima, si potenziassero viabilità e porti? Noi abbiamo bisogno di porti, di aeroporti, di infrastrutture e collegamenti che funzionano per portare i nostri prodotti nel mondo.

Nonostante ciò, ci sono esempi “virtuosi” come quello della sua cooperativa, Colomba Bianca. Qual è il segreto?

Sono presidente di Colomba Bianca da 27 anni. Come tutti, in Sicilia, abbiamo assistito a una diminuzione degli ettari a disposizione. Ma abbiamo sopperito inglobando altre aziende. Noi abbiamo cinque cantine e questo comporta una serie di costi importanti. Quindi bisogna ottimizzare. Tenga conto che, in un’annata normale, dovremmo pigiare almeno 500 mila quintali di uva. Senza considerare il lavoro che stiamo facendo con Cantine Europa e con altre realtà più piccoline, in occasione della vendemmia 2024 ne lavoreremo forse 300 mila. Ce la faremo, perché noi siamo strutturati, siamo riusciti a dare valore aggiunto, ci siamo posizionati su una fascia di prodotti più di fascia alta, quindi riusciamo a intercettare un mercato che, grazie ai ricavi, ci permette recuperare gli aumenti dei costi di produzione.

Dunque il segreto, utilizzando un termine un po’ abusato, è la famosa premiumizzazione? Quali sono le quote Gdo-Horeca di cantina Colomba Bianca?

Il 35-40% del nostro imbottigliato è destinato all’Horeca. La gran parte della prodizione Gdo è destinata all’estero. Siamo stati una delle aziende più performanti in Italia per incremento della quota estero, al settimo posto come performance. Vendiamo in tutto il mondo, in 40 Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina, sia bottiglie che sfuso e Bag in Box. Voglio essere prudente: se ognuno facesse davvero la sua parte, la Sicilia, nel giro di 10 anni, potrebbe diventare il salotto buono del vino italiano.

Invece, l’iniziativa è lasciata alla singola azienda, che da sola non può smuovere le montagne. Tutti noi dobbiamo fare di più, dobbiamo fare meglio, dobbiamo innescare circoli virtuosi per creare più ricchezza. Le storie di successo di diversi territori nel mondo sono sempre animate da visionari. Il Prosecco, 25 anni fa, era un vino che nessuno voleva, non lo conosceva nessuno. In Veneto hanno fatto dei bei progetti. Il governatore Luca Zaia è lontano mille miglia dal mio modo di concepire la politica: ma se l’avessimo avuto in Sicilia, forse avremmo avuto una situazione diversa.

Resta dunque una certa preoccupazione

Sono parecchio preoccupato per il breve termine. Ovviamente non per Colomba Bianca, che è un’azienda che sta crescendo. A me non piace essere il primo fra gli ultimi. Preferirei invece che tutto il sistema vino siciliano facesse di più e fosse guidato virtuosamente dalla politica, per trovare una strada di successo importante. Non è bello che ci siano poche aziende che vanno bene. È bello quando tutto il sistema vino va bene. Per far sì che questa situazione si avveri, occorrono una serie di condizioni.

Qual è la sua ricetta per il sistema vino siciliano?

Sono anni che dico che il mondo cooperativo è sottocapitalizzato. Quando ho iniziato il processo di capitalizzazione di Colomba Bianca mi sono messo contro centinaia di soci. Una volta nominato presidente, 27 anni fa, in occasione della seconda assemblea ho chiesto ai soci un miliardo di lire di aumento di capitale sociale. Avevo dei progetti e, per realizzarli, avevo bisogno dell’aumento. Mi sono dovuto imporre, dicendo che avrei rassegnato le dimissioni la mattina dopo, qualora il provvedimento non fosse stato votato.

Per fortuna ho avuto la meglio e devo dire che quella è stata la nostra fortuna, perché l’aumento di capitale sociale ci ha permesso di partecipare a bandi e di sistemare l’azienda, mettendola a norma anche sul fronte della sicurezza. Abbiamo potuto acquistare il primo frigorifero, e non mi riferisco a quello della cucina. Provate oggi a vendere nel mondo un vino prodotto senza la gestione del freddo. Certi percorsi, insomma, vanno incentivati e inseriti all’interno di una visione più lunga.

Quale futuro, dunque, per la cooperazione vinicola siciliana e nazionale?

Il futuro è managerializzare sempre più le aziende. Non riesco a capire perché se dobbiamo andare da un medico cerchiamo il luminare; se dobbiamo andare da un avvocato cerchiamo quello che ha fatto più cause di successo; ma se dobbiamo gestire una cooperativa prendiamo un piccolo pallino qualunque e lo mettiamo là a gestire la cooperativa. Capisce che non può funzionare? Bisogna incentivare la managerializzazione delle aziende e trovare il sistema per favorire anche dei progetti di fusione, per andare nel mondo come colossi.

“Piccolo” non sempre è “bello”: va bene l’azienda di famiglia, ma la cooperativa deve avere le spalle grosse. Inoltre, come detto, andrebbe incentivata la capitalizzazione. E bisognerebbe cercare di studiare dei meccanismi per andare nel mondo assieme, creando sinergie anche con altre regioni. Dobbiamo capire che i nostri competitor sono nel mondo, non tra i vicini di casa o in altre regioni italiane.

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Terre d’Oltrepò, vendemmia bollente: Callegari minaccia i soci e chiude Casteggio


EDITORIALE –
Estate bollente per le cooperative vinicole in Italia, con i casi di Moncaro, nelle Marche, e Cantine Europa, in Sicilia, che paiono sempre meno isolati. Nonostante le rassicurazioni del mese di luglio, la situazione starebbe rischiando di giungere a un punto di non ritorno anche a Terre d’Oltrepò, in vista della vendemmia 2024. La notizia è delle scorse ore. La cantina sociale, che opera su tre stabilimenti, si ritrova a dover fare i conti con «
un’ulteriore riduzione delle quantità presenti nei vigneti e una diminuzione dei pesi» conferiti nei primi due giorni di raccolta delle uve. Per questo motivo, l’ad Umberto Callegari ha comunicato ai soci la chiusura dello stabilimento di Casteggio.

«Sebbene il clima (inteso come meteo, ndr) sia fuori dal nostro controllo – scrive l’amministratore delegato in una missiva inviata ai soci di Terre d’Oltrepò – possiamo gestire la cantina in modo più efficiente, nell’interesse di tutti. Per questo motivo, a partire da venerdì 23 agosto compreso, la raccolta sarà concentrata esclusivamente nello stabilimento di Broni, anche per i soci di Casteggio (a 12 km di distanza, ndr). Questa decisione ci consentirà di risparmiare oltre 25 mila euro al giorno (equivalenti a circa 500 mila euro nell’arco della vendemmia). Ottimizzando così l’efficienza delle operazioni. Le attività nello stabilimento di Santa Maria continueranno regolarmente».

Inoltre, il management della cooperativa oltrepadana ha deciso di posticipare di una settimana la produzione dei vini kosher. Ufficialmente, si legge, «per permettere la maturazione ottimale delle uve». «Agire con razionalità per massimizzare i guadagni dei soci – continua la missiva – è la scelta più corretta. Siamo certi della vostra collaborazione». La chiusura dei cancelli dello stabilimento di Casteggio per le operazioni di vendemmia – ovvero di uno dei tre poli di Terre d’Oltrepò/La Versa in provincia di Pavia – non sarebbe tuttavia dettata solo dal «clima fuori controllo».

CALLEGARI ACCUSA I SOCI E MINACCIA: «TOLLERANZA ZERO»

Ad ammettere ufficialmente il malumore dei soci della cooperativa Terre d’Oltrepò è nientemeno che l’ad Umberto Callegari, figlio del presidente in carica, Lorenzo Callegari. In un lungo comunicato apparso su un sito-web della provincia di Pavia, l’amministratore delegato della cantina sociale ipotizza comportamenti definiti nell’articolo «irresponsabili», ad opera di alcuni viticoltori della zona.

«Per i disonesti e gli sparlatori – minaccia testualmente Callegari – ci sarà tolleranza zero. Stiamo parlando di pochi casi, ma non è giusto che rischino anche solo di depotenziare i risultati dell’onesto lavoro della maggioranza dei soci onesti e responsabili». L’ipotesi, avvalorata dal comunicato, è che i primi giorni di vendemmia abbiano «portato alla luce alcuni casi di pirateria ad opera di una minoranza che continua a minare la solidità del mondo cooperativo».

UMBERTO CALLEGARI A MUSO DURO CON GLI INFEDELI. POI VA AL MEETING DI RIMINI

«Alcuni viticoltori – si legge ancora – stanno già cercando di eludere l’obbligo di conferimento totale, vendendo le uve al di fuori dei circuiti cooperativi. Questi comportamenti irresponsabili, oltre a violare il patto che lega i soci alle loro stesse cooperative, rischiano di compromettere seriamente gli sforzi di rilancio intrapresi da Terre d’Oltrepò, la principale cooperativa vitivinicola del territorio». Le conseguenze a cui potrebbero andare incontro questi viticoltori? Sanzioni e azzeramento del saldo 2025. Nei mesi scorsi, come già riportato da winemag.it in un articolo finito duramente nel mirino della cooperativa, erano state decine le richieste di disdetta dei soci di Terre d’Oltrepò, per la stragrande maggioranza respinte dalla cantina.

Nel frattempo, il Ceo di Terre d’Oltrepò è intervenuto ieri, 21 agosto, al Meeting di Rimini (qui il video integrale). Sostanzialmente, per parlare di sé. «Invitato» dagli organizzatori a dire la sua durante uno dei talk, Callegari ha raccontato la propria conversione da «manager mondiale» di una multinazionale dell’informatica ad amministratore delegato di Terre d’Oltrepò. Dopo una sorta di folgorazione sulla via di Damasco, dettata dal richiamo della (bisognosa, ha lasciato intendere senza mezzi termini) azienda della zona natia, il 42enne avrebbe accettato di «ridursi dell’80% lo stipendio». Un viaggio di ritorno (nelle terre dei padri) che rischia ora d’esser vano, se non arriverà uva in cantina. Ma, sempre da Rimini, ecco la rassicurazione: «Non credo che rischierò il burnout». Prosit.

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Caso Moncaro e Cantine Europa: l’estate calda delle cooperative del vino italiano


È un’estate calda per il vino italiano, e non solo a causa delle alte temperature che stanno caratterizzando la vendemmia 2024. La crisi di due grandi cooperative, Moncaro nelle Marche e Cantine Europa in Sicilia, sta scuotendo il settore con ripercussioni che vanno ben oltre le due regioni. È la punta dell’iceberg di un settore malato, a partire dai suoi giganti cooperativi. E non si tratta di un male di stagione, una banale influenza. Piuttosto di una crisi strutturale. La cura potrebbe richiedere scelte impopolari. A rischio c’è il futuro commerciale e la reputazione internazionale di due vini bianchi italiani noti e apprezzati: Verdicchio dei Castelli di Jesi e Grillo.

LA CRISI DI MONCARO SPIEGATA

La situazione più clamorosa è quella di Terre Cortesi-Moncaro, un colosso fondato nel 1964 a Montecarotto, nel cuore dell’area del Verdicchio dei Castelli di Jesi, di cui produce una bottiglia su quattro. È la più grande cantina delle Marche, con 612 soci conferenti, 1.300 ettari vitati e un totale di 10 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, il 40% delle quali esportate all’estero. Un idolo dai piedi di argilla, che ha accumulato circa 25 milioni di euro di debiti con banche e fornitori, inclusi quelli di uve bianche e rosse. Non va meglio per i 58 dipendenti della cantina, rimasti a lungo senza stipendio prima dell’intervento dei sindacati.

