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Efow si opporrà al Prošek «per tutelare il Prosecco». Pressing di De Castro a Bruxelles

Anche Efow, l’European Federation of Origin wines, si schiera con l’Italia sulla querelle Prošek – Prosecco. La Federazione europea dei vini Dop e Igp, con vicepresidenza italiana (Riccardo Ricci Curbastro, numero uno di Federdoc), annuncia che «si opporrà alla protezione del termine Prošek come Menzione Tradizionale».

«Il sistema delle Ig dell’Ue deve essere rafforzato e non frammentato dall’interno», aggiunge l’organizzazione guidata dal francese Bernard Farges, che vede come membri, oltre a Francia (Cnaoc) ed Italia (Federdoc), anche Spagna (Cecrv), Portogallo (Ivdp) e Ungheria (Hnt).

Siamo preoccupati nel vedere che l’Ue, custode dei trattati, metta sullo stesso piano una nota denominazione come il Prosecco con un termine che è la sua traduzione in croato ed evoca foneticamente e visivamente l’indicazione geografica in questione».

«L’Ue – continua Efow – sostiene che non si tratta dello stesso prodotto vinicolo e che i consumatori, attraverso l’etichettatura, non possano essere fuorviati. Tuttavia, non si tratta solo di ingannare i consumatori, ma prima di tutto di sfruttare reputazione, riconoscimento e investimenti del Prosecco, compresa la protezione del nome della Ig contro le infrazioni nell’Ue e nei paesi terzi».

Durissima, poi, la stoccata alla Croazia che ha avanzato la richiesta di registrazione del Prošek: «Oggi è uno Stato membro dell’Ue che cerca di aggirare il sistema delle Indicazioni geografiche protette. Si rischia così di creare un precedente. Come potremo, in seguito, continuare a cercare e ottenere una migliore protezione delle Ig nei Paesi Terzi, come nel caso dei difficili negoziati in corso con l’Australia?».

DE CASTRO: «NO A IMITAZIONE E ABUSI»

Intanto, sulla querelle Prošek – Prosecco, sembra aver preso una posizione più netta – dopo i tentennamenti iniziali – anche Paolo De Castro. Nelle scorse ore, il coordinatore del Gruppo S&D in commissione Agricoltura del Parlamento europeo è tornato sull’argomento assieme all’omologo del PPE, Herbert Dorfmann.

Non possiamo tollerare che la denominazione protetta Prosecco, una delle più emblematiche a livello Ue, diventi oggetto di imitazioni e abusi, in particolare nell’Unione europea».

«Di fronte alla richiesta di tutela di una menzione, Prosek, che altro non è se non la traduzione in lingua croata del nome Prosecco – sottolineano De Castro e Dorfmann – ribadiamo ancora una volta che il regolamento Ue sull’Organizzazione comune dei mercati agricoli stabilisce che le Denominazioni di origine e Indicazioni geografiche protette devono essere tutelate da ogni abuso, imitazione o evocazione».

«A seguito dell’approvazione preliminare della richiesta croata da parte della Commissione – aggiungono gli europarlamentari Pd e Svp – ci auguriamo che lo scrutinio degli Stati membri e di tutte le organizzazioni e associazioni impegnate nella tutela delle nostre eccellenze agroalimentari porti al più presto all’interruzione della procedura di registrazione».

Anche Paolo De Castro ed Herbert Dorfmann fanno riferimento al rischio del «precedente nel quadro di negoziati commerciali con Paesi terzi, tra cui quelli in corso con Australia, Nuova Zelanda e Cile, che già si oppongono alla protezione completa del Prosecco».

La brutta figura dell’Italia tra Prosecco e Prosek croato

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Sulla vendemmiatrice meccanica in Macedonia: Dalvina Winery guida la rivoluzione tecnologica (VIDEO)

Non serviva andare fino in Macedonia per provare “l’ebbrezza” di salire su una vendemmiatrice meccanica. Ma è lì che è capitato. Un’esperienza che apre gli occhi sull’importanza della meccanizzazione di precisione in viticoltura. Un aspetto sul quale anche l’Italia sta facendo la sua parte.

L’esempio concreto è quello di Regione Lombardia, che con l’assessore Fabio Rolfi non usa sofismi: «La meccanizzazione è uno degli elementi chiave per l’agricoltura del futuro. Innovare significa abbattere le emissioni, razionalizzare le risorse, promuove la precision farming. L’agricoltura italiana è già la più sostenibile d’Europa e grazie allo sviluppo dei macchinari sarà possibile ottenere risultati ancora migliori in ottica di tutela delle aziende e dei consumatori».

All’Eima International di Bologna, fiera internazionale di Macchine per l’Agricoltura e il Giardinaggio, andata in scena dal 19 al 23 ottobre, Rolfi ha annunciato l’ormai prossima indizione di «un bando, già presentato alle associazioni di categoria, per ridurre le emissioni prodotte dalle attività agromeccaniche attraverso l’acquisto di macchinari innovativi e impianti di trattamento degli effluenti».

Perché, ha sottolineato l’assessore regionale della Lombardia, «non basta parlare di sostenibilità, serve accompagnare le aziende nei processi di innovazione». Macchine vendemmiatrici come quelle “testate” in Macedonia sono già a disposizione di diverse aziende vitivinicole italiane. Al di là della “poesia” (mancata) della raccolta manuale, il risultato è stupefacente.

SUL TETTO DELLA VENDEMMIATRICE MECCANICA

Il rumore dei rulli picchia forte nelle orecchie mentre Delco Baltovski, Ceo di Dalvina Winery, mostra fiero il suo ultimo investimento: «La precisione garantita da questa apparecchiatura è qualcosa di impressionante», si lascia scappare mentre il macchinario, chicco dopo chicco, setaccia centinaia di viti di Vranec in pochi minuti.

Siamo a Bosilovo, piccolo centro rurale della zona sudorientale della Macedonia del Nord. Sullo sfondo la Grecia settentrionale. La valle disegnata dai fiumi Struma e Strumeshnica, nella regione vinicola Strumica-Radovish, è un tappeto di vigneti di pianura, posti a un’altitudine di 380 metri sul livello del mare.

Tutt’attorno, montagne imponenti tra le cui vette s’insinua un vento costante e instancabile, che non smette di soffiare anche di notte. La temperatura dell’aria durante il periodo di vegetazione è in media di 20,2 gradi centigradi. Da questa parti, sono circa 210 i giorni di sole all’anno.

Piogge scarse e umidità relativamente bassa consentono a Dalvina Winery di raccogliere uve sanissime. Anche con la vendemmiatrice meccanica, che permette di abbattere ulteriormente i costi della manodopera (i vendemmiatori regolari, tra cui numerose famiglie gipsy, costano appena 30 euro per 7 ore di lavoro).

«Il modello originale – rivela il Ceo Delco Baltovski – è il Pellenc Selective Process 2 – Precision Viticulture. Un mezzo che ci è costato circa 400 mila euro, comprese alcune modifiche che abbiamo apportato per rendere ancora più efficiente e di qualità il processo di raccolta e l’immediato conferimento in cantina».

NON SOLO VENDEMMIA MECCANICA

Sul tetto della vendemmiatrice c’è una piattaforma che consente a quattro persone di assistere (comodamente) alle fasi di “mietitura” delle uve. L’autista è un giovane del posto, protetto nella sua cabina di guida, con ampia visuale sul vigneto. La velocità di carriera del mezzo non è elevatissima, ma consente di raccogliere e selezionare il Vranec acino per acino.

Ad effettuare l’operazione sono due imponenti bracci robotici, che scuotono il filare da capo a fondo, liberando i frutti. A impressionare, oltre alla perfetta “pulizia” del raspo dopo il passaggio della vendemmiatrice meccanica, è la perfetta integrità degli acini, nonostante il trambusto a cui vengono sottoposti, in stato di perfetta maturità.

Per Dalvina Winery, è un alleato fondamentale: «Siamo una cantina relativamente giovane – spiega ancora Delco Baltovski – ma abbiamo investito sin da subito in qualità, anche dal punto di vista della tecnologia. Del resto alleviamo 800 ettari, con una capacità di stoccaggio di 60 mila ettolitri».

Al momento, la produzione di Dalvina Winery si assesta annualmente tra i 2,5 e i 3 milioni di bottiglie. Tra i vini top di gamma un grande Vranec barrique, il Dioniz, frutto di un vigneto dove la raccolta manuale è un must. Piante di oltre 50 anni e conformazione dell’impianto, del resto, tengono lontana la vendemmiatrice meccanica. E allora lunga vita alle vecchie viti. Che a quelle giovani ci pensa il progresso.

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Sardegna, uva Granatza (Granazza) inserita nell’elenco vitigni autorizzati

«La Granatza (Granazza, ndr) finalmente nel registro dei vitigni autorizzati dall’Agris Sardegna». A darne notizia è Mamojà, l’associazione di viticoltori di Mamoiada, che da anni valorizza la varietà, assieme al Cannonau. «È un vitigno raro quasi scomparso», spiega Mamojà.

«Siamo fieri di valorizzarlo e di averlo recuperato – commenta il gruppo di produttori guidati da Francesco Cadinu – grazie al lavoro fatto in questi anni insieme ai nostri vignaioli e vivaisti di fiducia». Si tratta di un’uva bianca coltivata soprattutto in Barbagia, Campidano e Baronia, conosciuta anche come Vernaccia o Vernaccina.

L’inserimento della Granatza / Granazza nel registro dei vitigni autorizzati in Sardegna è frutto di un lungo percorso, avviato nel 2017 per 16 vitigni autoctoni. L’iter per il riconoscimento delle sedici varietà sarde vede protagonista l’Agenzia di ricerca in Agricoltura Agris Sardegna nell’ambito del progetto Akinas, legato alla «rivalutazione di nuovi prodotti enologici della biodiversità isolana».

UN PERCORSO AVVIATO NEL 2017

«Molte di queste varietà sono antiche e presenti da tempo nell’isola – spiegava nel 2017 Gianni Lovicu, responsabile viticoltura di Agris Sardegna – per alcune di loro le prime tracce risalgono a tempi di molto antecedenti alla costituzione del Regno d’Italia. Questo le aiuterà ad uscire dall’anonimato e fornirà un contributo fondamentale alle aziende interessate a coltivarle e vinificarle». Al progetto hanno anche collaborato il Crea-Eno Centro per l’enologia di Asti e il ZooplantLab dell’Università Milano Bicocca.

Assieme alla Granatza / Granazza, ecco dunque Alvarega (uva bianca coltivata in particolare nell’Ozierese e nel Goceano, conosciuta anche come Gregu biancu o Barriadorgia); Licronaxiu (uva bianca coltivata in particolare nella Sardegna centroccidentale-Mandrolisai, Oristanese, Sulcis e Planargia, conosciuta anche come Remungiau o Llacconargiu); Monica bianca (uva bianca coltivata in particolare in Barbagia, Baronia, Marmilla e Logudoro, conosciuta come Pansale).

GRANATZA / GRANAZZA MA NON SOLO

Continua il percorso anche per Cannonau bianco (uva bianca coltivata principalmente in Barbagia e Ogliastra); Cannonau dorato (uva bianca coltivata principalmente in Barbagia e Campidano); Argu mannu (uva bianca coltivata in tutta la Sardegna); Caddiu bianco (uva bianca coltivata principalmente in Marmilla e Sarcidano); Crannaccia arussa (uva bianca coltivata principalmente in Marmilla e Sarcidano); Codronisca (uva bianca coltivata principalmente nel sud dell’isola, conosciuta anche come Bianchedda); Gregu nieddu (uva a buccia nera coltivata principalmente nel Sulcis e in Campidano).

E infine: Licronaxiu nero (uva a buccia rossa coltivata nella Sardegna centroccidentale-Mandrolisai, Oristanese, Sulcis e Planargia); Niedda carta (uva a buccia nera coltivata principalmente nell’alta Ogliastra, nel Sarcidano e nella Barbagia di Seulo); Apesorgia nera (uva a buccia nera in tutta l’isola); Axina de tres bias (antica uva a buccia nera coltivata principalmente nel sud dell’isola e in Baronia); Galoppo (tradizionale uva bianca coltivata in tutta l’isola).

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Cinquanta euro (ben spesi) per un Lambrusco

Cinquanta euro per un Lambrusco possono sembrare un prezzo “fuori mercato”. Non se quel Lambrusco è Anàstasi di Barbara e Alberto Paltrinieri. Una cuvèe di Sorbara in purezza rifermentato in bottiglia, ottenuta dall’assemblaggio di una base del 2017 che ha sostato 2 anni in un tonneau e una base de Leclisse 2019. Ma non è la particolare tecnica di vinificazione a giustificare il prezzo.

Anàstasi è stato prodotto in 758 bottiglie numerate, il cui ricavato sarà interamente devoluto a Fondazione Banco Alimentare Onlus. «Anàstasi spiega la cantina di Sorbara – significa “Resurrezione e rinascita”. Proprio questa “rinascita” è il nostro augurio per tutti». Un concetto che la famiglia di produttori sintetizza ancora meglio, con una frase divenuta lo slogan di Anàstasi: «Le gambe sotto una tavola e il cuore in una bottiglia».

LA STORIA DI ANÀSTASI

«Quando qualcuno ti invita a “mettere le gambe sotto una tavola”, dalle nostre parti – spiegano Barbara e Alberto Paltrinieri – ti sta invitando a pranzo in quel modo forse un po’ brusco ma decisamente amichevole che gli emiliani hanno nel Dna».

Anastasi è il nostro desiderio di “dare indietro”: restituire una parte di ciò che ci è stato dato, di tutto il bene che, in questi anni, abbiamo ricevuto. Nasce in un momento di crisi generale, la pandemia di marzo 2020. Uno di quei momenti in cui è tanto forte la tentazione di disperarsi e lamentarsi. Tanto forte da meritare un gesto deciso nel respingerla»

È su geniale intuizione dell’enologo Attilio Pagli che i Paltrinieri danno vita ad Anàstasi. Sorbara rifermentato in bottiglia, tiratura limitata, 758 «pezzi unici di un vino unico nel suo genere». Una cuvée formata al 50% da vino della vendemmia 2017 affinato due anni in tonneau, e al 50% dal un nettare della vendemmia 2019 (lo stesso de Leclisse).

CON LE «GAMBE SOTTO UNA TAVOLA»

«Da subito – spiegano Barbara e Alberto Paltrinieri – questo progetto ha contagiato anche i nostri collaboratori, fornitori e clienti. Una storia che inizia proprio con un pranzo, un invito accettato, una tavola condivisa con alcuni soci Conad e una bottiglia di Anastasi da bere insieme. A questo si aggiunge la decisione di Marta, figlia di nostri amici, che vuole contribuire regalandoci tutti i suoi risparmi dicendoci: “Si riceve di più a dare”».

A tavola, infatti, l’idea di donare il ricavato al Banco Alimentare convince tutti. «In un primo momento – spiegano Barbara e Alberto Paltrinieri – siamo rimasti sorpresi ed emozionati: “Io voglio 100 bottiglie”, “Anche io ne compro 50”. Per un attimo siamo rimasti bocca aperta, poi onestamente ci siamo commossi. È un gesto bellissimo, forse non per caso avvenuto proprio con le gambe sotto la tavola di un pranzo emiliano».

«I soci bolognesi – concludono i Paltrinieri – hanno deciso di trasformare Anàstasi nel miglior regalo possibile per i loro amici e clienti. Ma soprattutto per noi e per il Banco Alimentare. Una storia che va raccontata, forse perché è una storia di tavola e di vino, di Emilia e di cose belle che succedono e che ti scaldano il cuore». Una storia a cui tutti possono partecipare, acquistando Anàstasi per sostenere il Banco Alimentare.

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Allarme Federvini su costo materie prime e nuova impennata Covid-19: «Ripartenza a rischio»

Federvini lancia l’allarme sul costo dell’energia e i prezzi di materie prime quali zucchero (+30%), carta (+35-40%) e vetro (+10%). Senza tralasciare l’incognita pandemia Covid-19, che sembra riprendere vigore, per esempio nel Regno Unito. A preoccupare sono anche i costi e i rallentamenti delle catene globali di trasporto e logistica, strategici per l’export del Made in Italy.

«Viviamo un momento molto delicato – dichiara Micaela Pallini, Presidente di Federvini – e non possiamo nascondere l’entità delle minacce che gravano su un settore così rilevante per l’interscambio commerciale del Paese in particolare con gli Stati Uniti, nostro primo mercato di sbocco internazionale.

«Le aziende, soprattutto in questo scorcio di fine anno – conclude Pallini – stanno realizzando in pieno la portata del problema che mette seriamente a rischio la concreta ripartenza di tutto il comparto. In gioco vi sono i fatturati di migliaia di imprese e il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori».

FEDERVINI: «A RISCHIO LA RIPARTENZA»

Federvini da riferimento a diversi fattori. Non ultimo gli aumenti dei noli di container tra l’Europa e l’Asia, che a giugno hanno fatto registrare un + 600%. I picchi delle ultime settimane hanno raggiunto il + 2.000%. Nel trimestre in corso, i trasporti hanno aggiunto solo il 4% di capacità extra alle rotte est-ovest rispetto allo stesso periodo dell’anno precedete. Nello stesso periodo la crescita dei traffici è aumentata del 9,5%.

Difficoltà altrettanto importanti si stanno riscontrando nella catena logistica tra Europa e Stati Uniti, mercato di sbocco fondamentale per l’export italiano del settore. Nel complesso, ciò determina rischi estremamente preoccupanti per molte imprese e per l’intera filiera di riferimento.

Sul mercato interno, Federvini registra inoltre ritardi preoccupanti sul fronte delle infrastrutture fisiche e digitali. Le imprese del Nord-Est, dove si concentra una rilevantissima produzione di vini e spiriti, sono ancora gravemente penalizzate da un sistema viario del tutto insufficiente e ancora in troppe zone del Paese le aziende faticano a realizzare innovazione a causa della mancanza di reti digitali adeguate.

PREOCCUPAZIONI CONDIVISE

Una preoccupazione, quella di Federvini, condivisa anche dall’Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Da un’indagine interna al segmento cooperativo – evidenzia il coordinatore del settore Vitivinicolo, Luca Rigotti – icosti dei materiali necessari per l’impianto dei vigneti, come legno, cemento, ferro ed alluminio hanno avuti incrementi fino al 70%».

Un aumento che erode reddito ai produttori e rende la situazione difficile in termini di tenuta economica e competitività delle imprese. I rincari, tuttavia, benché assolutamente rilevanti, non hanno avuto riflessi sui prezzi di vendita perché di fatto sopportati, nei segmenti a monte della distribuzione, dai produttori».

Anche l’Alleanza Cooperative Agroalimentari pone l’accento non solo sull’aumento dei costi di produzione, ma anche sul forte incremento dei costi dei noli marittimi e la carenza e il rincaro che ha riguardato anche i container trasportati via nave. Secondo il Global index Freightos il costo medio di un container ha quasi raggiunto 10 mila dollari, cioè 4 volte in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

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degustati da noi vini#02

Bolgheri Doc Rosso 2019 Le Serre Nuove dell’Ornellaia

È sul mercato dal primo settembre 2021 il Bolgheri Doc Rosso 2019 Le Serre Nuove dell’Ornellaia. Una delle icone del vino toscano: preziosa cuvée di Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Petit Verdot in cui le singole peculiarità di ogni vitigno si fondono, secondo l’obiettivo di Ornellaia, in una «complessa sinergia di aromi». Un vino che che colpisce per immediatezza e pronta bevibilità, abbinate alle doti da lungo affinamento, tipiche dei vini di Bolgheri.

LA DEGUSTAZIONE

Nel calice, Le Serre Nuove dell’Ornellaia 2019 si presenta di un rosso rubino intenso, impenetrabile. Al naso la frutta matura disegna un profilo ampio, ma tutt’altro che “seduto”. All’esuberanza delle note di ciliegia, lampone, fragola e mora, risponde una ventata di balsamicità, su ricordi d’eucalipto, resina e ventate pepate.

Al palato, la corrispondenza è perfetta. Note balsamiche e speziate fanno da spina dorsale alla rinnovata abbondanza del frutto. Un quadro di estrema eleganza, in cui si distingue chiaramente ogni singola voce della cuvée. Ecco dunque verticalità e freschezza del Cabernet Sauvignon e del Cabernet Franc, la profondità aromatica del Merlot e il muscolo del Petit Verdot.

La complessità de Le Serre Nuove dell’Ornellaia si confà al ruolo di degno gregario del fratello maggiore “Ornellaia” Bolgheri Doc Superiore. Interessante, in questo quadro, il ruolo di un tannino setoso ed elegante, perfettamente inserito nel sorso, sin d’ora. Ma tutt’altro che arrendevole. Sembra voler troncare la chiusura, che poi torna vivace e godibilissima, sulle note morbide e fruttate di un allungo che riserva sapide sorprese.

«È l’attenzione ad ogni passaggio che ha permesso di massimizzare il potenziale aromatico delle uve – spiega Axel Heinz, direttore della Tenuta –  risultando all’assaggio morbido e setoso, con una elegante trama tannica ed un finale sapido e di bella persistenza».

Gli fa eco Olga Fusari, enologa di Ornellaia: «Oggi Le Serre Nuove è caratterizzato al naso da fresche note di frutti rossi maturi, accompagnate da una vivace vena balsamica con richiami a profumi di bacche di cipresso ed eucalipto». Un “second vin“, in definitiva, dalle indubbie caratteristiche premium.

LA VENDEMMIA 2019 DE LE SERRE NUOVE DELL’ORNELLAIA

L’annata 2019 è stata caratterizzata da un clima variabile, che ha alternato periodi di freddo e pioggia a lunghe fasi di siccità e caldo. Dopo un inverno nelle medie stagionali, il germogliamento è avvenuto nella prima settimana di aprile ma le condizioni fredde e piovose durante tutto aprile e maggio hanno ritardato la fioritura.

L’estate è trascorsa poi calda e soleggiata, con temperature sopra la media e assenza di precipitazioni. Le piogge di fine luglio hanno riportato le temperature nella norma stagionale, determinando condizioni ottimali per la maturazione.

L’alternanza di periodi soleggiati e acqua ha accelerato la maturazione. A beneficiarne, in particolare, l’evoluzione delle bucce, più morbide e permeabili del solito. Da qui un’ottimale estrazione del colore e della materia tannica più pregiata, chiara all’assaggio.

La vendemmia è iniziata il 5 settembre 2019 a Ornellaia (qui i dettagli sulla vendemmia 2020). Poi, grazie alle temperature rimaste fresche e alla brezza notturna garantita dalla prossimità della costa, è proseguita fino alla prima settimana di ottobre. Le uve, raccolte a mano, sono state ulteriormente selezionate in cantina su un doppio tavolo di cernita.

Dal 2016, la selezione ottica delle uve è stata aggiunta alla selezione manuale. Un altro passo della Tenuta verso la vinificazione in perfetto stato di ogni acino diraspato. Ogni varietà e ogni parcella utile alla produzione de Le Serre Nuove dell’Ornellaia viene vinificata separatamente.

La fermentazione malolattica inizia in acciaio e viene portata a termine in barrique. Qui il vino rimane a maturare per circa 15 mesi. L’assemblaggio avviene dopo 12 mesi di maturazione in barrique, permettendo così ai Cabernet, al Merlot e ai Petit Verdot di dare «il massimo contributo di espressione dell’annata e del territorio».

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Nas, Operazione Margherita: pizze gourmet “da guida” con ingredienti surgelati e finte Dop

Duro colpo dei carabinieri del Nas Tutela Agroalimentare al settore delle pizzerie gourmet. Nell’ambito dell’Operazione Margherita, i militari hanno scoperto l’utilizzo di ingredienti surgelati e prodotti spacciati per Dop e Igp, non iscritti al relativo disciplinare. Il blitz ha visto impegnati i Reparti per Tutela Agroalimentare (Rac) di Torino, Parma, Roma, Salerno e Messina.

Sono stati denunciati per frode in commercio i titolari di 7 note pizzerie gourmet. Accertate anche altre irregolarità, come la mancata indicazione nei menù degli allergeni e la mancata rintracciabilità di alcuni ingredienti.

Elevate 6 sanzioni per un totale di 18.334 euro ed irrogate tre diffide. Ammonta a un totale di 20 chilogrammi di prodotti agroalimentari vari il sequestro effettuato dai carabinieri del Nas nell’ambito dell’Operazione Margherita.

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Minori e bevande alcoliche: solo un commerciante su due verifica età acquirente

Meno di un commerciante su due verifica l’età dell’acquirente di bevande alcoliche. La denuncia arriva dal Moige – Movimento Italiano Genitori. Su un panel di oltre mille giovani, il 57% degli intervistati dichiara che al momento dell’acquisto di birra, vino, cocktail o superalcolici «il venditore non ha verificato la sua età».

Una percentuale che sale al 62% per il tabacco e le sigarette. E al 71% per le infiorescenze di cannabis light. «I minori non possono subire un abuso commerciale lesivo della loro salute da parte degli adulti. L’indagine fa emergere dei dati preoccupanti», commenta Antonio Affinita, direttore generale del Moige.

