wine news e guida top 100 migliori vini italiani, notizie e articoli esclusivi su vino, birra, distillati e food
Autore:Davide Bortone
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell'informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la "Guida Top 100 Migliori vini italiani" e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell'Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La vendemmia 2023 in Sudafrica sarà di quantità inferiore a quella del 2022 e delle tre precedenti annate. La qualità attesa, tuttavia, sarà eccellente e in grado di dare «vini di grande caratura». Lo rivela l’ultimo report – per l’esattezza il quarto dall’inizio della fase vegetativa della vite – emesso da Vinpro, società di riferimento dell’industria del vino sudafricano, insieme a Sawis, altra organizzazione di filiera. Alla base del calo delle rese, oltre al meteo inclemente, c’è anche la crisi del fornitore di energia elettrica statale Eskom.
La riduzione delle forniture in alcune delle regioni vinicole interessate da irrigazione intensiva, ha impedito alle pompe di funzionare per lunghi periodi. L‘alternativa sarebbe stato il blocco totale in un Paese che, solo lo scorso anno, ha dovuto fare i conti con parziali interruzioni (lunghe fino a 12 ore) per quasi 200 giorni su 365, 100 in più del 2021.
Il tutto a causa della manutenzione in corso sulle linee, che dipendono ancora per oltre l’80% dalle centrali a carbone, oggetto di danneggiamenti e furti da parte della criminalità locale. Una situazione drammatica, culminata a fine 2022 con il presunto tentativo di eliminare, tramite avvelenamento, André de Ruyter, l’uomo chiamato a risollevare le sorti della holding dell’energia sudafricana.
GRAPPOLI MENO PESANTI PER VIA DELLA SICCITÀ
«Si prevede che il raccolto sarà inferiore a quello del 2022 – afferma Conrad Schutte, responsabile del team di viticoltori Vinpro – ma cantine e addetti ai lavori concordano sul fatto che le uve della vendemmia 2023 in Sudafrica sono di eccellente qualità e promettono di produrre ottimi vini». L’inverno è risultato caldo e secco, per molti periodi molto più caldo del solito in tutte le regioni vinicole.
Le precipitazioni sono state significativamente inferiori, ad eccezione di Northern Cape. Il germogliamento è stato anticipato, con uniformità che viene definita dagli agronomi «soddisfacente». L’intensa crescita, guidata da una fotosintesi ottimale, oltre alle condizioni più aride del suolo, hanno influito negativamente sull’allegagione, in alcune zone.
A risentirne sono stati soprattutto i grappoli delle varietà Colombar e Cabernet Sauvignon, che al momento appaiono più spargoli. Le abbondanti piogge della prima settimana di dicembre hanno portato un grande sollievo in vista di una vendemmia 2023 in Sudafrica che sarà generalmente ricordata come «calda e secca».
ORA LO SPETTRO DELLE MALATTIE FUNGINE
Queste piogge hanno alleggerito la pressione sulla programmazione dell’irrigazione, ma hanno aumentato l’insorgere delle malattie fungine, in particolare oidio e peronospora. Inoltre, l’estirpo di alcuni vigneti Northern Cape, Olifants River and Swartland ha causato una riduzione della superficie totale del settore. L’ampia area geografica su cui sono distribuite le cantine sudafricane, con differenze climatiche e di suolo, ha un effetto significativo sulle stime vendemmiali nel Paese africano.
Nelle tre precedenti annate, le attese in tutte le regioni, ad eccezione del Klein-Karoo, erano inferiori al 2022, in termini quantitativi. Per la prima volta negli ultimi 4 anni, tutte le regioni vinicole sudafricane saranno interessate da un complessivo calo delle rese.
«Il clima delle prossime settimane è cruciale – evidenzia Conrad Schutte, a capo del team di agronomi Vinpro – e può ancora influenzare le dimensioni della vendemmia 2023. Ora è importante arieggiare i grappoli con giudizio, in modo che il movimento dell’aria e della luce avvenga in modo ottimale, evitando l’insorgere di malattie fungine». La quinta stima del raccolto da parte dei viticoltori e delle cantine produttrici sarà pubblicata a maggio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Ho scoperto che il vino naturale non è facile da trattare, perché richiede una grande attenzione, dalla spedizione dalla cantina al trasporto, fino alla porta dei clienti. I vini naturali hanno una qualità fragile, ma squisita, che va preservata». A parlare è Yasuko Goda, titolare di Racines, importatore giapponese di vini naturali tra i più noti al mondo. L’azienda, fondata nel 2003 in Giappone con il socio Masaaki Tsukahara, vede l’Italia grande protagonista. La selezione comprende big del calibro di Monte dei Ragni (Valpolicella), Le Due Terre (Prepotto), Rivella Serafino (Barbaresco) e Valentini (Abruzzo). Tutte e 150 mila bottiglie importate annualmente da Racines possono contare sulla maniacale attenzione alla qualità del trasporto che fa di questo importatore un unicum, nel controverso mondo dei “vini naturali”.
Stanca di assaggiare vini difettati e compromessi dalle condizioni di spedizione, Yasuko Goda ha realizzato quello che potrebbe essere definito un “disciplinare di importazione”. Regole molto semplici, ma applicate in maniera ferrea su tutta la filiera, che partono proprio dal concetto di «qualità fragile» dei vini naturali, privi delle “protezioni” chimiche – pur legali – che caratterizzano invece i vini prodotti su scala industriale.
In concreto, le cantine selezionate da Racines sono chiamate a consegnare al corriere, oltre al vino, anche un termometro digitale Sensitech che registrerà le temperature in tutte le fasi di trasporto, sino alla consegna in Giappone. Convinta che il vino naturale sia “materia viva”, Yasuko Goda e il suo team di degustatori concede «tempo per riassestarsi» alle partite di vino che hanno subito sbalzi di temperatura. In alcuni casi, prima di prendere una decisione definitiva su vini risultati compromessi all’arrivo nel Paese del Sol Levante, può trascorrere anche un anno e mezzo dall’ordine.
IL DESTINO DEL VINO NATURALE COMPROMESSO, IN GIAPPONE
Emblematico quanto accaduto ad alcuni pallet giunti dall’Italia a Tokyo nel maggio del 2021, per un totale di 3.720 bottiglie. Il team di Racines, come si apprende dalla documentazione fornita a winemag.it da Yasuko Goda, ha conclamato il difetto dovuto al «fatale, errato trasporto su un normale camion, a una temperatura più alta di quella rigorosamente misurata in precedenza». Ma ha atteso sino a dicembre 2022 per degustare nuovamente la partita, riunendo un team di 7 esperti. Solo a quel punto, alla cantina italiana è stato chiesto il permesso di distillare l’intero ordine.
Non abbiamo la minima idea di buttare i vostri vini, anche se con gravi difetti – recita l’email inviata da Racines ai produttori – perché non solo sarebbe uno spreco di risorse, ma anche un tradimento nei confronti dell’affetto che voi e noi stessi nutriamo per il vino. Ci permettiamo invece di suggerire la distillazione di tutti i vini danneggiati.
In questo modo, crediamo che i vostri vini avranno un’altra vita e speriamo che i consumatori più attenti possano godere delle reminiscenze dei vostri vini nell’acquavite. Al contempo vogliamo il vostro parere, perché temiamo altrimenti di ferire il vostro amore parentale per ciascuno dei vostri vini».
IL VINO NATURALE SECONDO YASUKO GODA (E RACINES)
«Il vino naturale – spiega Yasuko Goda – per me equivale a un’esperienza che definirei molto difficile, eppure la più interessante di tutte. Mi sono innamorata del vino naturale al primo sorso, a Parigi, più di 20 anni fa, quando ancora selezionavo vini per un altro distributore. Allora il mondo del vino naturale mancava di informazioni affidabili: era come navigare senza una mappa. Ritengo che ancora oggi non ci siano abbastanza informazioni e valutazioni accurate sul vino naturale. Tutti questi elementi hanno portato a una marea di cosiddetti “vini naturali” di qualità inferiore, o con difetti evidenti, molto lontani dagli standard che esigiamo a Racines».
Da qui l’attenzione maniacale al trasporto, nell’ottica di preservare quella «qualità fragile» che contraddistingue i vini naturali. Un concetto di base nella filosofia dell’attento importatore giapponese. «Presentare vini danneggiati ai nostri clienti – chiosa Yasuko Goda – non solo li deluderà, ma minerà anche la loro fiducia nella cantina e nel relativo marchio: due aspetti che cerchiamo di consolidare con grande impegno». D’altro canto, Goda non nasconde che «i danni da calore durante il trasporto si verificano frequentemente, specie negli ultimi anni». I vini giunti a Tokyo ormai compromessi non vengono sempre distillati.
Siamo soliti offrire questi vini danneggiati solo a un numero limitato di ristoranti fidati, a prezzo ridotto – sottolinea l’importatrice – a patto che il numero di bottiglie danneggiate non sia cospicuo. Nel caso della partita di 3.720 bottiglie, risultava impossibile terminare le scorte in un periodo di tempo breve».
IL MODELLO RACINES, ISPIRATO ANCHE DALL’ENOTECA PINCHIORRI
C’è una bella fetta di Italia nel rigido “metodo Racines“. «La qualità dei vini italiani – sottolinea Yasuko Goda – è migliorata rapidamente tra gli anni Ottanta e Novanta, grazie alla comparsa di molti nuovi produttori. Ma il mercato giapponese, all’epoca, era rimasto piuttosto obsoleto. Molti amanti del vino non erano in grado di vivere questo fermento. La qualità media dei vini italiani non industriali presenti in Giappone era generalmente scarsa, deteriorata proprio dalle condizioni di trasporto nei container, non appropriate».
Ma non dappertutto. «Quando l’Enoteca Pinchiorri aprì nel quartiere dello shopping di Ginza, a Tokyo – spiega l’importatrice giapponese – ebbi l’occasione di bere i grandi vini italiani con sapori e profumi autentici, molto simili agli originali. Mi riferisco per esempio a Le Pergole Torte 1982 di Montevertine, oppure al Montepulciano 1978 di Valentini, davvero in ottime condizioni». Uno scrigno del Made in Italy enologico che chiuse i battenti, nel 2012.
«Eppure quegli assaggi – rivela Goda – mi convinsero che si potevano importare vini italiani di una certa qualità, preservandone l’integrità con un sistema di trasporto e di distribuzione a bassa temperatura, sempre inferiore ai 15°, dalla cantina al tavolo del ristorante o del privato. Grazie a questo approccio, anche il consumatore giapponese ha potuto, sin dagli esordi di Racines, conoscere la qualità dei veri vini italiani prodotti da piccoli e selezionatissimi produttori». Una mission che continua, ormai da 20 anni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Entrano a Vinitaly mischiandosi tra la folla, acquistando il ticket “operatori”, oppure con i pass di altre aziende. Non hanno uno stand in cui esporre. In compenso introducono a Veronafiere valigie piene dei loro vini. Poi, nelle zone comuni o tra gli stessi padiglioni, trascorrono le giornate a proporre assaggi dei loro vini a buyer e visitatori. Suona più o meno così il Vinitaly dei produttori furbetti: costi ridotti all’osso e obiettivo comunque centrato, approfittando della più importante fiera del settore in Italia, in programma nel 2023 a Verona, dal 2 al 5 aprile.
Una pratica tanto comune da passare ormai quasi inosservata, in alcuni padiglioni. La segnalazione arriva a winemag.it da alcuni produttori, stanchi di pagare la retta di Veronafiere per vedere poi colleghi portare a casa lo stesso risultato. Nell’ombra. Sempre secondo le fonti di winemag.it, i produttori furbetti del Vinitaly agirebbero con la complicità di altri espositori paganti. La notizia non viene confermata da Veronafiere, che si dice all’oscuro del fenomeno.
VERONAFIERE AVVISA: «SALE RISERVATE AGLI ESPOSITORI ISCRITTI»
Alla richiesta di un commento, l’ufficio stampa dell’ente veronese risponde piuttosto piccato: «Apprendiamo con sorpresa della pratica che sarebbe ormai piuttosto comune a Vinitaly, in base alla quale diversi produttori senza stand hanno preso l’abitudine di intrufolarsi tra i padiglioni e nelle aree comuni per far assaggiare i loro vini, portati all’interno della Fiera con valigie e trolley».
«Atteso che non abbiamo avuto mai alcuna evidenza né segnalazione in tal senso, chiediamo alle vostre fonti di rivolgersi direttamente a noi, così da consentirci di conoscere i presunti fatti e porre in essere le dovute verifiche. Per il resto – conclude Veronafiere – non possiamo che ribadire come durante Vinitaly le sale per incontri, degustazioni e/o convegni sono riservate agli espositori regolarmente iscritti, a tutela dei quali sempre agiamo con il massimo impegno».
Da ulteriori approfondimenti di winemag.it, risulta che qualcuno abbia già preso da anni provvedimenti per evitare che i vini di produttori non paganti finiscano per essere degustati tra i padiglioni di Veronafiere. Si tratta di Fivi che, sin dalle edizioni precedenti la pandemia, ha chiesto ai propri associati di non favorire il proliferare di etichette di vignaioli non presenti agli stand. Pena per l’ospitante, la perdita del diritto al banchetto. Furbetto avvisato, furbetto salvato.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«In Piemonte abbiamo sulle palle 8 mila ettari di Barbera che non hanno dignità economica. E per di più non esiste l’assessorato all’Agricoltura in Regione, perché un tizio che governa circa 3 milioni di ettolitri di vino prodotti e 15 milioni di ettolitri di vino comprati non può essere chiamato assessore all’Agricoltura, bensì al Commercio». Walter Massa ha appena finito di deliziare gli ospiti del Ristorante Montecarlo di Tortona con uno dei suoi pezzi da novanta – un Monleale 2000 in formato magnum – quando chiede l’attenzione della stampa presente in sala nell’ambito dell’Anteprima Derthona Due.Zero 2023. Il discorso è di quelli che lasciano il segno. Tema: la Barbera piemontese.
«Dobbiamo smettere di chiamarla “Barbera d’Asti” per poi vedere quella prodotta da Caldirola a 1,99 al supermercato, con tanto di fascetta. Se lo Chardonnay a Meursault si chiama “Meursault“, se la Malvasia puntinata a Frascati si chiama “Frascati“, se la Garganega a Soave si chiama “Soave“, un motivo c’è. Smettiamo di chiamare “Barbera” il vino fatto con l’uva Barbera. Diamogli nomi di fantasia, piuttosto. Dobbiamo imparare dalla Borgogna, dalla Francia, non dall’Oltrepò pavese: a Tortona nasce la rivoluzione della Barbera, che qui si chiama “Monleale” e basta». Walter Massa, in sostanza, invita tutti i “barberisti” a seguire l’esempio del Nizza Docg.
Ma anche il vitigno simbolo dei Colli Tortonesi, il Timorasso, è stato oggetto negli ultimi anni di un profondo restyling “concettuale”. I vini prodotti con uve Timorasso sui Colli Tortonesi potranno presto chiamarsi semplicemente “Derthona“, dall’antico nome romano della città capoluogo della regione vinicola, Tortona. Il tutto a partire dalla vendemmia 2022, grazie alla ratifica delle modifiche al disciplinare di produzione della Doc, che già prevedeva la sottozona “Monleale” per i vini ottenuti da Barbera (min. 85%; 72 quintali di resa per ettaro).
Derthona Timorasso sempre più “bianco di Langa”: i 10 migliori 2021 in anteprima
Derthona Timorasso sempre più “bianco di Langa”: i 10 migliori 2021 in anteprima a Derthona Due.Zero 2023, verso i 3 milioni di bottiglie
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Le rese dei vigneti erano quelle dei vini da tavola e dei vini Igt. Ma le uve venivano poi spacciate per Doc, alimentando così il florido mercato del Prosecco e del Pinot Grigio, senza il rispetto dei relativi disciplinari di produzione. Questo l’impianto d’accusa che ha portato i Funzionari dell’Icqrf (Ispettorato Repressione Frodi) e i Carabinieri del Nas a indagare i titolari di due cantine situate tra le province di Udine, Pordenone, Gorizia e Treviso. Nell’inchiesta anche una persona giuridica la cui attività ha sede tra Friuli e Veneto. Dovranno rispondere di frode in commercio e della falsificazione di documenti utile al disegno criminale.
L’operazione, come spiegano i carabinieri del Nas di Udine a winemag.it, è scattata in mattinata ma è tutt’ora in corso. Non si esclude che il cerchio possa allargarsi ulteriormente, sin dalle prossime ore. Per il momento, i funzionari della Repressione Frodi e i carabinieri del Nucleo anti sofisticazione, stanno dando esecuzione ai decreti di perquisizione emessi dalla Procura della Repubblica di Udine nei confronti di circa una trentina tra cantine, imprese agricole, abitazioni e ditte di trasporto.
L’indagine, volta al contrasto alle frodi ai danni dei consumatori ed alla tutela della qualità delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche di prodotti agroalimentari, nello specifico Prosecco e Pinot Grigio, non ha rivelato potenziali rischi per la salute pubblica. Le partite di uva “gonfiate” in termini di rese, superiori a quanto prescritto dai disciplinari, conduce infatti a una minore qualità dei mosti, ma non a pericoli di carattere sanitario.
FALSO PROSECCO E PINOT GRIGIO TRA FRIULI E VENETO
Le indagini, come rivelano gli inquirenti a winemag.it, hanno preso avvio nei mesi scorsi, a partire da un normale controllo di routine compiuto dagli ispettori dell’Icqrf in collaborazione con i carabinieri del Nas. La documentazione presentata da una cantina di Udine, confrontata con i quantitativi immessi sul mercato, ha insospettito le forze dell’ordine, che hanno così scoperto l’illecito relativo alle rese dei vigneti.
L’inchiesta è stata poi allargata ad altre cantine della zona, spingendosi poi nelle province di Pordenone, Gorizia e Treviso. Un vaso di pandora che vede coinvolte alcune delle denominazioni italiane più note nel mondo, ovvero Prosecco e Pinot Grigio, per la cui promozione in Europa e nel mondo vengono spesi ogni anno centinaia di migliaia di euro, in parte finanziati dall’Ue. Ma non è tutto.
Tra le ipotesi investigative c’è anche quella che i vini prodotte dalla quindicina di cantine finite nella rete delle forze dell’ordine siano stati ottenuti in parte con uve di varietà e provenienza diversa da quella dichiarata, non rientranti nei disciplinari di produzione. Gli inquirenti escludono, al momento, un collegamento causa-effetto tra il taglio di 1.100 viti ai danni di un viticoltore di Bertiolo e l’inchiesta scattata in mattinata.
Vandali o malavita in azione in una “Città del Vino” del Friuli: tagliate 1.100 viti
Vandali o malavita in azione in una “Città del Vino” del Friuli: tagliate 1.100 viti. Danno da 30 mila euro per il viticoltore Adriano Grosso
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Regna il silenzio più cupo attorno al taglio di 1.100 viti del vigneto di proprietà di Adriano Grosso, viticoltore di Bertiolo. Non una località qualunque. Siamo in Friuli Venezia Giulia, in provincia di Udine, a pochi chilometri dalla cittadina di Codroipo e dagli argini del fiume Tagliamento. Bertiolo è “Città del Vino” e sul suo territorio si producono Prosecco e altri vini tipici del Friuli. L’episodio, da attribuire a vandali o alla malavita, è al vaglio dei carabinieri così come altri due casi, avvenuti nella zona tra 2021 e il 2022 e rimasti irrisolti.
In paese, il caso è sulla bocca di tutti. Ma nessuno vuole entrare nel dettaglio o fornire ulteriori elementi alla stampa. «Qui a Bertiolo c’è un clima particolare – riferiscono in un bar del borgo friulano, 2.300 abitanti – siamo come la Sicilia: non ci piace parlare troppo». Si chiude nel mutismo anche il sindaco, Eleonora Viscardis, eletta nel 2021 tra le file del centrodestra. Il primo cittadino, attraverso la segreteria del Comune, fa solo trapelare (testualmente) che «la famiglia vittima del taglio delle 1.100 viti non vuole che si faccia pubblicità all’accaduto».
Secondo quanto riferito dagli inquirenti, la denuncia dell’atto vandalico – o dell’evento malavitoso – risale al 17 marzo. Il danno sarebbe stato tuttavia compiuto in precedenza, ovvero nel periodo compreso tra il 14 febbraio e il 15 marzo. Prima di mercoledì scorso, Adriano Grosso aveva visitato il piccolo vigneto di sua proprietà il 13 febbraio. Il taglio delle 1.100 viti, ad opera di una o più persone, potrebbe essere dunque avvenuto tra un sopralluogo e l’altro. L’uomo, che vende l’uva atta alla produzione di vini Igt ad una cooperativa locale, avrebbe quindi deciso di sporgere denuncia, a circa 48 ore dalla terribile scoperta.
