wine news e guida top 100 migliori vini italiani, notizie e articoli esclusivi su vino, birra, distillati e food
Autore:Davide Bortone
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell'informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la "Guida Top 100 Migliori vini italiani" e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell'Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Biotipo Nebbiolo Rosé, dal vigneto Mga Meruzzano di Treiso (350 m s.l.m.), impiantato nel 1995 con esposizione Sud-Ovest . Terreno calcareo-limoso e potatura corta a Guyot (8-9 gemme per ceppo). Densità di impianto di 4.500 piante per ettaro, con resa di 55 quintali (37 ettolitri). Ci sono casi in cui la carta d’identità del vigneto racconta il vino, ancor prima dell’etichetta e della bottiglia. Uno di questi è il Barbaresco Docg Cn_Centoundici di Orlando Abrigo.
Si tratta infatti di uno dei pochi “esemplari” di Barbaresco ottenuti dal biotipo Nebbiolo Rosé, in purezza. «Fino ad ora pochissimi produttori di Langa hanno deciso di utilizzare esclusivamente questo clone di Nebbiolo per ottenere un vino», spiega Giovanni Abrigo, dagli anni Ottanta al timone dell’azienda fondata dal padre Orlando, a Treiso d’Alba (CN).
Rispetto al più diffuso Lampià, infatti, la sottovarietà che dà vita a Cn_Centoundici non riesce a conferire al vino un colore particolarmente intenso, quanto sfumature più trasparenti, e quindi si è sempre preferito unirlo in blend».
LA VINIFICAZIONE DI CN_CENTOUNDICI
Dalla valorizzazione del vigneto alla massima attenzione in vinificazione, il passo è breve. Tutto inizia dalla pigiatura soffice delle uve Nebbiolo Rosé, con macerazione sulle bucce per circa 35/40 giorni in legno, a cappello sommerso.
Dopo alla svinatura il vino svolge la fermentazione malolattica in tonneaux (un quarto di legno nuovo), continuando negli stessi l’affinamento per altri 15 mesi. L’obiettivo? Mantenere la freschezza e l’eleganza tipiche del Barbaresco da Nebbiolo Rosé.
Imbottigliato nel mese di agosto, il BarbarescoCn_Centoundici affina ulteriormente per un minimo di 6 mesi in bottiglia, prima della commercializzazione. «L’aromaticità di questo Nebbiolo – garanrtisce Giovanni Abrigo – è molto fine ed elegante. La struttura è meno potente perché dotata di tannini più sottili, in grado di far emergere il lato più minerale e fresco di questo nobile vitigno.
«UN BARBARESCO VERSATILE E LONGEVO»
Il Nebbiolo Rosé è presente per un 5% all’interno dei vigneti della cantina Orlando Abrigo. Ed è sempre stato vinificato separatamente. «Lo studiamo da tempo – spiega il vignaiolo di Treiso d’Alba – poiché tutte le parcelle dei nostri cru vengono vinificate singolarmente. È stato naturale, dunque, comprendere e apprezzare i suoi indiscussi pregi negli anni. Abbiamo quindi pensato fosse arrivato il momento di imbottigliarlo separatamente, dando origine ad una nuova etichetta».
Il tutto senza rinunciare alla caratteristiche primaria del vino rosso “fratello” del Barolo: la longevità. «È un Barbaresco delicato e suadente, verticale e fine – conclude Giovanni Abrigo – che riesce ad essere molto godibile e versatile a tavola già in gioventù. Al contempo, Cn_Centoundici 2018 ha tutte le doti per poter evolvere, come da tradizione di questa denominazione, con il passare degli anni».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – C’è un territorio del Veneto ancora fuori dalla mappa dei grandi vini rossi italiani. Sono i Colli Euganei e, in particolare, la sottozona di Rovolon. Siamo nella parte settentrionale della denominazione, nell’area più fresca del Parco Regionale. La macchia mediterranea, tipica della zona sud, lascia spazio a varietà che amano climi più temperati, come il castagno. E se anche da queste parti la vera “star” è il Fior d’arancio Docg, dal classico spumante alle versioni passito e secco, sono i vitigni bordolesi a sorprende con le loro note del tutto uniche.
Se ne parla poco. Troppo poco. Ma siamo al cospetto di un vero e proprio unicum. Gli Euganei sono l’unica zona delle Venezie in cui riemergono abbondanti lave acide ricche di silice, molto viscose. Terreni con alte percentuali di riolite, trachite e latite non sono rari da queste parti, così come il basalto.
Gli antichi strati del fondo marino sono riemersi a macchia d’olio, circa 35 milioni di anni fa. Movimenti di Madre Natura che hanno modificato per sempre il mare che copriva l’intera Pianura padana. Una “gioia” per il carattere dei bordolesi, di casa sui Colli Euganei dall’Ottocento.
ROVOLON E I COLLI EUGANEI: SVOLTA CON LE NUOVE GENERAZIONI
Lo ha compreso bene Martino Benato, appassionato vignaiolo che da anni sperimenta in vigna e in cantina, per trarre il meglio dai propri Cabernet Franc, Merlot e Carmenere. Quelli della cantina Vigne al Colle sono vini rossi di territorio, di annata, di cru. Di cuore e di savoir faire. Capaci come pochi di riflettere nel calice non solo le caratteristiche varietali e del microclima di Rovolon, ma anche la vena minerale-vulcanica che caratterizza i Colli Euganei.
Benato è l’anello di raccordo tra le vecchie e le nuove generazioni di produttori. La consacrazione di Rovolon come terra di grandi vini rossi italiani passa da lui, tanto quanto dall’importante ricambio generazionale in corso in quest’areale di 2.300 ettari (solo mille rivendicati a Doc), incastonato tra le province di Padova e Vicenza.
Con il ritorno a casa del figliol prodigo, di fatto, un’altra azienda di Rovolon è ormai pronta a spiccare il volo, prendendo a sua volta per mano i Colli Euganei. È Reassi, guidata da Diego Bonato. Il classe 1982 ha raccolto l’eredità dei genitori, che vendevano al 95% vino sfuso, trasformando la cantina e i suoi 6 ettari in una gemma.
DIEGO BONATO: «VARIABILITÀ DEI SUOLI PARI SOLO A MONTALCINO»
Dopo aver girato il mondo (Australia, Francia, Nuova Zelanda e Toscana, da Tolaini), il giovane winemaker è tornato alle radici. «Sono partito con l’idea di tornare, per dare una mano all’azienda di famiglia. Ma più giravo, più mi rendevo conto dell’unicità di Rovolon, dei Colli Euganei e delle loro potenzialità ancora inespresse», dice a WineMag.it.
Mentre lavoravo in Toscana, in sella alla mia biciletta, ho visitato ogni cantina di Bolgheri, porta a porta. Secondo la mia esperienza, la variabilità dei suoli e dei microclimi dei Colli Euganei è paragonabile solo a quella diMontalcino. Neppure sull’Etna, altra zona vulcanica che ho visitato di recente, c’è una tale eterogeneità».
Una consapevolezza dolce e allo stesso tempo amara. «Quello che mi chiedo – continua Diego Bonato – è quando cominceremo, noi produttori euganei, a renderci conto delle nostre potenzialità e a promuovere tutti assieme una zona in cui un Merlot piantato a Rovolon è completamente diverso e riconoscibile rispetto a uno piantato a Sud, così come a Est e a Ovest dei Colli?».
LA CHANCE DI ROVOLON
Gli fa eco Martino Benato. «Per molti anni, i degustatori nazionali si sono concentrati sulla zona sud dei Colli euganei, a mio avviso perdendo la vera essenza della nostra denominazione, ovvero la sua “biodiversità”. Dove possiamo arrivare oggi a Rovolon? Rispondendo a questa domanda potrei esagerare, o al contrario minimizzare».
So solo che le sorprese saranno grandi, perché un clima come il nostro, al centro della Pianura padana, su suolo vulcanico focalizzato sui bordolesi, è qualcosa di unico: non ce n’è un altro. Le nuove generazioni hanno capito che non si può vivere di rendita, con i vini d’annata. La controtendenza è già iniziata. E fare sacrifici premia. Non subito, ma premia».
Ai grandi vini poderosi, grassi e ricchi di terziari sin troppo caratterizzanti, tipici della zona sud dei Colli Euganei, si contrappone l’eleganza, la vena erbacea delicata e balsamica, la spezia fine e la mineralità dei bordolesi di Rovolon. «Chiacchierando con alcuni amici al Consorzio – rivela Benato – concordavamo sul fatto che questa sottozona è un po’ la Borgogna dei Colli Euganei, capace cioè di mostrare l’anima fine della denominazione, oltre alla potenza».
LE VERTICALI DI VIGNE AL COLLE
Le verticali dei rossi di Vigne al Colle parlano chiaro. Dal “vino d’entrata”, il Colli Euganei Doc Rosso, base Merlot (60%) con Cabernet Franc e Carmenere a dividersi equamente il resto dell’uvaggio (40%), si evidenziano in maniera netta i profili delle annate 2016, 2017, 2018 e 2020. La crescita del livello nella sperimentazione è evidente, con Martino Benato che sta dando sempre più “del tu” a Rovolon. E con i vigneti che, “invecchiando”, sono in grado di regalare fotografie sempre più nitide del terroir euganeo.
Nel calice, l’annata 2016 vira su profili d’arancia sanguinella, senza rivelare l’attesa complessità. La 2017 è timida, chiusa, di primo acchito. Si apre piano, tendendosi come un arco verso un futuro luminoso, spinta da un naso molto espressivo e da un palato che sa di Rovolon.
Duemiladiciotto dal frutto denso, su cui danza un tannino fine, in un quadro balsamico, mentolato, reso ancor più tipico da elegantissime venature minerali ed erbacee. Un vino “bambino”, all’inizio del suo percorso. Esattamente come il Colli Euganei Doc Rosso 2020, con terziari di cioccolato bianco e una gran matericità, in termini di fruttato e peso palatale.
VARIETÀ BORDOLESI SUGLI SCUDI NEI COLLI EUGANEI
Le grandi emozioni di casa Vigne al Colle arrivano con il Merlot Poggio alle Setole, che si dimostra in grande spolvero in occasione della verticale. Grafite, balsamicità ed eleganza per la 2016. Spezia scura, liquirizia nera, ciliegia e gran freschezza per la giovanissima vendemmia 2017.
Da applausi una 2019 in cui Benato ha portato sì in cantina il 50% delle uve (quelle risparmiate dalla grandine) ma in stato di salute eccezionale. Il naso è un concerto d’origano e macchia mediterranea, frutto fresco e note dettate dall’affinamento in legno, che al palato lasciano il palco a croccantezza, finezza e mineralità.
Un fuoriclasse, poi, il Colli Euganei Doc Rosso Riserva 2018 (35% Cabernet Franc, 35% Carmenere, 30% Merlot) già premiato dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it. A riprova che la denominazione del Veneto si stia muovendo nella direzione giusta, anche le due new-entry di casa Vigne al Colle. Un bianco e un rosso, “Crea Bianca” (Pinot Bianco e Incrocio Manzoni, fifty-fifty) e “Crea Rossa” (Refosco, Merlot e Cabernet Franc), che dietro alla “facciata” dell’agilità di beva celano il carattere vero e unico della zona.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un uomo di si avvicina agli scaffali del vino estero di un’enoteca. Sceglie una bottiglia di vino spagnolo, ma l’enotecario lo aggredisce con un placcaggio da rugby. Di lì a poco una coppia scherza davanti all’espositore di vini iberici. L’imponente enotecario gonfia il petto, minaccioso. E fa loro desistere, indirizzandoli verso lo scaffale del vino svizzero. È lo spot diffuso nelle ultime ore dall’Office de promotion dell’Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, organismo che rappresenta i viticoltori del canton Vallese.
Ad accompagnare il video, realizzato da un e-commerce e wine tour operator locale, è una frase emblematica: «Voici un petit rappel de la mère et du père Noël, valable pour tous les vins du Valais». Tradotto: «Ecco un piccolo promemoria di mamma e Babbo Natale, valido su tutti i vini del Vallese».
Lo spot cela di fatto il grave stato di crisi della viticoltura nel cantone di Sion. Secondo quanto riferisce l’emittente radiofonica svizzera Rts, i viticoltori locali si stanno liberano delle loro vigne addirittura «per la cifra simbolica di un franco».
CEMENTO AL POSTO DELL’UVA: PERSI 800 ETTARI IN 35 ANNI
Sempre secondo l’inchiesta, si prevede che entro il 2022 saranno abbandonati 300 ettari di vigneti. Un dato fornito ad Rts dalla stessa Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, sulla base di un sondaggio effettuato fra i viticoltori locali.
L’abbandono dei vigneti riguarda soprattutto le aree meno meccanizzabili. La viticoltura eroica non costituisce dunque un’attrattiva per il governo svizzero e per le autorità del Vallese. A dimostrarlo sono i 500 ettari di vigneti spariti dal 1989 al 2019, in favore di progetti edili, più redditizi.
Cemento al posto dell’uva, insomma, in un’areale che oggi conta 4.804 ettari complessivi (dato 2018), pari al 33% della superficie vitata della Svizzera. Le varietà più allevate nel Vallese (61%) sono quelle a bacca rossa (tra cui Pinot Noir, Gamay, Syrah e Cornalin) accanto a un 39% di varietà a bacca bianca, perlopiù autoctone (Chasselas, Sylvaner, Arvine, Savagnin Blanc).
Per tentare di salvare la viticoltura del Vallese, l’Interprofession de la Vigne et du Vin du Valais, presieduta da Yvan Aymon, ha scritto al Consiglio di Stato, «proponendo una serie di misure, fra cui il raddoppio dei pagamenti diretti».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
A partire da gennaio 2022 i vitigni resistenti Piwi potranno essere inseriti nelle Dop del vino dell’Ue. Lo ha ricordato questa mattina il prof Attilio Scienza, in occasione del convegno scientifico organizzato da Fondazione Edmund Mach (Fem) a San Michele all’Adige (TN). Tra gli interventi anche quello del presidente dell’Oiv, il prof Luigi Moio, che ha ricordato come il futuro dei Piwi passi prima tutto dalla loro qualità organolettica, «ovvero dall’esaltazione del terroir, attraverso un’enologia leggera, non invasiva».
L’occasione di abbinare profilo sensoriale e peculiarità “green” dei Pilzwiderstandfähig (letteralmente “viti resistenti ai funghi”) è stata offerta dalle premiazioni della prima rassegna nazionale dei vini ottenuti da varietà resistenti alle malattie fungine (qui i vincitori). Un concorso organizzato proprio da Fem, supportato dal Consorzio Innovazione Vite e dall’associazione Piwi international.
VINI PIWI E DI TERROIR: MOIO INDICA LA STRADA
«Questa data è importante nella storia della viticoltura italiana – ha dichiarato il prof Scienza – perché da questo momento abbiamo tutti molta più fiducia sul fronte del breeding. Anche perché dal primo gennaio 2022 la comunità europea consentirà l’uso dei vitigni resistenti nelle Dop. Responsabili di Consorzio e denominazioni si mettano tutti quanti in linea, per chiedere al Comitato l’inserimento dei vitigni resistenti nei loro vini».
Le sperimentazioni sui Piwi, in corso in Italia, sono dunque a un punto di svolta. «Ma non bisogna perdere di vista l’aspetto olfattivo estetico – ha avvertito il prof Luigi Moio -. Le varie correnti di cosiddetti “vini veri” e “vini naturali” portano qualcuno a pensare che i difetti non siano più difetti».
Bisogna sempre mantenere e, anzi, amplificare l’identità sensoriale dei vini. Perché il vino è un modello di diversità che la nostra società, spesso votata all’omologazione, si sta imponendo. Il vino è differente da qualsiasi altra bevanda alcolica e dall’identità sensoriale legata al territorio di provenienza passa anche il futuro dei Piwi».
I VITIGNI RESISTENTI ALLA PROVA DEL CALICE
Un percorso non senza ostacoli. «Diversi studi hanno dimostrato che non ci siano grandissime differenze analitiche ed organolettiche tra i vini ottenuti da vitigni resistenti e quelli da varietà classiche», ha sottolineato il prof. Fulvio Mattivi, ordinario di Chimica degli Alimenti all’Università di Trento, in Fondazione Mach dal 1987.
