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Lavoro in nero in vigna a Montebello Vicentino: scoperti 8 braccianti indiani irregolari

Lavoro in nero in vigna a Montebello Vicentino scoperti 8 braccianti indiani irregolari

Otto lavoratori in nero intenti ad effettuare la vendemmia, di cui uno sprovvisto di permesso di soggiorno. È quanto ha scoperto la Guardia di Finanza a Montebello Vicentino, nelle scorse ore. Tra i braccianti agricoli scovati dagli uomini della Compagnia di Arzignano, tutti di nazionalità indiana, uno è risultato essere “richiedente asilo“.

L’uomo era stato impiegato dal titolare dell’azienda vinicola dopo soli 36 giorni dalla presentazione dell’istanza di protezione internazionale alla Questura di Verona, invece dei 60 giorni previsti dalla legge.

L’imprenditore è stato denunciato per aver violato la disciplina in materia di “lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato” contenuta nel Testo Unico sull’Immigrazione.

VENDEMMIA IN NERO A MONTEBELLO VICENTINO

Nei suoi confronti è stata elevata una maxi sanzione per lavoro nero che, nel caso specifico, va da un minimo di 12.600 euro fino ad un massimo di 75.600 euro. Le cifre tengono conto delle singole sanzioni per i sette braccianti agricoli impiegati nella vendemmia, senza un regolare contratto di lavoro.

Nel conteggio anche la sanzione amministrativa che va da un minimo di 4.320 euro ad un massimo di 12.960 euro, «per essersi avvalso dell’opera di un richiedente asilo, senza rispettare i termini previsti dalla normativa sull’immigrazione».

Non solo. I funzionari dell’Ispettorato del Lavoro di Vicenza hanno emesso il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale. Una misura che è stata subito revocata, dal momento che l’imprenditore ha regolarizzato 7 degli otto braccianti agricoli, impegnati nella vendemmia.

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Il futuro del vino Perpetuo? Lontano da Marsala, nella Doc Sicilia


Separati in casa. Come moglie e marito che non si parlano più, dopo aver provato più volte a riallacciare. Il futuro del vino Perpetuo è lontano da Marsala, sua terra d’elezione. E quello che trapela dal Perpetuo Wine Fest 2022, prima edizione dell’evento ideato dal sommelier Ais Trapani e ristoratore Giuseppe Vultaggio per dare un’identità al noto vino ossidativo siciliano, è che “lui” abbia un’amante. D’eccezione. Una a cui è difficile dire di no: la Doc Sicilia.

A svelarlo è Renato De Bartoli, figlio di quel Marco De Bartoli a cui si deve il Vecchio Samperi. Ovvero uno dei pochi vini perpetui – già, non è un Marsala – capaci di finire sulle tavole internazionali, sin dalla sua prima annata. La 1980.

«La voglia di fare qualcosa – commenta De Bartoli – è viva da anni. Abbiamo capito che, probabilmente, la strada migliore per il vino Perpetuo sia quella di emanciparsi dal Marsala. Bisogna trovare una casa e si muove qualcosa nell’ambito della Doc Sicilia. Del resto, il tema genera molto interesse e stimola i consumatori. Prima o poi ci sarà la stretta e il vino Perpetuo troverà la sua dimensione».

Sempre secondo Renato De Bartoli, l’intenzione del management della Doc Sicilia, presieduta da Antonio Rallo, riguarderebbe «la legittimazione del Perpetuo all’interno della Doc Sicilia, in cui andrà trovato un nome e stilato un disciplinare tecnico di produzione».

La possibilità che la Doc Sicilia apra le porte al Perpetuo, valorizzando così il “Marsala prima del Marsala”, vino inventato dagli inglesi aggiungendo alcol al nettare a carattere ossidativo della tradizione locale, è confermata anche dal vignaiolo Nino Barraco.

«Nel 2015 – spiega – ho parlato con il dottor Giacomo Rallo. Avrebbe accettato di produrre un vino perpetuo per promuovere questo tipo di prodotto, a condizione che fosse messo sotto il cappello della Doc Sicilia. In quel momento, da produttore marsalese, lo avrei accettato. Ma all’epoca ero anche amministratore di Marsala. E in qualità di assessore all’Agricoltura presi atto di questa apertura e il discorso si chiuse lì».

Oggi penso che il vino Perpetuo possa essere inserito nella Doc Sicilia. Ma solo a condizione che, prima, venga inserito nella Doc Marsala, con la Doc Marsala “a cappello”, sotto la Doc Sicilia. L’accordo è questo, sul territorio».

MARSALA AL BIVIO SUL FUTURO DEL VINO PERPETUO
Il sommelier Ais Trapani e ristoratore Giuseppe Vultaggio, ideatore della prima edizione del Perpetuo Wine Fest

«Il Marsala – rincara la dose il vignaiolo di Contrada Bausa – è fallito per tutti, tranne che per tre, quattro aziende che continuano a sopravvivere col Marsala Fine 6 mesi, che è quello venduto nei box di plastica da 10 ettolitri destinati all’industria alimentare. Devono sopravvivere solo loro, oppure possiamo creare uno sviluppo diffuso?».

Renato De Bartoli è dello stesso avviso: «L’industria del Marsala va in un’altra direzione, quella più veloce, a basso costo. Noi, per vendere ogni anno circa 7 mila bottiglie di Vecchio Samperi, abbiamo in affinamento circa mille litri in cantina, di varie annate».

Le nuove generazioni, i ventenni di oggi, non sanno neanche che cos’è il Marsala. Non hanno in testa la confusione interna allo scenario della Doc. Non sanno se è un vino dolce o secco, da fine pasto, da dessert, da cucina. Per fortuna si è sgombrato un po’ il campo». Quello attuale, sempre secondo il produttore marsalese di Contrada Fornara Samperi, sarebbe dunque il momento perfetto per rilanciare il «vero vino della tradizione locale».

Il Perpetuo ha molto più appeal rispetto al Marsala, che deve fare i conti con la realtà. Non lo dico io, ma i numeri. All’inizio del Novecento si producevano 100 milioni di litri di Marsala, oggi solo 5 milioni. C’è da farsi delle domande su una crisi che dura ormai da 120 anni».

Una scelta dolorosa, che pare tuttavia inevitabile. «Ci abbiamo tentato, io e Nino Barraco, a coinvolgere il mondo del Marsala – sottolinea De Bartoli – ma c’è una chiusura totale. Perché è costellato da vino sfuso destinato all’industria alimentare, appannaggio di pochi. E nessuno ci deve mettere le mani».

«Il Perpetuo, invece, è democratico. Può essere prodotto da tutti i viticoltori che decidono di fare vino in campagna. Non c’è bisogno del deposito di alcol – conclude – del deposito fiscale, della dogana che viene a controllare per l’accisa. Perpetuo, tuttavia, è un vino che non ha disciplina. È frutto di libera interpretazione. Bisognerebbe prima di tutto sgombrare la scena su questo fronte». Il dibattito è appena iniziato.

Povero Marsala: Cantine Pellegrino guida i prezzi più bassi al supermercato

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Vignaioli da Stella Michelin: il Ristorante Gourmet Peter Brunel diventa “Punto d’affezione” Fivi

Il Ristorante Gourmet di Peter Brunel ad Arco (Trento), una Stella Michelin, è entrato nella rete dei Punti d’Affezione Fivi. È la prima volta che un ristorante stellato compie questa scelta, aggiungendosi alla lista di oltre 50 locali che hanno a cuore il lavoro dei Vignaioli indipendenti. Non solo ristoranti, dunque, ma anche enoteche, wine bar ed osterie.

Classe 1975, Brunel spicca nel panorama degli chef per la rara capacità di saper valorizzare le eccellenze territoriali attraverso aperture ad ispirazioni contemporanee ed internazionali. Quella nei confronti di Fivi è solo l’ultima.

PETER BRUNEL: «VIGNAIOLI E CUOCHI DEVONO PARLARSI»

«Ogni volta che incontro un vignaiolo e mi confronto con lui, entro nel vivo di un territorio e della sua storia – commenta Peter Brunel – ne comprendo gli aspetti più profondi, quelli che lo rendono unico e irripetibile. Cuochi e vignaioli hanno molto in comune, in questo senso: il nostro lavoro è come quello del traduttore, che prova a far capire a tanti una lingua non sempre comprensibile».

Sono in pochi a conoscere i misteri del suolo, il suo complesso rapporto con il mondo vegetale, la magia della fotosintesi, per non parlare dell’affascinante alchimia dei processi di fermentazione: sono conoscenze che rischiano di rimanere estranee ai più. Il vino, al contrario, lo possono capire tutti: è sufficiente un po’ di curiosità e di predisposizione d’animo».

Vale lo stesso per la cucina. «Ogni giorno – conclude lo chef del Ristorante Gourmet di Arco – proviamo a rendere semplice e intuibile ciò che in realtà è straordinariamente complicato. Per questo tra cuochi e Vignaioli dobbiamo parlare, confrontarci, conoscerci a vicenda. Abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri, e tanto ancora da raccontare».

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Verso il Parco del Cerasuolo di Vittoria: investimento da 500 mila euro


Con un investimento di 500 mila euro da parte del Gal Valli del Golfo, in Sicilia si pongono le basi per il Parco del Cerasuolo di Vittoria. «Un progetto che contribuirà a valorizzare il territorio», nelle parole di Achille Alessi, presidente del Consorzio di Tutela dei vini Cerasuolo di Vittoria Docg e Vittoria Doc. Una buona notizia che arriva a un anno dal cinquantesimo anniversario della nascita della Doc Cerasuolo di Vittoria.

«Il Parco del Cerasuolo di Vittoria – continua Alessi – sosterrà attività di sperimentazione e dimostrazione di nuove tecnologie, tecniche, processi, pratiche, metodi, soluzioni innovative di prodotto, di servizio, di processo».

Progetti rivolti alla valorizzazione della biodiversità ed alla introduzione di tecniche di risparmio idrico, energetico, riuso delle acque, monitoraggio fitopatologico, valorizzazione delle diversità biologiche presenti nel territorio nonché progetti di promozione e valorizzazione del prodotto vitivinicolo».

In itinere anche la creazione di un «Sistema Marchio Paesaggistico di Qualità Collettivo» legato ai “Paesaggi del Cerasuolo di Vittoria Docg – Vittoria Doc”.

«Il Parco del Cerasuolo di Vittoria – dichiara Francesco Aiello, presidente Gal Valli del Golfo e sindaco di Vittoria – prevede la realizzazione di iniziative rivolte alla valorizzazione della biodiversità e delle tipicità agro-alimentari, potenziando ed innovando le filiere ed i sistemi produttivi di riferimento secondo logiche eco-compatibili, in linea con il nostro Piano di Azione Locale e con l’Agenda Europea 2030».

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degustati da noi Gli Editoriali news news ed eventi vini#02

Monferace, il Grignolino del Monferrato che “fa legno”: tutti sicuri ne abbia bisogno?


EDITORIALE –
In un mondo in cui il Barolo si propone sui mercati in versioni sempre più pronte e godibili senza troppe attese, una dozzina di aziende del Monferrato Casalese (una sola dell’Astigiano) si aggroviglia attorno a un «progetto territoriale» denominato Monferace. Ovvero su un vino che nasce da uve 100% Grignolino affinate per almeno 40 mesi, di cui 24 in botti di legno. Fra le 30 e le 40 mila bottiglie complessive, a distanza di 8 anni dalla prima vendemmia, la 2015 (oggi in vendita c’è la 2018).

Un nuovo vino per le colline Unesco del Monferrato, insomma. Legato, tuttavia, al «metodo tradizionale di vinificazione del Grignolino», vitigno che più di tutti rappresenta questa fetta del territorio del Piemonte.

«Affinava in legno quando, in occasione delle Esposizioni Universali della Belle Époque, costava più del Barolo», ha ricordato il presidente dell’Associazione produttori Monferace, l’avvocato Guido Carlo Alleva. Intanto, l’Italia e il mondo intero vanno da un’altra parte.

TUTTI IN UN’ALTRA DIREZIONE

I vignaioli della Valpolicella – altra zona che lavora al riconoscimento Unesco – lavorano al futuro dell’Amarone premiando freschezza e agilità di beva, riducendo concentrazione ed esuberanza alcolica, soprattutto attraverso accorgimenti in vigna.

Più a sud, in Umbria, i tannini del Sagrantino di Montefalco sono al giro di boa, ormai da qualche vendemmia. Il cambio di rotta del mondo del vino e dei suoi nuovi consumatori internazionali, convince i produttori a premiare versioni più immediate, che non perdano comunque di vista la rustica eleganza del grandioso vitigno autoctono perugino.

Da queste parti c’è chi, addirittura, propone di introdurre nel disciplinare l’anfora, come «contenitore alternativo al legno» per l’affinamento del Sagrantino di Montefalco Docg. Le (rare) versioni già prodotte in terracotta, di fatto, danno risultati eccellenti ed esaltano la varietà.

Cambiamo zona ed emisfero: Australia. Qui lo Chardonnay ha ormai perso la dipendenza stilistica dalla barrique francese. E così sta succedendo per il Syrah. Persino negli Usa, per l’esattezza in Napa Valley, l’uso del legno è sempre meno invasivo sul Cabernet Sauvignon, consentendo a microzone come Stag’s Leap di emergere dall’uniformizzazione del gusto, esaltando i suoli di origine vulcanica.

Tutti sicuri, dunque, che il Grignolino abbia bisogno del legno per rilanciarsi sul mercato e, soprattutto, raccontare la vera peculiarità degli antichissimi suoli di limo, calcare e marne del Monferrato? Il sogno (vero) è tornare alla tradizione o avere in casa un (wannabe) Barolo “su misura”?

TRA I MONFERACE SPICCA ACCORNERO

All’evento per la presentazione en-primeur della vendemmia 2018 del Monferace, andato in scena ieri al Castello di Ponzano Monferrato, i campioni (della vendemmia 2018, per l’appunto) erano solo 6, sulla dozzina di aziende che aderiscono all’Associazione.

E a convincere, su tutti (ma proprio tutti, compresi un Monferace 2016, due 2017 e 3 2020 da vasca) è il vino di chi, il Grignolino, lo ha sempre trattato in legno. Ovvero la cantina Accornero, col suo Grignolino del Monferrato Casalese Doc 2018 Monferace (3.861 bottiglie complessive, più 208 magnum), figlio di quel “Bricco del Bosco Vigne Vecchie” prodotto sin dal 2006.

Sulla buona strada anche Angelini Paolo (con il Grignolino del Monferrato Casalese 2018  Monferace Golden Arbian) e Vicara (Grignolino del Monferrato Casalese Doc 2018 Monferace Uccelletta), cantine che – forse non a caso – hanno scelto di rinunciare alla barrique per investire nell’affinamento in tonneau da 500 litri.

Se legno dev’essere, insomma, che sia grande. Per il Monferace. E soprattutto per non scordarsi, a colpi di vaniglia, tostature e fondi di caffè, di essere in Monferrarto. Con in bocca del Grignolino. L’alternativa è riscrivere la storia, senza ricorrere alle botti.

Puntando tutto su Grignolini di grande qualità, che valorizzino – dalla vigna alla cantina – i bei primari del vitigno. Un po’ come la Campania sta facendo col Piedirosso, o la Loira con i Cabernet Franc légere. Ma questa è tutta un’altra storia.

