wine news e guida top 100 migliori vini italiani, notizie e articoli esclusivi su vino, birra, distillati e food
Autore:Davide Bortone
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell'informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la "Guida Top 100 Migliori vini italiani" e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell'Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Chiamatelo incontro, più che confronto. La Rioja abbraccia in questi giorni Bordeaux, in uno dei luoghi simbolo, oltre che storici, dell’intera viticoltura spagnola: il Barrio de la Estación, noto a livello internazionale come Haro Wine Station. È il Quartiere della Stazione ferroviaria della cittadina di Haro, nel nord della Spagna, nel quale hanno sede ben 6 cantine: Roda, Muga, La Rioja Alta, Gómez Cruzado, Cvne e Bodegas Bilbaínas – Viña Pomal.
La stessa Haro teatro della “Battaglia del vino”, ricorrenza annuale che vede contrapposte due bande a suon di getti di vino rosso, ospita a partire da ieri 6 cantine francesi di prim’ordine: Château Rauza-Ségla & Château Canon, Château Lynch Bages & Ormes de Pez, Château Smith Haut Lafitte, Château Léoville Barton, Château Petit Village & Château Beauregard e Château Canon La Gaffelière.
Una Bordeaux che torna, per certi versi, alle origini. Tra i mercati principali dei vini da taglio spagnoli commercializzati sui binari del Barrio de la Estación, tra la metà e la fine dell’Ottocento (i maligni dicono ben oltre, specie nelle annate sfavorevoli), c’era proprio la Gironda, casa della pregiata denominazione bordolese. L’Alta Rioja, del resto, dista meno di 400 chilometri da Bordeaux.
«RIOJA E BORDEAUX VICINI PER FILOSOFIA E RICERCA ECCELLENZA»
«I partecipanti – commenta María Urrutia, presidente dell’Associazione delle Cantine del distretto di Haro – hanno goduto di un’esperienza irripetibile ed esclusiva. Un vero privilegio, che ha dimostrato quanto Rioja e Bordeaux siano vicini nella loro filosofia e nella ricerca dell’eccellenza».
Caratteristiche – prosegue Urrutia – che collocano entrambi tra le regioni vinicole più importanti del mondo. Questo legame Haro-Bordeaux è stato mantenuto vivo perché, i nostri obiettivi nel 21° secolo sono gli stessi del 19° secolo: fare i migliori vini possibili nella nostra terra».
Incontro più che confronto, si diceva. Qualcosa di praticabile nella teoria e, per certi versi, anche nella pratica. Un po’ meno, calici alla mano. Ecco allora i migliori assaggi nella giornata d’esordio di Barrio de la Estación – Haro Wine Station, International Wine Encounters I – Bordeaux.
BARRIO DE LA ESTACIÓN, RIOJA-BORDEAUX: I MIGLIORI ASSAGGI
BORDEAUX
Château Canon La Gaffelière 2016 e Château d’Aiguilhe 2016, Château Canon La Gaffelière
Convincono entrambi i vini mostrati da Magali Malet-Serres, referente Sales Marketing & communications di Château Canon La Gaffelière. Li lega un netto fil rouge nella lavorazione del Merlot e nella profondità che contraddistingue naso e sorso. Vengono da parcelle diverse (ed è chiaro) e non si tratta di Merlot in purezza (50% nel primo, 80% nel secondo).
Ma la pulizia e voracità dei primari, accostata a un ventaglio di spezie che tendono il sorso dalla liquirizia all’umami, oltre alla precisione dei tannini, mostrano la mano, unica, del winemaker. Nonché il lavoro di questo Château su cloni e selezione massale, che rendono unico il patrimonio genetico dei bordolesi a disposizione del 1° Grand Cru Classé di Saint- Émilion (19,5 ettari complessivi).
Château Canon La Gaffelière 2016 degustato all’Haro Wine Station è maestoso, col suo 40% di Cabernet Franc e 10% di Cabernet Sauvignon a far da spalla al re delle varietà d’assemblaggio di Saint- Émilion (il Merlot, per l’appunto). Château d’Aiguilhe 2016 è chiaramente più morbido, ma tutt’altro che seduto. Il 20% di Cabernet Franc lavora sull’opulenza controllata del Merlot e rende questo vino tra i migliori assaggi qualità prezzo dell’intera Bordeaux.
Château Léoville Barton 2011 e Château Langoa Barton 2016
Diversi tra loro ma entrambi da segnalare i vini proposti da Château Léoville Barton, vere e proprie gemme della piccola Saint-Julien. C’è più Cabernet Sauvignon nel vino del 2011 rispetto al 2016 (80% contro 55% completati da Merlot e Cabernet Franc). Tannini finissimi per entrambi, con l’annata più vecchia che abbraccia una terziarizzazione compostissima, tra note terrose e cioccolato scuro.
Eccezionalmente fragrante il frutto della straordinaria vendemmia 2016, che ha appena iniziato il suo lungo percorso di crescita (anzi di ascesa) verso le vette che le competono, tra la freschezza e il garbo che contraddistingue la Médoc. Due pezzi da novanta, con la possibilità di privilegiare la 2011 in termini di dolcezza dei tannini, o la 2016 in caso di spazio libero – da occupare bene – in cantina.
Red 2019 Château Smith Haut Lafitte
Cabernet Sauvignon per il 59%, poi Merlot e un poco di Cabernet Franc e Petit Verdot. Vino che abbina in maniera esemplare frutto, freschezza e sapidità. Riempie il palato su tinte fruttate scure e lo stuzzica con un tannino sottilissimo, elegante e una vena sapido-minerale golosissima. In due parole, eleganza e potenza. Da vendere.
Château Petit Village 2017
Vino che rischia di pagare lo scotto tipico dell’annata successiva a quella considerata “eccezionale”. E invece no, nemmeno per idea. Settanta Merlot, 21 Cabernet Franc, 9 Cabernet Sauvignon, i numeri vincenti. Naso splendido, diviso tra succo e tensione, ciliegia e un tocco d’agrume che ricorda l’arancia sanguinella.
L’ossigenazione tratteggia pennellate ematiche e terrose capaci di ravvivare quel 50% di legno nuovo scelto in vinificazione. Al palato apre in perfetta corrispondenza. Spettacolare l’allungo, ancora una volta tra polpa e freschezza. In allungo, il tannino in cravatta gioca coi ritorni di fondo di caffè e le venature balsamiche. Buona vita davanti.
RIOJA
Rioja Doc 2011 Gran Reserva 904, La Rioja Alta
Tempranillo da vigneti di 60 anni (89%), completato da un 11% di Graciano. Colore che sfida il tempo: un bel rubino graffiato da unghie granata. Il naso è prezioso, ricco ed elegante. Abbina la polpa scura matura a quella rossa e più croccante, spaziando dalla mora alla ciliegia e dal ribes nero al lampone. Terziari molto ben integrati completano il quadro, conferendo profondità e balsamicità.
Sorso in perfetta corrispondenza, contraddistinto da tannini seducenti, A far da spina dorsale al sorso è un’elegante vena fresca, d’arancia sanguinella, che accosta le note speziate sino alla chiusura, asciutta. Se fosse Bordeaux, sarebbe un Saint-Julien. Uno di quei rossi che rimandano ad atmosfere confortanti. Soft rock.
Rioja Doc La Vicalanda Gran Reserva 2015, Bodegas Bilbaínas – Viña Pomal
Bella coppia quella portata da Bodegas Bilbaínas – Viña Pomal all’Encounters I – Bordeaux del Barrio de la Estación / Haro Wine Station. Viña Pomal Gran Reserva 2014 e La Vicalanda Gran Reserva 2015 sono vini molto diversi tra loro, per annata e per stile, che comunicano il savoir-faire enologico, oltre che la capacità di leggere il Tempranillo e le sue peculiarità in maniera esemplare.
Tra le due si fa comunque preferire La Vicalanda Gran Reserva 2015: vino elegante, che esalta la purezza dei primari del Tempranillo (qui in purezza ed allevato proprio ad Haro), nonostante l’affinamento in botti nuove di rovere francese d’Allier, per 24 mesi. Vino che viene immesso in commercio solo dopo ulteriori 36 mesi di “riposo” in bottiglia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Cabernet Sauvignon e Napa Valley sono sempre più sinonimi per gli amanti internazionali del vino. Situata a 80 chilometri a nord di San Francisco e 56 km ad est dell’Oceano Pacifico, la Napa Valley è delimitata ad ovest dalle Mayacamas Mountains e ad est delle Vaca Mountains.
Nel 1981 questa zona della California è stata riconosciuta ufficialmente come “Ava“, American Viticultural Area, ovvero Area Viticola Americana. Al suo interno, sono state poi individuate 16 sottozone, a loro volta identificate “Ava”.
Solo il 4% dell’uva raccolta nello Stato occidentale degli Usa proviene dalla Napa Valley. Una cifra raggiunta grazie a 182 chilometri quadrati di vigneti, pari al 9% della regione della Napa County.
Un areale in cui la stragrande maggioranza delle cantine produce meno di 120 mila bottiglie all’anno. E in cui il 95% delle aziende agricole – circa 500 – è a conduzione familiare. La produzione complessiva della Napa Valley si assesta attorno ai 110 milioni di bottiglie.
IL CABERNET SAUVIGNON IN NAPA VALLEY
Tra le varietà simbolo della zona, promossa e celebrata dalla Napa Valley Vintners, c’è appunto il Cabernet Sauvignon. «Si tratta del re incontrastato delle uve rosse nella Napa Valley – commenta l’associazione di produttori – rappresentando il 50% della nostra produzione totale e il 68% del valore del nostro raccolto.
Questa varietà è coltivata in tutta la Napa Valley e raggiunge un ventaglio di espressioni diverse a seconda della posizione del vigneto. I suoi sapori mostrano un’ampia varietà di frutti neri, tra cui ribes, ciliegia e prugna, e spesso mostrano note di spezie dovute all’invecchiamento in rovere».
«Al palato – continuano i Napa Valley Vintners – questi vini possono essere densi e potenti in gioventù, ma invecchiano con grazia. Quando sono giovani, sono meglio abbinati a piatti di carne rossa robusta come la selvaggina e l’agnello brasato. I Cabernet sauvignon più vecchi sono superbi accompagnatori di arrosti e bistecche semplici, così come dei formaggi stagionati».
NAPA VALLEY, OCCHIO ALLA STAGS LEAP DISTRICT AVA
Tutte impressioni confermate dal tasting di winemag.it. In particolare, a sorprendere e convincere è il campione della Stags Leap District Ava, sottozona della Napa Valley da tenere in assoluto conto per il futuro.
L’areale, posto nel cuore della denominazione, una decina di chilometri a nord della città di Napa, è balzato agli onori dei calici a partire dall’inizio degli anni Sessanta. Nathan Fay, considerato il pioniere dello Stags Leap District, piantò qui i primi vigneti di Cabernet Sauvignon della regione.
Circa 28 ettari, su un terreno vulcanico (peculiarità dello Stags Leap District) lungo il Silverado Trail. Una cifra enorme se si considera che, in quegli anni, in tutti gli Stati Uniti, c’erano appena 323 ettari del vitigno (oggi sono 13.759 in California, 3.965 in Napa Valley).
Fay vendette la maggior parte delle sue uve a un produttore della zona, Joseph Heitz, che diede vita al primo Cabernet Sauvignon a denominazione della Valle: l’Heitz Cellar “Fay Vineyard”. Da allora, il numero di cantine che producono il rosso simbolo della Napa Valley nella Stags Leap District Ava è cresciuto a dismisura.
Il 90% dell’areale è piantato con varietà bordolesi. Una piccola Bordeaux, in cui l’80% dei vini sono a base Cabernet Sauvignon e Merlot. Presenti, ma in cifre molto più risicate, anche piccole produzioni di Petite Sirah (noto anche come Durif) e Sangiovese.
10 CABERNET SAUVIGNON DELLA NAPA VALLEY: LA DEGUSTAZIONE
Napa Valley Cabernet Sauvignon Reserve 2019, Raymond Vineyards: 89/100
Rubino mediamente trasparente. Naso su ciliegia scura, prugna e terziari marcati che ricordano il cioccolato fondente, oltre al fumo di pipa e il fondo di caffè. Palato elegante, con la frutta che prende lo spazio sul palco, in centro bocca, prima che i terziari prendano il sopravvento, in chiusura. Alcol (14,5%) ben integrato nel quadro di un vino che abbina eleganza e potenza.
Napa Valley Cabernet Sauvignon Estate 2019, St Supéry Estates Vineyards & Winery: 92/100
Rubino impenetrabile, dai riflessi violacei. Un colore che denota l’estrema gioventù del nettare, nonostante siano trascorsi 3 anni dalla vendemmia. Al naso risulta inizialmente timido, delicato, con una prevalenza del fiore sul frutto. Note nette di viola mammola si accostano a sentori di ciliegia, prugna e ribes nero, in un olfatto che va via, via aprendosi, stratificandosi ben oltre le impressioni iniziali.
L’ossigenazione apre lo spettro a ricordi erbacei garbati (netta la foglia di tè), tanto quanto a un frutto che si fa sempre più succoso e denso, spostandosi in maniera marcata dalle tinte scure a quelle rosse. Lo stesso fa il fiore, che vira dalla viola alla rosa. Sempre in sottofondo, pur presenti, i richiami conferiti dall’affinamento in legno: garbatissimi ricordi di fondo di caffè e di burro d’arachidi.
Il palato è un concerto: tutto quanto avvertito al naso si riverbera al sorso, in perfetta corrispondenza gusto olfattiva. Il vino è elegantissimo, pur potente (14,5% integratissimi) e ancor giovane. I tannini sono soffici, di cioccolata fusa. La persistenza ottima. Cabernet Sauvignon di livello internazionale.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2018 Estate Grown, Silverado Vineyards: 87/100
Il vino colora il calice di porpora. Ecco una versione di Cabernet Sauvignon tutt’altro che opulenta, anzi giocata sulla godibilità e l’immediatezza, nonostante i 14.3% possano far pensare al consueto “Cab” da accompagnare obbligatoriamente con piatti strutturati.
Naso e palato si parlano, concordando sul sostanziale equilibrio tra note fruttate intense e terziari composti. La complessità è basica, tanto quanto la persistenza. Un vino spensierato ma non banale.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2018 Chateau Buena Vista, Buena Vista Winery: 88/100
Colore rosso intenso, impenetrabile, dai riflessi purpurei. Primo naso sulla tostatura e su ricordi fumé che non coprono, comunque, la precisa espressione dei primari. La componente fruttata è sulla ciliegia, perfettamente matura, nonché sul ribes nero e sulla prugna. Sorso connotato da una dolcezza stuzzicante, tanto per il frutto quanto per i tannini.
Dettagli non secondari, che premiano la beva rendendola irresistibile, senza rinunciare alla gastronomicità (15% vol. integratissimi). Nota di contorno, legata all’occasione di consumo: siamo al cospetto di un vino che si presta per essere consumato più fresco della media dei Cabernet. Un’oretta in frigo non gli farà male, specie d’estate.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2019 Sky and Vine, S.R. Tonella Cellars: 87/100
14,3%. Bel porpora dall’unghia violacea. Naso tra frutta e spezia, ancor più che sui terziari. Nette le note floreali, con particolare riferimento al fiore di viola, al pari della liquirizia nera.
Tannini dolci al palato, con la freschezza a rispondere alla polpa della ciliegia scura, della prugna e del ribes. Gran beva ed alcol ben integrato, per un Cabernet Sauvignon lineare, che abbina modernità a tipicità e potenza.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2018, Louis M. Martini Winery: 93/100
Alla vista di un colore porpora intenso, impenetrabile. Naso e bocca in perfetta corrispondenza, su note di prugna disidratata e amarena. Apporto preciso dei terziari, tra venatura pepate e più marcate note di brace e tostatura di caffè.
Vino che viene premiato dal contatto prolungato con l’ossigeno, che lo aiuta ad aprirsi e a sfoderare sfaccettature meno evidenti di primo acchito, come la pregevole componente floreale, tra la viola e la rosa bagnata, poco in vista al primo naso.
Il sorso è teso, pieno ed assolutamente appagante. La frutta croccante è sorretta da tannini finissima, di gran eleganza. Alcol che non deve spaventare in etichetta: i 15% vol. risultano magnificamente integrati. Persistenza da campione e vita lunga davanti. Cabernet (e cantina) di assoluto riguardo.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2018, Darioush: 91/100
Porpora di media intensità, alla vista. 14,8%. Naso e sorso di un fruttato succoso, che ricorda la prugna e la ciliegia, con sottofondo di spezie calde (cannella) e scure (pepe) e venature balsamiche (menta, liquirizia nera). Alcol al momento un po’ troppo esuberante nel retro olfattivo, ma beva lineare e fresca, per nulla compromessa.
L’ulteriore affinamento non potrà che fare bene a questo nettare che combina in maniera esemplare potenza ed estrema eleganza. Vino che chiama la tavola in maniera netta, in particolare abbinamenti altrettanto opulenti e strutturati. Consigliatissima la selvaggina da pelo; meno quella da piuma.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2018 Stags Leap District, Pine Ridge Vineyards: 92/100
15,2%. Portora dall’unghia violacea, che evidenzia una certa gioventù e potenzialità del nettare, giunto al suo quarto anno di vita. Vino inizialmente un po’ chiuso, che si concede col tempo e con l’ossigenazione nel calice. Fanno quindi capolino le prime sfumature floreali, di viola, unite a un bel corredo di spezie calde (cannella, vaniglia bourbon) e orientaleggianti (curcuma, curry).
Spinge e riesce a raggiungere la superficie con qualche bracciata (leggi “ulteriore roteazione nel calice”) la frutta: è polposa, golosa, ricca, goliardica, materica. Si tratta di prugna appena colta dall’albero, a perfetta maturazione, ma anche di ciliegia e ribes nero. Non mancano risvolti rossi di fragola e lampone, tanto quanto di ciliegia Ferraiola e sanguinella.
Ci si aspetterebbe un sorso altrettanto complesso. Invece, specie nel centro bocca, il nettare sfodera una succosità lineare che sposta la bilancia dall’opulenza e stratificazione del naso tipica dei Cabernet della Napa Valley all’eleganza assoluta, resa ancora più intrigante da una unica e rara venatura sapido-minerale non presente negli altri campioni in degustazione.
Vino emblema della particolare espressione del vitigno in Stags Leap, che si conferma sottozona di pari dignità d’una italiana Docg, a sé stante. Un vino elegante e più che mai godibile oggi, tanto quanto nel medio-lungo periodo.
Napa Valley Cabernet Sauvignon 2016 Estate Grown, Long Meadow Ranch Winery: 90/100
Rubino intenso, con sfumature leggerissime granate. Un Cabernet con qualche anno sulle spalle, evidente anche al naso e al palato. Altra caratteristica, i 13.5% vol. d’alcol che lo rendono un unicum nel panel dei vini in degustazione. Frutto succoso e terziari profondi disegnano il quadro di un vino pienamente vitale, elegante e preciso.
Meno opulenza e più croccantezza, per uno stile che avvicina questo sample a quello europeo, in voga in diversi territori del vino che stanno superando, col passare degli anni, il concetto che i terziari siano la “cifra” che definisce peso e valore di un nettare (in favore di freschezza e primari).
Completano il quadro (naso-palato) ricordi erbacei garbati (foglia di tè, ma anche origano, rosmarino), uniti a una speziatura balsamica. Buona la persistenza, per un vino che chiama l’abbinamento con le carni rosse.
Spring Mountain District Cabernet Sauvignon 2015, Marston Family Vineyard: 92/100
Bel rubino intenso, con riflessi granata. Primo naso elegantissimo, che poi si conferma tale, senza scomporsi con l’ossigenazione. Componente floreale fresca (viola, rosa) in gran vista, assieme al frutto preciso e succoso, a polpa rossa (ribes, ciliegia, lampone, sino a rintocchi leggeri di fragola) e nera (mora di rovo, ribes nero, prugna disidratata).