«Di certo – ha aggiunto – non possiamo pretendere adesso dai Piwi lo stesso livello di qualità dato dai vitigni classici, che hanno trovato da centinaia di anni la loro perfetta combinazione con il territorio».
Serve una continua sperimentazione e una stretta collaborazione tra centri di studio europei internazionali, perché è stato dimostrato che i resistenti cambiano drammaticamente profilo anche se spostati di poco, a livello per esempio di altimetria. La crescita dei Piwi ci sarà. Ma non potrà prescindere dalla loro qualità, in quanto vini».
Di rilievo anche un altro punto toccato dal prof Fulvio Mattivi nel suo intervento. «Molti ritengono che i vitigni resistenti alle malattie fungine siano una novità – ha evidenziato – ma già nel 1929 lo studioso Ernest Pée-Laby descrive i patogeni di ben 202 nuovi vitigni.
PIWI, L’AVVERTIMENTO DEL PROF. MATTIVI
Tra questi, quattro sono i principali: peronospora, oidio, antracnosi e marciume nero. Gran parte dei Piwi attuali considerata solo 2 o 3 di questi, non tutti e 4. Va data una risposta completa, perché quando si riesce a portare a zero i trattamenti per peronospora e oidio, grazie alle caratteristiche del genotipo, si rischia l’attacco da parte degli altri due patogeni».
Un aspetto tutt’altro che secondario, se si vuole continuare a considerare i Piwi la risposta “più green” a disposizione della viticoltura del futuro. Un movimento che, tra mille tentennamenti, si allarga in Italia. Con Emilia Romagna, Marche e Abruzzo ultime regioni italiane ad aver autorizzato l’allevamento di alcune varietà resistenti, al momento solo per la produzione di vini da tavola o Igt.
L’avallo dell’Ue, che dal primo gennaio 2022 dà appunto il via libera all’inserimento dei Piwi nei vini Dop, ovvero nelle Denominazione di origine protetta, potrà dare ulteriore slancio alla nicchia. Prima, però, si dovrà passare dal recepimento della direttiva nei disciplinari di produzione. Un percorso che si preannuncia lungo e non privo di (ulteriori) ostacoli.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un’azienda su quattro ricorre a lavoratori in nero in vendemmia e nella raccolta delle mele in provincia di Bolzano. Una media che imbarazza l’Alto Adige, in seguito ad oltre 100 controlli svolti dai Reparti della Guardia di Finanza. Ben 70 i lavoratori irregolarmente impiegati, dei quali 52 completamente “in nero”.
Tra questi diversi italiani, ma anche rumeni, bulgari, polacchi, slovacchi e, in misura minore, africani, asiatici, albanesi e pakistani. È stato anche accertato l’impiego irregolare di 6 braccianti privi del permesso di soggiorno. Dunque di clandestini presenti sul territorio nazionale, impiegati nei campi e nei vigneti della provincia di Bolzano.
I datori di lavoro sono stati denunciati alla Procura della Repubblica di Bolzano. Le pene prevedono la reclusione da 6 mesi a tre anni, con multa di 5 mila euro per ogni lavoratore impiegato. La mancata comunicazione preventiva all’Ispettorato del Lavoro, prevede inoltre l‘applicazione della cosiddetta “Maxisanzione”, che oscilla da un minimo di 1.800 a un massimo di 43.200 euro per ciascun lavoratore irregolare, in base ai giorni di effettivo impiego.
Solo in un caso emerso durante i controlli in vendemmia e nella raccolta delle mele in provincia di Bolzano l’irregolarità ha riguardato la mancata comunicazione all’Inps dell’impiego di una bracciante agricola. La donna era impiegata senza l’utilizzo del cosiddetto “Libretto Famiglia”, che deve essere attivato nei casi di prestazioni lavorative svolte in modo sporadico e saltuario. La sanzione amministrativa varia nello specifico da 500 a 2.500 euro per ogni prestazione lavorativa giornaliera.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Una vecchia vigna, quella del “San Lorenzo”. Una famiglia di vignaioli toscani, il duo Benini-Ventimiglia, in arte Sassotondo. Una scoperta, dettata dalla cocciutaggine di chi vuole valorizzare la tradizione. Ed avere sottomano la carta d’identità di ogni granello di terra che calpesta; di ogni foglia di vite dalla quale produce vino.
Rinasce così o, meglio, viene riscoperto così il Nocchianello Nero, tra i vitigni autoctoni della Toscana dalle maggiori potenzialità. Ne è riprova Monte Rosso, una delle chicche prodotte da Sassotondo tra le colline di tufo di Sovana e Pitigliano.
Siamo in provincia di Grosseto, in Maremma. Così come cantina e bottaia sono scavate nella roccia vulcanica, Carla Benini e il marito Edoardo Ventimiglia hanno “scavato” nel Dna di quelle piante rinvenute a macchia di leopardo nel vecchio vigneto del loro Ciliegiolo di punta, il San Lorenzo.
Grazie alle analisi, hanno scoperto che si trattava proprio del Nocchianello. In realtà “famiglia di vitigni”, sia bianchi che rossi, citati per la prima volta nel 1975, in una ricerca dei professori Scalabrelli e Grasselli.
IL NOCCHIANELLO VERSO LA CONSACRAZIONE
Oggi, i suoi primi interpreti sono pronti a scrivere nuove pagine dell’autoctono toscano. Regione Toscana ha dato il via libera al vitigno mediante il decreto n. 491 del 18 gennaio 2018, recependo l’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà di vite avvenuta il 2/11/2017 (G.U. n°256). Nelle ultime settimane anche Artea, l’Azienda Regionale Toscana per le erogazioni in agricoltura, ha inserito il Nocchianello Nero (e Bianco) in elenco.
Un provvedimento che permetterà a chiunque di poterne riportare il nome in etichetta. Non senza strascichi polemici. «Finalmente il vitigno è stato iscritto – commenta Ventimiglia – ma le segnalazioni e richieste ripetute ad Artea negli ultimi 3 anni, guarda caso, hanno dato i loro frutti solo a fronte dell’interessamento degli organi di stampa. Che si tratti di poche bottiglie non può essere una scusante».
«Tralasciando la burocrazia e concentrandoci sul vitigno – spiegano Carla Benini e il marito – l’uva che regala è molto bella, pruinosa, resistente e croccante. Buono l’accumulo di zuccheri, con l’acidità che rimane ragionevole. In vinificazione non c’è molta cessione di colore. Abbiamo fatto piccole vinificazioni a partire dal 2011, la più interessante nel 2015. Un’annata benedetta dal clima, che ci ha dato quantità e qualità mai più ritrovate negli anni successivi. Fino al 2019».
L’ultima annata di Monterosso è stata infatti premiata dalle degustazioni alla cieca di WineMag.it, con l’inserimento nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022. Un riconoscimento all’eccellenza del calice, innanzitutto. Ma anche un premio alla testardaggine di Sassotondo. «Abbiamo riportato alla coltivazione il Nocchianello nel 2010 – ricordano Benini e Ventimiglia – ben consapevoli che si trattasse di un vitigno totalmente autoctono, senza alcuna parentela genetica con vitigni conosciuti».
Oltre che da qualche vecchia pianta ritrovata nella Vigna San Lorenzo, insieme al nostro vecchio Ciliegiolo, siamo ricorsi alla collezione del Crea di Arezzo, che lo aveva a suo tempo recuperato dai vecchi vigneti della zona, innestandolo su qualche filare».
IL NOCCHIANELLO MATURA DOPO IL SANGIOVESE
«È un vitigno che, negli ambienti di origine, ovvero nei magri tufi di Pitigliano – continuano i patron di Sassotondo – ha caratteristiche agronomiche piuttosto diverse rispetto alle fertili piane aretine, dove si trova la collezione del Crea di Arezzo. Il grappolo è piuttosto piccolo e mediamente compatto. La fertilità delle gemme basali non è alta. L’acino è duro e occupato da semi piuttosto grossi. Forse da qui il nome “Nocchianello”: da “nocchia”, ovvero “nocciola”».
Una varietà vigorosa, che ha le carte in regola per resistere piuttosto bene alle principali malattie della vite. La foglia spessa ricorda la foglia del fico. I tralci crescono e si allungano molto, come le pianta da pergola. L’uva matura tardivamente, almeno 10 giorni dopo il Sangiovese.
«Un aspetto – precisano Benini e Ventimiglia – che può essere interessante in queste situazioni di clima impazzito, con anticipo della maturazione generalizzato. La possibilità di avere una vite che matura l’uva con temperature non eccessive, teoricamente, permette una migliore espressione degli aromi». Dalla teoria alla pratica il passaggio è breve a Sassotondo, cantina certificata biologica dal 1994 che, dal 2007, ha introdotto alcune pratiche di viticoltura biodinamica. Il Nocchianello, da queste parti, è in buone mani.
LA DEGUSTAZIONE
Toscana Igt 2019 Monterosso, Sassotondo (dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it)
Nocchianello Nero in purezza. Nel calice si presenta di un rosso rubino luminoso, mediamente penetrabile. Al naso, l’ampio ventaglio di spezie (netto il pepe) e le precisissime percezioni vegetali (radice di liquirizia, accenni di muschio) stuzzicano un frutto rosso di croccante maturità. Un quadro che si ripresenta in maniera del tutto corrispondente al palato, trascinato da un torrente di vulcanica sapidità.
Non a caso il vino è stato dedicato da Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia all’omonimo “Monte Rosso”, parte del complesso vulcanico dei Monti Vulsini. I vigneti di Sovana ne riflettono perfettamente le caratteristiche, attraverso un vino che rende onore all’antico vitigno delle città del tufo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
A partire dall’annata 2020, l’associazione di produttori di Mamojà metterà in vendita una bottiglia “istituzionale”, frutto delle uve di una singola vigna. «Ogni anno sarà data la possibilità ad un socio viticoltore di mettere in bottiglia il proprio vino», spiega il presidente Francesco Cadinu.
«Lo scopo di questo nuovo progetto – continua – è di incentivare sempre più i soci viticoltori a valorizzare il proprio prodotto e far nascere nuove cantine». L’ennesima conferma dello «spirito di unione e collaborazione per la valorizzare del territorio e del vino di Mamoiada», in una regione, la Sardegna, dove la voce dei Consorzi del vino è assente. E il marketing affidato ai singoli gruppi imprenditoriali, o alle singole cantine.
«In questi anni – ricorda l’associazione – l’approccio dell’Associazione Mamojà ha permesso uno sviluppo territoriale, economico e culturale. Con la nascita di numerose cantine e con la messa in bottiglia dei vini è avvenuta la vera rivoluzione consentendo ai vini di Mamoiada di presentarsi nel mondo del vino con un’identità precisa: quella del territorio».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
I numeri della ProWine Shangai 2021 confermano la crescita ormai inarrestabile dei vini cinesi. I produttori del Paese del Dragone non sembrano accontentarsi dei premi e dei riconoscimenti conseguiti in Europa, a concorsi di livello globale come il Berliner Wine Trophy. Le cantine cinesi vogliono contare sempre più. Anche “a casa loro”.
A confermarlo sono i numeri dell’ultima edizione della Fiera leader dei vini e delle bevande alcoliche della Cina continentale. La kermesse è terminata l’11 novembre 2021, con un totale di 15.058 visitatori in tre giorni. Una cifra raggiunta grazie a molte presenze da Shanghai, ma anche da distretti cinesi come Hainan, Guangdong, Fujian, Hubei e Tianjin.
Oltre 450 gli espositori, provenienti da 18 Paesi. Ma il vero boom è quello delle etichette local. Molti nuovi produttori di vini cinesi stanno infatti cominciando ad emergere in diverse regioni, accanto a realtà già note come Yinchuan Helan Mountain Eastern Foothills Wine, Up Chinese Wine, Cofco Great Wall e China Wine Union.
NUOVE REGIONI PER I VINI CINESI
I dati della fiera parlano chiaro. La regione di Yinchuan Helan Mountain Eastern Foothills ha aumentato del 50% la sua superficie espositiva a ProWine Shanghai 2021. Ben 24 le cantine presenti, rispetto alle 16 del 2020. Spazio anche per un debutto assoluto. Quello della regione vinicola di Penglai Coast.
Una presenza che cresce anche dal punto di vista “politico”. Quest’anno hanno partecipato all’Industrial Forum della ProWine Shanghai il presidente Li Demei, Charles Treutenaere (direttore generale di Domaine de Long Dai), Lv Yang (l’unico Maestro Sommelier cinese) e Zhu Lili (Ceo e fondatore di Youdian Haohe).
Il forum ha inoltre ospitato The Future of Chinese Wine, “Il future del vino cinese”, che ha visto protagonisti Hao Linhai (presidente della Federazione dei vini Ningxia e della Ningxia Wine Federation), Jean-Guillaume Prats (presidente e Ceo di Domaines Barons de Rothschild Lafite) e Zhang Yanzhi (proprietario della tenuta Xige).
«La profonda collaborazione con ProWine si rinnova ogni anno – ha dichiarato Lv Yang, mw e fondatore di Grapea & Co – ma quest’anno si è fatto un passo avanti. La Cina è stata protagonista del forum principale della Fiera di Shanghai. Quasi tutti i corsi di perfezionamento enologico erano al completo. Noi educatori del vino siamo fiduciosi e sicuri del roseo futuro del nostro settore».
GLI ESPOSITORI INTERNAZIONALI DI PROWINE SHANGAI 2021
La ProWine Shanghai 2021 anticipa di qualche mese l’attesissima edizione di Prowein Düsseldorf 2022. «L’aver portato a termine la kermesse cinese così come previsto, nonostante le complicazioni in corso causate dal Covid-19 – evidenzia Michael Degen, managing director di Messe Düsseldorf – conferma pienamente il ruolo strategico ed internazionale della ProWine Shanghai. Il mercato cinese dei vini e delle bevande alcoliche rimane forte e si sviluppa bene. Crediamo che la prossima edizione sarà ancora più promettente ed imponente».
Ian Roberts, vice presidente di Asia at Informa Markets, aggiunge: «Nonostante le severe misure adottate contro il Covid-19, la ProWine Shanghai ha attirato ancora 15.058 visitatori. Avendo organizzato la ProWine parallelamente alla Fhc, la Fiera leader cinese del cibo ed ospitalità, siamo stati in grado di riunire allo stesso tempo tutti i principali importatori e distributori di prodotti alimentari e bevande alcoliche».
Soddisfazione anche tra gli espositori internazionali. Il padiglione del California Wine Institute ha organizzato il più grande stand degli ultimi nove anni. Uno spazio del 20% più ampio rispetto a quello dell’edizione 2020. Oltre a 19 cantine e numerosi viticoltori presenti in loco, 45 vini californiani sono stati presentati in occasione di specifiche masterclass.
NON SOLO VINI CINESI
Successo anche per il Padiglione Nazionale Canadese, il “Canadian National Pavilion“, realizzato con il sostegno di Agriculture and Agri-Food Canada (Aafc). Il suo ritorno alla ProWine Shanghai, dopo l’assenza del 2020, dimostra quanto il mercato cinese continui ad essere attrattivo per le aziende vinicole di tutto il mondo.
Non fanno eccezione le cantine francesi. Il padiglione della Francia, organizzato da Business France, è protagonista alla ProWine di Shanghai sin dal suo debutto nella Cina continentale, ovvero da 9 edizioni. Quest0anno Business France ha allestito uno stand di quasi 500 metri quadrati, a dimostrazione della sua «forte fiducia nella ripresa».
L’Italia non sta a guardare, in particolare con i suoi grandi brand. Tra le masterclas, seguitissima la Sassicaia Vertical Tasting, con annesso Business Partner Program Launch. Bene anche la Barrua Masterclass of Italy, con Agricola Punica. Tra gli altri, molto seguite la Slovenian Masterclass, la Château Angélus Masterclass e la Pinot Paradise Germany. Così come “Champagne in the Post-pandemic Era”, che ha affrontato il tema dello sviluppo e delle tendenze dello Champagne nel contesto del mercato cinese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Giovani, preparate e desiderose di dimostrare il loro valore “sul campo”. Ovvero nel calice. Sono loro, le giovani winemaker che hanno girato il mondo per tornare a casa, il volto più fresco e promettente del Villányi Franc. Stelle che hanno brillato sul palcoscenico della Franc&Franc International Wine Conference 2021, andata in scena il 19 e 20 novembre nel sud dell’Ungheria, patria dei vini rossi ottenuti da Cabernet Franc in purezza (340 ettari complessivi).