GLI INQUIRENTI: DANNO NON COPERTO DA ASSICURAZIONE
Sempre secondo quanto riferito dai carabinieri a winemag.it, il danno ammonterebbe a una cifra considerevole, pari a 25-30 mila euro, non coperta da assicurazione. Un dettaglio, quello della mancanza di copertura assicurativa, che fa pendere la bilancia verso un’azione compiuta per arrecare un danno economico e psicologico ad Adriano Grosso e alla sua famiglia, operante nel ramo della viticoltura e della coltivazione agricola.
L’uomo, 60 anni, ben noto in Paese e appartenente al ceppo famigliare locale dei “Miniùçs” di Bertiolo, è fratello dell’ex vicesindaco di Bertiolo, Mario Grosso, scomparso prematuramente nel maggio del 2021, a causa di un malore improvviso. L’età del vigneto finito del mirino della malavita non sarebbe avanzata. Adriano Grosso ha ottenuto dalla Regione l’autorizzazione all’impianto solo in occasione della campagna viticola 2018/2019, per una piccola superficie (1.416 metri quadrati). La stessa metratura richiesta e ottenuta, a sua volta, dal fratello Alberto Grosso.
Per la “Città del Vino” del Friuli l’episodio rappresenta l’ennesima batosta nel giro di pochi anni. Nel 2022 erano state tagliate ottanta piante di varietà Glera da Prosecco. Danni simili anche in altri comuni della provincia di Udine: a Tricesimo, nel 2021, 120 viti di Schioppettino sono state rase al suolo con la stessa metodologia, senza che gli inquirenti scoprissero i nomi dei colpevoli. Episodi che accomunano questa zona del Nord Est al Sud Italia, in particolare alla Puglia e alla provincia di Foggia, dove diversi vigneti hanno subito negli ultimi anni lo stesso trattamento. Tra le vittime illustri della malavita locale, sempre in Puglia, anche il giornalista Bruno Vespa.
[credits foto di copertina: @sofiamoro]
Esercito in vigna in Puglia contro la mafia del vino e dell’uva
Esercito in vigna in Puglia, contro la mafia del vino e dell’uva. Da anni i vigneti sono terra di conquista della mafia del vino e dell’uva
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C’è il nuovo cru di Borgogno, Scaldapulce, in vendita a 99 euro (in cantina): lassù, non per tutti i portafogli; manifesto dell’intenzione, del progetto, delle aspirazioni e delle aspettative degli storici produttori di Langa, in “trasferta” sui Colli Tortonesi. Ci sono poi La Spinetta, Vietti, Vite Colte, Voerzio Martini e “ragazzi d’oro” come Claudio Viberti di Giovanni Viberti, a dare ulteriore peso a quella che, ormai, è una certezza: il Derthona Timorasso è sempre più il vero “bianco di Langa”, l’alter ego di Barolo e Barbaresco, in Piemonte e nel mondo. Senza nulla togliere a Favorita o Nascetta / Nas-cëtta, il vitigno risollevato negli anni Novanta da un manipolo di vignaioli guidato dal genio Walter Massa è ormai sulla strada della definitiva consacrazione, nell’olimpo dei fine wines internazionali.
I passi compiuti sui Colli Tortonesi sono degni di un gigante. Il Timorasso (oggi al secolo “Derthona”, per la lungimirante decisione di legare il territorio al vino, non il nome del vitigno) è passato dai 3ettari della fine degli anni Ottanta ai 330 ettari attuali, sui complessivi 1.257 ettari vitati del tortonese (56 comuni). La produzione supera di poco il milione di bottiglie, ma l’obiettivo è di arrivare a 3 milioni entro il 2030. Nei prossimi tre anni, in zona, si pianteranno ulteriori 160 ettari. Consentendo così ai produttori di fare massa critica sui mercati, soprattutto internazionali, forti anche della spinta dei grandi nomi che hanno investito nelle “nuove Langhe” del Piemonte “in bianco”.
Il tutto accompagnato da un rigido disciplinare che esclude il fondo valle ed esalta le peculiarità microclimatiche delle 6 valli della denominazione (Ossona, Grue, Curone, Scrivia, Borbera e Spinti) che da nord a sud disegnano un territorio costellato – tra l’altro – da suoli simili a quelli langaroli, per la presenza di Marne di Sant’Agata Fossili, molto comuni nella Docg Barbaresco (Barbaresco, sud di Neive e Treiso) ed in una porzione estesa della Docg Barolo (oltre a una buona porzione del territorio di Barolo, le troviamo nella parte est di La Morra, a Novello, a ovest e nord-est di Monforte, nonché a nord di Serralunga e a Grinzane Cavour).
Fondamentale, da queste parti più che altrove, la gestione agronomica del vigneto. A testimoniarlo è Davide Ferrarese, tra i massimi esperti italiani con la sua società di consulenza Vigna Veritas, con sede a Gavi, in Piemonte. «La prima vendemmia di Timorasso – riferisce – è stata uno shock per uno dei produttori di Langa che ha investito sui Colli Tortonesi. Le uve arrivate in cantina gli sembravano brutte. Mi ha chiamato preoccupatissimo. Una volta vinificate, è rimasto altrettanto scioccato, ma in positivo, dagli incredibili valori analitici, soprattutto in termini di acidità e pH. Il Timorasso è così: un po’ brutto da vedere, magari, ma in grado di dare risultati eccezionali, una volta vinificato».
Da buone ad ottime, di fatto, anche le impressioni della nuova annata del Timorasso. A Derthona Due.Zero 2023, lo scorso weekend, è stata presentata la vendemmia 2021 del grande bianco di Langa (pardon, dei Colli Tortonesi). L’impressione è che sia migliorata, in larga scala, in primis la gestione agronomica del vigneto del Timorasso, soprattutto sul fronte del controllo del tenore alcolico (il Tortonese è tra le zone più siccitose d’Italia). Lo dimostra l’assaggio alla cieca dei 41 campioni di altrettante cantine. Tra i nuovi trend un utilizzo più massiccio del legno rispetto al passato, con risultati non sempre ottimali in termini di bilanciamento e rispetto del varietale. Ecco i migliori Derthona Timorasso all’anteprima 2021.
I MIGLIORI DERTHONA TIMORASSO 2021 A DERTHONA DUE.ZERO 2023
(in ordine di degustazione alla cieca)
Derthona 2021, Canevaro Luca
Colore più carico del precedente, un giallo paglierino intenso, dai riflessi dorati. Naso sul frutto giallo, pesca, albicocca matura. Buon corredo di erbe aromatiche di contorno. Al palato è pieno, succoso, polposo, ricco di materia, con la componente glicerica ben controbilanciata da una freschezza viva. Vino di ottima prospettiva.
Colli Tortonesi Doc Timorasso 2021 “Rugiada del mattino”, Cascina I Carpini
Giallo dorato. Al naso albicocca sotto sciroppo, bei ricordi mentolati, erbe aromatiche. Al palato è intenso, di grandissima concentrazione e opulenza sul frutto giallo, ben riequilibrato da un’acidità vibrante. Componente salina importante, per un vino all’inizio del suo percorso, ma già godibile.
Derthona 2021, Borgogno
Giallo paglierino intenso. Nota netta di pirazinica, è Tenuta Pastura? Il frutto giallo non manca di polpa e controbilancia le note verdi, dando slancio e setosità al sorso. Un campione già molto godibile, con del leggero residuo zuccherino apparente che contribuisce a rendere la chiusura intrigante. Vino gastronomico, sin d’ora godibile.
Derthona 2021, Oltretorrente
Giallo paglierino riflessi dorati. Altra impronta umami, salinità e frutto giallo. Bellissima espressione del frutto al palato, sferzata da ricordi agrumati, speziati di zenzero. Tra i campioni più attaccati al territorio. Vino giovanissimo, all’inizio di un lungo percorso di vita.
Derthona 2021 “Thimos”, Alvio Pestarino
Giallo paglierino. Bel naso tra frutto giallo, polposo, ed erbe aromatiche. Al palato è intenso sul frutto giallo e sull’agrume, ben controbilanciati dalla vena glicerica. Vino che premia la beva, l’immediatezza, ma non rinuncia a tutte le caratteristiche del vitigno, compresa la prospettiva di lungo affinamento.
Terre di Libarna Doc 2021 “Archetipo”, Ezio Poggio
Giallo paglierino tendente al dorato. Bel naso generoso, sulla frutta di maturità piena, con accenti terziari. Al palato è goloso, sulla frutta gialla (pesca, albicocca) e deviazioni tropicali. Chiude asciutto ma equilibrato, nonostante l’opulenza del frutto, dalla texture cremosa.
Derthona 2021 “Grue”, Pomodolce
Giallo tendente all’oro. Vino che brilla in termini di espressione del varietale, compatto e goloso. Bella fragranza del frutto e chiusura asciutta che invita al sorso successivo. Vino di terroir.
Giallo paglierino intenso. Ottima intensità e precisione sul frutto, sulla maturità della pesca e dell’albicocca. Al palato freschezza viva, d’agrume (ricordi di pompelmo rosa), a controbilanciare la vena glicerica. Vino all’inizio di una lunga vita.
Derthona 2021, Vigneti Repetto
Giallo paglierino. Al naso e al palato un’ottima corrispondenza che si dipana su note di pesca gialla e agrumi, tra tensione acida e mineralità che danno vita a sensazioni umami e ricordi di pietra bagnata. Palato teso e fruttato, per uno dei campioni più completi in termini di rispetto, espressione ed esaltazione del varietale del Timorasso.
Derthona 2021, Voerzio Martini (BEST IN SHOW)
Al naso netta mentuccia, sul frutto, che ricorda alcune espressioni di Timorasso della Val Borbera. Splendida espressione, sia al naso che al palato, della componente agrumata, che si accosta a un frutto giallo polposo. Sorso croccante, sapido, di gran pulizia e goloso, ad anticipare una chiusura tesa, minerale, che incita la beva. Vino di prospettiva assoluta e miglior campione dell’annata 2021: best in show di Derthona Due.Zero 2023.
Il futuro del Derthona Timorasso: giovani ed alta ristorazione
Il futuro del Derthona Timorasso: giovani ed alta ristorazione. Il Consorzio premia Enrico Crippa ed esalta i piatti di Anna Ghisolfi
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Giovani ed alta ristorazione. Sono i due assi nella manica del Derthona, vino bianco ottenuto da uve Timorasso sui Colli Tortonesi. L’ultima edizione di DerthonaDue.Zero, in scena lo scorso weekend a Tortona, ha visto l’esordio ufficiale di Derthona Giovani, gruppo di 20 produttori vitivinicoli affiancati da 12aziende del settore food uniti per promuovere, comunicare e valorizzare il territorio dei Colli Tortonesi.
Il gruppo di giovani si impegnerà ad organizzare eventi che coinvolgano le associazioni e le diverse realtà locali, oltre ad assicurare la partecipazione ad eventi food and wine in Italia e all’estero e collaborazioni con enti scolastici e scambi culturali con altre associazioni giovani.
ENRICO CRIPPA AMBASCIATORE DEL DERTHONA 2023
Netto il legame del Derthona con la ristorazione (e con l’alta ristorazione) anche grazie alla nomina di Enrico Crippa, chef del ristorante 3 Stelle Michelin Piazza Duomo di Alba (CN), ad Ambasciatore del Derthona 2023. Un’iniziativa, quella promossa dal Consorzio dei Colli Tortonesi, voluta «per premiare il lavoro e la dedizione di quei professionisti del settore che ogni anno si impegnano a far conoscere questo territorio e il suo vitigno simbolo».
«Sin dall’inizio della loro storia, negli anni 2000 – ha spiegato il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto – la famiglia Ceretto ed Enrico Crippa, hanno dato spazio al Timorasso, inserendolo all’interno di una delle carte dei vini più prestigiose d’Italia, donandogli al contempo anche una grande visibilità a livello internazionale».
Se il Timorasso è diventato così buono – ha commentato lo chef Enrico Crippa – è anche per merito delle persone che lo fanno. Oggi il livello è davvero altissimo. Noi abbiamo sempre creduto nei vini bianchi del Piemonte, ecco perché abbiamo inserito nei nostri percorsi anche il Timorasso come grande rappresentante di questa categoria».
LA CENA AL RISTORANTE ANNA GHISOLFI DI TORTONA
Grande spazio, in occasione di Derthona Due.Zero 2023, anteprima riservata alla stampa dedicata alla vendemmia 2021 del Timorasso, a un’altra grande protagonista della scena dell’alta ristorazione piemontese. La cena di sabato 12 marzo si è svolta nel ristorante della chefAnna Ghisolfi, allieva di Gualtiero Marchesi.
Location straordinaria – una chiesa sconsacrata nel centro di Tortona, con cucina a vista, senza barriere sui limitati posti a sedere – e piatti (in pieno stile “tapas”) all’altezza delle aspettative tra i «contrasti di sapori» e l’assoluta «eleganza visiva» che da sempre connotano lo stile misurato e distante da eccessi e manierismi della cucina di Anna Ghisolfi.
Abbinamento perfetto con le diverse etichette di Derthona Timorasso scelte per accompagnare i piatti. A presentarle sono stati i numerosi produttori presenti in sala per sottolineare un legame, quello con l’alta ristorazione, che ha tutto il sapore di un nuovo posizionamento per i Colli Tortonesi e per il loro vitigno principe.
Derthona Timorasso sempre più “bianco di Langa”: i 10 migliori 2021 in anteprima
Derthona Timorasso sempre più “bianco di Langa”: i 10 migliori 2021 in anteprima a Derthona Due.Zero 2023, verso i 3 milioni di bottiglie
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Per la prima volta nella storia di un concorso enologico internazionale, i vini analcolici si presentano in massa e conquistano una raffica di medaglie. L’unica italiana è d’oro, assegnata allo spumante “Zero” della cantina Anna Spinato di Ponte di Piave, in provincia di Treviso. L’occasione è la Spring Edition di Mundus Vini 2023, che ha visto gareggiare in Germania, a fine febbraio, ben 187 vini senza alcol provenienti da diversi Paesi europei. Di questi, 21 hanno ottenuto la medaglia d’oro e 54 la medaglia d’argento.
Un parere unanime quello espresso della giuria di esperti internazionali, riunita per questo concorso: «La qualità è notevolmente migliorata su tutta la linea – riferiscono in conclusione gli organizzatori di Meininger Verlag GmbH – e numerosi vini risultano più che raccomandabili nel segmento dei vini senza alcol, con alcune etichette in grado di portare una qualità eccezionale nel calice».
Il consiglio di amministrazione di Mundus Vini consegnerà i certificati di premiazione ai produttori in occasione di ProWein 2023, a Messe Düsseldorf. La cerimonia si svolgerà presso lo stand Meininger Verlag (padiglione 4, C 40) lunedì 20 marzo 2023, alle ore 10.
MUNDUS VINI 2023: I PREMI SPECIALI AI VINI SENZA ALCOL
Sempre nell’ambito dei vini senza alcol, la giuria internazionale di Munsud Vini ha assegnato alcuni premi speciali alle cantine produttrici di vini dealcolato. Il miglior produttore è Bähr Pfalztraube GmbH, mentre il miglior rivenditore p risultato Peter Riegel Weinimport GmbH. “Best of Show” Spumante Rosé al Vitisecco Rosé analcolico di Bähr Pfalztraube GmbH. Best of Show Sauvignon Blanc ad Ara Zero Sauvignon Blanc di Giesen Group; Best of Show Bianco frizzante al Blancs de Blanc Senza alcol di Julius Zotz KG.
Spazio anche i vini rossi dealcolati. Best of Show Merlot a Vinnuendo 0% Merlot di Mureda Alimentacion SL (Spagna), unico straniero (non tedesco, s’intende) in questa speciale classifica. Doppietta per Peter Riegel Weinimport GmbH di Orsingen per il Best of Show Spumante retail e per il Best of Show Rosso retail assegnato ad Engel Riesling analcolico e a Vinsenza Rosso analcolico.
Best of Show Riesling a Freispiel Really Geil analcolico di Weingärtner Stromberg-Zabergäu eG. Infine, Best of Show Pinot Blanc al Breakaway Pinot Blanc dealcolizzato di Winery Bergdolt-Reif & Nett e Best of Show White retail per il Michel Schneider Riesling analcolico di Zimmermann-Graeff & Müller GmbH.
VINI SENZA ALCOL A MUNDUS VINI: MEDAGLIA D’ORO AD ANNA SPINATO
«Abbiamo chiamato il nostro spumante “Zero” non solo perché è senza alcol – spiega Roberto Spinato, ultima generazione della cantina Anna Spinato – ma anche perché lo consideriamo un punto di inizio. Sull’etichetta c’è un punto che può essere interpretato come un pianeta, attorno al quale ne orbitano altri»
Per la produzione di questo spumante partiamo dal mosto d’uva, che viene mantenuto a temperature vicine allo zero, per evitare fermentazioni».
«Una volta in bottiglia – continua il produttore trevigiano – aggiungiamo anidride carbonica, perché procedere a una rifermentazione (come al contrario avviene per i comuni spumanti, ndr) comporterebbe lo sviluppo di alcol. Viene anche addizionato di acqua distillata pura, per smorzare la dolcezza naturale del mosto. Il risultato è uno spumante dal corredo fruttato, adatto a qualsiasi occasione di consumo».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Terminerà oggi, attorno alle ore 13, la terza Sessione del Concours Mondial de Bruxelles dedicata ai Vini Rosé. La location scelta nel 2023 dagli organizzatori non è casuale. Le degustazioni alla cieca di circa 1.200 rosati internazionali, tra cui diversi provenienti da Puglia e Abruzzo per l’Italia, si tengono nella sede del Syndicat des Producteurs de Vins de Pays d’Oc et Inter Oc. A giudicarli sono 55 degustatori giunti a Montpellier da 20 nazioni, a testimonianza della centralità del Pays d’Oc nella produzione dei rosé internazionali.
La denominazione Pays d’Oc Igp rappresenta di fatto il 28% della produzione totale di vino rosé in Francia. È leader della categoria, a dispetto della più nota Provenza, ferma al 17,9%. I volumi parlano chiaro, con l’indicazione geografica protetta della Linguadoca che è cresciuta del 32% in 10 anni e del 342% in 20 anni, sul fronte dei volumi.
Più delicato il tema del valore, con il distacco rispetto alla Provenza che resta marcato (Pays d’Oc stabile attorno ai 90 euro ad ettolitro rispetto ai 286 euro ad ettolitro dello sfuso Cotes de Provence rosé). Nella principale indicazione geografica francese si producono in media tra gli 1,6 e gli 1,7 milioni di ettolitri di rosé, con un potenziale di circa 215 milioni di bottiglie. Lo sviluppo del rosé è stato incentivato dall’uso di varietà di uve principalmente vinificate in rosso, ora convertite alla produzione di rosé.
Una scelta, come spiegano i produttori locali, che ha permesso di stare al passo con l’evoluzione dei modelli di consumo e con il boom delle vendite di rosé in Francia (+400% nel periodo della pandemia, nel segmento retail) e in diversi mercati di esportazione.
VINI ROSÉ PAUS D’OC: I PUNTI DI FORZA SECONDO JACQUES GRAVEGEAL
«Il principale punto di forza della denominazione – sottolinea Jacques Gravegeal, presidente del Syndicat des producteurs de vins de Pays d’Oc Igp – è la varietà dell’offerta e la gamma chiaramente distinguibile di varietà di uve che offre ai consumatori».
La diversità di territori, climi, aziende, filosofie, know-how ed espressioni aromatiche dei diversi vitigni – aggiunge Gravegeal – offre un numero infinito di combinazioni: Grenache Noir, Cinsault, Syrah, Merlot, Grenache Gris, Pinot Noir, Cabernet-Franc, Cabernet-Sauvignon. Questi 8 vitigni rappresentano la parte più consistente della nostra selezione di rosé».
I vini varietali sono al centro dell’identità della denominazione e il suo disciplinare prevede l’utilizzo di 58 uve diverse, tra cui 18 per i vini rosé. Il 92% della produzione del Pays d’Oc IGP è commercializzata come monovitigno, ossia proveniente da un solo vitigno. Da qui l’importanza di una sessione Vini Rosé nel cuore del Pays d’Oc da parte del Concours Mondial de Bruxelles.
Nei calici dei giudici internazionali, grande abbondanza di vini francesi, in particolare di quelli della regione ospitante. Quasi il 15% dei vini presenti risultano provenienti dal Languedoc Roussillon, la maggior parte dei quali etichettati Pays d’Oc Igp. Anche la vicina regione della Provenza è ben rappresentata, con quasi il 10% delle iscrizioni.