Il sorso è teso, fresco, con balsamicità e terziari a fare da contraltare all’opulenza del frutto, in centro bocca. In chiusura ecco terziari di caffè e cioccolato fondente, oltre a una speziatura più marcata rispetto all’olfatto, che sposta l’asse dal balsamico al pepato.
Tannini eleganti e polposi e tenore alcolico richiamano alla mente le prime impressioni, date dal colore ancora giovane. Il nettare ha ancora tanta vita davanti. Perfetto anche oggi, con abbinamenti di pari struttura, dai primi ai secondi a base di carne.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Walter Massa e Andrea Picchioni hanno comunicato le loro dimissioni dal loro nuovo Cda di Fivi. Una notizia nell’aria da diversi giorni, che diventa ufficiale a poche ore dalla prima riunione del nuovo Consiglio di amministrazione della Federazione italiana vignaioli indipendenti, in programma domani, lunedì 21 marzo 2022. Subentra dunque nel Cda Andrea Pieropan (Veneto).
Le dimissioni di Walter Massa e Andrea Picchioni sono concatenate. Sulla base dei voti ricevuti in occasione delle elezioni del 9 marzo, il vignaiolo dell’Oltrepò pavese avrebbe dovuto occupare il posto lasciato dal collega piemontese. Picchioni ha tuttavia rinunciato, a sua volta, all’incarico.
Sempre sulla base del numero di voti, la sedia vacante nel nuovo Cda Fivi è stata quindi accettata da Andrea Pieropan, vignaiolo operante a Soave e in Valpolicella (dopo di lui sarebbe toccato a Cesare Corazza). Un vero e proprio scossone, a meno di un mese dall’elezione del management della Federazione.
Secondo rumors di winemag.it, il neo presidente Lorenzo Cesconi avrebbe tentato inutilmente di far desistere Walter Massa. Quella di Andrea Picchioni sarebbe stata invece una scelta personale. L’ennesimo segnale di vicinanza nei confronti del collega (ed amico) dei Colli Tortonesi.
Fatto sta che il nuovo Cda di Fivi dovrà fare a meno di uno dei suoi padri fondatori, nonché uno dei vignaioli più rispettati e noti a livello internazionale, artefice del miracolo Timorasso. Un vuoto che Andrea Pieropan sarà chiamato a colmare, assieme al resto dei consiglieri. [nella foto Walter Massa e Andrea Picchioni con Lino Maga – credits Marco Agnelli]
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È terminata da pochi minuti a Roma la prima riunione del nuovo Cda di Fivi, che ha eletto vicepresidenti Luigi Maffini (Campania) e Diletta Nember Cavalleri (Lombardia). Saranno loro ad affiancare ai vertici della Federazione italiana vignaioli indipendenti il nuovo presidente Lorenzo Cesconi (Trentino).
Il Cda ha inoltre confermato nel ruolo di Segretaria Rita Babini. Per la vignaiola emiliana anche il ruolo di coordinatrice dei rapporti con Cevi, organismo di rappresentanza dei vignaioli europei.
Confermato nel nuovo Consiglio di amministrazione della Federazione italiana vignaioli indipendenti Walter Massa (Piemonte), da alcuni ritenuto papabile per la vicepresidenza e, ancor prima dell’esito delle elezioni, addirittura come potenziale presidente Fivi. Già stabilita la data della prossima riunione del Cda, che si terrà a Bologna il 21 marzo.
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EDITORIALE – Il vino con la pizza, anzi: ad ogni vino la sua pizza, o ad ogni pizza il suo vino. Con il nuovo Catalogo “Carta Vini Primavera“, Metro Italia stuzzica i ristoratori italiani. E, forse inconsapevolmente, invita tutti a ragionare su quanto larga sia la fetta (non di pizza, ma di mercato) a cui le cantine italiane sembrano rinunciare senza troppe domande. Puntando tutto sull’estero o alta (altissima) ristorazione.
Già, perché quando ci si lamenta della povertà delle carte vini di molti ristoranti e pizzerie “di vicinato”, non si considera come numerose cantine snobbino la “ristorazione quotidiana“. Preferendo una caccia all’importatore estero dispendiosa e non sempre fruttuosa, nonché la corte amorosa all’head sommelier del ristorante stellato Tal dei Tali o Pinco Palla.
Certo, le foto delle bottiglie sui tavoli di New York, così come quelle sui tavoli d’avanguardia culinaria, servono (anche) a dare lustro al brand. Ma perché non impegnarsi nella comunicazione porta a porta, di vicinato, regionale o basata su Aree (per usare un termine Nielsen) di prossimità, rispetto alla sede operativa della cantina? Perché, in sostanza, non ricominciare dall’Italia?
I clienti di ristorantini, osterie di paese e pizzerie ne gioverebbero, così come la cultura del vino italiano, che andrebbe insegnata dalle basi, capovolgendo l’assurdo sillogismo, “ignorantotto”, secondo il quale se il vino è molto costoso, quindi è buono (per forza).
Ecco dunque, sul Catalogo “Carta Vini Primavera” di Metro Italia, una “Pizza leggera“, dai sentori semplici e con condimenti delicati, abbinata a un Müller Thurgau o a un Rosato Toscana Igt.
Per la “Pizza Ricca“, connotata da ingredienti saporiti a cui tener testa, l’insegna Cash and Carry propone Bonarda dell’Oltrepò pavese e Sangiovese Rubicone Igt. Per la “Pizza Rossa“, un Friuli Doc Pinot Grigio e un Collio Doc Sauvignon. Per la “Pizza Bianca” è caccia all’equilibrio perfetto, da centrare con un Prosecco Doc Treviso Extra Dry o un più strutturato Trento Doc.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Lorenzo Cesconi è il nuovo presidente di Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti. Il vignaiolo del Trentino sarà quindi il successore di Matilde Poggi. L’assemblea dei soci, che si è riunita nel primo pomeriggio, ha dapprima eletto il nuovo Cda.
In ordine di preferenze: Babini Rita (Emilia Romagna) 442, Cesconi Lorenzo (Trentino) 416, Morella Gaetano (Puglia) 365, Botti Ludovico Maria (Lazio) 354, Maffini Luigi (Campania) 354, Ferraro Luca (Veneto) 335, Nember Diletta (Lombardia) 322.
IL NUOVO CONSIGLIO DEI VIGNAIOLI INDIPENDENTI
E ancora: Vaja Stefan (Alto Adige) 309, Pizzamiglio Stefano (Emili Romagna) 307, Beretta Paolo (Marche) 285, De Franco Francesco Maria (Calabria) 273, Pavese Esrmes (Valle d’Aosta) 256, Raspi Monica (Toscana) 175, Monti Pietro (Piemonte) 139, Massa Walter (Piemonte) 131.
Esclusi, invece, Picchioni Andrea (Lombardia) 113, Pieropan Andrea (Lombardia) 105, Natale Fino Simona (Puglia) 86, Corazza Cesare (Emilia Romagna) 78, Gaspari Celestino (Veneto) 71, Parma Davide (Liguria) 38.
Oltre alla nomina del nuovo consiglio e del nuovo presidente Fivi Lorenzo Cesconi, i soci della Federazione hanno approvato il rendiconto finanziario con oltre 550 voti favorevoli, 20 contrari e 2 astenuti. Presentato e approvato anche il bilancio preventivo 2022.
IL COMMENTO DEL NUOVO PRESIDENTE FIVI LORENZO CESCONI
«Ringrazio i vignaioli e i consiglieri – sono le prime parole di Lorenzo Cesconi – che mi hanno dato fiducia e hanno scelto di affidarmi il ruolo di presidente di questa grande famiglia che è Fivi. Una famiglia che è cresciuta in numero di associati, siamo ormai quasi a 1400 soci, ma anche come autorevolezza.
Fivi è ormai riconosciuta sia a livello politico che sindacale come un interlocutore serio e affidabile. Credo nei valori che il concetto di Vignaiolo esprime: lavorare nel e per il territorio, applicando la stessa filosofia, legata ai valori della terra, dal vigneto alla cantina fino alla vendita».
«Il mio impegno come presidente – conclude Lorenzo Cesconi – è di continuare il lavoro di chi mi ha preceduto, Costantino Charrere e Matilde Poggi. Conto sull’aiuto di tutti per farlo al meglio perché Fivi è fatta di braccia, tante braccia e teste che lavorano per raccogliere i frutti che ci dona la terra».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Brilla una nuova stella nella parte nord orientale del cielo del vino italiano. È il Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest della cantina Sassocorno. Circa 6 gli ettari di proprietà di questa nuova realtà di Corno di Rosazzo (Udine), fondata nel 2017 come La Badie Società semplice agricola.
L’anima del progetto è variopinta. Stefano Poser, 39 anni, medico dello sport e winemaker autodidatta (già alla dodicesima vendemmia, la quarta a Sassocorno), è affiancato dalla moglie Francesca Ius, 39 anni, imprenditrice agricola.
C’è poi Diego Tomasella, 49 anni, ingegnere meccanico e «agronomo autodidatta», assieme alla moglie Loretta Silvestrini, 46 anni, assistente sociale e addetta alla comunicazione dell’azienda agricola. «Sì, siamo una realtà piuttosto originale», commenta a winemag.it Stefano Poser, nel mettere assieme i pezzi di un puzzle che convince, dentro e fuori dal calice.
SASSOCORNO – LA BADIE: VECCHIE VIGNE E BIODIVERSITÀ
Il focus della nuova cantina di Corno di Rosazzo sono le vigne vecchie di collina, che occupano la metà della superficie vitata, all’ombra dell’Abbazia di Rosazzo. Monumenti naturali di età compresa tra i 50 e i 100 anni, circondati da boschi e stuzzicati dal ronzio delle api, parte integrante del “disegno biodiverso” della cantina Sassocorno.
Tra le varietà di vite, la parte del leone è quella del Friulano e del Merlot. «I nonni piantavano questo», ricorda Stefano Poser. Ci sono poi piante di Malvasia, Refosco e Schioppettino, autoctoni del Friuli Venezia Giulia. «Queste ultime – continua il winemaker – stanno entrando in produzione con molta gradualità e prudenza».
A breve andranno in bottiglia Malvasia 2020, Refosco 2020, Friulano 2019 in due distinti cru. Così come Rosso 2019 e Merlot 2018. Nel frattempo, tra i due vini già disponibili sul mercato, il Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest mostra tutte le potenzialità di Sassocorno.
Ancora qualche pennellata – soprattutto in termini di pulizia ed equilibrio – e il Venezia Giulia Igp Rosso Cuar 2018 120M Ovest saprà fare da contraltare a un bianco di grandissima caratura. La via di questa nuova cantina di Corno di Rosazzo, già brilla d’un futuro luminoso.
VENEZIA GIULIA IGP BIANCO 2018 1090M NORD OVEST: LA DEGUSTAZIONE
Alla vista, la prima etichetta messa in commercio da Sassocorno appare di un giallo pieno, con sfumature orange. Questa la veste con cui si presentano all’altare del calice Friulano e Ribolla gialla (netta predominanza del primo, nell’uvaggio). Varietà fermentate spontaneamente e affinate per 2 anni, prima dell’imbottigliamento.
Oltre a catturare lo sguardo, il vino stuzzica sin da subito il naso con una nota che riporta dritta al Collio e alla sua Ponca (il noto flysch di Cormons), capace di fare di ribattere colpo su colpo alla generosità della frutta esotica matura.
Ecco dunque richiami botritici all’albicocca e alla pesca sotto sciroppo, così come note che richiamano toffee e vaniglia bourbon, a conferire complessità e materia a un quadro che si arricchisce delle caratteristiche “essenziali” del terroir locale. Un disegno armonico, stratificato e conturbante, che rende merito a Stefano Poser e al savoir fair ormai collaudato nell’utilizzo millimetrico di legno e ossigeno.
In bocca, il Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest entra morbido, su una corrispondenza gusto olfattiva in cui le sole note minerali e fumé lasciano spazio allo zenzero candito. Poi il nettare si tende come un arco su una freschezza d’agrume, che ricorda in maniera marcata il cedro.
Quando il sorso vira sul tannino sembra destinato a spegnersi a breve, come una candela che s’arrende al buio, sfidata dal vento. Ma poi si riaccende e regala una chiusura piena, sul frutto maturo a polpa gialla (riecco le note da “muffa nobile”) e su una sapidità intensa (riecco la Ponca). Chiusura di sipario assoluta su ricordi d’un fresco bergamotto.
Uno di quei vini, in definitiva, che denota la gran mano del vignaiolo, unità alla gioventù del nettare. Un orange completo, in cui le componenti ossidative esaltano il vitigno, anzi ancor più il terroir, al posto di sotterrarlo sotto quella coltre d’omologazione che, troppo spesso, attanaglia la tipologia dei macerati.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
A quasi 20 anni dal riconoscimento della Docg, i produttori del Colline TeramaneMontepulciano d’Abruzzo tirano le somme all’Anteprima 2022. Una preview, quella andata in scena mercoledì 2 marzo a Teramo, utile a sondare lo stato dell’arte di una denominazione che vuole farsi largo nel campo minato del Montepulciano d’Abruzzo. Uno dei vini italiani più amati dal grande pubblico, italiano ed internazionale.
Gli appena 172 ettari della Docg teramana e la produzione annua che si aggira attorno alle 450 mila bottiglie sono la fotografia esaustiva di una “nicchia” che intende distinguersi nel panorama vinicolo abruzzese, soprattutto in termini di posizionamento prezzo e valorizzazione del parco vigneti.
Non a caso, la parola più utilizzata nel discorso introduttivo rivolto alla stampa dal presidente del Consorzio, Enrico Cerulli Irelli (nella foto, sotto) è stata «identità». Un tema che tiene unite le 39 cantine associate all’ente di Roseto degli Abruzzi, nato nel 2003 e diventato sin da subito – nonostante le risicate dimensioni, in termini di rappresentanza – la casa del dibattitto più costruttivo sul futuro del Montepulciano.
LO STATO DELL’ARTE DELLA DENOMINAZIONE, NEL CALICE
Ventuno i Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo Docg in degustazione durante l’Anteprima 2022 (2020, 2019, 2018 e 2015), accanto a diciotto vini Riserva delle annate 2017, 2016, 2015, 2013 e 2011. Al netto dello stile dei singoli produttori, meglio i primi dei secondi.
La Riserva, come in molte altre denominazioni del vino italiano, sembra pagare lo scotto di un’interpretazione anacronistica del concetto stesso di “vino riserva”. Ecco dunque sovraestrazioni, grassezze e un utilizzo strabordante dei legni, a coprire primari e varietale. E a stordire, in definitiva, quel cavallo di razza che il Montepulciano d’Abruzzo sa essere, in svariate interpretazioni regionali.
La polvere sulle spalle di molti vini Riserva viene spazzata via dalla goduriosità e freschezza di diversi Colline Teramane Docg. I 21 vini “base” in degustazione, spaziando dalla fascia litorale adriatica a quella collinare-montana del Gran Sasso, mostrano tutta la variabilità e proattività di un territorio tutto sommato ristretto, che non rinuncia comunque a interpretazioni “sottozonali” del Montepulciano.
IN ARRIVO LA TIPOLOGIA SUPERIORE
Tra il Colline Teramane Docg “Giovane” (affinamento minimo di un anno e immissione in commercio dal 1° novembre dell’anno successivo alla vendemmia) e il Colline Teramane Docg “Riserva” (almeno 3 anni di invecchiamento, di cui almeno uno in legno) sarà presto introdotta una nuova tipologia.
Si tratta del “Superiore“, che si collocherà a metà della piramide qualitativa. Il tutto, nel contesto di un Abruzzo del vino che sta vivendo un momento di grande dinamicità.
Oltre alle elezioni ormai prossime in casa del Consorzio vini regionale (quasi scontata l’elezione di un rappresentante di Cantina Tollo, il nome più caldo è quello del presidente Tonino Verna) è da poco nata una delegazione Fivi locale, che raggruppa 20 vignaioli indipendenti abruzzesi e due molisani.