Un unicum nel panorama internazionale. Tanto che l’evento ha convogliato a Villány circa 200 professionisti internazionali del settore. Nel confronto con i vini magiari protagonista anche l’Italia, con il Costa Toscana IgpCabernet Franc 2017 di Duemani, cantina biodinamica di Riparbella (Pisa) guidata da Elena Celli e Luca d’Attoma (tra le più acclamate dal parterre).
La profezia di Michael Broadbent, critico di Decanter che, nel 2000, comprese le potenzialità del vitigno bordolese nel particolare microclima ungherese, sembra oggi tingersi di rosa. Levando di dosso, ai vini Villányi Franc, quel filo di “polvere” del classicismo e quel comun denominatore legato a poderosità e grassezza, conseguenza dei lunghi affinamenti in legno piccolo (spesso nuovo) e delle alte percentuali d’alcol in volume.
IL FUTURO DI VILLÀNYI
La svolta attuale porta il nome di giovani winemaker come Zsófia Kövesdi (a destra, nella foto di copertina) in forza a Jammertal Wine Estate. Enologa dalle idee chiare e di grande determinazione, è tornata in Ungheria «per lasciare il segno» dopo gli studi in Francia (Montpellier e Bordeaux) e la pratica in Australia, California e Portogallo. Riuscendo, addirittura, a tirare fuori dal cestello uno Chardonnay coi fiocchi (“Ars Poetica” 2020, che sa di Borgogna e di Australia, in “salsa” magiara), in una terra di rossi (90/100 al Villányi Franc 2016).
In rampa di lancio anche la giovanissima Pálma Koch (a sinistra, nella foto di copertina). Dopo l’esperienza poco più che ventenne a Stellenbosch, in Sudafrica, ha trovato il modo di coniugare il buono del “Nuovo mondo” con gli insegnamenti e l’esperienza pluriennale del padre Csaba Koch (già di per sé allergico a terziari troppo opprimenti). Il suo primo vino, un Syrah di grande dinamicità, con al centro l’autentica espressione varietale e primaria, fa ben sperare per il futuro percorso sul Cabernet Franc.
Non solo donne all’orizzonte del Villányi Franc. Accanto a monoliti e pionieri come Bock (in maturazione in botte nuove annate coi fiocchi, a rimarcare un cambio di passo che sa di consapevolezza del presente), Gere Attila Pincészete (strepitoso l’Ördögárok-dűlő 2017, 93/100) e Csányi Pincészet (promettente Kopár 2017, 91/100) si stanno affacciando nuove realtà. Tutte con le carte in regola per affermarsi. Ed entrare nell’Olimpo del Cabernet Franc internazionale.
VILLÁNYI FRANC, DIÓSVISZLÓ TERROIR SPECIALE
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È il caso di Ruppert Borház, che l’anno prossimo compirà 20 anni di attività. Ventisette ettari vocati alle varietà a bacca rossa, nella sottozona più promettente di Villányi, in termini di terroir: Diósviszló, ai confini occidentali della denominazione protetta. Il Franc di Ákos Ruppert (92/100) abbina in maniera magistrale concentrazione e freschezza. Frutto, balsamicità, spezie e terziari.
Tratti che distinguono anche il rosso iconico Super Premium di Koch (91/100) ottenuto dal vigneto Imre-völgydűlő che domina il borgo di Diósviszló, 737 abitanti. Tra i mostri sacri della regione vinicola di Villányi si iscrive anche qualche imprenditore straniero. Quella di Evelyne ed Erhard Heumann è una storia d’amore che porta la coppia ad investire in una cantina in Ungheria, dalle rispettive madrepatrie (Svizzera e Germania).
Heumann Pincészet nasce con l’intento di essere un hobby. Ma a quasi trent’anni da quel 1995, è ormai qualcosa di ben più definito. Ossessionati dalla qualità, Evelyne ed Erhard sono giunti al compimento del loro progetto sul Cabernet Franc con una straordinaria annata del loro vino bandiera, Trinitás Villányi Franc 2016.
Un successo bissato dalla vendemmia 2017, appena entrata in commercio (93/100). Guarda caso, ecco rispuntare Diósviszló nel blend (vigneto Nagyhegy), accanto a Vokány (vigna Trinitás).
Tra i vini più interessanti della Franc&Franc International Wine Conference 2021 anche il Cabernet Franc 2019 di Rácz Miklós Tamás (93/100). Inutile chiedere da dove provengano le uve. Ma l’onnipresente terroir di Diósviszló qui si mostra in una veste croccante, estremamente concreta, speziata. Eppure piena e gastronomica.
Succosità da vendere e uno dei varietali del vitigno meglio espressi della denominazione, per un vino giocato sull’eleganza, che ha tanta vita davanti. La prova provata che il Villányi Franc merita un posto d’onore, d’ora in avanti, sulle tavole di esperti e winelover internazionali.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Mentre in Italia continua senza sosta la campagna anti Prošek guidata dall’industria del Prosecco, sostenuta a tutti i livelli – tra una gaffe e l’altra – dalla politica, la Croazia sta alla finestra. E confida nell’esito positivo della procedura di iscrizione del suo vino dolce a Bruxelles. La carta per il riconoscimento, perdipiù, parlerebbe italiano. È un libro scritto nel 1774 e pubblicato a Venezia dal geologo e naturista Alberto Fortis (Padova, 1741 – Bologna, 1803), in cui viene menzionato per la prima volta il Prošek: “Put po Dalmaciji“, ovvero “Viaggio in Dalmazia“.
A rivelarlo in esclusiva a WineMag.it è l’Associazione dei viticoltori croati presso la Camera di Commercio della Croazia, l’Hrvatska gospodarska komora (Hgk). «Dopo quasi otto anni – dichiarano i produttori – la Commissione europea ha pubblicato la richiesta croata di protezione del termine tradizionale Prošek nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, il 22 settembre 2021 (2021/C 384/05). Prošek è un termine che è stato tradizionalmente usato in Croazia per secoli, per designare il vino da dessert ottenuto da uve dissecate».
La Camera di Commercio croata sostiene pienamente l’iniziativa di lunga data volta a proteggere il Prošek come termine tradizionale a livello dell’Unione europea. E sta dalla parte dei produttori di questo prodotto, appartenente alla categoria dei vini da dessert.
Riteniamo che questo requisito sia pienamente in linea con la procedura stabilita dall’Ue per la protezione delle menzioni tradizionali, a sua volta dipendente dalla protezione delle indicazioni geografiche, come livello superiore di protezione».
IN DALMAZIA DI PRODUCE IL VINO DOLCE PROŠEK DAL 1774
In Croazia, la legge parla chiaro. Solo i vini a Denominazione d’origine protetta possono utilizzare il termine Prošek in etichetta, sottostando alle condizioni previste dal disciplinare. Si tratta delle sole Dop Sjeverna Dalmacija, Srednja i Južna Dalmacija, Dalmatinska zagora e Dingač. Tradotto: Dalmazia settentrionale, Dalmazia centrale e meridionale, Entroterra dalmata e Dingač, subregione della Pelješac Peninsula, parte integrante del litorale vitivinicolo della Primorska Hrvatska, che corre dall’Istria a Dubrovnik.
Contro chi affibbia al Prošek le infamanti definizioni di italian sounding o di “imitazione del Prosecco”, c’è la storicità della produzione in Dalmacija. Un aspetto che l’Associazione dei produttori di vino croato tiene a rimarcare nell’intervista esclusiva a WineMag.it.
«Per capire cosa giustifica la richiesta di protezione del Prošek avanzata nei confronti dell’Ue – sottolineano i viticoltori – è importante sottolineare che il Prošek non è né un nuovo prodotto, né un nuovo termine. Quindi non dovrebbe essere trattato diversamente da altri prodotti protetti. Ci sono molte prove scritte a sostegno di questa affermazione».
La prima testimonianza conosciuta del Prošek è il libro “Put po Dalmaciji” (“Viaggio in Dalmazia”) pubblicato nel 1774, dove questo vino da dessert è menzionato come uno dei vini di maggiore qualità in quella parte della Croazia, nella seconda metà del XVIII secolo».
IL TESTO DELLO STUDIOSO ALBERTO FORTIS
«Il Territorio d’Almissa – recita il libro dell’abate Alberto Fortis – stendesi per quindici miglia lungo il mare sino a Brella. Quantunque non sia coltivato con molta intelligenza produce squisito vino: e la bontà de’ fondi vince la poco buona coltura. Il Moscadello, e ‘l Prosecco vecchio d’Almissa, e generalmente tutto il vino, che vi si fa con diligenza d’uve ben mature e riposate, merita d’aver luogo in qualunque banchetto. S’egli fosse più conosciuto lo vedremmo certamente preferito a molti vini stranieri, che costano una riguardevole annua somma di denaro alla Nazione».
Il Prošek – ricordano i produttori croati – è anche menzionato nella descrizione probabilmente più antica delle tipologie di vino in Croazia, elaborata nel 1823 dall’accademico Ivan Luka Garagnin, originario della città di Trogir (e formatosi a Padova, ndr). Questo documento è anche importante per spiegare l’origine della parola croata Prošek, che deriva dal processo di ottenere il vino dagli acini secchi».
Oggi è prodotto in piccole quantità: circa 80 milioni di bottiglie, contro i 620 milioni del terzetto Prosecco Doc, Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg e Asolo Docg. Non solo. «È commercializzato principalmente a livello locale – riferiscono i produttori – anche se trova alcuni conoscitori e clienti sia nel mercato dell’Ue che nei Paesi terzi». E la “pubblicità” offerta dalla battaglia italiana in Ue ne ha certamente accresciuto la notorietà. Se non altro nel Bel paese.
«OMONIMIA? POSIZIONE DELL’ITALIA SENZA GIUSTIFICAZIONI»
Un vino dolce che, in Croazia, è «particolarmente importante per i produttori e i consumatori nel contesto storico, turistico e gastronomico». Tanto che in Dalmazia è tradizionalmente presente in tavola in occasione di eventi e delle principali festività.
«Riteniamo che il quadro legislativo dell’Ue per la protezione delle menzioni tradizionali sia chiaro e trasparente. Garantisce una protezione adeguata delle menzioni che hanno soddisfatto le condizioni prescritte, senza compromettere i diritti dei prodotti già protetti», chiosano i vignaioli croati.
«Il sistema si basa sulla riconosciuta storicità dell’uso del termine tradizionale – prosegue l’Associazione iscritta alla Camera di commercio della Croazia – fornendo grado di protezione all’altezza. Proprio grazie a tale eccezionale tradizione, la produzione di Prošek deve essere riconosciuta anche dalla legislazione europea.
A nostro parere, i produttori croati hanno una legittima aspettativaper la protezione dei loro vini realizzati in modo tradizionale. Meritano il pieno accesso al mercato, con pari garanzie rispetto ai loro omologhi europei».
Spazio anche per un commento alla battaglia dell’Italia, che si oppone al riconoscimento in Europa. «Purtroppo – dichiara l’Associazione dei viticoltori croati – gli italiani si oppongono alla protezione del Prošek come termine tradizionale. Non vediamo alcuna giustificazione adeguata per una tale posizione».
«Si tratta di due prodotti completamente diversi e distinti. Inoltre – concludono – non vediamo alcun nesso di omonimia, come invece paventato dall’Italia. Le parole Prošek e Prosecco sono piuttosto diverse, sia in termini di pronuncia che di ortografia. Questo non può essere fuorviante per i consumatori in nessun caso».
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Per ora solo ipotesi, mentre il cerchio si stringe attorno a clienti e mandanti. L’ingente sequestro di alcol denaturato compiuto nelle scorse ore dalla Guardia di Finanza di Caserta potrebbe scoperchiare un sistema già noto alle forze dell’ordine italiane, anche fuori dai confini della Campania. Una volta giunto a destinazione, avrebbero potuto essere “ricondizionato“. Ed essere utilizzato per la produzione di vino o liquori dannosi per la salute, all’insaputa dei consumatori.
La scoperta è avvenuta ad un posto di blocco allestito dai finanzieri del Comando provinciale di Caserta a Cancello ed Arnone, non lontano da Castel Volturno. Su un camion targato Est Europa – la nazione di provenienza non viene svelata dagli inquirenti, per non intralciare le indagini – i militari hanno rinvenuto 26 mila di litri di alcol denaturato e 175 mila litri di prodotti simil-petroliferi.
Due sostanze senza correlazioni, solo in apparenza. Secondo quanto riferiscono le forze dell’ordine, il commercio illegale di merci destinate alla combustione e alla produzione di bevande alcoliche rappresenta «uno dei business più appetibili per la moderna criminalità economico-finanziaria».
Un mercato nero florido, che consente di realizzare «consistenti proventi illeciti, attraverso l’utilizzo e la manipolazione fraudolenta di prodotti in evasione di imposta e la conseguente immissione nella rete di distribuzione commerciale a prezzi altamente concorrenziali».
Da solo, l’alcol denaturato avrebbe fruttato circa mezzo milione di euro. Cinquecentomila euro, dunque, di cui 350 mila euro in imposte evase. Nel complesso, il valore del sequestro operato dai finanzieri supera il milione di euro. Le indagini sono ora volte ad accertare la provenienza della merce, priva di documentazione, nonché la destinazione e gli acquirenti.
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Guardia di Finanza e Carabinieri di Pavia in azione sulla base degli sviluppi dell’Operazione Dioniso. In corso dall’alba la confisca di immobili e disponibilità finanziarie di tre soggetti finiti nell’indagine, per un importo complessivo di 740 mila euro nelle province di Pavia e Cremona.
Si tratta del risultato delle indagini dirette dal sostituto procuratore Paolo Mazza, coordinate dal procuratore Mario Venditti. Le misure cautelari, disposte dal gip Tribunale di Pavia Luigi Riganti, sono la diretta conseguenza dell’Operazione Dioniso, svolta nel gennaio 2020 dalla Compagnia Carabinieri di Stradella e dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Voghera, con il Gruppo Carabinieri Forestale di Pavia e gli uomini dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e della Repressioni Frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf).
Otto gli immobili sottoposti a sequestro preventivo, insieme a numerosi conti correnti e ulteriori disponibilità finanziarie dei tre soggetti indagati a vario titolo indagati per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio e alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
Già nel gennaio del 2020, nel territorio dell’Oltrepò pavese e in altre 6 province tra Lombardia, Piemonte, Veneto e Trentino Alto Adige, i militari della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri avevano eseguito cinque arresti e complessive 28 perquisizioni domiciliari, locali e personali nei confronti di altrettanti soggetti indagati, aziende vitivinicole – in particolare la Cantina di Canneto – e laboratori analisi.
Le investigazioni, svolte anche attraverso intercettazioni telefoniche e videosorveglianza, avevano consentito di accertare che i vertici della cantina dell’Oltrepò pavese, con il concorso di un mediatore del settore vitivinicolo, enologi e titolari di aziende agricole conferitrici, commercializzavano vini a denominazione di origine controllata e a indicazione geografica protetta, in realtà contraffatti per quantità, qualità e origine.
IL MODUS OPERANDI DEGLI INDAGATI IN OLTREPÒ PAVESE
Il sistema messo in atto, sgominato dall’Operazione Dioniso, era semplice. Durante i conferimenti delle uve post vendemmia, venivano dichiarate differenti varietà di vite, generando falsa documentazione contabile. Inoltre, gli indagati avrebbero acquistato in nero ingenti quantità di sostanze vietate dalle norme del settore vitivinicolo, come zucchero invertito e anidride carbonica. Irregolarità anche nei parametri di utilizzo del mosto concentrato rettificato.
Le successive analisi della documentazione contabile ed extracontabile, svolta dalle Fiamme Gialle di Pavia, oltre al vaglio dei contenuti dei personal computer e dei telefoni cellulari in uso ai soggetti indagati, avrebbero consentito agli inquirenti di accertare che la Cantina produceva e commercializzava vini ottenuti mediante uve di tipologia diversa da quella indicata in etichetta, utilizzando prodotti non consentiti. Il tutto per assecondare le richieste del mercato.