A livello internazionale, le regioni italiane Puglia e Abruzzo sono le più rappresentate per numero di iscrizioni, insieme all’Alentejo portoghese e alla Castiglia-Y-Leon spagnola. I risultati del Concours Mondial de Bruxelles 2023 – Sessione Vini Rosé saranno presentati in occasione della premiazione in programma a Prowein 2023, lunedì 20 marzo alle 11:00 (Hall 1, Room 14, CCD South – Messe Düsseldorf).
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’Anteprima Vini Alsazia, Millésimes Alsace 2023, si chiude tra conferme e novità. Ottime impressioni dai Riesling – e c’era ovviamente da aspettarselo – tra cui svettano tre nomi in particolare: Domaine Paul Kubler, Allimant Laugner e Paul Gaschy. Segue a ruota il tanto vituperato Gewürztraminer, nel suo habitat naturale in Alsazia. Superlativo, ancora una volta, quello di Kubler e di Allimant Laugner, questa volta in compagnia di Domaine Hurst.
Sopra le righe anche il Sylvaner di Domaine Paul Kubler. A preoccupare è tuttavia la forma dei Pinot Noir 2020 e 2021 in degustazione, soprattutto per un tenore alcolico ingombrante nel calice. Fa eccezione, tra i Noir, la sorpresa Domaine Hurst, che a Turckheim gestisce il proprio vigneto secondo i dettami della viticoltura biodinamica: suo un Pinot Nero 2019 molto centrato. Ecco tutti gli assaggi con i rating in centesimi.
FRANCIS BECK & FILS
AOC ALSACE RIESLING 2018 HERTENSTEIN CUVÉE LOUIS
Giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Naso agrumato e minerale, che fa presagire una certa tensione, freschezza al sorso. Non mancano note gentili di mela e pesca gialla, perfettamente mature. Più in sottofondo, ricordi di erbe aromatiche. Sono le note dolci dei frutti più maturi, a polpa gialla, a ripresentarsi al centro del sorso, accompagnando dall’ingresso alla chiusura, ben tesa e minerale, equilibrata. Vino di struttura piuttosto importante, che si esprime su un ottimo equilibrio tra le tante componenti e mostra evidente potenziale in termini di ulteriore affinamento. 15% molto ben integrati. 92/100
AOC ALSACE RIESLING 2019 HERTENSTEIN CUVÉE LOUIS
14%, uno in meno della vendmemia 2018. Giallo paglierino intenso, dai riflessi dorati. Primo naso su una purezza assoluta del frutto, che definire “aromatico” non è errato. Pesca, mela gialla, mandarino, si uniscono a leggere venature mentolate e a un profilo minerale pietroso. Palato in perfetta corrispondenza, connotato da una corroborante freschezza e salinità, a fare da spina sorsale rispetto alla generosità del frutto. Vino molto giovane, di prospettive. 93/100
AOC ALSACE PINOT NOIR 2019 BARRIQUES
Bel colore rubino. Bel naso, tra il frutto croccante, a bacca rossa e nera, e ricordi mentolati. Al palato un’acidità viva, di ribes e agrumi, controbilancia le note tostate dei terziari. Tannini fini, eleganti, in centro bocca e chiusura leggermente sapida. Buona gastronomicità. 90/100
AOC ALSACE GEWÜRZTRAMINER 2018 L’ELIXIR
Alla vista di un bell’oro luminoso. Naso e palato in perfetta corrispondenza, su note di frutta esotica molto matura. L’acidità controbilancia l’opulenza del frutto e una bella vena di erbe aromatiche rinfresca naso e sorso. Sorso che non nasconde una certa potenza, per un vino che è divertente immaginare su abbinamenti audaci. 92/100
DOMAINE CLAUDE ET CHRISTOPHE BLEGER
AOC ALSACE RIESLING 2021 COEUR DE CRU BIO
Giallo paglierino, vaghi ricordi verdolini. Primo naso su un netto profilo minerale, accompagnato da elegantissimi ricordi di erbe aromatiche. Componente fruttata bianca e gialla, di perfetta maturità, ben più centrale in ingresso di bocca. Dal centro alla chiusura una freschezza vibrante, d’agrume e mela verde, con nette reminiscenze sapide. Lunga persistenza per un vino all’inizio del suo cammino. 89/100
AOC ALSACE RIESLING 2020 L’INOUBLIABLE BIO
Giallo paglierino intenso, che inizia a mostrare riflessi dorati. Naso piuttosto stratificato, tra la frutta piuttosto matura, i risvolti iodico-minerali e il floreale. A fare da fil rouge, dall’attacco alla chiusura di bocca, sono proprio le note gessose, attorno alle quali danza un frutto che si conferma succoso, pienamente maturo. L’acidità regge il gioco e il finale è lungo e piacevole, nell’equilibrio fra tutte le componenti che non nasconde le prospettive del nettare. 90/100
AOC ALSACE PINOT NOIR 2020 L’INOUBLIABLE BIO
Rubino carico. Naso ricco, intenso, che oltre ai classici frutti rossi rivela anche un profilo agrumato e note terziarie tostate piuttosto ingombranti sui primari. Il tutto si ripresenta al palato, in un quadro stropicciato però da un’alcolicità fuori gamma, respirabile (14% vol). Un Pinot Noir puledro, scalpitante, giovane, da attendere per una migliore “amalgama” di tutte le sue ricche componenti. 88/100
AOC ALSACE GEWÜRZTRAMINER 2018 COEUR DE CRU BIO
Campione non recensito per difetto nel re-imbottigliamento in formato “mignon”.
DOMAINE CELINE METZ
AOC ALSACE GRAND CRU WINZENBERG RIESLING 2019
Giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso un profilo fruttato e floreale piuttosto fresco, con accenni minerali. Al palato è intenso, teso, piuttosto strutturato e caldo. Vino all’inizio del suo percorso di affinamento, ma già piuttosto godibile. 89/100
AOC ALSACE RIESLING 2019 VIEILLES VIGNES
Giallo tendente all’oro. Naso intenso, su ricordi mela verde e sottofondo minerale e vagamente speziato, con ricordi di pepe bianco, mentuccia ed erbe aromatiche. Palato sorprendentemente morbido in ingresso, con la frutta matura a polpa gialla a dominare il sorso. Vino che si tende in centro bocca su una vena sapido-minerale, oltre che sulla freschezza. Vino nel complesso generoso, gastronomico. 90/100
AOC ALSACE PINOT NOIR 2020 VIEILLES VIGNES
Rubino mediamente penetrabile, alla vista. Bel naso elegante, su note di ciliegia ancor più che di fragola, lampone e ribes perfettamente maturo. In bocca una bel profilo materico per la componente fruttata, controbilanciata da una elegante spalla fresco-tannica. Non solo: piacevolissimo il filo di sapidità che si allunga dal centro bocca al retro olfattivo, a rendere il quadro ancor più leggiadro e goloso, chiamando il sorso successivo. Tra i Pinot Nero più immediati, godibili e meno “disturbati” dall’alcol dell’annata in degustazione, peraltro con ottime prerogative di ulteriore affinamento in bottiglia. 91/100
AOC ALSACE PINOT GRIS 2021 RESERVE DE LA DIME BIO
Alla vista si presenta di un giallo paglierino molto intenso. Naso sul frutto: agrumi, pesca gialla, mela. Sorso piuttosto lineare, sul frutto controbilanciato da una buona freschezza. 88/100
DOMAINE EDMOND RENTZ
AOC ALSACE RIESLING 2021 LES COMTES
Paglierino, riflessi dorati. Naso e palato delicati, precisi, giocati sull’eleganza del floreale e di un frutto polposo, ancora croccante, più che sui risvolti minerali del riesling alsaziano. Vino che premia la beva, non senza mostrare ottime doti di abbinamento. 89/100
AOC ALSACE GRAND CRU SONNENGLANZ RIESLING 2021
Giallo paglierino, luminoso. Naso goloso, che abbina le tipiche note minerali “alsaziane” a un frutto polposo, di buccia gialla più che bianca. In sottofondo un profilo mentolato, talcato, balsamico. In bocca la beva è agile e fresca, ben avvolta nella vena glicerica. Un’interpretazione di Sonnenglanz che premia la beva, senza troppi fronzoli. 88/100
AOC ALSACE PINOT NOIR 2020 PIÈCE DE CHÊNE
Rubino mediamente penetrabile alla vista. Frutta rossa matura che tinge anche di scuro, con ricordi di prugna disidratata sulla fragola, il lampone e la ciliegia matura. Ben presenti anche note tostate, terziarie. Al palato l’alcol graffia (15%) e tinge di amaro l’esuberanza del frutto. Retro olfattivo sotto spirito, eleganza del vitigno perduta. Vino fuori dai tempi. 82/100
AOC ALSACE GEWÜRZTRAMINER 2021 ROTENBURG
Giallo paglierino intenso, alla vista. Bel profilo aromatico al naso, aromatico e senza sbavature. Frutta esotica che si ripresenta in perfetta corrispondenza al palato, controbilanciata da una freschezza viva, ma slegata. Ancor più solitario l’alcol: 14% in volume “respirabili” uno ad uno nel retro olfattivo. 84/100
SIPP MACK VINS D’ALSACE
AOC ALSACE GRAND CRU ROSACKER RIESLING 2020 BIO
Giallo paglierino. Vino dal profilo vibrante, sin dal naso in cui freschezza e frutto di perfetta maturità hanno il sopravvento sulla mineralità, pur netta. Agrume, mela, pesca gialla si alternano sul palco anche al palato, golose. Lavora bene sulla vena glicerica la matrice sapida del nettare, regalando un sorso giocato su piacevolezza ed equilibrio. Vino che chiude asciutto, minerale, chiamando il sorso successivo. Buona prova, anche in prospettiva. 90/100
AOC ALSACE RIESLING 2019 VIEILLES VIGNES BIO
Bel giallo paglierino luminoso. Naso che abbina sensazioni agrumate e minerali verticali a terziari rotondi, composti. Splendida concentrazione del frutto a polpa gialla. Vino di buona struttura, di perfetta corrispondenza gusto olfattiva. Giovanissimo, come conferma l’acidità viva. Lungo e asciutto il finale, su tinte agrumate e leggermente sapide. 91/100
AOC ALSACE PINOT BLANC 2021 TRADITION BIO
Bel giallo paglierino, con leggeri riflessi verdolini. Naso tipico del vitigno, con richiami esotici. Palato in perfetta corrispondenza, per un vino che premia la morbidezza, nonostante il profilo fresco-balsamico. 88/100
AOC ALSACE PINOT GRIS 2021 TRADITION BIO
Giallo paglierino, leggerissimi riflessi ramati. Naso conturbante nel bel gioco tra le classiche note fruttate del vitigno e un bel corredo d’erbe aromatiche e spezie. In bocca una perfetta corrispondenza, per un vino di un certo carattere e di sicura piacevolezza. 89/100
DOMAINE VINCENT SPANNAGEL
AOC ALSACE RIESLING 2020 CUVÉE HUGO
Giallo paglierino. Fiori, frutto e mineralità “pietrosa” si dividono il palco al naso. Più spazio al frutto (agrumi canditi, mela, ma anche pesca gialla) in ingresso di palato. Centro bocca fresco, minerale. Chiusura di sufficiente persistenza, su ritorni di mandarino maturo. Vino che, con le sue caratteristiche, risulta piuttosto immediato, premiando la beva senza discostarsi dalla tipicità del terroir alsaziano. 89/100
AOC ALSACE GRAND CRU WINECK-SCHLOSSBERG RIESLING 2020
Giallo paglierino intenso. Naso che esprime una buona concentrazione delle note fruttate, avvolte in un profilo minerale. In bocca verticalità controbilanciata dal frutto maturo e dalla vena glicerica. Chiude nel gioco tra mineralità e accenni mielati, in un quadro di gran piacevolezza. Vino di ottima prospettiva. 91/100
AOC ALSACE GRAND CRU WINECK-SCHLOSSBERG MUSCAT 2019
Giallo paglierino. Naso aromatico, come nelle migliori aspettative. Alle note fruttate golose e ai ricordi di salvia abbina terziari composti e ricordi minerali. Vino che si conferma di gran gastronomicità al palato, nella capacità di riproporsi al contempo aromatico e teso, grazie a una bella spalla fresco-acida e ai richiami salini che contraddistinguono la chiusura. Attenzione al potenziale d’invecchiamento: ha tutto per evolversi e regalare grandi sorprese negli anni a venire. 91/100
AOC ALSACE GRAND CRU WINECK-SCHLOSSBERG GEWÜRZTRAMINER 2020
Bel giallo dorato, luminoso. Bella prova in termini di espressione dell’aromaticità del vitigno, senza eccessi. Anzi, il retro olfattivo, dai richiami leggermente fenolici, aiuta la beva e chiama il sorso successivo. Un nettare che punta tutto sulla piacevolezza e su un’esecuzione golosa del Gewürztraminer. 90/100
ALLIMANT LAUGNER
AOC ALSACE GRAND CRU PRAELATENBERG RIESLING 2019
Giallo paglierino. Vino che abbina, in un quadro di perfetta corrispondenza naso-bocca, ricordi agrumati e di frutta fresca a polpa gialla (pesca) a un profilo minerale e fresco di buona vivacità. Chiude su una vena sapida e su un frutto goloso in gran equilibrio, capaci di chiamare il sorso successivo. 92/100
AOC ALSACE GRAND CRU PRAELATENBERG RIESLING 2014
Bel giallo oro, luminoso. Primo naso su una netta vena agrumata, freschissima, tanto da distogliere l’attenzione dal fatto che si tratti di un vino di quasi 10 anni. Naso che continua ad aprirsi e che chiama il tempo per lasciarsi capire. Ecco il frutto farsi più ricco, così come spezia e balsamicità farsi sempre più profonde, in un contorno che spazia dallo iodico all’idrocarburo, sino a vaghi ricordi di fumé e di pietra bagnata. Ancor più in sottofondo, fiori secchi di camomilla.
Il palato esalta, in un tutt’uno, tutto quanto anticipato dal naso. Riecco i contorni agrumati, la polpa gialla in tutta la sua succosità. Riecco anche la vena sapida, iodica, minerale, a fare da spina dorsale al sorso insieme a una freschezza invidiabile. Allungo deciso, elegantissimo, verso tinte balsamiche. Vino che, a dispetto dell’età, ha ancora una gran vita davanti. Manifesto d’Alsazia. 95/100
AOC ALSAZIA GEWÜRZTRAMINER 2020
Splendida interpretazione del vitigno, all’insegna di un’eleganza assoluta che non rinuncia a mostrare e amplificare tutte le singole caratteristiche del Gewürztraminer: dai fiori di sambuco e di rosa al litchi e alla salvia, dal corredo di frutta esotica che si allarga ad ananas, mango e papaia a una freschezza inebriante, sul filo di una sapidità golosissima. Vino manifesto del vitigno che mostra quanto si possa affermare un concetto e aver ragione, senza gridarlo. Un Gewürztraminer che sprizza tipicità da tutti i pori, senza uscire dai binari di una compostezza straordinaria. 95/100
AOC ALSAZIA PINOT NERO 2020
Rubino piuttosto intenso, alla vista, pur penetrabile. Naso delicato, oltre al frutto (amarena più che ciliegia, con ribes nero e fragolina) presenta note tostate. Le stesse che si ripresentano al palato, sotto forma di un tannino leggermente polveroso, su ritorni di cioccolato e biscotto. Vino, al momento, da aspettare, ma su cui scommettere per una positiva evoluzione. 90/100
LES FRERES ENGEL
AOC ALSAZIA RIESLING 2020 BIOLOGICO
Giallo intenso, tendente al dorato. Naso sulla mela gialla e sugli agrumi, in particolare sul mandarino maturo. Attacco di bocca piuttosto secco e fresco, prima che il frutto riprenda in mano il timone del sorso. Chiude fresco, leggermente sapido, chiamando il sorso successivo. 88/100
AOC ALSACE GRAND CRU PRAELATENBERG RIESLING 2019 BIOLOGICO
Giallo paglierino, con qualche riflesso verdolino. Naso teso, verticale, con le sue note agrumate e di mela verde appena matura e ricordi umami. Al palato presenta un corredo di frutta matura ben controbilanciata dalla vena asciutta tipica del suolo, roccioso (gneiss). Vino con buone prospettive. 90/100
AOC ALSAZIA PINOT GRIGIO 2021 BOCKSBERG BIOLOGICO
Giallo paglierino. Nel naso per questo Pinot Grigio, di gran carattere. Alle note di frutta matura, a polpa bianca e gialla (pesca, pera, mela) abbina una sferzante venatura mentolata e speziata. In bocca è altrettanto generoso nell’espressione del frutto e mostra una certa struttura. Vino molto giovane, da attendere oppure godere oggi nella sua esuberanza fruttata. Unico neo: un alcol importante che si percepisce nel retro olfattivo, disturbando l’equilibrio. 89/100
AOC ALSAZIA PINOT NERO 2021 BIOLOGICO
Bel rubino alla vista. Naso sulla frutta fresca, a bacca rossa: ribes, lampone, ma ancor più fragola matura. In sottofondo ricordi fumé e un floreale di rosa. Sorso in perfetta corrispondenza, pur meno “goloso” in termini di maturità della frutta rossa: concetto stressato ancor più da una freschezza viva, controbilanciata da un alcol che si potrebbe controllare meglio. 86/100
PAUL GASCHY
AOC ALSAZIA RIESLING 2016 EGUISHEIM BIOLOGICO
Giallo dorato. Naso teso, su ricordi minerali e di frutta matura. Non mancano venature di spezie orientali, calde, in contrapposizione con note fresche, mentolate. Anche il palato è in equilibrio grazie ai contrasti: alla texture burrosa risponde una freschezza invidiabilissima, per un vino vivo, ancora in evoluzione. Ottima la persistenza, così come il gradiente di gastronomicità. 94/100
AOC ALSACE GRAND CRU EICHBERG RIESLING 2015 BIOLOGICO
Giallo dorato, alla vista. Naso generoso, su note floreali fresche e frutta a polpa bianca e gialla, matura. Più in sottofondo note sapide e minerali e ricordi di idrocarburo. Palato in perfetta corrispondenza: alle precisissime note di frutta matura rispondono una freschezza vibrante e ritorni minerali che costituiscono la vera spina dorsale del sorso. Vino di terroir, profondamente legato all’Alsazia, all’annata e al suolo. 94/100
AOC ALSACE GRAND CRU EICHBERG PINOT GRIGIO 2019 BIOLOGICO
Giallo paglierino intenso. Un altro vino di gran carattere e con qualche anno sulle spalle per questa cantina, che dimostra di avere un approccio singolare all’Alsazia e ad ognuna delle sue varietà simbolo, ben oltre il Riesling. Il risultato è un Pinot Grigio burroso e dominato dal frutto, eppure fresco e “nervoso” nel profilo acido. Buon allungo, sulla piacevolezza del frutto. 90/100
Campione non recensito per difetto nel re-imbottigliamento in formato “mignon”.
CAVE VINICOLE DE HUNAWIHR
AOC ALSACE GRAND CRU ROSAKER RIESLING 2021
Giallo paglierino, riflessi dorati. Naso dal profilo aromatico oltre che minerale. La frutta è particolarmente matura, addirittura esotica: netta la banana, su ricordi di ananas, papaia. Perfetta corrispondenza in ingresso di bocca, poi il nettare si tende su acidità e leggera vena sapida, prima di chiudere asciutto. Un progilo giovane generoso per questo vino, che sembra improntato alla beva. 87/100
AOC ALSAZIA RIESLING 2021 MÜHLFORST
Giallo paglierino intenso, alla vista. Al naso si rivela intenso sul frutto, una mela gialla matura, oltre all’agrume. Più in sottofondo la tipica nota minerale, che si fa comunque sempre più avanti con l’ossigenazione. Perfetta corrispondenza in ingresso di bocca, poi il nettare si tende sulla freschezza prima del finale sapido, minerale. Vino giovane, improntato sulla piacevolezza di beva. 89/100
AOC ALSAZIA PINOT NERO 2019 CUVÉE 8
Bel colore, rubino luminoso, penetrabile alla vista. Profilo fruttato intenso al naso, con note di uvetta passa e prugna disidratata accanto a ciliegia matura, lampone e fragola. Al palato un’acidità viva controbilancia l’opulenza del frutto. Ben usato il legno, che aggiunge carattere e note a un vino tutto sommato sottile in sua assenza. Buone chance a tavola in termini di gastronomicità. 88/100
AOC ALSACE GRAND CRU ROSAKER GEWÜRZTRAMINER 2020
Giallo dorato. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva. Bel naso e sorso goloso, tra la frutta polposa, matura, una mineralità gessosa e una freschezza viva, che contribuisce a rendere elegante il nettare. 89/100
Giallo paglierino intenso, riflessi dorati leggeri. Naso su chiare tinte d’agrume e frutta perfettamente matura, a polpa gialla e bianca. Leggero accenno di idrocarburo, quasi impercettibile ma presente, se si presta particolare attenzione. In bocca abbina alla morbidezza del frutto una freschezza e una mineralità viva. Entra piuttosto setoso, per poi tendersi dal centro bocca al lungo finale. Vino molto giovane, all’inizio della sua vita. 92/100
Giallo paglierino, alla vista. Naso e bocca in gran corrispondenza, su note burrose e agrumate, con sottofondo minerale tipico. Palato che risulta altrettanto equilibrato, senza nascondere una certa struttura. Buon potenziale. 90/100
Giallo dorato, alla vista. Naso e palato in perfetta corrispondenza, anche con lo stile di questa cantina che riesce, come poche, ad abbinare cremosità e carattere in tutti i suoi vini. Concentrazione degli aromi gestita con grande maestria, controbilanciandola con una vena fresco-acida decisa e una trama vagamente tannica che invita al sorso successivo. Bella la chiusura, asciutta, capace di chiamare il sorso successivo. 92/100
AOC ALSACE PINOT NOIR 2019 COEUR DE DRAGON (VINO BIODINAMICO)
Bel rubino mediamente carico. Vino che ha bisogno di aria per esprimersi al meglio, al naso. Poi ecco frutta e suolo, nel consueto gioco che ama tanto Samuel Tottoli. Oltre all’atteso apporto di frutti rossi come le fragoline di bosco, il ribes e il lampone appena maturo, ecco ricordi agrume rosso e tamarindo su un sottofondo balsamico, talcato, mentolato.