Dinanzi alla vendita ai minori di prodotti che sono dannosi per la loro salute non esistono giustificazioni: non è accettabile che ci siano commercianti che vendono prodotti vietati senza verificare l’età e contro le norme vigenti a loro tutela».

BEVANDE ALCOLICHE MA NON SOLO: «OCCORRE UN INTERVENTO LEGISLATIVO»

«Al pari – continua Affinita – è gravissimo il vuoto normativo riguardo a cannabis light e videogiochi classificati dal Pegi come +18. Per entrambi i prodotti sono inesistenti le norme e le sanzioni per chi vende ai minorenni. Occorre con urgenza un intervento legislativo. Auspichiamo che le filiere produttive di tali prodotti lavorino di più per la sostenibilità sociale di essi, affinché siano realmente accessibili solo a clienti adulti»

«Come genitori – conclude il direttore generale del Moige – ci rivolgeremo da subito a Parlamento e Governo affinché si attivino norme, sanzioni e controlli più stringenti e rigorosi, al fine di tutelare il benessere psico-fisico dei minori, evitando che adottino comportamenti devianti o che sviluppino dipendenze».

ACCESSO ALL’ALCOL: I DATI DELLO STUDIO DEL MOIGE

Gli alcolici vengono acquistati prevalentemente presso bar (38%) e locali come pub e discoteche (31%). Il 57% degli intervistati afferma che durante l’acquisto di alcolici il gestore non gli/le ha mai chiesto l’età. Una percentuale che nel sud Italia e nelle isole raggiunge il 65%. Mentre al centro è del 50% e al nord del 28%.

Coloro che, al contrario, dichiarano che l’età è stata sempre controllata sono appena il 4%. Al 39% dei rispondenti al sondaggio non è «mai capitato che venisse rifiutato l’alcol» per la loro età (29% al nord, 10% al centro, 43% al sud e nelle isole).

Allarmante il dato emerso alla domanda: «Nei pub/bar/discoteche hanno continuato a venderti alcolici nonostante tu fossi visibilmente alticcio/brillo?», il 57% ha risposto di no. «Ma un preoccupante 22% risponde “sempre o spesso” e, di questi, il 16% ha tra i 10 e i 14 anni», sempre secondo l’indagine condotta dal Moige. 

LA CAMPAGNA MOIGE: IL VIDEO DI CASA SURACE

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La Guida Michelin sarà presentata per i prossimi tre anni in Franciacorta

La regina delle guide gastronomiche italiane ed internazionali ha scelto il suo reame. La Franciacorta è stata eletta Destination Partner di Michelin per la presentazione della Guida, momento clou in cui avviene l’annuncio delle “Stelle” assegnate ai ristoranti italiani. L’accordo tra il Consorzio di Tutela del Franciacorta e Michelin avrà una durata di 3 anni.

«Franciacorta è orgogliosa di poter ospitare i protagonisti della migliore qualità culinaria Italiana: i Cuochi», commenta Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta. «Dobbiamo moltissimo alla ristorazione – aggiunge – che rappresenta il meglio dell’esperienza gastronomica tricolore».

IL COMMENTO

I nostri vini trovano in questi ambasciatori del gusto e del “Made in Italy” preziosi alleati nelle tavole più importanti nel mondo. Ancor più, dopo aver passato il terribile periodo di chiusura, abbiamo il piacere di brindare e festeggiare le stelle in Franciacorta accogliendole con gratitudine ed amicizia».

Entusiasta anche il commento di Marco Do, direttore comunicazione della Michelin Italiana. «La storia della Guida Michelin è una storia di viaggio. Siamo felici di questa partnership che vedrà la Franciacorta come sede delle prossime tre edizioni della Guida Michelin».

«Questo territorio è la cornice ideale per continuare il nostro viaggio alla scoperta dei prodotti vitivinicoli di una terra dalla lunga tradizione e della sua unicità che l’ha resa una delle ambasciatrici del Made in Italy nel mondo», conclude Do.

LA STORIA DELLA GUIDA MICHELIN

La Guida Michelin, che fu originariamente concepita con l’intenzione d’incoraggiare gli automobilisti a mettersi in viaggio, nasce nel 1900 in Francia da un’idea dei fratelli André ed Édouard Michelin, fondatori dell’omonima azienda di pneumatici.

Per aiutare le poche migliaia di automobilisti francesi alle prese con un viaggio che era spesso avventuroso, i fratelli Michelin creano un volumetto per il viaggiatore. Conteneva mappe, procedure per cambiare una ruota, stazioni di servizio. E una lista d’indirizzi in cui mangiare e pernottare la notte.

Preso atto del crescente interesse per la buona tavola, i fratelli Michelin reclutano un’équipe di “avventori misteriosi” – oggi li si chiama “ispettori” – per visitare e recensire anonimamente i ristoranti.

Nel 1926 la guida inizia ad assegnare le stelle agli indirizzi di alta cucina, evidenziandoli inizialmente con una sola stella. Dopo cinque anni, viene introdotta la scala attuale: una, due, tre stelle. Una storia che prosegue e che, per i prossimi tre anni, ha uno spumante ufficiale con cui brindare: il Franciacorta.

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I vini vulcanici di Gambellara, tra identità e futuro: il distretto della Garganega è qui

Una zona, un vitigno. Un vigneto, un vino. Se in Italia c’è un’area vinicola che sa dove andare, quella è Gambellara. Dei vini vulcanici base Garganega prodotti nell’area collinare classica si parla ancora troppo poco, persino nel Bel paese.

In compenso, è dal 2008 che il Consorzio di Tutela ha concluso uno dei più efficaci progetti di zonazione su scala nazionale. Sono 6 le sottozone individuate: Creari, Taibane, Monti di Mezzo, Selva, San Marco e Faldeo.

Da citare anche la mappatura dell’area di “Pianura”, nella quale i produttori sembrano credere sempre meno, col passare degli anni. A confermarlo è il direttore del Consorzio, Giovanni Ponchia: «La Denominazione – rivela a WineMag.it – ha ormai preso una strada identitaria: quella dei vini vulcanici di collina».

Nel nostro areale si producono sempre più vini bianchi secchi monovarietali, da uve Garganega. E sempre meno vini Doc di pianura, in favore della crescente utilizzo del “Doc classico”, riferita all’area “classica” delle colline, su cui ricadono i cru individuati oltre 10 anni fa».

«Ci sono produttori che ci credono di più – continua Giovanni Ponchia – e produttori che ci credono meno. In linea di massima, si continua a insistere sulla Garganega in purezza, con periodi di sosta sui lieviti abbastanza prolungati, in vinificazione. Per gli affinamenti si predilige l’acciaio, con pochissimo utilizzo dei legni».

I NUMERI DELLA GARGANEGA DI GAMBELLARA

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La produzione annuale di Gambellara si assesta attorno alle 300-450 mila bottiglie, con gli ettari rivendicati che variano da circa 200 a 380 in base all’annata. «La zona è piuttosto circoscritta e ormai tutta vitata – sottolinea ancora il direttore del Consorzio – soprattutto nella parte collinare che sta alimentando sempre più la Denominazione».

«Il Gambellara – continua – è sostanzialmente un vino di collina da monovitigno. Possiamo dire che questo è il distretto in cui la Garganega offre l’espressione più schietta e più franca, esente da “contaminazioni” di altre uve». Un ecosistema in grado di riversare nel calice le caratteristiche del terreno. Nello specifico, quello di matrice vulcanica.

«I cru del Gambellara – evidenzia Giovanni Ponchia – sono lo strumento più efficace in mano ai nostri viticoltori per mostrare le peculiarità tradizionali, toponomastiche e produttive delle sottozone. Bevendo Gambellara classico si comprende perfettamente cosa siano i “vini vulcanici”, rispetto a quelli prodotti in altri tipi di terreni».

LA DOC GAMBELLARA IN 8 BIANCHI DA UVE GARGANEGA

Gambellara Doc Garganega 2020 Ca’ Fischele, Dal Maso

Giallo paglierino piuttosto intenso, riflessi dorati. Al naso un mix elegante di frutta esotica matura, agrumi, ricordi di erbe della macchia mediterranea, mentuccia, verbena e venature iodiche. In bocca la Garganega è generosa ma equilibrata.

Ampia sul frutto (pesca gialla matura, agrumi), tanto quanto nuovamente tesa, fresca, salina. Buona persistenza per un vino che conferma la parola d’ordine “equilibrio”, in tutte le fasi. Buono oggi, ancora meglio domani, per chi ha il piacere di attenderlo.

Gambellara Doc Classico 2017 Creari, Cavazza

Giallo dorato dovuto a una macerazione prolungata sulle bucce. Naso generoso, su note compostissime di frutta stramatura. Si spazia dall’albicocca alla pesca gialla, dall’ananas alla papaia.

Si concede e stratifica lentamente al naso, dopo la generosa overture. E vale proprio la pena di attendere, perché l’ossigenazione libera sbuffi di spezie calde (vaniglia bourbon, zafferano), tanto quanto cremosi ricordi di pasticceria, uvetta e agrumi canditi.

Sullo sfondo, la matrice vulcanico-calcarea del terreno. Una “vulcanicità” che invece appare da subito netta al sorso, di sorprendente tensione e finezza tattile, sin dall’ingresso. Qualcosa difficile da immaginare, dopo un naso giocato principalmente sulle componenti aeree (i frutti), con il “terreno” in sordina.

Non manca però l’equilibrio. Sale e tensione fresco-acida lasciano il giusto spazio all’espressione delle parti morbide, compresa l’alcolicità (13% vol.). Vino in evoluzione, di sicura longevità.

Gambellara Doc Classico 2020 Bocara, Cavazza

Giallo paglierino luminoso. Sin dal primo naso è chiaro come ci si trovi di fronte a un vino che abbina frutto ed essenza minerale-vulcanica. Generosissime e croccanti le note di frutta a polpa bianca (pera) e gialla (pesca, ricordi di albicocca appena matura, susina, melone).

Sull’altro versante, un profilo chiaro, ma ancora non del tutto espresso: il vulcano spinge al naso note pietrose che necessitano tempo e ulteriore affinamento in bottiglia per esprimersi ai massimi della pienezza.

Perfetta sin d’ora la corrispondenza gusto olfattiva, con la frutta protagonista del sorso dall’ingresso alla chiusura. Interessante il profilo minerale del palato, in netta evoluzione. Ne è un emblema la chiusura asciutta ed elegante, sui ritorni pietrosi avvertiti al naso.

Gambellara Doc Classico 2018 Rivalonga, Menti Vini

Giallo paglierino, alla vista. Un vino che è la riprova della longevità dei vini da terroir vulcanico e di quanto il “vulcano” stesso, dalle parti di Gambellara, sia una componente da attendere, prima che si mostri nel calice con estrema eleganza.

Nel Rivalonga di Menti, il binomio frutto-mineralità è ai massimi livelli. Ma il bouquet si arricchisce di preziosi ricordi erbacei, ottima spalla per una salinità che deve sostenere la polpa bianca e gialla di pesca, melone, pera e ananas. Tutta frutta perfettamente matura.

In definitiva un vino in equilibrio estremo, che abbina a una spiccata mineralità e a un “senso” profondo del terroir vulcanico delle colline di Selva, la «dolcezza» e il «sapore» di una terra generosa come Gambellara.

Gambellara Doc Classico 2018 Capitel Vicenzi, Azienda Agricola Virgilio Vignato

Giallo paglierino, riflessi dorati. Al naso netta impronta minerale, cui si accostano prima ricordi di erbe della macchia mediterranea (mai così netti, nel tasting, il rosmarino e il timo) e, poi, l’ampio bouquet di frutta. Ecco la pesca gialla, l’albicocca, il melone, la susina, tanto quanto una pera matura, grondante di succo.

Non manca una componente agrumata, accostabile più al cedro che al limone, tra polpa e scorza. Splendida corrispondenza gusto olfattiva, con i 13% di alcol in volume che sono una manna dal cielo, nell’ottica del perfetto equilibrio del sorso.

Salinità e freschezza strabordanti, per un vino che entra in bocca come una lama e poi si ammorbidisce, sull’alcol e sulla frutta. Applausi scroscianti per l’epoca di raccolta delle uve Garganega utili alla produzione di questo vino. Uno di quei nettari che esaltano primari dell’uva e terroir, tanto quanto il savoir-faire agronomico ed enologico del vignaiolo.

Gambellara Doc Classico 2019 Col di Mezzo, Natalina Grandi

Giallo paglierino, riflessi dorati. Al naso tutto quello che ci si deve aspettare da un nettare di Gambellara, con un tocco in più di balsamicità, tanto da sfiorare i ricordi di eucalipto e liquirizia. Primo naso comunque dritto sulla matrice vulcanico-salina-pietrosa.

Poi la frutta, generosa e ricca, tra la polpa gialla e quella bianca, abbracciata dal corredo fresco-balsamico. Perfetta corrispondenza gusto olfattiva, anche in termini di stratificazione e coerenza nello sviluppo – quasi sequenziale – dei descrittori. Forse un po’ troppa esuberanza della balsamica, nel retro olfattivo.

Ma la frutta matura e l’alcol aiutano a riequilibrare un sorso saporitissimo, gustoso, tra i più goduriosi del tasting. Attenzione all’abbinamento, che deve essere di pari importanza ed esuberanza gustativa. Con Col di Mezzo, del resto, si può giocare a tavola in termini di temperatura di servizio, più o meno fresca in base al piatto (meglio ricchi primi che secondi a base di pesce).

Gambellara Doc Classico 2020, Azienda Agricola Sordato Lino

Giallo paglierino luminoso. Al naso, mai così netto il sentore di pera matura, cui fa eco la tipica mineralità dei bianchi di Gambellara. In bocca si conferma vino agile e beverino, diretto, giocato sull’immediatezza più che sulla stratificazione. Il vino glou-glou della batteria: guardi la bottiglia ed è finita.

Gambellara Doc Classico 2020 Corte dei Mèi, Azienda Vitivinicola Marchetto

Giallo paglierino intenso, dai leggeri riflessi dorati. Naso apparentemente semplice, che si svela pian, piano, con l’ossigenazione. Spazia dalla pera alla pesca e si concede generoso sulle note erbacee mediterranee, prima ancora di rivelare la matrice vulcanica del terreno (Eureka!)

Al palato un tocco leggerissimo d’ossidazione non penalizza, al momento, il resto del corredo. Anzi, lo rende ancora più complesso, accostandosi alle note di frutta matura già avvertite al naso e alla bella vena minerale. Chiude asciutto, salino, tanto da chiamare il sorso successivo. Altro vino dalla grande agilità di beva.

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Vranec o Vranac: sfide e prospettive per il vino rosso simbolo dei Balcani

EDITORIALE – Che lo si chiami Vranec o Vranac è lo stesso. Nei Balcani si identifica principalmente con questi due nomi il vitigno in grado di regalare vini rossi potenti e corposi, freschi, tannici e longevi. L’omonimo vitigno è originario del Montenegro, ma è diffuso anche in Macedonia e Kosovo. Proprio in questi tre Paesi si è svolto il Vranec / Vranac World Day 2021.

Il viaggio e le degustazioni, riservate a critici e stampa internazionale dal 30 settembre al 5 ottobre 2021 (giornata ufficiale della terza edizione organizzata da Wines of Macedonia, celebrata a Podgorica con l’intervento delle istituzioni nazionali e della Master of Wine Caroline Gilby), hanno messo in luce lo “stato dei lavori” sulla varietà. Sia dal punto di vista agronomico che enologico.

L’obiettivo dei produttori è “infilare” il vitigno-vino Vranec / Vranac in valigia, varcando i confini dei Balcani – dove è già molto conosciuto e consumato – per raggiungere ristoranti e tavole di intenditori e consumatori internazionali.

Un percorso agli esordi per il vitigno frutto dell’incrocio naturale o della spontanea mutazione di Kratošija (Кратошија, l’italiano Primitivo) e Duljenga. Una storia ancora tutta da scrivere, nel triangolo compreso tra Skopje, Podgorica e Pristina.

L’IDENTITÀ DEI VINI VRANEC / VRANAC

La lettura locale più schietta è quella di Radosh Vukichevich (nella foto), Ceo di Tikveŝ, la più grande cantina della Macedonia, fresca d’elezione ad “Ambasciatrice del vitigno nel mondo”, assieme all’altro colosso Plantaže, numero uno in termini di volumi in Montenegro (suo il vigneto a corpo unico più vasto d’Europa, 2.300 ettari).

Il Vranec è il vitigno simbolo dei Balcani – spiega bene Vukichevich – importante per il suo potenziale enologico ma anche per l’economia dei nostri Paesi, dal momento che consente di produrre vini di ogni fascia di prezzo, in base all’interpretazione delle cantine. Un vino che, tuttavia, è ancora in fase di profilazione».

«Tutti conosciamo per esempio quale sia il profilo dei vini prodotti con vitigni come Cabernet Sauvignon o Merlot. La grande sfida del Vranec – continua il Ceo di Tikveŝ – è renderlo sempre più riconoscibile quale varietà locale dei Balcani, attraverso alti standard produttivi. Un obiettivo da centrare con il contenimento delle rese, il bando alla standardizzazione ed investimenti in sostenibilità e biologico».

A capo del management di Tikveŝ e con il via libera di un presidente visionario come Svetozar Janevski, Radosh Vukichevich sta traghettando la cantina verso un futuro votato alla qualità, più che alla quantità delle bottiglie prodotte (circa 15 milioni all’anno).

Prova tangibile è l’intera linea Horeca della cooperativa e dei suoi Chateaux & Domaines, espressione dei tre microclimi di Barovo, Lepovo e Bela Voda. Vini che rendono onore alla varietà principe dei Balcani, il Vranec, così come ad autentiche interpretazioni dei vitigni internazionali (da segnalare, in particolare, quella del Cabernet Sauvignon e dello Chardonnay).

La consulenza dell’enologo francese Philippe Cambie aiuta. Così come la presenza in pianta stabile del suo “protetto”, Marko Stojakovic, nato in Serbia ma formatosi a Bordeaux e Montpellier prima dell’approdo a Tikveŝ a soli 27 anni, nel 2010.

IL VRANEC IN MACEDONIA

Dagli assaggi al Vranec / Vranac World Day 2021 emergono chiaramente gli approcci dei tre Paesi al loro vino rosso simbolo. Le idee più chiare in Macedonia. Al di là dei volumi, il Vranec macedone garantisce standard qualitativi più omogenei.

Merito degli ingenti investimenti di diverse cantine in tecnologia, nonché dell’arrivo di capitali ed expertise dall’estero, con professionisti internazionali che hanno trovato un habitat ideale alla corte di Skopje.

L’interpretazione della varietà è schietta e sincera. Spazia dai vini larghi, corpulenti e market-oriented (su tutti quelli di Bovin Winery e Chateau Kamnik), ad espressioni più fresche ed eleganti, come quelle di Stobi Winery e Puklavec Family Wines. Due cantine che sembrano parlare la stessa lingua, potendo contare – tra l’altro – su due winemaker fuoriclasse.

Stobi, a Gradsko, nel cuore della Macedonia, ha trovato la quadra perfetta nella “lettura” del Vranec del giovane giramondo Andon Krstevski, ossessionato dall’esaltazione del varietale e da un uso garbato (intelligentissimo), dei legni.

Una trentina di chilometri più a sud, a Timjaniku, gli ambiziosi investimenti della famiglia slovena Puklavec consentono all’enologo Dane Jovanov di valorizzare microclima e terroir macedone.

Lo stesso approccio produttivo della “casa madre”, situata nella regione di Podravjedel (Ljutomer-Ormož). Nella regione di Radovish, molto convincente il Vranec di Dalvina, da splendide piante di oltre 50 anni.

IL VRANAC DEL KOSOVO

Spostandosi in Kosovo, si cambia completamente registro. Il viaggio organizzato in occasione del Vranec / Vranac World Day 2021 ha consentito di toccare con mano le differenze tra l’interpretazione kosovara del Vranac e quella macedone e montenegrina – per certi versi più vicine tra loro – ancor prima di mettere il naso nel calice.

A parlare, di fatto, è il paesaggio e la sua morfologia. Terre rosse, terre bianche e terre nere si alternano in maniera vivace, dando vita a una sorta di linea immaginaria che avvicina il Kosovo alla Puglia del Primitivo di Manduria.

È qui, al netto delle esigue dimensioni del “vigneto” del Paese (3.500 ettari totali), che il Vranac pare avere una «profilazione» più omogenea. Tutti i vini degustati al Centro della Vite e del Vino di Rahovec (Orahovac), nel Distretto di Prizren, presentano un colore più scarico e un rapporto frutto-acidità lontano da molti eccessi macedoni.

Un paio di vini non perfettamente “puliti” invitano a una maggiore attenzione nelle pratiche di cantina. Ma il calice di Vranac di realtà come Labi Wine, cantina artigianale guidata dall’enologo Labinot Shulina, si staccano dalla media tanto da poter essere considerati simboli per l’intero areale dei Balcani (sopra, una foto del suo vigneto innevato).

Ottime anche le prove di Stonecastle Wine e Rahvera, cantine che consentono di eleggere la cittadina di Rahovec – 65 chilometri a sudest della capitale Pristina, non lontano dal confine con l’Albania – a vero cuore pulsante del Vranac kosovaro.

A convincere, oltre al colore che “spaventa” un po’ meno il consumatore moderno rispetto a quello del «black stallion» macedone, è l’integrazione e corretta gestione (anche grazie alle caratteristiche pedoclimatiche) degli alti livelli di acidità, tipici della varietà.

Il tutto, in accompagnamento alla golosità generalizzata del frutto rosso e nero (si spazia dalla ciliegia alla mora di rovo, come in Macedonia del Nord), e a una spezia che dona carattere ed elettricità al sorso. Per il Kosovo, dunque, ampi margini di miglioramento e note più che mai incoraggianti.

Crescita e consacrazione del movimento del vino kosovaro non possono tuttavia prescindere da un approfondito studio dei terreni (bianchi, rossi, scuri) che possono regalare vini tanto diversi quanto tipici. Più luci che ombre, insomma, nella piccola repubblica dei Balcani.

IL VRANAC IN MONTENEGRO

Si cambia Paese ma resta la “a”, al posto della “e” di Vranec. Anche in Montenegro, il rosso simbolo dei Balcani si chiama Vranac. È qui che succede quello che non t’aspetti. Dopo le prove più che mai positive dei colossi macedoni (grandi cantine in grado di produrre annualmente ingenti volumi di vino) a scivolare è la cantina che più di tutti dovrebbe trainare la scoperta del vitigno: Plantaže.

Tutti i vini degustati a Šipčanik, nelle maestose sale ricavate da un ex aeroporto militare (7 mila metri quadrati complessivi, profondità media di oltre 30 metri, tunnel per l’affinamento dei vini lungo 356 metri e alto 7) paiono usciti da un film in bianco e nero. Di un’altra epoca.

Piacciono tantissimo alle guide internazionali, eppure non emozionano e non convincono. Tantomeno nel rapporto qualità prezzo, squilibrato su un marketing utile forse a giustificare costi di gestione e interessi degli azionisti (tra cui figura ancora lo stesso Stato del Montenegro). In definitiva, vini stanchi. Vini in divisa.

La vera sorpresa, in Montenegro, sono i giovani. Gente come Nikola Marković (nella foto sotto) che con la famiglia sta realizzando mattone dopo mattone una cantina (con ristorante e mini hotel) strappata alla natura incontaminata, a Cetinje. Appena due ettari per 10 mila bottiglie annue.

Se la migliore espressione del Vranac è ancora da trovare – il desiderio di produrre una versione meno opulenta finisce per dar vita a un rosso troppo scarno, che può essere considerato un punto di partenza ma non un punto di arrivo, tantomeno un’icona stilistica alternativa nell’interpretazione della varietà – colpisce l’altro rosso di Vinarija Marković.

Si tratta di un vino ottenuto dalla Tamjanika nera, varietà originaria della Serbia. In “carta” anche un vino ottenuto da Tamjanika bianca, altrettanto interessante. «Produrre vino qui è una questione d’amore più che di business», riferisce Nikola Marković riequilibrando inconsapevolmente il braccio della bilancia con i vicini di casa di Lipovac Winery (nella foto a inizio paragrafo).

Questo il nome scelto dal magnate russo per una boutique winery votata alla spettacolarizzazione del concetto di “vino”. Il sipario si apre a centinaia di metri di distanza dall’edificio, su un costone circondato da terrazze artificiali di vigneti. Tutt’attorno, un anfiteatro di montagne, in cui la roccia s’alterna a un verde che profuma di Mediterraneo.

Siamo a Građani (Грађани), in uno di quei luoghi in cui il viaggio – arduo – vale la meta. Lo “show” continua in cantina, dove il direttore Pavle Micunovic mostra fiero il proprio arsenale di anfore di terracotta d’Impruneta e qvevri (kwevri / kvevri / quevri) tipiche della Georgia (ქვევრი). C’è concretezza, oltre allo spettacolo, nel calice.

In primis grazie a una delle rare espressioni “in rosa” del Vranac (una caramellina, nonché il classico rosato “glou glou” che cattura sin dal colore, corallo luminoso). Poi grazie al Vranac in anfora e qvevri, capace di colpire per stile, gioventù e prospettiva (non solo di mercato).