Il valore dei sequestri preventivi frutto dell’Operazione Dioniso, in corso in queste ore, di fatto, è pari alla stima del presunto illecito profitto dei tre indagati, attraverso la frode in commercio. Il terzetto viene definito dagli inquirenti «direttamente responsabile della creazione della frode, attraverso la falsa documentazione rinvenuta e la gestione fraudolenta dei conferimenti effettuati dai coltivatori indagati».
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Dopo il terremoto sulla legge Lgbt, definita da molti osservatori d’ostacolo ai diritti di gay, lesbiche e transessuali, un altro terremoto scuote l’Ungheria di Viktor Orbán, che si prepara al voto di aprile 2022. I produttori di vino ungheresi chiedono al governo di Budapest di consentire agli avventori di poter bere vino al ristorante. L’Ungheria è infatti uno dei pochi Paesi rimasti nell’eurozona in cui è in vigore la tolleranza zero sull’alcol al volante.
Tradotto: bevi una birra, la polizia di ferma a un posto di blocco e sono guai. Patente ritirata e sanzione molto salata, anche in fiorini (in molti casi pari o superiore al salario medio mensile).
A guidare la rivolta è una colonna portante della viticoltura magiara: Joseph Bock, classe 1948, tra i più noti viticoltori di Villány, regione vinicola ungherese vocata al Cabernet Franc in purezza. Bock, esperto cacciatore di cinghiali e daini nel tempo libero, ha messo nel mirino da diversi da anni il proibizionismo del governo ungherese.
ALCOL AL VOLANTE, «TOLLERANZA ZERO IMPEDISCE LA CRESCITA»
Ieri l’ultima stoccata, sul palco di Franc&Franc 2021, manifestazione che ha convogliato nel Sud dell’Ungheria ben 175 wine expert da tutta Europa e non solo, ospitata come di consueto dalla cantina Bock.
«Dobbiamo cambiare questa assurda legge – ha dichiarato Joseph Bock – che mina l’evoluzione stessa della viticoltura ungherese. La tolleranza zero sull’alcol alla guida è d’ostacolo allo sviluppo dell’economia delle cantine magiare, che si stanno sempre più attrezzando anche sul fronte dell’enoturismo».
Siamo ormai uno dei pochi Paesi rimasti in Europa a non permettere a nessuno di bere neppure un bicchiere di vino al ristorante. Anche i turisti e gli enoturisti vivono col timore di consumare un calice di vino, perché corrono il rischio di vedersi ritirata la patente fuori dal ristoranti o dalle cantine».
«Chiunque abbia a cuore la crescita del settore – ha aggiunto Joseph Bock – deve supportarci in ogni modo per far sì che questo divieto venga abolito al più presto. Consentire una minima tolleranza è ormai vitale non solo per molte cantine e ristoranti, ma anche per tutto l’indotto di cantine, ristoranti e strutture ricettive ungheresi».
GIORNALISTI E CONSORZI DEL VINO UNGHERESE CON JOSEPH BOCK
Zoltán Győrffy (nella foto sopra), direttore del wine magazine ungherese Pécsi Borozó, si allinea alla posizione di Bock. «Chi viene pizzicato alla guida con appena 0.25 mg/l di alcol – spiega in esclusiva a WineMag.it – rischia in Ungheria una multa da un minimo di 200 a un massimo 200 mila euro. Quest’ultimo è chiaramente un valore estremo, che tiene conto di eventuali danni causati a persone o cose».
Vedersi rifilata una sanzione da 300 euro e da uno a tre mesi di sospensione della patente è comune, nel Paese. Il punto è che, così facendo, si pone un limite alla cultura del vino ungherese, che deve pur essere bevuto responsabilmente».
«Penso che il governo debba rivedere le norme attuali – conclude Zoltán Győrffy, membro tra l’altro dell’ufficio di gabinetto del rettore dell’Università di Pécs – introducendo una tolleranza minima per chi si mette alla guida, simile a quella di altri Paesi produttori di vino, come per esempio l’Italia. La tolleranza zero è d’ostacolo all’enoturismo, alle nostre cantine e a tutte le aziende della ristorazione e dell’ospitalità».
Tra i favorevoli a una revisione della legge c’è anche Péter Molnár, direttore del Consorzio Vini di Tokaj, la più nota e rinomata regione vinicola ungherese. «L’auspicio – commenta a WineMag.it – è che questa legge cambi, per il bene dell’enogastronomia ungherese».
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“Fanculo“. Sfondo blu, scritta bianca. In maiuscolo. È un cartello. Ma ha più l’aria del manifesto. Della sintesi. Del collante di una vita spesa a difendere ideali. Convinzioni. Princìpi scomodi, appiccicosi. Fanculo, sì. In fin dei conti, più che un insulto, una corazza. Quella di cui Fulvio Bressan ha bisogno per stare al mondo. Dentro e, forse, ancor più fuori da una cantina che è diventata negli anni covo carbonaro, laboratorio di idee liquide.
Fucina di vini uguali solo a se stessi. Microcosmo di un vignaiolo che è i suoi vini. E per il quale i suoi vini parlano. Dicono così, anche loro: “Fanculo”. Conchiglie incazzate da avvicinare al naso e alla bocca, al posto dell’orecchio. Per sentire il mare che hanno dentro. E andare oltre, persino all’apparenza.
Piaccia o no (lui) e piacciano o no (i suoi vini), a Fulvio Bressan poco importa. Quella freccia, quel cartello. Quel “fanculo” maiuscolo, con la punta in direzione opposta, critica, contraria all’ingresso della cantina, sta lì a sintetizzare un approccio più filosofico che pragmatico e volgare.
FULVIO BRESSAN, PSICOLOGIA E VIGNA
Liceo Classico, diverse esperienze in cantina a Bordeaux. Prima ancora di dedicarsi vita, anima, schiena, mani e corpo alla vigna, una laurea in Psicologia clinica che lo ha portato a lavorare per 5 anni in un centro oncologico infantile, dove ha «visto morire 484 bambini». «Facevo terapia del dolore», spiega a un paio di metri da quel “manifesto”, con la voce che si fa ancora più profonda, penetrante.
Un’esperienza che mi ha portato a una conclusione molto semplice: in una vita che dura troppo poco per essere vissuta male, posso sopportare chi sta male, ma non chi sta bene. Ergo: se non ti sopporto te lo faccio capire e arrivano i vaffanculo col camion. Il fanculo ha un sapore dolce. Specie se lo dai col “lei”, condendolo con qualche altra parola dolce…».
Sono passati appena dieci minuti da quando Fulvio Bressan è entrato nel cancello dell’azienda di via Conti Zoppini 35, a Farra d’Isonzo, stropicciando di 90 gradi il volante del suo fuoristrada. Pochi convenevoli, mentre alle sue spalle si abbassa la polvere del selciato, graffiato da gomme giganti. A parlare, adesso, è il vino.
Nel calice c’è Carat 2018, appena imbottigliato: Tocai Friulano, Malvasia Istriana e Ribolla Gialla. «Di solito lo imbottiglio dopo 4 anni – spiega – ma questo lo sentivo pronto prima e abbiamo fatto uno strappo alla regola». Del resto, i vini di Fulvio Bressan sono merce rara.
«Ho richieste pari a quattro volte la produzione. Ma l’azienda – si affretta a precisare – non crescerà più dei 20 ettari attuali. Più di così, cadrei nell’industria. Chi mi conosce dice che non potrei fare un vino diverso da quello che faccio. E chi mi conosce solo dopo aver bevuto i miei vini diverse volte, finisce sempre per dire che ci assomigliamo, io e loro. Anzi, che siamo proprio uguali».
CARAT 2018, COME SETA
Carat è un vino generoso, deciso. Sa di frutta matura a polpa gialla. Spazia dalla pesca all’ananas maturo, dall’albicocca al melone retato. Svolgimento orizzontale, ma anche una discreta dose di profondità, data da qualche accenno di spezia ed erba aromatica. Il sottofondo è di magistrale cremosità. Tanto da avvolgere il palato su tinte mielate che solleticano gli accenni di tannino, in chiusura di sipario.
Più passano i minuti, più Carat si apre nel calice. E più il telefono di Fulvio Bressan squilla. È un susseguirsi di “no” a potenziali clienti. Manca la materia prima, in bottiglia: «Guardi, mi spiace. Siamo senza vino, richiami a gennaio».
Eppure, cavare un complimento da papà Nereo è un’impresa. «La natura è ingiusta: le zucche più grosse vengono sempre ai contadini più stupidi», scherza il 90enne, entrato nel frattempo in cantina come un gatto silenzioso, in punta di piedi. «Ci voleva un mona laureato come te per fare i vini buoni», rincara la dose. Poi si fa serio.
«Parlare di vino è pesante, gente mia. Il vino, è vino. Ormai i vini sono tecnici. In cantina ci sono i tecnici: sale, pepe, aggiungi, togli. E la gente beve le ricette. Questi vini piacciono? Sì? Bene. Non piacciono? Quella è la porta. Finita la commedia! Ma questo è vino – aggiunge poi Nereo Bressan, per la felicità del figlio – perché è fatto in vigna, senza diserbi, polveri e veleni».
Uno dei segreti dei vini dei “Mastri Vinai” Bressan, di fatto, è la maturità delle piante, che raggiungono anche i 120 anni di vita. «L’industria fa vino a 3 anni dall’impianto – chiosa Fulvio -. Quando secondo noi la pianta sta iniziando a dare il meglio, ovvero attorno ai 20-25 anni, le grandi cantine estirpano, perché la vigna non produce più le quantità desiderate, ormai spremuta all’osso».
L’ALTRA VARIABILE BRESSAN: I LEGNI
Il tempo è un valore, non un nemico in quest’angolo di Friuli Venezia Giulia. Ne è una riprova il Pignol 1997 “Nereo”, in magnum. Del capostipite, a cui questo vino è dedicato, ecco l’energia vitale e la tensione. Il nerbo, il carattere. L’allungo bellissimo ed elegante, nella sua autenticità.
Stratificazione infinita, giocata sull’alternanza di frutto e macchia mediterranea (netto l’alloro, ma anche l’origano), fiori e spezie. Un vino ulteriormente incomplessito da terziari conferiti dalla micro ossigenazione in affinamento, che denotano l’attenzione maniacale di Fulvio Bressan alla delicatezza aromatica dei legni.
In cantina, mezzo bosco: gelso, castagno, ciliegio selvatico, pero selvatico, acacia e frassino. Doghe da 50 millimetri, stagionate per minimo 8 anni, ovvero un anno e mezzo a centimetro. Tutte piegate a vapore, perché da Bressan sono bandite le tostature. La variabile tra legno e legno risiede solo nella quantità d’aria trasmessa, in base alla porosità.
E non è detto che un vino non passi in due legni, prima di essere messo in bottiglia. Il colpo di genio, in grado di stravolgere un vino già di per sé buono ma non perfetto, vede protagonista un’altra chicca della cantina di Farra d’Isonzo: il Moscato Rosa “Rosantico”.
CAPOLAVORI DI VIGNA E DI STILE
Strepitosa la vendemmia 2016, che sta per andare in commercio: la migliore di sempre, per pulizia e per capacità di annullare i sentori pirazinici (tendenti all’amaro), in favore di un allungo sapido infinito, su cui torna a danzare croccante la frutta rossa d’ingresso.
Resta in bocca fino a che non ci entra l’ultima chicca: lo Schioppettino 2016. C’è molto più della mora di gelso tipica del vitigno (Ribolla Nera) in questo concerto di lavanda, pino, resina, rosa, violetta, unita al corredo d’archi dei piccoli frutti di bosco a bacca rossa e nera, dal ribes al mirtillo.
C’è Fulvio stesso in quest’altro capolavoro. La sua determinazione, la profondità della sua voce. Il suo fisico, anzi la sua stazza. Il carattere indomito e solo apparentemente rude, ingentilito dalla vicinanza di una donna e moglie raffinata come Jelena Misina.
C’è tutto Fulvio Bressan nello Schioppetto, più che in qualsiasi altro nettare della cantina. C’è anche il suo “fanculo”: questa volta indirizzato alle lancette dell’orologio, contro le quali vincerà a mani basse la prova del tempo. Dandogli del lei, s’intende. Prosit.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Le imprese “cartiere” foggiane emettevano fatture per operazioni inesistenti, come fittizie forniture di mosto, in favore di una società vitivinicola con sede a Ravenna, collegata all’organizzazione criminale che, in questo modo, acquisiva ingenti crediti fiscali nonché il diritto ad accedere ad aiuti comunitari erogati dall’Agea. Questo il quadro dell’Operazione Baccus.
Sulla base delle investigazioni avviate nel 2012 tra Puglia ed Emilia Romagna, i Finanzieri del Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata (Scico) e del Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari, con il supporto di militari dei Gruppi del Corpo di Ravenna e Forlì, stanno dando esecuzione a un provvedimento di confisca definitiva emesso dalla Prima Sezione Penale della Corte d’Appello di Bari.
Al centro dell’operazione di questa mattina, beni immobili del valore complessivo di oltre 4 milioni di euro, tra i quali fabbricati e fondi agricoli ubicati nelle province di Ravenna e Forlì.
Sono stati emesse misure cautelari personali nei confronti di 24 soggetti (17 in carcere e 7 agli arresti domiciliari), indagati – a vario titolo – per le fattispecie di reato di associazione per delinquere finalizzata all’usura e all’estorsione, aggravate dal metodo mafioso, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode fiscale.
Convalidato inoltre un provvedimento di sequestro di beni, emesso d’urgenza dal pm titolare del fascicolo penale, per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro.
METODO E FINALITÀ MAFIOSE
L’esecuzione del provvedimento di confisca dei beni rappresenta l’epilogo di una “tranche” della complessa e articolata attività investigativa denominata convenzionalmente Operazione Baccus, coordinata dalla locale Direzione distrettuale antimafia.
Le investigazioni, svolte per lo più attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali nonché accertamenti bancari, hanno permesso di svelare l’esistenza e l’operatività di un’associazione criminale, con base operativa in provincia di Foggia, protagonista di numerosi episodi all’usura e ed estorsione, aggravate dal metodo e dalla finalità mafiose, nonché di frodi fiscali in danno dell’Erario e dell’Unione Europea.
Il tutto, attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, da parte di «numerosi soggetti economici controllati dal sodalizio, anche per il tramite di prestanome», spiegano gli inquirenti.
OPERAZIONE BACCUS: COME AGIVANO GLI INDAGATI
La società ravennate pagava tali forniture fittizie alle imprese “cartiere” foggiane, con bonifico e maggiorazione dell’Iva, impiegando disponibilità finanziarie provento delle attività illecite commesse dall’organizzazione criminale.
Nel contempo, conseguiva indebiti rimborsi fiscali per oltre 11 milioni di euro e illeciti contributi comunitari per oltre 18 milioni di euro. I primi provvedimenti risalgono al giungo 2012, quando il competente Gip del Tribunale di Bari accoglieva la proposta formulata dalla locale Dda, «fondata sul solido compendio indiziario acquisito dalle Fiamme Gialle».
Il successivo 1° febbraio 2019, sempre nell’ambito dell’Operazione Baccus, la Corte di Appello di Bari ha condannato 6 imputati per le fattispecie di reato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e alla frode fiscale, disponendo la confisca di fabbricati e fondi agricoli, ubicati nelle province di Forlì e Ravenna, per un valore di oltre 4 milioni di euro.
Tale sentenza è divenuta oggi irrevocabile, comportando la confisca definitiva dei beni, in corso in queste ore. Nel medesimo contesto investigativo, il 10 marzo 2021 il Gico di Bari – con la collaborazione delle Compagnie del Corpo di Foggia, Trani e Ravenna – ha eseguito 4 ordini di carcerazione emessi dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bari (Ufficio Esecuzioni Penali).
Oggetto del provvedimento sono quattro soggetti condannati a vario titolo per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi in danno dell’Erario e dell’Unione Europea. Nei confronti degli indagati è stata inoltre disposta la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva.
Continua dunque in maniera incessante l’azione dello Scico e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bari, in sinergia con l’Autorità Giudiziaria barese, volta a contrastare estorsioni ed usura, nonché ogni forma di inquinamento dell’economia legale, per salvaguardare gli operatori economici e i cittadini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Non occorre essere super esperti di storia dell’arte per comprendere il senso del nome affibbiato da Luigi Moio al suo Greco di Tufo, frutto di un cru del comune di Tufo (Avellino), in Irpinia. Il “giallo cromo” è il colore che incanta Van Gogh ad Arles, tanto da ingerirlo dal tubetto per “portare dentro la felicità” che riusciva a trasmettergli.