La leggera punta selvatica, che ricorda l’espressione di Pinot Noir di altre zone francesi, non disturba un quadro fortemente legato al vitigno. Riecco al sorso proprio quella nota, che si tinge di brace e fumé, senza però disturbare l’incedere di un frutto polposo, preciso, croccante, goloso. Sorso scorrevole, al contempo caratteriale, per un Pinot Nero che chiude su ricordi di liquirizia dolce, sul filo di una sottile trama tannica. 94/100
DOMAINE PAUL KUBLER
AOC ALSACE RIESLING 2020 LES PIERRIERS
Giallo tendente all’oro, alla vista. Vino che si apre con l’ossigenazione, risultando piuttosto timido appena versato. Si fa avanti con una certa decisione, quindi, la nota pietrosa, minerale, su un frutto di bella aromaticità che spazia dalla pesca gialla all’agrume. Più in sottofondo, una leggera venatura burrosa e una speziatura delicata, orientale.
In bocca è più teso di quanto il naso lasci trasparire, ma le note si ripresentano tutte, in un quadro di gran stratificazione. Agrumi, mela verde danzano con i ricordi di spezie in un palato giocato sull’essenziale espressione di ogni nota, in un quadro complesso e di una certa potenza. Vino giovanissimo, da dimenticare in cantina e riscoprire negli anni a venire. 93/100
AOC ALSACE RIESLING 2019 BREITENBERG
Bel giallo paglierino, piuttosto intenso. Naso di gran stratificazione, che si allarga dalle precise e conturbanti note minerali a un frutto aromatico, di gran precisione. Nel mezzo, note erbacee e speziate che aggiungono verve, vitalità ed elettricità, oltre una certa caratterizzazione balsamica, talcato-mentolata.
Ingresso di bocca sulla piacevolezza della frutta a polpa gialla, perfettamente matura. Dal centro bocca il nettare di tende come un arco su un’acidità d’agrume e su ritorni minerali gessosi. È la vittoria del suolo, nel calice. Grandissimo carattere per questo Riesling che lascia il segno in batteria. Gran vita davanti. 96/100
AOC ALSACE SYLVANER 2018 GRAND Z LA PETITE TÊTE AU SOLEIL
Alla vista di un giallo paglierino luminoso, con riflessi verdolini. Naso ampio e stratificato, come di rado accade ai Sylvaner. Alle tipiche note fresche, di erbe aromatiche, risponde una speziatura elegante e un frutto a polpa bianca (mela), croccante. In bocca è sapido, teso, eppure al contempo goloso grazie al frutto perfettamente maturo (più che al naso) e alla verve che il sapiente utilizzo del legno riesce a conferire al nettare. Splendido allungo, elegantissimo, su note di burro salato e ritorni di spezie. Un’interpretazione galattica del vitigno. 93/100
AOC ALSACE GRAND CRU ZINNKOEPFLE GEWÜRZTRAMINER 2020
Bel paglierino luminoso, piuttosto intenso, che non vira tuttavia ancora in maniera poi così decisa sul dorato, lasciando presagire una certa gioventù del nettare. Al naso è golosissimo, eppure senza la minima sbavatura dolciastra (rischio dietro l’angolo per i vini prodotti con questa varietà). Tutt’altro: alla frutta matura a polpa gialla si contrappone una bella vena fresca, mentolata, con ricordo netto di salvia appena colta dal giardino.
L’ossigenazione, consigliatissima, libera anche accenni di liquirizia. In bocca è un Gewürztraminer opulento. Nel segno di una perfetta corrispondenza col naso, non sbava. Anzi, riecco freschezza e una leggera vena sapida a riequilibrare il sorso, unita a quel ricordo delicato di radice di liquirizia, già avvertito al naso. Trionfo di eleganza e gusto, per un altro vino manifesto della “mano” del produttore. 94/100
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Una Fiera dei Vini a Piacenza, una settimana prima del Mercato dei vini e dei Vignaioli Fivi di Bologna. Non si è fatta attendere la reazione di Piacenza Expo alla decisione del management Fivi di muovere le tende nella nuova location fieristica, più adatta a rispondere alle necessità crescente di spazi. Curiosa, per svariati motivi, la formula della nuova manifestazione.
Si svolgerà su tre giorni, da sabato 18 a lunedì 20 novembre a Piacenza Expo, proprio come il primo Mercato dei Vignaioli, in programma a Bologna dal 25 al 27 novembre. Ma, a differenza dell’evento Fivi, non ci sarà «nessuna preclusione su appartenenze associative o natura giuridica».
L’INCARICO ALL’EX UFFICIO STAMPA FIVI
«Unico faro sarà la qualità della proposta offerta al visitatore», recita il comunicato stampa affidato da Piacenza Fiere a Studio Cru, agenzia di comunicazione veneta che si è vista soffiare l’incarico di ufficio stampa Fivi dalla milanese Origami Consulting , a pochi mesi dall’annuncio del passaggio da Piacenza a Bologna.
A «garantire la qualità della proposta» sarà un non meglio precisato «comitato scientifico, che esaminerà le candidature pervenute al fine di mantenere uno standard di prim’ordine». Ancora incerto il target della nuova Fiera dei Vini di Piacenza, definita da Studio Cru «mostra mercato», al pari del Mercato Fivi.
Le aziende che intendono proporre la propria candidatura – recita la nota stampa approvata da Piacenza Expo – potranno pre accreditarsi sul sito XXX (omissis, ndr) a partire dal 15 marzo 2023. La quota d’iscrizione sarà differenziata in base alle dimensioni produttive, in un’ottica di inclusività che da sempre contraddistingue Piacenza».
NUOVO MERCATO DEI VINI DI PIACENZA: DENTRO TUTTI
La manifestazione è «pensata per far scoprire a un pubblico di appassionati winelovers nuove aziende e nuovi territori, attraverso un percorso di visita comodo e funzionale che mette al centro l’esperienza del visitatore». «Come da tradizione – aggiunge Studio Cru per conto di Piacenza Expo, facendo così un chiaro riferimento allo storico Mercato Fivi di Piacenza – sarà possibile acquistare i vini degustati, grazie a un format collaudato nato proprio a Piacenza».
Spazio poi alla pubblicità vera e propria: «Caratteristiche e dimensioni dell’Expo ne fanno la struttura ideale per questo evento. Un luogo a misura d’uomo dove è facile arrivare e raggiungere con il carrello pieno di acquisti il parcheggio gratuito. Piacenza inoltre vanta una posizione geografica altamente strategica e una creatività comunicativa che ha prodotto significativi risultati nei riscontri in termini di pubblico».
«Non mancheranno nella manifestazione momenti di approfondimento – termina il comunicato stampa – con masterclass e un intero padiglione dedicato a un’attenta selezione di produttori gastronomici e agroalimentari che prepareranno piatti da gustare in loco e offriranno prodotti da acquistare e portare a casa anche in vista delle festività natalizie». Insomma: dentro tutti e tutto. Da Caviro a La Stoppa. Finché ce n’è. Finché si può.
Addio Piacenza: il Mercato Fivi 2023 si sposta a Bologna
Addio Piacenza il Mercato Fivi 2023 si sposta a Bologna. La scelta della Federazione italiana vignaioli indipendenti per un’altra location
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Non c’è pace per il Consorzio Vini del Sannio e per il suo presidente Libero Rillo. Dopo aver dribblato la richiesta di dimissioni avanzate da tre associazioni di categoria per “abuso di potere”, il numero uno dell’ente beneventano deve fronteggiare niente meno che Federdoc. Alla Confederazione nazionale Consorzi volontari Tutela Denominazioni Vini italiani non piace la decisione del Consorzio campano di apporre il contrassegno di Stato anche ai vini Igt del Sannio. Un provvedimento che – una volta entrato in vigore, verosimilmente a partire dal 2024 – rischierebbe di confondere i consumatori, tra vini Doc e vini Igt. Elevando lo “status” dei secondi, nonostante le maglie più larghe dei relativi disciplinari di produzione.
Secondo i rumors raccolti in esclusiva da winemag.it, Federdoc avrebbe richiesto la sospensiva del provvedimento, in attesa di maggiori delucidazioni da parte del Ministero. Già perché è stata proprio Roma ad avallare la richiesta di Libero Rillo e del Consorzio Vini del Sannio. Una decisione che ha colto di sorpresa Federdoc, a quanto pare neppure consultata dal Ministero sull’argomento. L’ente campano, dal canto suo, ha sfruttato Coldiretti per presentare in pompa magna, il 28 gennaio scorso proprio nella capitale, l’innovativo (e controverso) progetto di valorizzazione e tutela dei vini a Indicazione geografica protetta (Igp) del Sannio.
FASCETTE DI STATO SUI VINI IGT DEL SANNIO: FEDERDOC PERLESSA DAL MINISTERO
Presenti alla firma del protocollo d’intesa a Palazzo Rospigliosi, insieme con Libero Rillo, gli amministratori delegati di Agroqualità e dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Enrico De Micheli e Francesca Reich, nonché il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. Un’intermediazione, quella di Coldiretti, richiesta da Libero Rillo senza consultare l’assemblea del Consorzio, scatenando così l’ira delle altre tre associazioni di categoria dei produttori e vignaioli beneventani (Confagricoltura, Cia e Unicaa Benevento).
Da qui la richiesta di dimissioni, risolta entro poche settimane a tarallucci e vino. Con la promessa futura di un atteggiamento super partes da parte di Rillo nei confronti di tutte le compagini. Ben più delicata pare la questione Federdoc, che difficilmente si risolverà senza passare nuovamente da Roma e dal Ministero. La Confederazione presieduta da Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, sempre secondo rumors di winemag.it, starebbe mettendo in discussione proprio l’ok del Ministero alle fascette di Stato sui vini Igt del Sannio. Un’ipotesi inclusa nel Testo unico del vino, senza tuttavia alcun decreto attuativo. Ed è proprio su questo dettaglio che si gioca la partita.
COSA PREVEDE L’ACCORDO PER I VINI IGT DEL SANNIO
L’accordo di durata triennale tra il Consorzio Vini del Sannio e gli altri attori prevede «l’utilizzo da parte di tutti i produttori della denominazione “Benevento Igt” di un sistema di sicurezza e garanzia costituito dall’applicazione di un sigillo antifrode sulle bottiglie di vino e sull’utilizzo dell’app – Trust your Wine®, che permette al consumatore di ottenere informazioni a garanzia della #qualità certificata del prodotto, della Filiera e del territorio di origine aprendo uno spazio di comunicazione diretto ed innovativo fra produttore e consumatore».
Il comparto vino – spiegava a Roma Libero Rillo – è uno dei settori di punta nell’economia agricola beneventana, capace di superare positivamente anche le notevoli difficoltà di questi ultimi anni. Alla base della solidità del settore c’è sia l’elevata qualità media dei vini, oramai riconosciuta a livello nazionale e internazionale, sia l’intraprendenza delle nostre cantine, capaci di valorizzare il grande potenziale di identità e autenticità locale».
Sempre secondo il presidente del Consorzio Vini del Sannio, «l’adozione di questo sistema di anticontraffazione, tracciabilità e valorizzazione per vini Benevento Igt, ci consentirà di ottenere la completa tracciabilità di ogni partita di vino immessa sul mercato, al fine di tutelare consumatori e operatori, che in questo modo potranno ottenere informazioni a garanzia della qualità certificata del prodotto, della Filiera e del territorio di origine; dall’altro garantirà le stesse imprese vitivinicole, che in ogni momento saranno in grado di fornire certezze sulle proprie produzioni».
Consorzio Tutela Vini del Sannio: Libero Rillo non si dimette
Consorzio Tutela Vini Sannio: Libero Rillo non si dimette. Pace fatta con le associazioni di categoria Confagricoltura, Cia e Unicaa Benevento
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Tu chiamale, se vuoi, reazioni. A catena. Mentre Vinitaly perde Banfi e Fantinel per l’edizione 2023, Prowein si presenta a Roma per una conferenza stampa definita da molti osservatori “auto-celebrativa”, di quelle incapaci di nascondere un certo nervosismo interno, anzi in grado di amplificarlo. Veronafiere, di fatto, pare non essere l’unica “sotto scacco” in questi anni difficili in cui la parola d’ordine è «snellire» (la gestione, ça va sans dire).
A dimostrarlo è proprio tentativo di contropiede, piuttosto goffo, di Messe Düsseldorf nella capitale italiana, quasi per provare a distrarre il pubblico dal rumore delle “cannonate” provenienti da Parigi, con Wine Paris / Vinexpo Paris – Vinexposium unica fiera internazionale del settore del vino ad aver guadagnato consensi, persino negli anni duri della pandemia (provare per credere chiedendo commenti a chi c’è stato).
Il colpo assestato da Banfi a Veronafiere fa ancora più rumore nel silenzio (complice) calato attorno alla decisione del colosso fondato nel 1978 dai fratelli italoamericani John e Harry Mariani. A riportare la notizia a dovere (oltre a winemag.it, adesso) è solo il portale locale MontalcinoNews, tra i cui sponsor figura proprio Banfi. Difficile dunque pensare a uno scoop giornalistico; più facile ipotizzare la decisione di veicolare solo a livello locale la notizia, per evitare incidenti “politici” (ops!).
BANFI A VINITALY: FORMAT FIERISTICO NON ALLINEATO CON LE ESIGENZE MODERNE
«Dopo tanti anni Banfi non parteciperà alla prossima edizione di Vinitaly» e a «spiegare questa decisione testata toscana è Rodolfo Maralli, presidente e direttore Sales & Marketing Worldwide Banfi. «Sicuramente – si legge – non è stata una scelta facile quella di non partecipare al Vinitaly. Ci siamo sempre stati, ininterrottamente, con grande entusiasmo, portando numerose persone e allestendo anche un grande stand multimediale. Ringraziamo Vinitaly perché se siamo diventati grandi è anche grazie a loro e il rispetto rimane immutato».
Abbiamo però ritenuto di fare un passo indietro perché riteniamo che il format fieristico, in particolar modo nei mercati più maturi, non sia più allineato alle nostre esigenze ed a quelle del consumatore moderno, legato sempre più alle esperienze a contatto con i luoghi di produzione e all’ospitalità su cui punteremo sempre di più».
ANCHE FANTINEL NON PARTECIPERÀ A VINITALY 2023
Banfi si presenterà comunque a Vinitaly il prossimo 3 aprile, ma nei padiglioni della Toscana e del Piemonte, in cui è prevista «una giornata formativa come Fondazione Banfi con un approfondimento sul Sangiovese che da sempre è al centro del nostro progetto Sanguis Jovis». Il gruppo toscano non è comunque il solo a rinunciare a Vinitaly 2023. Tra gli altri, mancherà anche la friulana Fantinel, che non ha tuttavia rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale.
Avvisaglie dei malumori del gruppo toscano nei confronti della manifestazione cardine di Veronafiere si erano verificate già lo scorso anno. «Rispetto alle edizioni passate – faceva notare la Ceo Cristina Mariani May – è mancata una buona parte dei mercati asiatici, dell’Est europeo, naturalmente la Russia, e anche dei mercati del Centro America e del Sud America. La nostra azienda è stata visitata da molti clienti italiani ed europei meno dagli Usa e Canada». Tu chiamale, se vuoi, reazioni. A catena.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
In Toscana c’è una cantina che produce un Pinot Nero da favola. Si tratta di Frascole, piccola realtà di Dicomano, in provincia di Firenze. Il suo Igt Toscana Pinot Nero sorprende (almeno) due volte. La prima perché si tratta di un “vino naturale” che mette da parte “puzzette” e alibi ormai retaggio dei vignaioli più bravi a vender “fuffa per ultras” che a produrre “vino” degno di questo nome; la seconda perché la piccola produzione di Pinot Nero prende vita nell’area del Chianti Rufina, mai così vicina ai canoni stilistici della Borgogna, tra Val di Sieve e Mugello.
Siamo in alta collina. Vigneti e oliveti sono posti tra i 300 e i 500 metri di altitudine, quali appendici dell’Appenino toscano. Agricoltura biologica e artigianalità – in vigna e cantina – consentono a Frascole di produrre «vini autentici ed originali». Ciliegina sulla torta sono la pratica e gli studi compiuti in Borgogna da Cosimo Lippi, figlio di Elisa Santoni ed Enrico Lippi, fondatori della cantina di Dicomano, attiva dal 1992.
IL TOSCANA IGT PINOT NERO 2018 DI FRASCOLE
Due le annate di Igt Toscana Pinot Nero di Frascole in degustazione a Vi.Na.Ri – Vignaioli Natuali riuniti, evento che ha visto per la prima volta insieme i produttori delle due associazioni Vinnatur e Vi.te – Vignaioli e Territori, lo scorso 12 e 13 febbraio, a Milano.
Se la 2017 è da considerare come un’altra annata di studio del vitigno, il Pinot Nero 2018 di Frascole – in commercio a partire dalla prossima primavera – è un punto d’arrivo, segnato in maniera netta dalla giovane mano e dalla fresca firma di Cosimo Lippi.
Oltre alla vendemmia compiuta insieme alla famiglia, il 27enne winemaker ha partecipato nel 2020 all’assemblaggio dell’annata 2018, nel bel mezzo della sua esperienza formativa e professionale in Borgogna: laurea magistrale all’Université de Bourgogne di Dijon, in Côte-d’Or, ed esperienze in tre diverse piccole cantine locali (Meo Camuzet, Jacques Prieur e Hubert Lignier, senza dimenticare Cave de Tain nella Valle del Rodano).
L’AMORE DI COSIMO LIPPI PER LA BORGOGNA
Il Pinot Nero – racconta Cosimo Lippi a winemag.it – è un vitigno che esprime al massimo la mia idea di vino che deve essere elegante, raffinato e di gran beva. La Borgogna è la sua terra d’elezione ed ero sicuro di poter esplorare quell’approccio all’enologia poco interventista, che privilegia il lavoro in vigna, molto vicino ai canoni della nostra cantina in Toscana. Un’esperienza che ha ripagato».
La produzione di Pinot Noir di Frascole, vera e propria nicchia tra gli altrettanto eleganti e raccomandati Chianti Rufina, non potrà che continuare a crescere (1.500 bottiglie nel 2016, già 2.500 nell’annata 2018; 27 euro il prezzo Horeca). Consolidandosi come punto di riferimento assoluto per il Pinot Nero della regione. E, perché no? D’Italia. Le premesse ci sono tutte.
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Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Treviso hanno sequestrato, in diverse località del territorio nazionale, 8.092 bottiglie di vodka da un litro), riportanti marchi contraffatti di due note aziende produttrici. Il valore della merce, già in commercio, è stimata in circa 1 milione di euro. Nel corso del sequestro principale, avvenuto nella zona di Treviso, i militari hanno accertato che gli alcolici erano stati venduti e distribuiti sull’intero territorio nazionale. Sono così scattati ulteriori sequestri nelle province di Vicenza, Cremona, Pesaro, Napoli, Salerno, Campobasso, Crotone, Cosenza, Reggio Calabria e Palermo.