UN BRAND COLLETTIVO PER IL VRANEC / VRANAC DEI BALCANI

La domanda è centrale, specie nel contesto della terza edizione del Vranec / Vranac World Day 2021, quella della svolta. La strada segnata da diversi produttori è quella corretta, anche se – come dice bene Radosh Vukichevich – i vini necessitano di ulteriore profilazione. E poi?

In un mondo sempre più globalizzato, in cui esperienze ed expertise sono intercambiabili e replicabili in diversi angoli del pianeta, occorre forse andare oltre (anche) al profilo della varietà. Per esplorare le potenzialità della sua terra d’origine: i Balcani. Un contesto uniforme.

Già, perché se la varietà (il vitigno) è replicabile ovunque lo consentano le condizioni climatiche, l’accezione “balcanica” del Vranec / Vranac rappresenta un unicum. Anzi, l’unicum su cui puntare. Ben oltre il “banale” nome (replicabile) di un vitigno.

E se dopo essersi “(ri)unite” per la comunicazione del Vranec / Vranac, i tre paesi Macedonia, Montrenegro e Kosovo lavorassero a un “brand collettivo” sotto cui riunire e identificare i vini prodotti con questa varietà, secondo standard comuni?

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Rischia di perdere la mano in cantina: torna a vendemmiare 25 anni dopo l’infortunio

«Non ho mai chiesto neppure un punto di invalidità, perché c’è sicuramente chi ha più bisogno di me. Negli anni ho imparato a convivere con il problema. E la vita mi ha detto bene in tutto il resto: ho un’impresa tutta mia, ben avviata. Quest’anno mi sono pure sposato!». La storia di Marco Collanega, classe 1991, è di quelle che fanno bene al cuore.

La vita del giovane è cambiata il 26 settembre del 1996. Alla tenera età di 5 anni, durante la vendemmia del podere di Castel di Guido, in provincia di Roma, il piccolo Marco infilava la mano nella pigiadiraspatrice.

Un incidente che ha segnato il futuro del vigneto, estirpato dopo il tragico infortunio.  Nell’estate 2021, ben 25 anni dopo, Marco Collanega e la sua famiglia possono dire di essersi messi il passato alle spalle.

«Sono tornato a vendemmiare quest’anno – racconta il giovane a WineMag.it – dopo aver ripiantato una parte del vigneto estirpato in seguito all’incidente. Fondamentale in questa scelta è stato il supporto di Siria, la donna che è diventata mia moglie, lo scorso luglio. In tasca, il giorno del matrimonio, avevo il coltello da innesto di nonno Anselmo, che nel frattempo è venuto a mancare».

Insieme agli amici abbiamo prodotto circa 400 litri di rosso e 300 di bianco. Una piccola produzione artigianale, così come è sempre stata quella della mia famiglia, che vendeva il vino al mercato. Magari un giorno questo potrà diventare un lavoro vero e proprio per me e per mia moglie, che già mi affianca nella potatura e nella vinificazione».

Marco sogna un futuro da vignaiolo, ma nel frattempo si tiene stretto il suo lavoro nel settore dell’edilizia. Tutto quello che sa sulla viticoltura e sull’enologia, lo ha imparato dal padre Sergio, che lo ha accompagnato per anni nella riabilitazione.

«Per levarmi lo sfizio mi sono iscritto a un corso sommelier – racconta – completando il primo livello. Venendo da una famiglia che faceva vino in casa, ho trovato le nozioni molto utili e interessanti per l’attività che oggi porto avanti nel mio piccolo vigneto».

Dal cielo, nonno Anselmo avrà certamente di che sorridere. «È lui che mi ha trasmesso geneticamente questa passione – commenta Marco Collanega – ed è grazie a lui se la nostra famiglia, pur a livello artigianale, è legata alla viticoltura».

Una passione che oggi si riversa in 3 mila metri di varietà a bacca bianca e rossa, tra cui Montepulciano e Malvasia del Lazio. Tutte nelle mani, è il caso di dirlo, di Marco e della moglie Siria.

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Marco Battaglino dall’Osteria alla cantina BriccoBracchi: Dogliani da favola, aspettando Timorasso e Freisa

C’è chi sogna e chi fa. Chi blatera e chi costruisce futuro, mattone per mattone. Dopo aver dato vita 9 anni fa a Osteria Battaglino, insieme «storia d’amore», «luogo dell’anima» e «favola snob», il ristoratore piemontese Marco Battaglino ha deciso di giocare a fare (anche) il vignaiolo. Un «gioco fatto bene, però», tiene a sottolineare. A dargli ragione è un Dogliani Docg 2020 da favola, dal nome di fantasia inequivocabile: “Diavolo Rosso“. E un Timorasso macerato 2021 che promette faville, dopo le prove del 2019 e 2020. Lo ha chiamato “Vento in faccia“. E neppure questo è un caso.

Un amore grande per le poesie in musica di Paolo Conte; e una fidanzata, Sara Calcagno, che è piombata nella vita di Marco Battaglino al momento giusto. Ma soprattutto dal posto giusto. Le prime vinificazioni di uno degli ultimi vignaioli provetti italiani risalgono a cinque anni fa. A ospitarle proprio San Fereolo, la cantina-icona di Dogliani guidata da Nicoletta Bocca, dove Sara lavora.

A far battere forte il cuore a Battaglino è il Timorasso, sovrainnestato a BriccoBracchi – vecchio podere che domina una collina, a 500 metri di altitudine – su piante di Dolcetto di 60 anni. Una parte del vigneto che dà vita al Dogliani “Diavolo Rosso” è stata sacrificata nel nome di un sogno. Anzi, di una visione.

«Se penso ai vini che mi piacciono davvero – rivela il ristoratore Marco Battaglino – non posso non citare quelli del Carso e della Slovenia, in particolare i vini bianchi macerati. Per questo, contro il parere di tutti, ho piantato Timorasso in una vigna esposta a sud-sud ovest, il cui punto forte sono i terreni magri, marnosi. L’ideale per proporre un vino di Langa diverso, che si avvicini a certe interpretazioni dei Colli Tortonesi o ai bianchi di altre zone a me care, in attesa peraltro dell’arrivo delle anfore Artenova da Impruneta».

BRICCOBRACCO: DOLCETTO, TIMORASSO E (DOMANI) LA FREISA

Da qui il nome “Vento in faccia”. Sull’etichetta, due cani razza Bracco in sidecar. «Sono i miei due Bracchi, i due difensori di BriccoBracco, il nostro podere. In realtà, un modo per simboleggiare il nostro sogno. Il “vento in faccia” ce l’abbiamo noi, in quest’avventura da produttori di vino. È l’dea di un progetto nuovo, che parte. È il sentirsi vivo, la voglia di fare».

Nel nome di fantasia, anche l’ennesimo richiamo agli amati Colli Tortonesi, territorio dal quale Marco Battaglino ha attinto le uve per le prime prove di vinificazione, che oggi trovano spazio da Gabriele Cordero, a Priocca (CN).

«Il “vento in faccia” – aggiunge Battaglino – è lo stesso che bacia le vigne di Timorasso nella loro zona d’elezione, l’Alessandrino. Mentre il “Diavolo rosso” non poteva che essere il Dolcetto: il vino di Dogliani che non si “degusta”, si “beve”. Un rosso che sporca le labbra, riempie la bocca. E non sta lì a farsi girare troppo nel calice».

L’immediatezza, modernità e spensieratezza – tutto tranne che banale – del calice di Diavolo Rosso spingerà il neo vignaiolo e ristoratore di Dogliani a inserire una terza varietà nel parco vigneti della cantina BriccoBracchi.

«Io e la mia fidanzata – annuncia Marco Battaglino a WineMag.it – ci siamo dati come obiettivo quello di raggiungere un massimo di 1,5 ettari, tra cui non potrà mancare qualche filare da dedicare alla Freisa. È un’altra varietà in cui crediamo molto, che potrà completare la gamma dando profondità. Un vino da attendere negli anni, a differenza dell’immediata godibilità del Dolcetto».

Altro “vento in faccia”, insomma. E il compare perfetto per quel “Diavolo rosso” da bere a canna. Il tutto mentre la cantina ha già trovato un distributore: l’attentissimo Graziano Cipriano di Darvin Selezione (Torino). Una storia nella storia, tutta da scoprire.

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La Terra Trema 2021 salta per “colpa” di tamponi, vaccini, QRcode e Green pass

EDITORIALE – La Terra Trema 2021 «non avrà luogo». L’annuncio arriva dagli organizzatori ed è motivato da un lungo post pubblicato sul sito web della “Fiera feroce di vini, cibi e cultura materiale“. Tra le righe sembra rivivere il dramma di quella famiglia di pescatori di Aci Trezza, costretta ad arrendersi al destino dopo aver tentato di emanciparsi dalla povertà, mettendosi in proprio (leggi I Malavoglia di Giovanni Verga o vedi l’omonimo film, firmato Luchino Visconti). Là, una tempesta in mare. Al Leoncavallo di Milano le misure anti Covid-19 del governo, a rompere le uova nel paniere.

Tamponi, vaccini, QRcode e Green pass, per citarne solo alcuni degli elementi ostativi, oggetto delle critiche di La Terra Trema. Gente che non accetta di vestire i panni del “controllore” (termine troppo vicino ad altri ancora più invisi da queste parti, come “polizia“). Neppure se si tratta di garantire la pubblica sicurezza e salute. Meglio, allora, far saltare tutto. E mettere da parte, per una volta, pure l’antagonismo.

«Riteniamo prioritario fermarci, alimentando confronto, relazioni e pensiero critico. Riteniamo necessario sottrarci. Non ci avventureremo in percorsi obbliganti imbastiti dalle istituzioni, dai governi, dalla politica e dalla canea mediatica, in special modo da “social” e da “web”», si legge… online. «Non ci avventureremo nella torsione identitaria della nostra storia e di noi stessi», continua il post de La Terra Trema.

IL POST DEGLI ORGANIZZATORI

Non costruiremo un “evento” secondo le normative anti Covid, non chiederemo il Green pass, il tampone negativo, una o due dosi di vaccino. Non controlleremo che siano indossate adeguatamente le mascherine, non misureremo la temperatura, non chiederemo di effettuare prenotazioni.

Non contingenteremo gli ingressi, non regoleremo flussi, non cronometreremo entrate e uscite, non redarguiremo sul mantenimento della debita distanza. Non forniremo la possibilità di tamponi gratuiti o a prezzi calmierati. Non scaricheremo l’app per i nostri iPhone per inquadrare QRcode»

La Terra Trema 2021, continuano gli organizzatori, «non ha motivo di accadere a queste condizioni». «Non è necessaria, non è un supermercato, non vuole persone in fila, in attesa di degustare, scegliere, consumare, pagare. Di torsioni identitarie ne vediamo accadere già troppe, qui non vogliamo subirne e non vogliamo attuarne», continua il post de La Terra Trema.

«Si delega pericolosamente l’onere del controllo, della cosiddetta pubblica sicurezza – recita ancora il comunicato – si mette a portata di mano, nelle tasche di tutti, nella videocamera di un qualunque smartphone. Non troviamo condizioni per mettere in atto una manifestazione come La Terra Trema nei modi diversi da quelli in cui questa fiera è avvenuta per anni».

Poi, l’arrivederci all’edizione 2022. «Rinviamo a tempi più felici, per tutti e se ci saranno i presupposti. Presupposti sociali e politici prima che normativi. Non è nella spunta verde della scansione di un QR Code l’indice di salubrità di un luogo, non è l’ammasso controllato, verificato tramite un’applicazione digitale che salvaguardia la salute collettiva. Ne abbiamo preso atto».

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Gróf Degenfeld, 25 anni a Tokaji: un quarto di secolo in cui è cambiato tutto

I voli da Stoccarda a Budapest, di venerdì pomeriggio, con i figli piccoli. Le auto prese a noleggio all’aeroporto. I viaggi verso Tokaj che duravano 4 ore, su strade gruviera, piene di buche. Gli slalom, al volante, tra le nuvole di gasolio dei tir targati Ucraina. Come scordare, poi, quel bagno della pensione, in centro al villaggio. Ci si doveva inchinare per fare la doccia, perché il tetto era troppo basso. Thomas Lindner e consorte, la contessa Marie Degenfeld, ricordano ogni singolo dettaglio dei loro primi passi nella regione vinicola di Tokaji, dove oggi la tenuta Gróf Degenfeld compie 25 anni (1996-2021).

Era il 1994 quando il conte Sándor Degenfeld decise di tornare là dove gli era stato sottratto tutto, durante la Seconda Guerra mondiale. Una scelta condivisa con la figlia e il genero, desiderosi di tenere viva la memoria di uno dei padri fondatori della della viticoltura a Tokaj: il Conte Imre Degenfeld, le cui tracce affondano nell’800.

I viaggi dalla Germania – paese in cui la famiglia era emigrata – in un’Ungheria che stava riprendendo in mano le proprie sorti dopo la fine dell’epoca comunista, servivano a questo. «Dopo un discreto girovagare – ricorda Thomas Lindner – ci fu proposta una tenuta a Tarcal. Erano le 11 di un mattino ventoso, umido e freddo. Ma per noi fu amore a prima vista».

PAROLA D’ORDINE ENOTURISMO

Il castello che oggi ospita l’Hotel 4 stelle con ristorante gourmet targato Gróf Degenfeld, operativo dal 2003, è solo uno dei grandi rinnovamenti apportati all’area dall’architetto Ferenc Salamin, ingaggiato dai conti. La struttura, risalente al 1873, ospitava un istituto voluto dal Re, per supportare l’industria del vino ungherese dopo l’epidemia di fillossera. Divenuta proprietà statale, fu lasciata in stato di abbandono.

La stessa sorte toccò ai vigneti circostanti, recuperati e reimpiantati tra il 1999 e il 2010, grazie al prezioso contributo dell’agronomo István Varkoly. Nel 1996 il momento più atteso: l’inaugurazione della moderna cantina, scopo primario del ritorno di fiamma in Ungheria, situata alle spalle del castello-hotel.

A finanziare il progetto, oltre all’eredità nobiliare, anche l’attività imprenditoriale di Thomas Lindner, presidente del consiglio di sorveglianza di Groz-Beckert, azienda tedesca del settore manifatturiero. Oggi la tenuta Gróf Degenfeld, diretta da Máté Tóth, può contare su 35 ettari vitati, situati tra Tarcal e Mád, pregiate sottozone della regione vinicola di Tokaji.

LE NOVITÀ TRA VINI BIOLOGICI, HOTEL E BENESSERE

Dal 2009 la scelta di dare un’impronta biologica all’azienda, con la certificazione ufficiale arrivata da Biokontroll Hungária nel 2017. Altro anno importante è il 2015, quando viene rinnovata la cappella Terézia, che domina la collina sopra la tenuta. Un luogo divenuto iconico per le foto di matrimoni, cresime, fidanzamenti e anniversari.

Venticinque anni, dunque, in cui la famiglia Degenfeld ha cambiato la propria vita e influenzato vini ed enoturismo a Tokaj. All’orizzonte, altri progetti all’insegna soprattutto della viticoltura green. La linea di vini biologici, che conta anche uno spumante Metodo classico Tokaji Extra Brut, sarà allaragat con altri vini secchi curati dall’enologo Balázs Sulyok.

In cantina riposano anche i primi, pregiati Aszú e Szamorodni bio. Ma la punta di diamante sarà l’Essencia 2017, il secondo prodotto da Gróf Degenfeld dopo l’annata 1999. Tra le novità in programma, anche l’espansione dell’area benessere e Spa del castello-Hotel di Tarcal, con l’allestimento di un’area jacuzzi per il periodo invernale.

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degustati da noi vini#02

Cirò Doc Riserva Rosso classico superiore Duca Sanfelice 2017, Librandi

A quattro anni dalla vendemmia, gode di uno stato di forma eccezionale il Cirò Doc Riserva Rosso classico superiore Duca Sanfelice 2017 di Librandi. Si tratta, non a caso, di uno dei vini simbolo della storica cantina di Contrada San Gennaro, a Cirò Marina.

L’annata corrente dell’etichetta è la 2018. Ma il nettare ottenuto da vecchie viti di Gaglioppo allevate ad alberello dimostra di avere tutti gli attributi necessari per poter essere conservato nel tempo. Si tratta, peraltro, di uno dei vini rossi italiani dal migliore rapporto qualità prezzo (attorno ai 10 euro).

LA DEGUSTAZIONE

Nel calice, Duca Sanfelice 2017 veste un mantello di colore rubino luminoso, dai riflessi granati. Si concede al naso in tutta la sua pienezza solo dopo qualche minuto di attesa. Ecco dunque ricordi intensi di frutti di bosco perfettamente maturi (ribes, mirtillo, lampone) e prugna, su sottofondo di erbe della macchia mediterranea.

Ben marcata anche l’impronta floreale, tra la violetta e la rosa. L’ossigenazione fa spazio a tinte balsamiche, mentolate e pepate, che si ritroveranno anche in una chiusura freschissima e dissetante. In ingresso di bocca, tanto quanto in allungo, Duca Sanfelice 2017 di Librandi ripropone tutta la fragranza e croccantezza della frutta già avvertita al naso.

Il sorso è asciutto e di grande eleganza, sorretto da una buona acidità e da accenni salini. Un quadro perfetto per abbinamenti importanti, che possono spaziare da saporiti e ricchi primi a base di ragù a secondi di carne, in particolare di selvaggina. Il tutto senza rinunciare a una beva agilissima, dettata anche da tannini presenti ma perfettamente integrati.

LA VINIFICAZIONE

L’area di produzione del Cirò Doc Riserva Rosso classico superiore Duca Sanfelice 2017 di Librandi è quella di Cirò e di Cirò Marina, in provincia di Crotone. Il vino è ottenuto da sole uve Gaglioppo. Le viti ad alberello affondano le radici un terreno ricco di argilla e calcare, con una densità di impianto di 5 mila ceppi per ettaro.

La resa si assesta attorno agli 85 quintali (circa 60 ettolitri) per ettaro. L’epoca di vendemmia delle uve ricade generalmente nella prima decade di ottobre. Il Gaglioppo selezionato viene vinificato in acciaio, con macerazione che si prolunga tra i 7 e i 10 giorni.

L’affinamento di Duca Sanfelice di Librandi avviene in acciaio e cemento, dove riposa per 2 anni. Trascorsi i 24 mesi, il nettare viene imbottigliato in attesa della commercializzazione, che inizia dopo alcuni mesi. Secondo le indicazioni della cantina, il vino è «pronto a partire da 2 anni dalla data di vendemmia», ma può essere «invecchiato anche oltre i 10 anni». Nulla di più vero.

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Vini al supermercato

Carta dei Vini supermercati Il Gigante: 65 etichette in promozione fino al 3 ottobre

La Carta dei Vini dei supermercati Il Gigante, per benedire l’arrivo dell’autunno e lasciarsi alle spalle l’estate 2021, “bevendoci” su. Conta ben quattro pagine l’inserto dell’insegna milanese, con ben 65 vini in promozione fino al 3 ottobre 2021.

Le offerte sono valide solo per i possessori di BluCard, la carta fedeltà dei supermercati Il Gigante. Ecco i voti in “cestelli della spesa” ad ogni singola etichetta presente sulla Carta dei Vini, dopo l’assaggio effettuato dalla nostra redazione.

CARTA DEI VINI IL GIGANTE: LE PROMO DA NON PERDERE

VINI ROSSI

Lagrein Trentino Doc Allegorie: 4,49 euro (3,5 / 5)
Dolcetto / Barbera d’Alba Doc SanSilvestro: 3,89 euro (3,5 / 5)
Gutturnio frizzante Colli piacentini Doc Piani Castellani: 2,99 euro (3,5 / 5)
Valpolicella Ripasso Superiore Doc Biscardo: 7,99 euro (4 / 5)

Nebbiolo Langhe Doc Eredi Angelo Icardi: 7,69 euro (5 / 5)
Chianti Riserva Docg La Pieve: 3,99 euro (3,5 / 5)
Rosso Veneto Neropasso Biscardo: 4,99 euro (3,5 / 5)
Nero d’Avola Sicilia Doc Gurgò Cantine Paolini: 3,79 euro (3,5 / 5)

Barbaresco Docg, Eredi Angelo Icardi: 9,59 euro (5 / 5)
Vino Nobile di Montepulciano Docg Vecchia Cantina: 5,49 euro (5 / 5)
Grignolino del Monferrato Casalese Doc Barlet Cantina del Monferrato: 3,39 euro (5 / 5)

Montepulciano d’Abruzzo Doc Tenuta Milli: 3,99 euro (3,5 / 5)
Rosso di Montepulciano Doc Vecchia Cantina: 2,79 euro (5 / 5)
Valpolicella Ripasso Doc Pagus Bisano: 6,99 euro (4 / 5)
Cabernet Merlot Shiraz Asio Otus Rosso Mondodelvino: 3,69 euro (4 / 5)

Bonarda Oltrepò pavese Commendator Pastori: 2,99 euro (2,5 / 5)
Nebbiolo d’Alba Doc Produttori di Portacomaro: 4,99 euro (4 / 5)
Lambrusco di Modena Doc Il Baluardo Chiarli: 2,99 euro (5 / 5)
Gutturnio Frizzante Colli Piacentini Doc Dante 45: 2,99 euro (3,5 / 5)

Merlot Toscana Igt Colle al Sasso Famiglia Petracchi: 3,89 euro (3,5 / 5)
Chianti classico Docg Fattoria Il Palagio: 4,79 euro (3,5 / 5)
Roscio Emrino Rosso Umbria Castello delle Regine: 3,89 euro (3,5 / 5)
Chianti Docg Piandaccoli: 4,99 euro (5 / 5)

Carignano del Sulcis Doc Calasetta: 4,99 euro (3,5 / 5)
Montepulciano d’Abruzzo Riserva Doc Sinello Casal Bordino: 3,89 euro (5 / 5)
Bonarda Oltrepò pavese Doc Riccardi: 2,99 euro (2,5 / 5)
Lambrusco Scuro Emilia Igt Notturno Righi: 2,99 euro (3 / 5)

Rosso di Montalcino Doc Villa Poggio Salvi: 7,99 euro (5 / 5)
Morellino di Scansano Docg La Torre Frescobaldi: 4,99 euro (4,5 / 5)
Primitivo di Manduria Doc Selezione Luigi Guarini: 4,99 euro (3 / 5)

VINI BIANCHI E ROSÉ

Chardonnay Igt Provincia di Pavia Commendator Pastori: 2,99 euro (2,5 / 5)
Vernaccia di San Gimignano Docg Fattoria Il Palagio: 3,99 euro (3,5 / 5)
Ortrugo frizzante Colli piacentini Doc Piani Castellani: 2,99 euro (3,5 / 5)
Bianco d’Ameria Igp Umbria Castello delle Regine: 3,89 euro (3,5 / 5)

Greco di Tufo Docg Conti Uttieri: 4,99 euro (3,5 / 5)
Ribolla Gialla Igt Tre Venezie Borgo dei Vassalli: 4,99 euro (5 / 5)
Viognier Sicilia Doc Gurgò Cantine Paolini: 3,79 euro (3,5 / 5)
Vermentino Toscana Igt Cala Forte Frescobaldi: 4,99 euro (3,5 / 5)

Gewurzatraminer Trentino Doc Mastri Vernacoli Cavit: 5,59 euro (3,5 / 5)
Vermentino di Sardegna Doc Calasetta: 4,99 euro (3,5 / 5)
Custoza Bianco Doc Nuve: 4,99 euro (4 / 5)
Lugana Doc Fraccaroli: 6,29 euro (5 / 5)

Passerina Abruzzo Doc Tenuta Milli: 3,99 euro (3,5 / 5)
Pignoletto frizzante Modena Doc Poderi di Famiglia Cleto Chiarli: 2,99 euro (3,5 / 5)
Roero Arneis Docg Produttori di Portacomaro: 5,40 euro (4 / 5)
Erbaluce di Caluso Docg Serché, Produttori del Monferrato: 3,99 euro (4 / 5)

Grillo Sicilia Doc Fazio: 2,99 euro (3 / 5)
Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Monte Schiavo Villa Le Querce: 2,99 euro (3 / 5)
Bianco Vergine della Valdichiana Doc Vecchia Cantina di Montepulciano: 2,79 euro (3,5 / 5)
Ortrugo frizzante Colli Piacentini Doc Dante 45: 2,99 euro (3,5 / 5)

Soave Classico Doc Corte Menini Az. Agr. Le Mandolare: 4,39 (5 / 5)
Cortese del Monferrato Casalese Doc Barlet Cantina del Monferrato: 3,39 euro (4 / 5)
Corvo Glicine Sicilia Igt Duca di Salaparuta: 3,98 euro (3,5 / 5)

Sangiovese Rosato Toscana Igt Vecchia Cantina di Montepulciano: 2,79 euro (3,5 / 5)
Rosé Toscana Igt Cala Forte Frescobaldi: 4,99 euro (3,5 / 5)
Moscato Grecale Igt Florio: 5,59 euro (3,5 / 5)

SPUMANTI
Prosecco Superiore Docg Conegliano Valdobbiadene Porta Leone: 4,99 euro (3,5 / 5)
Spumante Saten Franciacorta Docg Piero Catturich Ducco: 12,90 euro (5 / 5)
Spumante Asti Docg Cantine Gancia: 3,79 euro (3,5 / 5)
Prosecco Conegliano Valdobbiadene Docg millesimato Astoria: 5,59 euro (4 / 5)

Prosecco Treviso Doc Coste Petrai: 3,69 euro (3,5 / 5)
Spumante millesimato Brut Porta Leone: 2,99 euro (3 / 5)
Spumante Brut Millesimato Gran Cuvée Vecchia Modena: 3,49 euro (3 / 5)
Spumante Ortrugo Doc Piani Castellani: 4,59 euro (3,5 / 5)

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Vini al supermercato

Vini in promozione al supermercato: tutti i 5 cestelli. Asolo Prosecco: esordio in Gdo per Tenuta Amadio

Torna la rubrica sui migliori vini in promozione al supermercato. Poche emozioni ma buone, da cogliere al volo. Su tutte, è un piacere per il portafogli vedere il Verdicchio dei Castelli di Jesi di Pievalta a 5,39 euro, sul volantino di Esselunga. Chi non esce dai punti vendita dell’insegna milanese con (almeno) due carrelli pieni è un astemio.