ANTEPRIMA COLLINE TERAMANE MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOCG: LA DEGUSTAZIONE
Colline Teramane Docg 2020 Versosera, Velenosi (Ascoli Piceno)
Colore molto carico, visibilmente giovane. Gran bel frutto polposo. Bella energia, naso vibrante e vivo. Ossigenazione porta tinte agrumate e accentua la parte floreale. Molto bello questo naso, armonico e teso. Il palato conferma le impressioni: vino vivo, fresco, vibrante. Manca un po’ di peso specifico in centro bocca, ma ne giova la bevibilità. Chiude su agrumi e spezie, sempre in maniera armonica. 86/100
Colline Teramane Docg 2020, Tenuta Terraviva (Tortoreto)
Colore meno intenso del precedente, buona trasparenza e luminosità. Naso profondo ma delicato, floreale. Frutto croccante appena maturo. Tannino un po’ aggressivo, su una polpa che si fa desiderare. 82/100
Colline Teramane Docg 2020 Le Murate, Nicodemi (Notaresco)
Colore rosso rubino mediamente intenso. Bel naso pieno, giustamente grasso, polposo, maturità del frutto che sfiora la confettura, ma non la centra. Belle note floreali, rintocchi freschi mentolati e speziati. In bocca tutto su eleganza e tensione: agrume sulla frutta di bosco a polpa rosso, tannino che si integrerà, già molto elegante. 85/100
Colline Teramane Docg 2020, Emidio Pepe (Torano Nuovo)
Campione di vasca. Rosso profondo, unghia violacea. Delude la new entry di casa Pepe. Dopo un naso promettente, tutto su fiori e frutto, ecco un centro bocca un po’ vuoto. Manca, ancor più, l’allungo in chiusura. 82/100
Colline Teramane Docg 2020 Yang 2020 (Roseto degli Abruzzi)
Ecco uno di quei Montepulciano di stile, capaci di identificare mano e intenzioni del produttore, nonché la sua idea della varietà. Si parte da un colore scarico che si nota nella batteria, di bella luminosità. Pregevole anche il naso che abbina fiore, frutto e spezie, in maniera molto elegante, raffinata. Un Montepulciano di razza, eppure, che scalpita in termini di tipicità. Anche in bocca si conferma tale: giovanissimo, buona prospettiva media di affinamento. 87/100
Colline Teramane Docg 2019, Fantini (Roseto degli Abruzzi)
Colore carico, impenetrabile. Legno in grande evidenza al naso, copre un po’ il frutto. C’è però un’apprezzabile componente balsamica, di mentuccia. Si conferma profondo e balsamico anche al palato. Vino che piacerà certamente al mercato orientale e americano. 84/100
Colline Teramane Docg 2019 Fonte Raviliano, De Angelis Corvi (Controguerra)
Altra prova di vasca, ma questa convince, eccome. Colore carico. Bella mora di rovo in un naso che si apre piano. Spezia molto elegante, macchia mediterranea. Frutto che si conferma polposo al palato, su una trama tannica fitta e di prospettiva assoluta. Montepulciano di razza. Vino che sarà molto importante. 89/100
Colline Teramane Docg 2019 Colle Sale, Barone di Valforte (Silvi)
Campione di botte. Colore mediamente penetrabile. Bel frutto al naso, così come in ingresso di bocca. Ecco la mora di rovo, sulla ciliegia e il frutto di bosco iniziale. Bella componente di macchia mediterranea e spezia. Un Montepulciano confortante, nella sua assoluta piacevolezza e tipicità. 86/100
Colline Teramane Docg 2019 Versosera, Velenosi (Ascoli Piceno)
Colore molto carico. Tra i vini più pronti e stilisticamente “ricchi” dell’intera anteprima. Bella profondità di liquirizia sul frutto, tannino elegante, prospettiva. Vino che abbina il carattere del Montepulciano e strizza l’occhio, pur senza perdere tipicità, al mercato. Altissimo gradiente di gastronomicità. 87/100
Colline Teramane Docg 2019 Orsus, Fosso Corno (Torano Nuovo)
Colore scarico rispetto a molti altri in degustazione. Eppure, al palato, gran carattere e profondità. Tannino in fase di integrazione, pur elegante. Convince per la precisione del frutto, per quella ciliegia, quel lampone e quei fiori di rosa (oltre alla viola) che pare di avere (e vedere) nel calice. Che si tratti di un Montepulciano di razza, senza compromessi, lo chiarisce poi quel tratto vagamente ematico che caratterizza le belle espressioni pure del vitigno. Al palato, poi, finisce per tingersi anche di sapido. Complessità, prospettiva, eleganza, armonia. Stile da vendere. 88/100
Colline Teramane Docg 2019 Gruè, Cerulli Spinozzi (Canzano)
Colore mediamente carico. Bel naso ricco, materico, profondo, floreale e fruttato. In bocca tannino un po’ invadente, non sostenuto al meglio dalla polpa, pur presente. Vino da apprezzare oggi (meglio) o nel medio periodo. 85/100
Colline Teramane Docg 2019 Antares, San Lorenzo (Castilenti)
Primo naso sul legno, mou e vaniglia, balsamico, poi esce un bell’agrume rosso. Vino pronto, reso complesso e stratificato più dai terziari che dai primari. Buona interpretazione per alcuni mercati esteri e per gli amanti dei vini pieni, grassi. 85/100
Colline Teramane Docg 2019 MKP, Monti (Controguerra)
Pecca in termini di pulizia, al naso quanto al palato, esibendo note selvatiche comunque tipiche di alcune interpretazioni del Montepulciano. Vino che, comunque, ha razza e potenziale. 85/100
Colline Teramane Docg 2019 La Regia Specula, Contucci Ponno (Roseto degli Abruzzi)
Gran bel naso, ricco e ampio, largo e profondo, tra i più apprezzabili della giornata. Frutto pieno, spezia, liquirizia. Anche in bocca si conferma vino assolutamente interessante e di precisione millimetrica. La chiusura morbida regola a dovere i tannini poderosi, regalando potenzialità e piacevolezza generale. Interpretazione di stile del Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane. 87/100
Colline Teramane Docg 2018 Vizzaro, Barone Cornacchia (Torano Nuovo)
Prova di botte. Unghia violacea, sul rosso purpureo. Naso piuttosto stratificato, tra frutto, fiore e macchia mediterranea. Tocco balsamico. Buon uso dei legni, in termini di integrazione e “dosaggio”. Tannino che schiaccia un po’ la polpa. 85/100
Colline Teramane Docg 2018 Colle Sale, Barone di Valforte (Silvi)
Colore mediamente carico. Tanta spezia e macchia mediterranea (rosmarino, alloro) al naso. Eleganza da vendere, frutto preciso, succoso. Pregevole anche la bocca, altrettanto elegante e precisa. Spazia dalla ciliegia allo stecco di liquirizia, con ritorni della macchia già avvertita al naso. Freschezza equilibrata e quel tocco (pare) di residuo zuccherino che assicura bevibilità, senza stancare mai. Vino godurioso oggi e, al contempo, di buona prospettiva. 88/100
Colline Teramane Docg 2018 Cortalto, Cerulli Spinozzi (Canzano)
Colore mediamente intenso. Naso profondo, su spezia scura e macchia mediterranea. Ci rimette un po’ la componente fruttata, in disparte. Poi, si apre bene e tutto appare armonico, compreso l’utilizzo del legno. Bel palato elegante, che non rinuncia tuttavia a rivelare i lati più rustici e scalpitanti del Montepulciano d’Abruzzo. Bella chiusura, larga e asciutta, sul frutto e su ritorni di liquirizia. Bel vino stratificato e complesso, che potrà dare ancora soddisfazioni negli anni. 89/100
Colline Teramane Docg 2017 Re, Lepore (Controguerra)
Colore mediamente carico. Gran abbondanza di note terziarie al naso. Si fa apprezzare meglio al palato, rivelandosi un vino gastronomico, pieno, ricco. Un vino di chiaro taglio internazionale, che tuttavia tiene alta la bandiera della tipicità del Montepulciano d’Abruzzo della Colline Teramane. 87/100
Colline Teramane Docg 2016 Voluptas, Monti (Controguerra)
Media concentrazione nel colore. Timido all’inizio, esce con l’ossigenazione rivelando buona profondità ed eleganza. Convince la nota di liquirizia e quella mediterranea. Palato giocato sull’eleganza e su una beva di buona raffinatezza. Consumare oggi, o a medio termine. 86/100
Colline Teramane Docg 2015 Prima Madre, La Quercia (Morro D’Oro)
Colore granato e naso da vino maturo. Si connota per note di cuoio, l’ematico e la profondità dei terziari. La ciliegia diventa rabarbaro, il fiore è viola secca e potpourri. Bocca altrettanto matura, dai rintocchi mielati, ematici e di terra di bosco bagnata. La chiusura di sipario è sul tamarindo. Vino arrivato all’apice della sua evoluzione, pur senza sfigurare. SV
Colline Teramane Docg 2015 Santa Maria dell’Arco (Giulianova)
Colore vivo, anche nei riflessi dell’unghia. La bella profondità e ricchezza del colore si trasferisce al naso, prima, e al palato, poi. Ottima vitalità: tannino elegante, soffice, integrato, eppure di prospettiva. Tipicità da vendere per un Montepulciano di razza che scalpita d’eleganza e vita. Un’ottima prova, in termini di positivo affinamento. 91/100
ANTEPRIMA COLLINE TERAMANE MONTEPULCIANO D’ABRUZZO DOCG RISERVA: LA DEGUSTAZIONE
Colline Teramane Docg Riserva 2017 Castellum Vetus, Centorame (Atri)
Rubino carico. Vino che ha bisogno di tempo per aprirsi nel calice e dare grandi soddisfazioni. Una Riserva sul frutto e sulla sapidità. Colpisce, in particolare, la precisione della concentrazione delle note fruttate, in dialogo contante con le durezze. Ne risulta un sorso teso, fresco, intrigante, di assoluta prospettiva. 91/100
Colline Teramane Docg Riserva 2017 Colletrà, Strappelli (Torano Nuovo)
Il colore assume tinte impenetrabili. Dopo un’iniziale chiusura e timidezza, si apre su note di viola, esibendo anche un bel frutto pieno, rosso. Vino ricco di materia e piacevolezza, nel gioco tra lampone, fragola e ciliegia e un tannino piuttosto elegante. 89/100
Colline Teramane Docg Riserva 2017 Orsus, Fosso Corno (Torano Nuovo)
Colore mediamente carico. Naso dominato dai terziari. In bocca salinità e frutto, ma sempre in un contesto di note da “legno” un po’ troppo prevaricanti. Etichetta che regala comunque una beva giocata sulla piacevolezza. 86/100
Colline Teramane Docg Riserva 2017, Contucci Ponno (Roseto degli Abruzzi)
Colore impenetrabile a preannunciare un naso tra terziari e note selvatiche che distraggono frutto e polpa. Un vero peccato, perché sotto scalpita un Montepulciano d’Abruzzo vero, sapido, teso, balsamico. 82/100
Colline Teramane Docg Riserva 2017 Terra Bruna, Podere Colle San Massimo (Giulianova)
Rubino carico. Vino giocato sull’eleganza. Tanto fiore, bel frutto preciso. Pregevole anche al palato: abbina rotondità polpose a un tannino scolpito e di prospettiva, pur soffice ed integrato. L’ossigenazione (consigliata) apre la finestra del calice alla macchia mediterranea e a note balsamiche piacevolissime. 90/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Opi, Fantini (Roseto degli Abruzzi)
Tanta (troppa) vaniglia, tostatura, caramella mou, al posto di ricchezza, complessità e stratificazione. Vino assolutamente piacevole, ma troppo poco territoriale. 85/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Elevito, De Angelis Corvi (Controguerra)
Colore pieno. Un tocco d’incontrollata ossidazione fa propendere per la richiesta di una seconda bottiglia. Cambia la musica, totalmente. Ecco uno dei migliori Montepulciano d’Abruzzo Riserva non dell’annata, ma dell’intera Anteprima 2022. Vino che si rivela molto fresco, sul frutto, profondo, balsamico e con un tocco di rabarbaro in chiusura che invita la beva. 92/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Fonte Cupa, Montori (Controguerra)
Vino che ha tutto ciò che ci si può (e ci si deve) aspettare da un Montepulciano d’Abruzzo Riserva di 6 anni. Da bere oggi, può dare soddisfazioni anche a tavola con abbinamenti importanti. 87/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Luigi Lepore, Lepore (Controguerra)
Naso pieno, stratificato, fumo di pipa, macchia mediterranea. Tocchi freschi di rabarbaro e liquirizia, sul frutto rosso. Bel palato pieno, ricco, complesso, altrettanto stratificato. Abbina meglio di molti altri campioni piacevolezza e tipicità. 87/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016, Mazzarosa (Roseto degli Abruzzi)
Naso selvatico e fruttato. Palato sulla medesima scia. Piacevolezza di beva conferita da un frutto pieno. Vino lineare, sintetico. 85/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Polifemo, Tenuta Terraviva (Tortoreto)
Colore poco carico rispetto ad altri campioni. Dopo una prima bottiglia che mostra segnali di rifermentazioni leggerissimi, restano i dubbi sulla pulizia di naso e olfatto. SV
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Neromoro, Nicodemi (Notaresco) Fiore, frutto, tanto legno. Si perde un po’ la varietà. 84/100
Colline Teramane Docg Riserva 2016 Escol, San Lorenzo (Castilenti)
Il frutto (preciso, pur concentrato) scalpita per farsi largo tra i terziari, sia al naso sia al palato. Ne risulta un nettare potente, largo, che pecca però in termini di stratificazione. Bevibilità però premiata. 85/100
Colline Teramane Docg Riserva 2015 Torre Migliori, Cerulli Spinozzi (Canzano)
Tra i campioni più intriganti di tutta l’Anteprima 2022, per “età” e per il taglio stilistico che ricorda – se gli si concede la giusta “aria” nel calice – quella di alcuni grandi Cabernet Franc di statura internazionale, della Loira o dell’Ungheria meridionale (Villány). A note verdi dosate e a un curioso ricordo di curry, abbina frutto polposo e tannino integrato, ma di prospettiva. Vino da tenere in cantina o da godere oggi, col gusto abbinamento. 91/100
Colline Teramane Docg Riserva 2015 Pignotto, Monti (Controguerra)
Altro vino che, con l’annata 2015, sfodera tinte verdi intriganti. In bocca si perde nel piacevolezza e larghezza del sorso. 84/100
Colline Teramane Docg Riserva 2015, Abbazia di Propezzano (Morro d’Oro)
Naso maturo, come il colore granato. Tocco leggero di selvatico. Vino pieno, piuttosto complesso, gastronomico. Bere oggi. 85/100
Colline Teramane Docg Riserva 2013 Mastrobono, La Quercia (Morro d’Oro)
Colore ancora giovane. Naso e bocca sul frutto, senza l’attesa stratificazione e con un utilizzo del legno piuttosto ingombrante. Piacevole, nel complesso. 85/100
Colline Teramane Docg Riserva 2011 Senior, Monti (Controguerra)
Bel colore rubino. Naso che tende al verde e regala polpa e frutto con l’ossigenazione. Al palato un tannino molto presente, ben controbilanciato da alcol e frutto, in grado di reggerne il colpo. Vino giunto all’apice della fase evolutiva. 85/100
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Inizia a stringersi il cerchio attorno al nuovo Consiglio direttivo della Federazione italiana vignaioli indipendenti Fivi. In occasione dell’Assemblea fissata in seconda convocazione per le ore 14 del 9 marzo 2022, gli associati saranno chiamati ad eleggere i loro nuovi rappresentanti. Emergono in queste ore i primi programmi. Tra le proposte più “rivoluzionarie”, quella di abolizione del “click day”, per aprire a tutti le cantine la possibilità di partecipare al Mercato dei vignaioli 2022.
L’evento più importante nel calendario annuale Fivi potrebbe così cambiare volto e location. Non è escluso, infatti, che l’ormai storica sede di Piacenza Expo possa essere sostituita da un’altra struttura fieristica italiana.
11° Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti aperto e GARANTITO a tutti i soci nelle stesse condizioni di visibilità – si legge sul manifesto della lista -. Fivi come la vogliamo: no click day».
IL NUOVO CONSIGLIO DIRETTIVO FIVI: I CANDIDATI
Il Consiglio Direttivo Fivi è composto da 15 membri. Ogni associato partecipante all’assemblea potrà esprimere fino a 7 preferenze. Le deleghe possono essere conferite solo ad un associato, che parteciperà in presenza e potrà riceverne fino a un massimo di tre.
Le candidate e i candidati alla carica di consigliere, in ordine alfabetico, sono Rita Babini (Emilia Romagna), Paolo Beretta (Marche), Ludovico Maria Botti (Lazio), Lorenzo Cesconi (Trentino), Cesare Corazza (Emilia Romagna), Francesco Maria De Franco (Calabria), Luca Ferraro (Veneto).
E ancora: Celestino Gaspari (Veneto), Luigi Maffini (Campania), Walter Massa (Piemonte), Pietro Monti (Piemonte), Gaetano Morella (Puglia), Simona Natale Fino (Puglia), Diletta Nember (Lombardia).
A seguire: Daniele Parma (Liguria), Ermes Pavese (Valle d’Aosta), Andrea Andrea Picchioni (Lombardia), Andrea Pieropan (Veneto), Stefano Pizzamiglio (Emilia Romagna), Monica Raspi (Toscana) e Stefan Vaja (Alto Adige).
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – L’ultima volta che ci eravamo sentiti era il 6 novembre 2021. Alie mi chiedeva come fosse andata la giuria della Wine & Spirits Ukraine, il Concorso Vini dell’Ucraina a cui avevo preso parte dall’1 al 3 novembre, assieme ad altri giudici internazionali.
Alie è una giovane sommelier che lavora da diversi anni per una delle enoteche più prestigiose della capitale Kiev: GoodWine, all’ultimo piano del lussuoso centro commerciale TsUM (ЦУМу, in ucraino). È proprio qui che ci siamo conosciuti, per un’intervista sull’andamento dei consumi di vino nel Paese.
Il wine shop ha sede all’ultimo piano di un edificio di 45 mila metri quadrati, in cui hanno trovato casa, dopo il restauro generale del 2016, numerose firme internazionali della moda, dell’abbigliamento e del lusso. Un retail park decisamente “all’Occidentale”, nel cuore di Kyïv (Kiev). A due passi dal Teatro nazionale dell’Opera e a tre dalla Porta d’Oro (Zoloti vorota).
Uno dei tanti luoghi di lavoro rimasti chiusi, ieri mattina, a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, ai comandi di Vladimir Putin. Da due notti, Alie e il marito vagano fuori casa. Costretti come decine di migliaia di altri ucraini a nascondersi. Cercando riparo dai colpi di artiglieria delle milizie nemiche.
«Stanotte – mi racconta Alie in un messaggio che fa trasalire – abbiamo trovato un rifugio di fortuna. Siamo su un materasso, per terra, sotto alle coperte. Siamo al caldo, ma non ci sentiamo abbastanza al sicuro. Domani scenderemo nella metropolitana, come hanno già fatto molti. Siamo terrorizzati». Arriva di lì a poco la foto della “stanza da letto”. È ricavata in uno scantinato.
In queste ore, Alie si è già messa alla ricerca di una sistemazione migliore, nelle metropolitane di Kiev. La pancia della città, fino allora simbolo lampante della metropoli internazionale delle contraddizioni – Kyïv per l’appunto – trasformata in un bunker. Fuori, in superficie, all’aria aperta, gli invasori. Sottoterra, i padroni di casa.
«Putin deve pagare caro il prezzo della nostra sofferenza», si lascia scappare Alie in chat. «Non ci saremmo mai aspettati che sarebbe potuto arrivare a tanto. Siamo spaventati, distrutti, sorpresi e arrabbiati. Ogni ucraino che in queste ore si nasconde vuole bene come fossero famigliari ai soldati che stanno tentando di fermare gli invasori».
Il tempo scorre a Kiev, anche quando tutto sembra essersi fermato. La nonna del marito di Allie è morta poche ore prima dell’inizio delle esplosioni nelle capitale. «Se l’è portata via il Coronavirus – spiega – non sappiamo neppure quando potremo seppellirla».
È la tragedia nella tragedia che diventa rabbia a cui aggrapparsi, per dare un senso all’oggi. E, ancor più, al domani. «Torneremo a bere assieme a Kiev, Davide, te lo prometto». Quanto prima, Alie. Budmo!
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si scrive mangalica. Si legge mangaliza. È la razza di maiale ungherese che dà vita ad eccezionali salumi e ad una delle carni bianche più pregiateal mondo. Amata dagli chef internazionali e sempre più costosa. Capace, come se non bastasse, di superare quasi indenne la pandemia. Il prezzo è raddoppiato, anzi, per via della domanda crescente, da ogni angolo del pianeta. Non fa eccezione l’Italia, in cui la cosiddetta “kobe” o “wagyū dei maiali”, viene scelta come razza per l’allevamento e per la trasformazione.
Gongola, non a caso, nel suo ufficio in centro a Debrecen, Péter Tóth. La seconda città dell’Ungheria, al confine orientale con Romania e Ucraina, ospita la sede della Moe, Mangalicatenyésztők Országos Egyesülete. L’Associazione nazionale Allevatori Mangalica, di cui è presidente.
Le pareti dello studio, costellate di cartine geografiche, puntellate da segnaposto che indicano i Paesi conquistati dall’export di mangalica, raccontano da sole almeno metà della storia. Il resto lo fanno le decine di maiali in miniatura – di porcellana, plastica e addirittura peluche – che Péter Tóth colleziona gelosamente.
«Questo arriva dall’Australia», mostra fiero il presidente degli allevatori ungheresi, indicando l’etichetta, intonsa, di un maiale mangalica che pare quasi vero, tanto è curata la riproduzione del pelo lungo come quello di una pecora, tipico della razza.
«”Item number 88674″ – insiste, scrutando il cimelio -. E c’è scritto pure “Hungarian pig“. Lo sanno tutti, ormai, che il mangalica è il nostro maiale, ed è fatto così. Anche in Austrialia, si figuri». Miniature che sono piccoli, grandi trofei.
Se oggi Péter Tóth può permettersi di collezionare maialini sulle mensole del proprio ufficio di Debrecen, lo deve alla lungimiranza e alla perseveranza dimostrata all’inizio degli anni Novanta.
L’attuale presidente degli allevatori ungheresi può essere infatti considerato l’uomo che hasalvato la razza magalica dall’estinzione. Trasformandola, negli anni, in un motore dell’economia ungherese. Nonché in monumento nazionale alla biodiversità.
STORIA DELLA MANGALICA, IL MAIALE UNGHERESE SALVATO DALL’ESTINZIONE
A fare da sfondo alla storia di successo del mangalica c’è l’Ungheria degli anni Novanta. Un Paese ridotto alla fame. Liberatosi da poco dalla dominazione sovietica e dal blocco comunista, al pari di altre nazioni del famigerato Patto di Varsavia.
È l’epoca del “Pacchetto democratico”. Una ventata di liberalizzazioni che aprì le porte di Budapest – non ancora quelle del countryside, ben più arretrato – all’Occidente. In quegli anni, non a caso, McDonald’s mise piede nel cuore della capitale magiara, aprendo il primo fast food a Vörösmarty tér.
È arrivata dall’altra parte del Continente anche la lettera che ha cambiato per sempre la storia del maiale di razza ungherese. «Nel 1991 – spiega a winemag.it Péter Tóth – fui contattato da Juan Vicente Olmos, ancora oggi direttore di una delle più prestigiose aziende di produzione di Jamón Serrano, la Monte Nevado. Era alla ricerca di materia prima di assoluta qualità. Mi venne subito in mente il mangalica».
L’alto contenuto di grasso intramuscolare è ciò che rende speciale questi maiali. Una caratteristica rara, perfetta per la produzione di salumi stagionati, come il Serrano. La richiesta spagnola fu la chiave di volta per la storia moderna del maiale ungherese.