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Walter Massa e quel fax di Maurizio “Caino” Menichetti che cambiò la storia del Timorasso


Non fosse per l’accento, Walter Massa e Maurizio Menichetti potrebbero essere scambiati per figli della stessa madre. Stesso amore per il vino. Stessa dedizione nel raccontarlo. Stessa testardaggine, forgiata su purezza di spirito, dedizione al lavoro e spalle larghe. Vite che si incrociano nella storia del Timorasso, ormai vino-vitigno icona del Made in Italy, “inventato” negli anni Ottanta da un manipolo di vignaioli, guidati dal genio di Monleale. E portato alla ribalta dal ristoratore toscano, titolare del bistellato Caino di Montemerano.

«Fu un cliente abituale, che solitamente beveva vini francesi molto costosi, a portarmi una bottiglia di Costa del Vento». La mente di Menichetti corre indietro veloce, al 2000: «Un signore distinto, di Modena». Chiude gli occhi per un attimo, cercando di ricordarne persino il nome. Sforzo inutile: «Era un vendemmia 1997, questo me lo ricordo benissimo». Lo sguardo torna fisso su Massa, in cerca della definitiva approvazione. Sul viso, un accenno di sorriso.

Questo tizio voleva imparare a bere, col nostro aiuto. In cantina, all’epoca, avevamo già 30 mila bottiglie per 18 coperti. In altre parole eravamo in grado di accompagnare questo nostro cliente nel suo desiderio di crescita e di scoperta. Quel giorno mi sorprese, presentandosi con la solita educazione: “Mi sono permesso di portare io una bottiglia”».

«Casa. Pane e salame. Piedi sulla sedia, davanti al televisore acceso. E un bicchiere». Costa del Vento 1997 di Walter Massa scivola biondo nel vetro, spinto più dalla curiosità di Menichetti che dalla forza di gravità.

«Verso ‘sto vino, lo assaggio e lo riappoggio. Corro a prendere un calice, perché prima avevo preso un “bicchiere”, un bbbicchiere da acqua. Lo riverso. Lo riassaggio. E decido di mandare subito un fax a Walter Massa», continua il ristoratore toscano.

IL PRIMO ASSAGGIO DI COSTA DEL VENTO 1997

«Gli ho scritto qualcosa tipo: “Sarei interessato a sapere tutto quello che c’è prima e tutto quello che c’è dopo il tuo Costa del Vento 1997″. Mi mandò così tutti i suoi vini. Ma non fu semplice. Dopo quel fax, prima di ricevere una risposta, ne ho dovuti mandare altri tre».

«Nell’ultimo gli scrissi: “Domandare è lecito, rispondere è cortesia“. In maremmano, la mia lingua, questo vuole dire “Vai a fare in culo“! Dopo due minuti squillò il telefono!». Ça va sans dire: era Walter Massa.

«Ero in ufficio, proprio in quel momento», conferma il vignaiolo. «Io e lui ci siamo conosciuti col fax e il telefono in mano – aggiunge – e siamo andati avanti così, per 6 mesi. Poi, il primo gennaio del 2001, ho prenotato cena da lui per il giorno seguente. Già allora aveva 2 stelle Michelin. “Un tavolo per due, Massa”, gli dissi. Arriviamo e ci accomodiamo».

«Era il tavolo 9», lo interrompe Menichetti, questa volta senza pensarci su neppure un secondo. «Lui inizia ad aprire dei vini rossi toscani  – continua il papà di Costa del Vento -. Nel frattempo io sfogliavo la carta dei vini».

A quelle accanto a me, due zie con la nipote, diede un Sanct Valentin di S. Michele Appiano: erano astemie. A un altro tavolo, degli americani: “Senza Sassicaia non si va da nessuna parte”, mi disse Menichetti. Ad altri clienti avrebbe dato volentieri il mio Costa del Vento, ma poi scelse un Sacrisassi de Le Due Terre. “Sapendo che sei qui, ho scelto il vino di Flavio Basilicata“, mi disse».

LA STORIA DEL TIMORASSO NELL’INCONTRO MASSA-MENICHETTI


Quello tra Walter Massa e Maurizio Menichetti fu un incontro determinante per la storia del Timorasso, consacrato nel gotha della ristorazione. «Ordinò tutti i miei vini, chiedendo 12 bottiglie per tipo, di tutte le annate disponibili in cantina», ricorda Massa.

«Tornado da Caino, mi accorsi che in carta il 96 costava meno del 97 e il 95 come il 97. Come mai? “Perché io assaggio e bevo tutti i vini che ho in cantina e faccio il prezzo in base alla qualità che esprime ogni annata”, mi rispose». Oggi, a Montemerano, Menichetti ha in carta il Timorasso dal 1987 al 2018.

E se il vino simbolo di Tortona inizia ad essere conosciuto col nome di Derthona, è perché Walter Massa ha iniziato a «propagandarlo con questo nome» dal 2003.

«Sono un amante del vino – chiosa Menichetti – e di questo vitigno mi sono innamorato subito. In ristorazione inizia davvero a funzionare. Il nostro ristorante è in una zona vinicola, il contorno sono Montalcino e il Chianti. Rispetto al passato, il Timorasso, oggi Derthona, è molto più conosciuto».

«Molti ce lo chiedono, altri chiedono: “Cosa ci fai bere oggi?”. A quel punto spazio in tutto il mondo senza problemi e, senza timori reverenziali, offro il Timorasso accanto ad altre grandi denominazioni del vino internazionale. Il bono col bono sta sempre bene assieme». Un po’ come Walter Massa e Maurizio Menichetti. Due divisi solo dall’accento.

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Elezioni Fisar 2022, tutti i candidati: Roberto Donadini sfida Mariella Dubbini per il dopo Terzago


Conto alla rovescia per le elezioni Fisar 2022. La Federazione italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori è chiamata a rinnovare il Consiglio nazionale, il Collegio dei Probiviri e l’Organo di Controllo, sabato 29 e domenica 30 ottobre.

Le liste di candidati in lizza per un posto nel Consiglio nazionale, per il quadriennio 2023-2026, sono due. La Lista 1 vede candidato presidente Roberto Donadini (Fisar Treviso). La Lista 2 Mariella Dubbini (Fisar Castelli di Jesi). Sarà uno di loro a prendere il posto dell’attuale presidente nazionale di Fisar, Luigi Terzago.

IL NUOVO PRESIDENTE FISAR: ROBERTO DONADINI SFIDA MARIELLA DUBBINI

La Lista 1, guidata da Roberto Donadini, raccoglie 20 candidati sotto allo slogan “Costruiamo insieme il futuro“. Donadini, in Fisar dal 2007, è un fedelissimo di Graziella Cescon, presidente dal 2015 al 2018. Era con lei anche alle elezioni 2018, che hanno visto però trionfare l’altra lista, guidata da Luigi Terzago.

«”Costruiamo insieme il futuro” – spiegano i candidati – è una sfida che guarda verso il cambiamento, forte del senso di appartenenza che tutti condividiamo nell’associazione. Venti candidati, con esperienza in Fisar e nel mondo dell’enogastronomia, presenti, con passione e competenza, in tutte le regioni italiane. Per una Fisar dinamica, competitiva, che restituisca valore e senso di appartenenza».

Dall’altra parte Mariella Dubbini con la Lista 2, “Sommelier nel cuore – Con Noi per Cambiare“. «La lista, composta da 20 candidati, 10 donne e 10 uomini, che rappresentano l’intero territorio nazionale – spiegano gli aspiranti al Consiglio nazionale – si compone di persone che hanno lunga presenza nella Federazione».

Focus principale della Lista 2 alle Elezioni Fisar 2022 sono «la condivisione e la cultura del vino, per una Fisar in cui i rapporti umani hanno priorità, dove il dialogo, il confronto, la condivisione siano valori primari». Con Dubbini «anche giovani sommelier che porteranno una ventata di novità e una diversa visione per il futuro della Federazione».

VOTO ONLINE PER I SOMMELIER FISAR

Secondo quanto previsto dall’art. 12 del Regolamento elettorale Fisar, le operazioni di voto si svolgeranno in modalità elettronica. La Federazione ha scelto la piattaforma per il voto online Eligo, che vanta già 18 milioni di votanti complessivi in 17 anni di attività.

«Gli aventi diritto – spiega Fisar a winemag.it – potranno partecipare al voto, ovunque si trovino, dalle ore 9 di sabato 29 ottobre 2022 alle ore 14 di domenica 30 ottobre 2022. Nella stessa sede dell’Assemblea (l’Hotel NH Venezia Laguna Palace di Mestre, Venezia) saranno messe a disposizione degli associati due postazioni per la votazione elettronica, sabato 29 ottobre 2022 dalle ore 9 alle ore 20 e domenica 30 ottobre 2022 dalle ore 9 alle ore 14».

ELEZIONI FISAR 2022: I CANDIDATI PER IL CONSIGLIO NAZIONALE
Lista 1 Presentatore Donadini Roberto Lista 2 Presentatore Dubbini Mariella
Braccini Marco – Delegazione Civitavecchia e Costa Etrusco Romana Anelli Gualtiero – Delegazione Monza e Brianza
Capra Michele – Delegazione Torino Barbiero Manuela – Delegazione Portogruaro
Cescon Graziella – Delegazione Treviso Bonalberti Francesca – Delegazione Verona
Donadini Roberto – Delegazione Treviso Boso Giulia – Delegazione San Donà di Piave
Gallo Roberto – Delegazione Catanzaro Busiello Luigi – Delegazione Salerno
Gosatti Stefano – Delegazione Aosta Del Buono Luca – Delegazione Valdichiana
Iacone Carlo – Delegazione Caserta Deviletti Giulia – Delegazione Piacenza
Lancia Lorena – Delegazione Brescia Dubbini Mariella – Delegazione Castelli di Jesi
Lanza Luca – Delegazione Cuneo Franchini Filippo – Delegazione Empoli
Lo Bue Sabrina – Delegazione Palermo Greco William – Delegazione Cosenza
Longoni Gianni Giuseppe – Delegazione Milano Ingegneri Marta – Delegazione Padova
Lumini Luca – Delegazione Versilia Loiola Patrizia – Delegazione San Donà di Piave
Maggi Laura – Delegazione Firenze Marchi Massimo – Delegazione di Pisa
Matarazzo Alfonso Ermanno – Delegazione Alessandria Asti Mazzitelli Antonio – Delegazione Roma e Castelli Romani
Melotti Raffaella – Delegazione Bologna Modena Mecaj Daniela – Delegazione Torino
Niccolini Vincenzo – Delegazione Siena e Val d’Elsa Norese Laura – Delegazione Alessandria Asti
Palombo Angela – Delegazione L’Aquila Olivieri Annamaria – Delegazione Viterbo
Pelella Renato – Delegazione Salerno Seminara Francesco – Delegazione Catania
Taronno Salvatore – Delegazione Foggia Siri Enrico – Delegazione Varazze
Volpe Massimo – Delegazione Genova Vaia Antonio – Delegazione Civitavecchia Costa Etrusco Romana
ELEZIONI FISAR 2022: I CANDIDATI PER IL COLLEGIO DEI PROBIVIRI
Battaglini Ornella Barbara – Delegazione Castelli di Jesi
Cirri Valentino – Delegazione Treviso
Compostella Gianluca – Delegazione Vicenza
Fortunato Vincenzo – Delegazione Caserta
Nuti Flavio – Delegazione Volterra
Sarcina Angela – Delegazione Milano Duomo
ELEZIONI FISAR 2022: I CANDIDATI ORGANO DI CONTROLLO
Astorelli Gaetano – Delegazione Civitavecchia Costa Etrusco Romana
Colombo Franco – Delegazione Milano
Donciglio Raffaele – Delegazione Caserta
Modena Giancarlo – Delegazione Verona
Scapolo Claudio – Delegazione Venezia
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Vendemmia 2022, Nizza Docg come il Douro: «Gradazioni non esasperate ed equilibrio»


«Vini che già oggi svelano grande colore purpureo, morbidezza e struttura, ma sorprendentemente gradazioni alcoliche non esasperate con carattere di equilibrio impensabile». Ecco cosa aspettarsi dalla vendemmia 2022 dei Nizza Docg, secondo il presidente dell’Associazione Produttori del Nizza, Stefano Chiarlo.

La vendemmia 2022 sarà ricordata per la “resilienza” climatica che la vite ha dimostrato e per l’attuazione delle pratiche virtuose che i produttori del Nizza, facendo tesoro delle annate precedenti con condizioni climatiche simili, hanno adottato ottenendo vini di  ottima qualità, carattere ed equilibrio».

Due le parole con cui si può sintetizzare la vendemmia 2022 del Nizza Docg: calda e secca. Queste condizioni climatiche impegnative si sono concretizzate in una raccolta mediamente anticipata di circa 10/15 giorni per la varietà Barbera nella zona.

Climaticamente l’annata 2022 ricorda molto la 2017. Con la differenza che quest’anno la vite ha sviluppato un maggior adattamento. Reagendo con una grande resilienza definita «sorprendente» dagli stessi produttori.

Un commento che accomuna i produttori del Nizza a quelli del Moscato bianco per l’Asti Docg, che proprio ieri hanno tirato le somme sulla vendemmia 2022. Uscendo dai confini nazionali, si sono detti «sorpresi» dell’esito dell’annata anche i vignaioli della Valle del Douro, zona notoriamente connotata da vini con alte gradazioni alcoliche.

La vendemmia 2022 nella Valle del Douro: «Vini mai così “leggeri”. E sarà un grande Porto»

STEFANO CHIARLO: «RESE BASSE DETERMINANTI PER IL NIZZA DOCG»

Il fattore critico, per i produttori del Nizza Docg, è stato la scarsità idrica con una riduzione del 60% della caduta d’acqua rispetto ad un’annata normale. Nel dettaglio si parla, nel 2022, di soli 400 mm d’acqua rispetto ad uno standard di 950 mm.

«Tutto ciò – spiega l’Associazione produttori del Nizza – deriva da scarse nevicate invernali, moderate piogge primaverili e da un’estate lunga e siccitosa contrassegnata da rari temporali che fortunatamente non sono stati grandiniferi».

Ma «l’esperienza, l’ingegno e la sensibilità dei viticoltori» hanno permesso di adottare le giuste pratiche agronomiche nel vigneto. Per fronteggiare condizioni climatiche impegnative «senza intaccare l’equilibrio e la qualità del prodotto».

Il fatto che da disciplinare la resa per ettaro, stabilita a 70 quintali, sia più bassa rispetto alle altre – commenta ancora Stefano Chiarlo – è stato un ulteriore fattore che ha fatto in modo che le viti superassero meglio di altre lo stress idrico. Le vigne del Nizza Docg hanno dunque saputo reagire molto bene».

A garantire «la perfetta maturazione delle uve preservandone la freschezza, l’integrità e l’equilibrio» hanno contribuito anche altre decisioni. Tra queste, la scelta di lasciare la vegetazione a proteggere i grappoli dall’insolazione diretta, evitando che le bucce venissero danneggiate e consentendo ai grappoli di non disidratarsi. A buon fine anche il ritardo sul consueto periodo riservato ai diradamenti, al pari dell’anticipo della vendemmia.

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Asti Docg verso l’aumento della superficie vitata: 300 ettari per 3 milioni di bottiglie


Asti Docg
verso uno storico ampliamento dell’area di produzione. L’
Assemblea Generale dei consorziati ha approvato l’ampliamento di 300 ettari della superficie vitata iscrivibile allo schedario vigneti di Moscato bianco, da assegnare nel 2023 e 2024. Il Consorzio parla di «interruzione a una limitazione che si protraeva da lungo tempo» ed è pronto a proporre il provvedimento a Regione Piemonte, per la ratifica.