Le cause della crisi sarebbero da ricercare nell’aumento dei costi di produzione, dettati dall’elevato costo dell’energia e del vetro, ma anche dalla peronospora, che ha drasticamente ridotto la produzione di uva per la vendemmia 2023, soprattutto nelle regioni del centro Italia come Marche e Abruzzo, dove opera Terre Cortesi-Moncaro (a dire il vero, il governo italiano è intervenuto a sostegno dei produttori con consistenti fondi pubblici). Sotto accusa sono anche alcuni recenti investimenti della cooperativa, come la contestata acquisizione della cantina Villa Medoro, in Abruzzo: un investimento di 8,75 milioni di euro per espandere la produzione al Montepulciano d’Abruzzo.

LE CAUSE DELLA CRISI MONCARO TERRE CORTESI

La situazione è precipitata lo scorso febbraio, con la sfiducia dell’intero consiglio di amministrazione della cooperativa, che ha portato alla rimozione dello storico presidente Doriano Marchetti (dopo 25 anni alla guida) e all’ingresso di Donatella Manetti, ora al comando. Dall’inizio di agosto, Moncaro opera sotto la supervisione del commissario giudiziale Marcello Pollio, nominato dal tribunale proprio per risolvere le controversie tra l’azienda e i suoi creditori che, assicura, “saranno pagati”.

Ed è così che l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Imt), per salvaguardare il mercato, ha avviato lo stoccaggio del Verdicchio Castelli di Jesi Doc (resa massima di 140 quintali per ettaro), partendo da 110 quintali, con un “blocco” fino a 30 quintali per ettaro. La misura, valida per ora fino al 30 giugno 2025, è legata a una vendemmia che si prevede con volumi superiori a quella precedente. È un modo per intervenire, in anticipo, sulla situazione di incertezza creata dal crollo di Moncaro, che potrebbe avere ripercussioni drammatiche sul Verdicchio dei Castelli di Jesi e sulle quantità immesse sul mercato.

VERDICCHIO, I TIMORI DELL’ISTITUTO MARCHIGIANO TUTELA VINI

«La crisi di Moncaro e, in secondo luogo, le difficoltà economiche – spiega il presidente dell’Imt, Michele Bernetti – ci hanno costretto a trovare misure di equilibrio per proteggere le nostre aziende da potenziali speculazioni. A rischio non è solo la sostenibilità delle imprese e dei produttori, ma anche il riconoscimento internazionale di un territorio vinicolo di qualità. La priorità del Consorzio resta la difesa del valore, oltre che della qualità, della denominazione. Per riequilibrare il mercato, oggi è più che mai necessario agire con strumenti di governo dell’offerta, strumenti adottati, tra gli altri, da diverse denominazioni a livello internazionale».

LA CRISI DI CANTINE EUROPA

Non va meglio in Sicilia, dove una cooperativa vinicola, Colomba Bianca, ha annunciato il suo intervento per salvare un potenziale concorrente, Cantine Europa di Petrosino (Trapani), un’altra importante cooperativa agricola nella produzione di uve Grillo, per la vendemmia 2024. Una cantina “in grande difficoltà economica” e bisognosa di un nuovo piano industriale, su cui il nuovo consiglio di amministrazione sta già lavorando. La vicenda è molto simile a quella di Moncaro, con la sfiducia del vecchio consiglio di amministrazione avvenuta a giugno e che ha portato all’elezione di un nuovo presidente, Vito Pipitone, dopo l’allontanamento di Nicolò Vinci.

Tra i primi provvedimenti c’è stata la partnership con Colomba Bianca. Gli obiettivi? Completare la vendemmia 2024, mantenendo aperti gli impianti produttivi e valorizzando le uve dei 1.500 soci conferenti, che coprono un’area vitata di 6.000 ettari tra Mazara del Vallo, Marsala e Salemi. Tutto questo in attesa di un accordo con i sindacati per garantire gli stipendi ai 25 dipendenti della storica cantina, fondata nel 1962.

COLOMBA BIANCA TENTA IL SALVATAGGIO DI CANTINE EUROPA

«Siamo stati contattati più volte dal consiglio di amministrazione di Cantine Europa – sottolinea Dino Taschetta, presidente di Colomba Bianca – per esaminare la possibilità di una collaborazione. Hanno visto in noi un potenziale interlocutore per affrontare in modo deciso le tensioni e le criticità che rischiano di far affondare una storica cantina, fortemente legata alle sue tradizioni. Abbiamo deciso di non tirarci indietro, rendendoci disponibili e non sottraendoci all’aiuto necessario». La priorità ora è garantire un anno di lavoro completo a Cantine Europa. Le uve saranno conferite anche allo stabilimento di Colomba Bianca. Il flusso di lavoro tra le due cooperative è lineare. E, assicura il presidente Taschetta, «condotto con la massima trasparenza, anche se per la vendemmia 2024 in Sicilia non si prevedono grandi quantità».

Questo perché, a differenza delle Marche, dove si prevede una vendemmia più abbondante rispetto alla scarsa del 2023, la Sicilia deve fare i conti con una siccità record che sta mettendo a dura prova i viticoltori. Lo confermano le prime stime rilasciate dalla presidente di Assovini Sicilia, Mariangela Cambria. «Apriremo le porte ai soci della cantina di Petrosino – continua Taschetta – siamo solidi e possiamo certamente garantire un buon anticipo liquidando i soci temporanei. Effettueremo anche la vinificazione in quelli di Cantine Europa, così da garantire la continuità lavorativa ai loro dipendenti». Di certo, il fattore determinante sarà la quantità di uva che si potrà ottenere e che permetterà ai due stabilimenti di rimanere operativi. Ancora una volta una pezza, piuttosto che la medicina definitiva per curare un settore vinicolo malato.

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Anticipazioni Guida Migliori Vini italiani 2025 Winemag: vini e cantine premiate

Mai così partecipate le selezioni della Guida Migliori Vini italiani 2025 winemag, che si sono tenute nel mese di luglio e agosto attraverso rigorose degustazioni alla cieca. In attesa di conoscere tutte le etichette che sono riuscite a piazzarsi nella Top 100 Migliori vini italiani, oppure tra i “Vini raccomandati” da winemag, o ancora tra i “Vini quotidiani“, ecco le anticipazioni sui vini e le cantine premiate dall’edizione 2025.

– Cantina italiana dell’anno 2025

Cà du Ferrà (Liguria)

– Cantina dell’anno 2025 – Nord Italia

Azienda agricola Sosol Ivan (Friuli Venezia Giulia)

– Cantina dell’anno 2025 – Centro Italia

Santa Barbara – Stefano Antonucci (Marche)

– Cantina dell’anno 2025 – Sud Italia

Fontanavecchia (Campania)

– Cantina Bio dell’anno 2025

Valle dell’Acate (Sicilia)

– Cantina Rivelazione 2025

Luca Leggero (Piemonte)

MIGLIORI VINI ITALIANI 2025 – GUIDA TOP 100 WINEMAG

– Miglior vino italiano 2025

Alto Adige Doc Riserva Pinot Nero 2020 Burgum Novum, Castelfeder (Alto Adige)

– Miglior spumante/frizzante italiano 2025 (tre categorie)

– Vsq Metodo classico Pinot Nero Extra Brut Blanc de Noir Roccapietra, Scuropasso (Lombardia)
– Valdobbiadene Docg Rive di Santo Stefano Extra Dry 2023 Nazzareno Pola, Andreola (Veneto)
– Moscato d’Asti Docg 2023, Fabio Perrone (Piemonte)

– Miglior Vino bianco italiano 2025

Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore 2021 Moss Blanc, Santa Barbara – Stefano Antonucci (Marche)

– Miglior vino rosato italiano 2025

Costa d’Amalfi Doc Rosato 2023, Marisa Cuomo (Campania)

– Miglior Vino rosso italiano 2025

Toscana Igt 2020 Tenuta Il Pareto, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute (Toscana)

– Miglior vino dolce italiano 2025

Liguria di Levante Igp Passito Bianco Ruzzese 2020 Diciassettemaggio, Cà du Ferrà (Liguria)

– Miglior vino orange/macerato italiano 2025

Venezia Giulia Igt bianco Macerato 2018 Vis Uvae, Azienda agricola Il Carpino (Friuli Venezia Giulia)

– Miglior vino biologico italiano 2025

Toscana Igt Biologico non filtrato 2022 Pa’Ro Orange, Buccia Nera (Toscana)

– Miglior vino Piwi italiano 2025

Venezia Giulia Igt bianco 2022 Limine, Terre di Ger (Friuli Venezia Giulia)

– Premio winemag 2025 “Vecchia annata”

Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 “Costa delle Corone”, Monteci (Veneto)

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Vini dealcolati: ProWein ZERO a Prowein 2025 raddoppia superficie no/low alcohol wines

Grazie a un accordo con l’editore Meininger Verlag, che a Neustadt an der Weinstraße organizza Mundus Vini, l’area ProWein ZERO a Prowein 2025 non solo è confermata. Ma sarà ampliata. Gli spazi completeranno l’ampia area espositiva di ProWein ZERO 2025, che sarà quindi ancora più grande. Nella zona di degustazione della ProWein ZERO, i visitatori potranno nuovamente assaggiare l’intera varietà di no/low alcohol wines.

CRESCE LA DOMANDA DI VINI DEALCOLATI / NO-LOW ALCOHOL WINES

Gli espositori interessati potranno iscriversi alla zona di degustazione ProWein ZERO a partire da metà ottobre 2024. «La domanda di vini e liquori analcolici e a basso contenuto alcolico è enorme – spiegano i referenti di Prowein a Messe Dusseldorf – e per questo motivo stiamo ampliando l’area ProWein Zero per la ProWein 2025 di almeno il 50%. Il nostro modulo di richiesta per questa area speciale 2025 è ora online e stiamo già contattando tutti gli espositori esistenti e altri interessati che purtroppo abbiamo dovuto rimandare l’anno scorso».

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Sicilia, Colomba Bianca “salva” Cantine Europa: verso un nuovo piano industriale


Colomba Bianca
annuncia un accordo salvagente a sostegno di Cantine Europa, cooperativa agricola di Petrosino (Trapani), tra i leader nella produzione di uve Grillo «in grandi difficoltà economiche», sempre più indirizzata verso la necessità di un nuovo piano industriale. «Una partnership – spiega in una nota la coop di Mazara del Vallo (Trapani) –
nata per portare a termine la raccolta 2024, mantenere aperti gli impianti di produzione, preservare i 1.500 soci conferitori che coprono una superficie vitata di 6 mila ettari compresi tra Mazara del Vallo, Marsala e Salemi e far lavorare, con l’accordo dei sindacati, i 25 dipendenti della realtà che da mesi versa in una situazione d’incertezza».

Come sottolinea Dino Taschetta, presidente di Colomba Bianca: «Siamo stati contattati più volte dal Cda di Cantine Europa, per esaminare la possibilità di una collaborazione. Hanno visto in noi un potenziale player per approcciare in modo risolutivo le tensioni e le criticità che rischiano di affossare una cantina storica, nata nel 1962, fortemente legata alle sue tradizioni. Dopo avere chiesto l’intervento e l’approvazione delle centrali cooperative,che puntualmente è arrivato, abbiamo deciso di non tirarci indietro, mettendoci a disposizione e non sottraendoci al doveroso aiuto».

SALVATAGGIO DI CANTINE EUROPA: OBIETTIVO NON ANCORA RAGGIUNTO

Il raggiungimento dell’obiettivo e soprattutto il futuro di Cantine Europa dipenderà da tutti gli attori coinvolti. «Ci siamo chiesti quale potesse essere la strada migliore da intraprendere – precisa ancora il presidente di Colomba Bianca, Dino Taschetta – per mettere in sicurezza il lavoro di un intero anno di Cantine Europa e rassicurare contestualmente i nostri soci. Senza fare alcun salto nel buio. Siamo arrivati alla conclusione che conferire le uve a nostro nome è certamente la migliore garanzia per tutti». Il flusso di lavoro tra le due cooperative è lineare e condotto nella massima trasparenza, pur non essendo attese grandi quantità per la vendemmia 2024 in Sicilia.