Bene anche Carrefour, con i vini toscani della Collezione Oro firmata da Piccini. Buona prova anche per Coop, che annovera ben 3 vini in promozione da 5 cestelli della spesa, il massimo della valutazione di Vinialsuper.

Si tratta del Rosso Di Montepulciano Doc della Vecchia Cantina (già nella nostra Guida Migliori vini al supermercato 2022), del Nero d’Avola Sicilia Doc di Cantine Settesoli (altro vino premiato nell’annuale rassegna di Vinialsuper) e del terzetto bianco-rosso-rosé di un’altra cantina siciliana, Planeta.

Capitolo a parte per i Supermercati Il Gigante: 65 vini in promozione fino al 3 ottobre con il consueto inserto denominato “Carta dei Vini”: qui l’approfondimento.

PROSECCO: DA IPER LA GRANDE I UNA GRANDE NEW ENTRY

Una metà di settembre 2021 che riserva sorprese anche sul fronte degli spumanti, con l’esordio nella Grande distribuzione di una cantina pluripremiata dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani di WineMag.it, l’altra testata del nostro network riservata ai vini in vendita nell’Horeca (enoteche, ristoranti, hotellerie).

Il riferimento è a Tenuta Amadio, cantina di Monfumo (TV) guidata dal giovane enologo Simone Rech, che sbarca con i suoi ottimi Asolo Prosecco Superiore Docg da Iper, La grande i. Tradotto: altri due carrelli da riempire, per soli 5,99 euro (uno per il Brut, l’altro per l’Extra Dry).

Ottimo lavoro del buyer e applausi dalla nostra redazione per questo colpo di vinomercato. Rech è un fuoriclasse dell’Asolo e del mondo del Prosecco, in generale. Sempre da Iper, La grande i e da Iperal, da non perdere i vini di Notte Rossa in offerta.

Due “5 cestelli su 5” anche per Pam Panorama e Tigros, tra bollicine, vini bianchi e vini rossi. Da registrare anche il solito “piattume” nella corsia del vino dell’insegna di supermercati Bennet.


 


Volantino Bennet fino al 29 settembre

La Cacciatora Cabernet Veneto Igt: 1,80 euro (2 / 5)
Rocca Del Doge Prosecco Doc: 2,90 euro (3 / 5)
Tenimenti Civa, Spumante Ribolla Gialla/ Prosecco Millesimato: 3,90 euro (4 / 5)


Volantino fino al 27 settembre

Nero d’Avola / Grillo Sicilia Doc Le Morre: 2,49 euro (3 / 5)
Chiarli, Lambrusco Grasparossa Di Castelvetro (3,5 / 5)
La Cacciatora Montepulciano D’Abruzzo: 2,59 euro (2,5 / 5)

Trevenezie Terre Fredde Bianco: 2,40 euro (3 / 5)
Corvo – Vino Glicine Terre Siciliane Igt: 4,49 euro (3,5 / 5)



Volantino Carrefour Market fino al 27 settembre

Vini Piccini Collezione Oro: 3,99 euro (5 / 5)
Vini Sicilia Le Morre: 2,49 euro (3 / 5)
Tralcio antico Bio Montepulciano D’Abruzzo Doc: 3,49 euro (3 / 5)


Volantino Carrefour Express fino al 20 settembre

Terre d’Italia Ripasso Valpolicella Doc: 7,99 euro (3,5 / 5)
Stefano Bottega Spumante Millesimato: 3,99 euro (3,5 / 5)
Vipra Umbria Igt Bianca / rossa / rosa, Bigi: 4,49 euro (4 / 5)

Galassi Montepulciano D’abruzzo Doc: 2,99 euro (3,5 / 5)
Vini Notte Rossa: 3,99 euro (5 / 5)
Bottega Ripasso Della Valpolicella Doc Superiore: 9,99 euro (3,5 / 5)


Volantino Conad Ipermercato fino al 20 settembre

Gutturnio frizzante Doc, Vicobarone: 2,89 euro (3 / 5)
Borgo Dai Morars Prosecco Spumante Extra Dry Doc: 4,69 euro (3,5 / 5)
Conad Lambrusco Dell’Emilia Igt Dolce: 1,79 euro (3 / 5)

Da Morars Cabernet Sauvignon Grave Doc: 3,59 euro (3 / 5)
Vini Igt Pavia, Maggi: 6 bottiglie 9,90 euro (0,5 / 5)


Volantino Coop superstore fino al 29 settembre

Vini frizzanti Maschio: 2,40 (3 / 5)
Dolcetto d’Alba Terre da Vino: 3,19 euro (3 / 5)
La Gioiosa Spumante Prosecco Valdorbiadene Superiore Docg Extra Dry: 4,89 euro (3,5 / 5)

Mionetto Spumante Proseccò Rose Doc Millesimato: 6,99 euro (3,5 / 5)
Vecchia Cantina Rosso Di Montepulciano Doc: 2,99 euro (5 / 5)
Barbera d’Asti Docg (1,5 l): 50% (2,5 / 5)

Etna Rosso Barone di Bernaj: 4,19 euro (3 / 5)
Nero d’Avola Sicilia Doc, Cantine Settesoli: 2,99 euro (5 / 5)
Vini Sicilia Doc Bianco / Rosso / Rosé, Planeta: 5,90 euro (5 / 5)


Volantino Esselunga fino al 29 settembre

Mionetto Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry: 5,59 euro (3,5 / 5)
Fiano Strangolagalli: 3,80 euro (4,5 / 5)
Verdicchio dei Castelli di Jesi Tre Ripe, Pievalta: 5,39 euro (5 / 5)

Vini Romae, San Marco: 3,98 euro (4 / 5)
Antica Tindari Nero D’avola / Inzolia: 3,59 euro (3,5 / 5)
Villa Di Monte Chianti Docg: 2,49 euro (3 / 5)

Banfi Col Di Sasso Sangiovese Syrah: 3,49 euro (4 / 5)
Cantina Morellino Di Scansano – Morellino Di Scansano: 3,95 (3,5 / 5)
Cantine Due Palme, Salento Primitivo Rosso: 3,54 (3,5 / 5)
Frascati Pietra Porzia: 2,98 (3,5 / 5)


Volantino Iper, La grande i fino al 26 settembre

Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg, Gasparetto: 3,99 euro (3,5 / 5)
Prosecco Doc Extra Dry Villa degli Olmi: 3,29 euro (3,5 / 5)
Spumante Blanc de Blancs Terre Nardini: 2,99 euro (3 / 5)

Asolo Prosecco Superiore Brut / Extra Dry Tenuta Amadio: 5,99 euro (5 / 5)
Barbera o Gavi San Silvestro: 4,49 euro (3,5 / 5)
Nebbiolo d’Alba Duchessa Lia: 5,99 euro (3,5 / 5)

Sangue di Giuda / Riesling Crobara: 2,29 (3 / 5)
Ribolla Gialla Spumante Miazzi: 2 pezzi 5,99 euro (2,5 / 5)
Vini Cantina Valtidone: 1,99 euro (3,5 / 5)

Valpolicella Classico Superiore Doc La Sorte: 4,49 euro (3,5 / 5)
Groppello / Chiaretto Scolari: 3,99 euro (3,5 / 5)
Vini Borgo Canedo: 2,95 euro (3 / 5)

Vini Igp I Feudi: 2,39 (3 / 5)
Vini Sicilia I Cavalieri: 2,99 euro (3,5 / 5)
Morellino di Scansano Docg Melandrino, Piccini: 4,99 euro (5 / 5)

Vini Notte Rossa: 5,49 euro (5 / 5)
Vini Sicilia Duca di Salaparuta: 6,99 euro (3,5 / 5)
Montefalco Rosso Doc Tenuta Ermelinda: 4,90 euro (3,5 / 5)

Chianti Docg, Piccini: 2,49 euro (3,5 / 5)
Vini Terre Petralia (5 litri, 2 pezzi): 11,99 euro (2,5 / 5)
Vermentino Aragosta / frizzante / rosé, Cantina Santa Maria La Palma: 3,99 euro (3 / 5)

Vini Campo della Maestà: 4,99 euro (3,5 / 5)
Vini Trentino Doc Mastri Vernacoli, Cavit: 2,99 euro (3,5 / 5)
Vini Castelborgo (1,5 litri): 2,99 euro (2,5 / 5)

Vini Turà Trevenezie: 1,99 euro (3 / 5)
Vini Vigne del Colle: 1,49 euro (3 / 5)



Volantino Iperal fino al 28 settembre

Setanera Doc Montepulciano D’Abruzzo: 1.79 euro (2,5 / 5)
Rose Dei Filari Vini Frizzanti: 1.59 euro (2,5 / 5)
Freschello Vino Bianco: 1.29 euro (3 / 5)

Li Nibarj Vermentino Di Gallura Docg: 3.79 euro (3,5 / 5)
Chianti Docg, Cecchi: 3,49 euro (4 / 5)
Vini Natale Verga: 3,29 euro (2,5 / 5)

Maschio Prosecco Spago Vino Frizzante: 3.99 euro (3,5 / 5)
Vini Vie del Canto: -30% (2,5 / 5)
Vini Zonin: 3,69 euro (3,5 / 5)

Vini Notte Rossa: 3,99 euro (5 / 5)
Villa Sandi Asolo Prosecco Docg La Gioiosa: 4,99 euro (3,5 / 5)
Vini Doc Il Picchio: 3,49 euro (3 / 5)

Arco Delle Rose Pignoletto Doc Bianco Frizzante: 2.99 euro (3 / 5)
Il Baluardo Lambrusco Doc: 2.99 euro (5 / 5)
La Gioiosa Prosecco Spago: 5.19 euro (3,5 / 5)


Volantino IperCoop fino al 22 settembre – Sottocosto

Prosecco Doc / Ribolla spumante, Villa Folini: 3,29 euro (3 / 5)
Cantina Vicobarone Gutturnio Vino Frizzante: 1, 85 euro (3 / 5)

Rocca Ventosa Montepulciano D’Abruzzo Doc: 1.99 euro (3 / 5)
Poggio Mandrina Barbera Asti Docg: 2.97 euro (3,5 / 5)


Volantino Pam Panorama fino al 22 settembre

Verdicchio Dei Castelli Di Jesi Doc: 1,99 euro (2,5 / 5)
Chianti Docg, Piccini: 3,99 euro (3,5 / 5)
Asolo Prosecco Spumante Superiore Docg Extra Dry, Rive Della Chiesa: 4,99 euro (5 / 5)

Pinot Nero Trentino Doc Mastri Vernacoli, Cavit: 4,99 euro (3,5 / 5)
Valpolicella Ripasso Doc La Sogara: 6.99 euro (4 / 5)
Cabernet Sauvignon Tre Venezie Igt, Alberigo: 2.49 euro (3 / 5)

Vino Bianco Bacchor: 1.19 euro (0,5 / 5)
Grillo Di Sicilia Igp Trinacria, Birgi: 1.89 euro (2,5 / 5)
Refosco Veneto Igt Colle Dei Cipressi: 1.99 euro [3]

Chianti Docg Collezione Gold, Sensi: 2.19 euro (2,5 / 5)
La Cacciatora Merlot Veneto Igt: 1.99 euro (1 / 5)
Bigi, Vini Doc Orvieto: 2.99 euro (3,5 / 5)

Astoria, Spumante Ribolla Gialla: 3.49 euro (3,5 / 5)
Frescobaldi, Rèmole Rosso Toscana Igt: 3.99 euro (4,5 / 5)
Vipra rosa o bianca, Bigi: 3,99 euro (4 / 5)

Corvo Glicine. Duca di Salaparuta: 4.19 euro (3,5 / 5)
Vini Friuli Colli Orientali Doc, Tenimenti Civa: 4.99 euro (4 / 5)
Vignaioli Del Morellino, Vermentino Di Toscana Igt: 5.49 euro (5 / 5)

Volantino Tigros fino al 21 settembre

Vini Oltrepò pavese, Fratelli Maggi: 1,49 euro (1 / 5)
Lambrusco Emilia Igt, Cavicchioli: 2 pezzi, 4 euro (2,5 / 5)
Vini Doc Custoza / Soave / Bardolino, Almorano: 2,49 euro [3]

Vini Natale Verga: 2 pezzi, 5,50 euro (3 / 5)
Pignoletto Doc, Castelli Modenesi: 2,90 euro (3,5 / 5)
Prosecco Treviso Doc, Casato del Leone: 2,99 euro (3 / 5)

Vini Piemonte, Conti Buneis: 3,49 euro (3,5 / 5)
Vini Sicilia, Fatascià: 3,89 euro (3,5 / 5)
Vini frizzanti Doc Cantagallo, Cantina Valtidone: 3,90 euro (4 / 5)

Nebbiolo Langhe Doc Heredis: 4,99 euro (3,5 / 5)
Vini Doc Alto Adige, Erste Neue: 7,90 euro (5 / 5)
Lugana Dop Bio, Perla Del Garda: 8.49 euro (5 / 5)
Vini Toscana, Piccini: 2,49 (3,5 / 5)

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Gli Editoriali news news ed eventi

La brutta figura dell’Italia tra Prosecco e Prosek croato

EDITORIALE – La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue della domanda di registrazione della menzione tradizionale Prosek (Prošek) avanzata dalle autorità croate è al centro di una feroce polemica da parte dell’Italia, che vede così minacciato l’universo Prosecco.

Secondo Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, si tratta di «un segnale di marcata debolezza da parte della Ue nella strategia di difesa dell’intero sistema delle Do e Ig europee».

Il numero uno della Confederazione Nazionale dei Consorzi volontari per la Tutela delle Denominazioni dei Vini italiani aggiunge che si tratta di «una sconsiderata accelerazione della confusione presso i consumatori».

«Su questo secondo aspetto poi – continua Ricci Curbastro – credo che occorra insistere, dato che è proprio il consumatore che fa la differenza nel successo di un prodotto. E sappiamo bene come la pronuncia di Prosecco e Prosek siano talmente simili da poter indurre all’errore».

Non basta leggere le etichette, notare le differenze di luogo di produzione e via dicendo. Sappiamo tutti benissimo come una parola assonante diventi identitaria nell’immaginario collettivo, con la rapidità della luce. Tutto ciò non solo a discapito di chi acquisterà erroneamente un Prosek invece del Prosecco, ma anche di un intero territorio ben definito».

Premettendo che le autorità italiane sembrano (voler) generalmente ignorare che il Prosek sia un passito e non un vino spumante, vien da dire che se c’è qualcuno che sta mostrando «marcata debolezza», quella è proprio l’Italia.

DEBOLI IN EUROPA, “DISTRATTI” IN ITALIA?

Alzi la mano, per esempio, chi ha mai visto sullo stesso scaffale Prosecco e Prosek? Si faccia avanti, poi, chi ha mai sentito parlare del vino passito croato Prosek a livello internazionale, prima di questa polemica innescata dalle autorità italiane.

Uno sconosciuto di cui tutti però hanno paura, come confermano le parole (sempre “ad effetto” più che “efficaci”) del viceministro alle Politiche agricole Gian Marco Centinaio a Repubblica: «Se ho mai assaggiato un Prosek croato? Mai sentito prima e piuttoso bevo una gazzosa!». Bingo, ma più su Twitter che a Bruxelles.

Per non parlare dei numeri dei due vini: impari. Le tre denominazioni di origine del Prosecco (Doc, Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg e Asolo Docg) si assestano sui 620 milioni di bottiglie. Il Prosek croato su un totale di 80 milioni annui.

Del tutto diversa anche la base ampelografica. L’uvaggio del vino dolce croato prevede Bogdanuša, Maraština, Vugava e Plavac Mali. Nulla a che fare con la Glera. Tantomeno col Pinot nero, bisognerebbe aggiungere.

Da giganti quali siamo, sembriamo pronti alla guerra alle formiche, a livello internazionale. Mentre in casa, le autorità italiane paiono quantomeno “distratte”, o assopite. In Sicilia, ormai da diversi anni, Cantine Patria produce e commercializza uno spumante Martinotti chiamato Pros.it, nell’ambito della “Linea delle Grazie“.

Accanto al classico Extra Dry da uve Catarratto – si è aggiunto da qualche tempo l’immancabile Rosé, base Nerello Mascalese e Petit Verdot. Per l’Italia pronta alle barricate contro un passito della Dalmazia, evidentemente, il nome “Pros.it” non ricorda affatto il “Prosecco”.

COLDIRETTI ALLARMATA DAL PROSEK

«È necessario preparare subito l’opposizione da presentare non appena avvenuta la pubblicazione per fermare una decisione scandalosa che colpisce il vino italiano più venduto nel mondo», tuona il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

«La decisione della Commissione Europea – continua – cade a pochi giorni dalla storica sentenza della Corte di Giustizia Ue che si è pronunciata chiaramente contro l’utilizzo di termini storpiati o grafiche per richiamare tipicità protette dalle norme Ue».

«Per questo è importante – conclude Prandini – l’impegno del Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli, del Governatore Luca Zaia e degli europarlamentari italiani ad intervenire per far respingere la domanda, anche appellandosi ai principi di tutela espressi dalla Corte di Giustizia in casi analoghi».

UNIONE ITALIANA VINI: DUE MESI PER SCONGIURARE IL PERICOLO

Cannoni puntati sulla Croazia (e su Bruxelles) anche in casa Unione italiana vini. «Il tempo per opporsi previsto dalla procedura Ue – sottolinea Uiv in una nota – deve essere utilizzato con ogni sforzo contro al riconoscimento della menzione croata Prosek, annunciato dalla Commissione europea».

In questi 2 mesi di tempo per opporsi, Uiv continuerà a sostenere il Mipaaf e gli organismi di tutela del nostro Prosecco per difendere il prodotto con tutte le argomentazioni giuridiche e politiche di un caso che rischia di rivelarsi un pericoloso precedente, soprattutto per la protezione in alcuni mercati internazionali, dove il nome della denominazione è utilizzato da altri produttori, indebolendo l’immagine del prodotto italiano».

Il Prosecco, ricorda ancora Unione italiana vini, «sostiene l’organizzazione italiana delle imprese che rappresenta l’85% dell’export di vino del Belpaese ed è un nome geografico».

«Pertanto – conclude Uiv – la protezione dell’Ue si estende contro fenomeni di usurpazione, compresi quelli generati da sinonimi. L’Unione non può sottovalutare il rischio di confusione per il consumatore: il nome Prosek richiama inevitabilmente, per un “consumatore normalmente informato”, le bollicine del nostro Paese».

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degustati da noi news news ed eventi vini#02 visite in cantina

Giacomo Fenocchio, verticale storica 1978-2020 per la nuova cantina: «Barolo en primeur per i turisti»

Claudio Fenocchio era ancora un bambino mentre il padre, Giacomo Fenocchio, mandava in pensione i vecchi tini di legno sino allora utilizzati dal nonno. Assieme a lui introdusse in cantina l’acciaio, per le vinificazioni del Nebbiolo atto a divenire Barolo. «Grande modernità e più tecnologia, in aiuto al lavoro», ricorda con tono deciso quel bambino che nel frattempo è diventato grande. Lo stesso che oggi è chiamato a dare l’ennesima impronta decisiva alle sorti dell’azienda di Monforte d’Alba (CN), fondata nel 1864.

L’inaugurazione della nuova cantina, il cui biglietto da visita è un’ampia terrazza che invita a tuffarsi sul materasso di colline delle Langhe, arriva in un periodo cruciale. Quello in cui le figlie Letizia ed Eleonora, 19 e 17 anni, muovono i primi passi sulle orme del papà. Ovvero tra quei pochi tini del nonno rimasti dov’erano. E le idee che hanno rivoluzionato una delle più grandi denominazioni del vino italiano. Passi piccoli ma decisi, tra ciò che fu e ciò che è. Ancor più, tra ciò che sarà.

«Il Barolo da allora è cambiato tantissimo, tantissimo», ripete Claudio Fenocchio, quasi a voler esorcizzare il concetto e il tempo. «Noi siamo rimasti gli stessi – si affretta a precisare – ovvero quelli che propongono un Barolo legato alla tradizione. Questo non significa tarparsi le ali, o non voler crescere. La nuova cantina? È un passo necessario in quest’ottica. Ma ancor più un modo per poter accogliere nel migliore dei modi i tanti turisti e appassionati che vogliono conoscere i nostri vini. Permetteremo loro, per esempio, di assaggiare le nuove annate dalle botti».

È una sorta di democratizzazione inversa del Barolo, quella che propone Claudio Fenocchio. Una “liberalizzazione” che non parte dai “prezzi per tutti”. Bensì dall’en primeur quotidiana. Qualcosa che, da altre parti, è appannaggio di una cerchia ristretta di professionisti del settore, o addetti ai lavori, diventa pressoché la norma nel nuovo corso della Giacomo Fenocchio.

La prima vendemmia in questa struttura – spiega – è stata nel 1989. L’abbiamo ampliata ulteriormente con una nuova bottaia, all’interno della quale abbiamo insediato la ricezione. Tutti i clienti potranno assaggiare dalle botti e fare le degustazioni in cantina, ovvero nell’ambiente più adatto al vino. È un investimento nei turisti, che potranno scoprire man mano le nuove annate dei nuovi Barolo. I Barolo del futuro».

Diciassette ettari per circa 100 mila bottiglie e numeri destinati a crescere dalle 45 mila bottiglie riservate al Re dei vini del Piemonte. A seguire, nell’ordine, Nebbiolo, Barbera, Dolcetto e Freisa. Senza dimenticare che qui, dal 2010, si producono anche due vini bianchi da uve Arneis in purezza (un Roero Docg e un Orange wine) e uno spumante metodo italiano, base Freisa.

La fiducia è tanta. «Il Barolo – chiosa Claudio Fenocchio – resta una delle denominazioni italiane di maggiore appeal. Credo che il Consorzio stia facendo molto bene sotto tutti i punti di vista, specie con lo slancio dato dall’evento a New York, prima della pandemia. Avanti così».

“Indietro”, sembra voler suggerire il vignaiolo di Monforte d’Alba, solo per le verticali. Come quella preparata per la stampa ieri, giorno dell’inaugurazione della nuova cantina. Dal 1978 al 2020. Spaziando tra i cru.

IL BAROLO GIACOMO FENOCCHIO DAL 1978 AL 2020
Barolo Doc Riserva 1978

Nella massa finale per lo più Bussia, seguito da Castellero e Cannubi. Bottiglia straordinaria (la seconda aperta), esprime ancora un frutto rosso pieno, accostato da riverberi di radici. Il tannino è morbido, ma non arreso.

La freschezza è disarmante per gli anni sul groppone. L’abbraccia una vena glicerica che, per gli “usi e costumi” dei tempi, va ben oltre i soli 13.5 gradi d’alcol in volume. In un calice, la storia di una famiglia Fenocchio, che non ha smesso di proporre vini di territorio, incollati alla tradizione.

Barolo Docg Bussia 1994

Tanto fiore, rosa, violetta. Frutto rosso timido appena versato, pronto poi a donarsi in tutta la sua integrità, generoso. Si apre bene, ma piano, anche in gustativa. Scivola lungo, su ricordi di radice che accompagnano il frutto croccante e un tannino ancora vivo, pur integrato.

Barolo Docg Bussia 2000

Annate molto calda in cui la Giacomo Fenocchio, con Claudio Fenocchio, inizia seriamente a proteggere l’uva dai raggi del sole. «Anziché defogliare, come si faceva per nelle annate fredde, decidemmo di non fare nulla, lasciando anche il cordone alto, per ombreggiare».

Il calice racconta alla perfezione l’andamento climatico del 2000. Naso largo sul frutto, che sfiora la lascivia d’uno sciroppo. Freschezza e tannino giocano a riequilibrare un sorso in perfetta corrispondenza, riuscendoci al meglio.

Barolo Docg Bussia 2004

Annata regolare, segnata da una vendemmia delle uve Nebbiolo andata in scena nel corso della terza settimana di ottobre. Naso profondo, sulle spezie e sulla liquirizia, che si ritrova nettamente anche al palato. Superlativa la gustativa, che si divide tra frutto preciso, pieno, e ricordi assieme caldi e freschi, speziati. Netto goudron e qualche sbuffo vago di zafferano mentre incede un allungo da favola, asciutto e giustamente tannico. Tra i migliori vini in assoluto della verticale voluta da Claudio Fenocchio.