Sempre ad Arles, Van Gogh dipinse uno dei pochi quadri che sia mai riuscito a vendere: “La vigna rossa”, in cui il giallo cromo del sole e del cielo si tuffa nel rosso-arancio e ramato delle foglie della vite. Ebbene, non è forse il Greco di Tufo, per certi versi, un “rosso travestito da bianco”?
IL GIALLO D’ARLES SECONDO QUINTODECIMO
Quello di Quintodecimo racconta bene il concetto. Si presenta sì d’un giallo paglierino acceso, ma al naso rivela tinte agrumate che virano più sulla sanguinella e sul mandarino che sul cedro e il bergamotto. Poi, un’esplosione di fiori di campo e di verde pregiatissimo, da macchia mediterranea.
In bocca, la vena minerale marcata fa da spalla – anzi, da spina dorsale – alla generosa ampiezza del frutto maturo. Da “rosso” è anche la tinta asciutta di un sorso che fa a meno dei tannini ma sfrutta freschezza e dinamicità verticale, per tendere la beva come un arco.
Vino, questo Greco di Tufo 2019 Giallo d’Arles di Quintodecimo, manifesto del vitigno campano, con una vita lunghissima davanti. Un bianco che mette felicità. Un po’ come il “Giallo d’Arles” faceva con Van Gogh. Chapeau.
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Il vino della cantina del presidente Ais SiciliaCamillo Privitera è stato premiato dalla stessa Ais nella Guida Vitae 2022, con le “Quattro Viti”. Il massimo riconoscimento dell’Associazione italiana Sommelier è stato dunque assegnato a un’etichetta – l’Etna Doc Rosso di Vigneti Primaterra – prodotta da un socio, nonché uno dei suoi massimi rappresentanti nazionali.
Un premio destinato a far discutere in vista del 54° Congresso Nazionale Ais, in programma a Bologna dal 19 al 21 novembre. A confermare che le “Quattro viti” alla cantina di Randazzo (CT) non siano passate inosservate in Sicilia, c’è l’email di alcuni vignaioli siciliani indirizzata a WineMag.it.
LA LETTERA
«Egregio Direttore – recita la missiva – mi chiamo X (omissis, ndr). Insieme ed un gruppo di amici ho deciso di scriverle per comunicare un fatto che ci dà parecchio fastidio e che ci sminuisce in quanto onesti lavoratori della terra e produttori di vino».
Abbiamo appreso che tra i vini con il più alto punteggio nella guida dei sommelier Ais, per la Sicilia è stato premiato il vino rosso della Cantina Primaterra dell’Etna, condotta dal presidente regionale di Ais Sicilia, Camillo Privitera.
Questo fatto pone seri dubbi sulle degustazioni effettuate per la guida dei vini siciliani dei sommelier, dal momento in cui lui stesso, oltre ad essere presidente regionale, è il responsabile effettivo della guida».
Ufficialmente, il responsabile della Guida Vitae per la Sicilia è Orazio Di Maria. Come confermano numerosi video, Camillo Privitera, proprio in virtù del suo ruolo, è sempre presente alle premiazioni, pur non partecipando alle degustazioni.
Un esempio? La diretta Facebook del 5 dicembre 2020, in cui il presidente nazionale Ais Antonello Maietta si collega in streaming con l’isola, per premiare Cantine Nicosia.
In quell’occasione, Graziano Nicosia, rappresentante della famiglia di produttori premiati dall’Associazione italiana sommelier con il Tastevin 2021, è seduto al centro. Proprio fra Orazio Di Maria e Camillo Privitera.
«Noi ogni giorno col nostro lavoro e col nostro sudore ci impegniamo assiduamente a fare vino – continua la mail inviata dai vignaioli siciliani a WineMag.it – e ci vediamo mortificati come piccoli produttori quando vediamo che, addirittura un presidente regionale dei sommelier, vede premiato un suo vino, non potendo far altro che pensare male di questo circuito».
«Perché l’Associazione dei Sommelier fa queste cose, penalizzando piccoli e grandi produttori a vantaggio di chi dovrebbe essere imparziale? La preghiamo cortesemente, direttore, di aiutarci a fare luce su questo avvenimento immorale e per noi ingiusto», è la chiosa alla lettera ricevuta dalla nostra redazione.
LA REPLICA DI CAMILLO PRIVITERA
Raggiunto telefonicamente da WineMag.it, Camillo Privitera, titolare della cantina Primaterra con la moglie Tiziana Gandolfo, si mostra tranquillo e per nulla preoccupato dalle polemiche.
«Non mi devo giustificare con nessuno – commenta il presidente Ais Sicilia – e se qualcuno ha qualcosa da dire, è libero di farlo. È un tema che potrebbe essere sollevato per qualsiasi soggetto che fa comunicazione e che si occupa di vino. Basti pensare a tutto quel comparto dei cosiddetti influencer».
Sono uno che non ha mai chiesto un vino o bevuto un vino che fosse regalato. Cose dette così hanno il sapore della perfidia, della malafede e della cattiveria, ovvero il sapore del “niente”. Sarebbe più opportuno fare queste domande al referente della Guida, Orazio Di Maria».
«Il presidente Ais Sicilia non fa le degustazioni, non sceglie il gruppo dei degustatori e non partecipa minimamente in nessun contesto della Guida Vitae. Questa pubblicazione vive da anni, non da adesso, di una sua autonomia», conclude Camillo Privitera.
Più in generale, l’Etna Doc Rosso 2016 di Vigneti Primaterra è uno dei 18 vini siciliani premiati da Ais. Il massimo riconoscimento delle “Quattro Viti” è stato assegnato anche ad altri 6 vini prodotti sulle pendici del vulcano.
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Fare sistema e diventare un punto di riferimento per l’enoturismo magiaro. È questo l’obiettivo che si è data la regione vinicola ungherese di Villány. La zona meridionale dell’Ungheria è già nota per la produzione di vini rossi da uve Cabernet Franc in purezza. Una rarità in Europa e nel mondo. Al marchio collettivo già apposto alle pregiate bottiglie di Villány Franc sarà affiancato un nuovo logo, utile a contraddistinguere i prodotti agroalimentari del “Districtus Hungaricus Controllatus” di Villány.
Dal punto di vista grafico, così come per il vino, al centro del nuovo marchio di qualità ci sarà il crocus ungherese. Un fiore raro e protetto in Ungheria, caratteristico della parte meridionale della collina di Szársomlyó, la più alta della regione vinicola con i suoi 442 metri sul livello del mare. Il crocus è stato scelto simbolicamente: è il primo a spuntare in primavera, nonché il primo a fiorire.
L’operazione di branding collettivo è frutto del lavoro della Strada del Vino di Villány-Siklós, presieduta da Dóra Boglárka Kovács, in collaborazione con il Villányi Borvidék, il Consorzio Vini locale, e con le autorità nazionali magiare. In settimana. il progetto ha raccolto le prime adesioni.
NON SOLO VINO NELLA REGIONE DI VILLÁNY
Accanto alle storiche cantine Bock, Gere Attila e Tamás Gere e Zsolt si sono schierati Báthori Méhészet, produttore di miele di acacia e di castagno; Olajütő Szociális Szövetkezet, oleificio di Ormánság che, tra l’altro, ha un ruolo sociale fondamentale in un’area rurale ad alto tasso di povertà e disoccupazione, al confine con la Croazia (Baranja). In squadra anche Szarkándi László, che a Túrony produce marmellate e sciroppi artigianali.
Le stesse cantine Bock, Gere Attila non producono solo vino, ma anche olio di semi, micromacinati, compresse e creme per la cura del viso e del corpo. Mentre la cantina Tamás Gere e Zsolt si è specializzata anche nella produzione di succo d’uva naturale.
Verrà dunque creata una «mappa gastronomica», online e cartacea, utile a promuovere i produttori locali della regione vinicola di Villány. Una sorta di guida, in cui saranno inclusi anche le strutture ricettive, come hotel e Bed & Breakfast, oltre ai migliori ristoranti.
Le aziende del circuito potranno apporre il nuovo marchio sulle confezioni dei loro prodotti. «Ora – spiega Dóra Boglárka Kovács – la sfida più grande sono i piccoli perfezionamenti, ovvero i dettagli. L’obiettivo è sviluppare un sistema di marchi, ben funzionante a lungo termine».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È arrivato puntuale ai professionisti e alle aziende del settore Horeca il catalogo Cesti e regali di Natale 2021 di Metro Italia Cash & Carry. Quali sono i migliori cesti natalizi sotto i 100 euro (Iva esclusa)? Ecco i suggerimenti di WineMag.it, che tengono conto soprattutto dell’offerta enologica.
Non risultano particolarmente accattivanti i vini inseriti nei cesti di prezzo compreso tra 86,99 e 99,99 euro. In compenso, il quadro inizia a diventare interessante con il Cesto Le Bontà dello Chef, in vendita a 81,99 euro.
A convincere, in questo caso, sono le due etichette della cantina friulana Fantinel (spumante Cuvée Prestige e Rosso Doc Friuli Refosco Borgo Tesis), a fare da contorno a una buona offerta food e al vino liquoroso Sancte della linea “I Tesori” di Sante Bucciarelli.
Non male anche il Cesto Forziere Mediterraneo (76,99 euro) con lo spumante Mionetto Vivo Cuvée Blanc Extra Dry (fare attenzione: non è un Prosecco Doc né Docg, bensì uno spumante generico) e il Montepulciano d’Abruzzo Doc Bellaia. Stessi vini presenti nel Cesto Cortina (54,99 euro) in cui varia però la proposta alimentare.
Ancor meglio, a un euro in meno (75,99 euro) il Cesto Conte (nulla a che fare con l’ex premier pentastellato). All’interno, lo Spumante Brut Metodo classico Piero Catturich (attenzione, non è un Franciacorta Docg) e il Montepulciano d’Abruzzo Doc 1910 dell’imbottigliatore pavese Losito e Guarini.
I MIGLIORI CESTI NATALIZI 2021 DI METRO ITALIA
Sotto i 70 euro aumentano le difficoltà a reperire vini davvero convincenti nei cesti. Chiudendo un occhio e strizzando l’altro al portafogli, si può propendere per il Cesto Betulla, a 67,99 euro.
All’interno, lo Spumante Chardonnay Brut Clarius di Concilio (anche in questo caso attenzione: non si tratta di un Trento Doc, bensì di una “bollicina” generica) e il Rosso Trevenezie Igp Merlot della stessa cooperativa di Volano (TN).
Curioso l’abbinamento del Cesto Archimede, che abbina il Prosecco Millesimato Butterfly di Astoria (ecco finalmente un Doc) al liquore al caffè della Distilleria Montanaro di Alba (CN). Il prezzo, comprensivo della parte food? 63,99 euro ben spesi.
Per chi è ancora più attento allo scontrino, interessante l’abbinamento Lambrusco Doc Cà de Medici e Sangiovese Igt Sant’Orsola. Costa 39,99 euro ed è presente nel Cesto Gran Emilia. Sotto ai 30 euro, gli stessi vini sono reperibili nel Cesto Gran Dispensa (25,99 euro).
LE MIGLIORI CONFEZIONI E CASSETTE DI NATALE 2021
Ampio spazio, sul Catalogo di Natale Metro Italia 2021, anche per eleganti confezioni e cassette di vino in legno, alcune delle quali comprensive di accessori. Il tutto a un prezzo inferiore ai 100 euro. Tra queste, da non perdere la magnum di Amarone della Valpolicella Classico Docg di Santa Sofia, con decanter a 79,90 euro.
Con 10 euro in più (89,90 euro), senza cambiare zona o cantina si può portare in cassa (e poi a tavola) la Degustazione verticale di Amarone 2011, 2013 e 2015. Un bel modo per sperimentare quanto il meteo e le condizioni climatiche della vendemmia incidano nella produzione del grande rosso del Veneto.
Appena sotto ai 100 euro vale la pensa di investire sul terzetto piemontese della Cassetta degustazione verticale Barolo Docg I Classici di Marchesi di Barolo. All’interno, tre bottiglie delle vendemmie 2014, 2015 e 2016.
TOSCANA, CAMPANIA E PIEMONTE
Per gli amanti della Toscana, ecco la Cassetta Rossi Toscani di Marchesi Antinori. Per 79,99 euro ci si porta a casa due bottiglie per tipo di Chianti classico Docg Pèppoli, Rosso Toscana Igt Villa Antinori e Bolgheri Doc Il Bruciato.
Senza cambiare regione, convince la Cassetta Toscana Frescobaldi (67,99 euro), comprensiva di 2 Nipozzano Chianti Riserva, due Campo ai Sassi Rosso di Montalcino e due Toscana Igt Tenuta Frescobaldi.
Sotto ai 50 euro, convengono la Cassetta Montalcino di Banfi (Rosso Toscana Igt Centine, Rosso di Montalcino Doc e Brunello di Montalcino Docg) a 43,99 euro. Per gli amanti dei bianchi, a 49,99 euro la Cassetta Feudi di San Gregorio con Irpinia Aglianico Doc Rubrato, Greco di Tufo Docg e Falanghina del Sannio Doc (2 bottiglie a testa).
Perfetta per chi vuole variare tra bianchi e rossi la Cassetta Ratti, direttamente dalle colline del Piemonte patrimonio dell’Unesco. Per 43,99 euro il terzetto è così composto: Chardonnay Langhe Doc Ochetti, Dolcetto Langhe Doc Colombé e Nebbiolo Langhe Doc Ochetti.
METRO: LE MIGLIORI CONFEZIONI DI NATALE SOTTO AI 40 EURO
Validissime quasi tutte le proposte enologiche “bipack” o “tripack” sul Catalogo Cesti e Regali di Natale di Metro Italia Cash & Carry, sotto ai 40 euro. Tra queste, sono da preferire Cassetta Valpolicella Bertani (37,99 euro), Cassetta Montalcino Col d’Orcia (37,90 euro) e Cassetta Cantina Bolzano (38,99 euro, con cavatappi professionale).
Scendendo ancora di fascia prezzo, bene la Confezione Duetto Astoria (11,99 euro) e la Cassetta Duetto Frescobaldi (18,99 euro). Tra le bottiglie di grandi formati come il Jeroboam, ottimo prezzo per l’Amarone della Valpolicella Docg Santa Sofia a 104,99 euro.
Da non perdere la Magnum di Bolgheri Doc Il Bruciato di Marchesi Antinori (36,99 euro), così come la Magnum di Amarone della Valpolicella Classico Docg Costasera di Masi. Per gli amanti dello spumante, scelta obbligata per il Magnum Brut Cuvée Prestige Bellussì di Bellussi.
Infine, per chi vuol giocare fuori dai confini nazionali, il Magnum di Bordeaux Aoc rouge Chateau de Costis (12,99 euro) è da preferire al Magnum Cariñena Do Roble La Sastreria (6,99 euro).
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Due sequestri per complessivi 10.550 ettolitri tra mosti e vini per un valore di 1 milione di euro. È il bilancio dell’operazione compiuta tra il 9 e l’11 novembre dagli ispettori dell’ufficio periferico Icqrf Repressione Frodi della regione Puglia.
Gli uomini del pool del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali hanno controllato la documentazione detenuta in uno stabilimento vinicolo della provincia di Foggia. I vini presenti in cantina non erano registrati nel registro telematico del Sian.
Agli oltre 9 mila ettolitri di vino non erano associate nemmeno le relative documentazioni contabili, impedendo di rilevare la tracciabilità delle materie prime e delle attività produttive. A questo sequestro, del valore di circa 900 mila euro, si affianca quello operato in uno stabilimento vinicolo della provincia di Bari.
Gli Ispettori del Mipaaf hanno sottoposto a verifiche circa 700 ettolitri di vini allo stato sfuso, che riportavano illecite indicazioni relative a vitigni, privi peraltro della necessaria tracciabilità. Il sequestro ammonta a circa 100 mila euro.
Le operazioni si inquadrano nelle costanti attività portate avanti dal Mipaaf in collaborazione con le forze dell’ordine. L’obiettivo è reprimere le frodi, garantire i diritti dei consumatori e sostenere le aziende che rispettano le norme in materia di qualità dei prodotti.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Doppia figuraccia del Governo Draghi in diretta tv, sulla telenovela Prošek croato contro Prosecco italiano. Protagonista Gian Marco Centinaio, sottosegretario al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, intervenuto mercoledì 10 settembre al programma Re Start di Rai 2.