«Apriremo le nostre porte ai soci della cantina di Petrosino – spiega il presidente Taschetta – che potranno conferire da noi. Siamo solidi e possiamo di certo assicurare una buona anticipazione, liquidando i soci temporanei. Per bilanciare, pur avendo la possibilità di lavorare tutte le uve nei nostri stabilimenti, effettueremo la vinificazione anche in quelli di Cantine Europa, così da garantire la continuità lavorativa dei loro dipendenti». Certamente il fattore determinante sarà la quantità d’uva che si riuscirà a ottenere e che consentirà di mantenere attivi i due impianti.

VENDEMMIA 2024 DIFFICILE IN SICILIA PER LA SICCITÀ

«Il vero patrimonio di una cooperativa vinicola è dato dai soci e dalla quantità d’uva conferita. Il resto vale nella misura in cui lavorano gli impianti. Se non c’è produzione, le strutture valgono ben poco e anche le aziende più forti rischiano di andare in crisi. I tempi sono molto complicati, ma siamo certi che rimanendo uniti, con una massa critica importante, si potranno affrontare con più forza i prossimi anni, mettendo a terra un nuovo piano industriale. In questa prima annata di collaborazione auspichiamo il maggiore risultato possibile di raccolta per Cantine Europa, così da garantire il punto di equilibrio con un beneficio per tutti in termini economici».

«Ma per comprendere l’andamento dell’operazione  – ammonisce il presidente di Colomba Bianca – dovremo aspettare la fine della vendemmia. Noi stiamo facendo la nostra parte, adesso gli altri dovranno fare la loro. Le aziende crescono o ristagnano e muoiono. Noi abbiamo scelto di crescere insieme a uno dei territori più belli del mondo del vino, confidando nell’aiuto di tutti, convinti come siamo che quando si lavora per il bene degli altri, anche le forze della natura si coalizzano per fare in modo che i progetti si possano realizzare».

CANTINE EUROPA E COLOMBA BIANCA

Cantine Europa Sca nasce nel 1962 nel territorio di Petrosino, nella parte più occidentale della Sicilia. Da oltre sessant’anni trasforma le uve di oltre 2 mila soci conferitori, in una zona di 6 mila ettari di vigneti. Negli anni, Cantine Europa è stata in grado di diventare leader mondiale nella produzione di uve Grillo.

Diverso l’approccio in Sicilia di Colomba Bianca, cantina cooperativa che conta su 6 cantine dislocate nella provincia di Trapani, di cui cinque dedicate alla produzione vitivinicola e una adibita esclusivamente ai processi di imbottigliamento. Poste in prossimità dei vigneti, le cantine di Colomba Bianca sono dedicate alle singole specializzazioni produttive, con tecnologie all’avanguardia nei processi di vinificazione e affinamento, differenziati in base alle varietà allevate. Due cantine, sino ad oggi, mai così vicine.

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Gli Editoriali news news ed eventi

Vino e comunicazione: il problema sono davvero i wine influencer? Oh, no!


EDITORIALE –
Dritto al punto, come di consueto, senza giri di parole buoni solo a quelli (tanti) a cui piace (tanto, tantissimo) dare un colpo al cerchio e uno alla botte, per non dire mai nulla di davvero sconveniente e far contenti tutti: se pensate che il problema del vino italiano e della comunicazione del vino italiano siano i wine influencer, siete fuoristrada. E di gran lunga. Nei giorni scorsi, avrà raggiunto anche voi il link al post di un gruppo nato su Facebook e cresciuto grazie a “meme” utili a denunciare alcuni mali (non tutti) e le storie controverse del settore.

Nomi, cognomi e foto di questo e quel wine influencer, letteralmente mitragliato tra le righe di un articolo senza firma (sic!), nel quale l’autore (o gli autori) si chiede (o si chiedono) che fine abbia fatto e/o che contributo abbia realmente dato questo o quell’influencer alle generose cantine, o ai generosi Consorzi, che lo abbiano invitato a questo o a quell’evento, di recente o in passato.

ATTACCO AI WINE INFLUENCER? UN’ANALISI PARZIALE

Analisi giusta, giustissima: il più delle volte, neppure si nota l’etichetta del vino o la denominazione promossa in un post o nelle storie dei prodi del risvoltino, del ciuffo pettinato a dovere o della tetta a fuoco, al vento (commento bipartisan, utile a non essere accusato di “sessismo” da qualche accaldato leone o leonessa da tastiera). Tuttavia, analisi parziale. Anzi, parzialissima.

Già perché va detto che, ormai, un gran bel numero di “press tour” (“viaggi stampa”) ed eventi organizzati da cantine e Consorzi del vino italiano, riservati solo negli annunci alla “stampa di settore” e come tali promossi, sono diventati gite e gitarelle a cui partecipano solo gli amici di questo o quell’ufficio stampa. Quasi sempre le stesse belle facce. Si tratta di giornalisti iscritti all’Ordine o meno, invitati sostanzialmente per fare il compitino: ovvero, raccontare che tutto è buonissimo, tutto è bellissimo, tutto funziona, tutto è a posto e meraviglioso.

ALTRO CHE WINE INFLUENCER: LE RESPONSABILITÀ DELLA STAMPA DI SETTORE

L’attacco durissimo sferrato ai wine influencer italiani nei giorni scorsi rischia, di fatto, di relegare alla sola responsabilità dei “creator digitali” lo stato di salute pessimo della comunicazione del vino italiano, alle prese da anni con un decadimento impressionante (e scandaloso) della qualità degli articoli e, dunque, delle informazioni date in pasto ai lettori non solo sui blog, ma anche sulle testate che si dichiarano “di settore”.

In sostanza, a pochissimi uffici stampa – responsabili di stilare liste di invitati, o quantomeno di consigliare i nomi dei reali professionisti del settore a cantine e Consorzi – interessa la qualità della produzione, al termine del press tour o dell’evento. Conta più il numero, il volume dei “temini di quinta elementare” pubblicati sul web o sulla carta stampata, oltre alle immancabili views (che appunto si definiscono “views”, “visioni”, non “letture”).

Mentre il mondo del vino italiano si arrabatta per trovare soluzioni a una crisi evidentemente strutturale, la percentuale maggioritaria degli esponenti della comunicazione, ovvero del giornalismo e degli uffici stampa del settore, cavalca sulla merda prestando la massima attenzione a non scivolare, al posto di offrire il proprio contributo costruttivo e critico per spalare via le difficoltà e costruire un nuovo modello; un nuovo modo di interpretare le relazioni tra cantine e giornalisti, dunque tra giornalisti e lettori delle “testate di settore”. Chi sgarra, viene definito pericoloso, polemico, da evitare e non invitare «per policy».

VINO E COMUNICAZIONE: LE RESPONSABILITÀ DI CANTINE E CONSORZI

Personalmente, non ho mai visto nessuno – neppure per sbaglio – cavalcare la merda senza togliersela, prima o poi, dalle scarpe: è ora che cantine, produttori (seri), industria e vignaioli facciano squadra per ribaltare la frittata e togliersi dalle suole tutta la melma calpestata sino ad ora, comprendendo la differenza tra un “ufficio stampa” e un’agenzia pr che si spaccia per “ufficio stampa strutturato” (uh, come va di moda questa definizione tra i benpensanti!), risultando poi utile solo a rilanciare veline pubblicitarie, pubblicate da testate di settore o blog con la credibilità di Topolino.

Fatto ciò, torniamo pure tutti a dare la colpa agli influencer: tanto loro se ne fregano. Perché? Perché l’importante è che se ne parli (di loro, delle loro storie ridicole, dei loro post appositamente controversi). E quando il termine “influencer” starà loro stretto, o non sarà più utile a perpetrare a dovere gli scopi commerciali per i quali bazzicano nel settore (ben allineati con molti giornalisti iscritti all’Ordine! E chi si ribella è fuori dal “progetto editoriale”), traaac… Saranno pronti a cambiare veste, manco fossero tanti piccoli Arturo Brachetti. Facendosi chiamare – per esempio – “wine writer” o “comunicatori”. Gente per cui certi “uffici stampa strutturati” – di cantine e di consorzi – continuerà sempre ad andare matta. Prosit.

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Contrassegno di Stato sui vini Igp, vince Libero Rillo. E adesso tocca al Lambrusco


Libero Rillo
ha vinto la battaglia sul contrassegno di Stato sui vini Igp. La nuova fascetta con QRCode, progettata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, ha esordito in Italia in questi giorni, con un primo lotto di 4 milioni di pezzi destinati proprio al Benevento o Beneventano Igp: l’indicazione geografica protetta tutelata erga omnes dal Consorzio Tutela Vini del Sannio, di cui Libero Rillo è presidente. Dal prossimo anno, secondo indiscrezioni di winemag, il contrassegno sarà applicato anche al Lambrusco Igt, con un potenziale di circa 120 milioni di bottiglie, pensando solo all’Emilia Igt Lambrusco.

DAI DISSIDI CON FEDERDOC AL NUOVO QRCODE PER I VINI IGP

Ma se la Zecca dello Stato parla di «una consegna a suo modo storica per il mondo del vino italiano, visto che fino ad oggi le fascette di Stato erano riservate alle Docg e alle Doc», il produttore campano, titolare della cantina Fontanavecchia a Torrecuso (Benevento), tende a buttare acqua sul fuoco. «Non mi sento un pioniere», dichiara in esclusiva a winemag.it. La storia, però, parla chiaro. Le tappe che portano allo storico provvedimento hanno visto Libero Rillo vacillare più volte, senza tuttavia mai abbandonare il campo di quella che, forse, è divenuta col tempo anche una battaglia personale.

Dopo alcuni dissidi locali con i sindacati di categoria, tra gli attacchi più duri c’è quello subito da Federdoc (di cui lo stesso Rillo è consigliere) nel febbraio del 2023. La Confederazione nazionale Consorzi volontari Tutela Denominazioni vini italiani, presieduta da Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, si era opposta all’avvio sperimentale del progetto sul Benevento Igp. Chiedendone la sospensiva. E destando qualche malumore addirittura a Roma, presso il Ministero, reo di non aver consultato Federdoc e di aver avallato la richiesta del Sannio «senza un decreto attuativo».

FASCETTA VINI IGP, LIBERO RILLO: «NON MI SENTO UN PIONIERE»

«Lo dicevo da anni – commenta oggi il numero uno del Consorzio Vini del Sannio – il contrassegno è un sistema di tracciabilità, punto. Significa che, ovunque lo mettiamo, garantisce il consumatore. Perché chiude il cerchio. Se invece lo vogliamo fare diventare uno strumento di comunicazione, sostenendo che apporlo ai vini Igp possa togliere importanza ai vini Doc e Docg, inventandoci un sacco di cose, è ovvio che non andremo mai avanti in modo serio. Tra l’altro, va ricordato che in Italia ci sono ancora diverse Doc ancora senza contrassegno. Mi meraviglio di chi demonizza provvedimenti come questo».

«Secondo noi – continua Libero Rillo – c’è bisogno di garantire il consumatore finale ed è questa la mia priorità, anche e soprattutto in qualità di produttore di vino. Per questo motivo non mi sento un pioniere: faccio le cose perché ci credo, non per incensarmi. Il Benevento o Beneventano Igp sarà il primo vino a fregiarsi del nuovo contrassegno di Stato con QRCode e altri Consorzi del vino italiano faranno seguito il prossimo anno. Sono doppiamente soddisfatto, perché le polemiche e la sospensiva cautelativa decisa lo scorso anno da parte del Sannio hanno portato a un sigillo semplificato. È stata addirittura tolta dalla fascetta la scritta “Igt/Igp” e si è optato per un QRCode al posto del ricorso all’app Trust Your Wine®».

GLI SVILUPPI DELLA DOC CAMPANIA

Con una semplice scannerizzazione, grazie all’immancabile (e sempre più insostituibile) smartphone, il consumatore potrà accedere al “passaporto digitale” del vino, «ottenendo informazioni utili, ben oltre la sola tracciabilità del prodotto». Intanto, Libero Rillo è già in campo per un’altra battaglia che darà filo da torcere: l’istituzione della Doc Campania, di cui si discute da tempo negli ambienti del vino e, di conseguenza, anche in ambito politico, nella giunta regionale guidata da Vincenzo De Luca.