Misi degli annunci sui giornali – spiega Péter Tóth – e ricevetti decine e decine di lettere, in poche settimane. La maggior parte dei mangalica rimasti erano di proprietà di privati. Arrivato sul posto per ritirare l’animale, il più delle volte scoprivo che non c’era più. La famiglia se l’era già mangiato nel frattempo, in quanto costituiva l’unica fonte di sostentamento».
Per Tóth fu un’impresa riuscire a raccogliere circa 200 capi. Un lavoro minuzioso, paziente. Eroico. Che durò fino al 1994. Anno in cui, assieme ad un manipolo di “illuminati”, tra imprenditori locali e studiosi universitari, fondò a Hortobágy – nel cuore della regione di Hajdú-Bihar, a una quarantina di chilometri da Debrecen – il primo centro di allevamento del mangalica.
MANGALICA LA RAZZA DI “MAIALE PECORA” UNGHERESE
Il gruppo capitanato da Péter Tóth catturò ben presto l’attenzione del governo ungherese. A cavallo tra il mandato lampo di Péter Boross e quello, più duraturo, del primo ministro Gyula Horn (1994-1998), l’Ungheria si rese conto di avere in casa una carta d’oro, chiamata mangalica.
Ma è con Viktor Orbán, nel 2004, che il “suino-pecora” viene ufficialmente riconosciuto come razza “patrimonio nazionale della biodiversità”. Dall’Unione europea iniziano così ad arrivare ingenti contributi per la preservazione della specie. A mediare è proprio la Mangalicatenyésztők Országos Egyesülete, l’Associazione nazionale allevatori mangalica che oggi raggruppa 110 aziende.
L’articolo del New York Times del 2009, che titola “The next Big Pig” a proposito del mangalica, aiuta le piccole farm ungheresi ad espandere il business con l’export. La razza diventa richiestissima non solo negli Usa, ma anche in Oriente. Ne vanno ghiotti i giapponesi, tra i popoli che meglio hanno compreso la somiglianza del maiale ungherese a carni di bovino pregiate, come kobe e wagyū.
Oggi – evidenzia Péter Tóth – è difficile trovare un Paese in cui non sia ancora arrivata la carne di mangalica. Un successo che ne ha fatto lievitare il costo, anche in periodo di pandemia.
Nel 2021, la mangalica ha raddoppiato il proprio prezzo al chilo. Ed è ormai diventata, a detta di molti, la carne di maiale più pregiata al mondo. Scelta dagli chef e da molte celebrità, nazionali e internazionali».
CARNE E SALUMI DI MANGALICA: L’ITALIA NON STA A GUARDARE
Il lavoro avviato da Péter Tóth all’inizio degli anni Novanta, partendo da appena 200 capi, ha dato ben più dei frutti sperati. Oltre al prestigio nazionale e internazionale, le 110 aziende che fanno parte dell’Associazione nazionale allevatori mangalica controllano un patrimonio – prima di tutto genetico – di circa 9.500 mila femmine.
La produzione annuale viene garantita da circa 15 mila fatteners, destinati alla macellazione. Animali che da vivi costano un terzo rispetto alle suine da riproduzione: 500 euro, rispetto ai 1.500 euro di una femmina.
«Il giro d’affari – spiega Tóth – è del 2% rispetto a quello della carne di maiale comune, in Ungheria. Quello che ci rende speciali, oltre alla qualità, è la dimensione artigianale delle aziende. Siamo la Rolex, la Bentley o la Lamborghini del settore!
E non vogliamo crescere più di tanto. Nei prossimi 10 anni, secondo le previsioni più floride, potremmo raddoppiare il numero degli animali. Rimanendo comunque ben lontani dalle proporzioni industriali che caratterizzano l’allevamento di suini internazionale».
Storia, fascino, rivincita e, soprattutto, futuro, che interessa – eccome – anche l’Italia. Chiedere per credere a Carlo Dall’Ava, titolare del Prosciuttificio Dok Dall’Ava di San Daniele del Friuli, cittadina nota in tutto il mondo per la produzione dell’omonimo prosciutto crudo Dop.
L’ultimo progetto dell’azienda parla ungherese e si chiama, non a caso, Hundok. Un salume nato da cosce di maiale suino mangalica. «Una razza pura dal 1700 – sottolinea l’imprenditore a winemag.it – allevata nelle pianure magiare per circa 16 mesi».
«Questo maiale, tanto peloso da assomigliare ad una pecora obesa – continua Dall’Ava – ha contenuti di acido oleico talmente alti da poter essere paragonato allo spagnolo. Il Prosciutto ottenuto da questa carne è veramente incredibile. Si scioglie letteralmente in bocca, dando un senso di dolcezza unico. Del resto il mangalica è il papà dei maiali europei. Gli ungheresi erano i norcini dell’impero romano»
Se allevati bene, 6/10 maiali per ettaro non fanno odore e tengono pure i boschi in ordine. Lo ho scoperto grazie al mio amico Antal Baumgartner, padre del primo pilota ungherese di Formula 1, Zsolt Baumgartner.
Me lo fece assaggiare lui per la prima volta e me ne innamorai subito. Così ho iniziato ad importalo, creando il prosciutto che celebra questa razza straordinaria. È un animale per chi capisce di salumi, ovvero per chi ama il grasso!».
MANGALICA IN ITALIA: AD ASTI IL PROGETTO DI FATTORIA DEL PALUCCO
Tra gli allevatori di maiali mangalica da cui si rifornisce Dok Dall’Ava c’è la Rodaro Paolo Winery di Spessa (UD). Una “moda” che sembra contagiare le più vocate terre del vino italiano, come dimostra il neonato progetto di Assunta Maraventano, ad Asti. Si chiama Fattoria del Palucco e prende il nome dalla località del noto comune a vocazione vitivinicola del Piemonte.
«Il taglio del nastro – spiega la titolare – è recentissimo, essendo avvenuto l’11 gennaio 2022. L’azienda nasce dalla passione per il buon cibo: qualcosa di strettamente legato alla qualità delle materie prime. Non ultima la carne». Ben dodici gli ettari a disposizione della nuova azienda agricola, interamente dedicata al maiale di razza mangalica.
Per dare avvio al progetto – spiega Assunta Maraventano – abbiamo acquistato due verri e quattro scrofe, in grado di generare 5 o 6 cuccioli per figliata. L’idea iniziale è quella di incrementare il numero di animali, procedere alla selezione e vendere carne, salumi ed insaccati».
I fortunati esemplari di “mangalica piemontese” vivono in stato semibrado, tra doppie recinzioni e una fascia elettrificata che impedisce l’ingresso e il contatto con la fauna selvatica. Si cibano di ghiande, castagne e nocciole, naturalmente presenti nella tenuta.
«Non sarà mai un allevamento intensivo – annuncia la titolare – e mai utilizzeremo mangimi non naturali. Oltre a cercarsi da soli il cibo nei boschi, integriamo l’alimentazione nei mesi freddi dell’anno, con frutta e verdura fresca di stagione e cereali. Sono maiali stupendi, mansueti, con cui i bambini possono addirittura giocare».
KÖVÉR TANYÁ, L’ALLEVAMENTO MODELLO IN UNGHERIA
Mentre l’Italia sembra avviarsi verso un modello di open-farm, con i maiali razza mangalica protagonisti visibili (e tangibili) di un progetto che abbraccia storytelling e “gastroturismo esperienziale”, in Ungheria non è poi così scontato trovare aziende che aprano le proprie porte ai visitatori. Ancor meno alla stampa.
Non è certo il caso di Kövér Tanya, allevamento a conduzione famigliare pluripremiata a livello nazionale ed internazionale per la qualità premium delle proprie carni. A fare gli onori di casa, senza alcun indugio, è il patron Zoltán Kövér, classe 1959 oggi affiancato in azienda dalla moglie Rózsa, dalla figlia Kriszta e dal figlio Zoltán Jr.
Quella che gestisce a Tetétlen, villaggio di mille anime a una cinquantina di chilometri a sud-ovest di Debrecen, è una delle aziende simbolo del “miracolo ungherese” chiamato mangalica. «Nella vita – racconta Zoltán Kövér a winemag.it, davanti a un piatto di succulenti salumi – ho fatto tanti lavori. Nel frattempo ingrassavo e vendevo ai macelli circa 200 maiali l’anno. Nel 2005 ho deciso di mettermi in proprio».
Un anno che non è casuale, visto il riconoscimento del mangalica a “patrimonio nazionale”, avvenuto nel 2004. Kövér Tanya è diventata ben presto un fiore all’occhiello dell’Associazione allevatori ungheresi presieduta da Péter Tóth. Oggi conta 21 ettari di pascolo in cui i maiali possono razzolare liberamente. E un patrimonio di scrofe bionde razza mangalica arrivato ormai a 60 esemplari, rispetto alle 20 iniziali.
«Ciò che ci contraddistingue – commenta fiero Zoltán “Zoli” Kövér – è l’artigianalità della produzione. Siamo un’azienda dotata dei migliori accorgimenti tecnologici. Ma ciò che più ci sta a cuore è il benessere dei nostri animali e la conservazione dei sapori autentici della carne e degli insaccati mangalica, senza alcun additivo dannoso per la salute. Il mercato ci conosce e apprezza per questo».
L’APPUNTAMENTO ANNUALE CON MAGALICA FESTIVAL
Se c’è un appuntamento speciale per conoscere le tante sfumature della razza mangalica, quello è il Mangalica Festival. L’evento si svolge annualmente a Debrecen e a Budapest, le due città simbolo della rinascita e riscoperta del maiale ungherese.
La XI edizione si svolgerà da domani, 25 febbraio, a Debrecen, con ingresso gratuito da piazza Kossuth. Ricchissimo il calendario di appuntamenti, che si snodano dalle 10 alle 22, fino al giorno di chiusura della manifestazione, il 27 febbraio.
C’è più tempo, invece, per organizzarsi per il XV Budapesti Mangalica Fesztivál, in programma nella capitale magiara dal 18 al 20 marzo 2022. Anche in questo caso l’ingresso sarà libero, da piazza Szabadság. Ma il maiale ungherese è protagonista assoluto anche dei piatti serviti da molti ristoranti delle due città magiare.
L’ultimo ad aggiungersi alla lista – ha aperto da meno di un anno – è DG Italiano Debrecen, ristorante pizzeria nato dall’iniziativa di Mario De Stefani, ristoratore originario di Bari, assieme alla moglie ungherese Zsuzsa Szanka.
«Vivo da 15 anni in Ungheria – spiega a winemag.it – e conosco bene il maiale mangalica. Dà una carnemolto tenera e dal sapore delicato, più dolce di quella del maiale comune. Piace molto al palato ungherese e sta benissimo nel nostro menu italiano».
La serviamo in due versioni: una con l’osso, per la classica costata, ottenuta con la tecnica del Sous Vide e impreziosita da una salsa ai funghi. Il filetto è reso ancora più goloso da una salsa di gorgonzola, che sta riscuotendo un gran successo».
DEBRECEN E BUDAPEST: I RISTORANTI IN CUI INNAMORARSI DEL MANGALICA
Per una lettura magiara della carne di mangalica, il luogo di culto è invece Ikon Restaurant and Lounge Debrecen. Si tratta del ristorante più “chic” della città. Una location di tendenza, che non sfigurerebbe in una capitale internazionale del food come Londra, Parigi o Milano, senza scomodare mete più lontane.
Ikon è la casa di uno degli chef ungheresi più giovani e promettenti, Adam Thür (nella foto, sopra). La filosofia del ristorante è la «valorizzazione dei piccoli produttori locali e degli ingredienti di qualità», tra cui non puoi mancare la mangalica. Da provare, su tutti, il piatto “Mangalica Brassói” di Ikon.
Non mancano occasioni anche nella capitale. A Budapest i templi della mangalica non si contano più. E spaziano dall’interpretazione più local a quella fusion, frutto di contaminazioni tutt’altro che scontate.
Da non perdere le letture della mangalica di ristoranti come Gundel (friabili costine di mangalica con purè di patate e ragù di scalogno) o Tiago & Éva Essencia (mangalica, coriandolo, “açorda”, vongole, nel segno di un curioso matrimonio ungaro-portoghese).
O, ancora, quella di Larus (Trilogia Mangalica, cavolfiore arrosto, salsefrica nera, barbabietole) o del nuovissimo Umo Restaurant & Bar Budapest, dove la carne del maiale di razza ungherese è frutto del concept dallo chef colombiano José Guerrero (“Mexican Mangalica” è una braciola alla griglia con salsa messicana e ananas piccante). Buon appetito.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Equiparare, a precise condizioni e in vista di potenziali futuri attingimenti, le superfici di Glera ottenute da estirpo e reimpianto di vigneti già esistenti al 31 luglio 2018, alle superfici di Glera a terra a quella stessa data». È la richiesta formalizzata oggi dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Prosecco Doc, inviata per l’approvazione alla Regione Veneto e alla Regione Friuli Venezia Giulia.
Con questa richiesta – spiega Stefano Zanette, presidente del Consorzio – non si andrà ad incrementare il potenziale viticolo delle nove province della nostra Denominazione.
Quello che vogliamo scongiurare, infatti, diversamente da quanto sostenuto in questi giorni da alcuni, è l’incremento delle superfici vitate destinate alla produzione di Prosecco Doc a scapito di altre colture».
L’intento del Consorzio è «quello di assicurare alla denominazione una crescita ordinata e sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico e sociale. In questa fase – conclude l’ente di Treviso – tale opportunità verrà concessa con un tetto massimo di un ettaro ad azienda, perpetuando il modello socio-economico sul quale poggia il successo della nostra denominazione».
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Il cambio promo di diverse insegne non schioda Carrefour Italia dal podio dei vini a volantino. L’insegna propone, seppur attraverso un volantino con luci e ombre, che nasconde l’importo esatto dello sconto applicato su diverse etichette, un catalogo vini di buona profondità.
Sorprende (fino a un certo punto, ça va sans dire) l’ingresso in Gdo (e, in particolare, a volantino) di Cantina Urbana Milano, che da “Cantina di Milano” votata allo spirito “artigianale” e al “chilometro zero”, si trasforma così in un comune imbottigliatore.
È il potere dello storytelling, sempre più chiave di volta nel mondo del vino. Comprare i vini di Cantina Urbana presenti sul volantino Carrefour costa 1 o 2 euro in meno rispetto al punto vendita “cittadino” di via Ascanio Sforza, 87. Buona spesa!
Volantino Aldi fino al 27 Febbraio, “Extra formati”
Chianti Riserva Docg: 6 pezzi 15,96 euro (3 / 5)
Volantino Bennet fino al 2 Marzo, “Sconti fino al 50%”
Grecanico o Nero d’Avola Terre Siciliane La Fogliata: 1,99 euro (3 / 5)
Chianti Docg Cecchi: 2,98 euro (4 / 5)
Barbera Del Monferrato Doc Toso: 2,58 euro (3,5 / 5)
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È un bilancio positivo quello tratteggiato dai Consorzi del vino toscano e dal Consorzio Vini Doc delle Venezie sulla partecipazione a Wine Paris 2022. Mentre già si pensa alla prossima edizione, in programma a Parigi dal 13 al 15 febbraio 2023, il bicchiere dell’Italia del vino risulta, a detta di tutti, mezzo pieno.
Wine Paris & Vinexpo Paris 2022 ha accolto un totale di 2.864 espositori, a cui hanno fatto visita 25.739 professionisti del settore, tra cui il 28% provenienti da 109 nazioni mondiali. Tra le più rappresentate c’è proprio il Bel paese, che si colloca al terzo posto, preceduto solo da Belgio e Regno Unito e seguito da Paesi Bassi e Stati Uniti. La fetta maggiore di pubblico è risultata quella francese.
Tra i Consorzi italiani, qualcuno ha fatto il suo esordio assoluto. «È la prima volta che partecipiamo – commenta a winemag.it Alessio Durazzi (nella foto, sotto), direttore del Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano – e abbiamo scelto di farlo assieme al Chianti, sotto il cappello dell’Ascot, felice unione formale dei nostri Consorzi».
MORELLINO E CHIANTI ASSIEME A WINE PARIS 2022
La fiera, pur essendo in gran parte dedicata al vino francese, offre ottime opportunità anche all’Italia. Abbiamo fatto degli incontri importanti, soprattutto con buyer francesi e dei olandesi, che speriamo diano i frutti sperati alle aziende che ci hanno affiancato. Un bel modo per esordire all’estero».
Conferma le impressioni il Consorzio del Chianti. «Avevamo già preso parte a Wine Paris nel 2020 – ricorda l’Event manager Luca Alves (nella foto, sotto) – e ripartire da qui, a distanza di due anni, ha molto più di un valore simbolico. La Francia è un Paese di riferimento sia come stile sia come trend commerciale».
Il Chianti è una denominazione così fondamentale e cardine per il vino italiano che non può mancare eventi di questa portata internazionale. Non è un’edizione di numeri, ma di conferme: è giusto che si ricominci a fare quello che abbiamo sempre fatto.
Siamo confortati dai risultati di questa edizione, che ha visto i buyer francesi ed europei sopperire almeno in parte alla mancanza di quelli orientali e del Sudamerica, piazze importanti per la nostra Denominazione».
SODDISFATTO IL GALLO NERO
Buona affluenza anche ai “wine bar” del Consorzio del Chianti e del Morellino di Scansano, con decine di etichette in assaggio. Lo stesso vale per l’altra sponda del vino toscano: quella Consorzio Chianti Classico, presente a Wine Paris 2022 con 33 aziende e 62 etichette in degustazione. Un’edizione che bissa quella del 2020, ultima fiera pre-pandemia a cui ha preso parte l’ente di Barberino Tavernelle (FI).
Il mercato francese è uno dei target del Gallo Nero, che in Oltralpe può contare su un pubblico di professionisti e appassionati in grado di riconoscere e apprezzare le varie sfumature del territorio. L’edizione 2022 di Wine Paris ha confermato l’interesse per la Denominazione dei buyer francesi, che hanno sopperito all’assenza di operatori provenienti dai Paesi orientali.
A Parigi un’esperienza positiva per il Chianti Classico, spinto dagli ultimi dati confortanti del mercato. Il 2021 si è infatti chiuso con il +21% di marcature. E il nuovo anno vedrà l’importante introduzione delle unità geografiche aggiuntive (Uga).
PAROLA AL CONSORZIO VINI DOC DELLE VENEZIE
Poco lontano dagli stand consortili toscani, sempre all’interno della Hall 5 dedicata al vino italiano, un’altra icona del bere tricolore: i vini delle Venezie. Nazareno Vicenzi (nella foto, sopra), responsabile Area tecnica Consorzio Vini Doc delle Venezie, esprime a winemag.it la soddisfazione per l’edizione di Wine Paris conclusasi in settimana.
«Al di là del tema della ripartenza, importantissima per tutti – commenta il tecnico dell’ente veronese – abbiamo confermato la nostra presenza a Parigi forti della crescita della denominazione (+5% sul 2020) e del recente rebranding consortile. In termini di numeri siamo secondi solo al Prosecco, con circa 250 milioni di bottiglie».
La Francia è un Paese che conta per le Venezie, nel computo dei 190 mila ettolitri imbottigliati all’estero. Nel futuro prossimo, la Denominazione punta alla tenuta delle controcifre del 2021 e al mantenimento dei livelli di giacenze, migliorati parecchio rispetto al passato.
LE SFIDE: RINNOVO DEL DIRETTIVO E COLORE DEL PINOT GRIGIO DELLE VENEZIE
Ed è tra i Consorzi al cambio di guardia, con la figura di Albino Armani che, secondo indiscrezioni di winemag.it, sarebbe stata messa in discussione nelle ultime settimane da alcune cantine di riferimento del Pinot Grigio.
«Mi piacerebbe avere la palla di vetro – chiosa a tal proposito Nazareno Vicenzi -. La priorità è mantenere la credibilità della Denominazione. Chiaramente ci sono zone del territorio che lavorano più attentamente sulla viticoltura e altre sull’imbottigliamento. È ancor più importante, in questo senso, avere sempre una figura che sia rappresentativa di tutti».