In studio con l’altro ospite Oscar Farinetti, Centinaio dapprima sembra ammettere che il Prošek, in quanto “vino dolce“, non costituisca ad oggi una reale minaccia per il Prosecco. Poi rincara la dose, equiparando la querelle in corso tra Italia e Croazia a quella della Francia contro la Spagna, per gli “Champanillo“.
«Il rischio più di tutti – ha dichiarato testualmente l’ex ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio – è che l’Europa autorizza il marchio del brand Prošek. Sono qualche decina di migliaia di bottiglie e teoricamente non dovrebbero impaurire nessuno. Domani il Prošek decidono di cambiare il disciplinare e fanno un Prošek frizzante, simile al Prosecco. La cosa è finita lì: abbiamo creato l’italian sounding in Europa».
LA GAFFE SUI TAPAS BAR “CHAMPANILLO”
Forse ancor più pesante il secondo scivolone tv del sottosegretario del Governo Draghi, non corretto né dalla conduttrice né da Oscar Farinetti. «L’Europa ha bloccato la diatriba tra la Francia e la Spagna sullo Champagne – sono le parole di Centinaio – analoga a questa. La Spagna stava producendo lo Champanillo. La Francia ha detto: “No, non puoi chiamarlo così”. Perché? Perché inganna il consumatore».
In realtà, come riportato da WineMag,it il 9 settembre 2021, “Champanillo” non era un vino spagnolo, bensì una catena di Tapas bar diffusa in diverse località turistiche della Spagna, in particolare in Catalogna.
«Il nome Prosek è ingannevole. Io conosco persone di livello culturale medio che pensano che “Prošek” sia la traduzione inglese di “Prosecco”», ha aggiunto Centinaio, scatenando la reazione di Oscar Farinetti. «Si gioca sull’ignoranza – la replica – quindi facciamo le leggi sull’ignoranza».
«PROŠEK NON È ITALIAN SOUNDING»
«Io sono stato là in Dalmazia – ha evidenziato l’imprenditore, patron di Eataly – da questi quattro contadini. Il Prošek è un vino costoso, importante: è un’altra storia. Un vino di cinque anni di invecchiamento, di antiche tradizioni. Costa dieci volte il Prosecco. Il tema è: questi contadini strepitosi, piccoli, meravigliosi, brava gente, sono disponibilissimi a scrivere “Prošek dalmata” grosso come una casa sulle etichette. E non vedono l’ora».
Secondo Oscar Farinetti, «Prošek e Prosecco sono due cose completamente diverse: è come paragonare una bicicletta con un’automobile». «Non è italian sounding – ha sottolineato – sono secoli che lo chiamano Prošek . Noi siamo un paese di sciovinisti. È una storia di nicchia, piccola, di un paesino. E noi andiamo a fare Golia. Veramente non è un problema. I problemi dell’italian sounding sono altri».
FARINETTI: «ZAIA? FA SCENA»
Spazio anche per una stoccata al governatore della Regione Veneto: «Anche Luca Zaia dice che non è un problema: fa scena, è logico!», ha attaccato Farinetti, sempre in diretta tv Rai, a Re Start. «Questo è il modo di lavorare nel nostro Paese – ha aggiunto – ci occupiamo di robe che non esistono e perdiamo di vista il grande problema».
Sempre secondo l’imprenditore piemontese, «siamo diventati i migliori al mondo grazie alle generazioni che ci hanno preceduto, che non si occupavano di queste stupidaggini del Prošek e del Prosecco. Mentre noi facciamo i poliziotti, esportiamo la metà della Francia e meno della Germania. Noi, così fighetti, esportiamo la metà di quello che potremmo».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Qualità media dei vini altissima a TheWine Rendez-Vous2021. Protagoniste 19 cooperative vinicole francesi, che hanno messo in mostra i loro pezzi da novanta destinati al segmento Horeca e Gdo, in occasione di una due giorni settembrina, all’ombra della Tour Eiffel.
Una riprova di quanto il sistema cooperativistico d’Oltralpe punti a standard di eccellenza assoluta. Merito, forse, anche del pressing dei tanti vignerons (non ultimi gli Indépendants) che non disdegnano un confronto diretto con i colossi del vino francese. Persino sugli scaffali della Grande distribuzione organizzata: i supermercati.
Sono i numeri a dire molto sull’evento. I 19 espositori di TheWine Rendez-Vous2021 hanno rappresentato 10.141 viticoltori da 112 denominazioni. Ottantamila gli ettari vitati coperti, in tutte le zone più vocate e rinomate della Francia.
Un primo incontro, quello di Parigi, che ha visto ai banchi di degustazione 350 vini, presentati da export manager e titolari delle 19 cooperative. In un’unica sala, un fatturato aggregato annuale di 700 milioni di euro, dato dalle sole vendite di queste etichette.
Dall’Alsazia, Alliance Alsace (Alsace). Dalla Loira, Alliance Loire. Dalla Valle del Rodano (Vallée du Rhône), Cellier des Princes e Jaillance e Maison Sinnae. Per la Bourgogne, Compagnie de Burgondie. Per Bordeaux, Terre de Vignerons, Tutiac e Union de Producteurs de Saint-Emilion (Udpse). Couleurs d’Aquitaine, Plaimont e Vinovalie per l’area Sud Ovest.
E ancora: Marrenon per l’Entre Rhône e la Provenza (Provence), a sua volta rappresentata da Estandon. Non ultime Foncalieu e Sieur d’Arques per la Linguadoca (Languedoc), Vignerons Ardéchois per l’Ardèche e Vignerons Catalans per Roussillon. Un rappresentante anche per la Corsica: l’Union vignerons Ile de Beaute (Uvib), nota come Cave d’Aléria.
«Siamo un gruppo di cantine cooperative con strategie di marketing ambiziose, nonché grandi operatori nelle nostre rispettive zone di coltivazione», commenta a WineMag.it Philippe Tolleret, presidente dell’Unscv, l’Union Nationale De Services Des Cooperatives Vinicoles e Managing director di Marrenon.
Storicamente, abbiamo tutti creato delle reti di distribuzione in Francia e all’estero, concentrandoci sul marchio e sulla costruzione del brand, guidati dall’obiettivo di promuovere rigorosamente la personalità delle nostre regioni. Condividiamo i seguenti valori: motivazione, innovazione, umanità e, naturalmente, qualità».
Pierre Cohen, Managing Director di Cellier des Princes nonché ideatore del format The Wine Rendez-Vous, fa eco a Tolleret. «Ho voluto promuovere questo gruppo di cooperative, leader nelle rispettive regioni e/o denominazioni, il cui standard di qualità è aumentato in modo spettacolare. Da qui l’idea di allestire una degustazione con i loro migliori prodotti».
Tanto ha inciso la voglia di ritrovarci tutti assieme, dopo 18 mesi di pandemia di Covid-19 che ha complicato il contatto fisico e l’opportunità di offrire esperienze a misura d’uomo. Non potevamo scegliere location migliore di Parigi, una città magica».
«In quanto produttori di grandi volumi – chiosa Jean Baptiste Tarel, export manager della cooperativa Union Alliance Alsace – siamo un po’ sottovalutati, anche se la situazione sta pian, piano migliorando».
Eventi come questo dimostrano che la qualità è un cardine delle cooperative del vino francese, che altro non sono se non l’unione di tante famiglie di vignerons. Abbiamo un grande senso di appartenenza e conosciamo bene il valore sociale del sistema cooperativistico».
THE WINE RENDEZ-VOUS 2021 DI PARIGI: I MIGLIORI ASSAGGI
Decine le etichette meritevoli di una menzione, tra le circa 300 degustate in occasione della due giorni parigina. Di seguito quelle da non perdere (non solo nel rapporto qualità prezzo) tra i vini dei vari brand presentati dalle 19 cooperative vitivinicole francesi, in occasione di The Wine Rendez-Vous 2021.
SPUMANTI
Crémant de Limoux Brut Extra Brut 2014 Toques et Clochers, Sieur d’Arques (Languedoc)
*BEST IN SHOW*
Crémant Mayerling Brut, Cave de Turckheim (Alsazia)
Crémant Brut Cigogne, Cave du Roi Dagobert (Alsazia)
Crémant de Loire Blanc Brut Bio, De Chanceny (Loira)
Crémant de Loire Blanc Brut 2012 Impétus, De Chanceny (Loira)
Crémant de Bourgogne Brut Réserve, Le Burgondie (Bourgogne)
Crémant de Loire Brut Rosé, La Cave de Die Jaillance (Loira)
Crémant de Die Grande Réserve 2015, La Cave de Die Jaillance (Vallée du Rhône)
Clairette de Die Tradition Aop brut Légère, La Cave de Die Jaillance (Vallée du Rhône)
Crémant de Limoux blanc, Aguila (Languedoc)
Crémant de Limoux blanc Première Bulle Premium Van Binh, Sieur d’Arques (Languedoc)
VINI BIANCHI
Riesling Racines et Terroirs 2019, Cave du Roi Dagobert (Alsazia) *BEST IN SHOW*
Saumur Blanc Chenin Bio Vegan 2020 Escapade, Alliance Loire (Loira)
Touraine Sauvignon 2018 La Dilecta, Alliance Loire (Loira)
Vacqueyras Blanc 2020, Domaine De La Libellule (Vallée du Rhône)
Châteauneuf-du-pape Blanc 2019, Cellier des Princes (Vallée du Rhône)
Riesling Grand Cru Brand 2017, Cave du Roi Dagobert (Alsazia)
Pinot Gris bio 2019, Cave du Roi Dagobert (Alsazia)
Montagny Blanc 2020 La Burgondie, La Compagnie de Burgondie (Bourgogne)
Aop Gaillac blanc Loin de l’œil 2018 Astrolabe, Vinovalie (Sud-Ouest)
Sauvignon Blanc 2018 Origines Font Renard Blaye blanc, Tutiac (Bordeaux)
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Era solo una questione di tempo. I primi robot camerieri hanno fatto il loro esordio in questi giorni all’Asia Wine Trophy 2021. Si tratta della prima volta in cui la tecnologia si spinge a tanto, in un concorso enologico internazionale. L’annuncio, con tanto di video, è stato diffuso dal direttore della kermesse, il coreano Chan Jun Park.
«Dopo aver introdotto i tablet per le valutazioni dei vini, all’Asia Wine Trophy fanno il loro esordio i robot», commenta il managing director del concorso in programma dall’8 all’11 novembre al Expo Museum di Daejeon, in Corea del Sud.
Nel video diffuso da Chan Jun Park si vedono cinque robot camerieri in azione nel “backstage” dell’Asia Wine Trophy. Due sono in movimento. Il primo trasporta delle bottiglie, in una sorta di secchiello. Il secondo torna alla base, vuoto.
CHI PRODUCE I ROBOT CAMERIERI?
Secondo ricerche di WineMag.it, l’azienda produttrice è la Bear Robotics di Redwood City, California. Fondata nel 2017 dal coreano John Ha, ha esordito sul mercato con “Penny”. Sulla base dei dati aggiornati a maggio 2021, i robot camerieri della gamma denominata Servi avrebbero già percorso 31.400 miglia.
«Prossima fermata, la luna!», promette Bear Robotics. «Con i nostri robot – sintetizza John Ha – stiamo ridisegnando la ristorazione, rendendo più semplice organizzare il lavoro e offrendo nuove esperienze gastronomiche ai clienti». I robot camerieri della gamma Servi Bear Robotics che hanno fatto il loro esordio all’Asia Wine Trophy 2021 sono stati infatti pensati per bar e ristoranti.
BEAR ROBOTICS: LA NUOVA FRONTIERA DELLA RISTORAZIONE
L’azienda californiana è stata infatti insignita del Kitchen Innovations Award nel 2019, anno del centesimo anniversario della National Restaurant Association che raggruppa 380 mila ristoranti negli Usa.
I robot camerieri hanno un’autonomia di 12 ore, con 4 ore di carica della batteria. Possono essere personalizzati secondo le specifiche richieste dai clienti, sulla base delle caratteristiche dei locali in cui dovranno operare.
I Servi di Bear Robotics sono in grado i mappare gli spazi e di muoversi secondo i percorsi prescritti, senza sbattere contro gli ostacoli. Le performance dei robot camerieri migliorano nel tempo, grazie a una dashboard di controllo e ottimizzazione. Chissà che un giorno, all’Asia Wine Trophy, non inizino pure a degustare il vino.
VIDEO: I ROBOT CAMERIERI DI BEAR ROBOTICS IN AZIONE
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Segnali positivi in vista di ProWein 2022. Fervono i preparativi per la più importante fiera mondiale di vini e spirits, in programma a Düsseldorf dopo la cancellazione dell’edizione 2021.
Proprio mentre in Germania si registra un’impennata di casi Covid-19, Messe Düsseldorf conferma le date (dal 27 al 29 marzo 2022). Definisce «promettente sotto ogni aspetto» lo stato dei lavori. E comunica l’ampliamento da tre a 13 padiglioni. Corridoi allargati da un minimo di 4 a un massimo di 6 metri, contro la media di 3 delle precedenti edizioni.
Nelle scorse settimane – spiega Michael Degen, direttore esecutivo di Messe Düsseldorf – come da programma abbiamo proceduto a definire le posizioni degli stand degli espositori e affrontato i temi della degustazione, del contenimento del numero di visitatori, dell’ampiezza delle corsie. Il tutto mosso dalla volontà di proteggere in modo molto restrittivo gli ospiti dal Covid-19».
Primi dettagli anche sull’ampliamento dello spazio espositivo. «A scanso di equivoci – spiega ancora Michael Degen – lo spazio espositivo affittato non aumenterà. Mettiamo a disposizione solo altri tre padiglioni. Alla fine è proprio come in vigna, dove la “distanza tra i singoli filari” viene aumentata, per ottimizzare la “ventilazione” delle viti».
I PADIGLIONI DI PROWEIN 2022
Padiglioni 1, 4 e 5: Germania
Padiglione 5: Austria ed Europa
Padiglione 7.0: “Same but Different”
Padiglioni 9-11: Francia
Padiglione 11: Europa e Spirits
Padiglione 12: oltremare
Padiglione 13: Portogallo
Halen 13 e 14: Spagna
Padiglione 15: Europa Padiglioni 15-17: Italia
Padiglione 17: Europa
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«L’analisi di revisione non ha confermato l’esito di prima istanza». Con queste parole il Ministero dell’Agricoltura ha confermato quanto Terre d’Oltrepò sostiene da sempre: il Pinot Nero vinificato rosso vendemmia 2018 sequestrato nel maggio scorso nella cantina di Broni, in Oltrepò pavese.
La comunicazione è arrivata sulla scrivania del presidente Andrea Giorgi e non lascia dubbi. I tecnici incaricati dalla Procura di Pavia di eseguire una revisione delle analisi sul vino, «hanno confermato che è pulito».
«Nei nostri vini non ci sono sostanze proibite – continua il presidente di Terre d’Oltrepò -. Già con lo spumante Metodo Classico (in vendita nei supermercati Eurospin, ndr) l’esito era stato identico, dato che le analisi eseguite per conto della Procura sulle bottiglie sequestrate in cantina non avevano rilevato la presenza delle famose diglicerine cicliche».
Le analisi di revisione in contraddittorio sono state fortemente volute da noi e dai nostri difensori, nella coscienza che nel nostro vino queste sostanze non entrano. Ringraziamo la Procura per avere accolto la nostra richiesta di ripetere le analisi».
«IN OLTREPÒ FINTI PALADINI DELLA GIUSTIZIA»
Gli avvocati difensori di Terre d’Oltrepò hanno chiesto al Pubblico Ministero l’archiviazione del procedimento penale in corso. È il momento, per Andrea Giorgi, di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
«Da questa esperienza abbiamo imparato molto e abbiamo tratto nuova forza per guardare al futuro nell’interesse dei nostri soci e del nostro territorio. Abbiamo anche capito – continua il presidente – chi sono i finti paladini della giustizia».