«Noi non siamo il Veneto – commenta sempre a winemag.it – siamo una regione di nicchia, che produce circa un milione di ettolitri di vino all’anno. Dopo l’istituzione del comitato promotore della Doc Campania, presieduto dal presidente della cooperativa La Guardinense, Domizio Pigna, stiamo procedendo a piccoli passi, in maniera lenta ma con speranza. La denominazione di origine controllata Campania potrebbe essere uno strumento comune per la promozione del vino campano che ora manca e che potrebbe dare ulteriore slancio all’attività dei Consorzi e dei produttori di cinque province».

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Montecucco verso ampliamento zona vinicola nei comuni di montagna


Una quota di produzione di vini certificati biologici che si attesta al 95% per la Doc e al 91,5% per la Docg; un’ottima propensione all’export e un’ancor più spiccata organizzazione aziendale sul fronte dell’ospitalità, con il 100% delle cantine attrezzate per accogliere i visitatori. È il quadro che emerge dall’ultimo questionario interno compilato dalle aziende aderenti al Consorzio Vini Montecucco, in Toscana. Cantine che oggi valutano un’ulteriore opportunità di sviluppo, nonché di contrasto ai cambiamenti climatici. È infatti in discussione all’interno del Consorzio l’eventuale modifica del disciplinare di produzione, utile all’«estensione del territorio di produzione all’intera area amministrativa dei comuni di montagna».

«L’obiettivo – evidenzia ancora l’ente che ha sede a Cinigiano, in provincia di Grosseto – è aumentare l’altitudine dei terreni della Denominazione». In zona, il territorio dell’Unione dei Comuni Montani Amiata Grossetano comprende per l’esattezza sette comuni (Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Semproniano) e si estende per circa 700 chilometri quadrati, alcuni dei quali già interessati dalla viticoltura e inseriti nel puzzle della denominazione grossetana. La zona di produzione delle uve del Montecucco comprende infatti «le aree vocate» dei Comuni di Cinigiano, Civitella Paganico, Campagnatico, Castel del Piano, Roccalbegna, Arcidosso e Seggiano.

I VINI DEL MONTECUCCO VERSO LA MONTAGNA

I vigneti della Doc e della Docg Montecucco si trovano al momento su rilievi di bassa e medio-alta collina e affondano le radici su formazioni prevalentemente marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche. Suoli franchi, ricchi di pietre e scheletro. Moderata l’acqua disponibile per le piante. La quota media è di circa 200 metri sul livello del mare, con le vigne attualmente iscrivibili alla denominazione ubicate approssimativamente a quote comprese tra 120 e 500 metri sul livello del mare.

La pendenza oscilla intorno all’8%, mentre l’esposizione media, sempre secondo i dati più aggiornati, è a est sud-est. La base ampelografica dell’areale del Montecucco è composta per il 61% da Sangiovese, per l’11% da Vermentino e per il restante della percentuale da vitigni internazionali – principalmente Merlot, che detiene il 7% – e vitigni autoctoni da qualche anno tornati alla ribalta come il Ciliegiolo con il 5%.

IL SUCCESSO DEL MONTECUCCO ROSSO IN ACCIAIO

Non a caso la tipologia della Denominazione che al momento riscontra maggiore successo è il Montecucco Rosso, che prevede un minimo di 60% di Sangiovese accompagnato da altri vitigni a bacca rossa e ha un profilo più fresco, soprattutto grazie alla vinificazione in solo acciaio. Il Montecucco Docg ha invece registrato un lieve calo anche alla luce dell’avversità delle ultime tre annate e alle scelte obbligate e strategiche a cui le stesse hanno costretto a volte i produttori.

Rilevanti anche i dati raccolti grazie al questionario del Consorzio sul mercato domestico ed export. Forte l’attenzione sul territorio nazionale che assorbe circa il 35% delle vendite, soprattutto il Centro e Nord Italia dove sono presenti rispettivamente il 95% e il 63% delle aziende socie. Proprio qui viene sollecitato un maggior presidio da parte del Consorzio, in particolare nelle regioni “target” Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto.

Per quanto riguarda le vendite all’estero, i primi quattro paesi a trainare l’export in termini di volumi – e dove le aziende vorranno continuare ad investire in promozione – risultano Svizzera (30%), Germania (12%), Usa (8,5%) e Benelux (8%). Le cantine registrano un interesse sempre crescente da parte di Est Europa, Centro America e Asia orientale e sudorientale. Parlando di prossimo futuro, i primi tre paesi di interesse verso cui le aziende vorrebbero incrementare le esportazioni sono Canada, Regno Unito e Giappone.

L’ENOTURISMO NELL’AREA DEL MONTECUCCO

L’ospitalità è un altro tema importante per la Denominazione che l’indagine ha voluto approfondire. Qui i dati evidenziano che il 100% delle aziende è attrezzato per accogliere i visitatori. Le formule di enoturismo spaziano dalle visite in cantina e/o in vigna alle degustazioni e ai tour del territorio, e circa la metà delle aziende dispone di strutture ricettive in grado di offrire ai visitatori la possibilità di pernotto (83,3%) e/o ristorazione (75%).

Un’ulteriore conferma, come sottolinea il Consorzio Tutela Vini Montecucco, dell’ormai trentennale investimento della Denominazione in un enoturismo di qualità, volto a promuovere l’originalità di questo volto selvaggio della Toscana facendo leva sulla natura autentica e sui paesaggi incontaminati dell’areale, oltre che su storia, cultura ed enogastronomia.

IL QUESTIONARIO DEL CONSORZIO VINI MONTECUCCO

A tre anni di distanza dal primo lavoro di raccolta dati che lo consacrava come esempio virtuoso di sostenibilità ambientale in Toscana, il Consorzio Tutela Vini Montecucco si è quindi impegnato in una nuova indagine condotta presso le aziende socie. L’obiettivo era attestare, oltre a dati di produzione e certificazione, diversi altri aspetti ed elementi legati all’attività delle cantine dell’areale, per restituire una panoramica quanto più dettagliata e ampia dello status quo della Denominazione e promuoverne la crescita e lo sviluppo.

Attraverso la compilazione di un questionario, da metà giugno a metà luglio 2024 sono state raccolte le risposte di diverse aziende distribuite tra i sei comuni di Cinigiano, Castel del Piano, Seggiano, Civitella Paganico, Campagnatico e Roccalbegna e che da sole coprono una superficie vitata totale di circa 300 ettari, di cui circa 276 ha sono potenzialmente rivendicabili Montecucco Doc (tra Rosso e Vermentino), mentre sono 197,42 gli ettari potenzialmente atti alla produzione di Montecucco Docg.

I risultati raccolti, secondo l’ente toscano, sono in grado di fornire «un quadro generale estremamente fedele dello stato di salute e dei trend della Denominazione», considerato che il campione preso in esame rappresenta rispettivamente il 76% e il 79% della produzione totale di Doc e Docg Montecucco, tra aziende socie e non, ed include le più grandi imprese dell’areale detentrici della maggior parte delle quote di produzione e imbottigliato e, quindi, di vendite e presenza nei mercati.

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Bolgheri, Fabio Motta vende una quota ad Agricole Gussalli Beretta (armi)


Agricole Gussalli Beretta
(armi) ha acquisito una una quota di controllo della società agricola semplice Fabio Motta, cantina di Castagneto Carducci situata in località Le Fornacelle. L’azienda vinicola dell’areale della Doc Bolgheri, fondata nel 2009 dal vignaiolo Fabio Motta, conta ad oggi circa 10 ettari di vigneti di proprietà. L’accordo è datato 17 luglio 2024 e sancisce l’acquisizione da parte del gruppo Agricole Gussalli Beretta di Monticelli Brusati (Brescia) di una quota di maggioranza dell’azienda bolgherese. Motta porterà in dote i locali per la
vinificazione, 9,87 ettari di vigneti e una produzione annua di circa 40 mila bottiglie.

CON FABIO MOTTA SALGONO A SEI LE CANTINE DI AGB

Diventano così 6 le tenute del Gruppo Agricole Gussalli Beretta (Agb), che può già contrare su Lo Sparviere (Franciacorta, Monticelli Brusati), Castello di Radda (Chianti Classico, Radda in Chianti), Orlandi Contucci Ponno (Colline Teramane, vallata del fiume Vomano, Abruzzo), Fortemasso (Barolo, Castelletto di Monforte d’Alba) e Steinhaus (Alto Adige, Buchholz – Pochi di Salorno. Ad oggi, grazie alla nuova acquisizione, la famiglia Gussalli Beretta (a capo del colosso produttore di armi Beretta Holding, che ha chiuso il 2022 con 1,4 miliardi di euro di fatturato) possono contare su un totale di 130 ettari di proprietà in Italia, per 650 mila bottiglie.

«Ho avuto modo di conoscere e stimare la storia decennale, la serietà e la visione imprenditoriale del gruppo Agricole Gussalli Beretta – commenta il fondatore Fabio Motta – e sono certo di aver trovato il partner ottimale per consolidare questo progetto e sostenerne il futuro sviluppo. L’obiettivo condiviso è quello  di crescere portando avanti il percorso intrapreso quindici anni fa al momento della nascita della cantina. Lo stile e la cura che hanno caratterizzato i vini Fabio Motta in questi anni rimarranno invariati, con un’attenzione ancora maggiore al dettaglio ed alle sfumature che questo straordinario territorio può offrire».

CHI È FABIO MOTTA

La gamma produttiva della cantina Fabio Motta, molto focalizzata sulla produzione territoriale e le sfumature di Bolgheri, si compone di quattro referenze: “Le Gonnare” Bolgheri superiore Doc; “Pievi” Bolgheri rosso Doc; “Lo Scudiere” Sangiovese Igt Toscana e “Le Gonnare” Bianco Vermentino Igt Toscana. Attualmente la distribuzione fa riferimento sia al mercato nazionale (Teatro del Vino) che internazionale, con export in circa 20 Paesi.

Dopo la laurea in agraria ed un’esperienza di cinque anni nella cantina del suocero Michele Satta, Fabio Motta ha iniziato la sua «personale avventura», mosso da «una grande passione per il vino e per il lavoro del vignaiolo artigiano». «Il mio vigneto – spiega – consisteva inizialmente di un appezzamento di quasi 20 anni di età, posizione eccellente ai piedi della collina di Castagneto Carducci». Il riferimento è a “Le Pievi”: circa 4 ettari di terreno, molto vocato. «Di lì a poco – continua il vignaiolo di Bolgheri – ho acquisito anche un eccellente vigneto di uve bianche, soprattutto Vermentino, di oltre due ettari, in località Le Fornacelle».


Azienda Agricola Fabio Motta

Loc. Le Fornacelle 232/C
57022 Castagneto Carducci (Livorno)
Tel. +39 0565 1828055
info@mottafabio.it

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Resa Champagne 2024 a 100 quintali per ettaro


I presidenti del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, David Chatillon e Maxime Toubart, hanno firmato la delibera annuale sulle rese e sulla riserva vendemmiale dello Champagne, in occasione della vendemmia 2024. «Per garantire un approvvigionamento sicuro e stabile del settore – si legge nella nota diffusa oggi, 19 luglio, da Epernay – i quantitativi immessi sul mercato durante la campagna 2024-2025 sono fissati a 10.000 chilogrammi (100 quintali, ndr) di uva per ettaro di superficie in produzione».

10.000 KG/ETTARO: È LA RESA DELLO CHAMPAGNE NEL 2024

«I quantitativi raccolti in eccesso rispetto a questo volume vengono messi in riserva entro il limite della resa annua massima autorizzata, fissata individualmente alla resa obiettivo per ettaro di superficie in produzione e, dall’altra parte, al massimale di riserva». Si tratta di una flessione rispetto alla resa dello Champagne della vendemmia 2023. Lo scorso anno, infatti, il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne aveva fissato il limite a 11.400 chilogrammi per ettaro, ovvero a 114 quintali per ettaro.