Barolo Riserva Docg Bussia 2008 “90 dì”

Prima annata in cui viene riproposta, senza mai essere immessa sul mercato, una piccola partita di Nebbiolo “fatto come una volta”. Ovvero come lo faceva il padre di Giacomo Fenocchio: con “90 dì”, ovvero “90 giorni” (3 mesi circa) di macerazione (seguiti da 4 anni in botte grande e uno di vetro). Il risultato è una chicca prodotta in sole 300 bottiglie, di cui ne restano ormai ben poche.

Un esperimento servito tuttavia per ripensare la Riserva di Fenocchio, a partire dal 2010. La macerazione lunga non appesantisce il calice. Si crea anzi un scambio di battute tra finezze e tensioni, tra polpa e spezia (con la prima che prende il sopravvento). Siamo al cospetto di un vino che si discosta di molto dalla linea di rigore ed elegante essenzialità dei vini di Claudio Fenocchio.

Un nettare più largo, quasi interamente giocato sul frutto e su un’armoniosa beva, al limite del “rotondo”. Chiaramente il tutto è controbilanciato da una buona freschezza e da un tannino che rispecchia fedelmente i canoni dei Barolo di Bussia.

Barolo Docg Cannubi 2009

Liquirizia nera a primo naso, frutto succoso, ricordi sanguigni, ferrosi. Perfetta corrispondenza al palato, dove tuttavia si rivela – tra i vini in degustazione – quello meno equilibrato e in una fase di scombussolamento. Il sorso è diviso in maniera piuttosto marcata tra fenolico e frutto. La speranza è che scenda dall’altalena.

Barolo Docg Villero 2010

Molto balsamico, speziato. Goudron. In bocca si conferma vino profondo, fresco e speziato, ancora molto giovane. In chiusura esalta un frutto succoso, unito a un tannino vivo, elegante. Prima avvisaglia di quello che sarà, a partita chiusa, il cru più convincente della cantina.

Barolo Docg Castellero 2011

È l’anno dell’esordio per il cru fortemente consigliato a Claudio Fenocchio dal consulente della comunicazione, il pr Riccardo Gabriele. Sino ad allora (e dal 1952) Castellero finiva in blend nel Barolo d’entrata della linea. Sorprende (e pure tanto) per le note di frutta bianca, come melone bianco, pesca, albicocca.

In bocca risulta pieno, molto agile, a dimostrazione di quanto le sue caratteristiche marcassero il “Barolo quotidiano” della gamma. Alcol (15% vol.) integratissimo, gran bella freschezza e tannino levigato, splendidamente integrato. Grande intuizione.

Barolo Docg Castellero 2011 (magnum)

Le due bottiglie parlano la stessa lingua, ma la maggiore superficie di vetro sembra distendere ulteriormente il nettare, specie nella componente fruttata e, ancor più, in quella tannica. Curiosa la nota salmastra che mancava alla 0,75, così come mancavano risvolti sanguigni, qui pur percettibili col microscopio. Riecco la consueta freschezza, con un tocco in più di liquirizia nera che rende il nettare molto gradevole e dalla beva spasmodica.

Barolo Docg Cannubi 2017

Si ritorna su Cannubi e il naso si sofferma, come nel precedente assaggio, dapprima sulla spezia. All’accenno iniziale d’origano fa eco un frutto rosso godurioso, che prende sempre più spazio nel quadro complessivo. In retro olfattivo largo a terziari da legno quali fondo caffe e caramella mou, pur smorzati da una pregevole venatura salina e da un tannino vivo, ma molto elegante. L’annata è stata molto calda (non certo quanto la 2003).

Barolo Docg Castellero 2017

L’ultimo (in ordine temporale) dei cru della Giacomo Fenocchio si riconoscerebbe tra mille. Riecco il melone, la pesca bianca, i ricordi di albicocca. Vino croccante, quasi da morsicare. Materico, ma ancor più fresco e beverino.

Barolo Docg Villero 2017

Anche nell’annata 2017, il cru Villero si conferma ad altissimi livelli. Ancora una volta profondo, speziato, sanguigno, agrumato d’arancia rossa. In bocca riecco una prosa fresca, che gode dell’elegantissimo apporto fruttato-croccante, ma sceglie la spezia come compagna di vita. Tutto ciò tra l’ingresso e il centro bocca. Perché il finale riserva un’amarena netta, da fuochi d’artificio nel gioco prezioso con la scontrosità amaricante del tannino. Vino da applausi scroscianti per larghezza e profondità, verticalità e polpa.

Barolo Docg Bussia 2017

Si conferma succoso e speziato, in grandissimo equilibrio. Del resto è il vigneto più grande di Fenocchio, che consente di portare in cantina uve con maturazioni forse non omogenee al millimetro, perfette nel mix tra fenoliche e zuccherine.

Barolo Docg Cannubi 2018 e 2019

Annata segnata da molta pioggia tra agosto e l’inizio settembre. Il risultato è una vendemmia particolare, che sarebbe stata invece “classica”, in termini di tempi di raccolta. Venendo al calice, il Cannubi 2018 non sarà certo un campione di longevità. Sarà però uno di quei vini importanti e, al contempo, facili da bere. Scherziamo con Claudio Fenocchio e chiediamo se ha proceduto a una macerazione carbonica.

Sorride e poi conferma quando, tornati seri, usiamo l’aggettivo “diluito”: l’annata è di quelle in cui il rapporto tra succo e buccia è nettamente in favore del primo, proprio a causa delle piogge abbondanti in un periodo tanto delicato. Arriva poi l’assaggio da botte del 2019, vino ricco, sul frutto, ma al contempo pieno di energia, tra spezia e apporto fresco-acido. Un altro nettare di grande accessibilità e immediatezza.

Barolo Docg Castellero 2018, 2019, 2020

Oltre ai classici sentori di frutta a polpa bianca, che costituiscono il fil-rouge del cru, qui si centra forse una maturazione – o, meglio, un’epoca di raccolta – che regala alla particella maggiore complessità e rigore. Il salto di qualità definitivo sul cru Castellero è definitivamente compiuto, a 8 anni dall’esordio sul mercato, con la 2011. L’ulteriore assaggio da vasca della 2019 conferma le impressioni.

Anzi, esaspera ancor più il concetto di una quadra definitivamente trovata sul Castellero, nonostante la concentrazione d’aromi risulti maggiore rispetto alla 2018. Arriva poi il 2020 a suggellare la consacrazione di un Barolo dalla bevibilità disarmante, che non rinuncia tuttavia alla complessità.

Barolo Docg Villero 2018

Chi non ha bisogno alcuno di “aggiustamenti” e si è sempre espresso su livelli altissimi è invece il cru Villero della Giacomo Fenocchio. Naso elegantissimo, tra fiori, frutto e spezia. Si ritrova la stessa matrice al palato, dove un frutto pieno e succoso gioca a irritare un tannino in cravatta, che non perde le staffe. Neppure quando la liquirizia prova a imbalsamarlo, avvolgendolo. Alleata, in chiusura, una vena salina preziosissima che da un lato inspessisce ulteriormente il quadro e, dall’altro, chiama il sorso successivo.

Barolo Docg Bussia 2018 e 2019

Ancora una volta gran completezza nel Bussia che, nonostante la gioventù raccontata da un frutto tanto succoso quanto esuberante e preponderante, mostra ampissimi margini di evoluzione, nel segno della complessità. Scalpitano tannino e spezie, mentre la freschezza riequilibra morbidezze i cui contorni sono in decisa evoluzione. Salto oltre l’ostacolo con la vendemmia 2019, che regala un nettare dalle spiccate note floreali e dal tannino leggermente meno spigoloso, sempre all’insegna dell’eleganza.

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Campania Stories 2021, è l’anno del Piedirosso. Per’e Palummo nuovo asso dei produttori campani

Tesi e di prospettiva i vini del 2019. Pieni di frutto e più pronti quelli del 2018. Tra i due estremi l’annata 2020, destinata a collocarsi a metà tra la 2018 e la 2019, sbilanciandosi verso quest’ultima. Sono soprattutto i vini bianchi a definire l’andamento delle ultime vendemmie in degustazione a Campania Stories 2021. Meno sbalorditiva la qualità media dei vini rossi campani.

Capaci però, con qualche gemma, di dettare la strada verso un futuro altrettanto luminoso. In particolare è l’autoctono Piedirosso a brillare tra tanti Aglianico, eterno vitigno simbolo della Campania che sta trovando nuove grandi interpretazioni anche nel Cilento (Guido Lenza, Luigi Maffini e Viticoltori de Conciliis), accanto a quelle più note dell’Irpinia del Taurasi.

NUOVE PROSPETTIVE PER IL PIEDIROSSO O PER’ E PALUMMO

L’edizione 2021 di Campania Stories può essere considerata, a tutti gli effetti, quella della sua definitiva consacrazione. Sarà forse perché il Per’e Palummo – nome locale della varietà, il cui tralcio e peduncolo ricorda il piede del piccione – è il più “bianco” tra vitigni a bacca rossa campani?

Fatto sta che gran parte dei produttori, specie nei Campi Flegrei ma anche sul Vesuvio e, in qualche caso, nel Sannio, sembrano aver trovato la dimensione ideale in vinificazione, dopo le necessarie cure in vigna (il Piedirosso è produttivamente incostante e presenta una forte propensione all’acinellatura verde, ovvero una mancanza di uniformità di colorazione/maturazione degli acini).

Quella, cioè, di un vitigno-vino che, nei prossimi anni, può diventare il vero e proprio “Cavallo di Troia” dell’intera produzione campana, sul mercato nazionale e internazionale.

IL PIEDIROSSO: VITIGNO-VINO MODERNO CHE CONQUISTA I MERCATI

Con le sue note di frutta croccante, il profilo fresco, l’agilità di beva, l’alcol moderato e, soprattutto, con la sua capacità di riflettere nel calice le caratteristiche del terroir (esaltante l’interpretazione vulcanica di Agnanum – Raffaele Moccia) può fungere da apripista ai vini più “importanti” e da lungo affinamento.

Volendo estremizzare, il Piedirosso potrebbe fungere da alternativa concreta alla “bollicina”, a cui non tutte le cantine della Campania hanno ancora ceduto (l’Italia è ormai piena di tanti, troppi, inutili “Wannabe Prosecco“, spumanti senza testa né anima che piacciono tanto ai buyer innamorati più dei soldi facili che della cultura del vino).

Ma c’è di più. Per le sue caratteristiche scontrose, il Per’e Palummo è una scelta di campo e di sacrificio per i viticoltori. Premierà dunque – anche agli occhi dei buyer nazionali e internazionali – solo i più coraggiosi e convinti. Senza il rischio di diventare un vino facile tout-court o di massa.

IL PER’E PALUMM TRA CAMPI FLEGREI E VESUVIO

Chiedere per credere a Cristina Varchetta di Cantine Astroni, che sul Piedirosso ha incentrato la propria tesi di laurea. «La nostra riscoperta del vitigno è iniziata in vigna – commenta a WineMag.it – con il ricorso al doppio capovolto. Anche l’approccio in vinificazione è cambiato, evitando le sovra estrazioni».

Se per l’Aglianico occorrono 7-14 giorni, per il Per’e Palummo ci si ferma cioè a quattro. Un trend che, come conferma Cristina Varchetta, non riguarda solo Cantine Astroni e i Campi Flegrei, ma anche altri vignaioli dell’area del Vesuvio.

Il Piedirosso ha bisogno di tanto ossigeno durante la vinificazione perché soffre di riduzione, problema che gli ha tarpato le ali sui mercati. Noi procediamo a due o tre travasi, mentre sul Vesuvio qualcuno in più. Infine, abbiamo trovato una quadra anche sulle tappature: quelle in sughero tecnico hanno ridotto drasticamente le riduzioni e consentito la corretta micro ossigenazione».

LA «SECONDA VITA» DEL PIEDIROSSO

Varchetta non usa giri di parole e ammette che «grazie a tutti questi accorgimenti, il Piedirosso sta vivendo una seconda vita». Anche, anzi soprattutto, sui mercati. «Da vino difficile da vendere e da far comprendere anche a livello locale – commenta a WineMag.it – oggi ha trovato una sua identità, sia come prodotto sia a livello di mercato».

«È quel vino con bevibilità e semplicità, ma non per questo banale – sottolinea ancora l’esponente di Cantine Astroni – il cui successo è testimoniato della nostra storia aziendale. Dieci anni fa creammo un blend per il mercato internazionale, in cui il Piedirosso affiancava Aglianico e Primitivo. Oggi, specie all’estero, vendiamo con grande facilità il nostro Piedirosso in purezza, subito dopo la Falanghina».

Un altro produttore che ha compreso le potenzialità del Per’e Palummo è Raffaele Moccia (nella foto, sotto) dell’Azienda agricola Agnanum di Agnano (NA). Un vero e proprio custode silenzioso e solitario del Parco Naturale degli Astroni, Riserva e Oasi tutelata dal WWF lungo la quale si snodano circa 10 ettari di vigneti eroici.

RAFFAELE MOCCIA (AGNANUM): IL VIGNAIOLO EROE DEI CAMPI FLEGREI

Moccia conosce e comunica con ogni singolo ceppo. Sollevato e rimesso a dimora su terrazzamenti tuttora precari. Baluardi della viticoltura angioina, ricostruiti con zappa, fatica, sudore. E una buona dose di (sana) follia, che ha convinto all’acquisto di un piccolo escavatore solo negli ultimi mesi.

Tra le «piste» carrabili che intervallano i filari di Agnanum – riservate al vecchio ma inossidabile fuoristrada di famiglia, o ai quad – si scorge tanta Falanghina (nella foto, sopra), qualche grappolo di Barbera napoletana e altri autoctoni a bacca bianca e rossa. Ma anche e soprattutto il Piedirosso.

L’idea di Raffaele Moccia è quella di valorizzare l’antica forma di allevamento del tendone (o, meglio, della pergola puteolana), nonché il sistema cosiddetto “pratese“. La pianta si esprime in maniera pressoché naturale, libera. Intrecciandosi ed espandendosi orizzontalmente e fruttificando principalmente sull’estremità. Lontana dal ceppo.

Tutte caratteristiche che riducono la produzione, ma consentono al vignaiolo eroe dei Campi Flegrei di conservare il patrimonio di vecchie viti ereditate e acquistate nel corso dei decenni dai parenti. Già, perché nelle vigne e nei vini di Raffaele Moccia c’è un po’ di Gattopardo («Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi») e un po’ di Cronache marziane, alla Ray Bradbury.

LA VERSATILITÀ DEL PIEDIROSSO DEI CAMPI FLEGREI

Strabiliante la Falanghina 2006 “Vigna del Pino”, al pari del Piedirosso “Vigna delle volpi” 2015. Una prova di quanto il Per’e Palummo possa andare ben oltre il semplice vino d’annata, da “sbicchierare” senza troppi pensieri. Esattamente quello che rivela l’annata 2020 dell’autoctono, tra i migliori vini rossi di Campania Stories 2021.

Ho fatto sì che la manualità restasse protagonista tra le mie vigne – commenta il patron di Agnanum a WineMag.it – permettendo alla natura di abusare di me, che provo ad addomesticarla e condurla, per certi versi stravolgendola. Chi comanda è il suolo, il territorio. Per questo i terrazzamenti restano in piedi solo se curati quotidianamente».

Parole proferite mentre il fuoristrada sobbalza tra un costone e l’altro, muovendosi come una biglia in un circuito stretto, disegnato tra i filari. Le viti, tutt’attorno, paiono stese come panni a un filo invisibile, teso tra la Solfatara di Pozzuoli e il Lago di Agnano.

Anni fa, qualcuno propose a Raffaele Moccia di vendere tutti i terreni per realizzare delle palazzine. Disse no, pensando anche al futuro del figlio Gennaro, che ha già deciso di continuare l’opera del padre. Un’altra garanzia per i vecchi vigneti dei Campi Flegrei. Prosit.

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Il “Piccolo Champagne” fa infuriare i francesi: l’Ue blocca i tapas bar Champanillo

Stop dell’Ue ai Tapas bar Champanillo Barcelona, che in spagnolo significherebbe “Piccolo Champagne”. La Corte di giustizia europea ha vietato l’utilizzo di tale nome, costringendo la catena di locali della Catalogna a un cambio di rotta nel proprio marketing.

La sentenza è arrivata dopo il ricorso del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc), organismo per la tutela degli interessi dei produttori di Champagne. La grafica degli Champanillo, del resto, non lasciava spazio ad ulteriori interpretazioni: due coppe riempite di una bevanda spumeggiante, seppur di colore rosso.

LA SENTENZA UE FERMA I TAPAS BAR CHAMPANILLO

La diatriba è finita dalla magistratura iberica fino alla Corte di giustizia europea, chiamata a chiarire i confini del diritto dell’Unione in materia di protezione dei prodotti Dop. Il termine Champanillo, distorto da “Champagne”, era nello specifico utilizzato «in ambito commerciale, per designare non già prodotti ma servizi» dei locali di Barcellona, Calella, Cardedeu e Mollet.

Il regolamento comunitario protegge le Dop (Denominazioni di origine protetta) da condotte relative sia a prodotti che a servizi. Determinante per la sentenza l’utilizzo illegittimo di un termine, Champanillo, che induce i consumatori a pensare alla Dop Champagne.

Sempre secondo la Corte di giustizia Ue, «non è necessario che il prodotto protetto dalla denominazione e il prodotto o il servizio contestati siano identici o simili, poiché l’esistenza del nesso tra il falso e l’autentico può derivare anche dall’affinità fonetica e visiva».

STOP ALLO CHAMPANILLO: ESULTA COLDIRETTI

Lo stop al nome truffa fa esultare Coldiretti, in Italia. La confederazione parla di «sentenza storica per il nostro paese, leader europeo nelle denominazioni di origine con 316 Dop, Igp e Stg che sviluppano un valore della produzione di 16,9 miliardi di euro e un export da 9,5 miliardi di euro con il contributo di oltre 180 mila operatori».

Così il presidente Coldiretti, Ettore Prandini: «Il nostro patrimonio è sotto attacco del falso Made in Italy che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia, per alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale».

«Se è illegittimo usare un nome o un segno che evocano, anche storpiandolo, un prodotto a denominazione di origine – aggiunge Prandini – la sentenza della Corte Ue può essere applicata anche alle tante imitazioni di Dop italiane. A partire dal vino Prosecco, vittima negli ultimi anni di un fiorente mercato del tarocco realizzate proprio richiamandone il nome per assonanza, come Meer-secco, Kressecco, Semisecco, Consecco, Whitesecco e Crisecco».

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Migliori vini rossi a Campania Stories 2021: i 7 vini imperdibili

I vini rossi della Campania tra alti e bassi: strepitosi in alcune interpretazioni e da rivedere in altre, in bilico tra un uso eccessivo dei legni e poca “pulizia”. È il quadro che emerge dalla sessione di degustazione dei vini rossi campani a Campania Stories 2021.

La presentazione delle ultime annate delle principali denominazioni “rossiste” della regione è andata in scena il 31 agosto al Campus Principe di Napoli di Agerola (NA). Conferme più che sorprese, dunque, con la regione che si conferma più “ferrata” e qualitativamente costante nella produzione di vini bianchi (qui i migliori all’Anteprima Campania Stories 2021).

Nella selezione di WineMag.it, 38 dei 137 vini rossi campani degustati alla cieca. Tra questi sono 7 i vini imperdibili: il Campania Igp 2018 “Terra di Lavoro” di Galardi; l’Irpinia Aglianico Dop 2015 “Serpico” di Feudi di San Gregorio.

E ancora: l’Aglianico del Taburno Riserva Docg “Terra di Rivolta” 2017 di Fattoria La Rivolta; il Cilento Aglianico Dop “Cenito” 2018 di Luigi Maffini; il Paestum Aglianico Igp Bio “Donnaluna” 2018 di Viticoltori De Conciliis.

Molto interessante l’interpretazione del vitigno Casavecchia di Alois, con il Pontelatone Riserva Dop 2017 “Trebulanum”. Tra le annate meno recenti, brilla invece il Taurasi Riserva Docg 2009 di Perillo. Da sottolineare l’ottima prova “corale” dei Campi Flegrei con il vitigno Piedirosso, tra i simboli della Campania. Un argomento che sarà approfondito prossimamente su WineMag.it.

I MIGLIORI VINI ROSSI A CAMPANIA STORIES 2021

VINI ROSSI BASE AGLIANICO
IRPINIA
Irpinia – Docg Taurasi e Taurasi Riserva

Villa Raiano – Taurasi Docg 2016
Tenuta Cavalier Pepe – Taurasi Docg “Opera mia” 2015
Molettieri Salvatore – Taurasi Docg “Renonno” 2015
Delite – Taurasi Docg “Pentamerone” 2015
Feudi di San Gregorio – Taurasi Riserva Docg “Piano di Montevergine” 2015
Tenuta del Meriggio – Taurasi Riserva Docg “Colle dei Cerasi” 2015
Perillo – Taurasi Riserva Docg 2009

Dop Irpinia Campi Taurasini, Irpinia Aglianico, Irpinia Rosso; Igp Campania Aglianico

Ferrara Benito – Irpinia Aglianico Dop “Vigna Quattro confini” 2018
Canonico & Santoli – Irpinia Aglianico Dop “Hirpus” 2016
Feudi di San Gregorio – Irpinia Aglianico Dop “Serpico” 2015
Delite – Irpinia Campi Taurasini Dop “Nonna Seppa” 2015

SANNIO
Dop Aglianico del Taburno, Sannio Aglianico, Sannio Solopaca Classico; Igp Beneventano Rosso, Campania Aglianico

Cantina di Solopaca – Sannio Aglianico Dop Biologico “Armunìa Viticoltori San Martino” 2019
Fattoria La Rivolta – Aglianico del Taburno Docg 2017
Fontanavecchia – Aglianico del Taburno Docg 2017
(già Top 100 Migliori vini italiani 2022 – WineMag.it)
Fattoria La Rivolta – Aglianico del Taburno Riserva Docg “Terra di Rivolta” 2017
Cantine Tora – Aglianico del Taburno Rosso Dop 2016

Alto Casertano

Villa Matilde Avallone – Roccamonfrina Rosso Igp “Cecubo” 2015

Colli Salernitani-Picentini, Cilento; Dop Cilento Aglianico; Igp Colli di Salerno Aglianico, Paestum Aglianico, Campania Aglianico

Azienda Agricola Cicalese Rossella – Campania Igp “Evoli” 2019
Viticoltori Lenza – Colli di Salerno Igp “Massaro” 2018
(già Top 100 Migliori vini italiani 2022 – WineMag.it)
Luigi Maffini – Cilento Aglianico Dop “Cenito” 2018
Viticoltori De Conciliis – Paestum Aglianico Igp Bio “Donnaluna” 2018
Lunarossa – Colli di Salerno Aglianico Igp “Borgomastro” 2016
San Salvatore 1988 – Paestum Aglianico Igp “Omaggio a Gillo Dorfles” 2016

VINI ROSSI A BASE PIEDIROSSO
Dop Sannio Piedirosso, Campi Flegrei Piedirosso; Igp Pompeiano Rosso; Vesuvio Piedirosso, Igp Campania Piedirosso

Az. Agricola Mario Portolano – Campi Flegrei Piedirosso Dop 2020
Agnanum – Campi Flegrei Piedirosso Dop Agnanum Piedirosso 2020
Cantine del Mare – Campi Flegrei Piedirosso Dop “Terrazze Romane” 2019
Casa Setaro – Vesuvio Piedirosso Dop “Fuocoallegro” 2019
Contrada Salandra – Campi Flegrei Piedirosso Dop 2017
Ocone – Sannio Taburno Piedirosso Dop “Calidonio” 2015

VINI ROSSI COSTA D’AMALFI
Dop Costa d’Amalfi Furore, Costa d’Amalfi Ravello, Costa d’Amalfi Tramonti; Igp Campania Rosso

Marisa Cuomo – Costa d’Amalfi Furore Rosso Riserva Dop 2017
(già Top 100 Migliori vini italiani 2022 – WineMag.it)
Marisa Cuomo – Costa d’Amalfi Ravello Rosso Riserva Dop 2017
(già Top 100 Migliori vini italiani 2022 – WineMag.it)
Tenuta San Francesco – Costa d’Amalfi Tramonti Rosso Riserva Dop “Quattro Spine” 2016

VINI ROSSI VESUVIO
Dop Vesuvio Lacryma Christi Rosso; Igp Campania Aglianico

Casa Setaro – Lacryma Christi del Vesuvio Riserva Dop “Don Vincenzo” 2017

VINI ROSSI A BASE CASAVECCHIA
Dop Casavecchia di Pontelatone Riserva

Alois – Casavecchia di Pontelatone Riserva Dop “Trebulanum” 2017

VINI ROSSI A BASE PALLAGRELLO NERO
Igp Terre del Volturno Pallagrello Nero

Il Casolare Divino di Manuela De Luca – Terre del Volturno Pallagrello Nero Igp “Tralice” 2018

ROSSI MONOVARIETALI E BLEND MISTI
Dop Sannio Barbera; Igp Campania Aglianico, Campania Rosso, Paestum Rosso, Paestum Primitivo, Colli di Salerno Rosso

Galardi – Campania Igp “Terra di Lavoro” 2018
Petra Marzia – Campania Rosso Igp “Petra Marzia” 2018
Alessandra Srl Società agricola – Paestum Primitivo Igp “Catacatascia” 2018
Montevetrano – Colli di Salerno Rosso Igp “Montevetrano” 2018

IL FOCUS SUL PIEDIROSSO

Campania Stories 2021, è l’anno del Piedirosso. Per’e Palummo nuovo asso dei produttori campani

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Food Lifestyle & Travel

Ristorante Il Baslà: sui Navigli di Milano si mangia dalla “padella”, come a casa

Cinque amici, tutti appassionati di cucina, si trovano per una cena insieme. Ai fornelli lo chef Andrea Votino, che mette in tavola – inconsapevolmente – l’idea che oggi sta alla base de Il Baslà, il nuovo ristorante di via Casale 5, in zona Navigli a Milano. Votino serve gli amici le varie portate nella tipica “ciotola” milanese, nota anche col nome di “Baslott”, da cui deriva il nome al locale.