Coloro che hanno usato i media contro la nostra azienda e contro il nostro territorio senza alcuna prova concreta, quando le indagini dovrebbero essere segrete, causando un enorme danno di immagine ed economico a tutti noi operatori del vino dell’Oltrepò Pavese».
«Danno – attacca Andrea Giorgi – di cui non c’era proprio bisogno in un periodo come quello che stiamo vivendo. Ci riserviamo di rivalutare tutto quanto è stato dichiarato e scritto e di chiedere conto, anche in termini risarcitori, ai responsabili. Con un obiettivo: perché in futuro degli operatori onesti non debbano più vivere la gogna sulla propria pelle».
E TERRE D’OLTREPÒ APPROVA IL BILANCIO
Sulla scorta delle notizie positive arrivate dal Ministero dell’Agricoltura, la cantina oltrepadana ha varato il bilancio. L’assemblea dei soci, riunita in presenza con circa 200 dei 700 associati, ha dato il via libera al bilancio 2020/2021. Il fatturato di Terre d’Oltrepò si è chiuso al 30 giugno 2021 col segno più: oltre 35 milioni di euro, contro i 31 milioni dell’esercizio 2020.
Nell’occasione, Giorgi ha rimarcato «la necessità di rivedere il livello dei prezzi delle uve conferite, oggettivamente non adeguato al lavoro fondamentale dei soci e alla sostenibilità delle loro aziende».
È in atto un processo di riposizionamento strategico di tutto il comparto di Terre d’Oltrepò – ha spiegato il numero uno della cooperativa dell’Oltrepò pavese – ed è in previsione una nuova struttura organizzativa adeguata alle dimensioni dell’azienda e alle evoluzioni dei mercati e dei clienti».
UN NUOVO BRAND PER LA CANTINA DI BRONI
Diverse le mosse pensate dal management della cantina per ravvivare i marchi aziendali. La Versa, secondo quanto riferito ai soci della cooperativa durante l’assemblea, produrrà «esclusivamente spumanti Metodo Classico», nel solco di una storia gloriosa, oggi da rispolverare. E la linea di vini realizzati in collaborazione con l’enologo Riccardo Cotarella? «Continuerà con un progetto più ardito», rivela un sintetico Andrea Giorgi, contattato da WineMag.it.
La cantina di Casteggio opererà invece con prodotti rivolti al mondo Horeca. Per la cantina di Broni sarà infine ideato «un nuovo brand, con vini studiati per accogliere i gusti dei giovani, ovvero i consumatori di domani, nonché potenziali nuovi clienti».
«Mi sento di rassicurare i nostri conferitori sulle scelte che abbiamo fatto e, soprattutto, andremo a fare – ha sottolineato il presidente della cooperativa – perché si basano su ricerche meticolose di mercato che ci stanno permettendo di ridisegnare il futuro della nostra cantina».
Al termine dell’assemblea è stato approvato a maggioranza il bilancio 2021. Bocciati dall’assemblea dei soci di Terre d’Oltrepò l’aumento di capitale sociale e l’applicazione delle multe per i soci irregolari nel conferimento. Negato anche il gettone di presenza ai consiglieri e ai membri del comitato esecutivo.
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«Un Pét-nat. Ma cos’è, poi, un Pét-nat?», se non «l’apostrofo roseo» (ma pure bianco ed orange) tra le parole “vino frizzante” e “birra artigianale“? Tralasciando voli pindarici e mettendo da parte – almeno per un attimo – Cyrano de Bergerac, quello dei Pétillant naturel è un fenomeno internazionale che non può (più) passare inosservato. Un trend che, tra punte di qualità e casi organoletticamente “disperati”, ha finito per convincere anche diverse cantine italiane. In Campania, la storia di successo è quella di Casebianche.
I 14 ettari della cantina di Torchiara, in provincia di Salerno, si sono riscoperti terra fertile per la produzione di tre “bollicine”, nel solco del boom mondiale dei Pét-nat. «Tutto è iniziato nel 2010 – spiegano a WineMag.it Pasquale Mitrano ed Elisabetta Iuorio, durante Campania Stories 2021 – anno in cui abbiamo iniziato a produrre “La Matta”, da uve Fiano».
LA CRESCITA DEI PÉT-NAT
Appena mille bottiglie, che il mercato ha assorbito in pochi mesi. Nel 2012, la stessa sorte è toccata a 6 mila bottiglie di “La Matta”, volatilizzate in un batter d’occhio. «Oggi – anticipano i titolari di Casebianche – l’obiettivo è arrivare a produrre 10 mila bottiglie, dopo aver toccato la quota record di 7 mila bottiglie ormai da diversi anni».
Stesso target per gli altri due Pét-nat che si sono aggiunti alla gamma, registrando un successo pari a quello del primo nato della cantina salernitana. Si tratta de “Il Fric“, Paestum Igt frizzante ottenuto da uve Aglianico in purezza, introdotto nel 2015. E dell’ultimo arrivato “Pashkà“, Paestum rosso frizzante sur lie Igt prodotto a partire dal 2017, da una cuvèe di Aglianico e Barbera campana.
«Pashkà – sottolineano Pasquale Mitrano ed Elisabetta Iuorio – è il punto di approdo finale del nostro percorso nella produzione di questa tipologia di vini conosciuti a livello internazionale come Pét-nat, che tanto stanno riscuotendo successo per la loro grandiosa accessibilità e facilità di beva».
Al di là del numero di bottiglie, in crescita costante, questo vino nasce dalla necessità e dal desiderio di recuperare una tradizione che in Campania si era persa: quella del Gragnano, rosso frizzante che è finito per essere prodotto poco e principalmente in autoclave. Pochi fanno rifermentazione in bottiglia, proprio come si faceva anticamente in Campania e come fanno ancora molti produttori di Lambrusco».
LE RAGIONI DEL SUCCESSO
Prima di trovare la quadra, Pasquale Mitrano ed Elisabetta Iuorio hanno dovuto «lottare» con le uve scelte per Pashkà. «Oltre al Gragnano – spiegano i due coniugi vignaioli – Pashkà guarda ai mitici Colli Piacentini dove si produce il Gutturnio, mix di Bonarda e Barbera. Qui in Cilento abbiamo la Barbera. Al posto del Bonarda, abbiamo pensato di ricorrere all’uva rossa principe delle nostre terre: l’Aglianico. Abbiamo dovuto bilanciare durezze e pressione delle bollicine, sino a ottenere il risultato perfetto a 1,8 bar. Uno in meno rispetto a “Il Fric”».
I prezzi di listino Horeca dei Pét-nat di Casebianche? Incomparabili a quelli di molti “frizzanti” come Gutturnio e Lambrusco, facilmente reperibili nella Grande distribuzione organizzata. Il distributore italiano (Proposta Vini) li vende a circa 9,50 euro. All’estero, i buyer acquistano le “bolle” di Pasquale Mitrano ed Elisabetta Iuorio per non meno di 6,50 euro.
Un successo che va dal Nord Europa – Danimarca, in primis – al Canada, passando per Paesi dell’Est come l’Ucraina, curiosi di sperimentare nel mondo dei “vini naturali“. In fondo, ovunque si trovino, il bello di certi Pét-nat è che non ci sia bisogno di alcun Cyrano de Bergerac per spiegarli. Né tantomeno di aspettare Rossana, per berli.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si chiama Resistenti Nicola Biasi la nuova rete di cantine italiane che producono vini da vitigni resistenti: i Piwi (pilzwiderstandsfähig). Il 40enne enologo di Cormons ha deciso di riunire sotto un unico “cappello” la sua Vin de La Neu – Biasi Nicola, Albafiorita, Ca’ Apollonio, Colle Regina, Azienda agricola Barbieri Adele (Della Casa Vini) e Poggio Pagnan. Tutte realtà che si avvalgono della consulenza del winemaker friulano.
Provengono da territori diversi – Friuli, Veneto e Trentino – e coprono una fascia che va dal mare Adriatico alle Dolomiti. «Quando si parla di Piwi – commenta Nicola Biasi – non a caso si fa riferimento a “vini e vitigni del futuro”. Abbiamo il dovere morale di pensare alle generazioni che verranno, lasciando loro un ecosistema che sia salubre e trasmettendo il sapere vitivinicolo che mira all’eccellenza e rende il Belpaese famoso in tutto il mondo. Credo che tutto ciò sia possibile con la viticoltura resistente».
Proprio in questa direzione va il progetto Resistenti Nicola Biasi. «Albafiorita, Ca’ Apollonio, Colle Regina, Azienda agricola Barbieri Adele (Della Casa Vini), Poggio Pagnan e Vin de La Neu – continua l’enologo – scendono in campo per produrre vini che incontrano, dal vigneto alla bottiglia, un lavoro di concreta sostenibilità, in modo particolare grazie ai vitigni resistenti alle malattie fungine, anche noti come Piwi».
PIWI, «REALE SOSTENIBILITÀ»
Questi rappresentano ad oggi la migliore e in alcuni casi l’unica strada efficace per una reale viticoltura sostenibile. La loro naturale resistenza alle malattie fungine permette di ridurre drasticamente il numero dei trattamenti con diversi effetti collaterali positivi: eliminazione della chimica di sintesi, minor compattamento dei suoli, salvaguardia delle risorse idriche e minor produzione di CO2».
Proprio sulla base di quella che il winemaker friulano definisce una «reale sostenibilità ambientale», nonché grazie «all’altissimo livello qualitativo raggiunto da questi vini», nasce la rete di imprese Resistenti Nicola Biasi. «Unendo aziende con gli stessi principi – sottolinea – si lavora per migliorare la qualità e l’immagine dei vini prodotti da vitigni resistenti e non solo».
«Una viticoltura di precisione e un’enologia dedicata e scrupolosa – continua Biasi – permettono di esaltare il potenziale qualitativo di queste nuove varietà e conquistare così anche i palati più esperti e rigorosi. I vini sono frutto di un’etica giovane, duro lavoro e lungimiranza. Per costruire qualcosa di grande, insieme».
I PIWI DEL PROGETTO RESISTENTI NICOLA BIASI
I vitigni resistenti Piwi allevati dalle sei cantine sono ben undici. Albafiorita di Laura Sarti e Dino De Marchi (Latisana – UD) ha Soreli e Sauvignon Kretos. Ca’ Apollonio (Romano d’Ezzelino VI) il Souvignier Gris. La Fattoria Didattica Colle Regina di Farra di Soligo (TV) alleva invece Solaris, Johanniter e Regent.
L’Azienda agricola Barbieri Adele (Della Casa Vini) di Cormons (GO), ultima entrata nel portafoglio di aziende per le quali Nicola Biasi cura la consulenza enologica, ha nel proprio parco vigneti i Piwi Sauvignon Kretos, Fleurtai, Cabernet Eidos e Merlot Khantus. Poggio Pagnan ha avviato la propria sperimentazione con i vitigni resistenti nel 2017, con un ettaro in località Zottier, frazione del Comune di Mel (BL).
I titolari della cantina, Giampaolo Ciet e Alex Limana, fondatori tra l’altro dell’associazione Piwi Veneto, coltivano Bronner, Souvignier Gris e Cabernet Cortis. Hanno inoltre avviato un piccolo vigneto sperimentale, mettendo a dimora altre varietà resistenti alle malattie fungine della vite. Infine, lo stesso Nicola Biasi alleva Johanniter nella sua Vin de La Neu a Coredo, in provincia di Trento.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si chiama Mosaico per Procida il vino bianco che celebrerà l’ormai prossima Capitale italiana della Cultura 2022. La cuvèe celebrativa sarà firmata dall’enologo Roberto Cipresso. Ben 25 le cantine della Campania che hanno aderito al progetto su invito di Gaetano Cataldo, responsabile dell’associazione Identità Mediterranea, partner dell’iniziativa.
Dopo aver firmato il vino celebrativo del 150° anniversario dell’Unità d’Italia su commissione della Presidenza della Repubblica, nonché le etichette per Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco Bergoglio, Roberto Cipresso si accinge a creare «un vino bianco iconico che possa dar voce a un messaggio importante».
UNA BOTTIGLIA CELEBRATIVA PER PROCIDA CAPITALE DELLA CULTURA
I primi campioni enologici del futuro vino celebrativo Mosaico per Procida sono giunti il 10 ottobre scorso alla cantina sperimentale di Montalcino di Roberto Cipresso. La Toscana sarà dunque teatro delle prime prove della cuvèe. L’effettivo assemblaggio avverrà in Campania, nella cantina Agricola Bellaria di Roccabascerana, in provincia di Avellino.
Saranno circa 6 mila le bottiglie prodotte in formato classico e speciale. Saranno donate alle autorità istituzionali e agli esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo durante il palinsesto di Procida Città italiana della Cultura 2022.
L’iniziativa di Roberto Cipresso e di Identità Mediterranea è stata accolta con favore anche dall’Associazione nazionale Città del Vino, che il 20 ottobre ha confermato il proprio «patrocinio morale» a Mosaico per Procida.
PROCIDA PROSSIMA “CITTÀ DEL VINO”
«La realizzazione di una Bottiglia Celebrativa per Procida Capitale italiana della Cultura Europea 2022, nato dalla generosità di tutti gli attori che sono stati chiamati in causa e che hanno contribuito in maniera autonoma e spontanea – commenta il presidente Floriano Zambon – è un progetto di valore e di ampio respiro».
Condividiamo il messaggio che si intende lanciare. Un segnale di solidarietà alla cultura e all’intelligenza imprenditoriale collettiva. Un profondo abbraccio di riconoscenza della Campania del vino verso Procida.
Con la sua nomina a Capitale italiana della Cultura, rende il popolo di questa terra più fiero e offre alle cantine aderenti la possibilità di dimostrare quanto la coesione e i buoni sentimenti possano produrre buone idee e valori di crescita condivisi».
Una benedizione, quella di Floriano Zambon, che potrebbe portare la stessa Procida a diventare “Città del vino”. L’isola della Campania entrerebbe così nel circuito fondato nel 1987, che oggi conta oltre 500 comuni italiani a vocazione vitivinicola. Il sindaco Raimondo Ambrosino è già al lavoro anche su questo obiettivo.
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Un carico di circa 15 mila litri di birra sprovvisto dei documenti d’accisa e sottoposto a un incredibile viaggio da Padova alla Germania, con destinazione Avellino. È quanto hanno scoperto nei giorni scorsi i militari della Guardia di Finanza di Vipiteno, in provincia di Bolzano. Gli uomini delle Fiamme gialle si trovavano alla barriera autostradale dell’A22 quando hanno intimato l’alt e ispezionato un autoarticolato proveniente dalla Germania.
Il mezzo, intestato a una società di spedizioni polacca, era condotto da un cittadino bielorusso. Alla richiesta del Documento di Accompagnamento Semplificato (Das) che attestasse l’avvenuto pagamento dell’imposta di fabbricazione (la cosiddetta accisa che grava sulle bevande alcoliche), l’uomo ha risposto di esserne sprovvisto.
IL LUNGO VIAGGIO DELLA BIRRA SENZA ACCISA
Dai successivi controlli è emerso quello che i finanzieri definiscono «un vorticoso giro di passaggi della merce». Alcuni dei quali, probabilmente, solo “cartolari”. In particolare, la birra è stata prodotta da una società padovana e, dopo un periodo trascorso all’interno di un deposito fiscale di Genova, è stata acquistata da una ditta rumena con sede in Germania.
Da qui, il carico è nuovamente partito alla volta dell’Italia, diretto a un commerciante all’ingrosso di prodotti alimentari della provincia di Avellino. Un viaggio che è stato interrotto dal controllo delle Fiamme Gialle di Vipiteno, che hanno constatato l’omesso pagamento dell’accisa. L’intera partita di birra – 15 mila litri suddivisi in 45 mila bottiglie da 0.33 centilitri – è stata posta sotto sequestro.
Il conducente del mezzo è stato denunciato a piede libero alla Procura della Repubblica di Bolzano per il reato di «Sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa» previsto dall’art. 43 del Testo Unico sulle Accise. L’uomo ora rischia la reclusione da sei mesi a tre anni, oltre a una multa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, per una cifra non inferiore a 7.746 euro.
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È Carrefour show tra i vini in promozione al supermercato. L’insegna francese propone un Catalogo vini valido nei propri Ipermercati fino al 7 novembre 2021, con decine di vini che si aggiudicano i 5 cestelli della spesa di Vinialsuper. Sono ben 61 i vini in offerta con il massimo della valutazione. Quelli da non perdere per nessuna ragione e di cui fare la scorta.