CONTESTO ECONOMICO DEBOLE

Le spedizioni di champagne nella prima metà del 2024 rappresentano 106,7 milioni di bottiglie, ovvero -15,2% rispetto allo stesso periodo del 2023 che fu un semestre record (escluso il 2022). Le spedizioni tornano a un livello vicino a quello del 2019. «La cupa situazione geopolitica ed economica mondiale e l’inflazione generalizzata – spiegato David Chatillon – pesano sui consumi delle famiglie. Anche lo champagne continua a subire le conseguenze di un eccesso di scorte da parte dei distributori nel 2021 e nel 2022. Restiamo comunque fiduciosi nei valori della loro denominazione».

LA VENDEMMIA 2024 IN CHAMPAGNE

Dall’inizio dell’anno il vigneto della Champagne viene definito dai produttori locali come «particolarmente umido». A causa della mancanza di soleggiamento e di un inizio vegetativo caratterizzato dal fresco, l’intero vigneto è soggetto ad una «forte ma controllata pressione dell’oidio». Le gelate primaverili e la grandine hanno avuto «un impatto moderato» sul potenziale di raccolto (circa il 10%). La vite presenta un ritardo di sviluppo di 5-6 giorni rispetto alla media decennale. L’inizio della raccolta è previsto mediamente intorno al 10-12 settembre.

«Dopo un’annata 2023 particolarmente calda e secca –  ha dichiarato Maxime Toubart – l’annata 2024 è stata eccezionalmente piovosa, il che ha complicato il lavoro in vigna. La pressione delle muffe è forte ma rimane generalmente controllata a costo di un lavoro significativo. Le condizioni meteorologiche da qui alla vendemmia saranno decisive per garantire un buon raccolto».

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Il vino spagnolo supera quello italiano in Germania

FOTONOTIZIA – Il vino spagnolo supera il vino italiano come vino più importato in Germania ed è anche quello che registra la crescita maggiore. Lo rende noto l’Observatorio español del mercado del vino, l’Osservatorio spagnolo del mercato del vino. Se è vero che la Germania ha ridotto le sue importazioni di vino del 4,1% in volume e del 14,4% in valore nel primo trimestre del 2024 – passando a 307,8 milioni di litri e 562,3 milioni di euro a un prezzo medio inferiore del 10,7% – la Spagna è stata senza dubbio il Paese fornitore più performante della top 10. Battuta così l’Italia, che perde il ruolo di primo esportatore in volume. Terzo posto, ma con largo distacco, per la Francia, che anticipa l’Austria, unico Paese, insieme a Spagna e alla sorprendente Ungheria, capace di crescere nel primo trimestre 2024 sul mercato tedesco.

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Ciao Tiziano Bianchi “Tano”


EDITORIALE – Alla fine proprio tu, Tiziano Bianchi detto “Tano”, hai deciso di lasciarmi così, senza il piacere e l’onore di averti stretto mai la mano di persona. Tu, che sei stato l’unico ad avermi difeso tante volte – l’ultimo post del tuo blog parla chiaro – contro i soprusi che i giornalisti senza padroni sono costretti a subire in questo mondo vigliacco, in mano a paraculo e gente col pelo sullo stomaco.
Te ne vai con l’amata mamma, unico legame dal quale forse non hai mai saputo oggettivamente staccarti, tu che eri obiettivo pure sui comunisti, da comunista nell’animo quale sei stato. Mancherai e riderai, da lassù, a quanti oggi ti incenseranno, dopo aver tentato per una vita di affossarti e minimizzare il tuo lavoro. Mi hai dato forza quando ne avevo bisogno, tante volte. Ora so che ho un angelo custode in più. Ciao Tano, come sempre #seguirabrindisi. Questa volta in tua memoria. In tuo onore.

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Blending Stories: Tannico e la sua linea di vini “a marchio”


Blending stories
di Tannico è il nome della linea di vini “a marchio” dell’e
noteca online numero uno in Italia. Si tratta di un nuovo progetto, lanciato nell’aprile 2024, che vede Tannico al fianco di alcune cantine selezionate per la realizzazione congiunta dei vini. L’ultima collaborazione è con la cantina altoatesina Kaltern, con la quale sono nati due vini esclusivi, in vendita sull’e-commerce. Altri vini della linea Blending stories di Tannico vedono protagoniste cantine come Argiolas, in Sardegna, Castello Vicchiomaggio, nel Chianti Classico, Tenuta Fertuna, in Maremma e Giacomo Fenocchio nelle Langhe. Il logo delle cantine partner appare in bella vista sulle etichette a sottolineare il loro ruolo di protagoniste nel progetto, sdoganato già nel 2022 da Tannico con l’emiliana Tenuta Forcirola e con la piemontese Fenocchio, prima che la linea assumesse il nome attuale.

BLENDING STORIES E NUOVA BRAND IDENTITY PER TANNICO

«Blending Stories – spiega Tannico – sono i vini per cui abbiamo personalmente partecipato alla creazione, a quattro mani con alcune selezionate grandi cantine. Questi combinano l’insostituibile conoscenza del territorio del singolo produttore, con l’inconfondibile stile di Tannico». Non è l’unica novità che riguarda l’enoteca online che, nel 2023, ha compiuto 10 anni di vita. Quest’anno, l’azienda finita nel 2022 sotto il controllo della joint venture Campari Group-Moët Hennessy (Lvmh), ha presentato la sua nuova brand identity.

SIRAGUSA: «RICERCA DELL’ECCELLENZA E ATTENZIONE PER LA COMMUNITY»

Il marchio storico, rappresentato da una botte stilizzata con acini d’uva, nella sua nuova declinazione, emerge più minimalista e contemporaneo. Ai cambiamenti si aggiungono una nuova font e un payoff, For the Love of Wine, che sottolinea «l’importanza dell’amore per il vino, la sua cultura e la comunità che lo circonda: una vasta rete di produttori, wine lovers e consumatori».

«La ricerca dell’eccellenza e l’attenzione alle esigenze della community dei wine lovers – commenta Daniela Siragusa, Chief Marketing Officer di Tannico – sono il nostro focus principale. Rinfreschiamo la nostra visual identity per renderla ancora più caratterizzata e riconoscibile, mantenendo di fatto i nostri elementi distintivi insieme alla passione che ci guida da dieci anni e la voglia di fare ogni giorno sempre meglio».

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Consorzio Oltrepò pavese: scelti i cinque nuovi consiglieri del Cda?


Spuntano i nomi dei cinque consiglieri chiamati a sostituire gli imbottigliatori che si sono dimessi dal Cda del Consorzio Vini Oltrepò pavese. Secondo indiscrezioni di winemag.it, si tratterebbe di Alessio Brandolini (vignaiolo Fivi di San Damiano al Colle), Stefano Torre (nuovo enologo senior di Monsupello, dopo l’addio di Marco Bertelegni), Achille Bergami (allievo di Donato Lanati, enologo di Tenuta Travaglino), Stefano Dacarro (titolare de La Travaglina) e di un rappresentante della cantina Montelio di Codevilla. I nuovi consiglieri sarebbero stati pescati tra i primi non eletti alle ultime elezioni dell’ente di Torrazza Coste (Pavia), che hanno portato la produttrice Francesca Seralvo alla presidenza, al posto della presidente uscente Gilda Fugazza (espressione, lei sì, degli imbottigliatori, al pari del direttore Carlo Veronese, che sarà sostituito a settembre da Riccardo Binda).

CINQUE NUOVI CONSIGLIERI NEL CDA DEL CONSORZIO OLTREPÒ

Il Consorzio Vini Oltrepò segue dunque la strada del muro contro muro e sembrerebbe intenzionato a ufficializzare i nomi dei nuovi cinque consiglieri ancor prima di incontrare Regione Lombardia. Un’altra ipotesi è che i nomi stiano circolando tra gli addetti ai lavori della zona, in attesa dell’incontro con l’assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste di Regione Lombardia, Alessandro Beduschi. Il tavolo sarebbe stato convocato per mercoledì 17 luglio, a distanza di 11 giorni dal fatidico 5 luglio, data in cui i cinque consiglieri della categoria imbottigliatori Quirico Decordi, Federico Defilippi, Renato Guarini, Pierpaolo Vanzini e Federica Vercesi hanno rassegnato le loro dimissioni. Il gruppo, sempre secondo indiscrezioni, ha invece incontrato oggi l’esponente del Pirellone.

INUTILE L’INCONTRO REGIONE LOMBARDIA – CONSORZIO OLTREPÒ PAVESE?

Ancora non è chiaro se e a chi sarà affidata la terza vicepresidenza – accanto a Cristian Calatroni e Massimo Barbieri – lasciata vacante proprio da Renato Guarini. Quel che è certo è che, se i cinque nomi dei sostituti fossero confermati, l’incontro tra la presidente Francesca Seralvo e l’assessore regionale Alessandro Beduschi potrebbe essere ascritto a mera formalità istituzionale. Inutile, ai fini di una positiva soluzione del conflitto in atto in Oltrepò pavese. Del resto, la numero uno di Torrazza Coste era stata chiara, l’indomani delle dimissioni: «Supereremo ogni ostacolo – aveva dichiarato Seralvo», minimizzando il peso degli imbottigliatori nella compagine consortile. Quasi certa, così, l’uscita ufficiale dal Consorzio delle cinque aziende dei consiglieri dimissionari: Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Losito e Guarini, Azienda VitivinIcola Vanzini e Società Agricola Vercesi Nando e Maurizio.

OLTREPÒ PAVESE: IL CONSORZIO PUÒ PERDERE L’ERGA OMNES?

Ed è caos sulle conseguenze che la scelta potrebbe avere sull’erga omnes del Consorzio Vini Oltrepò pavese, ovvero lo svolgimento di tutte le attività (comprese quelle promozionali) anche a vantaggio dei produttori non aderenti. Il livello di adesione minima per l’ottenimento dell’erga omnes è fissato ad almeno il 40% dei viticoltori ed almeno il 66% della produzione certificata media sui vigneti a denominazione o a indicazione geografica protetta iscritti negli ultimi due anni). Secondo gli imbottigliatori uscenti, il loro peso sarebbe del 30%. Cifra che la presidente Seralvo e il Cda del Consorzio Vini Oltrepò riducono al 12,4%. Bocche cucite, nel frattempo, su tutti i fronti: potrebbero parlare, ben presto e da sole, le nuove nomine. All’orizzonte, uno tsunami destinato a non essere cosa passeggera.

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Lollobrigida convoca tavolo vini dealcolati. Frescobaldi strizza l’occhio

Piaccia o no, il tema dei vini dealcolati tiene banco nell’estate 2024 del vino italiano. E non se ne parla solo in cantina, sui social media o nei “salotti” frequentati dai professionisti del settore. Intervenendo oggi a Roma all’Assemblea Generale di Unione italiana vini (Uiv), il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, ha annunciato di aver intenzione di convocare un tavolo per stabilire le regole sui dealcolati. «Non ho una posizione ideologica su questo – ha precisato – non voglio ostacolare la crescita delle imprese. Ragioniamo pragmaticamente. Dobbiamo preservare la percezione della qualità del vino italiano e, in particolare sui nuovi mercati, capire come evitare il rischio di compromettere il posizionamento con prodotti dealcolati per cui la sfida della qualità non è facile».

FRESCOBALDI: MEGLIO I VINI DEALCOLATI CHE ESTIRPARE VIGNETI

Il ministro si è poi espresso sul tema del contenimento produttivo: «Non è necessario arrivare ad una politica degli espianti per aumentare il valore: ciò significherebbe mettere a rischio il territorio. Su questo condividiamo la medesima sensibilità di Unione italiana vini». Per Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv: «Questo mondo del vino non tira la giacca a nessuno, però vuole essere riconosciuto come un prodotto che dà un contributo significativo in termini di Pil, occupazione e valorizzazione dei territori. Ma abbiamo bisogno di scelte strategiche. Io mi vergognerei nei confronti dei contribuenti a togliere vigneti realizzati con il loro contributo». In sostanza, per il numero uno di Unione italiana Vini, meglio utilizzare i vigneti già esistenti per produrre vini dealcolati che estirparli.