«La nuova produzione – spiega ancora il Consorzio – si tradurrebbe in circa 3 milioni di bottiglie e costituirebbe una “scorta” per reagire con prontezza alle sollecitazioni del mercato, consolidando l’equilibrio con prospettive di crescita». Le nuove piante, «non andrebbero in piena produzione prima del quarto anno dall’impianto e contribuirebbero al rinnovamento dei vigneti di Moscato bianco per l’Asti Docg».

La sfida dell’ente «è mantenere i numeri positivi che hanno caratterizzato il 2021, quando si erano registrati oltre 60 milioni di bottiglie di Asti Spumante e 42 milioni di Moscato d’Asti.

Intanto, il Consorzio dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti Docg guarda con ottimismo al futuro e prosegue la marcia di avvicinamento al prossimo 17 dicembre, quando festeggerà il traguardo del 90esimo anniversario, «forte di una vendemmia 2022 dall’esito sorprendente».

«Nonostante la siccità che ha caratterizzato questo 2022 – commenta in una nota il Consorzio – la vendemmia dell’uva Moscato bianco si conclude con risultati assolutamente positivi, se vi vanno a considerare lo stato sanitario delle uve, la gradazione zuccherina e il contenuto aromatico dei mosti».

LA VENDEMMIA 2022 DELL’ASTI SPUMANTE E DEL MOSCATO D’ASTI

La sintesi aromatica registrata quest’anno, infatti, è la più alta degli ultimi anni. E il livello volumetrico si trova in equilibrio rispetto ai disciplinari. In particolare, nell’area di produzione dell’Asti Docg, che si estende per 9.900 ettari in 51 Comuni, la piovosità fino ad agosto è stata inferiore del 30% rispetto agli anni scorsi.

Nei mesi invernali e primaverili, fortunatamente però, si sono evitati i danni da gelo e, una volta cominciato il germogliamento, lo sviluppo della vite è stato rapido e costante, anticipando di circa 10/20 giorni la vendemmia, cominciata attorno al 20 agosto.

Nonostante lo stress idrico e le elevate temperature, la qualità dell’uva non è stata influenzata da fenomeni di scottature ed appassimento, da un lato grazie all’adattamento della tecnica colturale e dall’altro al maggiore ispessimento della buccia causato all’insolazione stessa.

La fertilità della vite, intesa come numero di grappoli per germoglio, nel 2022 è stata addirittura superiore al 2021, ma ha dato origine a grappoli con acini più piccoli. Delle alte temperature ha beneficiato poi la sanità dell’uva è stata elevata, permettendo un minor numero di interventi sulle piante, a tutto vantaggio della sostenibilità.

Lorenzo Barbero, Presidente del Consorzio, guarda con ottimismo al futuro. «Nonostante il quadro geopolitico internazionale e i costi dell’energia che si stanno abbattendo sulle nostre aziende – commenta – ci sono tutti i presupposti per ottenere ottimi vini, attesi dai mercati che hanno confermato l’interesse per l’Asti Spumante e il Moscato d’Asti Docg».

«La vendemmia 2022 – aggiunge Stefano Ricagno, Vice Presidente Senior del Consorzio dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti Docg – è frutto di un anno climatico difficile e impegnativo. Il gran caldo e l’eccezionale siccità confermano che i cambiamenti climatici non sono un fenomeno “in divenire”, ma dobbiamo imparare a conviverci fin da ora mutando e adattando i nostri comportamenti».

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Daniele Bernabei subentra a Giontella: è lui il nuovo general manager dell’Enoteca online


Dopo le dimissioni di Francesco Giontella, Bernabei Spa annuncia il nome del nuovo General manager, Daniele Bernabei. L’enoteca online fondata nel 2014 da Silvio Bernabei è a una vera e propria svolta, dal momento che Giontella faceva parte del team dell’azienda romana sin dagli esordi.

Nei suoi confronti, Bernabei Spa esprime «gratitudine per l’impegno, la dedizione e i numerosi traguardi raggiunti alla guida del Team». Augurandogli «le migliori fortune per il futuro della propria carriera».

L’ingresso di Daniele Bernabei come nuovo General Manager dell’azienda viene descritto come «funzionale al perseguimento degli obiettivi di crescita sempre più sfidanti prefissati dal management». Non solo. È «volta ad accelerare il processo di sviluppo ed efficientamento delle sinergie tra le diverse linee di business in cui opera la Società», evidenzia sempre Bernabei Spa in una nota.

DALLE ENOTECHE ROMANE ALL’ENOTECA ONLINE

Daniele Bernabei, 35 anni, ha respirato fin dalla sua giovane età l’aria dell’impresa di famiglia, attiva sin dal 1933 con un’enoteca a Roma, a Trastevere, seguita da una seconda a Testaccio. Qui ha ricoperto il ruolo di Retail Store Manager, affermandosi come Responsabile della rete vendite operante nel settore Horeca. Nel 2014 il diploma come sommelier Fis.

«In poco tempo – sottolinea la famiglia – Daniele è diventato una figura cardine della struttura societaria, fino a rivestire la mansione di Direttore Commerciale. Oggi è pronto a mettere al servizio della Società le sue eccellenti conoscenze nel mondo Wine & Spirits, unitamente alle sue spiccate competenze digitali e manageriali».

«Sono entrato in quest’azienda 13 anni fa – sono le prime parole di Daniele Bernabei -. L’ho vista crescere giorno dopo giorno e diventare una delle realtà principali del mondo beverage in Italia. Vedo delle grandissime opportunità che ci aspettano per affermarci al vertice del settore. Ringrazio la mia Famiglia per la fiducia riposta in me».

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Piemonte, truffa all’Unione europea per la promozione di Asti Docg, Nocciole e Miele

Nuova bufera nel mondo vino italiano, sempre nell’ambito della presunta distorsione di fondi europei per la promozione di Dop e Docg. Dopo l’inchiesta che vede coinvolte Uiv e Veronafiere è una società piemontese in liquidazione a finire nel mirino degli inquirenti. Si tratta dell’associazione La Dolce Valle, costituita dal Consorzio dell’Asti Docg, Consorzio di Tutela Nocciola Piemonte Igp e dall’Associazione Produttori Miele Piemonte.

I finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Asti hanno eseguito in mattinata un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, pari a 199.699,31 euro nei confronti dell’associazione.

ASTI DOCG, NOCCIOLE E MIELE PIEMONTE

Il provvedimento emesso dal Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Asti riguarda anche due persone, tra cui il rappresentante legale pro tempore dell’associazione esercente «l’attività di promozione dei prodotti Dop e Docg delle Langhe e del Monferrato, territori dichiarati patrimonio mondiale dall’Unesco». L’ente, sempre secondo fonti di winemag.it, risulta in fase di liquidazione.

Le indagini condotte dalle fiamme gialle astigiane dimostrerebbero come, tra il 2017 e nel 2018, La Dolce Valle abbia presentato alla Regione Piemonte due distinte richieste di contributo a fondo perduto nell’ambito del Feasr – Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, riferite a due manifestazioni di promozione e valorizzazione di prodotti Dop e Docg tenutesi nelle città di Alba e Asti, duplicandone artificiosamente i costi.

OPERAZIONE SWEET VALLEY: INDAGINE SU LA DOLCE VALLE

Tra i prodotti pubblicizzati durante i due eventi ci sarebbe, appunto, l’Asti Docg, la Nocciola Piemonte Igp e il Miele Piemonte. Il meccanismo fraudolento, ipotizzano le fiamme gialle, «si sarebbe realizzato attraverso una società, riferibile ad uno degli indagati, incaricata dall’associazione di realizzare gli eventi».

Sarebbe stata così predisposta la documentazione, ritenuta fittizia, «relativa a spese in parte mai sostenute e successivamente posta a corredo delle domande di contributo unionale».

I responsabili sono stati segnalati alla sede di Torino della Procura Europea (Eppo – European Public Prosecutor’s Office) per truffa aggravata ai danni dell’Unione Europea. Un’operazione, quella conclusa oggi dai militari di Asti e ancora dunque in fase preliminare di giudizio, che è espressione della stretta collaborazione tra la Procura Europea e la Guardia di Finanza italiana, a contrasto degli illeciti e delle frodi al Bilancio dell’Unione Europea.

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La vendemmia 2022 nella Valle del Douro: «Vini mai così “leggeri”. E sarà un grande Porto»

Alcol e acidità moderate, ottima espressione del frutto. Contrariamente alle aspettative, una scarsa presenza di uve surmature, secche o disidradate. La vendemmia 2022 nel Douro è stata tra le più impegnative e sfidanti di sempre, con un calo della produzione che va dal 30 al 50%. Ad assicurarlo sono i Douro Boys, gruppo di vignaioli riunitosi nel 2003 «per formare una perfetta “Cuvée”» e mostrare al mondo le potenzialità del Porto e dei vini bianchi e rossi secchi prodotti nella più famosa regione vinicola del Portogallo.

Come in tutta Europa, anche nella Valle del Douro la vendemmia 2022 è stata caratterizzata da un clima molto secco. Le precipitazioni sono scese al 30% rispetto alla media del periodo 1971/2000 e al 37% rispetto alle ultime due annate del 2020 e del 2021.

A seconda della posizione della valle e del vigneto, le precipitazioni totali prima dell’inizio del raccolto (da gennaio a luglio) sono state solo tra 170 e 260 ml. Circa un terzo rispetto alla media di 500-700 ml. La temperatura media da maggio a settembre è stata più alta che mai. Per 23 giorni consecutivi il termometro ha superato i 35 gradi. Raggiungendo i 48 gradi a luglio nella zona di Pinhão.

Viste le condizioni di super-secchezza, i Douro Boys si aspettavano un’elevata quantità di uve secche. Sorprendentemente questo non è avvenuto, come confermato durante la conferenza online odierna tutti i vignaioli del gruppo: João Ferreira Álvares Ribeiro e Francisco Ferreira (Quinta do Vallado), Cristiano Van Zeller (Van Zellers & Co.), Francisco “Xito” Olazábal (Quinta do Vale Meão), Tómas e Miguel Roquette (Quinta do Crasto) e Dirk van der Niepoort (Niepoort).

DOURO, VEMDEMMIA 2022: VINI BIANCHI E ROSSI “LEGGERI” E FRUTTATI

Le uve raccolte – dichiarano pressoché all’unisono i Douro Boys – sono vitali, fresche e fruttate, il grado zuccherino è inferiore a quello delle annate normali, sino a un minimo di 12,5% vol.

Probabilmente è così perché le viti hanno interrotto la fotosintesi durante l’estate molto secca, a causa della mancanza di umidità. Anche la resa è ovviamente ridotta. Il peso dell’uva è solo l’80% di quello di un’annata media e ha conservato pochissimo succo».

La vendemmia delle varietà di uva a bacca bianca è iniziata intorno al 10 agosto nel Douro Superior e in altre sottoregioni. Nonostante la scarsa escursione termica tra giorno e notte, le uve risulterebbero molto fruttate. L’acidità è invece inferiore alla media, ma a un buon livello per produrre vini freschi, specie in caso di scelta dell’uvaggio.

I vini rossi 2022 del Douro sono meno alcolici. Per alcuni Touriga Franca si arriva addirittura all’11%. Tuttavia, i vini rossi presentano colori rossi e violacei molto intensi e al naso sono molto puri e intensi. I tannini morbidi ed equilibrati.

LA VENDEMMIA 2022 DEL PORTO NEL DOURO

La vendemmia delle uve del Porto è appena iniziata nel Douro e sembra «molto promettente, con un’alta concentrazione di frutta e intensità». Si tratta sicuramente di un’annata molto buona, «forse addirittura eccezionale», si spinge a dire qualcuno, tra i Douro Boys. Maggiori indicazioni si avranno attorno al mese di maggio 2023, dal momento che i vini al momento si trovano ancora in acciaio. Ma le aspettative, ad oggi, sono alte.

Scarse le quantità di Porto 2022, in linea con gli altri vini della regione. «Ma le uve sono molto aromatiche, molto intense, non molto acide, ma ben equilibrate, soprattutto quelle provenienti da vecchie vigne», garantisce per tutti Daniel Niepoort.

Nella Valle del Douro, le viti sono abituate a sopravvivere in condizioni molto calde e secche, lungo ripidi pendii pietrosi e scistosi. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui le piante hanno affrontato meglio le condizioni estreme della vendemmia 2022, rispetto ad altre regioni.

Le vigne vecchie e molto vecchie (50-80 anni) sono molte nel Douro e le radici profonde hanno aiutato la pianta a superare il periodo critico e le condizioni della superficie del terreno. I produttori locali, del resto, si interrogano da anni sui cambiamenti climatici.

IL FUTURO DEL DOURO: IMPIANTI AD ALTA QUOTA E PASSAGGIO AL GUYOT

Tra le mosse dei Douro Boys, l’interruzione del cordone e il passaggio al guyot doppio, meno vigoroso. Il Douro ha 43 mila ettari di vigneti tra gli 80 e gli 800 metri. I nuovi vigneti, soprattutto per i vini bianchi, sono per lo più piantati in altitudine.

È stato poi interrotto l’uso delle colture di copertura, preferendo e tornare a mobilitare il suolo (redra) all’inizio di luglio. In questo modo si riduce la capillarità dello strato più alto del suolo, impedendo alla già scarsa umidità e alla piccola quantità d’acqua presente nel suolo di evaporare.

Mosse anche sul fronte dell’esposizione e della selezione dei vitigni più adatti. Soprattutto per i vini bianchi, l’esperienza ha dimostrato che varietà come Arinto, Rabigato, Gouveio e Viozinho sono meno produttive rispetto a Malvasia Fina, Codega e Fernao Pires, utilizzate in passato per la produzione di vini di stile “pop”. Inoltre, producono meno zucchero e quindi meno alcol e più acidità.

Per questo motivo, sono ideali per produrre vini bianchi equilibrati, anche in anni di clima estremo. Il Touriga Nacional, probabilmente il vitigno più conosciuto nel Douro, si è adattato bene al caldo e continua a produrre vini equilibrati, anche in annate secche o torride. Una risorsa ottimale, anche per il Porto.

Per i vini rossi, alcuni produttori preferiscono il Touriga Franca, fresco e a maturazione tardiva. Le piantagioni miste riservano vantaggi: con diversi vitigni si ha sempre un equilibrio tra la maturazione eccessiva e la freschezza.

L’EXPORT DEL VINO PORTOGHESE TRAINATO DALL’ENOTURISMO

Il Portogallo ha attraversato momenti difficili, ma è riuscito a raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Allo stesso tempo, gli ottimi investimenti in un turismo di qualità hanno aiutato il Paese a imboccare con decisione la via dell’enoturismo.

Non a caso, il 2022 è stato un anno record per il Portogallo, grazie soprattutto a un un forte aumento degli ospiti provenienti dagli Stati Uniti. «Il boom del turismo aiuta molto l’industria vinicola portoghese», sottolinea João Ferreira di Quinta do Vallado, cantina con ospitalità, grazie ad alcuni hotel in posizione mozzafiato sulla Valle del Douro (Quinta do Vallado Régua e Casa do Rio Foz Côa).

Le vendite di vino sono aumentate del 100% nell’Horeca rispetto all’anno scorso, che è stata già un’ottima annata. Il 42% in più di ospiti ha soggiornato alla Quinta e il 70% in più di visitatori nel 2022 fanno di questo l’anno migliore di sempre».

Unica nota dolente per i Douro Boys, la mancanza di bottiglie che ha impedito di imbottigliare per tempo tre vini destinati ai festeggiamenti per i 20 anni dalla nascita dell’associazione. Si sarebbe trattato di un Porto e di due cuvée – una bianca e una rossa – che saranno presentati ad aprile 2023.