Un numero elevatissimo, se si considera che sull’intero Catalogo Vini Carrefour si può scegliere tra circa 170 vini. Incisiva e utile per i consumatori la scelta dell’insegna di dividere le etichette in promozione in base alla regione di appartenenza. Da Nord a Sud non manca (quasi) nessuno e figura anche qualche etichetta premiata nella nostra Guida Migliori vini al supermercato 2022.
QUALCHE STRAFALCIONE SU DOC E DOCG
Tra le 24 pagine del volantino si registra però qualche strafalcione su Doc e Docg, nonché nella collocazione dei vini (o, meglio, delle denominazioni stesse) nella corretta regione. Errori da segnare col pennarello rosso, in un contesto generale più che mai positivo. Quasi nessuno dei vini in promozione, infatti, si aggiudica meno di 3,5 cestelli sui 5 a disposizione nella speciale scala di valutazione di Vinialsuper.
Vale a dire che quasi tutti i vini sono più che mai meritevoli di essere acquistati, considerato soprattutto l’ottimo rapporto qualità prezzo che sta alla base dell’assegnazione dei cestelli, nella nostra speciale rubrica dedicata ai vini in offerta nelle maggiori insegne di supermercati italiani.
Da rivedere, qua e là, la scelta dei vini descritti come “Imperdibili” da Carrefour. Etichette che, in quasi tutti i casi, non garantiscono gli standard minimi di tipicità, privilegiando invece uno stile commerciale (industriale) e standardizzato. Ecco le valutazioni di tutti i vini in promozione, regione per regione.
LOMBARDIA
Lugana o Chiaretto Sirmiolino DOP, Cà Maiol: 7,90 euro (4,5 / 5)
Valtellina Superiore Docg, Nino Negri: 7,49 euro (5 / 5)
Franciacorta Saten, Contadi Castaldi: 21,90 euro (5 / 5)
Valtellina Superiore Docg Sfursat, Nino Negri: 23,50 euro (5 / 5)
Franciacorta Riserva Docg Terre d’Italia: 15,19 euro (4,5 / 5)
Pinot Nero Enigma Nero, Vigne Olcru: 9,90 euro (4,5 / 5)
Inferno Valtellina Superiore Docg, Nera: 12,90 euro (5 / 5)
Barbera / Bonarda / Pinot Grigio / Riesling Oltrepò pavese Doc, Terre Passeri: 1,99 euro (1 / 5)
Bonarda / Barbera Oltrepò pavese Le Cascine, Losito & Guarini: 2,29 euro (2,5 / 5)
Franciacorta Docg, Castel Faglia: 11,90 euro (5 / 5)
Pinot Nero Oltrepò pavese Doc, Giorgi: 5,99 euro (3,5 / 5)
Bonarda / Riesling Doc C’era una volta, Losito & Guarini: 4,99 euro (3,5 / 5)
Spumante Chardonnay Metodo classico, Col Mesian: 4,19 euro (3,5 / 5)
Pinot Nero Oltrepò pavese Doc, Cantine Montagna: 3,59 euro (3,5 / 5)
Bonarda / Sangue di Giuda Oltrepò pavese Doc, Quaquarini: 2,99 euro (5 / 5)
Muller Thurgau Vigneti delle Dolomiti Igt, Santa Margherita: 4,99 euro (3,5 / 5)
Pinot Grigio Valdadige Doc, Santa Margherita: 5,49 euro (4 / 5)
Trento Doc Brut, Ferrari: 11,90 euro (5 / 5)
Trento Doc Demi-Sec, Ferrari: 12,10 euro (5 / 5)
Trento Doc Rosé, Ferrari: 11,80 euro (5 / 5)
Trento Doc Le Premier, Cesarini Sforza: 9,50 euro (5 / 5)
Trento Doc Terre d’Italia: 8,39 euro (4,5 / 5)
Marzemino / Muller Thurgau Doc Mastri Vernacoli, Cavit: 3,49 euro (3,5 / 5)
FRIULI VENEZIA GIULIA
Cuvee 15.96, Volpe Pasini: 6,49 euro (4 / 5)
Sauvignon / Refosco Collio Doc, St. Helena: 11,90 euro (4 / 5)
Merlot / Ribolla Gialla del Pompiere, Schiopetto: 10,90 euro (5 / 5)
Merlot / Sauvignon Doc Friuli Colli Orientali, Volpe Pasini: 8,90 euro (4 / 5)
Ribolla Gialla Doc Vidussi Borgo Fradis: 5,39 euro (3,5 / 5)
Friulano Collio Doc Vidussi Borgo Fradis: 5,39 euro (3,5 / 5)
Sauvignon Collio Doc, I Vignaioli: 5,19 euro (3,5 / 5)
Pinot Bianco / Sauvignon / Cab. Sauvignon Superiore Friuli Doc Aquileia, Tenuta Ca Vescovo: 4,29 euro (3,5 / 5)
VENETO
Prosecco Valdobbiadene Superiore Docg, Bolla: 3,99 euro (3,5 / 5)
Prosecco Spago Doc Signoria dei Dogi: 3,99 euro (3,5 / 5)
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg, Mionetto: 7,89 euro (3,5 / 5)
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg, Bortolomiol: 6,99 euro (4,5 / 5)
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg, Belussi: 6,99 euro (4,5 / 5)
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg, Carpenè Malvolti: 5,99 euro (5 / 5)
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg, La Gioiosa: 5,49 euro (3,5 / 5)
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg Marca Oro, Valdo: 4,99 euro (3,5 / 5)
Prosecco Doc Extra Dry, Zonin: 3,99 euro (3,5 / 5)
Prosecco Treviso Doc Spumante / Spago Coste Alte: 3,99 euro (3,5 / 5)
Amarone della Valpolicella classico Docg, Bolla: 29,50 euro (3,5 / 5)
Veneto Igt Campofiorin, Masi: 10,90 euro (4 / 5)
Ripasso Valpolicella Doc, Corte Giara: 10,90 euro (4 / 5)
Amarone della Valpolicella Docg Costasera, Masi: 32,80 euro (5 / 5)
Valpolicella Superiore Docg, Sartori: 6,99 euro (4,5 / 5)
Valpolicella Ripasso Doc, Bolla: 5,99 euro (3,5 / 5)
Soave / Bardolino Classico / Chiaretto Doc, Sartori: 3,49 euro (4,5 / 5)
EMILIA ROMAGNA
Bonarda / Barbera Colli Piacentini Doc, Cantina Vicobarone: 2,39 euro (3,5 / 5)
Pignoletto Tenuta Villa Cialdini / Lambrusco Il Baluardo: 3,29 euro (4 / 5)
Gutturnio Colli Piacentini Doc Calera, Cantina Vicobarone: 3,19 euro (4 / 5)
Lambrusco Marcello Oro, Ariola: 4,49 euro (5 / 5)
Bonarda Colli Piacentini Doc, Cantina Valtidone: 3,99 euro (3,5 / 5)
Lambrusco / Pignoletto Doc Vecchia Modena: 3,29 euro (3,5 / 5)
Lambrusco di Sorbara Doc Cavicchioli: 2,99 euro (4 / 5)
Trebbianino Val Trebbia Doc, Bonelli: 2,79 euro (5 / 5)
Bonarda / Gutturnio / Ortrugo Colli Piacentini Doc, Terre della Pietra: 2,59 euro (3,5 / 5)
Gutturnio / Ortrugo / Monterosso, Casabella: 2,49 euro (3,5 / 5)
TOSCANA
Brunello di Montalcino Docg, Frescobaldi: 25,90 euro (5 / 5)
Bolgheri Doc Le Colonne: 15,50 euro (4,5 / 5)
Chianti Peppoli Docg, Antinori: 12,90 euro (5 / 5)
Brunello di Montalcino Docg, Banfi: 28,98 euro (5 / 5)
Brunello di Montalcino Docg Tenuta Friggiali – Terre d’Italia: 19,79 euro (5 / 5)
Rosso di Montalcino Doc, Banfi: 8,90 euro (4,5 / 5)
Nobile di Montepulciano Docg, Tenuta di Gracciano della Seta – Terre d’Italia: 8,59 euro (4 / 5)
Nobile di Montepulciano Docg, Vecchia Cantina: 5,90 euro (5 / 5)
Morellino di Scansano Docg Il Cretto, San Felo: 3,99 euro (4 / 5)
Rosso di Montalcino Doc, Tenuta Friggiali – Terre d’Italia: 9,29 euro (4 / 5)
Chianti Docg Faunae, Frescobaldi: 8,19 euro (5 / 5)
Chianti Classico Docg, Cecchi: 5,99 euro (4,5 / 5)
Chianti classico Docg, Sant’Ilario: 5,69 euro (4 / 5)
Chianti Classico Docg, Piccini: 4,69 euro (4,5 / 5)
Chianti Docg Torrebona, Cecchi: 4,49 euro (4 / 5)
Chianti Docg Neocampana, Melini: 3,99 euro (3,5 / 5)
Chianti Riserva / Superiore Docg Collezione Oro, Piccini: 3,89 euro (5 / 5)
Nipozzano Docg Riserva Chianti Rufina, Frescobaldi: 10,90 euro (5 / 5)
Pomino Doc Frescobaldi: 6,90 euro (5 / 5)
Morellino di Scansano Docg La Mora, Cecchi: 4,99 euro (4,5 / 5)
Morellino di Scansano Docg La Capitana: 4,89 euro (3,5 / 5)
Remole Toscana Igt, Frescobaldi: 4,49 euro (5 / 5)
Morellino di Scansano Docg, Poggio al Sale: 4,29 euro (4,5 / 5)
Vernaccia di San Gimignano / Chianti Docg / Buon Governo Igt, Piccini: 2,99 euro (4 / 5)
Vini Piccini Collezione Oro: 3,49 euro (5 / 5)
Le Due Arbie Igt Toscana: 5,90 euro (3,5 / 5)
Vin Santo del Chianti Doc, Castello di Oliveto – Terre d’Italia: 12,39 euro (4,5 / 5)
Chianti classico Docg Geggiano – Terre d’Italia: 6,19 euro (4 / 5)
Vermentino Toscana Igt Calaforte, Frescobaldi: 5,99 euro (3,5 / 5)
Vermentino Maremma Toscana Doc, Sant’Ilario: 4,59 euro (3,5 / 5)
Vermentino Maremma Toscana Doc La Mora, Cecchi: 3,99 euro (3,5 / 5)
Vermentino Toscana Igt La Ruota, San Felo: 3,79 euro (4,5 / 5)
Chianti Docg Villa Montorsoli: 3,49 euro (3,5 / 5)
Toscana Igt Del Granduca Oliveto: 2,69 euro (3 / 5)
UMBRIA
Sagrantino di Montefalco Docg Duca Odoardo, Terre della Custodia: 19,60 euro (3,5 / 5)
Rubesco di Torgiano, Lungarotti: 7,90 euro (4 / 5)
Vipra Rossa Umbria Igt, Bigi: 3,49 euro (4 / 5)
Montefalco Doc Duca Odoardo, Terre della Custodia: 8,39 euro (3,5 / 5)
Montefalco Doc, Antonelli: 7,90 euro (5 / 5)
Grechetto Doc Colli Martani Terre della Custodia: 4,99 euro (5 / 5)
Orvieto Doc, Bigi: 2,99 euro (3,5 / 5)
ABRUZZO
Montepulciano / Trebbiano d’Abruzzo Passo del Lupo: 1,99 euro (2 / 5)
Orvieto Doc Collezione Oro, Piccini: 3,89 euro (3,5 / 5)
Montepulciano d’Abruzzo Doc, Masciarelli: 7,90 euro (5 / 5)
Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva Terra d’Aligi – Terre d’Italia: 4,79 euro (5 / 5)
Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva / Pecorino Superiore Doc, Spinelli: 2,99 euro (5 / 5)
Pecorino / Passerina Terre di Chieti Igt / Montepulciano e Cerasuolo Val di Fara, Spinelli: 2,39 euro (5 / 5)
MARCHE
Verdicchio Doc, Velenosi: 6,90 euro (3,5 / 5)
LAZIO
Passerina del Frusinate Igt Cantina di Piglio: 3,29 euro (5 / 5)
Est! Este!! Est!!! Doc, Cantina di Montefiascone: 2,99 euro (4 / 5)
CAMPANIA
Taurasi Docg Radici, Mastroberardino: 21,86 euro (5 / 5)
Greco di Tufo / Fiano di Avellino Docg, Koerus – Terre d’Italia: 6,39 euro (4 / 5)
Greco di Tufo Docg, Feudi di San Gregorio: 10,10 euro (5 / 5)
Campania Igt / Falanghina del Sannio Doc, Feudi di San Gregorio: 7,90 euro (5 / 5)
Aglianico Dop, La Guardiense: 3,99 euro (3,5 / 5)
Falanghina del Beneventano Igt La Vinicola del Titerno: 2,29 euro (3 / 5)
Salento Igp Notte Rossa: 1,99 euro (5 / 5)
Primitivo di Manduria Doc, Tenute Rubino: 6,99 euro (5 / 5)
Chardonnay Salento Igt, Tormaresca: 6,39 euro (4 / 5)
Primitivo Igp Centocampi, Cantine Coppi: 4,49 euro (3,5 / 5)
Primitivo / Negroamaro / rosato / Fiano Salento Notte Rossa: 3,99 euro (5 / 5)
Primitivo / Aglianico / Negroamaro Igt, Feudo Monaci: 3,99 / 3,49 euro (3,5 / 5)
Vermentino del Salento / Tentazioni rosé Igp Donna Marzia, Conti Zecca: 3,19 euro (4,5 / 5)
BASILICATA
Aglianico del Vulture Doc Vignali, Cantina di Venosa: 3,99 euro (5 / 5)
SICILIA
Nero d’Avola Sicilia Doc Plumbago, Planeta: 8,90 euro (non in promo) (5 / 5)
La Segreta Sicilia Igt, Planeta: 6,99 euro (5 / 5)
Regaleali Tasca D’Almerita: 5,90 (non in promo) (5 / 5)
Sicilia Doc Sedara, Donnafugata: 6,90 euro (non in promo) (5 / 5)
Passito di Pantelleria Carlo Pellegrino: 5,90 euro (3,5 / 5)
Cerasuolo di Vittoria Docg / Nero d’Avola / Syrah Igt, Barone di Bernaj: 4,29 euro (3,5 / 5)
Nero d’Avola / Alcamo Terre Siciliane Igt, Rapitalà: 3,99 euro (5 / 5)
Nero d’Avola / Grillo Doc, Cantine Europa: 2,49 euro (3,5 / 5)
Nero d’Avola / Grillo Sicilia Doc, Settesoli: 3,49 euro (5 / 5)
Nero d’Avola / Grillo / Syrah Igt Rialto dei Vespri: 3,29 euro (3,5 / 5)
SARDEGNA
Vermentino di Sardegna Doc, Sella & Mosca: 3,89 euro (3,5 / 5)
Lianti / Tambè Isola dei Nuraghi, Capichera: 17,90 euro (5 / 5)
Lintori Vermentino Sardo: 16,40 euro Capichera (non in promo) (5 / 5)
Funtanaliras Vermentino di Gallura Docg, Cantina del Vermentino: 7,09 euro (4,5 / 5)
Vermentino di Gallura Docg Tancaré, Giogantinu – Terre d’Italia: 5,59 euro (5 / 5)
Spumante Brut di Torbato Sella & Mosca: 4,99 euro (5 / 5)
Cannonau di Sardegna Doc, Sella & Mosca: 4,99 euro (3,5 / 5)
VINI BIOLOGICI
Terra Alpina Bio: 6,90 euro (non in promo) (3,5 / 5)
Aglianico Vulture Doc Teodosio, Feudi San Gregorio: 7,90 euro (non in promo) (5 / 5)
Chianti Classico Docg, Dievole: 10,90 euro (5 / 5)
Prosecco Bio Valdo: 5,90 euro (3,5 / 5)
Primitivo / Negroamaro / Chardonnay Bio, Cantine Paolo Leo: 6,90 euro (4 / 5)
Vermentino di Sardegna Tralcio Antico Bio: 4,79 euro (3,5 / 5)
Natum Pecorino / Passerina Igp Bio, Agriverde: 3,59 euro (3,5 / 5)
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