Sempre in occasione dell’Assemblea Generale di Uiv è intervenuto anche il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti: «Viviamo un’opportunità eccezionale – ha dichiarato – abbiamo un Sistema Italia ideale per investire e produrre. Se si fanno delle valutazioni obiettive, l’Italia rappresenta oggi il luogo di maggiore interesse per gli investimenti. Il vino è un elemento protagonista del Made in Italy. I numeri dell’export hanno registrato una dinamica impressionante: vuol dire che il settore ha lavorato e continua a lavorare bene».

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Vendemmia 2024 in Australia: crollo Shiraz, crescono uve bianche

Secondo il National Vintage Report 2024 di Wine Australia, nel 2024 la produzione di uva da vino australiana è aumentata del 9% rispetto all’anno precedente, raggiungendo una stima di 1,43 milioni di tonnellate. Con una sorpresa: per la prima volta dal 2014, le uve bianche superano quelle rosse in occasione della vendemmia 2024 in Australia, seppur di pochissimo (51% vs 49%). Determinante il crollo del Shiraz, compensato dalla crescita dello Chardonnay (+31%). L’annata 2024 fa seguito al minimo storico di 23 anni registrato nel 2023. Nonostante la crescita, la produzione di quest’anno è ancora ben al di sotto della media decennale di 1,73 milioni di tonnellate.

«Questa è la terza annata delle ultime cinque che è stata al di sotto della media decennale – sottolinea Peter Bailey, responsabile del settore Market Insights di Wine Australia. Negli ultimi anni si è infatti registrata una tendenza alla diminuzione della produzione di uva da vino australiana. Negli ultimi due anni, la media quinquennale è diminuita di oltre 100 mila tonnellate. «Tuttavia – continua Bailey – la riduzione della produzione non riflette necessariamente una diminuzione dell’offerta. Non ci sono indicazioni che la superficie viticola sia diminuita in modo significativo; quindi, il potenziale per un raccolto abbondante esiste ancora senza una gestione attiva delle rese”.

Un tema che non lascia insensibile il governo australiano, che ha di recente annunciato un pacchetto di sostegno alla redditività a lungo termine del settore vitivinicolo, che prevede tra l’altro lo sviluppo di un catasto nazionale dei vigneti. L’obiettivo è aiutare i viticoltori ad avere un quadro più chiaro della reale offerta a livello nazionale.

AUSTRALIA: CRESCE LA PRODUZIONE DI UVE BIANCHE

L’aumento complessivo della raccolta rispetto all’anno precedente è stato di 112 mila tonnellate e interamente determinato dalle varietà di uve bianche, che sono aumentate di 117 mila tonnellate (19%), raggiungendo le 722 mila tonnellate. Nonostante ciò, la quantità delle varietà bianche è rimasta del 10% inferiore rispetto alla media decennale, classificandosi come la seconda più scarsa degli ultimi 17 anni. La vendemmia delle uve rosse è diminuita di poco meno di 5 mila tonnellate (1%), attestandosi a 705 mila tonnellate, la più bassa dall’annata 2007, colpita dalla siccità, e il 40% in meno rispetto al picco di 1,2 milioni di tonnellate raggiunto nel 2021. La quota complessiva di uva bianca è aumentata al 51% e, per la prima volta dal 2014, la è stata superiore a quella rossa.

«La riduzione complessiva delle uve rosse in occasione della vendemmia 2024 in Australia – spiega ancora Bailey – è dovuta interamente allo Shiraz, che è diminuito di quasi 48 mila tonnellate, mentre la maggior parte delle altre varietà rosse è aumentata. Questa diminuzione non è stata causata solo dalle regioni interne, con le valli di Barossa e Clare che hanno rappresentato un terzo della riduzione. Più in generale, i fattori stagionali hanno contribuito a far sì che il 2024 sia un’altra annata scarsa. Tuttavia, l’ulteriore e significativa riduzione della produzione di vino rosso può essere in gran parte attribuita alle decisioni prese dai viticoltori e dalle aziende vinicole di ridurre la produzione. Queste decisioni sono dettate dai bassi prezzi dell’uva, dal notevole eccesso di scorte di vino rosso e dalla riduzione della domanda globale di vino».

PREZZI DELLE UVE E INCOGNITE DEL VINO AUSTRALIANO NEL 2024

Lo Chardonnay è aumentato del 31%, raggiungendo le 333 mila tonnellate, superando lo Shiraz e riprendendo il titolo di varietà regina in occasione della vendemmia 2024, detenuto l’ultima volta nel 2013. Lo Shiraz è diminuito del 14%, passando a 298 mila tonnellate, la cifra più piccola dal 2007. Il South Australia ha rappresentato la quota maggiore della raccolta (49%), ma è diminuito del 4% e ha perso 6 punti percentuali rispetto agli altri Stati. Tutti gli altri Stati, ad eccezione dell’Australia Occidentale, hanno incrementato le loro rese rispetto al 2023, con la Tasmania che ha registrato un aumento del 42%, raggiungendo una resa record di 16.702 tonnellate.

Il valore della vendemmia 2024 in Australia è stimato in 1,01 miliardi di dollari, con un aumento del 2% rispetto all’anno precedente. L’aumento del 9 % del quantitativo è stato compensato da una diminuzione complessiva del valore medio, passato da 642 dollari per tonnellata a 613 dollari per tonnellata. Nelle regioni calde dell’entroterra, sia i rossi che i bianchi hanno subito un calo del valore medio del 5%, mentre nelle regioni fredde e temperate si è registrato un piccolo aumento (3%) dei bianchi, mentre il valore medio dei rossi è rimasto invariato. Bailey afferma che il calo complessivo del valore medio è stato determinato principalmente dalla diminuzione dei prezzi medi pagati per le uve rosse e bianche provenienti dalle regioni calde dell’entroterra e dall’aumento della quota di tonnellate provenienti da queste regioni.

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Contraffazione e frode in commercio: Piacenza Wine Group sotto inchiesta


Cantine Casabella
di Castell’Arquato e A.v.p.g. – Azienda Vitivinicola Gazzola Pietro e Stefania di Travo sono al centro di un’inchiesta dei carabinieri del Nas di Parma coordinata dalla Procura di Piacenza, che ha avuto anche riflessi su personalità di spicco dell’ente certificatore Valoritalia. L’ipotesi è la contraffazione di vini Dop dei Colli Piacentini e la frode in commercio. Gutturnio, Ortrugo, Barbera, Malvasia e Trebbianino sarebbero stati mescolati con vini di altre zone – le percentuali che variano dal 20 al 53% – contro quanto stabilito dai disciplinari di produzione dei vini a denominazione di origine controllata (Doc) o a Indicazione geografica protetta (Igp).

COLLI PIACENTINI: CONTRAFFAZIONE E FRODE SU 500 MILA BOTTIGLIE

Secondo l’accusa, le aziende avrebbero contraffatto 60 mila litri, per un totale ipotizzabile di circa 80 mila bottiglie. Le due cantine, che operano in modo assiduo con la Grande distribuzione, per esempio con insegne come Carrefour Italia, sono riconducibili alla holding Piacenza Wine Group, di cui è titolare l’imprenditore Pietro Gazzola. La notizia dell’indagine è stata diffusa per la prima volta nei giorni scorsi dal quotidiano locale Libertà.

PIACENZA WINE GROUP DI PIETRO GAZZOLA NEL MIRINO

Il gruppo è stato fondato nel 2019 dall’unione della cantina di Gazzola, A.v.p.g., e Cantine Casabella. Un’operazione che non è passata inosservata nel mondo del vino piacentino ed emiliano-romagnolo: 7 milioni di euro il patrimonio netto della holding e 11,5 milioni di euro il valore stimato della produzione, all’epoca dell’accordo. In seguito alle prove raccolte dai Nas di Parma nelle due aziende vinicole, sono dodici le persone indagate dalla Procura di Piacenza. Si tratta del titolare e di alcuni dipendenti, tra cui un agronomo e un enologo.

SILURATO IL DIRIGENTE DI VALORITALIA A PIACENZA 

Nel mirino anche il dirigente dell’ufficio di Piacenza di Valoritalia, silurato dai vertici dell’ente con licenziamento per giusta causa. Allontanati anche due ispettori dell’agenzia piacentina, consulenti esterni responsabili di negligenze durante i controlli effettuati nelle cantine. Pratiche scorrette scoperte grazie a un’indagine interna dell’ente certificatore, che dichiara di aver collaborato sin da subito con gli inquirenti. Alla base della contraffazione di vini Dop dei Colli piacentini ci sarebbe infatti una sistematica alterazione dei registri di cantina, utile a giustificare le giacenze dei vini Dop e Igp.

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Dimissioni imbottigliatori, Consorzio Oltrepò a muso duro: «Supereremo ogni ostacolo»


Una notte per pensare, digerire, rispondere. A muso duro. È arrivata a metà mattinata odierna la risposta del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese alle dimissioni rassegnate ieri da cinque consiglieri, tutti rappresentanti della categoria imbottigliatori. L’ente di Torrazza Coste (Pavia) intende «superare ogni ostacolo che si opponga al progresso e alla crescita del Consorzio» e liquida così la decisione assunta dai consiglieri dimissionari Quirico Decordi, Federico Defilippi, Renato Guarini, Pierpaolo Vanzini e Valeria Vercesi .

«Le aziende dimissionarie rappresentano la sola fase dell’imbottigliamento di tutta la filiera – recita il “comunicato stampa” pubblicato sulla pagina Facebook del Consorzio e non inviato a questa testata – che rappresenta ora il vero focus di tutela e promozione del Consorzio, talune nemmeno presenti sul territorio e rappresentano in termini di rappresentatività della produzione Doc/Docg solo il 12,4%, diversamente da quanto comunicato da talune testate (le aziende dimissionarie parlavano del 30%, ndr). Inoltre, stiamo già lavorando per dare una forma più moderna e performante al Consorzio, con una nuova direzione volta alla valorizzazione della filiera e della qualità».

«Il nostro obiettivo – continua il comunicato sottoscritto dalla presidente Francesca Seralvo – è riportare l’Oltrepò Pavese al prestigio che avrebbe sempre dovuto avere, attraverso un rinnovato impegno per l’eccellenza e l’innovazione. Il Consiglio di Amministrazione, con il sostegno della maggioranza dei suoi membri, continuerà a lavorare con determinazione per il bene comune di tutti i consorziati, superando ogni ostacolo che si opponga al progresso e alla crescita del Consorzio. Il nostro obiettivo rimane quello di promuovere e valorizzare le eccellenze del nostro territorio, assicurando che ogni azione intrapresa sia volta a realizzare gli scopi istituzionali per cui il Consorzio è nato».

«GESTIONE OPACA»: LA REPLICA DEL CONSORZIO

Nella nota anche un commento alle accuse, mosse dagli imbottigliatori dimissionari, di un «gestione opaca da parte della presidenza e di alcuni membri del Cda». «La presidenza – replica il Consorzio – desidera ribadire con forza i propri obiettivi di trasparenza, etica e lealtà tra tutti gli associati. Il nostro impegno è rivolto a garantire una gestione trasparente, rispettosa delle norme di legge e focalizzata sull’interesse collettivo di tutte le categorie rappresentate dal Consorzio. Il nostro Consiglio di Amministrazione ha intrapreso un percorso volto a rendere l’azione del Consorzio sempre più efficiente ed efficace, adottando decisioni strategiche per il raggiungimento dei fini istituzionali».

«Queste decisioni – continua il Consorzio – mirano a valorizzare le varie denominazioni del territorio e a sostenere le imprese della filiera vitivinicola che operano con serietà e impegno nell’Oltrepò Pavese. Riteniamo imprescindibile l’adesione a principi di lealtà commerciale, rispetto delle norme e correttezza professionale. Il Consorzio promuove un ambiente di collaborazione e unità, in cui ogni comportamento deve contribuire alla valorizzazione dell’immagine e del prestigio delle nostre denominazioni. Ogni consorziato – termina così il comunicato stampa del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese – è tenuto a rispettare questi principi, sanciti dallo Statuto del Consorzio, per garantire l’armonia e il successo collettivo».