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Pinot Nero come il Kerner in Valle Isarco: caccia ai vigneti di alta quota

Mentre gongola per i dati positivi dell’anno fiscale chiuso il 31 agosto 2022 (+23% sul 2021 e +20% sull’anno record, 2019) Cantina Valle Isarco si interroga sul futuro del Pinot Nero. Il direttore generale Armin Gratl non ha dubbi: seguirà la strada del Kerner, vitigno-vino che, più degli altri, ha consentito alla più giovane cooperativa vinicola dell’Alto Adige di passare da 6,3 a 7,6 milioni di euro di fatturato tra il 2021 e il 2022 (nel 2014 erano appena 4,3).

Il Kerner è infatti il vino più venduto da Cantina Valle Isarco (Kellerei Eisacktal), per un totale fra le varie linee “Classica”, “Aristos” e “Sabiona” di 240 mila bottiglie. A seguire Sylvaner, Gewürztraminer, Müller Thurgau e Grüner Veltliner. A breve la nuova sfida per la cooperativa di Chiusa (BZ): il lancio di un Pinot Nero che pare destinato a seguire i dettami di successo del Kerner.

«Abbiamo un territorio meraviglioso – commenta Armin Gratl – che ci dona vini unici per sapore, aroma e profumo. Quindi è giusto puntare su di esso, valorizzandolo. Il nuovo Pinot Nero della linea top di gamma Aristos, che sarà sul mercato da ottobre 2022, è interpretato da un territorio di montagna come il nostro, quindi diverso dal classico stile altoatesino a cui siamo abituati».

AIL NUOVO PINOT NERO ARISTOS DI CANTINA VALLE ISARCO

I migliori Kerner dell’Alto Adige: crescono ettari e popolarità

Crediamo che i cambiamenti climatici costringeranno a trovare nuovi territori vinicoli anche per questo vitigno, alzando la quota. Qui il Valle Isarco, certo, le altitudini non mancano. Questo, comunque, resta un prodotto di nicchia, i nostri portabandiera resteranno sempre Kerner e Sylvaner».

Il Pinot Nero Aristos, annata 2020, è prodotto in sole 2 mila bottiglie. Andrà a rimpolpare, nelle speranze di Cantina Valle Isarco, le vendite di una cooperativa che fattura per l’85% in Italia (per la metà in Alto Adige e il restante nelle altre regioni italiane) e il 15% all’estero.

Una realtà focalizzata sul canale Horeca, con eccezione della quota regionale destinata alla Gdo, per un totale dell’8% del fatturato complessivo. «Il risultato altamente performante del 2022 – sottolinea Gratl – è frutto di una crescita in tutti i settori, che ha portato alla vendita di 1.050.000 bottiglie». Nel 2021 erano state 900 mila.

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Scavi di Pompei, vigneti abbandonati da 9 mesi. Il nuovo gestore deve produrre “vino naturale”

I vigneti degli scavi di Pompei sono abbandonati da 9 mesi e il nuovo gestore dovrà produrre “vino naturale“. Le caratteristiche del nuovo bando attivato dal Ministero dei Beni Culturali per la gestione del “vigneto dei romani” non ha convinto Mastroberardino. La cantina irpina aveva in gestione gli appezzamenti di 1,5 ettari nel Parco Archeologico dal 1996 e ha investito ingenti somme di denaro, a titolo di donazione. Bocche cucite sull’argomento, a Roma.

La possibilità di presentare «manifestazioni di interesse per l’attivazione di una forma speciale di partenariato avente ad oggetto la gestione dei terreni attualmente nella disponibilità del Parco Archeologico di Pompei destinati e da destinare a vigneti e al ciclo produttivo del vino» si è chiusa alle ore 10 del 26 agosto.

Fonti di winemag.it assicurano che la ricerca di un nuovo gestore sia tuttora in corso in Campania, lasciando presuppore che la scadenza del bando possa essere prorogata dal Ministero dei Beni Culturali. Tra i nomi dei candidati – non confermati ufficialmente – spunterebbe anche quello di Mario Pagano, tra i titolari di Cantine Villa Regina F.lli Pagano Srl di Boscoreale, in provincia di Napoli.

VIGNETI DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI POMPEI SENZA GESTORE

Sempre secondo fonti di winemag.it, Mastroberardino starebbe valutando la possibilità di un’azione legale utile a tutelare i propri interessi. Sul tavolo degli avvocati anche un potenziale danno di immagine per l’azienda. Sui vigneti abbandonati da dicembre 2021, ovvero allo scadere della convenzione, continua infatti a campeggiare la cartellonistica che fa riferimento al noto brand del vino campano.

D’altro canto, le aziende che intendono presentare il proprio interesse per il bando attivato dal Ministero della Cultura in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei devono rispondere a precisi criteri. Tra questi, l’aver «maturato esperienze nella gestione di vigneti di eccellenza e nella commercializzazione in Italia e/o all’estero dei prodotti vitivinicoli».

Vengono richiesti inoltre almeno 5 anni di esperienza nel settore, dal vigneto alla commercializzazione. E un fatturato di almeno 5 milioni di euro, cifra ottenuta aggregando il volume d’affari degli ultimi cinque anni. Per l’adesione al progetto di valorizzazione, rinominato “Azienda Agricola Pompei“, Sono ammesse anche manifestazioni d’interesse di gruppo, oltre che di singole aziende.

VIGNETI DI POMPEI: IL NUOVO GESTORE DEVE PRODURRE “VINO NATURALE”

La coltivazione dei vigneti, si apprende sempre dall’avviso pubblicato dal Ministero, «dovrà essere esclusivamente biologica». Ma le richieste si spingono ben oltre. Il nuovo gestore dei vigneti del Parco Archeologico di Pompei dovrà produrre vino «possibilmente “artigianale/naturale”».

Il tutto «ai sensi della definizione di “vino naturale“» fornita da Alice Feiring nel libro “Vino naturale per tutti“, pubblicato nel 2019 da Slow Food Editore. La produzione, si legge sempre sull’avviso, dovrà essere «effettuata nel rispetto ed interpretazione aggiornata delle tecniche e modalità colturali del mondo antico».

In particolare derivate dalla conoscenza archeologica dei siti di Pompei, Villa Regina e Stabiae nel loro periodo di vita (dunque fino al l secolo d.C.), nonché secondo le regole imposte dalle superiori istanze di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio archeologico».

Nel suo volume, Alice Fiering definisce «vino naturale» quello «ottenuto da viti coltivate in modo sostenibile e realizzato con fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze (a nostra insaputa frequenti nei vini convenzionali) fatta eccezione in qualche caso di una minima dose di solfiti».

La commercializzazione «dovrà svolgersi in via esclusiva presso tali spazi, oltre che sul web, anche attraverso la creazione di una piattaforma dedicata». Inoltre, il nuovo gestore dovrà arrivare progetti che coinvolgano «individui e gruppi disagiati, quali persone con disabilità, famiglie viventi in contesti socialmente fragili e segnati da un alto tasso di disoccupazione e dalla presenza diffusa di forme di criminalità, persone sofferenti di dipendenze e malattie croniche, detenuti volonterosi di reintegrarsi nella società civile ecc».

MASTROBERARDINO E POMPEI: ADDIO DOPO 25 ANNI

Un contesto, quello del nuovo affidamento dei vigneti presenti nel Parco Archeologico di Pompei, in cui fa rumore l’addio di Mastroberardino. Ad affidare l’incarico per la gestione degli 1,5 ettari di vigneti del Parco Archeologico di Pompei a Mastroberardino era stata nel 1996 la Soprintendenza Archeologica di Pompei, sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica Italiana.

«In circa un ettaro all’interno degli scavi di Pompei – si legge sul sito web aziendale della nota cantina campana – è stato possibile impiantare vigneti a base Piedirosso e Sciascinoso, seguendo scrupolosamente le tecniche di allevamento degli antichi romani, prima che il Vesuvio, con l’eruzione del 79 d.C. seppellisse la città».

Da queste vigne è nato un vino, Villa dei Misteri, la cui prima annata, 2001, venne collocata all’asta e distribuita tra appassionati di ogni parte del mondo. I proventi furono utilizzati per sostenere il recupero della Villa dei Misteri, «uno dei più suggestivi siti archeologici di Pompei». Successivamente il progetto è stato ampliato e all’originaria scelta varietale si è aggiunto l’Aglianico, impiantato ad alberello.

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Valore vino italiano, Lamberto Frescobaldi: «Rese nettamente inferiori ai francesi»

«In una fase congiunturale così delicata emerge sempre più la consapevolezza che si possa e si debba fare meglio sul fronte del valore del nostro vino. Il tanto declamato record produttivo non è infatti una condizione sufficiente per generare ricchezza: le “rese valoriali” del vigneto Italia registrano performance nettamente inferiori rispetto a quelle francesi».

Così il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi, in occasione della presentazione delle previsioni vendemmiali 2022 del vigneto Italia. I dati elaborati dall’Osservatorio Uiv rivelano «una redditività tripla per ogni ettaro coltivato (16,6mila euro vs 6 mila) e per ogni ettolitro prodotto (294 vs 82 euro)».

«Serve fare ancora strada – continua Frescobaldi – per garantire una remuneratività direttamente proporzionale alla qualità prodotta, con un percorso che parta da un governo del settore più razionale in materia di denominazioni di origine fino al vino comune».

«Dobbiamo ambire a scrivere, o riscrivere, una vera carta vocazionale dei nostri territori – conclude il presidente di Unione italiana vini – ancorata a indicatori reali, con poche regole ma chiare per tutti i soggetti coinvolti, dai produttori agli enti di controllo per finire al trade e ai consumatori».

Vino, vendemmia 2022: vigneto Italia più forte di caldo e siccità

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Coca-Cola continua a ridurre lo zucchero

Coca-Cola continua a ridurre lo zucchero nelle bevande e introduce nuovi prodotti come Coca-Cola Zero Zuccheri Zero Caffeina. Da oltre 20 anni l’azienda sta mettendo in atto quelle che definisce «azioni concrete per incoraggiare i consumatori a controllare l’assunzione di zuccheri».

La riduzione dello zucchero nella Coca-Cola si affianca a una politica di innovazione, con nuovi prodotti a basso o nullo contenuto calorico e confezioni più piccole, che incoraggino le persone «a scegliere i prodotti senza zucchero».

Oggi, in Italia il 71% del portafoglio è a ridotto, basso o nullo contenuto calorico, con un incremento del 9% rispetto al 2020. «Per ognuno dei suoi brand – spiega l’azienda – Coca-Cola cerca di offrire una o più alternative con zero zuccheri, oltre a rivedere le ricette per diminuirne il quantitativo».

Dal 2016, ad esempio, Fanta e Sprite hanno visto una riduzione dello zucchero rispettivamente del 65% e del 79%. Inoltre, negli ultimi 10 anni, insieme alle aziende della categoria, Coca-Cola ha contribuito all’obiettivo di Assobibe (Associazione Italiana Industria Bevande Analcoliche) di ridurre del 37% lo zucchero immesso sul mercato entro la fine del 2022.

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Campania Stories 2022 da record ai Campi Flegrei. Regione verso taglio Doc del vino?

Quasi cento cantine e un numero mai così alto di giornalisti stranieri a Campania Stories 2022. L’edizione aperta ieri nel territorio della Doc Campi Flegrei, tra Pozzuoli e Bacoli, è già da record. Un faro sulle bellezze culturali, naturalistiche ed enogastronomiche di questa fetta della provincia di Napoli, prima del ritorno della kermesse itinerante in Irpinia, nel 2023.

Da questa mattina, i sommelier Ais Campania serviranno alla stampa di settore i vini bianchi delle ultime vendemmie in commercio, molti dei quali in anteprima. Domani, 7 settembre, sarà il turno dei vini rossi delle principali denominazioni campane.

Cosa aspettarsi? A chiarirlo è Roberto Di Meo, presidente di Assoenologi Campania, l’associazione degli enologi ed enotecnici italiani presieduta a livello nazionale da Riccardo Cotarella: «La 2021 è stata un’annata abbastanza particolare, che si è conclusa con una lieve riduzione della produzioni, pari a 700 mila ettolitri».

«È stata una delle ultime annate più piovose –  con le piogge raggruppate tra novembre e gennaio. Le gelate non hanno compromesso il raccolto e le uve sono arrivate a maturazione con circa 10 giorni di ritardo.

Buona acidità finale e pH piuttosto basso per i bianchi. Vini rossi con punte di colore ed estratti più elevati rispetto alla media. Mezzo grado alcolico in più di media rispetto all’annata precedente».

I CAMPI FLEGREI TRA VINO, GASTRONOMIA, STORIA E TURISMO

Intanto è Federalberghi Campi Flegrei a tratteggiare lo stato di salute della zona, nel post pandemia. «Stiamo vivendo un momento di grande rilancio – commenta il presidente Roberto Laringe – grazie al connubio sempre più forte tra ricezione ed enogastronomia».

Tra luglio e agosto sono stati 123 mila i turisti ospitati nelle nostre strutture alberghiere, su un potenziale di 134 mila. Di questi, 44 mila sono risultati stranieri. Secondo i dati della Banca d’Italia, possiamo calcolare che la spesa media complessiva sia stata di 100 euro al giorno.

Il che vuol dire 12 milioni di euro in due mesi. Ora la scommessa è trasformare vincoli e diseconomia della nostra area in un’opportunità, affinché il turista possa condividere con noi la straordinaria bellezza dei Campi Flegrei».

Gli sforzi, sul territorio, non mancano. In questo solco si inserisce l’interesse dell’amministrazione comunale di Bacoli di ripristinare l’allevamento di ostriche nel Lago Fusaro. Un’attività avviata dai tempi dei Romani nel tratto di mare chiuso tra Cuma e Torregaveta, oggi andata quasi perduta.

E se nel piatto le emozioni non mancano, nel calice la scommessa passa proprio dal binomio vino e paesaggio. «La Campania è conosciuta per la propria produzione vitivinicola, ma per certi versi ancora deve farsi conoscere», evidenzia il neo eletto presidente dell’Associazione italiana sommelier – Ais Campania, Tommaso Luongo. «Occorre – aggiunge – legare sempre più i vitigni autoctoni a territori e paesaggi, da ritrovare nel calice».

CAMPANIA VERSO LA RIDUZIONE DELLE DOC DEL VINO

Una mission che Luongo affida alla stampa nazionale e internazionale, mentre Michele Farro, presidente del Consorzio Vini Campi Flegrei, Ischia e Capri elogia il lavoro dei produttori locali: «I contadini, ovvero i viticoltori, sono i veri attori di questo territorio magico».

Vignaiolo è stato anche l’assessore regionale all’Agricoltura della Regione Campania, Nicola Caputo, che sembra avere le idee chiare sul futuro della Campania del vino. «Dobbiamo presentarci compatti sui mercati internazionali – spiega – e per questo stiamo lavorando alla razionalizzazione del numero delle Doc, forse eccessivo al momento».

Nel frattempo, una cabina di regia lavora all’istituzione di un consorzio di secondo livello che supervisioni problematiche e scelte del settore. All’interno, presidenti dei vari Consorzi e rappresentanti del mondo cooperativo.

«Dobbiamo alzare l’asticella – conclude Caputo – nell’ambizione di attrarre persone nella nostra regione non solo grazie al nostro splendido territorio, ma anche attraverso l’enogastronomia».