Sembra incredibile ma, oltre alle dinamiche interne, c’è una sfida internazionale che attende il Pinot Grigio delle Venezie: «Spiegare il colore dell’uva e del vino – commenta il tecnico del Consorzio – non è stata una questione banale, anche qui a Wine Paris 2022».
«Ci sono vini bianchi e vini rosa ottenuti dallo stesso vitigno – conclude Vicenzi – e non tutti sanno quali siano i vitigni da taglio. Stiamo dedicando molto tempo alla formazione, per raccontare al meglio il nostro Pinot Grigio nel mondo, anche attraverso al nuovo payoff “Sigillo di Meraviglia“».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Carrefour Italia batte tutta la concorrenza dei vini a volantino fino a fine febbraio. L’insegna francese si porta pure avanti, con un Catalogo ricchissimo, valido fino al 20 di marzo 2022. Attenzione però alla presenza di numerosi vini non in promozione. “Specchietti per le allodole” che, al posto di semplificare la vita dei clienti, appesantiscono la proposta. Creando solo confusione.
Esemplificativo, a pagina 12, il caso dei vini dell’Etna: l’unico vino in promozione fra i 7 presenti è il Marsala Vecchio Florio Secco di Cantine Florio, gioiello del gruppo Duca di Salaparuta. Non proprio un vino prodotto alle pendici della “Muntagna” catanese.
Più in generale, la scelta di mescolare vini in offerta e vini a prezzo pieno delle più svariate fasce prezzo, rischia di gettare polvere su numerose denominazioni del vino italiano: qual è il loro giusto posizionamento prezzo a scaffale?
Insomma, le pagine vini dei volantini Gdo dovrebbero rimanere se stesse: una vetrina dei vini in promozione. Non ultimo perché, giocando a sfoggiare lo scaffale a prezzo pieno sfruttando il red carpet del catalogo vini, i prezzi della grande distribuzione non risultano poi così convenienti rispetto alle enoteche e ai portali e-commerce, sempre più scelti dai winelovers italiani.
Sul finire di febbraio 2022 torna a muoversi bene (anche se non ancora sui livelli consueti) Esselunga. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi di Pievalta è da comprare a cartoni e da riempire la cantina (di casa), finché ci sta. Degno compagno dei due vini da “5 cestelli della spesa” firmati Arnaldo Caprai. Qualche lampo anche tra gli scaffali di Tigros. Buona spesa!
Volantino Aldi fino al 20 Febbraio, “Sotto costo”
Traminer Trevenezie Igt Coppiere: 1,99 euro (3 / 5)
Lambrusco Igt Amabile Tordirosso: 1,5l 1,99 euro (3 / 5)
Montepulciano d’Abruzzo Bio Phyllo: 2,49 euro (3 / 5)
Volantino Bennet fino al 2 Marzo, “Sconti fino al 50%”
Grecanico o Nero d’Avola Terre Siciliane La Fogliata: 1,99 euro (3 / 5)
Chianti Docg Cecchi: 2,98 euro (4 / 5)
Barbera Del Monferrato Doc Toso: 2,58 euro (3,5 / 5)
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È già – e lo rimarrà fino alla fine, ovvero sino al 31 dicembre – un anno più che mai sfidante per il vino in vendita al supermercato. Nel 2022, le insegne della distribuzione moderna e le cantine fornitrici si ritrovano al cospetto di nuove sfide – su tutte l’aumento dei costi di produzione, a pandemia non ancora digerita – e la difficoltà di replicare i numeri da capogiro del 2021, dovuti in gran parte a lockdown e chiusure dell’Horeca.
Strenua tenuta o abile limitazione dei danni sembrano le due ipotesi più plausibili, guardando ai numeri snocciolati ieri da Viriglio Romano, Business Insight Director di Iri, in occasione del webinar “Vino e bollicine nella distribuzione moderna: consuntivo 2021 e prospettive per il 2022”, organizzato da Vinitaly Veronafiere.
Il tutto, con una certezza assoluta: la crescita senza fine del mondo spumanti, trainata dal fenomeno Prosecco (che ora spaventa pure i produttori di rosé francesi). Una categoria che cresce in tutte le insegne. E trascina persino il Metodo classico. A confermalo, oltre ai numeri, sono i buyer Simone Pambianco (Conad), Francesco Scarcelli (Coop) e Gianmaria Polti (Carrefour).
SULL’ONDA DEL PROSECCO CRESCE ANCHE IL METODO CLASSICO
La controcifra del 2020 ha messo in difficoltà il vino fermo, protagonista nel 2021 di un «atterraggio morbido», con un +2,1% a valore e un +2,2% a volume. Ostacolo banale, invece, per il mondo delle bollicine, che lo scorso anno hanno «volato alto», per citare ancora Virgilio Romano: +20,5% a valore e +18,1% a volume.
Numeri che portano a un giro d’affari complessivo di 3 miliardi di euro. E a un saldo, rispetto al periodo pre-pandemia, ancora una volta positivo per entrambe le tipologie. Ma se il vino fermo in grande distribuzione si assesta su un +4% a volume e un +11% a valore, il mondo spumanti cresce di ben 28 punti in volume e 32 in valore.
«La progressione delle bollicine – ha sottolineato Romano – è evidente nel susseguirsi degli anni. L’indice di crescita dei volumi rispetto al 2018 può essere considerato tale fino al 2020: quello del 2021 è stato un vero e proprio salto rispetto al trend di incremento. Quello dello scorso anno è un dato storico, che ha portato gli spumanti a crescere del 40% rispetto al 2018».
BOLLICINE BEN OLTRE LA PANDEMIA
Qui non c’è pandemia che tenga. Il dato – ha precisato l’esponente di Iri – è certamente influenzato da quanto successo negli ultimi due anni. Ma è all’interno di un fenomeno già importante di suo ed è questo che sbalordisce: la spinta ulteriore all’interno di un contesto di crescita».
La partenza molto positiva dei primi mesi 2021 in confronto al 2020, «ma l’inerzia con cui si entra nel 2022 è certamente poco favorevole», avverte Romano. I dati più aggiornati parlano infatti di un -9% del vino e un -1% degli spumanti, in termini di milioni di litri venduti.
La dinamica dei prezzi e delle promozioni su vini e spumanti al supermercato non mostra segnali di tensioni inflazionistiche. I prezzi sono in progressivo raffreddamento, sempre secondo le analisi targate Iri.
E le promozioni stabili o in calo, come dimostrano anche le puntuali rassegne sul vino presente sui volantini delle maggiori insegne di supermercati, realizzate dalla rubrica Vini al Supermercato di WineMag.it.
GLI INSIGHT DEI BUYER VINI GDO: LA SITUAZIONE IN CONAD
Interessanti anche gli insight dei buyer Gdo. Per Simone Pambianco (nella foto, sopra), lo scaffale vini di Conad è cresciuto del 16% rispetto 2021, sia a volume che in valore. In controtendenza con le analisi Iri, l’insegna è riuscita a tenere anche a volume nel mondo vino: «La flessione del 6% del vino comune è stata compensata dal +7% dei vini Docg, Doc e Igt».
Quanto alle bollicine – ha sottolineato Pambianco – già in pre-pandemia avevano confermato la loro fase di accrescimento strutturale nel gradimento del consumatore. L’ulteriore balzo si è concretizzato grazie alle nuove occasioni di consumo, accentuate dal Covid-19. Le bollicine ben si prestano oggi al concetto di aperitivo, in grande crescita. E sono diventate una tipologia consumata a tutto pasto».
L’altro fenomeno che non è sfuggito a Conad è l’esplosione della spumantizzazione nei diversi territori italiani, certamente a fronte del fenomeno Prosecco. «Sappiamo tutti che si tratta di una caratteristica prevalente in Area 1 e 2 – ha aggiunto il buyer – ma oggi anche Area 3 e 4 offrono spumanti da vitigni autoctoni. Nuove etichette che aumentano la penetrazione nazionale e garantiscono un futuro molto favorevole alla tipologia».
Pambianco si riferisce alle nuove bollicine di Toscana, Umbria, Marche, Lazio e Sardegna (Area 3). E a quelle dell’Area 4 Nielsen, composta da Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia.
VINI E SPUMANTI COOP ITALIA: IL PUNTO
Si allineano ai dati di Iri cifre e controcifre di Coop Italia. «Continua forte la crescita del mondo spumanti – ha dichiarato Francesco Scarcelli, Responsabile Beverage dell’insegna -. Molto bene le tipologie più secche del Prosecco e il Metodo classico, che cresce a doppia cifra.
Vini tipici bene in valore e in quantità, mentre calano i vini da tavola, specie in grandi formati. In questo momento la private label cresce più della media della category. L’intensità promozionale è mediamente tornata sulle cifre classiche del 2020 e il prezzo medio d’acquisto è cresciuto sulla scia della premiumizzazione del consumatore, disponibile a provare referenze più costose.
«Lo spostamento verso lo spumante è stato netto anche sullo scaffale di Coop Italia – ha concluso Scarcelli – sulla scorta delle nuove modalità di bevuta: oggi il mondo delle bollicine porta via occasioni d’acquisto dei vini tipici fermi».
CARREFOUR ITALIA CONFERMA IL TREND DI VINI E BOLLICINE
Lo stato di salute degli scaffali di Carrefour Italia non differisce da quello di Conad e Coop. I battiti sono scanditi dall’indubbia crescita delle bollicine e dalle conferme arrivare dal mondo dei vini fermi.
In questi ultimi due, tre anni – ha sottolineato il Responsabile Beverage Gianmaria Polti – pandemia e maggiore expertise negli acquisti hanno consentito di sdoganare il concetto che in Gdo si venda solo vino a prezzi bassi e non di qualità. Gli assortimenti sono stati valorizzati da alcune cantine, che si sono avvicinate a un segmento sino a ieri snobbato».
«Ma è anche vero – ha concluso Polti – che i clienti hanno consumato di più a casa. In Carrefour crescono le bollicine e non solo il Prosecco. Registriamo ottime performance del Metodo classico, con incrementi molto forti anche rispetto alla media delle bollicine generiche. In caduta libera i vini comuni e i grandi formati, che avevano vissuto un periodo di successo di due o tre mesi, ad inizio pandemia».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
FOTONOTIZIA – Conterno Fantino celebra 40 anni di storia con Vino – Vita – Vista, un viaggio metaforico dedicato alla terra, pensato per rendere omaggio alla Langa del Barolo.
Si tratta di un cofanetto, realizzato in edizione limitata, che racchiude le parole chiave del percorso della cantina di Monforte d’Alba, fondata nel 1982 dagli enologi Claudio Conterno e Guido Fantino.
Protagonista indiscusso del cofanetto celebrativo dei 40 anni è il “Vino“: una bottiglia del Re di Langa, declinato nel Barolo Sorì Ginestra 2018. C’è poi “Vita“, un libro che racconta il territorio, scritto da Michele Marziani. Infine “Vista“, una fotografia dell’ambiente circostante la cantina Conterno Fantino, realizzata dal fotografo Davide Dutto.
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Ha scelto la formula del banco self-service assistito dai sommelier Ais la Regione Friuli Venezia Venezia Giulia, che si è presentata a Wine Paris 2022 con Ersa, l’Agenzia regionale per lo sviluppo rurale. Apprezzatissima dal pubblico francese ed internazionale presente all’Expo Porte de Versailles di Parigi anche la masterclass del 14 febbraio. Protagonisti 8 vini, capaci di sintetizzare le peculiarità del territorio.
Un avvio in pompa magna, con le attività che si sono poi concentrate nell’ampio stand allestito nella Hall 5, dedicata al vino italiano. «Sono quindici le aziende che ci hanno accompagnato a Parigi – commenta a winemag.it il funzionario Ersa Emanuele Bianco -. Una rappresentanza in grado di mostrare tutte le sfaccettature della viticoltura regionale».
IL FRIULI VENEZIA GIULIA A WINE PARIS 2022
Nonostante si tratti di due Paesi concorrenti a livello internazionale – continua Bianco – la Francia è un mercato importante per l’Italia del vino. In particolare, il Friuli Venezia Giulia ha molto da offrire ai francesi, soprattutto per i suoi vini bianchi».
Non è la prima volta in Francia per le aziende vitivinicole del Fvg, con Ersa. «Eravamo già presenti all’edizione di Bordeaux – precisa Emanuele Bianco – e siamo soddisfatti dal risultato di questa fiera della ripartenza».
«I vini del Friuli Venezia Giulia – conclude – sono stati apprezzati da buyer e importatori a caccia di etichette italiane di qualità. Siamo fiduciosi, dunque, che le aziende potranno raccogliere i frutti di questa nostra presenza a Wine Paris 2022».
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Cosa succederà ai vini in vendita al supermercato nel 2022? Aumenteranno i prezzi a scaffale, in risposta all’incremento dei costi di produzione? Calerà la pressione promozionale? Sono solo alcune delle domande a cui hanno risposto i buyer di Conad, Coop e Carrefour, intervenuti in mattinata al webinar “Vino e bollicine nella distribuzione moderna: consuntivo 2021 e prospettive per il 2022”, organizzato da Vinitaly Veronafiere.
«Il mondo del vino italiano – ha spiegato Simone Pambianco, National Category Manager di Conad – sta vivendo una fase di sostanziale attesa inflattiva, a differenza di altre categorie Food, che si concretizzerà nel mese di marzo 2022».
Vini e spumanti, oltre a fattori legati al costo maggiore dell’energia e della logistica, saranno presto interessati dalla congiuntura della nuova vendemmia, che andrà ad aggiungersi e graverà sullo scenario generale dei prezzi. Conad cercherà di fare il suo meglio per difendere il potere di acquisto dei consumatori e consolidare gli acquisti nei nostri canali».
Secondo Pambianco, «la vera sfida interesserà il vino comune e i grandi formati, da litro e da litro e mezzo, tanto quanto la fascia alta. Il rischio di recessione è concreto e dovremo fare il nostro meglio per preservare la crescita registrata tra 2020 e 2021».
La categoria vini e spumanti, trainata da uno scenario di premiumizzazione della domanda, è stata netta nei supermercati Conad. Il segmento “superpremium”, dai 9 euro in su, è cresciuto di 3.5 punti nell’ultimo anno. Segnando un +30%, rispetto al +16% della category.
IL PUNTO VISTA DI COOP
Conferma tutto Coop Italia con Francesco Scarcelli, Responsabile Beverage nazionale. «Il vino a scaffale – ha sottolineato – non ha ancora registrato aumenti, ma solo perché non sono ancora entrati in vigore i nuovi listini. Prevedo quindi, a quel punto, una contrazione dei volumi di vendita.
A soffrire maggiormente sarà la fascia bassa. Dovremo essere bravi a capire il “punto prezzo” di determinate referenze e Denominazioni, che usciranno dalle loro fasce consuete. E attendere che il consumatore recepisca il nuovo posizionamento. Andrà cambiata anche la politica delle promozioni. In Coop riteniamo più giusto contenere al massimo l’inflazione sul continuativo, per tutelare l’acquisto quotidiano, al posto di aumentare la pressione promozionale».
La posizione di Scarcelli si riflette chiaramente sulle analisi settimanali della rubrica sui vini in promozione in Gdo targata Vini al Supermercato, sezione di winemag.it relativa al vino in vendita nella Grande distribuzione, presente sui volantini delle offerte delle maggiori insegne nazionali.
Da inizio anno, la maggior parte delle insegne ha ridotto il numero di referenze a volantino, posizionando vini di fascia bassa come “specchietto”. Un abbassamento del livello qualitativo medio dei vini in promozione che fa il paio con la premiumizzazione degli acquisti, sull’onda lunga delle chiusure Horeca che hanno riversato migliaia di consumatori tra le corsie del vino dei supermercati, altrimenti snobbate.
LA CONFERMA DELLE ANALISI DI VINIALSUPER
Un trend evidentissimo in Esselunga, come sottolineato dall’ultimo report di Vinialsuper, da cui sembrano discostarsi sostanzialmente solo insegne come Il Gigante e, in maniera ancor più netta, Carrefour Italia.
Gianmaria Polti, responsabile Beverage del colosso francese, ha di fatto confermato le analisi di Vini al Supermercato. «Il primo trimestre del 2022 – ha dichiarato – sarà molto difficile a livello di vendite, soprattutto a fronte dell’importante controcifra del 2021».
I prezzi a scaffale dei vini fermi mostrano un timido accenno di rimodulazione, ma non vedo una diminuzione della pressione promozionale in Carrefour. Tutte le attività in cui il vino è protagonista, ovvero volantini e cataloghi che vedono protagonista la corsia, sono confermate anche per il 2022».
L’insegna lavorerà piuttosto per far scoprire le nuove proposte, nel contesto di uno scaffale che è stato rimodulato negli ultimi mesi attraverso tagli e, ancor più, inserimenti di nuove referenze. Anche in esclusiva.
«C’è tanto affollamento a scaffale – ha evidenziato Gianmaria Polti – e in più si sommano gli elementi di discontinuità, come l’incremento dei costi delle materie prime. Ma a preoccupare noi operatori Gdo è soprattutto la domanda estera, a cui molte aziende stanno ricorrendo».
Un chiaro riferimento alla necessità, da parte delle cantine, di garantire alle insegne della grande distribuzione organizzata quantità costanti, nell’ottica di «salvaguardia degli accordi di servizio». Pena, il “de-listing” dall’assortimento.
VINO IN GDO, LE SFIDE DEL 2022: IL PUNTO DI VISTA DEI PRODUTTORI
Sono intervenuti al webinar anche Mirko Baggio, membro di Federvini e Responsabile Vendite Gdo Italia di Villa Sandi Spa (nella foto, sopra) e Robert Ebner, Unione Italiana Vini e Chief Sales Officer Management Board Executive di Mionetto Spa. Due player chiave nel mondo del Prosecco, che nel 2021 ha registrato crescite da capogiro, persino in Francia.
«Non dobbiamo dimenticare – ha sottolineato Baggio – che siamo ancora in pandemia e questo influenza i consumi. Combattiamo anche con il caro energia, che ha effetti sul potere d’acquisto dei consumatori. Tutti aspetti che ci portano a una conclusione: è necessario un riposizionamento di tutto il mondo vino».
Gli aumenti dei costi di produzione e dei trasporti sono talmente alti che molte aziende, tra cui Villa Sandi, si trovano a non poterli assorbire, perché superiori addirittura al margine medio per bottiglia di fine anno. Gli aumenti nostri rispecchiano queste voci. Le trattative (con la Gdo, ndr) sono in corso e forse dureranno in più, ma alla fine si troverà un compromesso».
Con gli aumenti che, sempre secondo Mirko Baggio, «saranno visibili a scaffale dopo Pasqua». «Probabilmente – aggiunge il manager – ne risentiranno di più i prodotti di fascia più bassa, come sottolineato dagli stessi category di Conad e Coop. Assisteremo dunque a una flessione dei volumi totali, ma una tenuta del valore finale di tutto il comparto».
MIONETTO: «BRAND AWARENESS A VANTAGGIO DELLE ROTAZIONI»
Si definisce «cautamente ottimista» anche Robert Ebner. «Tutte le cose buone – ha dichiarato durante il webinar – si costruiscono nel solco della continuità. Un elemento che in questo periodo manca.
Noi di Mionetto lavoriamo costantemente alla profilazione del nostro cliente e conosciamo il profilo del nostro consumatore. Credo che continueremo a camminare insieme, in un anno in cui vogliamo consolidare, consapevoli che non si possa far sempre festa e incrementare».
Poi, un occhiolino agli operatori della Gdo. «I partner della distribuzione – ha sottolineato Robert Ebner – devono poter contare sul lavoro dei produttori in termini di brand awareness e nei nostri investimenti in comunicazione, che aiutano a superare l’aumento. Devono poter contare sulla benzina che garantisca la rotazione a scaffale. Tutto sommato credo che potremo lavorare bene anche in questo 2022».