Attraverso una serie di perquisizioni e sequestri nelle province di Milano, Torino e Roma, i finanzieri del Gruppo di Treviso hanno poi tracciato la vendita di altre 21.466 bottiglie di vodka a numerosi commercianti di diverse Regioni italiane, con l’obiettivo di ritirare dal mercato i prodotti contraffatti.
Gli inquirenti parlano di «modalità particolarmente sofisticate» per la contraffazione dei due marchi di vodka, prodotta in Georgia e venduta da un’azienda rumena ad alcuni importatori con sede a Milano e Torino. Sarebbero stati questi ultimi ad introdurla in Italia tramite un deposito fiscale olandese.
Secondo il Rapporto Iperico 2022, elaborato dalla Direzione Generale per la Tutela della Proprietà Industriale – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, tra il 2008 e il 2021 le forze dell’ordine hanno svolto quasi 208 mila interventi a contrasto della contraffazione, sequestrando circa 617 milioni di articoli falsificati, per un valore economico stimato di oltre 5,9 miliardi di euro.
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Mentre l’Europa e il mondo discutono più di guerra che di pace, di Berlusconi e del Ppe, di Zelensky e di Putin, di Macron e di Scholz, a Kiev andrà in scena, quasi come se niente fosse, la Wine&Spirits Ukraine 2023. Già perché, come ricordano gli organizzatori in esclusiva a winemag.it, «durante il periodo di guerra, solo a Kiev, sono stati aperti più di 100 nuovi ristoranti». E alla fiera sono quindi attesi «3 mila visitatori nazionali».
Si tratta della più importante iniziativa del settore del vino ucraino, in programma dal 29 al 31 marzo, nel pieno del conflitto tra Russia e Ucraina. Gli espositori, sempre secondo l’organizzazione, dovrebbero essere oltre 70, «per lo più cantine ucraine e alcuni importatori». Non ci saranno produttori internazionali, «per motivi di sicurezza».
Abbiamo appena iniziato i preparativi – continuano gli organizzatori – al giorno d’oggi siamo abituati a pianificare a breve termine, perché non si sa mai cosa succederà domani. Ma abbiamo un forte interesse da parte degli acquirenti ucraini, tra rivenditori e ristoratori. Gli ucraini sono inarrestabili».
«NIENTE MASCHERINE, MEGLIO ANTIPROIETTILI E DRONI»
La Wine&Spirits Ukraine 2023 prevede, oltre all’esposizione, anche un concorso dei vini nazionale. Solo giudici ucraini, « non ci saranno giudici internazionali, anche in questo caso per motivi di sicurezza». E in caso di allarme aereo?
«Tutti i visitatori e gli espositori – spiegano gli organizzatori a winemag.it – si recheranno in un rifugio sotterraneo attrezzato nel Centro espositivo internazionale Міжнародний Виставковий Центр di Kiev, il più grande centro congressi dell’Ucraina, per continuare le trattative e le degustazioni». Ma perché organizzare la Fiera e il Concorso in queste condizioni?
«La decisione di tenere l’edizione durante la guerra non è stata facile – replicano gli organizzatori – ma l’impresa deve funzionare, l’economia deve andare avanti. E i vini ucraini devono essere presentati in tutti i negozi e ristoranti del mondo, prima di tutto in quelli dell’Ucraina. Mascherine e certificati Covid questa volta non servono, meglio munirsi di antiproiettile e droni: sappiamo dove mandarli». Buona fortuna.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Ti piacciono i vini rossi e corposi come ad esempio l’Amarone? Scopri la qualità superiore del Molise». Circola su Facebook e sta creando non poco clamore in Valpolicella il video spot ad opera di una cantina molisana. Per spingere le vendite del vino prodotto con il vitigno autoctono Tintilia, i due titolari ricorrono dapprima alla comparazione con l’Amarone della Valpolicella – vino italiano Docg prodotto esclusivamente in Veneto, in provincia di Verona – per poi parlare di «qualità superiore», riferendosi alla varietà tipica della piccola regione del centro Italia, che dà vita a un vino Doc nelle due province di Campobasso e Isernia.
Il riferimento diretto all’Amarone Docg compare non solo nel video spot promozionale, ma anche nel testo che accompagna la “sponsorizzata” della cantina molisana (nella foto in basso). «Molti amano l’Amarone – si legge – altri hanno già scoperto la Tintilia Doc del Molise».
Un altro colpo per il re dei vini della Valpolicella, la cui assoluta notorietà viene utilizzata al solo scopo di favorire le vendite dell’autoctono molisano, giocando forse su una presunta assonanza stilistica; ma lasciando intendere, ancora una volta, che la Tintilia sia «superiore» all’Amarone.
Pubblichiamo sopra solo lo stralcio saliente del video – che dura in realtà ben 1 minuto e 8 secondi – per evitare di fare pubblicità alla cantina molisana e, al contempo, mostrare all’Italia intera comenon si dovrebbepromuovere un vitigno autoctono italiano con precise specificità, come la Tintilia del Molise. Prosit.
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I viticoltori di Volnay hanno votato l’abolizione dell’uso di erbicidi nelle parcelle classificate come Volnay Premier Cru. Il provvedimento, votato dall’Organisme de Gestion de Volnay (Odg) riguarda complessivi 110 ettari ed entrerà in vigore dal 2024. La sperimentazione, tuttavia, è già in corso da oltre due anni in questa zona della Borgogna. Più di 3/4 degli appezzamenti sono già diserbati meccanicamente.
È solo l’inizio della battaglia contro i pesticidi. Il voto consente ora all’Odg di rivolgersi all’Institut national de l’origine et de la qualité (Inao), affinché questa evoluzione sia registrata tra le regole del disciplinare di produzione della denominazione Volnay Premier Cru. Una mossa che farà crollare anche le ultime resistenze.
«Lo stop agli erbicidi ci è sembrato ovvio – spiega Thomas Bouley, presidente dell’Odg Volnay – perché sono in gioco la salute pubblica e ambientale. Abbiamo la fortuna di avere una denominazione di fama internazionale, ad alto valore aggiunto, che ci permette di produrre in maniera congeniale. In un contesto economico favorevole, la nostra denominazione deve oggi più che mai essere esemplare».
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Uniti nella buona e nella cattiva sorte, «per evitare l’autodistruzione». Ma ognuno a casa propria, dopo 48 ore di convivenza sotto il tetto di Studio Novanta, in via Mecenate 88/A, a Milano. Vi.Na.Ri, acronimo di Vignaioli Naturali Riuniti, evento andato in scena nel capoluogo lombardo il 12 e 13 febbraio, poteva essere la prova generale di una fusione tra le due associazioni VinNatur e Vi.Te – Vignaioli e Territori.
Invece, come confermato a winemag.it dai presidenti Angiolino Maule e Gabriele Da Prato, nonché dagli altri referenti delle due compagini Camillo Donati e Sasa Radikon, ognuno correrà per la sua strada, a partire da quest’oggi. Pur condividendo gli obiettivi.
Le premesse per l’annuncio di un matrimonio ufficiale c’erano tutte, anche durante le prime battute della conferenza stampa di presentazione di Vi.Na.Ri, in cui i 4 vignaioli si sono presentati insieme, celebrando l’unione di intenti che ha portato all’organizzazione del primo evento comune a inizio 2023.
LA «LOTTA AGLI ABUSIVI DEI VINI NATURALI»
«Siamo qui per arrivare un giorno a legiferare il vino naturale – sono state le prime parole di Maule – e mandare a casa gli “abusivi” che smettono di fare biologico o biodinamico buttandosi sul naturale per fare quel cavolo che vogliono, sapendo che non ci sono controlli. Basterebbe un’analisi dei pesticidi a uno di questi per sputtanare 20 anni di movimento dei vini naturali. È un momento storico in cui bisogna cercare di stare uniti e costruire il futuro».
VinNatur e Vi.Te, di fatto, rappresentano da sole solo una parte del variopinto panorama delle associazioni che riuniscono in Italia i produttori di cosiddetti vini naturali. Tra le realtà più importanti c’è il Consorzio Viniveri, che attraverso il presidente Paolo Vodopivec conferma a winemag.it di aver ricevuto la proposta di unire le forze a Milano, rispedendola al mittente. Le motivazioni? «Troppo complicate per essere spiegate al telefono». Tant’è.
«Ci abbiamo provato, anche intensamente – ha spiegato Sasa Radikon – a coinvolgere quelli che mancano. Ci divide la volontà. Loro, forse non hanno la stessa visione che noi abbiamo. Questo è un evento storico perché siamo riusciti a farlo. All’interno di un’associazione le teste sono molto diverse e riuscire ad organizzare un evento simile non è assolutamente semplice».
VIGNAIOLI NATURALI RIUNITI, RADIKON: «CI ABBIAMO PROVATO INTENSAMENTE»
Dobbiamo dire la verità: dal primo istante in cui abbiamo cominciato a parlare, nel periodo della pandemia – ha aggiunto il vignaiolo di Oslavia – ci siamo trovati in una condizione idilliaca(con VinNatur, ndr). Tra noi è stato molto semplice.
Sono sicuro che il futuro potrebbe essere quello di unirsi, ma è ancora presto. Al momento siamo due associazioni distinte, ognuno con concetti leggermente diversi e ci siamo riuniti per un bene comune e per il rispetto nei confronti di chi ci chiede una maggiore unità d’intenti».
Intanto, tra i beni comuni dalle due associazioni sono da annoverare 800 euro per ogni singolo produttore che ha aderito all’iniziativa meneghina Vi.Na.Ri, (in totale 150 cantine), in cambio di una postazione (tavolo e una sedia) all’evento di via Mecenate 88/A. Cifra a cui vanno sommati i 25 euro di ingresso a testa per il pubblico (ticket che saliva a 35 euro senza pre-registrazione) e i 40 euro del carnet valido per l’ingresso di due giorni.
Il lato veniale della favola infinita dei “vini naturali” che, a detta del presidente di VinNatur Angiolino Maule, «emozionano sempre e creano conversazione a tavola, a differenza dello Champagne». Vini dai quali «non si può più tornare indietro, una volta provati». Insomma, un atto di fede. Amen.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Tra le tante certezze di una formula vincente che prende il nome di Amarone Opera Prima, l’anteprima Amarone 2018 andata in scena all’inizio del mese di febbraio a Verona porta con sé un valore speciale: la vittoria del terroir dell’Amarone della Valpolicella, sul “metodo” produttivo. Se da un lato la denominazione fa squadra per vedere riconosciuto a Patrimonio immateriale Unesco la tecnica dell’appassimento delle uve, da cui l’Amarone prescinde, dall’altro sono i 19 Amarone 2018 incoronati dalla degustazione alla cieca a dimostrare dove sta andando il Re dei vini della Valpolicella.
Abbastanza per far pensare che Amarone Opera Prima 2023 sia da ricordare come l’edizione del ritorno al terroir per l’Amarone. Una conseguenza diretta della “Revolution” già chiara lo scorso anno nel timbro di molti produttori, intenzionati a presentare vini sempre meno poderosi e concentrati, a favore della freschezza e di una certa agilità di beva. Il tutto, ovviamente, senza perdere di vista la tipicità della denominazione.
La carta di identità dei vini più “performanti” parla chiaro. A quelli prodotti in Valpolicella Classica risponde sempre più la Val di Mezzane, oltre alla Valpantena e a quella che forse è la vera sorpresa dell’Anteprima Amarone 2018, ovvero la Val Squaranto (o Valle di Squaranto). Più in generale, è la rivincita della Valpolicella Orientale, che sta prendendo sempre più piede sulla cartina geografica di un Amarone di medio-alta collina.
VALPOLICELLA, NUOVA SOTTOZONA? STUDIO DEI SUOLI IN VAL DI MEZZANE
Ed è proprio in Val di Mezzane che tredici cantine hanno deciso di fare squadra, per rivendicare la loro unicità a cavallo tra gli areali vitivinicoli della Valpolicella e di Soave. Ad Amarone Opera Prima 2023 è stato dato il via a uno studio dei suoli della vallata a cura del pedologo Giuseppe Benciolini, già autore di carte dei suoli per la zonazione vinicola di Soave, Prosecco, Cartizze e Lambrusco Reggiano.
A capitanare il team è Luca Anselmi di Tenuta Falezze, che al momento ha trovato l’appoggio di Benini Alessandro, Camerani Marinella, Fraccaroli, ILatium Morini, Il Monte Caro, I Tamasotti, Le Cesete, Le Guaite di Noemi, Le Talestri, Massimago, Negri Carlo Alberto e Roccolo Grassi.
«L’obiettivo – spiega Luca Falezze – è quello di realizzare una Carta dei Suoli della Val di Mezzane, ma anche nelle aree delle singole aziende. Un passo per noi fondamentale per poter aspirare, in un futuro speriamo non troppo lontano, ad ottenere la definizione di una sottozona della Valpolicella. Crediamo fermamente nella valorizzazione della tipicità dei nostri vini in relazione al territorio e per questo abbiamo sempre lavorato».
Amarone Opera Prima 2023: i migliori dell’Anteprima 2018
Amarone Opera Prima 2023: i migliori Amarone 2018 all’anteprima del 4 febbraio alla Gran Guardia di Verona. Tutte le note di degustazione
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Il cerchio inizia a stringersi attorno all’istituzione della Doc Campania, nuova denominazione di origine controllata che avrebbe un potenziale di circa 100 milioni di bottiglie. Un argomento che anima i corridoi del vino campano, dalle cui finestre traboccano non pochi mugugni. Da settimane. Il dibattito in corso lascia infatti aperti numerosi interrogativi, farciti dalle contraddizioni dei protagonisti in gioco. Su tutti, non è chiaro se la nuova Doc andrà ad aggiungersi a quelle già esistenti, oppure se andrà a sostituirne alcune. O addirittura tutte.
In prima fila, tra i promotori della nuova Doc, c’è Regione Campania. L’assessore all’Agricoltura Nicola Caputo ha apertamente parlato di «necessità di razionalizzazione delle Doc campane del vino», il cui numero è «forse eccessivo al momento». Dichiarazioni pubbliche, rilasciate in occasione dell’edizione 2022 di Campania Stories, unico evento che consente alla stampa di degustare in anteprima le nuove annate dei vini campani. La richiesta di ulteriori delucidazioni sull’argomento avanzata mesi orsono da winemag.it giace negli uffici di Caputo, senza alcuna risposta.
SANNIO, CONSORZIO FAVOREVOLE ALLA DOC CAMPANIA
Tra i Consorzi che non nascondono il proprio parere favorevole alla Doc Campania c’è quello del Sannio. «L’idea – annuncia il presidente Libero Rillo – è quella di istituire a breve un comitato promotore, a cui dare il compito di sondare le opinioni di tutti gli attori in gioco. Al momento si sa ben poco, se non che alcuni territori sono più convinti di altri. In Irpinia, per esempio, le resistenze alla Doc Campania sono dettate dal fatto che manchi un’Igt di ricaduta, che deve essere presente in ogni zona per evitare la svalutazione delle uve che si decide di declassare».
Detto ciò, non abbiamo ancora certezza di quali vitigni includere o escludere, nonché delle tempistiche. L’eventuale passaggio da Igt a Doc Campania comporta l’approvazione della Regione, del Ministero e dell’Ue. È possibile ipotizzare un percorso di almeno 2 anni».
Ma quando saranno chiare le idee in Campania? «Noi, nel Sannio – risponde Libero Rillo – siamo già abbastanza d’accordo, all’interno del Cda del Consorzio. Pure se non dovesse funzionare, la nuova Doc non farà certo danni. La convinzione è che potrebbe anzi trascinare il territorio, non affogarlo. Avere una denominazione che possa accomunare tutta la regione, in un contesto di globalizzazione, renderebbe la Campania del vino più forte sui mercati nazionali e internazionali. Del resto, le Doc già presenti non sarebbero eliminate».
CONFAGRICOLTURA CAMPANIA CAUTA SU UNA DOC REGIONALE
Più cauta la posizione di Confagricoltura in Campania. «Sono tra i fondatori del comitato promotore dell’Igp Olio Campania, progetto appena accolto dall’Ue – spiega il presidente di Confagricoltura Benevento, Antonio Casazza – quindi non posso che accogliere con favore un dibattito sul brand regionale. Il marchio Campania può essere un traino in molti comparti, dall’olio alla zootecnia, passando per l’ortofrutta. Ma su una Doc Campania del vino sarei un po’ più prudente».
La Doc sarebbe più restringente rispetto all’attuale Igp, dunque potrebbe costituire un elemento qualificante. Al contempo andrebbero valorizzate le Doc locali, già esistenti. Su questo tema, in definitiva, è necessario un confronto, che l’assessorato all’Agricoltura sembra voler intavolare con tutti gli attori in gioco.
Settimana scorsa è stato chiesto il parere delle associazioni di categoria, che dunque potranno dire la loro al fianco dei viticoltori. Il tema è caldo e mi auguro che in pochi mesi si arrivi a una sintesi, con un progetto unitario».
LUIGI MAFFINI (FIVI CAMPANIA): «NUOVA DOC? UN IMPOVERIMENTO»
Non gira intorno al punto Luigi Maffini (nella foto sopra, a sinistra), vignaiolo a Giungano, in provincia di Salerno, nonché vicepresidente di Fivi – Federazione italiana vignaioli indipendenti. «Siamo contrari all’istituzione della Doc Campania – spiega Maffini a winemag.it – in quanto crediamo che la sua attuazione non conferisca un valore aggiunto alla nostra regione, bensì un impoverimento. Laddove si cercano unicità e differenze e si parla di “potenza espressiva dei singoli terroir”, non si può rispondere con un appiattimento dell’offerta vinicola, specialmente in un territorio come la Campania, che vanta una estrema eterogeneità sia dal punto di vista pedologico che climatico».
L’introduzione di tale Doc vanificherebbe l’impegno concreto di migliaia di piccole e medie aziende che, ogni giorno, lavorano tenacemente per produrre, valorizzare e comunicare le diversità e le specifiche tipicità dei loro vini, dei luoghi e della loro storia».
«La nostra regione, forse unica in Italia – continua Luigi Maffini – vanta 4 importanti vitigni autoctoni di comprovata potenzialità (Fiano, Falangina, Greco e Aglianico) e decine di vitigni autoctoni minori, ma non per questo meno importanti. Sono riconosciute 3 Docg e tante altre Doc di territori dalle comprovate potenzialità viticole legati ad aree geografiche ben precise».
Maffini lancia poi una proposta. «Il “brand Campania” è molto forte per alcuni prodotti alimentari di diverse origini produttive – commenta il vicepresidente Fivi – ma è inopportuno nel settore vitivinicolo. Meglio sarebbe valorizzare la già presente Igt Campania rendendola come “unica IGT regionale“, eliminando quindi le molteplici Igt che insistono nei diversi territori. Lasciando così le Doc e le Docg dei singoli territori al vertice della piramide qualitativa del vino campano, con il ruolo di rappresentarne la “punta di diamante”. E su esse concentrare le politiche di sviluppo future».
L’EX PRESIDENTE SLOW FOOD GAETANO PASCALE: «NO AL CALDERONE»
Sull’argomento anche Gaetano Pascale (nella foto sopra, a destra), ex presidente di Slow Food Italia e referente dell’associazione per la Regione Campania dal 2006 al 2014. «Non si tratta – sottolinea – di essere favorevoli o contrari alla Doc Campania. L’idea di un comitato promotore è auspicabile, ma ancor più c’è bisogno di vere e proprie assemblee preliminari. Questa discussione va fatta prima di tutto con i viticoltori e in seguito con i vinificatori e trasformatori, perché è la viticoltura che annaspa di più in questo momento, rispetto a chi trasforma.
Più in generale, non sono innamorato delle denominazioni ampie. La fortuna delle Doc di qualità sta proprio nella capacità di rendere riconoscibili i territori. Ed è su questo che mi concentrerei preliminarmente, ovvero sulle strategie di promozione della qualità nei singoli territori».
«La mia sensazione, anche a fronte delle dichiarazioni delle istituzioni regionali – continua Gaetano Pascale, tra l’altro vignaiolo a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento – è che si vada verso una Doc Campania che sostituisca quelle attuali. A mio modo di vedere sarebbe un peccato, soprattutto per una regione che ha un patrimonio di varietà autoctone così variegato: varrebbe la pena non mettere una tale biodiversità in un grande calderone».
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Signorvino è il nuovo proprietario de La Giuva, cantina dell’ex allenatore di calcio Alberto Malesani. Il rogito è fissato per la prossima settimana. Un’acquisizione che sa di passaggio di consegne da un “Mister” all’altro. Dal Mister divenuto bandiera di Chievo, Fiorentina, Parma e Panathīnaïkos, ai “Mister del vino” del Gruppo Calzedonia. I primi mesi del 2023 si confermano così da incorniciare per l’insegna di enoteche con cucina fondata nel 2012 da Sandro Veronesi, sempre più determinata a giocare in contropiede su due campi.