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news news ed eventi Vini al supermercato

“Virgola Zero” Alcohol Free Sparkling, Dr. Fischer: da Esselunga un Riesling della Mosella senza alcol

Novità tra i vini di Esselunga. Si tratta di “Virgola Zero” Alchol Free, un Riesling della Mosella senza alcol prodotto da Dr. Fischer, cantina tedesca rilevata nel 2015 da Martin Foradori dell’altoatesina Hofstätter, insieme a Nikolaus “Nik” Weis di Weingut St. Urbans-Hof (Leiwen, Germania).

«La nuova referenza – spiega Esselunga in esclusiva a Vini al Supermercato – è stata inserita in assortimento per tutti quei clienti che non possono o non gradiscono consumare prodotti alcolici, ma non vogliono rinunciare a un brindisi o a un aperitivo con un buon prodotto ottenuto da una base di vino».

«È stato scelto il prodotto della cantina Dr. Fischer poiché ritenuto migliore rispetto ai campioni testati – continua l’insegna di Milano -. Grazie a un attento metodo di dealcolizzazione, vengono preservati gli aromi e i profumi di un Riesling della Mosella».

UNA FETTA D’ITALIA NEL RIESLING DELLA MOSELLA SENZA ALCOL

La nuova etichetta “Virgola Zero” Alchol Free parla, di fatto, anche un po’ italiano. Con l’ingresso di Martin Foradori (nella foto sopra) in qualità di managing director, l’azienda ha spostato nel luglio 2020 la propria sede legale dal villaggio di Ockfen all’altro comune Grand Cru del Riesling, Kanzem, poco distante.

Nulla è cambiato nello stile produttivo, che riflette la grande passione di Foradori – tra l’altro attuale vice presidente del Consorzio Vini Alto Adige – per il vitigno principe della Mosella. La novità dell’assortimento di Esselunga è tuttavia un prodotto completamente diverso dai grandi Riesling tedeschi.

Si tratta di uno spumante che conta tra gli “ingredienti” mosto concentrato rettificato e anidride carbonica. A differenza degli spumanti convenzionali, “Virgola Zero” Alcohol Free ha una data di scadenza di circa 3 anni (01/2025 per il lotto L07563, attualmente in commercio nella rete di supermercati Esselunga).

DATA DI SCADENZA E 3 GIORNI DI “VITA” PER LO SPUMANTE SENZA ALCOL

Un’ulteriore avvertenza riguarda le tempistiche di consumo. Dopo l’apertura, lo spumante conserva le proprie caratteristiche per un massimo di 3 giorni, se conservato al fresco. La vera particolarità è però la dealcolizzazione, che consente di azzerare la presenza di alcol nel vino.

Un processo normato dall’Unione europea, che vorrebbe addirittura inserire la tipologia dei vini dealcolati tra quelli a Denominazione di origine, non senza le resistenze di numerosi stakeholder e associazioni del settore, anche italiane.

Il metodo per ottenere “vini dealcolati” è ormai consuetudine in diversi continenti, dove questa tipologia sta spopolando. All’interno di un’apparecchiatura viene ridotta la pressione atmosferica a circa 15 mbar. Grazie a questo procedimento si abbassa anche il punto di ebollizione dell’alcol, da circa 78° C a circa 25-30° C.

Sul retro dell’etichetta dello spumante, c’è un altro elemento molto discusso: le informazioni nutrizionali per 100 ml. Si va dalle 81 KJ (19 Kcal) ai grassi e grassi saturi, inferiori a 0,1 g. Sale a 4,5 g la conta dei carboidrati, di cui 4 grammi di zuccheri. Proteine e sale inferiori al grammo.

VIRGOLA ZERO ALCOHOL FREE SPARKLING ESSELUNGA: LA DEGUSTAZIONE

(3 / 5) Alla vista, “Virgola Zero” Alcohol Free si presenta di un giallo paglierino luminoso, dai riflessi dorati. Il perlage è di grana medio-fine. Il naso cambia lasciando lo spumante “respirare” per qualche minuto. Dall’iniziale nota predominante che ricorda il miele millefiori si vira su una mela matura, cotogna.

Perdurano le note vegetali (erba e accenni leggeri d’agrume, che richiamano il vitigno). Più in sottofondo, un floreale di camomilla e una pesca bianca. In definitiva, un quadro piuttosto armonico, decisamente morbido. Il palato rispetta le premesse, in perfetta corrispondenza gusto olfattiva, ma solo in ingresso.

Lo spumante “Virgola Zero” Alcohol Free di Dr. Fischer si sposta dal centro bocca al finale su sentori decisamente citrici. La chiusura di sipario, non del tutto armonica, è sulla mela e sulla pera acerba. Un vino, dunque, che non delude del tutto le aspettative, pur mancando tipicità e armonia generale: 3 cestelli della spesa, nella consueta scala di valutazione dei vini Gdo adottata da Vini al Supermercato.

DA STEINBOCK SELECTION DR FISCHER A VIRGOLA ZERO: «LA FESTA È DI TUTTI»

Martin Foradori e la sua cantina tedesca Dr. Fischer non sono nuovi alla produzione di vini senza alcol. A giungo 2021, il produttore altoatesino, patron di Hofstätter, ha lanciato sul mercato il suo primo “Alcohol Free Sparkling”, una “bollicina” dealcolata. Ventimila bottiglie, commercializzate per l’esattezza con il nome “Steinbock Selection Dr. Fischer“.

«Non voglio entrare in polemica – riferiva Foradori all’Ansa – chiamiamola pure bevanda analcolica. Gli spunti sono arrivati nel corso del tempo, dalle diverse esperienze, anche con il contributo di mio figlio Niklas, che sta completando gli studi di Enologia in Germania».

Durante il mio tirocinio in Svizzera – aggiungeva Foradori – ho imparato il concetto che è meglio agire che reagire, e cosi ho voluto fare. Le indagini di mercato e il trend dei consumi mi hanno spinto a velocizzare il processo di analisi con prove tecniche e di assaggio. Fino al punto di decidere di lanciarmi in questa avventura, a costo di essere criticato».

«I consumatori sono pronti, nel mondo anglosassone questi prodotti sono molto diffusi e fanno passi da gigante. Pensiamo poi a diversi aspetti: le persone che non bevono – chiosava Martin Foradori – sono molto più numerose di quelle che consumano alcolici».

«Il nostro Steinbock Alcohol Free – riferiva all’Ansa, sempre nel 2021 – è adatto a chi fa sport, a chi guida, a chi non beve alcool per motivi religiosi. Inoltre contiene solo 19 calorie (le stesse di “Virgola Zero”, oggi commercializzato da Esselunga allo stesso prezzo di Steinbock, ndr). Un prodotto a 360 gradi, chiunque può partecipare alla festa». Prosit.

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Barolo En Primeur, l’asta benefica fa il bis a Grinzane Cavour

Dopo l’ottimo debutto del 2021660 mila euro raccolti grazie alle donazioni di 15 benefattori – torna l’asta del Barolo En Primeur. L’appuntamento è per il 28 ottobre 2022 al Castello di Grinzane Cavour. Ancora 15 barrique, questa volta della vendemmia 2021, verranno assegnate a chi deciderà di sostenere uno dei progetti solidali già individuati, oppure un progetto scelto dallo stesso donatore.

Lo scorso anno, l’asta internazionale battuta da Christie’s in contemporanea tra Grinzane e New York, ha destinato a 17 progetti no-profit il ricavato della vendita di 300 bottiglie di Barolo della Vigna Gustava, annata 2020. A firmare l’etichetta, il celebre artista Giuseppe Penone.

Il progetto è promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, insieme alla Fondazione CRC Donare e al Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani. I donatori riceveranno le bottiglie dell’annata 2021 al termine dei 4 anni di affinamento, curato dall’enologo Donato Lanati.

LE NOVITÀ DI BAROLO EN PRIMEUR 2022

Novità Barolo en Primeur 2022 è la partecipazione all’asta dei produttori del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani. Le cantine, unite sotto il nome del Comune di produzione, metteranno in asta lotti composti dalle loro più pregiate bottiglie di Barolo e Barbaresco dalla vendemmia 2021.

Con questa operazione, unica nel suo genere – commenta Ezio Raviola, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo – realizziamo una gara di beneficenza di livello nazionale e internazionale, mettendo al centro un territorio, le sue bellezze e peculiarità, dando vita ad un evento innovativo, in grado di generare importanti ricadute sociali».

«L’evento benefico “Barolo en primeur” ha non solo una grande importanza storica e sociale, ma è anche fortemente significativo per il comparto enologico del Barolo, proiettato a livello internazionale», aggiunge Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.

«L’evento Barolo en primeur – conclude l’enologo Donato Lanati – rappresenta un’iniziativa di alto valore scientifico, educativo e umano in grado di coniugare diversi aspetti: la valorizzazione del territorio viticolo, di cui il vigneto è il vero protagonista, la ricerca con la didattica sul campo e le importanti finalità sociali portate avanti dalla Fondazione CRC».

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Prosecco australiano vietato in Nuova Zelanda, ira dell’Australia: «Chiesti chiarimenti»

Non va giù, all’Australia, la decisione del governo neozelandese di vietare la vendita di Prosecco australiano sul proprio territorio, entro i prossimi 5 anni. Grazie a un accordo con l’Unione europea per la protezione dello spumante italiano a Denominazione di origine controllata (Doc), i produttori australiani non potranno più esportare il loro “Prosecco” in Nuova Zelanda.

«Siamo delusi dalla decisione e stiamo cercando di ottenere chiarimenti sugli impatti dal governo della Nuova Zelanda», commenta senza mezzi termini a winemag.it Tony Battaglene, amministratore delegato dell’associazione governativa nazionale Australian Grape & Wine (Agw) che riunisce oltre 2.500 viticoltori e 5 mila produttori di uva da vino aussie.

Nell’accordo tra Nuova Zelanda e Unione europea pesa come un macigno il ruolo politico e di intelligence del Consorzio di Tutela dello spumante italiano più famoso del mondo.

L’Ufficio Marchi dell’Ue è arrivato a definire il Prosecco «il più famoso vino spumante in Europa, assieme allo Champagne». In Australia, tuttavia, non è riconosciuto come Indicazione Geografica, ma solo come vitigno.

IN AUSTRALIA “PROSECCO” INDICA SOLO UN’UVA

Le leggi australiane sul vino prevedono che termini come “Prosecco” possano essere legittimamente utilizzati come «indicatore varietale», anche quando un vitigno è registrato come Indicazione Geografica, o parte di essa.

Del resto, quello del Prosecco australiano in Nuova Zelanda non è un business di poco conto. Secondo i dati più aggiornati forniti da Wine Australia a winemag.it, il Paese ha esportato circa 750 mila bottiglie di “Prosecco” in Nuova Zelanda tra giugno 2021 e giugno 2022. Per un valore di circa 3,5 milioni di dollari.

Secondo una stima approssimativa riferita alla vendemmia 2022, la produzione di Prosecco australiano si assesta attorno ai 15 milioni di bottiglie. A produrlo sono anche grandi colossi come Accolade Wines, che proprio lo scorso anno ha annunciato l’ampliamento della gamma della controllata Grant Burge Wines (Barossa Valley), con l’esordio di un’etichetta di Prosecco e una di Prosecco Rosé (nella foto di copertina).

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Viticoltura biodinamica: Demeter Austria e respekt-BIODYN sempre più alleate

Movimenti e alleanze in corso in Europa sul fronte della viticoltura biodinamica. Demeter Austria e respekt-BIODYN, altra associazione che raggruppa vignaioli votati ai principi steineriani – tra cui gli italiani Foradori (Trentino) e Manincor (Alto Adige) – si sono presentate con un calendario di eventi comuni in occasione dell’ultima edizione di vino VieVinum di Vienna, tra gli eventi di punta del vino austriaco.

«L’obiettivo – spiega Niki Moser della tenuta Sepp Moser, portavoce di Demeter Austria (nella foto, a sinistra) – è una viticoltura rigenerativa e sostenibile. L’etichetta con cui questo avviene è di secondaria importanza».

Questo parere è sempre più condiviso tra i viticoltori delle associazioni biodinamiche Demeter Austria e respekt-BIODYN. Da diversi anni offriamo formazione ed eventi comuni, ci sosteniamo a vicenda e ci scambiamo idee».

Per Demeter Austria hanno aderito Rudolf Fidesser, Robert Gassner, Niki Moser/Sepp Moser, Manuel Ploder/Ploder-Rosenberg, Niki Saahs/Nikolaihof, Georg Schmelzer, Johannes Trapl, Johannes Zillinger. Per resspekt-BIODYN Clemens Busch, Kurt Feiler Feiler-Artinger, Michael Goëss-Enzenberg/Manincor, Fred Loimer, Hansjörg Rebholz, Alexander Sattler/Sattlerhof, Fritz Wieninger, Emilio Zierock/Foradori.

LA VITICOLTURA BIODINAMICA IN AUSTRIA

Le linee guida dell’agricoltura biodinamica, basate sul Corso di Agricoltura dell’antroposofo Rudolf Steiner, esistono da poco meno di cento anni. Le prime tre cantine Demeter sono state certificate nel 1999 e oggi circa 80 viticoltori lavorano secondo le loro linee guida.

Molte aziende, tuttavia, utilizzano l’agricoltura mista. I vigneti vengono coltivati come «organismi agricoli viventi, adattati individualmente ai rispettivi terroir», su una superficie totale di circa 800 ettari. Il portavoce di questo gruppo di viticoltori è Niki Moser, della tenuta Sepp Moser.

Respekt-BIODYN è conta nel 2022 ventotto membri, con trentuno aziende in Germania, Italia, Austria, Slovenia e Ungheria. È stata fondata nel 2007, con l’obiettivo di «lottare insieme per una sempre maggiore qualità e individualità del vino».

Michael Goëss-Enzenberg, della tenuta altoatesina Manincor, dirige l’associazione in qualità di presidente. Il suo vice è l’enologo della Kamptal, Fred Loimer (nella foto sopra, a destra).

Respekt-BIODYN si è affermata negli ultimi anni a livello internazionale, accanto a Demeter e Biodyvin, come una forza importante e trainante nella viticoltura biodinamica. In totale, i membri di respekt coltivano una superficie di circa 1.010 ettari.

UN VINO BIODINAMICO AUSTRIACO DA NON PERDERE

Kremstal Dac Reserve 2019 Riesling Ried Gebling 1 öwt, Sepp Moser

Siamo in Bassa Austria, nel Weinviertel, con il Riesling in purezza prodotto dalla tenuta Sepp Moser. Si tratta della cantina guidata dal portavoce di Demeter Austria, Niki Moser.

Alla vista, il vino si presenta del canonico giallo paglierino, con lievi riflessi verdolini che ne sottolineano la gioventù. Naso intenso ed elegante, dominato da ricordi d’agrumi: netto il pompelmo.

Non manca la frutta a polpa gialla (una nettarina polposa), così come richiami floreali freschi. Deciso e giustamente affilato il sorso, che scivola su note perfettamente corrispondenti al naso. Centro bocca e chiusura sferzate dalla freschezza tipica del vitigno. Un Riesling all’inizio del suo percorso di vita pluridecennale.

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Sapresti rispondere alle domande per diventare Master of Wine nel 2022?

L’Institute of Masters of Wine ha pubblicato le domande dell’esame Master of Wine 2022, compresa la lista dei vini per la parte pratica (degustazione). Dal 26 al 29 luglio 103 studenti hanno sostenuto gli esami teorici e pratici ad Adelaide, Londra e Napa.

I test costituiscono la seconda fase del programma di studio Master of Wine. Nell’arco di quattro giorni, gli studenti hanno sostenuto tre prove pratiche alla cieca da 12 vini. Cinque le prove teoriche su temi che hanno spaziato dalla viticoltura alla vinificazione, dalle procedure di pre-imbottigliamento alla lavorazione dei vini in cantina. Quesiti anche su tematiche legate al business del vino e all’attualità.