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Ribaltone Consorzio Vini Oltrepò, gli imbottigliatori: «Ecco perché ci siamo dimessi»


Con le dimissioni di cinque consiglieri dal Cda del Consorzio Tutela vini Oltrepò pavese, «il 30%» della produzione perde la rappresentatività nell’ente di Torrazza Coste (Pavia) e a rischio finisce l’Erga Omnes, ovvero il senso stesso dell’esistenza dell’ente di tutela. Ne sono ben consapevoli i dimissionari, rappresentanti di
Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Losito e Guarini, Azienda Vitivinicola Vanzini e Società Agricola Vercesi Nando e Maurizio, che in un comunicato si definiscono «in polemica con una gestione del Consorzio poco trasparente, guidata da interessi di parte e caratterizzata da una condotta non sempre rispettosa delle regole statutarie».

«Sono mesi che assistiamo a una gestione del Consorzio, da parte della presidenza e di alcuni membri del Cda, opaca e governata da logiche riconducibili a interessi particolari di qualche azienda, contrarie al rispetto dell’interesse collettivo di tutto il territorio che il Consorzio dovrebbe tutelare – dichiarano i dimissionari – dove è stato mortificato il ruolo del CdA, ridotto a mero luogo di ratifica di decisioni prese in altre sedi, e sono stati adottati provvedimenti che rischiano di portare verso un preoccupante dissesto finanziario».

OLTREPÒ: CHI SONO I CINQUE CONSIGLIERI CHE HANNO RASSEGNATO LE DIMISSIONI

Con queste motivazioni, Quirico Decordi, Federico Defilippi, Renato Guarini, Pierpaolo Vanzini e Valeria Vercesi hanno rassegnato oggi le proprie irrevocabili dimissioni da Consiglieri del Consorzio con una missiva inviata alla presidente del Consorzio, Francesca Seralvo e al presidente del Collegio Sindacale. «È stata una decisione sofferta e un passo importante – dichiarano ancora i dimissionari – che abbiamo cercato in tutti i modi di evitare e che non avremmo voluto adottare, ma che oggi diventa necessaria non solo per tutelare le nostre persone in quanto componenti dell’organo di gestione del Consorzio davanti a pratiche e comportamenti contrari alle regole dettate dallo statuto, ma anche per dare un segnale inequivocabile sulla necessità di cambiare rotta, restituendo al Cda il ruolo di governo del Consorzio che deve mirare alla tutela e salvaguardia degli interessi collettivi di tutti i produttori del territorio».

Sempre secondo i cinque consiglieri che oggi hanno rassegnato le dimissioni dal Cda del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese, «sono state molte in questi mesi le domande lasciate senza risposta, le contestazioni ignorate – relative anche a scelte importanti operate dal Consorzio quali il cambio di direzione, la verifica dello stato finanziario, il corretto utilizzo dei fondi per la promozione, l’adempimento di alcune deliberazioni assembleari – così come i comportamenti adottati da parte del presidente e di alcuni consiglieri che rischiano di compromettere la relazione del consorzio con istituzioni quale ASCOVILO e la Regione Lombardia».

DIMISSIONI DAL CDA: A RISCHIO L’ERGA OMNES DEL CONSORZIO VINI OLTREPÒ

«Atteggiamenti non più tollerabili – continuano i dimissionari – che ci obbligano ad una presa di distanza netta soprattutto quando si arriva addirittura a negare la stessa possibilità del confronto, rigettando l’istanza di convocazione di Cda, da noi formulata nei giorni scorsi nel rispetto delle disposizioni statutarie, che è stata respinta con motivazioni pretestuose». Si apre adesso una fase difficile perché i numeri produttivi e dell’imbottigliato delle aziende dimissionarie sono decisivi per mantenere l’Erga Omnes e la rappresentatività del Consorzio, cioè la possibilità di ricevere ed utilizzare i fondi per la promozione e gestire le attività di tutela che rappresentano i due asset primari dell’attività consortile.

«Per senso di responsabilità verso il territorio e la tutela della denominazione – concludono i rappresentanti dimissionari – non siamo usciti dal Consorzio con le nostre imprese, consapevoli che questo gesto avrebbe potuto portare al tracollo del Consorzio stesso. Ma se il governo del Consorzio non cambia indirizzo e non ritorna sui binari della correttezza formale e del rispetto delle regole statutarie, recuperando in primis il Cda alle sue prerogative, ci vedremo costretti a prendere ulteriori provvedimenti».

REGIONE LOMBARDIA: TAVOLO DI CONFRONTO CON L’OLTREPÒ DOPO DIMISSIONI

«Il sistema vitivinicolo dell’Oltrepò Pavese rappresenta un pilastro dell’agroalimentare lombardo e credo sia nell’interesse di tutti che quanto accade in queste ore all’interno del Consorzio di Tutela sia il prima possibile oggetto di un confronto con le istituzioni. Regione Lombardia è da sempre a fianco di questo mondo e per questo ci attiveremo da subito per un confronto rapido e mi auguro risolutivo con i rappresentanti del settore vinicolo pavese» Lo dichiara l’assessore all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste di Regione Lombardia, Alessandro Beduschi, commentando la notizia delle dimissioni di cinque rappresentanti dal CdA del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese.

«Già nei prossimi giorni – prosegue Beduschi – mi recherò presso la sede del Consorzio per fare sentire la presenza di Regione Lombardia e soprattutto per proseguire con l’ascolto e il sostegno, che da parte nostra non è mai mancato. Il mondo del vino lombardo sta vivendo un periodo di crescita, soprattutto sui mercati internazionali, che è simbolo di quanto potenziale è ancora in grado di esprimere. Lo deve fare insieme, ragionando come sistema: un sistema di cui l’Oltrepò è parte integrante».

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Consorzio Oltrepò: si dimettono dal Cda cinque consiglieri imbottigliatori


Come preannunciato nei giorni scorsi da winemag.it, non c’è pace per l’Oltrepò pavese. È di poche ore fa la notizia delle dimissioni di cinque consiglieri della categoria imbottigliatori dal Consiglio di amministrazione del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese. Un vero e proprio ribaltone ai piedi della nuova presidente Francesca Seralvo, che ancora attende di poter annunciare il nome del nuovo direttore Riccardo Binda, dopo l’addio a Torrazza Coste di Carlo Veronese, conseguente alla mancata rielezione della presidente uscente, Gilda Fugazza. I cinque consiglieri dimissionari sono rimasti in carica meno di cinque mesi. Il nuovo Cda che ha poi scelto Seralvo alla presidenza era stato eletto mercoledì 28 febbraio 2024.

I nomi dei dimissionari fanno rumore. Si tratta del vicepresidente Renato Guarini (Losito e Guarini Srl), Federico Defilippi (Agricola De Filippi Fabbio), Pier Paolo Vanzini (Az. Vitivinicola Vanzini Sas), Valeria Vercesi (Società Agricola Vercesi Nando e Maurizio SS) e di Quirico Decordi (Vinicola Decordi del Borgo Imperiale Cortesole Spa). I cinque esponenti della categoria imbottigliatori lasciano così soli in Consorzio Paolo Tealdi (Castello del Poggio Sarl – Zonin) e Luca Bellani (Azienda agricola Cà di Frara).

CDA CONSORZIO VINI OLTREPÒ: CHI RESTA CON SERALVO

Insieme a loro, in attesa del rimpasto, restano in carica nel ruolo di consiglieri del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese per la categoria viticoltori: Cristian Calatroni (Calatroni di Calatroni Cristian), Caterina Cordero (Cordero SSA), Camillo Dal Verme (Az.Agr. Dal Verme Camillo e Filippo SS), Luigi Gatti (Legoratta), Daniele Passerini (Molino di Rovescala),  Valeria Radici Odero (Frecciarossa Srl Società Agricola) e Paolo Verdi (Az.Agr. Verdi Paolo).

Per la categoria vinificatori: Antonio Achilli (Az. Agr. Manuelina SSA), Massimo Barbieri (Torrevilla Vit. Associati Soc. Coop Agr), Umberto Callegari (Terre d’Oltrepò Scapa), Fabiano Giorgi (Giorgi Srl), Ottavia Giorgi Vimercati di Vistarino (Conte Vistarino SS), Roberto Lechiancole (Prime Alture Srl), Francesca Seralvo (Agricola Mazzolino Srl). Al collegio sindacale siedono attualmente Vittorino Orione (presidente), Elena Cavallotti e Giovanni Giorgi.

Ribaltone Consorzio Vini Oltrepò, gli imbottigliatori: «Ecco perché ci siamo dimessi»

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Angelo Gaja scrive a Sergio Germano: scossa al Consorzio Barolo-Barbaresco


Con una lettera indirizzata al neo presidente Sergio Germano, Angelo Gaja dice la sua sulle recenti vicende del Consorzio di tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. Diversi i riferimenti all’operato del predecessore di Germano, Matteo Ascheri e alla bocciatura delle proposte di modifica del disciplinare dei due grandi vini rossi delle Langhe. Angelo Gaja arriva quindi a suggerire l’istituzione di un «Comitato Senior»: «Non lo invoco per me – precisa – non ho più l’età per farne parte. Vi farei confluire di diritto i past-President, che sono i preziosi depositari della memoria storica del Consorzio. Assieme mi piacerebbe vedere invitati anche soggetti che hanno conoscenze storiche ed attuali del mercato. Giusto per fare un esempio, Ernesto Abbona, già past-President di Uiv; Gianni Gagliardo, Presidente di Deditus; Piero Quadrumolo per le cantine sociali; Luca Currado Vietti, che ha viaggiato ovunque nel mondo; Oscar Farinetti ad immaginare il futuro…. Il “Comitato Senior” non potrà interferire con l’attività del Cda, avrebbe unicamente una funzione consultiva».

GAJA: PRESIDENTE TUTTO FARE VS PRESIDENTE SUPER PARTES

Nell’esordio della lettera, Gaja si congratula con Germano per il nuovo incarico, per poi fare una distinzione precisa tra i «presidenti tutto fare» e il «presidente super partes». «Caro Sergio – si legge nella missiva – complimenti e grazie per esserti preso un badò e di volerlo portare avanti con entusiasmo. “Presidenti tutto-fare”. Continuiamo su questa strada, è così da sempre, e grazie a trovarli quelli che si sacrificano a fare il Presidente-tutto-fare. Una volta eletti si insediano in ufficio e portano avanti il lavoro avvalendosi del sostegno dei collaboratori. Ma il “peso” resta principalmente sulle spalle del Presidente-tutto-fare. Si può pensare anche ad un altro progetto?», si chiede Angelo Gaja prima di definire cosa sia un «presidente super partes».

«Avere un Presidente super partes – spiega Gaja – che vigila sul CdA, affidando al Direttore il compito di creare/costruire/ispirare l’azione sociale?  Ma un simile direttore è da inventare: che conosca almeno tre lingue estere, portatore di progetti innovativi e realizzabili, che abbia scritto libri, dotato di capacità oratorie, creatore di entusiasmo, una voglia matta di lavorare…  e così il Presidente tutto-fare che è uno dei NOSTRI, ci rassicura, ci dà molte più garanzie, ne andiamo orgogliosi e ce lo teniamo stretto».

LA LETTERA DI GAJA A SERGIO GERMANO: «GUARDARE AVANTI» E «VIGNETI A NORD»

Altro “capitolo” della lettera di Gaja a Sergio Germano è intitolato «Guardare avanti». «In uno dei discorsi di fine anno – si legge nella missiva – il Presidente Mattarella invitava a “leggere il presente con gli occhi di domani”. In effetti voleva essere uno stimolo ad osare. Si è spesso portati a “leggere il presente con gli occhi di ieri”. Perché conosciamo il passato, sappiamo cosa è stato utile e cosa no, abbiamo acquisito delle sicurezze, ad avviare il “nuovo” siamo prudenti».