Accanto allo chef, esperto in aperture di locali del ramo food; ci sono Caterina Serio, esperta in eventi culinari, Nicola Serio, imprenditore dell’hotellerie, Riccardo Margiotta, esperto di marketing, Matteo Dolce, giovane universitario appassionato di ristorazione ed Emanuela Di Rella, manager della Grande distribuzione organizzata (Gdo).

LA CUCINA CASERECCIA È… “DI CASA” AL BASLÀ

L’offerta ruota attorno al concetto di cucina casereccia, con un tocco originale. Il macellaio segue direttamente tutte le preparazioni e si occupa personalmente della scelta e dei tagli delle carni. Il “bartender alchimista” è dedito a creare nuovi cocktail che accompagnino tutte le proposte. E l’immancabile oste accoglie a Il Baslà come fosse il proprio salotto di casa.

Un format che i cinque amici e neo soci definiscono «divertente e dedicato alla carne, per tornare alla Milano da bere». Da qui la selezione di oltre 75 gin, una quarantina di rum e una trentina tra tequila, mescal e vermouth.

UN NUOVO RISTORANTE CULT PER LA CARNE A MILANO

Particolare attenzione è riservata alla preparazione della carne, principalmente con cottura Cbt a bassa temperatura. Solo capi allevati all’aperto da piccole aziende italiane ed estere. Frollatura di oltre 45 giorni per la costata e pezzature importanti, da oltre 1 kg, per la fiorentina, marinate per oltre 24 ore in un misto di spezie dalla ricetta segreta.

Il filetto viene selezionato da pezzature di oltre 5 chili. La porchetta e la bresaola vengono realizzate rigorosamente in casa. La punta di manzo Bbq brisket viene affumicata in loco. La battuta di Fassona al coltello è servita in modalità creativa, a cheesecake. Tutto rigorosamente servito nei Baslà.

SPAZIO ALL’APERITIVO MILANESE NEL DEHORS

Ad accogliere gli ospiti, un ampio dehors che guarda sulla movida di via Casale, con divanetti e lounge per l’aperitivo e tavolini apparecchiati per la cena, tra piante e filari di luci. Dall’esterno si scorge l’ampia bottigliera, il bancone retroilluminato e le mattonelle realizzate e dipinte a mano. Con le loro forme sinuose, richiamano il concetto de Il Baslà, con un sofisticato gioco bianco e nero.

All’interno il muro in mattoncini a vista lascia il posto alla carta da parati dai colori blu, arancione e giallo. Due grandi salette possono diventare dei privée, in uno stile caldo che ricorda l’inclusività del salotto di casa. Anche qui, divertenti padelline e baslott appese come lampade: una scelta dell’architetto Nadia Martelli.

IL BRUNCH DE IL BASLÀ

Anche se il Brunch non deriva dalla cultura e dalla tradizione italiana, Il Baslà non rinuncia all’idea del pranzo domenicale rivisitato. Sarà così servito ogni domenica un tris di pancake a scelta. Tra le portate principali, il club sandwich creativo, tris di hamburger con patate crispers, il bruschettone (la bruschetta ai cereali) con uovo all’occhio di bue o l’uovo alla Benedict e dolce (25 euro).

I NAVIGLI DI MILANO E I NUOVI COCKTAIL DE IL BASLÀ

Tra i cocktail signature tanti nomi divertenti, realizzati dall’alchimista del Baslà: sono Runway Bride (Portobello gin, uva rossa, limone, lime e fiore di sambuco) e Speedy Gonzales (affascinante mix di tequila Esplon, mexcal, succo di mela, sciroppo piccante, lime e crusta di zucchero), per i viaggiatori si consiglia Trip to Peru (Pisco, Aperol, limone, miele, angostura e albume).

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

Vini bianchi Campania Stories 2021: i migliori 40 e i tre vini imperdibili

I vini bianchi della Campania si confermano a livelli medio-alti in occasione della sessione di degustazione di Campania Stories 2021. La presentazione delle ultime annate delle principali denominazioni “bianchiste” della regione è andata in scena il 31 agosto.

Teatro dell’evento il Campus Principe di Napoli di Agerola (NA), affacciato sul mare tra Positano e Amalfi. Nella selezione di WineMag.it, 40 dei 158 vini bianchi campani degustati alla cieca.

In particolare sono tre i vini imperdibili: il Greco di Tufo Riserva Dop 2008 “Vittorio” della cantina Di Meo; la Falanghina dei Campi Flegrei Dop 2020 di Agnanum; il Costa d’Amalfi Ravello Bianco Dop 2020 Vigna Grotta Piana di Ettore Sammarco.

I MIGLIORI VINI BIANCHI A CAMPANIA STORIES 2021

BIANCHI VESUVIO
Dop Vesuvio Lacryma Christi del Vesuvio Bianco, Vesuvio Caprettone
Igp Pompeiano Bianco, Falanghina Campania

Casa Setaro – Vesuvio Caprettone Dop Aryete 2019
Sorrentino – Vesuvio Caprettone Dop Benita ’31 2020

BIANCHI COSTIERA AMALFITANA
Dop Costa d’Amalfi Bianco

Ettore Sammarco – Costa d’Amalfi Ravello Bianco Dop Selva delle Monache 2020
Ettore Sammarco – Costa d’Amalfi Ravello Bianco Dop Vigna Grotta Piana 2020
Marisa Cuomo – Costa d’Amalfi Furore Bianco Dop Fiorduva 2019

BIANCHI A BASE PALLAGRELLO BIANCO
Igp Terre del Volturno Pallagrello Bianco

Alois – Terre del Volturno Pallagrello Bianco Igp Caiatì 2020
Alois – Terre del Volturno Pallagrello Bianco Igp Morrone 2019

BIANCHI A BASE FALANGHINA
Dop Falanghina del Sannio, Igp Falanghina Beneventano, Campania Falanghina

Di Meo – Campania Falanghina Igp 2020
La Guardiense – Falanghina del Sannio Dop Anima Lavica 2020
Mustilli – Falanghina del Sannio Sant’Agata dei Goti Dop Vigna Segreta 2019
Cantine Tora – Falanghina del Sannio Dop Kissos 2016
Fontanavecchia – Falanghina del Sannio Taburno Dop – Vendemmia Tardiva Libero 2015
(già Top 100 Migliori vini italiani 2022 – WineMag.it)

Irpinia Dop Falanghina, Igp Campania Falanghina

Antico Castello – Irpinia Falanghina Dop Demetra 2020

Cilento – Igp Campania Falanghina, Colli di Salerno Bianco

Viticoltori Lenza – Colli di Salerno Bianco Igp Ida 2020
(già Top 100 Migliori vini italiani 2022 – WineMag.it)

Campi Flegrei – Dop Campi Flegrei Falanghina; Igp Campania Falanghina

Agnanum – Campi Flegrei Falanghina Dop Agnanum 2019
Astroni Campania Falanghina Igp Strione 2015

BIANCHI A BASE FIANO

Sannio – Dop Sannio Fiano
Monserrato 1973 – Sannio Fiano Dop Fiano Monserrato 1973 2020
Terre stregate – Sannio Fiano Dop Genius Loci 2020

Cilento, Colli di Salerno – Dop Cilento; Igp Paestum, Colli di Salerno, Campania

Azienda Agricola Casebianche – Cilento Fiano Dop Cumalè 2020
Tenuta Macellaro – Colli di Salerno Bianco Igp Ripaudo 2019
Tempa di Zoè – Paestum Fiano Igp Xa 2019
San Salvatore 1988 – Paestum Fiano Igp Pian di Stio Extreme Bio 2019
Lunarossa – Colli di Salerno Fiano Igp Quartara 2018

Irpinia – Dop Fiano di Avellino; Igp Campania Fiano

Passo delle Tortore – Fiano di Avellino Dop Bacio delle Tortore 2020
Tenuta del Meriggio – Fiano di Avellino Dop Fiano di Avellino 2020
Feudi di San Gregorio – Fiano di Avellino Dop Pietracalda 2020
Di Meo –  Fiano di Avellino Dop 2020
Traerte – Fiano di Avellino Dop 2020
Molettieri Salvatore – Fiano di Avellino Dop 2019
Tenuta Sarno 1860 – Fiano di Avellino Dop “Sarno 1860” 2018
Vigne Guadagno – Fiano di Avellino Dop Contrada Sant’Aniello 2016

BIANCHI CAMPANI A BASE GRECO
Sannio e Cilento – Dop Sannio Greco, Igp Paestum Greco

Fattoria La Rivolta – Sannio Taburno Greco Dop 2020
Terre Stregate – Sannio Greco Dop Aurora 2020
San Salvatore 1988 – Paestum Greco Igp Bio Colpazio 2020

Irpinia – Dop Greco di Tufo, Irpinia Greco e Igp Campania Greco

Di Meo – Greco di Tufo Dop 2020
Colli di Lapio – Greco di Tufo Dop Alexandros 2020
Passo delle Tortore – Greco di Tufo Dop Le Arcaie 2020
Petilia – Greco di Tufo Dop 4 20 QuattroVenti 2017
Di Meo – Greco di Tufo Riserva Dop Vittorio 2008

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degustati da noi Esteri - News & Wine news news ed eventi vini#02

Millésimes Alsace DigiTasting 2021: degustazione e punteggi a 76 vini dell’Alsazia

Alle prese come il resto del mondo con l’emergenza Covid-19, l’Alsazia ha organizzato a inizio giugno Millésimes Alsace DigiTasting® 2021, il primo salone online concepito da un’organizzazione interprofessionale. Protagonisti 100 vignaioli dell’Alsazia, che hanno presentato online i loro vini. Il successo è stato immediato.

Nel giro di una settimana dall’apertura dei “cancelli” – o, meglio, del “portale” web – si sono accreditati oltre 900 professionisti. La cifra è salita sino a 3.750, frantumando il record di partecipanti all’edizione fisica del 2018. Il 70% degli aderenti a Millésimes Alsace DigiTasting® 2021 ha avanzato la propria richiesta di partecipazione dall’estero, dunque non dalla Francia.

Cinquantacinque i Paesi rappresentati, a riprova di quanto l’Alsazia continui a suscitare l’interesse di stampa, buyer, ristoratori e operatori internazionali. Tra i primi cinque mercati di esportazione figurano non a caso Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Taiwan e Canada. Tutti Paesi presenti in maniera massiccia all’evento dei vini dell’Alsazia di giugno.

Confermata anche l’attenzione crescente dell’Est Europa, nonché quella di piazze esotiche come Perù, India, Nepal e Paraguay. Una portata globale per un progetto concepito al 100% in Alsazia, sostenuto da tutto il comparto sotto la guida del Civa, il Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace.

Millésimes Alsace Digitasting® ha mobilitato partner al 100% alsaziani, tutti situati in un raggio di 75 chilometri dal centro di progettazione. La logistica e il trasporto sono stati gestiti dai partner di Molsheim e Colmar. Il design digitale da un’azienda di Strasburgo.

L’imbottigliamento da un’azienda specializzata situata nel Bas-Rhin, mentre il design fotografico è stato affidato a un laboratorio di Soultzmatt. Video assegnati a un’agenzia di Sainte-Croix-aux-Mines e cofanetti con i “mignon” per la degustazione a un’azienda di Colmar. Infine, dirette da Ingersheim con relatori situati in tutto il mondo.

I VINI DELL’ALSAZIA AL CENTRO DELLA SCENA MONDIALE

«Anche se questa fiera è stata un grande successo – commenta Didier Pettermann, presidente del Civa – rimane solo una delle tante azioni che il Conseil Interprofessionnel mette in atto. Il nostro rinnovamento non è iniziato con Millésimes Alsace Digitasting®, ma con questa mostra è stato ulteriormente amplificato, con una grandezza impressionante».

Da diversi anni, la reinvenzione dell’Alsazia è stata grande, e questa iniziativa è un ulteriore passo per dire al mondo intero che l’Alsazia è tornata! Ma se guardiamo le cifre, vediamo che i visitatori francesi erano meno presenti. La relativa moderazione del pubblico francese è forse l’unica riserva, ma siamo convinti che cambieranno rapidamente la loro visione di ciò che l’Alsazia è capace di fare!».

“Il risultato – aggiunge un soddisfatto Philippe Bouvet, direttore marketing del Civa – è al di sopra delle nostre aspettative! Fin dall’inizio, avevamo concepito questo evento come qualcosa di più di una semplice fiera. Volevamo rimettere l’Alsazia al centro della scena mondiale del vino». Il feedback degli espositori e dei visitatori? «Estremamente positivo», fa sapere l’interprofessione. Tanto da pensare già a una seconda edizione.

Per il direttore della Civas, Gilles Neusch: «Il bisogno di incontrarsi faccia a faccia rimane forte. Per il momento, molti incontri avviati dalla piattaforma continuano a svolgersi. Non stiamo fermando nulla in questa fase. Vista la portata di questa iniziativa, analizzeremo cosa avremmo potuto fare meglio. E cosa potremmo fare ancora meglio in futuro!».

Tra campioni degustati da WineMag.it, il livello dei 76 vini dell’Alsazia ricevuti in occasione dell’evento digitale 2021 si è confermato altissimo. Ecco dunque le note di degustazione alla cieca, con i relativi punteggi in centesimi.

MILLESIMES ALSACE DIGITASTING® 2021: DEGUSTAZIONE E PUNTEGGI DI WINEMAG.IT

Domaine Bott Freres

VINO GRAND CRU ANNATA VITIGNO LINEA NOTE PUNTI
AOC Alsace 2018 Riesling Réserve personnelle Giallo paglierino intenso, luminoso. Sorso asciutto, teso, a cui manca però un po’ di polpa. 87
AOC Alsace Grand Cru Geisberg 2017 Riesling Giallo paglierino, riflessi dorati. Vino interamente giocato, naso-bocca, su note di mela e agrumi, sul filo di una bella vena minerale, gessosa. 89
AOC Alsace 2019 Muscat Tradition Giallo paglierino. Abbina alle note fruttate tropicali mature una buona componente fresco-agrumata, oltre a ricordi di salvia. Palato teso sulla freschezza, con bei ritorni di frutta tropicale. Pregevole allungo, fresco-sapido. 89
AOC Alsace 2017 Gewürztraminer Réserve personnelle Giallo dorato. A un naso piuttosto asciutto, risponde una bocca ampia, sul frutto tropicale e sui primari tipici del vitigno. Beva agile, fresca, ma in favore della morbidezza. 87

Alsace Frey-Sohler

AOC Alsace 2017 Riesling Rittersberg Giallo paglierino intenso. Naso che impiega un po’ a rivelarsi nella sua interezza, che comprende anche venature ossidative. Sotto scalpita un bel frutto maturo, tropicale. Corrispondente al palato, di buona pienezza. Finale gessoso, asciutto. Bella persistenza. 90
AOC Alsace 2018 Riesling Scherwiller Giallo paglierino. Esotico, pasta di mandorle e bella mineralità gessosa al naso. Sorso asciutto, corrispondente. Chiude su ricordi netti di limone, freschissimo e sapido. Vino gastronomico e al contempo “glou glou”. 91
AOC Alsace 2019 Pinot Noir Fleur de Granit® Rubino,alla vista. Piccoli frutti di bosco e ciliegia al naso. In bocca buona croccantezza. Chiude su ricordi di spezie dolci, leggera tostatura e vaghi di brace 87
AOC Alsace Grand Cru Frankstein 2015 Gewürztraminer Giallo dorato. Un Gewürz in punta di piedi rispetto agli altri in degustazione a Millésimes Alsace DigiTasting 2021. Meno opulento. Tanto agrume, alcol molto integrato, note balsamiche e fresche al naso. In bocca invece mostra quanto ancora può dare nel medio periodo. Ritorni di litchi, pesca gialla, mandarino maturo, erbe fresche. Persistenza infinita. 93

Pierre Frick

AOC Alsace 2017 Riesling Rot Murlé Giallo dorato, velato. Al naso frutta esotica matura, arancia candita, parte erbacea di erba appena sfalciata, fiori secchi. Bella presenza al palato, parte tannica da “macerato”, mineralità. Chiude sugli agrumi, con eleganza. 91
AOC Alsace Grand Cru Vorbourg 2018 Riesling Giallo paglierino intenso, riflessi dorati. Naso complesso, da “vino di montagna”: anice, finocchietto, verbena, mentuccia, ma anche risvolti mediterranei (origano, timo, maggiorana,  un tocco freschissimo di salvia). Agrume candito. Al palato una gran presenza: frutto pieno, oleoso, eppure freschissimo. Pasta di mandorle, agrumi. Un nettare molto complesso, al contempo affilato e largo. Persistenza infinita. 93
AOC Alsace 2019 Pinot Noir Strangenberg Rosso granato, leggermente velato. Naso che spazia dal frutto di bosco croccante all’arancia sanguinella. Sono i tratti ematici, ferrosi, quelli che prendono il sopravvento. Fiori di viola, rosa appassita. Al palato corrispondente, su venature vagamente ossidative. 90
AOC Alsace Grand Cru Eichberg 2017 Gewürztraminer Giallo dorato. Al naso note di agrume candito, pesca matura, litchi. Corrispondente al palato, teso, su agrumi, pesca gialla e pregevoli note di erbe aromatiche. Gastronomico. 92

Domaine Albert Hertz

AOC Alsace Grand Cru Eichberg 2019 Riesling Altengarten 13,5% Giallo paglierino luminoso. Al naso ricordi netti di pera Williams matura. Note gassose elevate dall’alcol. In bocca una bella presenza, sul frutto pieno, ben controbilanciato dalla freschezza. Ottima persistenza. 90
AOC Alsace Grand Cru Pfersigberg 2016 Riesling Sundel 13,5% Giallo dorato. Mela gialla, buccia di agrume, lime, umami. Poi mentuccia, verbena. In bocca gran freschezza e una certa stratificazione, dalla frutta ai sentori più evoluti. Vino Asciutto, gastronomico. 91 +
AOC Alsace 2018 Gewürztraminer Vieilles Vignes 13,5% Giallo dorato, luminoso. Naso curiosissimo, che spazia dai sentori tipici del vitigno a richiami di spezie orientali dolci, come il curry. In bocca ampio, sorso fruttato pieno, al contempo molto fresco, quasi balsamico, su ritorni di eucalipto. Finale di ottima persistenza. 91

Kuehn Vins & Cremant D’Alsace

AOC Alsace Grand Cru Kaefferkopf 2019 Riesling Giallo paglierino luminoso. Naso intenso, su note per certi versi aromatiche, ricordi di litchi, papaya, ananas, melone. In bocca grande spazio al melone, intenso. Residuo zuccherino integrato. Chiusura asciutta. 87
AOC Alsace Grand Cru Florimont 2017 Riesling Giallo paglierino, riflessi dorati. Mela, mentuccia, venature speziate (chiodo di garofano, cannella) e mela leggermente ossidata. Perfetta corrispondenza gusto olfattiva. Persistenza sufficiente. 86
AOC Alsace 2019 Pinot Blanc Giallo paglierino. Pompelmo rosa, albicocca, banana, pesca gialla. In bocca abbina una buona morbidezza a una freschezza riequilibrante. Vino dalla beva agile. Gastronomico. 85
AOC Alsace Grand Cru Kaefferkopf 2018 Assemblage Giallo dorato. Naso ampio, che spazia dalla frutta tropicale a tinte balsamiche, fresche. Corrispondente al palato, largo sul residuo zuccherino, ma piuttosto fresco. 88

Domaine Schoffit

AOC Alsace 2019 Riesling Hart Giallo paglierino luminoso. Naso di zolfo, vulcanico. Agrume rosso e giallo. In bocca molto ben giocato tra ampiezza del frutto, croccante e maturo, e verticialità iodico-minerale. Ottima persistenza e freschezza. Vino di prospettiva assoluta. 91
AOC Alsace Grand Cru Rangen 2019 Riesling Clos Saint – Théobald Giallo paglierino luminoso. Naso con prevalenza di agrumi, curiose note di tostatura, mais, crosta di pane. Frutta esotica. Palato affilato, asciutto, mineralità che fa il paio con una freschezza affilata. Palato sulle durezze, eppure equilibrato. Finale di buona persistenza. 92
AOC Alsace 2019 Chasselas Vieilles Vignes Giallo paglierino luminoso. Bell’agrume, pesca gialla, melone bianco. Al palato buona corrispondenza, ritorni di melone bianco, susina. Buona freschezza, riequilibrante. 89
AOC Alsace Rangen 2017 Pinot Gris Clos Saint – Théobald Giallo paglierino luminoso, intenso. Naso che abbina il frutto tipico e una certa profondità, quasi balsamica. Accento mielato. Elegante al palato, sorso fresco e fruttato, sulle tinte esotiche già avvertite al naso. Residuo ben integrato. 91

Domaine Wach

AOC Alsace Grand Cru Kastelberg 2016 Riesling Giallo che inizia a dorare. Naso ampio, su una frutta fresca sbalorditiva, ad accompagnare note di pietra bagnata: pompelmo, lime, pesca gialla e albicocca matura. Poi erbe di montagna, mentuccia, eucalipto e liquirizia dolce. In bocca ancora fresco, teso, pieno, minerale. Chiude asciutto, finissimo ed elegante. 93+
AOC Alsace 2019 Riesling Pflanzer – Andlau Giallo paglierino. Lime, pesca, mandarino si riverberano tra naso e palato, regalando una beva agilissima. 88
AOC Alsace 2019 Sylvaner Duttenberg Giallo paglierino tenue, luminoso. Buccia d’arancia, lime, al naso. Teso in ingresso di palato, si allarga sul frutto maturo in chiusura. 89
AOC Alsace 2018 Riesling Coeur de glace Giallo paglierino riflessi dorati. Naso ampio, su agrumi, pesca, ananas, papaia, un tocco di litchi. Al palato residuo altrettanto ampio, su note corrispondenti. Equilibrato. 88

Domaine Zind-Humbrecht

AOC Alsace Grand Cru Rangen 2018 Riesling Clos Saint Urbain Giallo dorato. Buccia d’agrume, mineralità spinta. In bocca splendido, pieno, sul frutto perfettamente maturo e sulla mineralità. Persistenza da campione. Sapido, teso, giovanissimo. Chiude così come apre al naso, su un’elegantissima buccia di lime. Persistenza da vendere. 94
AOC Alsace 2018 Riesling Roche granitique Giallo paglierino intenso, luminoso. Naso su crema pasticcera, limone, agrumi, mineralità “granitica”, per l’appunto, asciutta, vulcanica. In bocca è pieno, largo sulla frutta tropicale e stretto su mineralità e freschezza affilata. Vino giovanissimo, che conferma comunque una certa cremosità anche al palato 93
AOC Alsace 2017 Pinot Gris Rotenberg Giallo paglierino dorato. Gran precisione del frutto tropicale e dell’agrume, conferma la cremosità della linea di vini di Domaine Zind-Humbrecht. Perfetta corrispondenza naso-bocca, asciutta, altrettanto cremosa. 92
AOC Alsace 2017 Pinot Gris Heimbourg Giallo dorato. La componente agrumata più “esplosa” della batteria. Si conferma vino teso anche al palato, elettrico e fresco. Chiude piuttosto sapido e ancor più balsamico, su ritorni di mentuccia e agrumi. 93