Gli aspiranti Master of Wine che hanno superato con successo gli esami teorici e pratici della seconda fase passeranno alla terza fase, quella del “Research paper“: la fase finale del programma di studio MW. Solo ottantasei dei 103 studenti che hanno sostenuto la degustazione alla cieca di 12 vini al mattino e l’esame teorico nel pomeriggio hanno superato la prima fase, il 25 luglio.

L’elenco dei vini e delle domande in inglese utilizzate per la valutazione della prima fase è stata resa nota dall’Institute of Master of Wine. Winemag.it è in grado di pubblicarle qui sotto. Sapresti rispondere alle domande per diventare Master of Wine?

STAGE ONE ASSESSMENT (S1A) 2022 PRACTICAL PAPER
Question 1

Wines 1-3 come from three different regions within the same country and are made from three different, single grape varieties.

With reference to all three wines:

  1. Identify the (15 marks)

For each wine:

  1. Identify the origin as closely as possible, with reference to the grape variety (3 x 8 marks)
  2. Comment on style, quality and commercial (3 x 12 marks)
Question 2

Wines 4-6 come from the same region. With reference to all three wines:

  1. Identify the region, specifying the origins of each wine as closely as (30 marks)
  2. Compare and contrast quality in the context of the region of origin. (24 marks) For each wine:
  3. Discuss maturity with reference to (3 x 7 marks)
Question 3

Wines 7-9 come from three different countries. Each is made from a different, single grape variety.

For each wine:

  1. Identify the grape variety and the origin as closely as (3 x 10 marks)
  2. Comment on (3 x 7 marks)
  3. Comment on style and commercial (3 x 8 marks)
Question 4

Wines 10-12 come from the same region. With reference to all three wines:

  1. Identify the (15 marks)

For each wine:

  1. Assess quality in the context of the region of (3 x 8 marks)
  2. Comment on maturity and capacity to age, with specific reference to (3 x 12 marks)
ESAME MASTER OF WINE 2022: I VINI ALLA CIECA
  1. Heytesbury Chardonnay, Vasse Felix, Margaret River, Australia. (13.0%)
  2. Sauvignon Blanc, Shaw+ Smith, Adelaide Hills, Australia. (12.5%)
  3. The Florita Riesling, Jim Barry, Clare Valley, Australia. (12.5%)
  4. Julien, Chateau Langoa Barton, 2010. Bordeaux, France. (13%)
  5. Estephe, Chateau Les Ormes de Pez, 2018. Bordeaux, France. (14.5%)
  6. Emilion Grand Cru, Chateau Moulin St Georges, 2015. Bordeaux, France. (14.5%)
  7. Quarts de Chaume Grand Cru, Demaine des Forges, Loire Valley, France. (11.0%).
  8. Noble One, De Bertoli, New South Wales, Australia. (12.7%)
  9. Vin de Constance, Klein Constantia, Constantia, South Africa. (14%)
  10. Vintage Port, Taylor’s, Douro Valley, Portugal. (20.5%)
  11. Quinta de Vargellas Vintage Port, Taylor’s, Douro Valley, Portugal. (20%)
  12. LBV Port, Taylor’s, Douro Valley, Portugal. (20%)
THEORY PAPER – MASTER OF WINE 2022

TWO questions to be answered, ONE from Section A and ONE from Section B.

Section A Question 1

Can small independent wine retailers compete with large chains on price? How else can they compete effectively? (Paper 4)

Section B Question 2

Discuss the current role and potential future use of hybrids in viticulture (Paper 1).

Question 3

Outline the key considerations in deciding which pre-bottling treatments to use for each of the following:

  1. a vegan wine;
  2. an orange wine;
  3. an organic wine; and
  4. a mass-market, inexpensive wine. (Paper 3)
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degustati da noi news news ed eventi vini#02

I migliori Kerner dell’Alto Adige: crescono ettari e popolarità

Cresce al ritmo di 2 ettari all’anno la superficie vitata del Kerner, in Alto Adige. Nell’ultimo quinquennio, il vitigno nato in Germania dall’incrocio fra Trollinger (Schiava Grossa) e Riesling renano, ormai di casa nel Südtirol, è riuscito a conquistare sempre più spazio nelle scelte dei produttori altoatesini, spinte dall’apprezzamento crescente del mercato italiano ed estero.

A premiare il Kerner è l’essenza di vitigno di montagna, capace di incarnare lo spirito “alpino” dei vini dell’Alto Adige. I 114,76 ettari di vigneti censiti nel 2021 (erano 104,42 nel 2018) sono infatti dislocati tra i 500 e i 900 metri sul livello del mare.

«Il Kerner – commenta Andreas Kofler, presidente del Consorzio vini Alto Adige – sta diventando una varietà dell’Alto Adige sempre più nota. Riflette il nostro territorio e, in particolare, le zone di maggiore altitudine della viticoltura altoatesina. Mi riferisco in particolare alla Valle Isarco, così come ai vigneti che superano i 700 metri, in altre zone vinicole dell’Alto Adige».

È una varietà che cattura sempre più l’attenzione dei winelovers e che quindi viene piantata dai nostri viticoltori, anche per il vantaggio di poter piantare il Kerner nelle zone più alte.

I risultati sono sempre ottimali: vini dai grandi profumi, dalla bella acidità e freschezza. Nettari dal profilo non troppo complicato, che anche per questo piacciono tanto ai consumatori».

La produzione complessiva si assesta oggi sulle 200 mila bottiglie. Di queste, il 73% resta sul suolo nazionale (di cui il 33% in Alto Adige), mentre il 26% è destinato all’export. Tra i mercati principali gli Stati Uniti (20%), seguiti da Germania, Belgio e Svizzera.

Produzione effettiva 2021
Denominazione Superficie
rivendicata
ettari
uva q.li vino hl
Alto Adige Kerner 23,96 1.813 1.258
Alto Adige Kerner riserva 1,72 151 105
Alto Adige Kerner 25,68 1.964 1.363
Südtirol Eisacktaler (Valle Isarco) Kerner 66,55 5.840 4.071
Alto Adige Valle Isarco Kerner passito 1,08 86 33
Alto Adige Valle Isarco Kerner riserva 8,98 506 354
Alto Adige Valle Isarco Kerner 76,61 6.432 4.457
Alto Adige Valle Venosta Kerner 1,02 80 54
Mitterberg Kerner 0,63 109 79
Vigneti delle Dolomiti Kerner 2,66 283 243
TOTALE 271,06 18.090 13.465
I MIGLIORI KERNER DELL’ALTO ADIGE

I Kerner dell’Alto Adige si confermano a ottimi livelli qualitativi anche in occasione del tasting di winemag.it, che ha interessato 26 etichette. Grande prevalenza di produttori della Valle Isarco, terra d’elezione del vitigno e vera nuova frontiera dei vini dell’Alto Adige.

La stilistica dei Kerner altoatesini è piuttosto omogenea. Si tratta di vini bianchi molto profumati, dalla spiccata freschezza e mineralità. Fiori bianchi e frutto esotico accompagnano dal naso al finale, rendendo il Kerner un ottimo vino in alternativa al Riesling o al Gewürztraminer.

Il residuo zuccherino presente nella stragrande maggioranza dei vini varia da poco meno di 2 g/l sino ai più canonici 4 g/l. Pochi i Kerner del tutto secchi, così come quelli con residui superiori ai 6-7 grammi litro.

Una caratteristica, quella del residuo zuccherino, che aiuta a controbilanciare le importanti acidità, superiori in media ai 6 punti (in alcuni casi anche i 7). Di seguito le note di degustazioni dei 26 Kerner oggetto della degustazione di winemag.it.

VINO VENDEMMIA CANTINA ALCOL PREZZO MEDIO ALTITUDINE VIGNETO
1 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2021 Tenuta Bessererhof – Otmar Mair 14,50% 14,50 euro 810 / 900
Giallo paglierino. Naso elegante, su note floreali fresche e minerali. È proprio la vena minerale il driver del sorso, ben sostenuta dalla frutta a polpa gialla, perfettamente matura. Vino che, anche al palato, si conferma elegante e di prospettiva.
2 Südtirol Alto Adige Doc Kerner “Puntsheit” 2021 Cantina Bolzano 14% 14 euro 600 / 800
Giallo paglierino. Al naso le note tipiche del vitigno: frutto giallo, esotico, polposo, vena fresco-minerale e ricordi vegetali, tra la buccia d’agrume e la mentuccia. Ottima corrispondenza gusto olfattiva, per un vino che premia beva e agilità. Chiusura sapida e fresca, che invita al sorso successivo.
3 Vigneti delle Dolomiti Igt “Lahn” 2021 Castelfeder 13,50% 14,50 euro 850
Giallo paglierino intenso, al pari del naso. Naso e palato tra i più aromatici della batteria: gran pienezza delle note fruttate, esotiche (netto il melone), ben rieqilibrate dalla freschezza e dalla vella vena minerale. Vino semplice, che premia la beva, senza rinunciare all’abbinabilità a tavola.
4 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2021 Cantina Valle Isarco 14% 12,50 euro 650 / 970
Giallo paglierino. Al naso il tipico profilo diviso tra frutta e mineralità. Vino che presenta un profilo giovane e di prospettiva: la freschezza domina sul frutto, così come l’alcol, al sorso.
5 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner “Aristos” 2020 Cantina Valle Isarco 14% 17,20 euro 800/ 970
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Elegante al naso, nello stiracchiarsi di un frutto polposo e aromatico, sulla mineralità. Sorso corrispondente, su una gran espressività della componente fruttata. Componente minerale a fare da contraltare, unita a una spalla acidità che conferisce slancio e prospettiva al sorso.
6 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner “Sabiona” 2019 Cantina Valle Isarco 14.5% 31 euro 630 / 680
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso è complesso, stratificato. Apre su generosi richiami fruttati, avvolti dalle note date dall’affinamento in legno. Si avvertono distintamente mela e pesca, polpose, su un sottofondo di marzapane e crema pasticcera. Non mancano netti richiami minerali, che si ripresentano ancora più evidenti in un palato di perfetta corrispondenza. Allungo sapido, fresco. Ultima parola al bell’abbraccio tra frutta matura e terziari. Un’interpretazione unica del Kerner, che dimostra così di essere una varietà versatile, capace di dare (anche) vini di struttura, adatti ad abbinamenti importanti a tavola.
7 Südtiroler Alto Adige Doc Kerner 2021 Tenuta Mayr-Unterganzner 14.5% 13,50 euro
Giallo paglierino, leggermente velato. Naso intenso, sul frutto esotico, così come su mentuccia e note minerali. Palato teso, freschissimo, frutta, mineralità e ritorni di mentuccia. Gran beva, nonostante i 14,5% che potrebbero spaventare, in realtà perfettamente integrati.
8 Südtiroler Alto Adige Doc Kerner “Karneid” 2021 Franz Gojer – Glögglhof des Florian Gojer 14% 13 euro 600 / 730
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso fiori, frutta, profilo minerale. Netto il sambuco, accanto alla nettarina. Gran carattere al palato: freschezza e frutto ben amalgamati, a giocarsi il ruolo di protagonisti sulla spina dorsale sapida. Vino con ottime prospettive di migliorare ulteriormente nel tempo.
9 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner “Gall” 2021 Tenuta Griesserhof 14% 17 euro
Tappo a vite. Giallo paglierino, vaghi riflessi verdolini. Naso che si divide equamente tra ricordi erbacei e fruttati, composti, stuzzicati da note agrumate. Ottima corrispondenza in un palato di gran tensione, tendenzialmente asciutto per la componente minerale, ben bilanciata dall’alcol. Un Kerner tipico, golosissimo e gastronomico.
10 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner “Carned” 2021 Kellerei – Cantina Kaltern 14% 14,40 euro 700
Giallo paglierino leggermente velato, vaghi riflessi verdolini. Naso e bocca in perfetta corrispondenza, golosi: all’olfatto invita, al palato si conferma. Domina il frutto, maturo, esotico, senza rinunciare al tipico slancio fresco e minerale. Chiusura mentolata, quasi balsamica. Vino giovane, di prospettiva.
11 Südtirol Alto Adige Val Venosta Doc Kerner (Vinschgau) 2021 Kellerei Meran – Cantina Merano 14% 15,50 euro 600
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso una buona stratificazione, tra note di frutta matura, sambuco e mentuccia e venature minerali. Il palato si articola su note corrispondenti. Ingresso di bocca tendenzialmente morbido, sul frutto esotico maturo; progressione su freschezza e mineralità, prima di un finale balsamico, ricco, si potrebbe dire potente. Vino giovane, di ottima prospettiva. Ottimo rapporto qualità prezzo.
12 Südtirol Alto Adige Doc Kerner “Graf” 2021 Kellerei Merano – Cantina Merano 14% 14 euro 500 / 650
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso frutta e note verdi, tra la buccia d’arancia e l’erba appena sfalciata, ad accompagnare ricordi di pesca gialla. Teso, fresco e minerale dall’ingresso alla chiusura, al palato. Vino semplice, che fa dell’agilità di beva il suo punto di forza.
13 Vigneti delle Dolomiti Igt Kerner “Auròna” 2015 Landesweingut Laimburg – Cantina Laimburg 14.5% 22,60 euro 500
Fermentazione sulle vinacce per 10 giorni, invecchiamento per 12 mesi in tonneau. Si tratta di uno dei due “orange” in degustazione, nonché del vino con più anni sulle spalle. Alla vista, “Auròna” si presenta di un giallo dorato carico. Al naso importante apporto del legno, con ricordi netti di caramella mou e tostatatura d’orzo. Il frutto è giallo, molto maturo. Nuances erbacee, mentolate, stuzzicano l’olfatto conferendogli maggior nerbo. Perfetta corrispondenza gusto olfattiva. Vino che regala un sorso morbido, sinuoso, con riequilibranti venature fresco-saline che ne elevano il tasso di gastronomicità. Un nettare che mostra il volto più “corpulento” del Kerner.
14 Südtirol Alto Adige Doc Kerner “Fels” 2021 Nals Margreid 14% 12,50 euro 500 / 750
Giallo paglierino. Naso intrigante, “spesso”, sulle note fruttate polpose. Abbina come pochi, nel panel, una vena fresco-acida e una mineralità riequilibrante. Non eccelle in stratificazione e complessità al palato, ma la beva è straordinariamente lineare ed equilibrata. Chiuse asciutto, su accenti mentolati già avvertiti al naso. Ottima interpretazione del vitigno.
15 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2021 Weingut – Tenuta Strasserhof 13.5% 14,20 euro 750
Giallo paglierino. Un Kerner giocato, sia al naso sia al palato, sulla piacevolezza e immediatezza delle note fruttate, arricchite da una vibrante mineralità. Un nettare che esalta le componenti tipiche del vitigno, premiando piacevolezza e leggerezza del sorso.
16 Südtiroler Alto Adige Doc Kerner “Luxs” 2021 Weingut Niklas 13.5% 11,70 euro 460 / 510
Giallo paglierino, velato, riflessi verdolini. Naso tra i più profondi e stratificati del panel, che di si conferma anche al palato. Note di agrumi, ma anche di melone bianco, pesca gialla, oltre a mentuccia e venature iodiche. Allungo sapido a fare da spina dorsale al sorso, senza rinunciare alla polpa. Bell’allungo sapido, fresco, che invita al sorso successivo. Rapporto qualità prezzo invidiabilissimo, considerate le prospettive del nettare.
17 Südtiroler Alto Adige Doc Kerner Riserva “Mondevinum Libellula” 2018 Weingut Niklas 14.5% 18,50 euro 460 / 550
Vino che si presenta nel calice di un bel giallo intenso, dai riflessi dorati. Al naso una gran concentrazione del frutto, principalmente a polpa gialla. Richiami speziati riportano la mente al ginger, così come al pepe bianco. Importante la componente verde di buccia di agrume, che gioca con la ricchezza del frutto esotico. Chiusura asciutta, che invoglia il sorso successivo. Un’interpretazione unica del Kerner.
18 Mitterberg Igt Kerner “Without” 2019 Weingut Niklas 15% 29 euro 590
Macerazione sulle bucce per questo orange senza solfiti di cui sono state prodotte solo 533 bottiglie nel 2019. Fermentazione spontanea e nessun filtraggio prima dell’imbottigliamento per le uve colte ben mature. Altro Kerner di gran concentrazione per quanto riguarda la componente fruttata, che si arricchisce delle nuances tipiche dei vini che maturano a contatto con l’ossigeno, sulle bucce. Netta la buccia d’arancia e di zenzero candito, su tutte. Un quadro omogeneo e intrigante che si riflette anche al palato, dove le generose note fruttate e l’importante vena glicerica vengono riequlibrate da una componente tannica misurata. Un’altra interpretazione unica del vitigno.
19 Südtirol Alto Adige Doc Kerner 2021 Weingut Tauber 13.5% 15,80 euro 670 / 780
Giallo paglierino. Sia al naso che al palato, uno dei Kerner più giocati sulle note agrumate mature, oltre al consueto frutto esotico a polpa gialla di perfetta maturità, alla sapidità e alle venature balsamiche, mentolate. Beva agile, piuttosto semplice. Chiusura sapida, fresca.
20 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner “Praepositus” 2020 Abbazia di Novacella 14% 16,80 euro
Giallo paglierino. Naso suadente, cremoso eppure teso, su note d’agrume e mentuccia, su sottofondo minerale. Perfetta corrispondenza al palato: ingresso fresco ma disteso, su una perfetta maturità della frutta a polpa gialla. Chiude asciutto, agrumato, sapido. Beva agile e buon gradiente di gastronomicità.
21 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Dop Kerner 2021 Ebner 14.5%
Giallo paglierino. Al naso è elegante, con note floreali e fruttate esotiche, accompagnate da ricordi minerali. Sorso tendenzialmente morbido in ingresso, sul frutto e sulla spinta glicerica. Centro bocca e chiusura fresche e tese, prima di una chiusura su generosi ritorni di frutta a polpa gialla. Buon allungo fresco-sapido, gentile.
22 Südtirol Alto Adige Doc Kerner 2021 Kellerei Cantina Kurtatsch 13.5% 12,90 euro 800
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Naso delicato, floreale, con note di frutta esotica a polpa gialla. Vino semplice, tutto giocato sul fruttato. Chiusura minerale, fresca, equilibrata.
23 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2021 Taschlerhof – Peter Wachtler 14% 15,70 euro
Giallo paglierino. Al naso è piuttosto intenso, sul frutto. Sorso cremoso, su ritorni di frutta a polpa gialla e bianca. Chiusura fresca, su venature sapide. Vino gastronomico.
24 Südtiroler Alto Adige Doc Kerner 2021 Unterhofer Thomas 14% 12,80 euro
Giallo paglierino luminoso. Al naso particolarmente intrigante: frutto, freschezza mentolata, profilo minerale. Si conferma tale al palato, con le durezze ben accompagnate dalla generosità polposa del frutto e dalla freschezza. Chiusura asciutta, su cui lavorare per aumentare la piacevolezza della beva.
25 Vigneti delle Dolomiti Igt Kerner 2021 Fronthof 14%
Giallo paglierino. Naso suadente, su un’espressione del frutto cremosa, quasi burrosa. Non mancando i ricordi “green”, d’erbe di montagna e buccia d’agrume. Al palato una perfetta corrispondenza. Ottima beva, agile ma tutt’altro che banale. Chiusura asciutta, tendente a un amaricante che invita il sorso successivo.
26 Südtirol Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2021 Köfererhof 13.5% 15 euro 650
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso note agrumate, floreali e minerali, oltre al frutto esotico. Sorso che abbina una buona morbidezza alla consueta tensione assicurata dal Kerner. Chiude asciutto, teso, agrumato e polposo. Vino da godersi al calice o in abbinamento, anche a tutto pasto.