Ecco poi il nodo dell’apertura del disciplinare ai vigneti a Nord, naufragata tra le polemiche. «La questione – scrive Angelo Gaja nella lettera indirizzata a Sergio Germano – ha generato un refolo irriverente in un bicchier d’acqua. Ci sono produttori che già da tempo avevano piantato dei vigneti di Nebbiolo nel versante Nord. Sottoporre i vini che si producono da quei vigneti al giudizio della commissione di degustazione aiuterebbe a capire».

GAJA: «IGP PIEMONTE? LA CASELLA MANCANTE DEL VINO PIEMONTESE».

Sempre nella missiva indirizzata a Sergio Germano, Angelo Gaja allarga il cerchio e affronta una tematica “calda” del vino piemontese, ovvero la mancanza di una “denominazione di ricaduta” regionale, a fronte della presenza della Doc Piemonte. «Avevo invano sostenuto a lungo l’istituzione dell’Indicazione geografica tipica. Al Piemonte del vino manca una casella… sembra che siano in pochi ad accorgersene». L’accusa, nemmeno troppo velata e condivisa da diversi produttori regionali, è che la Dop Piemonte venga utilizzata, in assenza dell’Igp Piemonte, come “denominazione di ricaduta”. Con conseguente danno di immagine per il brand “Piemonte”.

LA STOCCATA A FONDAZIONE CRC E I GIOVANI

È ricchissima di tematiche la lettera di Gaja a Germano. L’iconico produttore suggerisce anche una diversa gestione di Barolo en Primeur. «I proventi delle bottiglie offerte all’asta dai produttori, unitamente a parte (da definire) di quelli delle barriques di Vigna Gustava – si legge – debbono andare interamente/esclusivamente al Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e non essere lasciati nella più ampia disponibilità della Fondazione CRC».

Infine, il nodo delle nuove generazioni: «Aiutare i produttori giovani a partecipare è il compito più difficile. Gli strumenti moderni però sono quelli già ampiamente utilizzati dai giovani. Dotare il Consorzio di un Blog, sul quale i produttori identificabili per nome e cognome possano comunicare, avviare confronti sui temi di interesse dei nostri vini». Le ultime righe della lettera al neo presidente Sergio Germano paiono un disclaimer: «Facile, comodamente seduti a casa propria, fare il grillo parlante.  Non volevo essere arrogante. Caro Sergio, ti ringrazio in anticipo per il lavoro che svolgerai a beneficio di tutti noi. Con amicizia, Angelo Gaja».

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Chianti Slim, l’ultima trovata di Piccini: poco alcol, tutto gusto e tappo a vite

Mario Piccini ne ha “combinata” un’altra delle sue. Da qualche settimana è in vendita nei supermercati Carrefour il Chianti Slim Piccini, ultima interpretazione di quella che è la denominazione per eccellenza della cantina toscana. Un Chianti Docg “Slim” nel contenuto di alcol, pari a soli 11 gradi, “Slim” per la facilità di apertura della bottiglia (dotata di un comodissimo tappo a vite) e “Slim” nelle calorie (il 15% in meno rispetto ai vini rossi più classici, da 13% vol.). Tutto “Slim” tranne il gusto, che premia due delle componenti – il sapore di frutta fresca a polpa rossa e nera e i profumi di fiori come le viole e le rose – che rendono il Chianti Docg una delle denominazioni del vino italiano più amate e conosciute a livello internazionale.

A “dieta” finisce così anche il prezzo, per la felicità dei portafogli dei tanti amanti del vino costretti oggigiorno, in tempi di crisi e inflazione, a rinunciare (loro malgrado) a una bottiglia di vino per dedicarsi a spese più pressanti. Il Chianti Slim Piccini è infatti in vendita a soli 5,90 euro nei supermercati Carrefour Italia. E, nei periodi di promozione, può arrivare a costare quasi la metà: in questi giorni è infatti in vendita sugli scaffali dell’insegna francese a 3,89 euro, con uno sconto del 34% sul prezzo pieno fissato dal produttore e dal retailer. È il momento giusto, insomma, per provarlo e lasciarsi convincere da un’interpretazione stilistica “diversa” e controcorrente della nota denominazione di origine controllata e garantita toscana.

MARIO PICCINI: «CHIANTI SLIM, COME QUELLO DEI NONNI»

Se la scelta di produrre un Chianti a basso tenore alcolico strizza l’occhio ai nuovi trend di consumo, ovvero ai giovani e a quelle (ampie) fasce di consumatori che privilegiano sempre più vini rossi freschi e beverini a quelli alcolici, potenti e concentrati, tutt’altro che scontato è il tappo a vite. Un sistema di tappatura che, grazie agli incredibili progressi della tecnologia, consente la conservazione di vini di assoluta qualità, tanto da essere scelta da alcuni dei migliori produttori italiani, anche per vini molto costosi e pregiati.

«Pur assecondando gli ultimi trend del mercato – commenta Mario Piccini – Chianti Slim ci riporta alle origini di questo vino antichissimo. In passato, infatti, il Chianti ha sempre avuto una gradazione contenuta. Il vino dei nostri nonni raramente eccedeva i 10-11%: la maggiore leggerezza esaltava il profilo fruttato, accendendo le serate in compagnia. Questo ci ricorda che per rompere le regole e riscrivere il futuro è essenziale guardare indietro. Una filosofia che Piccini percorre da sempre: innovativi per tradizione».

Valutazione Vinialsuper: (5 / 5)

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

Adriano: 30 anni e video-ricordo di Vittorio per lancio Barbaresco Riserva 2014 Basarin


Una cantina nata dall’intuizione di due fratelli, in grado di comprendere la grandezza e le sfumature dei terroir delle Langhe. Nel 2024 compie 30 anni la Adriano Marco e Vittorio di San Rocco Seno d’Elvio, piccola frazione di Alba nota a livello internazionale per i propri vini rossi e per essere ricompresa nella Docg Barbaresco. Sono le “nozze di perla” di una
famiglia tanto eccezionale quanto normale, capace di presentarsi con la purezza e l’elegante semplicità di un’italianità ormai perduta. Il volto e l’immagine dell’azienda è oggi Michela Adriano. Alla figlia del compianto Vittorio – scomparso prematuramente all’età di 56 anni, nel maggio del 2022 – classe 1995, è affidata la svolta “in rosa” della cantina, sempre più proiettata sull’ospitalità e sui mercati internazionali. Non senza sorprese: proprio in onore del papà Vittorio Adriano, lo scorso 25 giugno è stato presentato in anteprima il Barbaresco Docg Riserva 2014 Basarin.

Un’edizione limitata, prodotta in sole 500 bottiglie e 100 magnum, fortemente voluta dal compianto viticoltore albese in risposta alle «critiche generalizzate della stampa di settore» sulla qualità delle uve della vendemmia 2014. Un vero e proprio tuffo nel tempo la proiezione del video ritrovato da Michela Adriano tra i ricordi del padre. Le immagini, girate nel vigneto Basarin, mostrano Vittorio intento alla vendemmia di splendidi grappoli di Nebbiolo, a riprova che il “millesimo” 2014 ha saputo offrire grandi risultati ad alcuni vigneron delle Langhe: «Stiamo vendemmiando il Nebbiolo – spiega il vignaiolo nella clip di repertorio – uva che diventerà Barbaresco. Siamo nel vigneto Basarin, a Neive, e devo dire che sono veramente sorpreso di vendemmiare dell’uva bellissima, sana, matura al punto giusto».

IL VIDEO RICORDO DI VITTORIO ADRIANO NEL VIGNETO BASARIN


«Abbiamo avuto un’estate molto difficile – continua – con un luglio molto piovoso. Però, ad agosto, le condizioni sono cambiate e dalla metà del mese in poi il clima è stato favorevole. Un settembre molto bello ci ha permesso di essere fortunati col Barbaresco […] e sono convinto che avremo poi degli ottimi vini dall’annata 2014. Sono molto contento e soddisfatto del lavoro che abbiamo fatto». Una previsione che si è rivelata quantomai azzeccata.

L’immagine finale del video sfuma tra i vigneti e il cielo plumbeo, mentre in sala – in un gioco quasi mistico tra passato, presente e futuro – parte un applauso commosso, tra le lacrime di molti partecipanti e quelle di Michela Adriano, per la prima volta alla conduzione dell’assaggio dei vini aziendali di fronte agli ospiti chiamati a celebrare i 30 anni dell’azienda. Un esordio emozionante e coraggioso, vista la scelta di presentare – in onore e memoria del padre – solo vini dell’annata 2014, compreso un Sauvignon Blanc e un Moscato secco in stato di grazia.

IL VIGNETO DI ADRIANO A BRIC MICCA: ALTA LANGA O PINOT NERO IN ROSSO?

Il tempo, per i due vini bianchi, sembra essersi fermato in bottiglia a un decennio fa. E tutt’attorno, in cantina, a quel 1994, anno in cui i fratelli Marco e Vittorio Adriano presero le redini dell’azienda agricola del padre Aldo, fondata nei primi del Novecento dal nonno Giuseppe Adriano e dalla moglie Teresa. Fu loro la scelta, rivelatasi cruciale, di iniziare a vinificare e imbottigliare le uve dei vigneti di proprietà, al posto di venderle ad altri produttori della zona. Il successo della cantina Adriano, negli ultimi 30 anni, è stato tale da consentire di allargare l’azienda agricola – entrata nel frattempo nella Federazione italiana Vignaioli indipendenti, Fivi – sino agli attuali 53 ettari: 33 di vigna, 12 di noccioleto e la parte restante a bosco.

Radici saldissime ad Alba e nelle Langhe per la famiglia Adriano, pronta oggi a investire in denominazioni e vini ancora inesplorati. Promette molto bene il nuovo piccolo vigneto di Nebbiolo, Moscato e Pinot Nero in località Bric Micca, a Neive, dove la cantina Adriano Vini potrebbe cimentarsi nella produzione di Pinot Nero vinificato in rosso (Langhe Doc) e nell’Alta Langa Docg, in una zona particolarmente vocata sia per la qualità dei suoli – un mix tra la “Formazione di Lequio” e le “Marne di Sant’Agata” – sia per l’altitudine, che si assesta attorno ai 400 metri sul livello del mare. Le idee sul futuro della parcella non sono ancora chiare, ma il potenziale è di assoluto rilievo.

DAL DOLCETTO AL BARBARESCO: LO STILE “SEMPLICE” DI ADRIANO

Lo spirito imprenditoriale, del resto, è quello di sempre. «I miei nonni hanno capito che volevano e dovevano stare qui – racconta Michela Adriano – e lavorare duramente per fare qualcosa di buono. Con grande concretezza hanno tirato su le vigne dal nulla. Dopo di loro, mio papà Vittorio e mio zio Marco si sono resi conto che era ora di dare una rivincita a quella generazione di contadini “classici”, che stavano zitti di fronte a chi faceva loro “il prezzo” delle uve. Hanno voluto dare valore alle loro fatiche, iniziando ad imbottigliare in proprio e a premiare l’espressione dei singoli vigneti, in un’ottica di qualità e non più di quantità».

«Più vado avanti – aggiunge Michela – più mi rendo conto che la mia missione è quella di dare ulteriore valore a tutto quello che è stato fatto in passato in azienda, mettendolo a confronto con il resto delle produzioni più prestigiose del mondo nell’ottica di migliorarci sempre più, costantemente, rimanendo tuttavia noi stessi e continuando a proporre vini che ci diano una soddisfazione, su tutte: la bottiglia che finisce sul tavolo, tra una chiacchiera e l’altra, sulla tavola dei nostri amici e clienti». Idee chiare in casa Adriano, dal Dolcetto al Barbaresco: verso nuovi anniversari, con la forza della semplicità.


Adriano Marco e Vittorio

San Rocco Seno d’Elvio, 13A
12051 Alba (CN)
Tel. +39 0173 362294
Email: info@adrianovini.it

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