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Mondo del vino italiano a raccolta a Wine Paris & Vinexpo Paris 2022. Un’edizione, quella che si è chiusa ieri, che ha messo in luce il coraggio degli organizzatori, a cui è andato il plauso dell’Eliseo. Spazio anche per alcune gioie italiane. È il caso del Prosecco Doc, che ha ormai conquistato la Francia e i francesi. A confermarlo in esclusiva a winemag.it, unica testata italiana accreditata in Oltralpe per la copertura dell’evento, è Luca Giavi, direttore del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc.
«Per noi la Francia rappresenta il quarto mercato di esportazione – commenta – e il quinto considerando l’Italia. Un Paese in cui abbiamo registrato crescite oltre il 25% nei primi 10 mesi del 2021, ultimi dati a nostra disposizione. I francesi, del resto, hanno storicamente una grande attenzione per il mondo delle bollicine. Le conoscono e apprezzano gli spumanti di qualità».
I dati più recenti dicono che il successo del Prosecco in Francia va a erodere le vendite delle loro bollicine nazionali. Non è una questione di prezzo, anche perché contrazioni maggiori arrivano dagli spumanti spagnoli e tedeschi, che hanno prezzi medi più bassi del nostro. La scelta, dunque, riguarda il prodotto: i francesi scelgono di bere Prosecco».
IL PROSECCO E LA LEVA DELLA MIXOLOGY
«Gli amici francesi ci scherzano su – continua Luca Giavi – reputando che almeno una parte di questo successo dipende dal “bere miscelato”. Premesso che non reputo la miscelazione sminuente, va ricordato che se oggi produciamo grandi distillati e li esportiamo in giro per il mondo, questo è dovuto anche ai miscelati. Lo stesso vale per i grandi Vermouth italiani, di cui sono grandissimo sostenitore. Pensare che il Prosecco venga impiegato anche nella miscelazione non è una cosa che mi fa, di per sé, dispiacere».
Del resto, tutti i migliori bartender sostengono che un grande cocktail parte da una grande materia prima. Conti alla mano, è evidente che i numeri che la Francia esprime siano condizionati dall’impiego del Prosecco nella miscelazione. E la cosa ci fa solo piacere. Così come ci soddisfa il posizionamento prezzo nella ristorazione, davvero interessante».
I NUMERI DEL PROSECCO DOC IN FRANCIA
Nel periodo gennaio-ottobre 2021, le esportazioni di Prosecco Doc sono volate in Francia. «Abbiamo registrato un +27,9% – riferisce il direttore del Consorzio a winemag.it – rispetto al 2020. Nei primi 10 mesi dello scorso sono stati vendute in Francia oltre 23 milioni di bottiglie. Plausibile, dunque, che si siano raggiunti i 30 milioni a fine anno. Numeri che rappresentano il 5,7% dell’export complessivo. Ad ottobre 2021 il Prosecco aveva già superato l’ammontare dell’intero 2020».
Una tre giorni più che mai positiva quella del Prosecco Doc a Parigi. «Quest’anno abbiamo notato anche l’interesse delle più importanti testate francesi, a dimostrazione del nostro successo. Wine Paris e Vinexpo Paris 2022 ha generato occasioni interessanti per gli operatori che si sono mossi con il Consorzio».
«C’è una voglia del mondo del vino di tornare a viaggiare – conferma Luca Giavi – e dei consumatori di tornare alla normalità che manca da ormai due anni. In generale ho notato un bell’entusiasmo e una gran vitalità. Girando per i padiglioni ho trovato vini di ottima qualità per tutte le tasche, altro aspetto a cui tengo molto».
«IL PROSECCO ROSÉ PREOCCUPA I FRANCESI»
«La cosa che mi dispiace – rivela ancora l’esponente del Consorzio di Treviso – è la crescente preoccupazione del mondo dei produttori degli ottimi rosati francesi nei confronti del Prosecco Rosé. Una preoccupazione che ritengo non abbia ragion d’essere, nella misura in cui gli ottimi rosé francesi sono tutti tranquilli».
Sempre secondo il direttore, «ciò che dovrebbe preoccupare i francesi è piuttosto lo scatto dei rosati fermi italiani, sulla scia del successo del Prosecco Rosé. Ci sono denominazioni, da Bardolino al Salento, che avendo i riflettori puntati potranno recuperare il gap all’estero nei confronti delle produzioni francesi».
Le date di Wine Paris & Vinexpo Paris 2022 hanno coinciso, tra l’altro, con l’atteso responso del parlamento europeo sul Cancer Plan, che rappresentava una vera e propria minaccia per il mondo del vino italiano, assimilato alle sigarette.
Abbiamo festeggiato le modifiche che riguardano il vino nell’ambito del Cancer Plan. Tutti siamo consapevoli delle peculiarità del prodotto che rappresentiamo e siamo fortemente impegnati nel comunicarlo correttamente. Al contempo, siamo tra i primi sostenitori del “bere meno e bere meglio“».
«CANCER PLAN, PERICOLO SCAMPATO. MA SERVE MENO TESTA E PIÙ PALATO»
Un aspetto che sta a cuore a Giavi. «Tutta la cultura occidentale si basa su due elementi – sottolinea il direttore del Consorzio a winemag.it – che sono il pane e il vino. Non dimentichiamoci che, altrimenti, il buon Dio avrebbe trasformato l’acqua in tisana. Come ha ricordato a tutti il Santo Padre, “nessuno festeggia con una tazza di tè”. Penso e mi auguro ci sia ancora occasione di festeggiare».
Si respira un ottimismo contagioso in casa Prosecco. «L’Italia sta lavorando bene ma dobbiamo tornate a vini destinati ad essere bevuti: meno testa e più palato. Questo riguarda un po’ tutti. In particolare i vini rossi, che dovrebbero essere più alla portata della gente che li beve. Non sono più i tempi della parkerizzazione, in quel di Bordeaux».
«Non sono più neppure i tempi in cui si misura la bontà di un vino in alcol e in estratto. Il consumo dei vini va, fortunatamente, in un’altra direzione: premia la finezza, il frutto, la freschezza. Io credo molto nei primari – conclude Giavi – ed è stata questa la chiave del successo della nostra Denominazione».
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Prosegue all’insegna dell’entusiasmo Wine Paris & Vinexpo Paris al Paris Expo Porte de Versailles. L’evento, che si chiude oggi pomeriggio, ospita 2.864 espositori da 32 paesi, visitatori da oltre 100 Paesi e un programma di 100 conferenze, masterclass e tavole rotonde.
La giornata di ieri è stata punteggiata da diverse visite istituzionali. La mattinata è iniziata con la visita di Valérie Pécresse, candidata alle elezioni presidenziali, accompagnata da Xavier Bertrand, presidente del consiglio regionale delle Hauts de France. È proseguita con la visita di 25 deputati e senatori dell’Anev, l’Associazione nazionale francese della vigna e del vino.
IL RECORD DELL’EXPORT FRANCESE DI VINO
La Federazione francese degli esportatori di vini e alcolici (Fevs) ha annunciato le cifre record dell’export di vini e alcolici francesi nel 2021. La forte ripresa rispetto al 2020 (+28%) mostra anche una crescita significativa sul 2019 (+ 11%).
Le esportazioni francesi di vini e alcolici hanno generato 15,5 miliardi di euro, rendendo le performance del settore le seconde più positive nella bilancia commerciale dell’intera Francia.
I Wine Talks hanno fornito una ricca varietà di contenuti prospettici a un pubblico molto curioso di professionisti. Il direttore dell’Oiv, Pau Roca, ha commentato lo stato attuale del cambiamento climatico ad un pubblico internazionale.
Ha anche affrontato le strategie di mitigazione messe in atto dagli stakeholder dell’industria del vino, in occasione durante una tavola rotonda moderata dal consulente internazionale britannico Rupert Joy.
“L’industria del vino – ha sottolineato – non deve solo implementare misure di mitigazione del cambiamento climatico, ma ha anche un ruolo di primo piano sulla questione. E dovrebbe essere un esempio per il resto del settore agricolo».
A WINE PARIS IL FOCUS SUL MERCATO BRITANNICO
Sono stati discussi argomenti ancora più tecnici, tra cui la riforma delle accise nel Regno Unito, sulla base di un complesso sistema di tassazione a “fasce di mezzo grado”.
Durante la tavola rotonda, la Wsta (The Wine and Spirit Trade Association), rappresentata dal suo chief executive Miles Beale, ha suggerito al governo britannico di «semplificare la tassazione con un’unica tassa su tutti i vini con un Abv che va dall’8,5% al 15% per bottiglia da 75 cl».
Alla fine della giornata, Gérard Bertrand, insieme a Robert Eden di Château Maris, Marc Thibault, viticoltore di Coteaux du Giennois (Centre-Loire), e Anne-Laure Ferroir di Terra Vitis, hanno risposto alle domande sul futuro della viticoltura, un tema caldo per il settore.
Tutti d’accordo su un aspetto: «La sostenibilità è l’unica opzione per il futuro». I relatori hanno poi sottolineato come «i costi di produzione più alti per i vini sostenibili/biologici/biodinamici favoriranno la “premiumizzazione” del settore», ovvero un accrescimento del livello.
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L’aumento dei costi delle materie prime, in particolare vetro per la produzione di bottiglie, carta per la produzione di etichette, ed energia elettrica per i processi di produzione, «sta impattando in maniera rilevante anche sul settore vinicolo».
A lanciare l’allarme – l’ennesimo – sono la Borsa merci telematica italiana (Bmti) e Unioncamere, che hanno preso in considerazione l’indice dei prezzi del vino sfuso. Si registra un aumento annuo del +18,7% (+1,1% rispetto a dicembre 2021).
«Tale rialzo – spiegano i promotori dell’indagine – oltre all’aumento dei costi di produzione, è da attribuire alla scarsa quantità di uve raccolte durante la scorsa vendemmia e alla riapertura della ristorazione dei mesi scorsi, dopo le chiusure che si erano verificate nel 2020 a causa della pandemia».
Tra le diverse tipologie, spicca il rialzo dei prezzi dei vini spumanti-frizzanti, superiore alla crescita media del settore (+22,7%), grazie all’incremento del +26,7% ottenuto dai vini Charmat.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Wine Paris & Vinexpo 2022 al via a Parigi ieri mattina. L’evento di punta del gruppo Vinexposium ha aperto le proprie porte al Paris Expo Porte de Versailles, segnando il ritorno dei grandi eventi commerciali dopo due anni di pausa. Strizzando l’occhio al mercato britannico, “bistrattato” dalla scelta di Messe Düsseldorf di rimandare ProWein 2022, proprio nelle date della London Wine Fair (poi, a loro volta, cambiate).
La cerimonia di apertura ufficiale, alla presenza di Julien Denormandie, ministro francese dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, ha dato il via ai tre giorni di esposizione scanditi da degustazioni e incontri business per tutta la filiera del vino internazionale.
Il ministro ha elogiato «il coraggio e la determinazione degli organizzatori e dei partecipanti per essere rimasti determinati a realizzare l’evento». Ha voluto in particolare lanciare un messaggio di fiducia ai produttori: «Siate certi che siamo al vostro fianco per onorare questi meravigliosi prodotti e l’amore per il vino che condivido e che sono felice di vedere celebrati qui al salone».
LA CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DI WINE PARIS 2022
Durante la cerimonia di apertura ufficiale, Rodolphe Lameyse, Ceo di Vinexposium, ha sottolineato l’importanza della ripresa degli incontri in presenza per il mercato del vino e degli alcolici.
Wine Paris & Vinexpo Paris a febbraio è una data chiave nel calendario degli acquisti. Oggi, siamo riuniti qui a Parigi ed è un enorme piacere incontrarsi ancora una volta. Che i festeggiamenti continuino!».
TRA GLI ESPOSITORI PREVALE L’OTTIMISMO
Ottimismo prevalente anche tra gli espositori alla vigilia della seconda giornata, iniziata da pochi minuti. «Che bella sensazione – commenta Ilaria Ippoliti, export director della Tenuta del Buanamico – partecipare al primo salone internazionale del vino dopo due anni. Wine Paris & Vinexpo Paris 2022 è già un successo perché è rimasto fedele al suo programma originale. È stata una decisione coraggiosa. Rispetto».
«È il momento giusto dell’anno per acquistare i vini dell’emisfero settentrionale e Parigi è così facile da raggiungere dal Regno Unito», aggiunge David Gill, Specialist Sales & Wine Development di Kingsland Drinks.
Wine Paris & Vinexpo Paris continua fino al 16 febbraio al Paris Expo Porte de Versailles. L’evento ospita 2.864 espositori da 32 Paesi, visitatori da oltre 100 paesi e un programma ricco di 100 conferenze, masterclass e tavole rotonde.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La Fondazione Enpaia, l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza degli Addetti e Impiegati in Agricoltura, ha acquistato il 4% di Masi Agricola SpA, azienda vitivinicola, gestita dalla famiglia Boscaini, radicata in Valpolicella Classica, che produce e distribuisce vini di alto pregio, ancorati ai valori del territorio delle Venezie, tra cui l’iconico Amarone.
Per il Presidente della Fondazione Enpaia, Giorgio Piazza, «si tratta di un investimento in un’azienda ben strutturata, con un’altissima redditività e ulteriori possibilità di sviluppo. Ritengo estremamente importante entrare in un settore strategico che attrae l’attenzione anche di gruppi esteri».
Come riferisce sempre Enpaia, «in una situazione di pesante incertezza che riguarda tanti settori, il Gruppo Masi negli ultimi mesi ha avuto notevoli performance, nonostante il rallentamento dovuto alla pandemia».
Anche per tale ragione, secondo il Presidente Piazza, «è fondamentale investire nel made in Italy, che vede nel vino uno dei pilastri che incarna lo stile di vita italiano ammirato in tutto il mondo».
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EDITORIALE – Il primo italiano in Champagne è Alberto Massucco oppure Encry – Enrico Baldin? La domanda riverbera ogniqualvolta si parli (o si scriva) di uno o dell’altro, rivangando acredini tra tifoserie e supporter dei due imprenditori italiani. Vittime (consapevoli) di una querelle che non può rimanere senza risposte.
Ho dunque approfittato dell’invito alla presentazione del Catalogo 2022 di Proposta Vini, arrivato dall’ufficio stampa Mediawine guidato da Federica Schir, per intervistare Enrico Baldin, “Mr Champagne Encry”. Nei mesi scorsi è stata invece Laura Gobbi, pr che cura Comunicazione ed Eventi di Alberto Massucco Champagne, a fornirmi le risposte che cercavo.
La verità è che la vicenda continua a presentare lati oscuri. Ciò che accomuna i due imprenditori è il desiderio di riservatezza sull’assetto societario delle aziende che consentono, a ciascuno, di affermare: “Sono io il primo italiano in Champagne”.
Da un punto di vista temporale non ci sono dubbi: il primato assoluto spetta a Encry. «Sono da 22 anni in Champagne – spiega a winemag.it – per eseguire un intervento di ingegneria naturalistica e di ripristino ambientale, esattamente a Le Mesnil-sur-Oger».
ENCRY – ENRICO BALDIN È IL PRIMO ITALIANO A PRODURRE CHAMPAGNE?
La mia prima vendemmia – continua Baldin – risale al 2004. Ho in gestione tre ettari e mezzo, grazie a un vigneron che non finirò mai di ringraziare per avermi indicato le mosse giuste per non scontrarmi con il Cvc, il Comité interprofessionnel du vin de Champagne».
«Quindici anni fa – spiega ancora – ho visto dei californiani comprare 4 ettari nella Montagne de Reims. E vendere tutto dopo due anni, dalla disperazione. A chi? A francesi, ovviamente».
Il vigneron menzionato da Enrico Baldin è Michel Turgy (Jean e Catherine Turgy) récoltant-manipulant che, in precedenza, «e da cinque generazioni – spiega Mr Encry – conferiva le uve a grandi maison». Una collaborazione iniziata «grazie a un’operazione finanziaria che ha previsto, tra l’altro, la costruzione della cantina».
Dunque il primo italiano a produrre Champagne sono io. Poi arrivano altri, come Luca Serena (con De Vilmont, brand della costellazione Serena Wines 1881, cantina produttrice di Prosecco Doc e Docg a Conegliano, Treviso, ndr), i Campari (con Lallier, ndr) e Massucco».
ALBERTO MASSUCCO È IL PRIMO ITALIANO A PRODURRE CHAMPAGNE?
Diversa la storia di Alberto Massucco. «L’incredibile opportunità – spiega a winemag.it – mi è capitata nel 2019. A febbraio ho completato l’acquisto della mia prima vigna in Champagne. Nel 2021 è arrivata la seconda. La terza è opzionata. E nel 2022 sarà pronto il mio primo Champagne, prodotto con le mie uve».
Pur parlando – a differenza di Encry – di vigneti di proprietà, l’imprenditore piemontese glissa sui passaggi burocratici affrontati per arrivare al risultato: «Ho affidato alla persona che cura i miei affari in Champagne, il mio legale in Francia, la gestione della parte burocratica». Dovizia di particolari, invece, sull’amore per i pregiati spumanti francesi.
Era il 1964 – racconta – quando, quindicenne, dopo aver assistito con la mia prima fidanzatina ad un concerto di Mina a Villa Romana, ad Alassio, ordinai al Caffè Roma la mia prima bottiglia di Champagne. Quella bottiglia di Laurent Perrier, consumata sul famoso “Muretto” di Alassio, fu fatale. Non abbandonai più lo Champagne».
Nel 2015, Alberto Massucco incontra Alberto Lupetti. «È considerato il maggior esperto di Champagne in Italia – evidenzia l’imprenditore – e fra i primi cinque al mondo. Proprio con lui ho ripreso a frequentare la regione, dopo parecchi anni. Mi è venuta così l’idea di visitare piccoli produttori per individuarne uno, ambizioso e votato al miglioramento continuo ed interessato ad essere importato e distribuirlo in Italia».
Il 31 marzo 2017 il colpo di fulmine. «In Jean Philippe Trousset ho trovato quanto cercavo ed è partita la collaborazione che sta alla base della nascita dell’Alberto Massucco Champagne. Proseguendo negli anni l’attività di scouting ho avuto l’opportunità di aggiungere altre tre ottime piccole maisons, molto diverse fra loro. Con Jean Philippe Trousset, Rochet-Bocart, Gallois-Bouché, Les Fa’ Bulleuses, la scuderia pareva al completo».
Nel 2018, tuttavia, il noto produttore Erick De Sousa sorprende Massucco, durante un pranzo: «”Ti vedo così interessato e appassionato che per me sarebbe un onore fare uno Champagne esclusivamente per te, che porti il tuo nome”, mi disse. A me non parve vero! Non esitai neppure un secondo. Mi dichiarai felice e partì immediatamente l’iter».
MASSUCCO O ENCRY: CHI È IL PRIMO ITALIANO IN CHAMPAGNE?
Dall’intervista ad Enrico Baldin emergono ulteriori dettagli sull’assetto societario del brand, nato dalla passione per la Francia che l’imprenditore padovano condivide con la moglie Nadia Nicoli.
«Siamo ufficialmente iscritti al Cvc con Maison Vue Blanche Estelle – spiega Mr Encry – come “NM“, ovvero Négociant manipulant. È vero che in Champagne non ti fanno lavorare se sei un italiano, specie se non hai muri di proprietà: cosa che non abbiamo tuttora, ma che a breve avremo».
Da quel momento in poi saremo ufficializzati come RM – Récoltant-manipulant. Un aspetto, se vogliamo, già presente nelle nostre retro etichette, in cui cui specifichiamo che le uve sono nostre e i vigneti sono nostri. Per ora ci fanno scrivere MA – Marque d’acheteur (più nota come Marque Auxiliaire, ndr)».
Le tempistiche? «Due o tre anni al massimo», risponde Enrico Baldin. Che anticipa a winemag.it alcune importanti novità riguardanti Encry: «Sta per andare in porto un progetto molto importante e ambizioso, i cui dettagli sono ancora riservatissimi».
Lo vedrete presto, l’inaugurazione durerà due anni. È una roba talmente grande che un giorno e un anno non bastano. Ci vorranno due anni, perché il mondo vorrà venire. Daremo una sorta di festa tutti i giorni, per due anni consecutivi».