Allimant-Laugner

AOC Alsace Grand Cru Praelatenberg 2018 Riesling Giallo paglierino. Pera Williams croccante, pesca e albicocca, litchi. Bella vena minerale sussurrata, gessosa. In bocca è decisamente giovane: susina bianca, pesca, buona freschezza. Chiude asciutto, leggermente amaricante. 90
AOC Alsace Grand Cru Praelatenberg 2017 Riesling Giallo paglierino luminoso. Naso elegantissimo, fresco e minerale, a metà tra la pietra bagnata e l’idrocarburo, appena accennato. Sotto c’è un frutto pieno, perfettamente maturo, grondante di succo. Mentuccia e agrume completano un quadro già di per sé stratificato. In bocca si conferma elegante, affilato ma largo il giusto. Lunga persistenza, su ritorni di agrumi. Gran gastronomicità. 92
AOC Alsace Grand Cru Praelatenberg 2008 Riesling Giallo dorato. Grande spazio alla componente vegetale fresca: anice, finocchietto, verbena, agrume rosso e giallo (più bergamotto che limone) grondante di succo e, al contempo, buccia, pesca, tropicale. In bocca freschissimo, corrispondente sulle note avvertite al naso. In chiusura abbina agrume ed erbe, sale e pesca. Vino che non dimostra certo gli anni che ha. E ha ancora molto da dare. 95
AOC Alsace Grand Cru Praelatenberg 2018 Gewürztraminer Giallo dorato. Naso profondo, ricordi di anice stellato sul frutto tropicale e sull’agrume. Ampio residuo, freschezza che lo tiene perfettamente a bada. Ritorni di agrumi, pesca gialla, ananas, litchi, papaya nel finale, altrettanto fresco. Vino giovanissimo. 92 +

Domaine Charles Baur

AOC Alsace 2018 Riesling Cuvée Charles Giallo paglierino. Bell’agrume elegante al naso, componente minerale altrettanto elegante. In bocca asciutto, teso, di prospettiva. Bel frutto tropicale corrispondente al naso. Buona persistenza 89
AOC Alsace Grand Cru Brand 2017 Riesling Giallo paglierino luminoso. Naso da “vino di montagna”, teso, erbette fresche, mentuccia, agrumi. Al palato corrispondente, pieno, frutto maturo, agrume maturo. Un po’ monocorde sul residuo, al momento. Estremamente giovane, si farà. 91
AOC Alsace 2018 Pinot Gris Giallo paglierino. Naso elegante, tra agrumi maturi e tropicale. Al palato conferma l’eleganza delle note fruttate. Un vino giocato su precisione e pulizia del frutto, fresco e dalla gran beva. Ottima la persistenza. 90
AOC Alsace Eichberg 2016 Pinot Gris Agli antipodi rispetto all’altro cru di Pinot Grigio. Giallo paglierino, naso sul frutto tropicale di perfetta maturità. Al palato freschissimo, con note balsamiche (eucalipto, menta) che riequilibrano la morbidezza esotica. Beva irresistibile, gran freschezza. Persistenza da campione, su tinte vagamente agrumate. 93

Domaine Fernand Engel

AOC Alsace 2017 Riesling Silberberg Giallo paglierino intenso, che inizia a dorare. Naso su agrumi, dal succo alla scorza. Venature iodate. Accenni di mentuccia, erba sfalciata. Bocca corrispondente, alcol integratissimo. Bella pienezza nel finale, su ritorni di frutta esotica e mineralità. 90
AOC Alsace Grand Cru Praelatenberg 2018 Riesling Giallo paglierino intenso, riflessi dorati. Naso che si apre col tempo, regalando un esotico tropicale spinto, elegante. Tanto floreale, da pot pourri. Minerale. Palato in cui la parte glicerico-alcolica è ben controbilanciata dalla freschezza. Finale lungo. Vino giovanissimo. 92
AOC Alsace 2019 Pinot Gris Renaissance Giallo paglierino. Naso bocca corrispondenti, frutta esotica, tocco di pera. Buona freschezza, sapidità, alcol che controbilancia le durezze. Vino che conferma l’eleganza dell’intera linea. 90
AOC Alsace 2018 Pinot Noir Meyerhof Rosso rubino. Ha bisogno di ossigeno per aprirsi bene. Al naso libera sentori di frutti di bosco in confettura che trovano conferma al palato. Tannino di prospettiva per un vino strutturato, gastronomico, ancora giovane e in evidente fase crescente. 92

Domaine Charles Frey

AOC Alsace 2019 Riesling Granite Giallo paglierino luminoso. Naso citrico subito confermato dall’ingresso di bocca, agrumato, teso, asciutto. Bel frutto maturo, sotto, che “spinge”. Ottima persistenza per un vino verticale che abbina frutto e mineralità. 90
AOC Alsace Grand Cru Frankstein 2018 Riesling Giallo paglierino luminoso. Bel naso ampio, frutta matura precisa, pietra bagnata. In bocca agrumi e freschezza da vendere, unita alla conferma di una mineralità spiccata. Chiude asciutto, su note di agrume e mandorla amara. Buona persistenza. 91
AOC Alsace 2017 Assemblage Frauenberg Giallo paglierino intenso. Vena ossidativa da mela, frutta secca, pesca gialla e albicocca. Sorprendente la venatura che richiama il caramello salato. Ottima la corrispondenza naso-bocca, che allunga sulla frutta fresca e chiude su ritorni terziarizzati. Il tutto sul fil-rouge di una mineralità gessoso-granitica. 92

Famille Hauller – La Cave Du Tonnelier

AOP Alsace Grand Cru Winzenberg 2019 Riesling Giallo paglierino luminoso. Al naso benzene per la parte minerale; banana e sfumature esotiche per quella fruttata. In bocca agrume, limone, lime. Vino molto giovane. Chiude sulla mandorla amara. 89
AOP Alsace Grand Cru Frankstein 2018 Riesling Giallo paglierino. Naso più pieno, ricordi di frutta esotica molto matura, ma anche di frutta secca. Mineralità da pietra bagnata. Agrumi. In bocca asciutto, vena leggermente ossidativa, buona freschezza e ritorni equilibrati di frutta matura. Buona persistenza 88
AOP Alsace 2018 Riesling Vieilles Vignes – Héritage Giallo paglierino. Naso bocca su agrumi e tropicale, buona freschezza, riequilibrante. Una buona versione quotidiana. 87
AOP Alsace 2017 Pinot Noir F – Signature Rosso rubino. Bel naso, elegante, frutti rossi croccanti, rossi. Gran freschezza al palato, ritorni di frutti di bosco e di sanguinella, che conferisce una buona freschezza e denota, al contempo, la gioventù del nettare. 90

Domaine Scheidecker et Fils

AOC Alsace 2018 Riesling Bouxreben Giallo paglierino luminoso. Vino lineare, tipico, minerale e fruttato, equilibrato. Persistenza sufficiente. Agile la beva. 87
AOC Alsace Grand Cru Mandelberg 2019 Riesling Giallo paglierino luminoso. Frutta esotica matura, ananas, tocco di litchi, pesca gialla, sasso bagnato sullo sfondo. In bocca acidità affilata, dunque gran freschezza. Bel ritorno di frutta matura a controbilanciare. 91
AOC Alsace 2018 Pinot Noir Rouge d’Alsace Rosso rubino. Frutti di bosco, più neri che rossi, mora di rovo e bel floreale di viola ad accompagnare la spezia nera. In bocca una buona scorrevolezza, su sottofondo fresco e leggermente sapido. Altro vino di prospettiva. 88
AOC Alsace 2018 Pinot Gris Réserve Giallo paglierino. Naso ampio, tipico, sulla frutta tropicale matura. Palato corrispondente, molto largo sul frutto. Buona persistenza. 88

Domaine Trapet Alsace

AOC Alsace Grand Cru Schoenenbourg 2014 Riesling Giallo paglierino. Agrume ma anche una parte aromatica di frutta, pienamente matura. Susina bianca, dragoncello (fresco, aromatico), mentuccia. In bocca conferma un frutto molto maturo, stratificazione ottima e un’estrema gioventù. Vino di assoluta prospettiva. 93
AOC Alsace 2018 Riesling Riquewihr – Rqwr Giallo paglierino. Zolfo, pietra bagnata, agrume, mandarino, pesca gialla. Bella corrispondenza naso bocca e conferma del gran lavoro del vignaiolo sulla produzione di vini di gran pienezza ed eleganza, specie nella componente fruttata. 91
AOC Alsace 2019 Assemblage A Minima Giallo paglierino. Naso che si divide tra agrume e frutti a polpa bianca, come la pesca. In bocca asciutto e fresco, bella chiusura sulla mineralità. 89
AOC Alsace 2018 Pinot Noir Chapelle 1441 Rosso rubino. Naso pieno, ricco, frutta matura, di bosco e d’amarena. Corrispondente al palato,  buona cremosità. Profilo generale ancora giovane. Buona prospettiva. 90

Willm

AOC Alsace 2018 Riesling Château Ittenwiller Giallo paglierino intenso, riflessi dorati. Naso e bocca corrispondenti su mineralità gessosa, buon apporto glicerico della componente fruttata, a conferire equilibrio e larghezza al sorso. Chiusura asciutta. 87
AOC Alsace Grand Cru Kirchberg de Barr 2017 Riesling Giallo paglierino. Naso su agrumi e minerale, tra la pietra bagnata e il gesso. Poi freschi ricordi di talco e mentuccia. Vino snello per la parte agrumata e profondo per queste note erbacee “montane”. In bocca tutta la sua dirompente gioventù agrumata, ben sostenuta dalla mineralità. 91 +
AOC Alsace 2020 Riesling Bio Giallo paglierino. Naso di mela verde, susina bianca, matura. Corrispondente al palato, fresco e agrumato. Buona persistenza. 88
AOC Alsace 2018 Pinot Noir Cuvée Emile Willm Bio Rosso rubino. Naso croccante, sui frutti di bosco, con preponderanza dei frutti rossi sui neri. Sorso corrispondente. Buona presenza, gastronomicità, prospettiva. 89

Domaine Scherb Bernard & Fils

AOC Alsace 2018 Riesling Zéro Sulfites Giallo paglierino. Naso complesso, spazia dalla frutta matura a polpa gialla all’agrume, dalla vena minerale di pietra bagnata e gessosa a note vegetali fresche di mentuccia. In bocca è verticale, teso, di prospettiva. 89
AOC Alsace 2018 Riesling Sélection – Magnum Giallo paglierino. Gran bel frutto naso-bocca. Bella citricità, teso, ritorni in retro olfattivo di frutto pienamente maturo. Gastronomico. 89
AOC Alsace 2019 Pinot Gris Zéro Sulfites Giallo tendente al dorato. Ricordi di mela e pera ossidate, corrispondenti al palato. Tocchi di agrumi e mineralità. 88
AOC Alsace 2018 Gewürztraminer Zéro Sulfites Giallo paglierino. Naso bocca che virano su un’ossidazione condizionante. Si perdono le caratteristiche dell’uva, in particolar modo gli aromi primari, ancora una volta in favore di note come la mela verde. 85

François Schmitt

AOC Alsace Grand Cru Pfingstberg 2017 Riesling Paradis Giallo paglierino luminoso. Naso stratificato, complesso, tra i fiori secchi, la frutta esotica matura, l’agrume succoso. Si ritrova tutto al palato, verticale, salato. Teso. Giovanissimo. Chiude asciutto. 91
AOC Alsace 2019 Riesling Effenberg Giallo paglierino. Bell’agrume, tensione, freschezza e salinità, tocco balsamico in chiusura. Un altro vino di prospettiva. 90
AOC Alsace 2019 Sylvaner Effenberg Giallo paglierino. Naso e bocca sugli agrumi, bella vena salino-minerale in centro bocca, gran bella pulizia del frutto che accompagna fino alla chiusura, asciutta. 89
AOC Alsace 2019 Pinot Noir Coeur de Bollenberg Rubino. Primo naso sulla tostatura. Poi, con l’ossigenazione, esce un frutto splendido, croccante. Chiude fresco, balsamico, su ritorni di fondo di caffè e burro salato. Vino giovanissimo, di assoluta prospettiva. 91

Domaine Stentz Buecher

AOC Alsace Grand Cru Hengst 2019 Gewürztraminer Giallo dorato. Al naso tensione fresco-acida sulle note tipiche del vitigno (litchi, pesca gialla, mandarino). Gran bella freschezza, su arancia e mandarino. Si allarga sul finale ma rimane asciutto, prezioso. Gastronomico. 92
AOC Alsace 2018 Riesling Ortel Giallo paglierino intenso. Gran bel frutto al naso, succoso, maturo, elegante. In bocca asciutto, teso, ancora giovanissimo, su tinte agrumate e una mineralità gessosa. 90
AOC Alsace 2016 Riesling Cuvée Flavien Giallo paglierino intenso. Naso intenso, sulla frutta matura e su una parte erbacea piuttosto aromatica. Mineralità e freschezza controbilanciano un sorso che inizia a virare sulla camomilla e la foglia di the verde. Vino che inizia a mostrare i segni del tempo. 89
AOC Alsace 2017 Pinot Noir Granit Rosso rubino intenso, luminoso, leggermente velato. Naso che abbina i frutti rossi e neri all’importante matrice del terroir, evidenziato dal nome. Perfetta corrispondenza al palato, su un frutto che cerca l’equilibrio col resto delle componenti. Vino giovane. 90
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Gli Editoriali news news ed eventi

Valore delle uve, mediatori e speculazioni: Valpolicella e Oltrepò pavese così lontani, così vicini

EDITORIALE – Cosa accomuna Valpolicella e Oltrepò pavese? Poco o nulla, a prima vista. Eppure, a poche ore di distanza, dalle due terre del vino si leva lo stesso allarme: quello sui prezzi delle uve, sui mediatori e sulle speculazioni. Cronaca di un caldo 25 agosto, risvolto amaro della medaglia di un’Italia che, proprio in questi giorni, sorride ai dati positivi del primo semestre 2021, tra riaperture e revenge spending.

«Oggi più che mai – commenta Christian Marchesini, presidente del Consorzio Vini Valpolicella – il confronto sulle dinamiche produttive e di mercato è fondamentale. Con le aziende e le associazioni di filiera dobbiamo spingere sempre di più su qualità e posizionamento per vincere la guerra contro le speculazioni, a partire dai valori delle uve. Solo così potremo sostenere il sistema Valpolicella e, in generale, il made in Italy enologico».

A parlare per l’Oltrepò, come accade con tale frequenza solo in Oltrepò, è la politica. Nello specifico, l’assessore all’Agricoltura e Sistemi verdi di Regione Lombardia, il bresciano Fabio Rolfi. «La bottiglia deve essere venduta a un prezzo dignitoso – ha sottolineato l’esponente della Lega – e il lavoro agricolo deve essere riconosciuto. Deve essere redditizio».

«Senza un ritorno non ci sono promozione, investimento e ricettività. Da qui – ha aggiunto – la mia proposta di istituire un Osservatorio dei prezzi delle uve, per mettere in chiaro il costo di produzione e il prezzo che deve essere pagato. Per porre fine a fenomeni speculativi favoriti da un sistema nebuloso di mediatori che caratterizza l’attuale sistema di fissazione del prezzo».

UN OSSERVATORIO DEI PREZZI DELLE UVE IN OLTREPÒ PAVESE?

Due affermazioni, quella del presidente Marchesini e dell’assessore Rolfi, che sembrano parte dello stesso convengo, mentre la vendemmia 2021 entra sempre più nel vivo. E invece no. Le parole del presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella arrivano da Villa Brenzoni Bassani.

È lì che si è tenuto il consueto incontro fra i rappresentanti del Consorzio, delle aziende e delle associazioni di categoria. Obiettivo? La «valutazione congiunta sui valori delle uve in vista dell’imminente vendemmia». Qualcosa che potrebbe essere utile, forse, anche all’Oltrepò pavese. Con o senza l’«Osservatorio» calato dal solito palazzo (quello di Regione Lombardia, ça va sans dire).

Sul tavolo, Christian Marchesini ha spalmato i trend degli ettari rivendicati, delle produzioni di uva. Degli imbottigliamenti e delle giacenze. Nonché i prezzi camerali delle uve Valpolicella degli ultimi anni. Tra le priorità del Consorzio, «premiare in termini di prezzo il prodotto di eccellenza».

Un riferimento esplicito all’Amarone della Valpolicella Docg, ma non solo. «Proporre prodotti diversi tra loro e in grado di coprire molti segmenti di mercato» è un’altra priorità emersa nell’incontro del 25 agosto. La Valpolicella, del resto, muove un giro d’affari annuo di oltre 600 milioni di euro, ben segmentati.

AMARONE VS “BONARDONE”

Oltre la metà è da ascrivere alle vendite del vino simbolo di Verona e del veronese, l’Amarone, che viene esportato per il 67%. Tra i paesi target, Usa(14%), Svizzera (12%), Regno Unito (11%), Germania e Canada (10%). Seguono Svezia (8%), Danimarca (7%), Norvegia e Paesi Bassi (6%).

Cina e Giappone pesano congiuntamente circa il 3%, sebbene il valore dell’export in questi due Paesi sia «cresciuto notevolmente nell’ultimo quinquennio». Dall’incontro tenutosi a Montescano, in Oltrepò pavese, filtrano invece pochi numeri. E tanti proclami. I soliti.

E mentre i prezzi di uve come il Riesling italico scivolano a circa 28 euro al quintale dai circa 32 del 2020 (Riesling renano a circa 45 e Pinot nero a 60 euro), ciò che conta in Oltrepò pavese è la «soddisfazione» della presidente del Consorzio, Gilda Fugazza.

«Di strada ne abbiamo fatta – commenta a Lombardia Notizie – consapevoli di avere tutti i vini che vanno dall’antipasto al dolce, sia per il metodo classico che per altri prodotti come la Bonarda frizzante e il Sangue di Giuda, che ci sta dando buone soddisfazioni commerciali e in questo momento ci rappresentano». Del resto, chi s’accontenta gode. Soprattutto se ha le idee terribilmente confuse. Prosit.

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Villány, Baranja ed Erdut: la “Terra del vino” che unisce Ungheria e Croazia

VillányBaranja ed Erdut. Ovvero l’Ungheria meridionale dei vini rossi eleganti e generosi, che punta tutto su Cabernet Franc e taglio bordolese. E la Croazia nord-orientale, lontana dal mare, abbracciata dai fiumi Danubio e Drava: terra di vini bianchi a base Graševina e varietà a bacca rossa tipiche di Bordeaux. Non è stato ribattezzato per caso “Land of wine“, “Terra del vino“, il progetto di promozione transfrontaliero che unisce la regione vinicola magiara di Villány e le due sottozone croate della macro regione di Podunavlje.

Un matrimonio che si consuma a nord e a sud di una delle tante strisce tracciate dalla geopolitica, tra Pannonia e Balcani. Per l’esattezza, lungo gli ultimi 60 degli oltre 320 chilometri di confine tra Ungheria e Croazia; verso est, sino a lambire la Serbia.

La forma a grappolo d’uva che si ottiene unendo idealmente il tracciato di VillányBaranja ed Erdut racconta tutto, o quasi. A partire dalla cartina geografica. Oggi solo i serrati controlli alla frontiera dettati dalle misure anti Covid-19 interrompono la continuità, non solo paesaggistica, tra gli areali.

Una morbida discesa dalle “vette” di Villány (140-350 metri sul livello del mare) alla pianura croata, modellata sul letto paludoso del Danubio. Dal sud dell’Ungheria si rotola giù fino ad Osijek, quarta città della Croazia per numero di abitanti – oltre 100 mila – e nuova capitale storica, culturale ed economica della Republika Hrvatska.

THE LAND OF WINE: VILLÁNY, BARANJA ED ERDUT

Novanta metri sul mare, sulla sponda sud del fiume Drava, per un centro che fa della cultura green e del turismo su due ruote il suo punto forte. L’immenso “Giardino urbano” (Gradski Perivoj) di Osijek è menzionato sin dal 1.750. Lo conoscerà bene Davor Šuker, uno dei più grandi calciatori croati di tutti i tempi, che qui è nato.

Una terra simbolo del multiculturalismo, in cui non è difficile trovare tre chiese per paese. Cattolici, calvinisti e ortodossi le distinguono dalla forma del tetto, nonché dalla presenza, o meno, della croce sul campanile.

Una storia ben simboleggiata dal Máriagyűd kegyhely di Siklós, santuario e luogo di pellegrinaggio riconosciuto dalle diverse confessioni religiose, ad appena 16 chilometri dal capoluogo vinicolo Villány. Appena al di là del confine ungherese, il melting pot è evidente nel bilinguismo e nelle assonanze dell’enogastronomia.

Un puzzle che si fa ancora più complesso se si considera l’influenza della Serbia, con cui la Croazia ha condiviso le sanguinose vicende dell’ormai ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Il monumento alla Battaglia di Batina, con il suo obelisco di 26,5 metri sull’altopiano di Gradac, celebra la “Vittoria” dell’Armata rossa in occasione della cosiddetta Krvava kota 169, l’«elevazione sanguinosa 169» del 1944, tra gli scontri più violenti della II Guerra mondiale.

Nell’ossario che fa da basamento, i resti di 1.297 combattenti. Perlopiù contadini ucraini, arruolati in fretta e furia dalle forze armate sovietiche per arrestare l’avanzata dell’esercito tedesco. Appena sotto e all’orizzonte, una vista mozzafiato sul Danubio che, proprio in questo tratto dei suoi 2.860 chilometri, unisce le sponde di Croazia e Serbia. Con l’Ungheria sullo sfondo.

VILLÁNY E IL CABERNET FRANC UNGHERESE: CLASSICUS, PREMIUM E SUPER PREMIUM

Seconda solo a Tokaji per notorietà internazionale e acclamata terra dei vini rossi ungheresi, la regione vinicola di Villány si estende su circa 2.400 ettari (2.333,64 secondo l’ultimo censimento) nella macro regione di Baranya. Con i suoi 322,25 ettari, il Cabernet Franc si è ritagliato negli anni il ruolo di varietà simbolo.

Si tratta di uno dei rari casi al mondo di vinificazione in purezza del vitigno. L’esempio è quello della Loira francese (Breton), con cui quest’angolo d’Ungheria condivide le caratteristiche del terreno (argilla, sabbia, limo e loess). Il marchio ungherese si chiama Villány Franc. Alla base, un rigido sistema di classificazione identificato nel 2014 dal locale Consorzio di tutela, il Villányi borvidék.

La stragrande maggioranza dei vini viene imbottigliata come Classicus. Ma sono le tipologie Premium e Super Premium a dare le maggiori soddisfazioni nel calice. Il segreto? Le rese delle uve, provenienti da singoli vigne e cru, vengono contenute sino a meno di un terzo dei 100 ettolitri potenziali.

I vini Villányi Franc Premium (massimo 60 ettolitri / ettaro) prevedono l’affinamento in botte di un anno (la media è di almeno due). Per i Villányi Franc Super Premium, commercializzabili anche solo col nome di Villányi Franc (35 ettolitri / ettaro), il vino trascorre almeno un anno in botte e un altro anno in bottiglia (tre anni sono la media tra vendemmia e inizio della commercializzazione).

Il nuovo sistema di classificazione interessa soprattutto i le uve di Cabernet Franc prodotte in vigneti simbolo come Bocor, Dobogó, Fekete-hegy, Jammertal, Konkoly, Kopár, Mandolás e Ördögárok, per citarne solo alcuni. Tra i produttori spiccano gli storici Tiffán, Gere, Polgár e Bock.

Interessante il fermento riscontrabile tra le cantine di Villányi sul fronte della proposizione di vini meno opulenti, frutto non solo del controllo delle rese in vigneto ma anche dell’esaltazione di frutto più croccante e meno maturo-marmellatoso. Eleganza e finezza, assieme a freschezza e agilità di beva, sono le caratteristiche che premieranno i Villányi Franc di domani.

I MIGLIORI CABERNET FRANC DI VILLÁNYI: LA SELEZIONE DI WINEMAG.IT

Per mantenere alta l’attenzione dei produttori, dal 2015 il Villányi borvidék 0rganizza un tasting dei vini atti a divenire Premium e Super Premium. Tra i 12 selezionati nel 2021, alcuni brillano in particolare per la loro capacità di esaltare il terroir d’elezione del Cabernet Franc ungherese, tanto quanto una necessaria chiave interpretativa moderna del vitigno-vino.

A differenza di Bordeaux, dove il Conseil Interprofessionnel du Vin ha da poco varato l’introduzione di quattro nuove varietà a bacca rossa per contrastare i cambiamenti climatici (Touriga Nacional, Marselan, Castets, Arinarnoa), la regione di Villány sembra intenzionata a risolvere il problema – almeno al momento – attraverso una sapiente gestione del vigneto.

Sarà il mercato, nell’arco dei prossimi 10 anni, a dire chi avrà avuto ragione. Nel frattempo, i calici migliori parlano tutti la stessa lingua. A preoccupare, piuttosto, sono diverse interpretazioni che privilegiano il legno al frutto, nel solco di una standardizzazione ed omologazione che non fa bene al futuro.

 

Agancsos Pincészet – 2017 (14% vol)

Gran bella scorrevolezza e materia per questo Cabernet Franc in purezza vinificato in legno grande da 500 litri. Il sorso è tipico e abbina l’usuale generosità del frutto a una croccantezza rara, che si traduce in una succosità seducente. Convince anche per la gestione composta dei terziari, finissimi e in grado di incomplessire magistralmente il profilo di un’uva coccolata in vigna e poi preservata (ed esaltata) in cantina. Un grande lavoro, in definitiva, sulla varietà, sul terroir e sulla longevità.

A. Gere Pincészet – Ördögárok-dűlő 2017 (14,5%)

I lieviti selezionati all’interno dei vigneti di proprietà, per l’esattezza 3 dei 7 considerati migliori dai test fermentativi, conferiscono uno stile unico ai vini di Attila Gere Pincészet. Nello specifico, il Franc è ottenuto dal cru di Ördögárok, che nel 2017 (come per molti vini ungheresi dell’annata) ha dato risultati eccezionali.