Da un lato l’acquisizione della cantina La Giuva, nella provincia che ha visto l’apertura del primo store (avvenuta nella frazione Vallese del comune di Oppeano, a 16 chilometri da Verona). Dall’altro lo sbarco a Parigi previsto per settembre, nella zona di Place Saint-Michel, prima di altre due mete europee (si parla di Praga e Varsavia, dunque di Repubblica Ceca e Polonia come nuove mete da conquistare, oltreconfine). L’accordo con la famiglia Malesani sa quindi anche di ritorno alle origini, oltre che dell’ennesima sfida per il Gruppo Calzedonia.
CANTINA LA GIUVA: MALESANI VENDE A SIGNORVINO-CALZEDONIA
Forte dei 50 milioni di incassi del 2022 (+20% rispetto al 2019, il doppio rispetto al 2o21) Signorvino si lancia dall’altra parte del bancone con La Giuva. Passando dal servizio delle enoteche con cucina alla produzione di vino, in una delle regioni vinicole più dinamiche e in trasformazione d’Italia in cui si produce uno dei vini bandiera del Made in Italy: quell’Amarone che tanto continua a convincere, anche all’estero.
In Valpolicella, per l’esattezza in alta Val Squaranto, la Giuva – acronimo che unisce i nomi Giulia e Valentina, figlie di Alberto Malesani che hanno abbracciato il progetto enologico – alleva 10 ettari e conta cinque vini in gamma. A “Il Valpo“, “Il Rientro” e “L’Aristide” si affiancano un secondo Amarone e il Recioto. Nuovo referente della cantina per Signorvino-Gruppo Calzedonia sarà il giovane Dario Sonato, a cui saranno consegnate le chiavi a ore.
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Dalla richiesta di dimissioni al chiarimento condizionato. Libero Rillo resta alla presidenza del Consorzio di Tutela Vini del Sannio, dopo l’incontro dei giorni scorsi con le associazioni di categoria che ne chiedevano le dimissioni (Confagricoltura, Cia e Unicaa Benevento). L’emergenza è rientrata. Ma il presidente è avvisato: niente più decisioni prese senza coinvolgere tutte le parti in gioco. Sindacati e soci del Consorzio compresi.
A scaldare gli animi è stato un protocollo d’intesa che Libero Rillo ha sottoscritto con Coldiretti nell’ambito del più ampio accordo sul sigillo digitale antifrode da apporre alle bottiglie di vino Igt (circa 13 milioni) a «garanzia di origine e tracciabilità, a tutela di produttori e consumatori». Un progetto sperimentale avviato dal Consorzio Tutela Vini del Sannio con l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e Agroqualità.
A margine del documento ufficiale, votato dall’assemblea dell’ente, Libero Rillo ha firmato un “protocollo d’intesa” con Coldiretti, senza informare le altre associazioni di categoria e i soci del Consorzio. Da qui l’accusa di «mancanza di terzietà» mossa da Confagricoltura Benevento, Cia Benevento e Unicaa Benevento, tramite i rispettivi rappresentanti Antonio Casazza, Carmine Fusco e Fabio Di Bellonia.
L’INCONTRO TRA LIBERO RILLO, CONFAGRICOLTURA, CIA E UNICAA
«In un momento storico molto delicato della viticoltura beneventana – recitava la nota congiunta delle tre associazioni di categoria – dopo una campagna assolutamente deludente per i viticoltori, aggravata dalle tante incertezze di mercato, anche alla luce della recente decisione Ue sugli alert sanitari in etichetta, e dopo due anni di pandemia, che hanno martoriato l’apparato vitivinicolo del Sannio, siamo costretti a registrare una scarsa trasparenza da parte del Consorzio. Non è concepibile avere un Consorzio debole e, soprattutto, fazioso e di parte».
Parole durissime che si sono in parte sciolte sotto al sole del recente incontro di Libero Rillo con le parti in causa. «Abbiamo deciso di chiarire, smorzare i toni – spiega a winemag.it il presidente di Confagricoltura Benevento, Antonio Casazza (nella foto, sopra) – dal momento che l’errore è stato riconosciuto sia dal pinto di vista formale che sostanziale. Siamo stati rassicurati dalla promessa che le iniziative future saranno prese con spirito di condivisione e non di parte».
«Ci siamo chiariti – commenta a winemag.it il presidente del Consorzio Vini del Sannio, Libero Rillo – grazie alla consapevolezza che in un percorso possano capitare degli incidenti. Ci siamo ripromessi di stare più attenti ed evitare di urtare la suscettibilità altrui. Fare le guerre, in un territorio come il nostro in cui c’è bisogno di correre, non porta da nessuna parte, anche se si vince. Le mie dimissioni avrebbero portato al voto in un clima non sereno. D’altro canto, non è morto nessuno, gli animi si sono calmati e siamo già ripartiti».
I DETTAGLI DELL’ACCORDO CON COLDIRETTI
Emergono così anche i dettagli del documento sottoscritto da Rillo tenendo all’oscuro i soci del Consorzio. «Nell’ambito del progetto dei sigilli digitali da apporre alle bottiglie Igt – spiega il presidente – abbiamo potuto contare sull’appoggio di Coldiretti, che ha uffici ben strutturati a Roma e ci ha dato una mano fondamentale con la burocrazia.
Il protocollo d’intesa firmato a margine dell’accordo ufficiale non aveva valore giuridico, ma assicurava l’ulteriore appoggio di Coldiretti nella divulgazione del progetto relativo al sigillo sui vini Igt del Sannio».
Di fatto, l’intesa a tre (più uno) è stata siglata a Palazzo Rospigliosi a Roma il 28 gennaio in presenza di Libero Rillo per il Sannio Consorzio Tutela Vini, degli amministratori delegati di Agroqualità e dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Enrico De Micheli e Francesca Reich, nonché del presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. Da qui l’ira delle altre associazioni di categoria. Placata sino a prossimo, eventuale avviso.
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Torna caldissimo il dibattito sul Prošek croato, mentre la decisione finale da parte di Bruxelles tarda ad arrivare, lasciando l’Italia del Prosecco e la stessa Dalmazia in trepidante attesa. La discussione è terminata e non sono previste audizioni pubbliche nel prossimo futuro. Vista la distanza tra le parti, si materializza sempre più la possibilità che il caso venga portato davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Un’ipotesi che Zagabria non sconfessa, precisando tuttavia di preferire «una soluzione di compromesso, piuttosto che prolungare l’intera questione fino alla Corte».
Ad accendere gli animi, in un’intervista esclusiva rilasciata a winemag.it, è Tonino Picula, europarlamentare croato che, a fine gennaio, ha incontrato il commissario Ue all’Agricoltura Janusz Wojciechowski. Obiettivo: ribadire al rappresentante della Commissione guidata da Ursula von der Leyen che «Prošek e Prosecco sono prodotti differenti, ognuno con la propria storicità e non confondibili dai consumatori».
«Personalmente – riferisce Picula – non credo che ci sia alcun problema: abbiamo due ottimi prodotti molto diversi tra loro che nessun consumatore ragionevolmente informato potrebbe confondere. So che alcuni produttori e alcuni miei colleghi parlamentari italiani sono d’accordo con me. Purtroppo sono una minoranza e abbiamo visto e sentito una serie di argomentazioni scioviniste da parte di funzionari italiani irresponsabili, che cercano di ottenere punti politici a buon mercato a spese dei piccoli produttori di vino croati».
QUELLA DEGUSTAZIONE ALLA CIECA DI PROŠEK
Che Tonino Picula non le mandi a dire, è chiaro sin da subito. A dispetto del nome italiano, il 61enne europarlamentare, originario di Mali Lošinj, è tra l’altro un veterano di guerra della madrepatria croata (hrvatskih branitelja). Nel 2021, proprio durante i momenti più accesi della querelle Prošek-Prosecco, ha organizzato a Zagabria una degustazione alla cieca dei due vini, i cui risultati sono finiti sul tavolo di Bruxelles.
Abbiamo offerto ai passanti una degustazione del nostro Prošek e del Prosecco italiano, senza dire quale calice fosse stato riempito con quale vino. Nessuna delle diverse centinaia di persone, compresi alcuni turisti italiani, ha confuso i due prodotti.
Un’altra conferma delle importanti differenze viene dai disciplinari di produzione. Il Prošek è un vino da dessert della Dalmazia meridionale, ottenuto da varietà autoctone croate, mentre il Prosecco è un vino spumante dell’Italia settentrionale, ottenuto da varietà italiane»
«PROSECCO E PROŠEK NON SONO CONCORRENTI»
Nel recente incontro con il commissario Ue all’Agricoltura Janusz Wojciechowski, Tonino Picula ha mostrato inoltre che «il Prošek è un vino fermo, denso quasi come uno sciroppo, di solito di colore dorato intenso, ambrato o marrone ramato, mentre il Prosecco è un vino con le bollicine, di colore giallo chiaro». «Nei menu dei ristoranti e sugli scaffali dei negozi – precisa l’europarlamentare croato – si trovano sempre agli antipodi, in categorie di prezzo diverse, in bottiglie di forme e volumi diversi».
In sintesi, «il Prošek e il Prosecco hanno un sapore, un aspetto e un profumo diversi, sono prodotti con metodi diversi da varietà d’uva diverse, vengono serviti in modi diversi “agli antipodi” del pasto e, soprattutto, non sono concorrenti diretti sul mercato». Non solo.
Affermare che il Prošek sia una copia e/o una traduzione scadente di un grande vino italiano è fuorviante e scortese al massimo. È un vino di lunga tradizione e profondamente radicato nelle usanze locali della Dalmazia, tanto che una bottiglia di Prošek viene seppellita il giorno della nascita di un bambino per essere aperta il giorno del suo matrimonio».
«SCORRETTO E OFFENSIVO PARLARE DI CONTRAFFAZIONE»
I numerosi casi di contraffazione del Prosecco sono noti in Croazia. «Capisco – commenta a tal proposito Tonino Picula – la sensibilità degli italiani nei confronti del loro vino. È il più esportato d’Italia ed è uno dei vini più contraffatti d’Europa. Ma questo non ha nulla a che fare con il Prošek, che ha una lunga e dimostrabile tradizione di produzione nell’Adriatico orientale: ironia della sorte, anche più antica del Prosecco stesso». Il Prošek, come documentato da winemag.it nel novembre 2021, viene infatti citato nel libro del 1774 del geologo e naturista italiano Alberto Fortis, pubblicato a Venezia e intitolato “Put po Dalmaciji”, ovvero “Viaggio in Dalmazia”.
Ed è questo un altro aspetto su cui Tonino Picula affonda la lama nei confronti dei colleghi di Roma: «Alcuni politici italiani non approfondiscono le reali e importanti differenze tra i due prodotti ma, in modo superficiale e oserei dire italocentrico, si concentrano sulle somiglianze nel nome e insistono erroneamente sul fatto che il Prošek sia un’imitazione a buon mercato del Prosecco. Questo è scorretto e offensivo da parte dei nostri vicini, che hanno una grande tradizione gastronomica, ma non il monopolio della qualità».
Infine l’attesa del pronunciamento di Bruxelles: «Sono fiducioso – commenta Picula in esclusiva a winemag.it – che la Commissione terrà conto delle argomentazioni sostanziali relative alle dimensioni e alla forza dell’economia italiana e della sua lobby. Mi aspetto che quest’anno venga annunciata una decisione positiva per Prošek, in modo che ogni buon pasto possa iniziare con un calice di buon Prosecco e finire con un calice di buon Prošek». Se son rose, fioriranno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Premessa: chi mi conosce sa che assaggio, pressoché quotidianamente, dal vino in brik al top di gamma, col medesimo approccio e rigore. Scollegando, cioè, i neuroni del marketing e dell’etichetta e spremendo, piuttosto, quelli della logica. Lasciando “parlare il calice“. Ed è proprio mentre chiacchieravo con un vino rosso della Loira che mi sono reso conto di quanto sono belli gli autoctoni. Ma il Cabernet…
All’epoca della riscoperta dei vitigni autoctoni, fenomeno che riguarda tutti i maggiori Paesi produttori di vino del mondo, accelerato dalle misure restrittive volte ad arginare la pandemia che hanno spinto i winelovers a scoprire varietà e vini presenti “dietro casa”, in Italia stiamo perdendo la grande occasione di produrre versioni di Cabernet moderne, che invece abbondano a livello internazionale. Non solo in Francia.
A scatenare questa riflessione è la piacevolezza (letteralmente “goduriosa”) dell’Aop Anjou “Un(e) Tour en Anjou“ 2021 del produttore “Fivi” francese Domaine des Trottières. Un uvaggio Cabernet Sauvignon – Cabernet Franc senza solfiti aggiunti, capace di ergersi a manifesto assoluto dell’occasione che il nostro Paese sta perdendo nello snobbare versioni delle due varietà bordolesi (e in particolare di Franc) che in Loira definirebbero vin lèger.
CALL TO ACTION WINEMAG.IT: SEGNALATECI I CABERNET GLOU-GLOU!
L’Anjou dei vignerons indépendants della famiglia Gourdon mostra i risvolti più “leggeri”, sbarazzini e golosi dei due vitigni; caratteristiche così difficili da trovare in Italia, anche nelle aree in cui Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon sono più diffusi. Perché perdiamo questa occasione? Vogliamo approfondire il tema, tanto da chiedere aiuto ai lettori.
Chiunque conosca produttori italiani che affrontino i due vitigni (in particolare il Cabernet Franc) in versione glou-glou (tutta beva e spiensieratezza) ce lo segnali con una mail a redazione@winemag.it. Raccoglieremo i vini per una degustazione comparativa e ne daremo notizia su winemag.it, col proposito di essere smentiti su questa “falla” nella stilistica dei bordolesi in Italia. Prosit!
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’Irlanda tira dritto nella sua decisione di equiparare l’alcol, vino compreso, alle sigarette. Ieri il governo di Dublino ha notificato all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) la bozza di regolamento della legge irlandese sulla salute pubblica (Ireland’s Public Health / Alcohol Act 2018) che stabilisce le regole per l’etichettatura delle bevande alcoliche, compreso l’uso di avvertenze sanitarie (health warnings). Il tutto nonostante la forte opposizione di diversi Paesi europei, tra cui Italia, Francia e Spagna, che giudicano le misure «incompatibili con il diritto dell’Unione europea». La procedura dell’OMC è l’ultimo passo procedurale prima che l’Irlanda possa adottare la legislazione.
«L’Irlanda – commenta Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale del CEEV Comité Européen des Entreprises Vins – ha deciso di non cambiare una sola virgola della bozza notificata all’OMC, nonostante il fatto che ben 13 Stati membri (Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Spagna) abbiano espresso commenti critici sul disegno di legge irlandese durante il processo di consultazione dell’Ue nell’ambito della procedura TBT. Ci si potrebbe chiedere a cosa serva la procedura di consultazione TRIS!».
LEGGE SULL’ALCOL: IRLANDA CONTRO 13 STATI MEMBRI
La bozza di regolamento irlandese è chiaramente incompatibile con il diritto dell’UE e persino le autorità irlandesi lo hanno riconosciuto, con umorismo, durante un evento sul cancro organizzato dalla Presidenza svedese il 1° febbraio. Anche winemag.it dimostra come il Drinks Calculator – strumento ufficiale del governo irlandese – consideri il consumo moderato di alcol non dannoso e addirittura favorevole alla salute.
«Di recente siamo stati sottoposti a un processo di valutazione da parte dell’UE perché chiaramente ciò che stavamo facendo violava in qualche modo il mercato unico. […] Siamo molto grati e in qualche modo sorpresi che la nostra proposta abbia superato con successo il processo di valutazione dell’UE. In qualche modo sorpresi è un eufemismo», ha spiegato il rappresentante irlandese. La legislazione armonizzata e il mercato unico dell’UE sono due delle più grandi conquiste dell’Unione europea e dei principali vantaggi per le imprese e i cittadini dell’UE.
«Sono la pietra miliare della sostenibilità economica delle aziende vinicole dell’UE – ricorda Ceev – il 99% delle quali è costituito da piccole e microimprese che non possono affrontare regimi di etichettatura diversi in ogni singolo Stato membro. Le parti interessate, gli Stati membri dell’UE e la stessa Irlanda sono consapevoli che la bozza di regolamento mette a rischio il mercato unico dell’UE. Tutti, tranne la Commissione europea».
IL SILENZIO DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Un terzo degli Stati membri dell’UE ha esortato la Commissione, attraverso una lettera comune inviata qualche giorno fa, a impegnarsi in «discussioni approfondite con le autorità irlandesi al fine di evitare barriere commerciali e mantenere l’uniformità e la fluidità del mercato unico, garantendo al contempo un’adeguata informazione ai consumatori».
Ma in questo caso, denuncia il Comité Européen des Entreprises Vins, la Commissione «non ha dimostrato alcuna volontà di agire in difesa dei Trattati UE, del mercato unico e della propria legislazione comunitaria».
«È giunto il momento – attacca ancora Ignacio Sánchez Recarte – che i partner internazionali a livello di OMC sollevino nuovamente le loro preoccupazioni in merito alla proposta irlandese. L’Irlanda li ascolterà o rimarrà sorda come lo è stata ai commenti dei partner dell’UE? Ho forti dubbi su qualsiasi reazione. In assenza di un’azione da parte della Commissione europea, si può fare ben poco. Credo che solo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sia in grado di difendere l’UE in questa fase».
Per un’Europa immobile, un’Italia che inizia a fare nuovamente la voce grossa. Ad intervenire sull’argomento è Micaela Pallini, presidente di Federvini, che fa appello al Governo italiano: «Dopo avere guidato la battaglia in Europa invitiamo il Governo Meloni a fare altrettanto al livello di OMC, creando una coalizione di Paesi a sostegno delle nostre posizioni».
«La proposta irlandese – attacca Pallini – è basata su un approccio demonizzante delle bevande alcoliche, con indicazioni sanitarie che non distinguono tra consumo moderato e abuso. Non a caso questa proposta, presentata alla Commissione Europea nei mesi scorsi, ha ricevuto il parere contrario di ben 13 Stati Membri».
«Purtroppo – continua Pallini – l’immobilismo della Commissione Europea ha di fatto creato un via libera alla normativa irlandese che oggi, come ultimo ostacolo, deve superare solo le eventuali riserve dell’organizzazione che gestisce il commercio mondiale. L’Irlanda ha deciso di non modificare una sola virgola della bozza notificata all’OMC, nonostante la forte contrarietà di molti Paesi».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sessantasette campioni di Amarone 2018 in anteprima ad Amarone Opera Prima 2023. Tra i migliori degustati alla cieca nella giornata riservata alla stampa di settore, sabato 4 febbraio, spunta qualche nome nuovo, accanto a quello di cantine già note. L’anteprima dell’Amarone 2018 si dimostra sulla scia delle precedenti annate, con i produttori concentrati soprattutto nella gestione dell’alcol e dell’equilibrio, all’insegna di una maggiore freschezza e “immediatezza” al Re dei vini della Valpolicella.
Una denominazione che continua così a convincere e raccogliere consensi a livello internazionale. Anche in un periodo di crisi come quello attuale, il volto “rossista” della provincia di Verona si conferma locomotiva del Made in Italy enoico, con l’Amarone capace di muovere un giro d’affari di 360 milioni di euro, sui 600 milioni di euro complessivi.
AMARONE OPERA PRIMA 2023: TUTTO ESAURITO A VERONA
Un successo certificato dall’annuncio della chiusura del dossier di candidatura della tecnica di messa a riposo delle uve della Valpolicella a patrimonio immateriale dell’Unesco, nonché dai numeri di Amarone Opera Prima, secondo anno del riposizionamento della consueta Anteprima Amarone.
All’evento del Consorzio vini Valpolicella dedicato al millesimo 2018 dell’iconico Rosso veronese hanno preso parte 300 giornalisti nazionali ed esteri (circa 100) da 20 Paesi e oltre 1500 winelovers che hanno affollato nel weekend il Palazzo della Gran Guardia di Verona.
AMARONE, UNA DENOMINAZIONE IN EQUILIBRIO
«Il 2021 – commenta Christian Marchesini, presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella – è stato un anno eccezionale sul piano delle vendite. Il 2022 è servito per consolidare la crescita, con risultati meno eclatanti ma comunque significativi».
«Lo testimoniano anche gli imbottigliamenti, che registrano un incremento del 12% rispetto al pre-Covid (2019) per un’annata commerciale che è stata comunque la seconda migliore del decennio, con oltre 17 milioni di bottiglie immesse sul mercato. La denominazione – conclude Marchesini – si conferma in equilibrio, grazie anche a una stabilizzazione finalmente raggiunta sul fronte della superficie vitata dopo il blocco degli impianti del 2019».