ITALIANI IN CHAMPAGNE: L’ACCOGLIENZA DEI FRANCESI
Ma tra primati e progetti, com’è stata l’accoglienza dei francesi nei confronti dei due imprenditori italiani in Champagne? Anche in questo caso, le risposte sono divergenti. «Siamo lì da 22 e ormai – chiosa Enrico Baldin – non è stato semplice! Da italiano “intruso” sono riuscito comunque a costruire un rapporto stupendo con il mio vigneron e i miei cantinieri».
«Il rapporto con i vigneron è splendido – risponde invece Alberto Massucco – perché fra persone “del fare”, con la passione in comune, l’intesa è facile. Mi guardano con curiosità e simpatia. Recentemente è capitato un fatto curioso e sorprendente».
«A cena nel miglior ristorante di Reims – racconta – lo chef sommelier, servendo l’aperitivo, mi domanda: “Quando sarà pronto il tuo Champagne? Lo attendo, mi interessa averlo”. Ecco, un fatto così ti gratifica e ti fa capire che sei sulla buona strada». Insomma, è proprio il caso di dirlo (scriverlo) in francese, per non scontentare nessuno: l’avenir nous le dira.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È nata ufficialmente la nuova delegazione Fivi Abruzzo – Molise. La formalizzazione è avvenuta ieri, con la nomina del delegato regionale Emilio Rapino. Alla nuova delegazione Fivi aderiscono venti cantine abruzzesi e due molisane.
Di Fivi Abruzzo – Molise si parla dal Mercato dei Vignaioli indipendenti di Piacenza 2021. È tra i padiglioni della Fiera che Emilio Rapino, 47 anni, titolare dell’omonima cantina di Francavilla a Mare (CH), ha iniziato a sondare le opinioni dei colleghi abruzzesi.
Dopo una serie di incontri digitali l’ufficialità, arrivata ieri in occasione dell’ultima riunione online, che ha visto l’elezione di Emilio Rapino a delegato regionale dei vignaioli indipendenti di Abruzzo e Molise. Al suo fianco Diego Sebastiano della cantina Podere Della Torre, in qualità di vice delegato.
I PIONIERI FIVI IN ABRUZZO E MOLISE
«Siamo i pionieri – commenta Rapino a winemag.it – di un movimento che si propone in primis di comunicare ai consumatori il valore del vino prodotto da chi lavora la terra e cura il vigneto e la cantina in prima persona, sino ad arrivare alla bottiglia. Qualcosa che sembra scontato e invece non lo è affatto: va comunicato».
L’istituzione della Fivi Abruzzo e Molise – continua il delegato regionale – è stata accolta positivamente anche dal presidente del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Valentino Di Campli, che ha già comunicato il suo interesse a collaborare con noi, di concerto con il Movimento turismo del Vino locale».
UN ANNO SPECIALE PER LA CANTINA RAPINO
La nomina a referente arriva in un anno particolare per Emilio Rapino. Il 47enne si appresta a festeggiare quest’anno i 50 anni dalla fondazione della cantina di famglia.
«Io non ero ancora nato – spiega a winemag.it – ma l’8 agosto 1972, in seguito a una terribile grandinata, mio nonno e mio padre trovarono la forza di ripartire, al posto di mollare tutto. Grazie a loro potremo spegnere 50 candeline nel 2022».
LE CANTINE ADERENTI A FIVI ABRUZZO – MOLISE
Oggi Cantina Rapino è una realtà che si colloca nel solco dei vini biologici, come tante all’interno della costellazione della Federazione italiana vignaioli indipendenti. Aderiscono alla nuova delegazione Fivi per l’Abruzzo: Fattoria Teatina, Buzzarone, Emidio Pepe, La Vinarte, Maligni, Pesolillo, Cantina Rapino, Ausonia.
E ancora: Centorame, Cingilia, Cordoni Giuseppe, Pettinella, Castelsimoni, De Angelis Corvi, Cirelli, Cataldi Madonna, Di Ubaldo, Podere Della Torre, Rabottini e Morganti. Per il Molise: Cianfagna e Cipressi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Vendeva vino rosso Suvereto Docg in Svizzera e in Russia all’oscuro del fisco. La Guardia di Finanza di Livorno ha scoperto il giro d’affari di un vignaiolo evasore totale. L’uomo, A.S. le iniziali, 59 anni, di nazionalità svizzera ma residente da molti anni nel borgo della provincia di Livorno, ha evaso le tasse per 580 mila euro di redditi, Iva per 19 mila, Irap per 17 mila e ritenute per 32 mila euro.
I fatti contestati dai finanzieri risalgono agli esercizi 2015-2020 dell’azienda agricola di 4 ettari complessivi, che risulta ancora attiva. L’indagine si è conclusa con la segnalazione del recupero dell’evasione all’Agenzia delle entrate, senza denuncia all’autorità giudiziaria.
VIGNAIOLO EVASORE A SUVERETO
Sono risultate infatti superate le soglie di punibilità penale previste dal decreto legislativo 74/2000, che disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. A.S., se la dovrà comunque vedere col Fisco, rientrando dal debito.
Le indagini del nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle fiamme gialle di Livorno, coordinate dal tenente colonnello Peppino Abruzzese, hanno rivelato la conformazione societaria dell’azienda agricola di Suvereto.
Il cittadino svizzero A.S., enologo, si occupava da solo di tutte le attività: dal vigneto all’imbottigliamento, sino alla spedizione in Svizzera e in Russia del vino rosso Suvereto Docg oggetto dell’evasione fiscale.
VIGNE A SUVERETO, AZIENDA A CIPRO, DOMICILIO A MILANO
Difficile per le forze dell’ordine stabilire quante bottiglie siano state spedite all’estero tra il 2015 e il 2020. Ma l’ammontare dell’evasione fa presuppore che che venissero vendute a caro prezzo.
Curiosa anche l’alberatura della società agricola oggetto delle indagini. Lo svizzero A.S. era il titolare, ma tutti i soci di nazionalità russa, così come fornitori e gran parte dei clienti. Le quote dell’azienda erano tuttavia di proprietà di una società registrata a Cipro e con domicilio fiscale a Milano.
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Il Consorzio Albeisa avrebbe intenzione di intentare una causa legale contro l’associazione Albugnano 549. La bottiglia con la scritta in rilievo utilizzata dai produttori del Monferrato sarebbe troppo simile a quella adottata dall’Unione Produttori Vini Albesi. Tanto da poter «confondere i consumatori», in particolare per le tre identiche lettere iniziali (“ALB-eisa” – “ALB-ugnano 549”).
Secondo indiscrezioni di winemag.it, i legali del Consorzio Albeisa avrebbero inviato una diffida all’associazione albugnanese presieduta da Andrea Pirollo. La richiesta sarebbe quella di ritirare dal mercato le bottiglie di vetro con la scritta in rilievo “Albugnano 549” (vendemmia 2017 e, in parte, 2018). E distruggere le bottiglie già forgiate.
Tra i due gruppi di produttori non ci sarebbero stati contatti preliminari, per tentare una mediazione. La diffida da parte del Consorzio albese guidato per il secondo mandato consecutivo da Marina Marcarino sarebbe giunta ad Albugnano come un fulmine a ciel sereno.
DAVIDE E GOLIA: L’ALBEISA CONTRO ALBUGNANO
In termini numerici, la “guerra del vetro” in salsa piemontese vede contrapposti i 300 produttori che utilizzano la bottiglia Albeisa e i 14 soci dell’associazione Albugnano 549, tra cui figura una cooperativa. Diciotto milioni di bottiglie nelle Langhe, contro le 90 mila degli astigiani (dato relativo alla vendemmia 2021).
Il fornitore della bottiglia è lo stesso, ovvero le ex Vetrerie Italiane di Dego (SV), oggi Saint-Gobain Vetri, a cui i produttori del Monferrato si sono rivolti sin dal 2017, prima vendemmia del nuovo corso dei vini base Nebbiolo dell’Albugnano Doc.
Il progetto della bottiglia sarebbe costato circa 6 mila euro all’associazione guidata da Andrea Pirollo. Difficile dunque che rinunci, senza provare a difendere uno degli elementi distintivi del packaging e del territorio. Tra le opzioni alternative c’è però il solo utilizzo del logo circolare dell’associazione, sul modello del “veliero” del Buttafuoco storico dell’Oltrepò pavese.
BOTTIGLIA ALBEISA MA NON SOLO: PIEMONTE IN SUBBUSGLIO
D’altro canto, i produttori delle Langhe rivendicano la storicità dell’utilizzo dell’Albeisa, resa unica proprio dalla scritta in rilievo. Il prototipo risale al ‘700 ed è tornato in voga nel 1973, su iniziativa di 16 produttori albesi, ispirati da Renato Ratti.
Più in generale, la “guerra del vetro” in corso tra il Consorzio Albeisa e l’associazione Albugnano 549 è solo l’ultimo degli scossoni che interessa il Piemonte, tra il finire del 2021 e l’inizio del 2022. Una regione già in subbuglio per il terremoto Piemonte Land of Wine.
In sordina le manovre interne alla Fivi per il futuro presidente nazionale dei Vignaioli indipendenti che, secondo rumors raccolti da winemag.it, potrebbe essere proprio piemontese. Tra i candidati più papabili Walter Massa, riavvicinatosi alla Federazione dopo un periodo di distacco.
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Albugnano come le Langhe. Terra di grandi vini da uve Nebbiolo, capaci di incentivare gastronomia, enoturismo ed ospitalità, in location da favola. Qualche cantina del posto, il sogno, è già riuscita a regalarselo. Merito di un paio di film, ambientati in uno dei 4 comuni della denominazione dell’Alto Monferrato (storicamente Basso Monferrato). Il territorio dell’Albugnano Doc “spacciato” per le Langhe, sul grande schermo. I numeri della giovane associazione Albugnano 549 dicono però che, dalla finzione alla realtà, il passo non è poi così impossibile.
I bravi attori non mancano: 14 vignaioli. C’è pure un tenace regista: il forestiero Andrea Pirollo. Uno che pare approdato in quest’angolo di Piemonte per indicare la strada. Deciso come sa essere solo un ex attivista di Greenpeace che si è fatto le ossa in Scandinavia, prima di cambiar vita e fondare, proprio ad Albugnano, l’agriturismo biologico Ca’ Mariuccia (dedito anche alla produzione di vino).
Il set capace di lanciare il territorio e i vini Albugnano Doc? È in costruzione. Per arrivare al ciak ci vorranno decenni. «Ma il modello economico sono le Langhe», non nasconde il 54enne presidente dell’associazione piemontese, nata il 5 aprile 2017 per volontà dei 9 vignaioli fondatori, rappresentanti dei 4 comuni della Denominazione (da qui il nome Albugnano 549).
VINO E TERRITORIO: IL PROGETTO DEI “549”
Il progetto enologico – spiega a winemag.it Andrea Pirollo – parte dalla consapevolezza che “territorio” e “prodotto” sono imprescindibili. Ma una collina non la sposti; una bottiglia di vino sì. Quindi, se vuoi fare conoscere una “collina” o un “territorio”, devi far viaggiare il “prodotto”.
Non l’ho inventato io questo modello, ma prima di noi i langhetti. In questo senso sono un modello da copiare, inteso non tanto come eccellenza produttiva, ormai riconosciuta a livello internazionale, ma come modello di sistema economico».
A dar ragione a Pirollo sono i ritmi di crescita straordinari degli ultimi anni. «L’imbottigliato è cresciuto dell’80% – rivela – tanto che il Ministero ci ha fatto i complimenti. I numeri restano piccoli, certo. Ma i produttori stanno capendo che non devono più vendere in damigiana il Nebbiolo di Albugnano a 2,20 euro al litro».
L’impronta della “collina” si ritrova anche nel packaging. Sul vetro delle bottiglie dei soci – invitati a produrre almeno mille “pezzi” all’anno – c’è la scritta “Albugnano 549” in rilievo. Una scelta che sta causando qualche turbolenza con il Consorzio Albeisa, titolare della storica bottiglia simbolo dei vini delle Langhe, con il quale sarebbe in corso una vera e propria “guerra del vetro“.
ALBUGNANO 549 E LA CURA PIROLLO: DALLO SFUSO AL MODELLO LANGHE
Di fatto, il boom in corso nell’Alto Monferrato – così definito per convenzione, localmente – non è passato inosservato in Piemonte, specie tra i vicini di casa. Nel 2017 l’area comprendeva 22 ettari vitati. Appena 57 mila le bottiglie immesse in commercio, nelle varie declinazioni (tra cui un rosato). A produrne la fetta maggiore erano solo tre aziende. «Tutto il resto era vino rosso da tavola, che partiva e andava a finire in altri territori, sfuso».
La “cura Pirollo” e la determinazione dei vignaioli di Albugnano 549 hanno fatto schizzare a 49 gli ettari vitati. Più del doppio rispetto al 2017. Sono salite a 90 mila le bottiglie prodotte dall’associazione, in occasione della vendemmia 2021. Tra queste, ben 30 mila sono di Albugnano Doc Superiore, il Nebbiolo di punta dei “549”. «La percezione è completamente cambiata», chiosa il presidente.
Ma il dato numerico sull’imbottigliato – avverte – conta fino a un certo punto. Ciò che conta davvero è il prezzo di vendita, mai inferiore ai 15 euro. Abbiamo creato una piccola lobby, consci che il solo numero di bottiglie prodotte non basti a giudicare il successo di una denominazione. Conta più il valore a scaffale».
Un progetto, Albugnano 549, da case history del vino italiano. L’aria che si respira da queste parti vibra come quella di Mamoiada. Ha il sapore della riscoperta e valorizzazione di qualcosa che c’è sempre stato, un po’ come l’Erbamat in Franciacorta.
Ed è segnale raro di (ri)nascita orgogliosa, simile a quella del pugno di denominazioni provinciali che hanno trovato nuovo vigore, dopo l’istituzione della Doc Sicilia. Un quadro dalle tinte già definite. Che mira a consacrarsi, attraverso un’altra serie di scelte azzeccate.
ALBUGNANO 549, FENOMENO E CASE HISTORY DEL VINO ITALIANO
Il Nebbiolo di Albugnano può essere immesso sul mercato solo in seguito a un affinamento in legno di 18 mesi e una successiva permanenza in vetro (bottiglia) di ulteriori 6 mesi.
La scelta del legno è a discrezione della cantina. Ma la parte enologica, così come quella disciplinare, ha il suo punto fermo. Si chiama Gianpiero Gerbi ed è l’enologo che vigila sulle 14 cantine aderenti ad Albugnano 549, interpretandone le diverse sfumature.
Le novità imminenti riguardano piuttosto il ricambio generazionale. Andrea Pirollo dovrebbe lasciare il testimone della presidenza al giovane Mauro Roggero, cui spetterà guidare l’associazione verso la riduzione del numero di tipologie della Doc. Un dibattito che si svolgerà all’interno del Consorzio di Tutela del Barbera d’Asti e dei Vini del Monferrato.
«Nell’ottica di squadra» si intensificherà la collaborazione con l’associazione Più Freisa, che mira a valorizzare l’altro vitigno simbolo di questa fetta di Piemonte (i vini della stessa Ca’ Mariuccia sono imbottigliati da La Montagnetta, cantina del presidente di Più Freisa, Domenico “Mimmo” Capello). Grande attenzione, poi, alla quota di vigneto biologico, «da implementare rispetto al 30% attuale».
«Vorremmo inoltre stabilire un raggio massimo di 20 chilometri entro il quale è possibile imbottigliare l’Albugnano Doc – anticipa a winemag.it Andrea Pirollo – per evitare che i nostri sforzi di valorizzazione e promozione siano vanificati da cantine che non ricadono sul territorio».
VINO E RISTORAZIONE DI LIVELLO: ALBUGNANO SUL MODELLO LANGHE
Sul fronte della gastronomia e della ristorazione, dopo il ventilato approdo sul territorio dello chef Alessandro Mecca (Ristorante Spazio7, Torino) nel 2019, naufragato causa pandemia, Albugnano 549 cercherà di interagire sempre più con gli operatori del settore, locali e non solo. L’offerta gastronomica, di fatto, è «il vero punto dolente di Albugnano».
L’obiettivo – annuncia Pirollo – è creare attrattività e valore in un luogo rimasto sin troppo senza prodotto e senza nome, che ha però sicura attrattività geografica. Siamo a un’ora da Torino e da Alba e a meno di due ore da Milano».
Per farlo, tra i progetti per il futuro c’è anche la «creazione di un’Enoteca nazionale del vino in anfora e delle piccole Doc di nicchia», spiega ancora il presidente di Albugnano 549. Sorgerà nelle cantine storiche dell’attuale ristorante Allasilo – Cucina, Cultura, Persone, in via di Cerreto d’Asti (AT), di proprietà di Pirollo. Andrà ad affiancarsi all’Enoteca regionale dell’Albugnano, attivata nel 2019.
Gli 8 assaggi di Albugnano Doc Superiore 2017 presentati a winemag.it da Andrea Pirollo (più i due effettuati in redazione) chiariscono i contorni di un “Nebbiolo alternativo”. Semplificando il concetto, i Nebbioli di Albugnano 549 paiono collocarsi – dal punto di vista organolettico, oltre che geografico – a metà strada tra le Langhe (più del Barbaresco che del Barolo) e l’Alto Piemonte.
All’interno dell’associazione, Tenuta Tamburnin – l’unica a poter vantare una verticale dal 2014 e una location da favola, con ospitalità di alto livello e una cantina che vale la visita – e Cascina Quarino (con il Doc “Eclissi”) sembrano aver ormai trovato la quadra sul Nebbiolo albugnanese.
Colpisce poi, in maniera particolare, l’Albugnano Doc Superiore 2017 “Carpinella” di Pianfiorito e l’Albugnano Doc Superiore 2017 “Oltre 500” di Orietta Perotto, che dal nome richiama l’altezza sul livello del mare del proprio vigneto.
Per i curiosi, l’associazione 549 mette a disposizione la “Gran Degustazione Albugnano Doc“: una confezione contenente dieci diverse interpretazioni dell’Albugnano Doc 2017 e due calici, con spedizione inclusa nell’importo (150 euro).
Nel kit, oltre ai quattro vini selezionati come i più rappresentativi del tasting compiuto da winemag.it, anche gli Albugnano Doc Superiore 2017 di Alle Tre Colline (“Va’ Anáit”), Ca’ Mariuccia (“Il Tato”), Cantina Mosso (“Parlapà”), Cantina Nebbia Tommaso (“Nebula”), Roggero Bruno e Mario e Terre Dei Santi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Potesse parlare, il Riesling italico avrebbe la voce inconfondibile di Carmen Consoli. Quell’album del ’97, “Confusa e felice“, lo descrive nel giro delle prime tre tracce, per dimensione e ambiguo dualismo: “Bonsai”, “Uguale a ieri” e “Diversi”. Andrebbe avanti con la quarta, che dà il nome al disco. E tornerebbe a tacere dopo “Un sorso in più”, “Fino all’ultimo” e “La bellezza delle cose”.
Serve la musica – ad alto volume – per non pensare che i 1.259 ettari di Riesling italico presenti in Italia (dato 2016) siano, quantomeno, una mezza occasione persa. Di sicuro per l’Oltrepò pavese, il territorio con le maggiori (e migliori) espressioni del vitigno su scala nazionale. Ma il discorso è valido anche per gli altri territori in cui l’Italico è storicamente allevato, nella penisola.
“Confusi e felici” sembrano molti produttori (e Consorzi) che, per ragioni di marketing e mancanza di iniziativa, tendono a confondere il Riesling Italico con il Riesling renano. Senza neppure differenziali in etichetta. Anzi giocando sulle ambiguità.
Un errore comunissimo anche tra i professionisti del settore. Che al al grido di Mineralité, dimenticano – in assoluta Liberté – che non c’è Égalité e neppure Fraternité tra il Riesling italico e il Riesling renano.