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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Nuova Zelanda, addio al Prosecco australiano entro 5 anni

Grazie a un accordo bilaterale negoziato dall’Unione europea, il Prosecco sarà ufficialmente riconosciuto in Nuova Zelanda come marchio e indicazione geografica protetta. L’ufficio marchi europeo ha infatti sottolineato l’«indiscussa reputazione della Doc Prosecco nel percepito del consumatore, ampiamente documentata da parte del Consorzio».

Abbastanza, continua l’ufficio dell’Ue, per «confermare che il Prosecco è diventato il più famoso vino spumante in Europa assieme con lo Champagne». «Alcuni mesi fa – commenta il presidente del Consorzio Doc Prosecco, Stefano Zanette – festeggiavamo la registrazione del marchio “Prosecco” in Cina. Oggi brindiamo al riconoscimento della IG Prosecco nell’ambito dell’accordo».

La protezione da parte della Nuova Zelanda – spiega Alessandra Zuccato, responsabile dell’attività di tutela del Consorzio – è particolarmente significativa.

Un Paese tanto distante da noi riconosce che siamo una denominazione di origine, inibendo, trascorsi cinque anni dall’entrata in vigore dell’accordo, la commercializzazione del “prosecco australiano” che vede proprio nella Nuova Zelanda la prima destinazione del suo export».

In Australia è piena estate: tempo di lanciare una nuova linea di Prosecco. No?

DOC PROSECCO, PIÙ CONTROLLI ANCHE ONLINE

Il Consorzio della Doc Prosecco ha inoltre «potenziato ulteriormente i controlli sul commercio online, vista la crescita esponenziale delle frodi in questo segmento di mercato».

I numeri, in tale contesto, sono da record: dal 2020 ad oggi sono più di 10 mila i controlli svolti e oltre 2.500 le inserzioni di vendita fatte cessare in quanto ritenute in contrasto con la normativa sull’uso corretto della Doc Prosecco.

«Il Consorzio – sottolinea il presidente Stefano Zanette – intende consolidare ulteriormente le azioni di tutela della denominazione, consapevole dell’assoluta centralità di questa attività nel panorama dei compiti affidati ai Consorzi che, per l’appunto, si qualificano come “di tutela».

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Sassicaia (e altri miti) al calice, la formula vincente di Enoteca Tognoni: «Tre bottiglie al giorno»

Il mercato dei fine wines di fama internazionale non conosce crisi e la vendita al calice è uno strumento che ne incoraggia le vendite. Lo testimonia a winemag.it Francesco Tognoni, titolare di Enoteca Tognoni, vero e proprio luogo cult nel centro di Bolgheri. «Sono ormai trent’anni che vendiamo al calice i grandi vini della zona – spiga l’imprenditore toscano -. In questo periodo, vendiamo tre bottiglie al giorno di vini come Sassicaia, che conserviamo in speciali dispenser».

Ho capito tanti anni fa che Bolgheri è un territorio dal potenziale enorme – continua Francesco Tognoni – e che stappando vini, si sarebbero venduti facilmente. Oggi questa zona è famosissima e, come me, altri colleghi hanno scelto di vendere grandi vini al calice. Riusciamo quindi a stappare volumi importanti, di etichette molto conosciute e rinomate».

ENOTECA TOGNONI: VINI DI BOLGHERI AL CALICE E OTTIMA CUCINA

A distinguere la proposta di Enoteca Tognoni è un’intera pagina di vini icona di Bolgheri, proposti appunto al “bicchiere”. I clienti possono scegliere tra 5 o 10 centilitri. Abbastanza per poter assaporare etichette per molti inarrivabili, in abbinamento all’ottima cucina proposta dalla stessa enoteca, in Strada Lauretta, 5.

«Trent’anni fa – racconta Tognoni – c’erano molte meno b0ttigilie di oggi, ma stappavo già Tignanello, Sassicaia, Ornellaia, Paleo. Avevo capito che lo straniero a cui veniva concessa la possibilità di assaggiare vini importanti, poi ne comprava almeno una cassa. Un’utopia per gli italiani, a quei tempi, comprare una cassa di Sassicaia. Oggi, invece, questo succede regolarmente».

Gli stranieri mangiano magari un piatto in meno, ma scelgono una bottiglia importante, al tavolo. Prima di andare via ne comprano spesso una cassa, o due. Quelli che ci danno più soddisfazioni sono gli avventori del Nord Europa e gli americani. Tantissimi vengono in zona per il mare, per l’arte e per la cultura. Molti anche solo per il vino».

SASSICAIA AL CALICE DA TRENT’ANNI A ENOTECA TOGNONI

Francesco Tognoni entra poi nel dettaglio delle rotazioni dei fine wines al calice, da Enoteca Tognoni: «In un periodo come questo, quindi tra luglio e agosto, si stappa la media di tre bottiglie di Sassicaia al giorno. Ornellaia segue a ruota, con due bottiglie al giorno. Sassicaia resta ancora l’etichetta che la gente vuole bere di più».

Da una bottiglia si ricavano 7 calici “interi”, da 10 cl, e 14 “mezzi” da 5 cl, apprezzati in egual misura dalla clientela. «Qualcuno sceglie quattro calici piccoli – spiega Tognoni – per provare diversi vini. Altri propendono per due calici grandi dello stesso vino, che già conoscono».

IL FUTURO DI BOLGHERI

Secondo l’imprenditore toscano, forte di un 2021 da record assoluto di incassi, il futuro continuerà a regalare soddisfazioni. «Penso che fino a metà ottobre lavoreremo molto, forti della reputazione che si è conquistata questa zona della Toscana, negli anni. Bolgheri – continua – è ormai la zona più importante d’Italia per i vini da taglio bordolese. Tutto il mondo li vuole. Purtroppo i prezzi aumentano ogni anno, per logiche di domanda e di offerta».

«Di conseguenza – conclude il titolare di Enoteca Tognoni – anche noi enotecari e ristoratori dobbiamo adeguarci ai rincari delle cantine. Malgrado ciò, tutti gli anni finiamo il vino assegnato. A settembre 2022 avrò ormai finito Sassicaia 2019, nonostante le quantità assegnateci siano cospicue, grazie al rapporto ormai trentennale con la famiglia di Tenuta San Guido». Insomma, in alto i calici. Finché ce n’è.

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Sequestrate a Cerignola 955 bottiglie contraffatte di Moët & Chandon e Rum Don Papa (VIDEO)

Non c’è pace per Moët & Chandon. Tra le 955 bottiglie contraffatte scoperte dalla Guardia di Finanza di Foggia a Cerignola figurano anche quelle della nota maison di Champagne. Ben conosciuto anche il brand di Rum Don Papa, a sua volta finito nella rete dei finanzieri. Il sequestro compiuto all’inizio della settimana a Cerignola è avvenuto a un anno e mezzo dall’ultima scoperta di Moët & Chandon contraffatto in Italia. Nel dicembre 2020, infatti, i finanzieri di Napoli hanno rinvenuto 1400 litri di Cuvée Imperial “tarocca” a San Giuseppe Vesuviano.

Il Tribunale di Foggia, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due soggetti, operanti nel settore della rivendita all’ingrosso e al dettaglio di bevande alcoliche.

FALSO MOËT & CHANDON E DON PAPA A CERIGNOLA

I due imprenditori sono indagati per ricettazione, sottrazione all’accertamento ed al pagamento dell’accisa sulle bevande alcoliche, uso di contrassegni di Stato contraffatti, commercio di sostanze alimentari contraffatte ed adulterate ed autoriciclaggio, con contestazione per entrambi della qualità di delinquenti abituali e professionali.

Per un anno gli indagati non potranno esercitare qualsiasi attività imprenditoriale avente per oggetto il commercio di prodotti alimentari. Il tutto in seguito al sequestro preventivo di 955 bottiglie, tra cui quelle dei noti brand Moët & Chandon e Rum Don Papa, avvenuto della sede operativa della ditta di Cerignola.

Nella rete dei finanzieri anche altri prodotti alcolici miscelati con additivi chimici altamente dannosi per la salute umana, imbottigliati con marchi contraffatti di note case produttrici del settore e sigillati con contrassegni di Stato falsi. Tra la merce contraffatta anche alcuni preparati alcolici per cocktail e bevande alcoliche di largo consumo, in totale evasione di imposta (accisa).

Falso Champagne Moet & Chandon Imperial a Napoli (VIDEO)

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Sandro Camilli nuovo presidente Ais – Associazione italiana sommelier

Sandro Camilli è il nuovo presidente Ais – Associazione italiana sommelier. Il vicepresidente designato dopo l’esito delle elezioni del nuovo Cda, svoltesi il 26 e 27 giugno, è Marco Aldegheri. Camilli (classe 1957) proviene da Ais Umbria, mentre Aldegheri (classe 1966) da Ais Veneto. Il nuovo Cda di Ais è dunque al completo e rimarrà in carica fino al 2026.

AIS, CHI SONO CAMILLI E ALDEGHERI

Ecco come si presentavano ai soci Ais – Associazione italiana sommelier, il nuovo presidente nazionale Sandro Camilli e il vicepresidente Marco Aldegheri.

Scaffali ricolmi di riviste e libri del settore raccontano una storia nata sotto il segno dell’amore per la cucina e per il vino. Ha trasformato la sua passione in professione dopo anni di duro lavoro sul campo di un ristorante, dove ha iniziato ad affinare i suoi sensi.

Dall’esperienza all’essenza, la sua vita cambia venti anni fa grazie all’incontro con Ais, stella fissa di una costellazione di studi, master e corsi di marketing sul vino che gli hanno letteralmente indicato la rotta da seguire. Conseguito l’attestato da sommelier, ha contribuito, in maniera sempre crescente, allo sviluppo di Ais Umbria fino a diventarne Presidente, carica che riveste da dodici anni.

Dai numerosi viaggi intrapresi alla scoperta delle eccellenze, fra prodotti tipici regionali ed europei, sono nate le sue passioni a venire, una su tutte quella per lo Champagne. Del percorso ascendente, iniziato forse tardivamente ma che non si è più interrotto, ancora oggi la sua più grande maestra resta l’umiltà, non solo nel trasmettere una passione ma anche e soprattutto nel diffondere e arricchire la cultura enogastronomica.
SANDRO CAMILLI – presidente Ais

 

Sono nato a Verona nel ‘66 dove tuttora vivo. Qui lavoro dal 1987 come funzionario tecnico presso la locale Università. Sono Sommelier dal 1994, Relatore dal 2002, titolo grazie al quale conduco regolarmente lezioni nei 3 livelli AIS e per altri enti di formazione professionale, oltre ad interventi di degustazione e di divulgazione.

Dopo i primi passi dal 2003 al 2011 con l’attività redazionale della Delegazione di AIS Verona e i primi chilometri nella ristorazione, arriva l’impegno come Delegato AIS per Verona dal 2012 al 2014. Tra le esperienze più significative annovero la presenza in Consiglio Nazionale e in Giunta Esecutiva Nazionale dal 2006 al 2010, la Vice Presidenza di AIS Veneto dal 2013 al 2014 e il lungo cammino fino ad oggi con due mandati da Presidente regionale.