ANTEPRIMA AMARONE 2018: LA DEGUSTAZIONE
CANTINA
VINO
NOME / LINEA
ACCORDINI STEFANO
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Acinatico
Color rubino granato, piuttosto penetrabile alla vista. Naso tutto sul frutto, goloso, ciliegia succosa, lampone. Tocco di spezia che conferisce balsamicità. In bocca risulta piuttosto potente, sull’alcol che deve ancora integrarsi, cosi come il legno (vaniglia, fondo di caffe). Un campione di gran stoffa, di sicura prospettiva.
ALBINO ARMANI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Albino Armani
Vino non ancora in commercio. Colore mediamente carico, penetrabile alla vista. Naso al momento più sulla spezia che sul frutto, pur presente. Un quadro olfattivo non esplosivo, delicato, che lascia spazio anche al florale. In bocca una buona morbidezza glicerica un’accennata potenza alcolica, su ritorni piacevolissimi di spezia. Vino che, stilisticamente, sembra guardare più alla freschezza e alla beva che alla concentrazione.
BENEDETTI CORTE ANTICA
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte. Rubino penetrabile alla vista. Nota lattica di fondo. Si scorge già un bel profilo materico, di frutta polposa che scalpita per prendere il meritato posto sul palco. Bella speziatura, elegante. In bocca la nota lattica e alcolica ancora più evidente che al naso, ma si conferma un campione tipico, pur stilisticamente più “grasso” dei precedenti.
CASA VINICOLA BENNATI
Amarone della Valpolicella Docg
Rubino granato piuttosto intenso. Naso giocato su una speziatura fresca, importante, che sfiora il balsamico. Mentuccia, noce moscata, un tocco leggero di chiodo di garofano e liquirizia dolce. L’ossigenazione porta con sé un bel frutto grondante di succo, golosissimo, pienamente maturo: ciliegia, su tutti, ma anche lampone e un tocco di ribes nero maturo. In bocca vena glicerica importante, ben sostenuta da una acidità piuttosto viva e diretta, che controbilancia un sorso di buona stratificazione. Tannini fitti, eleganti. Vino di buone promesse.
BERTANI
Amarone della Valpolicella Docg Valpantena
Rubino piuttosto scarico. Naso di grande essenzialità ed eleganza, chiara impronta di uno stile che sta sempre più prendendo piede all’interno della denominazione. Tanto spazio alla componente floreale, che si accosta con eleganza a un frutto capace di raccontare la perfetta epoca di raccolta delle uve, elemento essenziale della stilistica. Ciliegia avvolta in un mantello goloso, quasi di zucchero filato, ravvivato da una speziatura che aggiunge nerbo ed eleganza a un naso già di per sé esemplare. In bocca non fa altro che confermare quanto avvertito al naso. Vino che si inserisce alla perfezione nella rivoluzione stilistica della denominazione, verso una maggiore freschezza e agilità di beva, senza pericolo di snaturare il grande rosso della Valpolicella.
BOLLA
Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva
Le Origini
Vino non ancora in commercio. Colore rosso granato piuttosto carico. Polpa succosa, rossa e nera, ciliegia e mora di rovo, al naso di questo Amarone che pare agli esordi di un buon percorso di crescita. Di buona eleganza la speziatura, pur in secondo piano rispetto alla centralità assoluta del frutto. In bocca tannini fitti, ben lavorati, riequilibrano una certa esuberanza glicerica e un frutto che vira su tinte leggermente più mature di quanto prospettato dal naso. Chiusura asciutta, che invita al sorso. Vino non particolarmente stratificato, di buona immediatezza.
BOSCAINI CARLO
Amarone della Valpolicella Docg Classico
S. Giorgio
Campione prelevato da botte. Colore tipico, mediamente carico. Al naso la spezia dolce “spinge” il frutto pienamente maturo, goloso. Vino che non abbonda in stratificazione, incentrato sulla piacevolezza. Sarà un Amarone 2018 piuttosto equilibrato, di immediata comprensione per il consumatore.
BOTTEGA
Amarone della Valpolicella Docg
Il Vino degli Dei
Mediamente carico, alla vista. Naso elegante, che abbina le componenti floreali, fruttate e speziate tipiche dell’Amarone. Queste ultime ricordano mentuccia e pepe bianco. In bocca protagonista la nota erbacea, fenolica, piuttosto integrata e in grado di riequilibrare un frutto piuttosto poderoso. Legno più marcato al palato che al naso, a rivelare le caratteristiche di un vino all’inizio del suo percorso. Ennesimo campione piuttosto immediato, che non nasconde tuttavia qualche spigolatura di troppo, specie al naso.
BRONZATO
Amarone della Valpolicella Docg
Rubino granato piuttosto penetrabile alla vista. Bel frutto, molto preciso: emerge una ciliegia croccante, succosa. Speziatura altrettanto elegante, unita a una buona componente floreale. Ricordi leggerissimi di miele millefiori, in sottofondo, competano un quadro piuttosto morbido. In bocca ecco invece una verticalità quasi inattesa. Acidità vibrante e tannini fitti, a reggere una certa imponenza della componente glicerica e fruttata. Campione, quello della cantina di Montorio (VR) guidata da Massimo Bronzato, decisamente futuribile, nel segno della “revolution” che non perde di vista la tradizione.
CA’ BOTTA
Amarone della Valpolicella Docg
Cajo
Campione di botte. Color rubino-granato mediamente penetrabile alla vista. Al naso abbina il frutto goloso a una speziatura importante, che varia dal dolce al fresco, dal tabacco alla mentuccia. In bocca il tannino lavora bene sul frutto succoso, prima di una chiusura balsamica. Vino non particolarmente stratificato ma assolutamente tipico, all’inizio di un buon percorso di vita all’insegna della facilità di beva e di una certa piacevolezza.
CA’ DEI FRATI
Amarone della Valpolicella Docg
Pietro Dal Cero
Campione di botte. Colore piuttosto carico. Naso su frutta matura/matura più, avvolto in una speziatura dolce. Perfetta la corrispondenza gusto olfattiva, per un Amarone 2018 che si esprime deciso e rotondo, sulla piacevolezza. Chiusura asciutta, donata da un tannino presente ma perfettamente integrato. Vino goloso, senza troppi fronzoli, immediato.
CA’ DEL SETTE VINI
Amarone della Valpolicella Docg
1944 M.C. – Linea Appassionante
Colore poco penetrabile alla vista, un rubino-granato piuttosto carico. Naso pieno, ricco, mediamente stratificato in tutte le sue componenti. In bocca risulta un Amarone 2018 equilibrato e tipico, in tutte le sue componenti. Dolcezza del frutto, spezia, floreale fresco regalano buona agilità di beva e prospettiva al nettare.
CÀ LA BIONDA
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Ravazzòl
Colore mediamente carico. Naso piuttosto acerbo nella componente fruttata, che non cela risvolti fenolici. Ciliegia e lampone appena maturi anche al palato e tannino leggermente crudo, ammorbidito però dal legno e dalle note dettate dall’appassimento, tra i punti di forza di questo Amarone 2018. Anche l’alcol non risulta al momento perfettamente integrato. Vino a cui dare tempo e fiducia.
CAMERANI MARIELLA
Amarone della Valpolicella Docg
Adalia – Ruvaln
Vino biologico. Colore rubino-granato piuttosto penetrabile alla vista. Buona eleganza ed espressivit della componente fruttata e speziata, nonché di quella floreale, piuttosto marcata sulla violetta. In bocca entra fresco, per virare ben presto su un frutto abbondante, perfettamente maturo. Tannini che lavorano piuttosto bene sulla componente glicerica e fruttata, pur essendo al momento piuttosto vivi. Nel quadro complessivo, anche l’alcol andrà ad integrarsi meglio, nei prossimi mesi. Campione che denota una mano precisa, tanto in vigna quanto in cantina. Obbligatorio dar fiducia a questa etichetta.
CANTINA VALPANTENA
Amarone della Valpolicella Docg
Torre del Falesco
Colore mediamente carico. Naso su note di frutta polposa, a bacca rossa e nera, cosi cosi come sui terziari, piuttosto integrati. Speziatura elegante a ravvivare il quadro. Al palato entra poderoso, su una espressione molto golosa del frutto, ma vira presto su tannini che chiamano bottiglia, vetro, tempo. La prospettiva c’è tutta per un ottimo Amarone 2018, a cavallo tra la nuova stilistica che premia la freschezza e la tradizionale potenza della denominazione.
CANTINE RIONDO
Amarone della Valpolicella Docg
Casalforte
Colore rubino-granato piuttosto carico. Vino di buona corrispondenza naso-bocca, con entrambe le fasi giocate su un profilo goloso. A riequlinbrare la chiusura generosa, sul frutto e sulle note dettate dall’appassimento, un tannino fitto, piuttosto elegante. Vino semplice, immediato.
CASA SARTORI 1898
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Reius
Vino non ancora in commercio. Colore rubino-granato mediamente carico. Buona balsamicità e spezia scura sul frutto, pienamente maturo. In bocca sarà presto ancora più elegante, soprattutto perché il tempo riuscirà a combinare meglio il matrimonio tra l’abbondante espressione del frutto e la fresca componente speziata. Tannini piuttosto smussati lavorano, oltre che sulla generosa componente fruttata, anche sulle note morbide e tostate del legno (ricordi di fondo di caffè). Vino di buona prospettiva, che abbina una mano moderna ad un’anima più tradizionale.
GERARDO CESARI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Vino che si presenta di un rubino-granato mediamente carico. Naso che cerca finezza ed eleganza, dal frutto alla spezia, dal tannino integrato all’alcolicità equilibrata. Risulta tuttavia più ricco al naso che al palato, nel segno di una caccia alla leggerezza portata forse troppo all’estremo.
CLEMENTI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte. Troppo presto per un giudizio complessivo, soprattutto per l’esuberanza tannica.
CORTE FIGARETTO
Amarone della Valpolicella Docg Valpantena
Brolo del Figaretto
Colore rubino-granato mediamente carico. Bella ciliegia di perfetta maturità al naso, croccate, unita a un lampone e a un ribes ben maturo. Piuttosto potente sotto il profilo alcolico, si ripresenta goloso e incentrato sul frutto al palato. Alla frutta risponde una buona freschezza e un tannino piuttosto fitto, ben lavorato. Vino che ha bisogno di bottiglia, come la gran parte dei campioni, ma che fa già intravedere la scelta stilistica e un’ottima mano in vigna e in cantina.
CORTE FIGARETTO
Amarone della Valpolicella Docg Valpantena
Gr..l
Altro campione dal colore rubino-granato mediamente carico. Componente alcolica evidente al naso, che sovrasta l’espressione di frutto e spezia. Anche al palato l’alcol fa capolino in maniera netta, ma è unito a una importante componente fruttata e a una tannicità elegante. Al momento, la veste precoce di un Amarone 2018 di grandissimo potenziale futuro.
COSTA ARÈNTE
Amarone della Valpolicella Docg Valpantena
Vino non ancora in commercio. Colore mediamente carico. Naso che ha tutto ciò che ci si dovrebbe aspettare da un Amarone, tra frutto, spezia e nota dettata dall’appassimento. Tannini ben lavorati giocano sull’esuberanza glicerica e sull’espressione pienamente matura del frutto, tra la polpa rossa e quella nera. Lungo, ancora una volta su ricordi precisi ed eleganti dell’appassimento. Vino da attendere, che promette decisamente bene.
DOMÌNI VENETI (CANTINA VALPOLICELLA NEGRAR)
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Or’Jago
Vino non ancora in commercio. Colore piuttosto carico. Goloso sin dal naso, tra floreale, frutto maturo (polpa rossa, ciliegia, ma anche nera, mora, ribes nero) spezia ed erbaceo (menta) e terziari che chiamano il vetro, per una più completa integrazione. Perfetta corrispondenza gusto-olfattiva, ma chiusura anticipata da un tannino relativamente asciutto. Da integrare meglio anche la componente alcolica.
FALEZZE DI LUCA ANSELMI
Amarone della Valpolicella Docg
Campione di botte. Bel rubino-granato piuttosto penetrabile alla vista. Naso sul frutto (ciliegia) e sulle note golose dell’appassimento (uvetta), ben integrate con una speziatura e con ricordi freschi, di mentuccia. In bocca è un vero e proprio cavallo di razza. Tannini eleganti, pronti a riequilibrare una polpa e un succo imponente. Tra i campioni di botte più promettenti di Amarone 2018 ad Opera Prima 2023.
FATTORI
Amarone della Valpolicella Docg
Col de la Bastia
Colore rubino-violaceo che ne denota la gioventù. Speziatura fresca in primo piano, unita a una bella componente fruttata, matura. Leggerissimi ricordi di mela rossa tagliata, sulla cilieigia e sul lampone. Quadro che si ripresenta perfettamente al palato. Vino di una certa immediatezza e semplicità, già piuttosto godibile.
FLATIO
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte. Colore mediamente carico. Per la componente fruttata, più mora che ciliegia-amarena. Spezia e venatura fresca più presente al palato che al naso, per un Amarone 2018 che punta tutto su piacevolezza di beva ed equilibro, nonché su una certa prontezza. Campione da non perdere di vista, per la stilistica piuttosto innovativa.
I TAMASOTTI
Amarone della Valpolicella Docg
Campione di botte. Colore piuttosto carico, alla vista. Vino in chiara fase di affinamento, con legno in gran vista che fa capolino sul frutto maturo, goloso. Ottimo lavoro tra vigna e cantina: altro campione da considerare tra i più promettenti per il futuro, oggi in maturazione in botte.
ACCORDINI IGINO
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Le Bessole
Mediamente carico. Bel frutto goloso sui terziari in fase di integrazione. Perfetta corrispondenza gusto-olfattiva, per un Amarone 2018 piuttosto semplice da comprendere, senza fronzoli, immediato nel suo esser giocato principalmente sul frutto e sulla piacevolezza conferita dall’appassimento, bilanciata da una buona freschezza nel retro olfattivo. Una versione del Re dei vini della Valpolicella spensierata, ma tutt’altro che banale.
ILATIUM MORINI
Amarone della Valpolicella Docg
Leòn
Vino non ancora in commercio. Colore piuttosto impenetrabile, tra i più carichi di questa anteprima Amarone 2018. Al naso terziari e frutta matura, con predominanza dei primi sui secondi, al momento. Anche al palato si ripresentano i terziari, più del frutto. Vino da attendere.
LA COLLINA DEI CILIEGI
Amarone della Valpolicella Docg
Rubino-granato mediamente carico, penetrabile alla vista. Naso che discosta da gran parte degli altri assaggi per i ricordi di tamarindo sulle classiche note fruttate dell’appassimento e dei primari delle uve. Componente speziata elegante, quasi sussurrata, sul fiore secco, di viola. In bocca rispetta le attese, tra frutto e leggera balsamicità in chiusura. Vino che va nella direzione dell’alleggerimento, con risultati che possono convincere o meno il consumatore.
LAVAGNOLI
Amarone della Valpolicella Docg
Granato ben penetrabile, alla vista. Bel frutto goloso, rosso, al naso. In bocca si conferma giocato sul frutto, con i terziari e la spinta alcolica che chiamano un maggiore affinamento in bottiglia. Chiude su leggere note di brace. Vino di sicura prospettiva, nel segno di uno stile contemporaneo, che guarda maggiormente a freschezza e beva, senza nascondere l’espressione del terroir. Vino promettente, pensato e ben eseguito, quello della cantina di Pigozzo (VR).
LE GUAITE DI NOEMI
Amarone della Valpolicella Docg
Campione di botte. Altro colore che spicca per profondità, tra i più impenetrabili di Amarone 2018 ad Opera Prima 2023. Naso e palato non giudicabili, per scompostezza del campione di botte.
LUCIANO ARDUINI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Simison
Vino non ancora in commercio. Colore molto carico, tendente al purpureo. Bella impronta netta dell’appassimento, ben controbilanciata da una balsamicità e da note floreali precise, elegantissime. In bocca il vino si ripresenta incentrato sull’appassimento, raccontando uve, territorio e approccio del produttore. Vino didattico, nel senso più nobile del termine, a cavallo tra la tradizione e il futuro. Un’etichetta capace di coniugare freschezza e polpa in maniera esemplare. Ottime prospettive future per questo Amarone 2018.
MANARA
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Corte Manara
Colore mediamente carico. Naso e bocca raccontano un approccio sincero alla tecnica dell’appassimento e al vigneto, pur in un quadro al momento scomposto. Manca un filo di precisione e pulizia del gesto nell’esecuzione in cantina.
MASSIMAGO
Amarone della Valpolicella Docg
Conte Gastone
Vino biologico. Bel colore, rubino-granato penetrabile alla vista. Speziatura importante al naso, oltre alla componente fruttata. In bocca risulta elegante, con la freschezza a riequilibrare l’esuberaza del frutto già avvertito al naso. Bella finezza e allungo, su una Pai decisa e preziosa, che racconta tutta la tipicità dell’Amarone. Ottime le prospettive di questo vino.
MASSIMAGO
Amarone della Valpolicella Docg
Campione di botte. Mediamente penetrabile il colore, alla vista. Nette note di appassimento, con l’uvetta in prima linea. Tannini vivi, in fase di integrazione, ben “pensati” per riequilibrare una componente glicerica importante e un frutto davvero ben maturo. Sarà un vino importante ma tutto sommato agile nella beva. Etichetta da monitorare.
MIZZON
Amarone della Valpolicella Docg
Campione di botte. Naso e palato non giudicabili, per scompostezza del campione di botte.
MONTE CASTELON
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Bel colore rubino-granato. Floreale e frutto elegante al naso, con la componente speziata che invece risulta più presente al palato. Tannino un po’ asciutto e alcol al momento fuori dal quadro. Chiusura leggermente amaricate. Vino all’inizio del suo percorso, a cui dare bottiglia e tempo per un’auspicabile amalgama delle componenti.
MONTE DEL FRÀ
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Tenuta Lena di Mezzo
Colore mediamente carico. Bella l’espressione del frutto, goloso, tra la polpa rossa e la scura, di bosco. In bocca piuttosto potente, ma equilibrato in tutte le sue componenti. Pregevole la chiusura balsamica, che vira sulla liquirizia. Tannino fitto, che ha bisogno di bottiglia per amalgamarsi completamente al quadro. Vino che rivela una componente sapida non presente in molti altri campioni, ma molto apprezzabile. Vino decisamente promettente.
MONTE ZOVO – FAMIGLIA COTTINI
Amarone della Valpolicella Docg
Mediamente carico, il colore, alla vista. Elegantissima espressione della componente speziata, che gioca a riequilibrare con la sua balsamicità e freschezza l’esuberanza del frutto e delle note dettate dall’appassimento. Tannino fitto, in fase di integrazione. Tempo, parola d’ordine.
MONTECI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte. Teso, tannino vivo. Naso e palato non giudicabili, per scompostezza del campione di botte.
CANTINE GIACOMO MONTRESOR
Amarone della Valpolicella Docg
Satinato
Colore rosso-granato mediamente penetrabile alla vista. Naso e bocca dominati dal frutto, preciso, succoso. Campione che mostra una buona prontezza di beva, giocata sull’espressone genuina del frutto più che sulla stratificazione. Chiude fresco, leggermente balsamico, ammorbidito da terziari ben amalgamati. Gran piacevolezza, sin dagli esordi di una vita che si preanuncia lunga.
NOVAIA
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Corte Vaona
Vino biologico, campione di botte. Naso e palato non giudicabili, per scompostezza del campione di botte.
PASQUA VIGNETI E CANTINE
Amarone della Valpolicella Docg
Famiglia Pasqua
Vino non ancora in commercio. Bel colore, mediamente carico. Tanta spezia nel corredo, di buona eleganza. Ravviva e conferisce nerbo a un frutto rosso goloso, espresso con grande precisione. In bocca si conferma un’etichetta espressione di quella che abbiamo ridefinito, lo scorso anno, “l’Amarone Revolution“. Al frutto perfettamente maturo, succoso, risponde una freschezza che riequilibra il sorso. Belli i ritorni della componente speziata nel retro olfattivo, per un Amarone 2018 che premia beva e prontezza. Unica pecca, la mancanza di un filo di concentrazione e di quel sentore di “appassimento” che non manca, anche nelle migliori espressioni della nuova generazione dell’Amarone.
ROCCA SVEVA (CANTINA DI SOAVE)
Amarone della Valpolicella Docg Riserva
Vino non ancora in commercio. Colore mediamente carico. Vino che presenta una certa concentrazione, che si riflette in una centratura sul frutto e sul bilanciamento dell’equilibrio conferito dalla speziatura. In bocca più “largo” di quanto lasci presagire il naso. Legno che si deve integrare meglio, cosi come la componente alcolica. Vino agli esordi del suo percorso.