Lo sa bene il ricercatore Stefano Raimondi, che sino allo scorso anno ha fatto parte del gruppo di lavoro del Cnr che ha tentato di ricostruire la vera storia del Riesling italico. Un vitigno dal nome «un po’ così», come direbbe Paolo Conte, tornando alla musica. Che rischia, inevitabilmente, di confondere le carte in tavola.
STORIA E ORIGINI DEL RIESLING ITALICO
Al termine di un decennio di studi avviati nel 2010 – spiega Raimondi a winemag.it – siamo riusciti a individuare uno dei due genitori del Riesling italico. Si tratta della Coccalona Nera, varietà a bacca rossa da cui discendono una trentina di vitigni, tra cui Barbera e Vespolina. Il secondo genitore, purtroppo, non è ancora noto».
La Coccalona Nera era molto diffusa in tutta la fascia compresa tra la Germania meridionale e la Pianura padana. «In Italia – spiega ancora Stefano Raimondi – si trovava in particolare a nord dell’Appennino settentrionale. Tramite l’incrocio con l’altro genitore sconosciuto può aver dato vita al seme che, una volta selezionato, è diventato il Riesling italico».
Se la Coccalona Nera è quasi certamente una varietà di origini italiane, è dubbia la provenienza del vitigno col quale si è incrociata, dando vita all’Italico. Di certo, il primo luogo in cui è ricomparsa è la Germania.
WELSCHRIESLING, GRASEVINA E OLASZRIZLING. MA ATTENZIONE ALLA CINA
Da lì si sarebbe diffusa, tornando presumibilmente in Italia dopo aver trovato casa in Austria (Welschriesling, 3.233 ettari), Ungheria (Olaszrizling, 3.933) e Croazia (Graševina, 4.459 ettari). Sino al 2010 era la Serbia a detenere il record degli ettari vitati: ben 33 mila, oggi ridotti a 2.037. Un primato passato all’Est Europa, con i 7.136 ettari della Romania.
A sfruttare l’assonanza del nome del vitigno con l’Italia è la solita Cina, che negli ultimi anni ha immesso sul mercato diversi Riesling italico, frutto di ben 3 mila ettari di vigneti allevati sotto la coda del Dragone.
Non indifferenti le quote di Slovenia (1.935), Repubblica Ceca (1.114 ettari) e Spagna (1.064 ettari), dove è conosciuto col nome di Borba blanca, impiantato in Extremadura. Risicate le cifre di Paesi come Brasile (188 ettari), Macedonia (270) e Slovacchia (456).
RIESLING ITALICO: UN’OPPORTUNITÀ PERSA?
Dal primo grande tasting mai organizzato in Italia sul vitigno (appuntamento che winemag.it intende replicare anno dopo anno) emerge innanzitutto un dato inconfutabile: il Riesling italico è un vitigno sottovalutato.
Il maggiore entusiasmo si registra in Oltrepò pavese, terra in cui il dualismo con il Riesling renano e la generica definizione di “Valle del Riesling” adottata dal Consorzio – figlia di una politica di promozione e storytelling confusa e generalista, che non trova conclamati consensi nazionali o internazionali – mette i bastoni tra le ruote al percorso identitario dei due vitigni.
Se da un lato la degustazione di winemag.it è stata accolta con grande favore da numerosi vignaioli della zona, dall’altro emergono segnali preoccupanti di immobilismo istituzionale.
Il Consorzio di Tutela, interpellato sulla mancanza di chiarezza nella comunicazione dei due vitigni, preferisce non rispondere per bocca della presidente, Gilda Fugazza. E col direttore Carlo Veronese se la cava così: «Non è il Consorzio che fa i disciplinari, ma le aziende del territorio».
Da quando sono qui di proposte più o meno condivisibili ne ho ricevute tante, ma nessuna di queste riguarda il Riesling. Se ci sarà una richiesta legata al Riesling la valuteremo e la proporremo al Cda e all’assemblea».
Eppure il dibattito, durante i “Tavoli” varietali pre-pandemia (2019), era stato acceso tra “sostenitori” del Riesling italico e del Riesling Renano, in Oltrepò. Tra i primi c’è il giovane vignaiolo Matteo Maggi, titolare di Colle del Bricco, a Stradella (PV).
IL RIESLING ITALICO DI COLLE DEL BRICCO
«Negli anni – spiega a winemag.it – ho sperimentato parecchio perché non vi è storico in Oltrepò su questo vitigno. Sia in vigneto che in cantina ho cercato di provare diverse tecniche. Altre le sto ancora sperimentando, per trovare un equilibrio».
In vigneto è importante gestirne la potatura, perché è generoso, nonché azzeccare l’epoca di vendemmia. C’è un detto sul Riesling Italico in Oltrepò che dice: “Il giorno prima è acerbo e il giorno dopo è marcio”. In cantina, tanto rispetto per uva e mosti. Poco ossigeno e controllo della temperatura».
«Ci tengo – continua Matteo Maggi – perché è un po’ il Calimero della viticoltura oltrepadana e forse italiana, in generale. Snobbato e bistrattato. Lo abbiamo sempre avuto qui. È sempre stato il nostro vitigno a bacca bianca. E per me la comunicazione di un territorio deve focalizzarsi soprattutto sugli autoctoni».
Il Riesling italico, per il patron di Colle del Bricco, è anche una questione affettiva. «Fa parte della storia storia della mia famiglia – rivela il giovane vignaiolo -. A mio nonno, da viticoltore hobbista, piaceva il Riesling italico. Lo stesso vale per mio padre. Io ne ho fatto una sfida personale».
Arrivare secondo non mi piace e credo che l’Italico in Oltrepò pavese possa diventare il primo in tutto il mondo. Il Renano, invece, viene nettamente meglio in Mosella. Quindi mi chiedo: perché puntare su un vitigno che ti mette in ombra, quando potresti determinare tu un mercato, con un altro vitigno?».
I MIGLIORI RIESLING ITALICO ITALIANI (E NON SOLO)
Prima dell’ampio dettaglio sui migliori Riesling italico degustati da winemag.it, alcuni consigli dall’estero, per l’esattezza da Croazia e Ungheria. Due Paesi che dimostrano quanto l’Italico sia in grado di leggere il “terroir”. E restituire, nel calice, vini di qualità assoluta.
In Croazia, da non perdere le diverse espressioni di Graševina di Vina Antunović, la boutique winery fondata da una delle poche “Donne del vino” croato, Jasna Antunović Turk. Siamo a Dalj, nella regione di Erdut, a due passi dal confine con la Serbia. Oltre alla 2020, convince la Graševina 2015 Premium, frutto di una sapiente vinificazione in legno grande che esalta le capacità di lungo affinamento del vitigno.
Per espressione del varietale, ottima anche la Graševina 2020 Premium di Vina Belje, cooperativa croata che sta puntando molto sul “Riesling italico”, anche grazie a nuovi impianti. Benissimo anche la Graševina 2020 di Vina Erdut, azienda guidata da Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia.
Spostandosi in Ungheria, l’assaggio da non perdere è quello dell’Olaszrizling 2020 Szent György-Hegy di Ujvári. Un gioiello assoluto, che nasce da terreni ricchi di basalto. Un “Riesling italico” che abbina verticalità, polpa, carattere e gastronomicità.
Note uniche per la varietà, conferite dal terroir vulcanico ed esaltate del lavoro sapiente di una delle giovani enologhe magiare più promettenti: la stessa Vivien Ujvári impiegata come winemaker da Barta Pince, nella regione di Tokaji. Del resto, la zona nord del lago Balaton investe sull’Olaszrizling addirittura con una denominazione ad hoc, in cui il Riesling italico è assoluto protagonista: Csopak.
IL RIESLING ITALICO ITALIANO: TUTTI I PUNTEGGI
RIESLING ITALICO DELL’OLTREPÒ PAVESE
DENOMINAZIONE
CANTINA
RATING
1
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Rugiadé
La Travaglina
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Naso delicato, floreale e mela al naso. Corrispondenza gusto olfattiva perfetta. Chiude salino, asciutto, chiamando il sorso successivo.
85/100
2
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020
Quaquarini
Giallo paglierino leggermente velato. Naso e bocca sulla frutta matura, a polpa gialla: non solo mela, anche albicocca. Sorso piuttosto morbido, ben riequilibrato dalla freschezza.
85/100
3
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Briná
Cà del Gè
Giallo paglierino pieno, limpido. Fiori e frutta matura, che sfora quasi nell’esotico. Sorso morbido, equilibrato, pieno. Un’ampiezza dettata dalla setosità glicerica dell’alcol. Chiude asciutto, piacevolmente amaricante. Vino gastronomico, da abbinamento importante.
89/100
4
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Filagn Long
Cà del Gè
Giallo paglierino. Floreale, intenso sul frutto. Pesca gialla ancora più netta del precedente. Anche al palato, tanta frutta e apporto glicerico. Alcol integrato nel corredo di un vino giocato sulla piacevolezza di beva.
87/100
5
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Valter e Davide Calvi
Calvi
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Fiore bianco al naso, delicato. In bocca mela tagliata, sorso molto semplice, che conferma una piacevole e controllata nota ossidativa.
83/100
6
Provincia di Pavia Igt 2020 Riesling Kantharos
Calvi
Giallo paglierino. Naso su fiori bianchi e mela ossidata. In bocca si rivela ancora giovane e di buona prospettiva. Chiude su note terziarie di mou, vaniglia e caramello, ricordando inoltre la mandorla. Vino gastronomico, a cui dare tempo. Certamente un’interessante prova sul vitigno.
85/100
7
Vino bianco Italico
Pietro Torti
Giallo paglierino. Al naso gran purezza delle note fruttate, quasi aromatiche. Corrispondente al palato, tutto giocato sui primari. Emerge il gran lavoro in vigna, in termini di perfetta epoca di raccolta (non semplice sul vitigno). Cosa chiedere di più a un vino da tavola?
86/100
8
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020
Pietro Torti
Giallo paglierino. Al naso ancora una volta una gran purezza, questa volta abbinata a una maggiore stratificazione. Mela, floreale, un tocco di agrume che ricorda il mandarino. Al palato un tocco leggerissimo petillant. Bella presenza al palato, su ricordi di mela e mandarino. Buona persistenza.
88/100
9
Oltrepò pavese Doc Riesling 2013 Moglialunga
Pietro Torti
Giallo paglierino, colore che ha retto perfettamente all’urto del tempo. Naso puro, su un frutto di perfetta maturità. Vino che non dimostra affatto gli anni che ha, neppure al palato. Frutto, profondità, freschezza, equilibrio. Da bere oggi o conservare ancora.
90/100
10
Oltrepò pavese Doc Riesling 2014
Antonio Dellabianca
Giallo paglierino. Leggera frizzantezza. Bella pulizia delle note fruttate, in equilibrio con la vena amaricante della chiusura. Vino semplice, beverino, piacevole. Glou-glou.
85/100
11
Oltrepò pavese Doc Riesling italico 2020 Magia
Antonio Dellabianca
Senza voto
SV
12
Provincia di Pavia Igt Riesling italico 2015 Vigna del Lodigiano
Antonio Dellabianca
Uno dei pochi vini del tasting affinato in barrique. Alla vista si presenta di un color ambra. Naso curioso, complesso, intrigante. Spazia dalla frutta matura a polpa gialla alla frutta secca, sino a curiose note di macchia mediterranea, resina, ginger. In bocca l’ossidazione preme sull’acceleratore e appiattisce lo spettro gustativo. Vino che va necessariamente atteso nel calice (il consiglio è di aprire con parecchio anticipo la bottiglia). Ecco dunque note di frutta a polpa gialla stramatura, ad anticipare ricordi di frutta secca, nel finale e nel retrolfattivo. Etichetta che può avere sicuro mercato tra gli amanti “natur” (“vino naturale”).
83/100
13
Vsq Metodo classico Brut Riesling Inganno 572
Calatroni
Giallo paglierino, buona luminosità. Perlage piuttosto fine, persistente. Naso di gran purezza, tutto sul frutto, con ricordi netti di mela renetta. Altrettanto puro è il palato, che abbina al modesto residuo zuccherino una bella vena fresco-acida. Si può lavorare ancora sulla finezza del perlage, ma il calice convince per tipicità e per coraggio, oltre a dimostrare una delle potenziali leve future del vitigno in terra oltrepadana: la spumantizzazione col Metodo tradizionale, per minimo 9 mesi.
86/100
14
Provincia di Pavia Igt Riesling 2021 Amber Demon
Perego & Perego
Colore ambrato, come suggerisce il nome. Bel frutto disidratato per un orange che conserva la riconoscibilità del vitigno, cosa non del tutto comune. Vena amaricante in chiusura, a riequilibrare la generosità glicerica e a dare gastronomicità.
86/100
15
Provincia di Pavia Igt Riesling 2020 Amber Demon
Perego & Perego
Senza voto
SV
16
Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2020
Colle del Bricco
Giallo paglierino. Naso tipico, sulla mela e sull’albicocca, sul fiore bianco. In bocca perde un po’ di materia (frutto) e vira sulle durezze, tra salinità e citrico.
85/100
17
Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2018
Colle del Bricco
Giallo paglierino, velato. Frutto più pieno del precedente, sulla frutta gialla. In bocca si conferma tale, con meno precisione sulla preservazione dei primari. Meglio la chiusura, in questi termini, dell’ingresso.
84/100
18
Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2017
Colle del Bricco
Giallo paglierino. Gran bella purezza del naso, il migliore della verticale 2020-2018-2017. Grazie all’alcol il quadro è più equilibrato tra durezze e morbidezze, ma porta con sé un sorso a fasi, nel complesso poco armonico. Vino al momento sull’altalena, ma si farà: il tempo non potrà che fargli bene.
85/100
19
Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2019
Colle del Bricco
Giallo paglierino. Naso molto ampio, generoso, tra la frutta matura a polpa bianca e gialla. Bella componente floreale che aggiunge garbo, suadenza. Note molto precise, in linea con tutte le prove di Matteo Maggi sul vitigno. La marcia in più, rispetto alle altre annate, è in bocca: premiata, finalmente, la ricerca di equilibrio. Retro olfattivo con quel filo di “verde” in più che disarmonizza il quadro. Il futuro è luminoso per il giovane vignaiolo di Stradella.
88/100
20
Oltrepò pavese Doc Riesling 2020
Azienda agricola Monterucco
Giallo paglierino. Naso e bocca corrispondenti, sul frutto a polpa bianca. Vino corretto, giocato sulla semplicità di beva e sull’immediatezza.
83/100
21
Oltrepò pavese Doc Riesling frizzante 2020
Azienda agricola Bruggia
Giallo paglierino. Un buon frizzante: semplice, beverino, senza fronzoli.
83/100
22
Provincia di Pavia Igt Riesling 2017 Pienosole
Scuropasso
Prima nota di idrocarburo del tasting. Gran bel frutto, di precisione rara. Colpisce per stratificazione: polpa, sapidità, freschezza, elegante terziarizzazione e persistenza. Best of.
90/100
23
Provincia di Pavia Igt Riesling vino fermo Il Rocco
Az. Agr. Fratelli Ferrari
Giallo paglierino. Bel frutto puro, pulito, ben controbilanciato dalle durezze. Un vino semplice, con una marcia in più dettata dalla grande attenzione in vigna (epoca di raccolta) e in cantina.
85/100
24
Oltrepò Pavese Doc Riesling Frizzante 2021
Azienda Agricola Paolo Verdi
Giallo paglierino. Purezza assoluta del frutto, che accompagna dal naso al retro olfattivo, sul filo di una beva spasmodica. Ottima persistenza per una tipologia, quella dei frizzanti, che spesso è relegata a vini senz’anima. Qui l’anima c’è, si stente e rispecchia la filosofia aziendale di uno dei vignaioli bandiera dell’Oltrepò pavese.
88/100
RIESLING ITALICO DEL COLLIO: KLANJSCEK AL TOP, IN VERTICALE
DENOMINAZIONE
CANTINA
RATING
1
Collio Doc Riesling italico 2017
Klanjscek
Colore che tende all’orange, frutto di una macerazione di 10 giorni. Splendido frutto al naso, puro. Mela, pesca, albicocca matura. Corrispondente al palato, lunghissimo, teso e di estrema prospettiva. Il secondo best of della degustazione di Riesling italico italiani.
90/100
2
Venezia Giulia Igt Riesling italico 2018
Klanjscek
Giallo che tende all’ambra. Ventuno giorni di macerazione: gran bella prova in termini di preservazione della riconoscibilità del vitigno. Lunghezza, sapidità, frutto. Un po’ meno stratificazione rispetto alla vendemmia 2017. Da godere oggi, con media prospettiva.
89/100
IL RIESLING ITALICO IN EMILIA ROMAGNA
DENOMINAZIONE
CANTINA
RATING
1
Colli Bolognesi Doc Riesling 2020 Le Vaie
Azienda agricola Isola
Giallo paglierino. Bel frutto (albicocca appena matura) e fiore bianco, al naso. Riempiono poi bene la bocca le note fruttate, confermando il “taglio bolognese” del Riesling italico, sulla frutta a polpa gialla. Vino tutto sommato semplice, ma non banale. Si tratta dell’unico “esemplare” di Italico reperibile sullo shop dell’Enoteca regionale dell’Emilia Romagna.
86/100
RIESLING ITALICO IN UVAGGIO: BENACO, OLTREPÒ E RIVIERA DEL GARDA
DENOMINAZIONE
CANTINA
RATING
1
Vino bianco 2020 biologico Opus
Azienda vitivinicola Esenta Borgo Castello
85% Riesling italico, 15% Manzoni bianco. Giallo paglierino. Naso esplosivo, sulla frutta tipica dell’Italico: spazia dalla renetta all’albicocca appena matura e abbina un bel bouquet di fiori bianchi. Sfiora persino l’esotico, l’ananas. In bocca, oltre alla frutta, sfodera una bella freschezza e una pregevole vena salina. Persistenza ottima, con il Mazoni ben delineato, a fare da spalla.
88/100
2
Benaco Bresciano bianco passito Igp 2017 Dolce canto della Fenice
Azienda vitivinicola Esenta Borgo Castello
85% Riesling italico, 15% Manzoni bianco. Giallo dorato. Naso connotato da note fruttate stramature, a polpa gialla, che non brillano in precisione. Bocca corrispondente, in cui la maturità del frutto cozza con venature amaricanti. Il risultato è un vino dolce non proprio equilibrato, corto e longilineo.
82/100
3
Provincia di Pavia Igt Bianco 2015 Gocce di vento
La Rocchetta di Mondondone
Riesling italico e Cortese. Giallo paglierino pieno. Naso che rispecchia l’andamento dell’annata, tutto sul frutto a polpa gialla maturo, cotogna e persino dalle tinte esotiche. Buona corrispondenza gusto olfattiva per un vino da mettere in tavola e gustare ad ampi sorsi. Chiusura agrumata.
85/100
4
Provincia di Pavia Igt Bianco 2014 Gocce di vento
La Rocchetta di Mondondone
Riesling italico e Cortese. Naso sorprendente per l’annata, esprime un bel frutto e piacevoli tinte floreali. In bocca si conferma un bianco incentrato sul frutto. Necessariamente più snello della vendemmia 2015 ma di carattere, mostra buone prospettive di affinamento.
86/100
5
Garda Doc Riesling 2020 (certificato vegan)
Azienda agricola Pratello
75% Renano, 25% Italico. Giallo paglierino. Naso sul fiore, sulla frutta (mela, agrume), accenno di idrocarburo. In bocca teso, asciutto, agrumato, minerale. In definitiva giovanissimo. Vecchie viti di Riesling dal Colle Brusadili, ad oltre 300 metri sopra al lago di Garda.
89/100
6
Riviera del Garda Classico Doc Bianco 2020 Gioia
Conti Thun
Italico e Renano. Alla vista si presenta di un giallo paglierino. Naso di pesca, albicocca, gelsomino, fiori bianchi. Corrispondenti le note al palato. Gioca sull’alternanza tra freschezza e rotondità del frutto. Altro vino giovane e di prospettiva.
88/100
Degustazione a cura di Davide Bortone, Giacomo Merlotti e Viviana Borriello
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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