Quest’ultima sicuramente l’esperienza più impegnativa e coinvolgente, anche dal punto di vista umano. Vivo dal 1991 con Chiara, nostro figlio Mattia, e Darko, l’ultimo cane che accompagna la vita della nostra famiglia in campagna. Dicono che non sorrido mai, ma è solo un effetto metallico. Sotto la scorza di ogni rocker si cela infatti sempre tanta passione, basta solo una miccia per accenderla: un buon giro di basso o un buon giro di osterie.

Sono sempre stato attratto dal mondo della comunicazione, che sta agli antipodi della mia formazione scientifica. Ed è proprio su questo campo che ho potuto lavorare di più e aprire nuove strade in Associazione. Odio la rassegnazione del fare le cose sempre nello stesso modo: cercare nuove soluzioni, ribaltare la prospettiva, avere visione, sono buoni motivi per i quali vale sempre la pena abbandonare le certezze e rimettersi in gioco.

Forse proprio per questo non ho mai sopportato l’autoreferenzialità. Lo zodiaco mi colloca tra i pesci, ma più che nuotare, galleggio. Ben inteso, se devo tuffarmi mi butto senza paura, ma ho imparato a misurare le forze per tornare a riva e non finire a fondo.
MARCO ALDEGHERI – vicepresidente Ais

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Vite in Riviera, i grandi vini del Ponente Ligure vogliono crescere: «Scorte finite a settembre»

La Liguria del vino non riesce più ad accontentare tutte le richieste dei buyer: cantine vuote già a settembre e uffici commerciali costretti a ricorrere alle assegnazioni per soddisfare più acquirenti possibili, anche all’estero, razionando ordine e consegne. La crescita dell’autoctono Pigato, accanto al Vermentino, al Rossese, all’Ormeasco (Dolcetto) e alla Granaccia (la stessa uva del Cannonau della Sardegna), guida l’exploit della regione, sugli scaffali di mezzo mondo. Ma i sorrisi sono a mezza bocca nel Ponente Ligure, dove le 25 cantine della rete di imprese Vite in Riviera sono costrette a fare i conti con limitazioni congenite del giro d’affari.

Il quadro a luci ed ombre è dipinto da Massimo Enrico, presidente del mini “Consorzio” viti-olivicolo che si occupa, dal 2015, di tutelare e promuovere vino, olio e prodotti tipici del territorio delimitato ad est da Quiliano e Roccavignale e ad ovest da Dolceacqua e Camporosso, attraversando il triangolo Pornassio Pieve di Teco Ranzo, a cavallo tra le province di Imperia e Savona.

Si passa dai bianchi e rossi Riviera Ligure di Ponente Doc (Pigato, Vermentino, Moscato, Rossese, Granaccia) al Rossese di Dolceacqua Doc; dall’Ormeasco di Pornassio Doc ai vini Igt Colline Savonesi e Terrazze dell’Imperiese.

Senza dimenticare l’olio extravergine Dop da cultivar Taggiasca e Pignola, altri veri patrimoni di una terra ruvida ma generosa, patria del basilico, del pesto e di specialità imperdibili come il Caviale del Centa e l’aglio di Vessalico della Valle Arroscia, nell’entroterra di Albenga.

Una Rete di aziende d’eccellenza, che punta ora ad avere sempre più voce in capitolo ai tavoli decisionali. Non fanno eccezione quelli della politica regionale. Lo dimostra la prossima riunione convocata dall’assessorato all’Agricoltura di Via Fieschi 15, in cui Massimo Enrico porterà la testimonianza in chiaroscuro di tutte le aziende di Vite in Riviera.

VITE IN RIVIERA AL TAVOLO CON REGIONE LIGURIA

«In Liguria – anticipa il rappresentante di Viticoltori Ingauni – bisognerebbe innanzitutto riprendere in mano il catasto vinicolo e stabilire quanta discrepanza ci sia tra la produzione annuale a denominazione e gli ettari di vigneti rivendicati. Purtroppo, i terreni in stato di abbandono sono d’ostacolo all’autorizzazione di nuovi impianti, che per molti viticoltori sarebbero vitali. Andrebbero poi rivisti, su scala nazionale, i criteri di assegnazione dei diritti di reimpianto».

Una situazione complicata anche dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla viticoltura. La Liguria, già penultima regione per quantità di vino prodotto in Italia – pesa più della sola, piccola Valle d’Aosta – ha visto ridursi del 10% gli ettolitri trasformati nel 2021 rispetto al 2020 (fonte Assoenologi su dati Agea), passando da 40 a 36 mila. Vale a dire circa 4,8 milioni di bottiglie.

La vendemmia 2022, condizionata dalla cappa di calore e siccità che sta attanagliando il Bel paese, non sarà più generosa. Al contrario, il vino ligure piace sempre di più anche all’estero, come dimostra il +26,7% dell’export vinicolo regionale del 2021, rispetto al 2020.

I problemi di mercato maggiori – evidenzia Massimo Enrico – riguardano i nostri vini bianchi. A settembre, a distanza di pochi mesi dall’immissione in commercio, sono ormai quasi sempre finiti.

Una scarsa disponibilità che rischia di scoraggiare i buyer, che non amano dover rivedere i loro assortimenti o rinunciare a prodotti in gamma, sentendosi dire dai loro fornitori che il prodotto è finito».

TANTE ECCELLENZE TRA I VINI DEL PONENTE LIGURE

D’altro canto, le quantità risicate di cui possono disporre le cantine di Vite in Riviera sono inversamente proporzionali alla qualità di gran parte delle etichette di vino prodotte. A confermarlo sono gli assaggi alla sede di Ortovero dell’Enoteca regionale della Liguria, luogo da non perdere per tutti gli appassionati di vino e professionisti che intendano approfondire, calice alla mano, il Ponente Ligure (nonché sede operativa del “mini Consorzio”).

Fra le aziende, brillano per la gamma due piccole realtà come Tenuta Maffone (Acquetico di Pieve di Teco, IM) e La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri (Salea, SV) entrambe seguite da Marco Biglino. L’enologo piemontese, oggi 85enne, è capace di valorizzare come pochi il Pigato e le altre uve della zona.

Ci riesce con i vini di Eliana Maffone e del marito Bruno Pollero, così come con quelli degli eredi di Umberto Calleri, dove può contare sull’ausilio del giovane Filippo Bertolotto, ormai al timone di quella che è una vera e propria boutique winery.

Molto convincenti anche i vini di Bio Vio di Bastia d’Albenga (SV), vero e proprio regno del biologico (prima azienda agricola ligure certificata) fondato da Aimone Giobatta nel 1989, insieme alla moglie Chiara. La coppia oggi può contare sulle tre figlie Caterina, Camilla e Carolina (la famiglia nella foto sopra), che si dividono i compiti tra la parte enologica, della ristorazione e dell’ospitalità.

Tra i vini delle cantine di Vite in Riviera spiccano anche quelli dell’Azienda Agricola Bruna di Ranzo (IM), con i suoi vigneti di Pigato e Vermentino di alta collina, nella selvaggia Valle Arroscia che ricomincia a popolarsi di lupi.

NON SOLO VINO: IL CASO PEQ AGRI

Di ampio respiro il progetto di PEQ, holding attiva in Irlanda, Regno Unito e nel Ponente Ligure fondata da Giorgio Guastalla che attraverso PEQ Agri, società savonese amministrata da Marco Luzzati, ha rivoluzionato l’assetto di alcuni brand storici della Liguria del vino.

Le acquisizioni di Lupi (Pieve di Teco, IM) e Guglierame (Pornassio, IM) in seguito a quella della “casa madre” Cascina Praiè (Andora, SV), consentono oggi a Vite in Riviera di poter contare su una delle più giovani e dinamiche realtà del panorama vitivinicolo italiano. A completare la “carta vini” di Peq Agri è il ristorante Vignamare, guidato dallo chef Giorgio Servetto (una stella Michelin al Nove di Alassio).

Un tempio della cucina gourmet che si trova proprio sotto alla spettacolare Terrazza Praié, meta informale in cui poter degustare un calice di vino accompagnato a piatti realizzati con le materie prime degli orti aziendali. Entro la fine del mese è prevista l’inaugurazione dell’ultimo (per ora) tassello: l’Agriturismo Resort di Tovo, a Tovo San Giacomo (SV).

VITE IN RIVIERA, I VINI DA NON PERDERE

SPUMANTI E FRIZZANTI – VITE IN RIVIERA

  • Vino spumante di qualità Metodo classico Dosaggio Zero millesimato 2018 “U Bertu” (Pigato, sbocc. 2021), La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Vino spumante di qualità Metodo classico Non dosato 2015 (Ormeasco, sbocc. 2022), Tenuta Maffone
  • Igt Colline Savonesi Lumassina Frizzante “Zefiro”, Cascina Praié (Peq Agri)

VINI BIANCHI – VITE IN RIVIERA
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc 2021 Vermentino “Pinea”, La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc 2021 Pigato “U Pendin”, La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc 2020 Pigato “Roccamadre”, La Vecchia Cantina – Famiglia Calleri
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Montania”, Tenuta Maffone
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2019 “Giuanò”, Tenuta Maffone
  • Riviera Ligure di Ponente Albenganese Doc Vermentino 2021 “Aimone”, Bio Vio
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “Bon in da bon”, Bio Vio
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “Marenè”, Bio Vio
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Vermentino 2021, Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Majé”, Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “Le Russeghine”, Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2020 “U Baccan”,  Azienda Agricola Bruna
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021, Cascina Feipu dei Massaretti
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Mareggio”, Azienda Agricola Dell’Erba
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2021 “Abbajae”, Azienda Agricola Lombardi
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Vermentino 2021, Podere Grecale
VINI ROSATI – VITE IN RIVIERA
  • Ormeasco di Pornassio Doc Sciac-Trà 2021, Tenuta Maffone
  • Ormeasco di Pornassio Doc Scia-trà 2021 “Braje”, Lupi (Peq Agri)
VINI ROSSI – VITE IN RIVIERA
  • Ormeasco di Pornassio Doc Superiore 2019 “U Meneghin”, Tenuta Maffone
  • Ormeasco di Pornassio Doc 2020, Guglierame (Peq Agri)
  • Ormeasco di Pornassio Doc Superiore 2015 “Braje”, Lupi (Peq Agri)
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Granaccia 2020, Azienda Agricola Innocenzo Turco
  • Colline Savonesi Igt Granaccia 2020 “Gublòt”, Società Agricola RoccaVinealis
  • Ormeasco di Pornassio Doc 2021, aMaccia
  • Riviera Ligure di Ponente Doc Rossese 2021, Anfossi
  • Vino Rosso Belkerus, Viticoltori Ingauni
VINI DOLCI – VITE IN RIVIERA
  • Ormeasco di Pornassio Doc 2017 Passito, Tenuta Maffone
  • Rosso Chinato, Tenuta Maffone
FOOD: LE SPECIALITÀ DEL PONENTE LIGURE, NELLO SHOP-MUSEO DI ALBENGA

C’è un perché se il progetto territoriale di Vite in Riviera abbraccia anche un’azienda che non produce vino. Si tratta di Sommariva Tradizione Agricola di Albenga, realtà ormai vicina a spegnere le 110 candeline che può contare su uno shop e su un Museo della Civiltà dell’Olivo , nel cuore della nota località turistica della Liguria.

All’interno del negozio è possibile degustare (e acquistare) le specialità locali del food. Dall’olio al pesto, senza dimenticare il Caviale del Centa e la crema di acciughe. Prodotti lavorati con metodo artigianale, senza aggiunta di additivi e conservanti. Il tutto sotto la guida di Agostino Sommariva e della quinta generazione dell’azienda di famiglia, rappresentata dalla figlia Alice.

La vecchia sede del frantoio di famiglia è uno scrigno che si apre agli occhi dei visitatori, in via Mameli 7, ad Albenga. Al piano terra – o, meglio, qualche gradino più in basso – lo shop e i laboratori. Al piano di sopra il Museo che ospita numerosi cimeli legati alla cultura dell’olio e dell’olivo. Uno spazio reso possibile grazie ai nonni Bugi e Nino, che negli anni hanno raccolto gli attrezzi e gli utensili che oggi animano il Museo.

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Gli Editoriali

Il nuovo mercato del vino italiano? È l’Italia. Parola dei bidoni del vetro

EDITOTORIALE – Ieri sera, come ogni domenica, sono sceso a buttare il vetro. Vivo in un condominio. Mi tocca. Il fatto è che ogni volta la vivo peggio. Ogni volta scendo le scale come scendessi all’Inferno. Un po’ come Dante. Ma senza gironi, né tantomeno Virgilio. Scendo solo. E torno solo. Più sconsolato di prima.

Mica perché sia faticoso portar giù una decina di bottiglie. Piuttosto perché, ogni settimana, il mio timore che questo Paese stia sbagliando quasi tutto – nella comunicazione, nel marketing, nel proporre all’estero i propri vini con l’entusiasmo di un bulldog francese, che non conosce in realtà poi così bene i limiti del proprio corpo – si accresce e mi spaventa più della volta prima.

Che il nuovo mercato del vino italiano sia l’Italia stessa, lo dimostrano quei bidoni pieni di birre industriali e vini da una manciata di centesimi di euro che trovo, mentre getto fiero i “cadaveri” delle mie serate e cene da critico enofighetto (che non sono, peraltro!).

Mentre sto per finire il mio Fendant 2011 di Domaine de Beudon, il vicino di casa è già sceso tre volte a buttare 8 lattine di birra. Mentre mi godo l’ultimo sorso del Riesling 2019 di Sepp Moser, quello del piano di sopra è già alla quarta sigaretta, sul tragitto fra l’uscio dell’appartamento e la sala spazzatura, in garage: un’ottima scusa per smettere di sentire i bambini gridare, quelle 6 bottiglie da mezzo litro di birra Moretti da buttare.

Mentre svuoto l’ultima bottiglia di Barbera di Monsupello, alternandola con lo Chinon di Dumnacus Vignerons (chi mi conosce sa quanto apprezzo il Cabernet Franc, anche d’estate!), la famiglia del mio dirimpettaio s’è scolata litri e litri di Ichnusa, litri e litri di Fanta e litri e litri di Carintia, nientedimeno che la “Premium Beer” di Md Discount.

Per non parlare di tutta quella Vodka Orange “Ready to drink Cocktail” con cui devono aver festeggiato quei mattacchioni della finestra di fronte, mentre io bevevo Franciacorta, Meursault e Pinot Nero Metodo classico di quella stessa cantina del Barbera (viva l’Oltrepò pavese della qualità vera), o assaggiavo l’ultimo vino di quel genio di Mario Piccini, “Pinocchio”.

Il tutto mentre cerchiamo di convincere l’estero di essere i migliori, perlopiù con le aziende sbagliate; mentre investiamo centinaia di migliaia di euro in progetti per l’internazionalizzazione (di chi?); mentre invitiamo in Italia buyer esteri travestiti da giornalisti, ai press tour in cui c’è sempre meno spazio per la stampa italiana (quella vera, perché per quella tarocca e prezzolata c’è e ci sarà sempre un posto a tavola); mentre puntiamo tutto sull’export, «perché è più redditizio e quelli pagano, mica come gli italiani»… Dimentichiamo quanto siano tristi, quei bidoni, ogni domenica sera.

Ci dimentichiamo quanto sia triste il bere quotidiano di molti (troppi) italiani, snobbati dalla stampa, snobbati dalla critica, snobbati dalla comunicazione. Snobbati dalle cantine italiane (troppe) che hanno smesso di raccontarsi, nel loro Paese, puntando spesso su fiere e mercati su cui scommettere, come su vere e proprie incognite. Lasciando i bidoni condominiali dei palazzi italiani riempirsi di nient’altro che del vuoto lasciato: l’inferno del vino italiano. Un po’ anche il mio.

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