Una chicca che convince per l’eleganza estrema della componente verde del vitigno, tra ricordi di macchia mediterranea, speziatura dolce e fresca e vibrante acidità. Tannini presenti ma elegantissimi, integrati e di gran prospettiva. Tra le componenti morbide, il frutto si rivela materico e succoso, ancora croccante. I terziari giocano un ruolo di secondo piano e lasciano spazio a una delle migliori espressioni territoriali del vitigno. Vino con una grande vita davanti.

 

Bock – Fekete-hegy Selection 2015 (14,5%)

Fekete Hegy, ovvero “Montagna nera”, è una delle selezioni della cantina di Villány guidata dall’iconico József Bock. Un vino che viene prodotto solo nelle annate migliori. E la 2015 sta lì a dimostralo, con la sua stratificazione e complessità, nonché attraverso il chiaro messaggio sulla longevità dei Cabernet Franc ungheresi prodotti nella zona.

Alle classiche note fruttate del vitigno, qui generose e rotonde (ciliegia, lampone, fragolina di bosco), fa eco una freschezza che accompagna dal naso al retrolfattivo, giocata anche su ricordi di erbe della macchia mediterranea.

Bel tannino elegante, integrato e di prospettiva, che contribuisce a rendere la beva agilissima e super gastronomica. Vino pronto, con margini di crescita. Così come sarà grande un altro Cabernet Franc in purezza di Bock: il Siklós ottenuto dalla vigna di Makár, al momento ancora in affinamento in barrique.

Riczu Tamás – 2017 (15%)

Vino ottenuto dalle vigne di Villány con una resa inferiore ai 50 quintali ettaro. Non spaventino i 15% vol., perché il quadro è quello di uno dei vini di rara concentrazione e precisione degli aromi, in cui l’alcol gioca un ruolo fondamentale, proprio per la sua perfetta integrazione.

Il frutto rosso e nero polposo invita agli straordinari un tannino di seta, elegantissimo. A contribuire all’equilibrio del nettare anche una freschezza data da ricordi di mentuccia. Colpisce (anzi strabilia) per l’opulenza, abbinata appunto a freschezza, definizione elegante degli aromi e persistenza da vendere. Un faro per il futuro dei Villányi Franc.

  

Ruppert – Diósviszló 2016 (14,5%)

Piante di 20 anni e resa che fatica a raggiungere il chilogrammo per ceppo nel vigneto di Diósviszló. Se il calice del Cabernet Franc di Ruppert è eccezionale lo si deve soprattutto al grande amore che questa famiglia di produttori riversa in ogni singola attività produttiva. Non a caso è tra i pochi disponibili anche in Italia.

Colpisce per la stratificazione del naso e del sorso, che accosta frutto, spezie, freschezza, eleganza. Una fermentazione rigorosa e volta a favorire l’espressione dei primari, unita a un utilizzo garbato dei legni, regala un sorso al momento piacevolissimo, nonché di assoluta prospettiva.

Sauska – Siklós 2017 (14,5%)

Quattordici gradi e mezzo (abbondanti, si direbbe) e un’acidità pari a 6.1 punti: certi vini si comprendono ancora meglio con i numeri alla mano. Quelli del Cabernet Franc Siklós di Sauska, di fatto, parlano da soli. Si tratta dell’assemblaggio delle vigne Kopár, Konkoly e Makár. La parola d’ordine è “equilibrio”, sul filo di una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva.

Note di chiodo di garofano, mentuccia, anice e un tocco di rabarbaro ben si accostano alla pienezza di un frutto grondante di succo, a bacca rossa e nera (lampone, ribes, mora). Vino di rara pienezza e gastronomicità, nonché fulgido esempio di quanto il Cabernet Franc di Villány possa ritagliarsi uno spazio (anche) tra i grandi vini internazionali “da meditazione”. Oltre a piatti elaborati di carni rosse, un buon libro come accompagnamento ideale.

 

Szende Pince – Kopár 2017 (15%)

Botte grande da 500 litri per due anni, una scelta territoriale che inizia dai legni: rigorosamente Trust ungherese. La selezione del vigneto Kopár di Szende è uno di quei vini che cattura sin dal primo sguardo e, subito dopo, dal primo naso.

Il frutto è delizioso e i terziari perfettamente integrati. Un quadro elegante e gioioso su cui danzano freschi ricordi di erbe della macchia mediterranea. Al palato, una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva e tannini in cravatta: soffici, ma di prospettiva assoluta.

Tra i migliori Cabernet Franc ungheresi non può mancare quello degustato durante l’Hungarianwines Gettogether 2021 del 19 agosto, al castello medioevale di Siklós. Una manifestazione a cui aderiscono annualmente diversi produttori provenienti da tutte le regioni vinicole dell’Ungheria.

Heumann – Trinitás 2016 (15%)

Vino ottenuto da Cabernet Franc in purezza di rara eleganza e stratificazione nel panorama dei Villány Franc dell’annata 2016. Si tratta del frutto dell’assemblaggio delle uve di Vokány (Trinitás, per l’appunto) e Diosviszlo (Nagyhegy), pensato dalla coppia svizzero-tedesca Evelyne & Erhard Heumann. Come pochi altri colpisce per l’integrazione assoluta dell’alcol, utile spalla dell’assoluta freschezza.

Precisissimi ricordi di piccoli frutti a bacca rossa e nera (mirtillo, ribes) ancora croccanti si concedono tanto al naso quanto al palato, arricchiti da tannini soffici e ricordi di cioccolato e tabacco. Tasso di gastronomicità alle stelle, senza rinunciare a una beva gustosa, golosa, instancabile. Potenziale d’affinamento lunghissimo.

DOVE MANGIARE A VILLÁNY

  • A. Gere Mandula Restaurant (Diófás utca 4-12, Villány)

Non solo vino per la cantina A. Gere. La famiglia chiude il cerchio dell’ospitalità con il Crocus – Resort & Wine Spa, nonché con un ristorante di assoluto livello: il Mandula Étterem – Bisztró & Wine Bar, proprio nel cuore del villaggio di Villány.

Il ristorante porta nel piatto un concetto di “Alta cucina regionale”, rispondente alla tradizione Swabian, ovvero della Svevia, la regione della Germania da cui provengono i Gere, così come molte altre famiglie della zona.

Un lavoro che si fonda sulla creatività, all’insegna dell’attività più importante: la produzione di vini di alta qualità. Al Mandula Étterem – Bisztró & Wine Bar si sperimenta un viaggio tra i vini di Attila Gere, a cui la componente gastronomica vuole fare da spalla.

  • Bock Óbor Étterem (Batthyány utca 15, Villány)

Nel solco dell’enoturismo e dell’ospitalità anche la cantina Bock, che a Villány propone un hotel 4 stelle, l’Ermitage, e un ristorante, l’Óbor Étterem, che si distingue per l’ambiente informale, a cavallo tra la trattoria e i masi con stube del Trentino Alto Adige.

Un po’ come sentirsi a casa, all’insegna degli abbinamenti cibo-vino studiati attorno alla ricchissima produzione della famiglia di origini sveve. Il tutto curato dall’executive chef Barbara Nemesné e dalla coppia di sous-chef György Róbert e Hadnagy Attila.

  • Sauska 48 (048/10 hrsz, Villány)

Si chiama Sauska 48 l’elegante ristorante della cantina Sauska. Oltre ai piatti, si distingue per la vista mozzafiato sulla collina di Villány, specie dalla terrazza, perfetta per l’estate e per le calde e assolate giornate primaverili. Il perché del nome? Presto spiegato: il ristorante ha 48 posti a sedere.

Nel piatto, le specialità della regione interpretate in chiave moderna, con ingredienti provenienti dalle aziende agricole biologiche del circondario. Il tutto condito dalla vasta gamma di vini targati Sauska che comprende, oltre a Villány, anche la produzione della seconda cantina, a Tokaji (vini disponibili anche in Italia).

BARANJA ED ERDUT: “GIÙ” IN CROAZIA, TRA GRAŠEVINA E CABERNET

Venti minuti, direzione sud. Cofano dell’auto e calici rivolti verso Petlovac. O, meglio, Baranjsko Petrovo Selo. Il valico tra Ungheria e Croazia meridionale dista appena 19 chilometri da Villány. Dall’altra parte, ecco la Baranja. Poco cambia, se non una consonante, rispetto alla Baranya ungherese.

Già, perché il progetto di promozione territoriale dei due Paesi si fonda proprio sulla sostanziale unità geografica delle due aree del Transdanubio. Simili anche nel numero di abitanti (circa 350 mila) nella densità di popolazione (attorno ai 75 / Km²) e per la superficie (circa 4 mila Km²). Senza dimenticare che, appena al di là del confine, in Croazia, vivono ancora circa 10 mila ungheresi, secondi solo a serbi (29 mila) e ai padroni di casa croati (oltre 275 mila).

L’influenza “enologica” della Baranya, in Baranja, si sente eccome. Più che nel calice – il terroir di Villány è decisamente più vocato e in grado, da solo, di offrire vini di maggiore spessore – nelle varietà. Basti pensare che la Graševina, la varietà più allevata non solo nella regione vinicola di Podunavlje ma in tutta la Croazia, altro non è che l’Olaszrizling ungherese, ovvero il Riesling italico.

Sul fronte dei rossi, riecco il Cabernet Franc, altro “volto noto” transfrontaliero. Non mancano le altre varietà del taglio bordolese: Cabernet Sauvignon e Merlot, vinificati in purezza o in uvaggio. Colpisce l’approccio croato al vitigno, che nelle migliori espressioni è molto diverso da quello ungherese.

Se a Villány si tende a produrre vini rossi potenti ed eleganti, impreziositi da una mano di legno e terziari più o meno invasivi, in Baranja, così come a Erdut, si sceglie – al momento – la via del residuo zuccherino. Un elemento troppo spesso strabordante, tanto da standardizzare la beva e renderla ancor meno territoriale. Le due subregioni della Podunavlje vivono un’era che può essere considerata d’oro per la viticoltura.

Respinto il sistema mono partitico comunista all’inizio degli anni Novanta, sono molte le aziende che si sono date da fare nel settore. Tra queste, ne spiccano alcune intenzionate distinguersi «sul modello di qualità della vicina Villány», spiega a WineMag.it Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia. Ecco dunque i 10 vini da non perdere tra Baranja ed Erdut.

Cabernet Sauvignon 2012 “Premium”, Vina Kalazić (13,5%)

Una delle cantine con le idee più chiare sul futuro, la Vina Kalazić di Zmajevac. La produzione, certificata biologica, si divide in tre linee. Si passa dai vini quotidiani alle due linee premium, tra cui spicca il Cabernet Sauvignon 2012. Gran pulizia del frutto, tannini finissimi e un sorso che fa presagire ancora un quinquennio ad alti livelli per il bordolese di casa Kalazić.

Pinot Grigio 2019, Vina Gerštmajer (13,5%)

Si resta a Zmajevac, ma si cambia completamente registro con Vina Gerštmajer. Una realtà famigliare che vale di pena conoscere e approfondire, soprattutto per la rivoluzione in atto grazie ad Ivan Gerštmajer. Il giovane, rappresentante della quarta generazione, ha iniziato a ridurre parzialmente i residui zuccherini di una realtà interamente vocata alla produzione di vini da vendemmia tardiva.

Il risultato più fulgido è l’esaltante equilibrio fresco-zuccherino di uno dei Pinot Grigio più attraenti del momento, almeno in scala mitteleuropea. Agli 8 grammi di residuo, perfettamente integrati, rispondono 12 punti di acidità. Il sorso è teso e freschissimo, tanto quanto morbido e suadente.

Uno dei classici vini “buoni da soli”, eccezionali anche a tavola. L’esempio più fulgido di quanto un giovane vignaiolo con lo sguardo sul mondo possa dare la svolta alla produzione di una famiglia che, negli anni, si è ritagliata un posto d’onore nella produzione dei migliori vini della Croazia.

Cabernet Sauvignon 2019, Vina Gerštmajer (14%)

Il vino che chiude il cerchio della rivoluzione. Se l’approccio di Ivan Gerštmajer alle varietà a bacca bianca da sempre presenti nel vigneto di famiglia è quello di semplificare senza ridurre, nel bouquet di vini della boutique winery di Zmajevac non poteva mancare un rosso in grado di mostrare l’altra faccia della medaglia.

Tra i vini carichi di terziari e qualche standardizzante sbrodolata sul residuo zuccherino (non a caso tanto amato da mercati come quello cinese) in Baranja brilla l’interpretazione del Cabernet Sauvignon 2019 del giovane Ivan.

Nella sua semplicità e immediatezza, chiara sin dal colore e poi fulgida all’assaggio (frutti rossi croccanti, speziatura elegantissima, beva agilissima ma tutt’altro che banale) c’è tutta la concretezza di un’idea che va ben oltre il vino. Quella di chi vuole scrivere la storia, in una regione enologicamente giovane, che ha un disperato bisogno di personalità a cui aggrapparsi per distinguersi.

Graševina 2020 “Premium”, Vina Belje (13,5%)

Vina Belje è il produttore di vino croato dotato del parco vigneti più vasto: ben 650 ettari, tutti in Baranja. Splendido il corpo aziendale storico, con una serie di cunicoli pronti a sorprendere gli enoturisti. Sul fronte della produzione, nel 2011, l’azienda ha investito risorse pari a 20 milioni di euro per un nuovo polo produttivo all’avanguardia.

Un’azienda attentissima al marketing e al giudizio internazionale, che sta dando (e darà) un grande aiuto alla denominazione e al territorio, soprattutto in termini di visibilità. Tra i vini, tutti enologicamente ineccepibili e pensati per centrare i gusti moderni, ben oltre i confini nazionali, spicca la concretezza e tipicità della Graševina.

Graševina 2020, Vina Antunović (12,5%)

«One woman company». Così si presenta la “donna del vino” più intraprendente della Croazia. Jasna Antunović Turk (nella foto sopra) è a capo della prima azienda vinicola del paese fondata e condotta da una donna. È a Dalj, nella regione di Erdut, a due passi dal confine con la Serbia, che l’ex manager del settore finanziario ha cambiato vita.

Una fortuna per l’intera regione di Podunavlje poter contare oggi sui suoi vini, in grado di evidenziare nel calice le sfumature del terroir locale. Per l’esattezza, Jasna Antunović Turk ha dato avvio nel 2004 all’impianto dei vigneti (8 ettari complessivi) contando sull’esempio del padre. Nel 2009 ha inaugurato la piccola cantina artigianale, a poche centinaia di metri dal Danubio.

La gamma è ricchissima di gemme, tra cui la Graševina 2020. Un vino non filtrato, allo scopo di preservare le gentili caratteristiche del vitigno. Al giallo paglierino luminoso con riflessi verdolini fanno eco frutto e materia da vendere, prima al naso poi al palato.

Spiccano note citriche e di frutta a polpa gialla, nonché fiori che contribuiscono a creare un bouquet elegante e ricercato. Uno di quei vini che assomigliano tanto a chi li produce, dividendosi nello specifico tra charme e concretezza, equilibrio e carattere.

Graševina 2015 Premium, Antunović (12%)

Quando può “invecchiare” una Graševina? Risponde Jasna Antunović Turk, con la sua Premium 2015. Sei anni abbondanti e non sentirli per questo bianco affinato sapientemente in legno grande, che si presenta nel calice con una veste dorata, luminosa. Tutto tranne che il bianco “grasso” e “pesante” che ci si potrebbe aspettare. Un nettare che conserva delicatezza e fragranza, all’insegna di una filosofia produttiva chiara: elevare il vitigno grazie alla tecnica.

Naso e bocca in perfetta corrispondenza, su preziosi ricordi floreali e generosi e polposi richiami fruttati. La componente agrumata tende il sorso come una corda, mentre il legno gioca a riequilibrare il sorso con la vena cremosa. Un vino bianco dall’elevatissimo tasso di gastronomicità, tanto da chiamare il piatto e l’abbinamento ad ogni sorso.

Cuvée Rosé 2020, Antunović (12%)

Poteva mancare un rosé nella cantina della prima donna winemaker della Croazia? Certamente no. Quello di Jasna Antunović Turk, per di più, è un rosato che travalica persino il facile (anzi, triste) luogo comune del rosato che fa impazzire le donne. Ottenuto da un uvaggio Pinot Noir, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, si presenta nel calice di un rosa provenzale luminoso.

Il naso è delicato, sui fiori di rosa e i piccoli e croccanti frutti rossi. Si spazia dal ribes alla fragolina di bosco, per poi virare su ricordi più pieni e maturi di frutta a polpa bianca e gialla, come la pesca e il melone. Si ritrova tutto al palato, in un quadro di perfetta corrispondenza che vede nella freschezza e nella vena salina del sorso (lunghissimo per la tipologia, in termini di persistenza) uno dei punti forti.

Chardonnay 2017, Antunović (13%)

Altro vino che esalta la varietà, il territorio e il savoir-faire enologico di Vina Antunović. Uno Chardonnay che convince per la riconoscibilità assoluta del vitigno, interpretato in chiave Erdut e, per questo, ancora più prezioso. Naso e sorso si concedono tra eleganti ricordi floreali e di frutta esotica. Pregevole la vena minerale-salina che fa da spina dorsale, unita all’esaltante freschezza che controbilancia la morbidezza del frutto. Vino equilibrato e gioioso, dotato di gran carattere e visione locale.

Graševina 2020, Vina Erdut

Vina Erdut, l’azienda guidata da Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia (nella foto sopra) è la cantina leader, in termini di fatturato ed ettari vitati disponibili della subregione di Erdut (513 di cui 490 a corpo unico, un record in Croazia). Merita la visita per l’imponenza della struttura di chiara matrice comunista, con vista spettacolare sul Danubio. La cantina, dotata dei più moderni sistemi di vinificazione, è stata inaugurata nel 1984.

È in grado di accogliere 6 milioni di litri di vino. Al suo interno, una botte di rovere di Slavonia finemente intagliata, con scene di vita rurale che fanno da contorno all’Ultima Cena. Tra i vini secchi e fermi convince la Graševina. Un bianco a tutto pasto giocato sull’esuberanza della componente fruttata, ben riequilibrata dalla freschezza.

Icewine 2012, Vina Erdut

Una delle sorprese per chi si ritrova a sondare le cantine della regione vinicola del Podunavlje: un icewine croato ottenuto da uve Gewürztraminer, raccolte a fine dicembre. Trenta grammi litro di residuo davvero ben integrati, in un sorso suadente e fresco, ben terziarizzato. Un vino perfetto per accompagnare soprattutto formaggi saporiti, oltre ai dolci.

DOVE MANGIARE IN BARANJA

  • Josić Restaurant & Winery – Vina Josić (Planina 194, Zmajevac)

Cucina tipica della Baranja con uno sguardo particolare sul mondo, in particolare sull’Italia, dove Damir Josić si sta tuttora formando, per nobilitare il menu del Josić Restaurant, annesso alla boutique winery di famiglia, Vina Josić. Un’avventura iniziata nel 1999, con l’acquisto di una delle tante antiche case di Zmajevac dotate di grotta (sarduk) per la conservazione del vino (prodotto in maniera casalinga) e dei generi alimentari.

  • Hotel Lug – Restaurant & Vinoteka (Šandora Petefija 64, Lug)

Eleganza e ambiente ricercato si riversano nei piatti di Hotel Lug – Ristorante e Vinoteka. Una storica realtà dell’omonima frazione del comune di Bilje, nell’Osijek-Baranja, da poco rilevata e in rampa di lancio. Nell’edificio da cui sono stati ricavati hotel, cantina e ristorante, fino a due secoli fa, viveva una famiglia tedesca. Al momento sono 67 etichette le etichette di vino in carta. L’obiettivo è di raggiungere le 150, per offrire un ventaglio completo sul vino della Croazia, da abbinare a piatti molto curati, non ultimo dal punto di vista estetico.

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  • Baranjska kuća (Kolodvorska 99, Karanac)

Un luogo magico e da non perdere, per tutti quegli enoturisti che vogliono vivere un’esperienza autentica. Il Baranjska kuća di Kneževi Vinogradi è situato nella frazione di Karanac e offre molto più di una cucina tradizionale di altissimo livello.

Il ristorante dell’hotel è interamente ricavato all’interno della Ulici zaboravljenog vremena, la Via del Tempo dimenticato attorno alla quale si sviluppano gli edifici del vecchio villaggio di Karanac, tra case e botteghe dei mestieri ormai in disuso.

Nei calici del ristorante Baranjska kuća, per scelta del giovane titolare Stanko Škrobo (nella foto gallery), solo vini prodotti nella regione della Baranja. Tra le specialità, anche la farina di mais prodotta in casa e utilizzata per confezionare il pane di questo angolo unico al mondo, in cui la modernità dello street food è legata a doppio filo alla tradizione.

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Oltrepò pavese, ancora fuoco a Rovescala: sfiorato il vigneto del vignaiolo Andrea Buscaglia

Ancora fuoco tra i vigneti dell’Oltrepò pavese. Teatro dell’episodio sempre il Comune di Rovescala (PV), terra di alcuni tra i migliori vini rossi della zona. Questa volta le fiamme hanno lambito un appezzamento di Croatina di 3 anni di proprietà del vignaiolo Andrea Buscaglia, distante appena 2 metri. L’incendio è stato domato dai vigili del fuoco di Broni e Pavia, intervenuti ancora una volta in maniera celere.

La chiamata alla centrale è arrivata attorno alle 13.30. Sul posto, tuttora, ancora una dozzina di uomini, intenti a spegnere gli ultimi tizzoni. Nessun danno alla vigna, ma solo un grande spavento per Andrea Buscaglia. «A bruciare – spiega il vignaiolo a WineMag.it – è stato lo stesso appezzamento della notte di venerdì 20 agosto, che ha lambito il vigneto e le piante di nocciole di Giorgio Perego».

Incendi, a fuoco un vigneto in Oltrepò pavese: paura per il vignaiolo Giorgio Perego (VIDEO)

«Fortunatamente – continua Andrea Buscaglia – l’intervento dei vigili del fuoco è stato celere, perché il vento forte avrebbe certamente portato le fiamme oltre al fosso che divide la mia proprietà da quella in cui ha ripreso avvio l’incendio. Cosa succede? Non so, ma di certo ci vorrebbero misure ben più stringenti per chi lascia incolti terreni o vigneti».

Proprio in seguito all’incendio di venerdì notte, Buscaglia aveva provveduto a tagliare l’erba all’interno del vigneto di Croatina, procedendo anche a una fresatura. I vigili del fuoco al momento non confermano la natura dolosa dell’incendio. Ad insospettirli, tuttavia, è la ripetizione dell’evento, a distanza di diversi giorni dalle prime fiamme. Abbastanza per escludere un reinnesco naturale del fuoco.

I vigneti di Andrea Buscaglia si estendono complessivamente per 14 ettari, per una produzione complessiva di 10 mila bottiglie. Oltre al giovane vigneto di Croatina, il vignaiolo di Rovescala ha a disposizione le varietà Barbera, Pinot Nero, Syrah e Cabernet Sauvignon, affinati in botti di ceramica Clayver, oltre che in legno e acciaio.

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Incendi, a fuoco un vigneto in Oltrepò pavese: paura per il vignaiolo Giorgio Perego (VIDEO)

Scene già viste in altre zone d’Italia, come Sardegna, Sicilia e Puglia. Paura nella in Lombardia per le fiamme che hanno divorato un vigneto abbandonato di 2 ettari. L’episodio è avvenuto a Rovescala (PV), in Oltrepò pavese. L’incendio, di probabile natura dolosa, ha interessato un terreno di proprietà di Francesco Villa, produttore di uve residente nella zona.

Le fiamme sono state circoscritte ed estinte in circa 4 ore, grazie al pronto intervento di una dozzina di vigili del fuoco di Broni e Pavia. Un intervento che ha letteralmente salvato i vigneti di Moradella, Riesling e Pinot Nero e il noccioleto del vignaiolo oltrepadano Giorgio Perego, confinanti con la proprietà di Francesco Villa.

La chiamata ai vigili del fuoco è arrivata attorno alle 21.30 di giovedì 19 agosto. A dare l’allarme sono stati presumibilmente alcuni lavoratori del vicino Salumificio Valtidone (Gruppo Valtidone Salumi). I due avrebbero notato le fiamme mentre rientravano in zona a bordo della loro auto, dalle colline di Piacenza.

Sul posto anche lo stesso Perego, i cui terreni sono salvi per appena 10 metri. «Per fortuna – racconta il vignaiolo a WineMag.it – ieri sera non c’era vento altrimenti sarebbe stato un disastro per i miei vigneti. Fondamentale anche il pronto intervento dei vigili del fuoco, che hanno bagnato i confini evitando alle fiamme di propagarsi dalla vigna confinante»

Al momento i pompieri non confermano l’origine dolosa del rogo. Ma a insospettire sono le tracce lasciate dall’incendio, che sembra aver divorato il vigneto incolto di Villa a partire seguendo la forma del perimetro. L’uomo non si è presentato nella notte sul posto e sarà contattato dalle forze dell’ordine in queste ore.

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