ROCCOLO GRASSI
Amarone della Valpolicella Docg
Vino non ancora in commercio. Colore impenetrabile alla vista. Campione che dimostra di aver bisogno di tempo per una migliore amalgama delle varie componenti: tutte presenti, ma al momento alla rinfusa sul palco del calice. Obbligatorio dargli fiducia.
SALVATERRA
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Save the land
Vino biologico. Colore mediamente carico alla vista. Naso e bocca su una buona corrispondenza gusto-olfattiva. Carente percezione dell’appassimento e tannino che risulta al momento un po’ ruvido. Componente alcolica leggermente “aggressiva”. Vino stilisticamente giovane, ma con spigoli da arrotondare. Altro vino a cui dare tempo: se lo merita.
SAN CASSIANO
Amarone della Valpolicella Docg
Vino non ancora in commercio. Colore impenetrabile. Tanto legno, vaniglia, caramella mou e note lattiche. Vino senza troppi fronzoli, che guarda alla piacevolezza e all’immediatezza di beva, perdendo forse un po’ di vista la tipicità.
SAN RUSTICO
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte che sembra rivelare un’impronta decisa verso il nuovo stile dell’Amarone, ma con un utilizzo del legno un po’ troppo aggressivo. Necessario, anche in questo caso, il tempo.
SANTA SOFIA
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Rubino-granato mediamente carico, alla vista. Bella prova, sotto ogni profilo: bilanciamento tra freschezza e frutto, con un tannino leggermente asciutto che dovrà integrarsi per dare equilibrio e beva. L’impressione sulla stilistica è quella di un Amarone 2018 da pasto, da beva, da conversazione.
SANTI
Amarone della Valpolicella Docg
Carlo Santi 1843
Campione di botte. Colore poco penetrabile. Gran potenza alcolica per questo campione, che abbina alla vena glicerica una freschezza riequilibrante e un tannino che chiama la bottiglia e un ulteriore affinamento. Momento non felicissimo, in generale, per un Amarone 2018 che tuttavia sembra avere tutto per poter regalare, nel tempo, un calice tipico, in tutte le sue componenti. Vino da aspettare.
SECONDO MARCO
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte. Naso e palato non giudicabili, per scompostezza del campione di botte.
SELÙN DI MARCONI LUIGI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Fiori del Pastello
Una parola per descriverlo: splendido. Sin dal colore, non troppo carico. Al naso la chiara impronta dell’appassimento, avvolta in una speziatura elegantissima, fresca, che sfiora balsamico ed umami. In bocca perfetta corrispondenza e potenza alcolica riequilibrata dalla spezia fresca, scura, nonché dai ritorni mentolati, balsamici già avvertiti al naso. Il campione più sorprendente di Amarone 2018 ad Opera Prima 2023: una ventata di novità e di freschezza ad Anteprima Amarone 2018, sin da quel nome (“Fiori del Pastello”) che richiama la colorazione dei prati che accolgono i vigneti, tra i 400 e i 500 metri di altitudine, nella frazione Monte del Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella.
TALESTRI
Amarone della Valpolicella Docg
Passione
Campione di botte. Naso e palato non giudicabili, per scompostezza del campione di botte.
TENUTA SANTA MARIA DI GAETANO BERTANI
Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva
Campione di botte. Tannino vivo che potrebbe disturbare di primo acchito, ma ecco una gran bella polpa e una spezia elegantissima a riequilibrare il quadro complessivo, pur trattandosi di un campione all’inizio della sua vita. Senza dubbio il migliore e più promettente tra tutti i campioni di botte.
TENUTE FALEZZA
Amarone della Valpolicella Docg
Mediamente carico il colore, alla vista. Vino al momento scomposto tra le componenti, non giudicabile.
TERRE DI LEONE
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Il Re Pazzo
Campione prelevato da botte che si presenta alla vista di un rubino-granato mediamente penetrabile. Naso ampio, su frutto e sulla spezia, ciliegia e lampone golosi. In bocca molto promettente ed elegante. Bella polpa, succo, spezia e una certa balsamicità che, in chiusura, chiama il sorso successivo. Etichetta da annoverare tra le migliori del tasting, in termini di equilibrio attuale e prospettiva di crescita.
TEZZA – VITICOLTORI IN VALPANTENA
Amarone della Valpolicella Docg Valpantena
Campione di botte. Rubino-granato, mediamente penetrabile. Bel mentolato sul frutto succoso, ciliegia e lampone. In sottofondo note di tostatura, dettate dall’affinamento in legno. In bocca golosissimo. Legno che si conferma in fase di integrazione ma ben gestito, con la polpa ben controbilanciata dalla freschezza e dagli accenti balsamici. Bel campione, in prospettiva.
TINAZZI
Amarone della Valpolicella Docg
Tenute Valleselle – Aureum Acinum
Colore piuttosto carico. Naso incentrato sul frutto, goloso, pienamente maturo, di polpa rossa ma anche scura per i richiami alla pruga e all uvetta dell appassimento. In bocca il nettare entra morbido, sul frutto goloso e di perfetta maturita, per poi lasciare spazio a una riequilibrante freschezza. Vino frutto di un lavoro sapiente, dalla vigna al fruttaio. Buona prospettiva.
TINAZZI
Amarone della Valpolicella Docg
Ca’ de’ Rocchi – La Bastia
Colore mediamente carico. Vino in divenire, da attendere: sarà goloso e di beva, nel bilanciamento tra modernità e tradizione.
TORRE DI TERZOLAN
Amarone della Valpolicella Docg
Vino non ancora in commercio. Mediamente carico, alla vista. Balsamicità da vendere per questo campione, che abbina alla vena mentolata, quasi talcata, un frutto delizioso e una spezia dà nerbo al naso. Si riconferma tale al palato, in tutte le sue componenti. Un Amarone 2018 da presentare all’estero, per raccontare l’evoluzione in atto in Valpolicella: volto nobile, tipico eppure moderno di una denominazione di una denominazione che sta dimostrando di riuscire a rimanere legato alla tradizione, tanto quanto aggrappato ai nuovi canoni del bere vino rosso a livello internazionale.
VALENTINA CUBI
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Morar
Vino biologico, campione di botte. Rubino-granato mediamente penetrabile alla vista. Campione agli esordi che promette già decisamente bene, per la precisa espressione del frutto e la riequilibrante balsamicità, nonché per la piacevolezza delle note dettate dall’appassimento. Tannino fitto ma già piuttosto elegante, pur in fase di integrazione, a riconferma della sicura prospettiva del nettare.
VIGNA ‘800
Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva
Virgo Moron
Vino biologico, non ancora in commercio. Mediamente penetrabile. Bel naso giocato su una speziatura elegante, con note di liquirizia dolce che arricchiscono il quadro. Pregevole anche l’espressione del frutto, tra primari e appassimento. Uno dei campioni da annoverare tra i migliori in assoluto di Amarone Opera Prima 2023.
VIGNETI DI ETTORE
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Colore piuttosto carico. Naso bocca che rispecchiano la cromia, su note di frutto e terziari piuttosto grassi. Tannino vivo, in fase di integrazione. Vino a cui dare tempo.
VILLA SAN CARLO WINE
Amarone della Valpolicella Docg
Campione di botte. Colore mediamente carico. Tannini vivi, piuttosto aggressivi, ma a differenza di altri questo campione dimostra di aver stoffa e stile, soprattutto sul fronte della purezza del frutto. Parole d’ordine, ancora una volta: tempo, attesa. Ripagheranno, c’è da scommetterci.
ZENI 1870
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Vigne Alte
Vino non ancora in commercio. Rubino-granato piuttosto impenetrabile. Colpisce e convince per la purezza assoluta del frutto, polposo, pieno, perfettamente maturo. Non manca il corredo floreale e speziato. Al palato si conferma un Amarone 2018 incentrato sul frutto, splendidamente controbilanciato da freschezza e spezia. Chiude su una leggera di burro salato. Vino non particolarmente stratificato e giocato su una certa abbondanza delle note dettate dall’affinamento in legno, conservando tuttavia un buon gradiente di tipicità.
ZÝMĒ
Amarone della Valpolicella Docg Classico
Campione di botte. Vino al momento scomposto tra le componenti, non giudicabile.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Sono terre vergini, circondate da boschi incontaminati. Il potenziale ancora inespresso è immenso». Prendi un bambino. Mettilo di fronte a uno scaffale di caramelle. Capirai così l’entusiasmo di Enrico Cassinelli tra i filari di Hundred Hills. Gli occhi brillano. La voce enfatizza il concetto: «Gli English Sparkling, gli spumanti inglesi, sono il presente e il futuro: l’Inghilterra, con i suoi spumanti Metodo classico, può davvero sfidare lo Champagne».
Un fagiano si alza in volo poco lontano, mentre una brezza leggera fa il paio con la timidezza del sole che inizia a calare a Henley-on-Thames. Alle 4 del pomeriggio, nella Contea di Oxfordshire, regione del South East England, fa freddo nonostante la bella giornata senza nuvole. È qui che ha trovato casa (e lavoro) il 52enne pavese responsabile dei vigneti di Hundred Hills.
Cassinelli, originario di Santa Maria della Versa, cuore pulsante dell’eterna terra promessa degli spumanti italiani (l’Oltrepò pavese), è solo uno dei tanti forestieri che sta contribuendo all’ascesa delle bollicine inglesi base Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier. Josh Donaghay-Spire, head winemaker di Chapel Down, la cantina da 2 milioni di bottiglie complessive che detiene il primato della produzione degli English Sparkling, esprime con parole diverse gli stessi concetti. Lo stesso stupore.
Abbiamo piantato la vigna Kit’s Coty nel 2008, ottenendo sin da subito risultati entusiasmanti dalla critica, perché a mio avviso quello è il vigneto migliore del Paese. Ma in Inghilterra molte vigne devono ancora essere impiantate e molte devono entrare in produzione: di tutte queste, dunque, non conosciamo ancora il potenziale. Abbiamo una storia meravigliosa tutta da scrivere nei prossimi 5, 15, 25 anni».
Poco lontano dal quartier generare di Tenterden del colosso Chapel Down, per l’esattezza ad Appledore, sempre nel Kent, Charlie Holland, enologo di Gousbourne, si unisce al coro del collega con la sua visione degli spumanti inglesi: «Abbiamo una pagina bianca all’anno da scrivere in Inghilterra: si chiama vendemmia. Ogni volta un libro affascinante e unico, da interpretare partendo dai nostri meravigliosi suoli, che danno uve uniche». Game, set, match.
Avesse un colore, quest’onda di entusiasmo che sta guidando decine di imprenditori inglesi a convertire il business e investire nella viticoltura – in particolare proprio nella produzione degli English Sparkling – sarebbe il bianco. Un candore destinato ad essere associato sempre più a un calice di spumante proveniente dalle parti di Buckingham Palace. E non più, esclusivamente, alle «bianche scogliere di Dover» celebrate da Alice Duer Miller. Già, perché alla base di gran parte dei migliori spumanti inglesi c’è il gesso. Lo stesso componente del suolo che ha reso celebre lo Champagne, a livello internazionale.
MAISON FRANCESI A CACCIA DI TERRENI NELLA “NUOVA CHAMPAGNE”
Se ne sono accorti da un pezzo i francesi, padroni indiscussi del mercato con i loro Méthode Traditionnelle. Domaine Saint Evremond, nel Kent, è di proprietà della storica e prestigiosa maison Taittinger dal 2015. I 69 ettari di Selling Court Farm, non lontano da un noto Golf Club, fanno parte del parco vigneti inglese della casa di Reims, oltremanica nei panni di conquistadores.
L’acquisto della tenuta è frutto di un accordo con il distributore britannico Hatch Mansfield. Una joint venture felice, tra mostri sacri della qualità e dei premium wines. L’esordio sul mercato è ormai agli sgoccioli: la prima etichetta è attesa per il 2024 e sa già di battesimo. Di inizio di una nuova epoca per la maison fondata nel 1734 da Jacques Fourneaux.
Ed è lo stesso Pierre-Emmanuel Taittinger a chiarire come l’investimento vada ben oltre i cambiamenti climatici: «Siamo la prima Maison di Champagne a dare vita a un vigneto nel Regno Unito, a un’ora da Londra e in una regione in cui il sottosuolo gessoso ha la stessa struttura geologica della Côte des Blancs, in Champagne». Un investimento ben programmato. Secondo quanto appreso da winemag.it, in Inghilterra, il costo dei terreni nudi è ancora tutto sommato contenuto.
INGHILTERRA, +70% DI ETTARI VITATI NEGLI ULTIMI 5 ANNI
Si parla di cifre che oscillano fra i 30 e i 50 mila pound per ettaro, ovvero dai circa 34 ai 58 mila euro. Cifre che hanno favorito investimenti e conversioni agricole. Tanto che l’Inghilterra è passata dai 211 ettari impiantati negli anni Ottanta al boom dei 2.200 ettari della decade 2010-2020. Tra il 2020 e il 2021 sono stati piantati 753 ettari, cui si aggiungono i circa 400 del 2022.
Sino ad arrivare, così, a un totale di 4 mila ettari vitati. La parte del leone è dello Chardonnay (1,179 ettari), seguito da Pinot Noir (1.164, di cui 63 di Pinot Noir Précoce / Frühburgunder) e Pinot Meunier (327 ettari). Nove i milioni di bottiglie prodotte complessivamente nel 2021 (erano 5 milioni nel 2017), di cui il 68% sono bollicine. Ma l’interesse crescente per gli spumanti inglesi è confermato anche dal ciclo di incontri dell’austriaca Riedel in tre cantine inglesi, sul finire di gennaio 2023.
Maximilian Riedel in persona, accompagnato da referenti britannici del noto marchio di calici – tra i quali Stephen McGraw e Martin Turner della consociata Spiegelau Nachtmann – ha voluto incontrare gli enologi locali e i referenti di Wine Gb – Simon Thorpe MW e Julia Trustram Eve – per studiare un calice ad hoc per gli English Sparkling. L’ennesima riprova di quanto, ormai, gli spumanti inglesi siano sulla bocca di tutti e aspirino a un ruolo da protagonisti nella scena internazionale.
LA VITICOLTURA IN INGHILTERRA: ENGLISH SPARKLING PROTAGONISTI
Che il Metodo classico abbia un ruolo di primissimo rilievo in Inghilterra, lo dicono anche i numeri. Le bollicine di qualità rappresentano il 98% di tutti gli spumanti prodotti, all’apice degli stili nel Regno Unito. Come spiega l’organismo di controllo a winemag.it, «la dicitura “English Sparkling Wine” può essere utilizzata in etichetta solo se il vino è stato sottoposto a certificazione Dop o Igp. La differenza tra i due tipi di denominazione dipende principalmente dalla varietà dell’uva».
La Dop riguarda i 6 vitigni classici consentiti: Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier, Pinot Précoce (il Frühburgunder tanto diffuso in regioni tedesche come l’Ahr), Pinot Blanc e Pinot Gris. L’Igp, invece, include un numero molto più ampio di varietà, compresi incroci come il Seyval Blanc (ibrido 5276). Se un produttore non sottopone il proprio vino ai regimi Dop o Igp, di solito lo etichetta come “Vino d’Inghilterra” generico.
Qualcuno utilizza anche la dicitura “Methode Britannique“, mescolando ulteriormente le carte franco-inglesi, ai bordi liquidi della Manica. Un’importante consultazione è in corso nel settore per individuare – entro Primavera – criticità e punti di forza dei disciplinari. L’obiettivo è quello di agevolare i produttori, ma soprattutto di favorire il marketing e la comunicazione degli spumanti inglesi.
Tra le proposte tecniche, quella di alzare da 9 a 18 mesi l’affinamento minimo degli English sparkling Dop, sotto al marchio Great British Classic Method. Se in Inghilterra ristoranti come The Harrow at Little Bedwyn del 12 volte stella Michelin Roger Jones hanno servito gli English Sparkling dall’esordio sino alla chiusura – avvenuta nel 2020 – oggi, in ottica nazionale e ancor più sul fronte dell’export (pari al 4% della produzione complessiva, con Scandinavia, Usa e Giappone in testa alla classifica), semplificare la regolamentazione è tra le priorità di Wine Gb.
TOUR IN 12 TAPPE TRA GLI SPUMANTI INGLESI METODO CLASSICO
Paesaggi incantati tra vigneti, pascoli, colline vergini, viali alberati che conducono a piccole cattedrali nascoste e una grande ricchezza di fauna selvatica. Viaggiare nella regione del South East England, alla scoperta degli spumanti metodo classico inglesi, significa toccare con mano le immense potenzialità enoturistiche ancora inesplorate dell’Inghilterra.
Sei, in particolare, le contee interessate dal tragitto, da ovest a est: Berkshire, Shropshire, Oxfordshire, Hampshire, Sussex e Kent. Le 12 cantine suggerite da winemag.it sono collegate tanto da comode autostrade quanto da strade di provincia per cui occorre una certa abilità al volante, specie nelle stagioni più fredde.
Un percorso di circa 300 miglia (quasi 500 Km) che vale la pena di vivere in almeno 5 giorni a bordo di un’auto a noleggio, comodamente disponibile negli aeroporti londinesi. Quelle sottolineate sono le tre cantine da non perdere, per chi ha meno tempo a disposizione. Sulla pagina Instagram di winemag.it, la storia in evidenza “English Sparkling”, con tutte le immagini e video del viaggio.
GLI SPUMANTI METODO CLASSICO INGLESI DA NON PERDERE
All Angels Vineyard [metaslider id=”76540″] Classic Cuvée 2014; Rosé Sparkling 2018. Piccola cantina dall’approccio molto genuino, sotto la guida di Mark Darley. La vinificazione non avviene in loco e un investimento in tal senso potrebbe portare a un ulteriore innalzamento della qualità media di tutte le etichette. Splendido, in particolare, il risultato ottenuto nel 2014, grandissima annata per l’Inghilterra, anche in termini di longevità.
Coates & Seely [metaslider id=”76544″]
Blanc de Noirs 2014 “La Perfide”; Brut Reserve NV; Rosé NV. Massima precisione degli spumanti grazie al team di esperti enologi francesi, la cui mano è comunque leggera, in favore dell’espressione dei suoli gessosi.
Hundred Hills Winery [metaslider id=”76548″] Blanc de Noirs 2019; Blanc de Blancs 2018; Rosé 2018. Team agronomico guidato dall’italiano Enrico Cassinelli, cui spetta un ruolo decisamente arduo, visto l’approccio della cantina alla massima espressione del vigneto, rinunciando alla quantità in favore della qualità assoluta. Risata contagiosa quella del titolare Stephen Duckett, che fa il paio con la ricerca della massima precisione in ogni calice. I vini Hundred Hills rispecchiano bene questa duplice attitudine: gran bevibilità e gastronomicità, accostata all’espressione sincera dei suoli e delle parcelle di vigneto.
Black Chalk Vineyard & Winery [metaslider id=”76554″] Classic 2018; Wild Rosé 2018 II. La più dinamica e giovane tra le cantine visitate. L‘enologa Zoë Driver, pur giovanissima, ha viaggiato molto e il bagaglio pesa (ovviamente in positivo) nel calice. In vigna, l’esperienza e la passione di James Mature. Cantina che sprizza energia e dinamismo.
Hattingley Valley Wines [metaslider id=”76559″] Rosé 2019. L’approccio “costumer oriented”, spinto dalle dimensioni e dal potenziale produttivo non indifferente della cantina, soddisfa più nel packaging che nell’effettiva stratificazione e valorizzazione del terroir nella gamma. Spumanti inglesi comunque perfetti per avvicinarsi alla tipologia.
Hambledon Vineyard [metaslider id=”76565″] Classic Cuvée; Première Cuvée; Classic Cuvée Rosé; Dosage Zéro Première Cuvée Pinot Meunier. Cantina che ha cambiato proprietà e scelte, spostandosi radicalmente dalla produzione di vini fermi da varietà tedesche degli anni Sessanta e Settanta a una linea di spumanti Metodo classico di altissimo rango. Hambledon è la prima cantina inglese ad aver immesso sul mercato una linea di vini prodotti tra i confini nazionali, nel 1952.
Wiston Estate [metaslider id=”76570″] Blanc de Noir 2014; Blanc de Blancs 2015; Vintage Rosé 2014; Blanc de Blancs NV, Estate Cuvée, Brut NV. In una parola sola: eleganza. Cui va aggiunta un’altra parola: assoluta. Eleganza assoluta. Questo propone Wiston Estate, dal croccantissimo spumante di entrata, ai millesimati che si avvicinano ai 10 anni sui lieviti. Wiston Estate, unica cantina inglese a possedere una tradizionale pressa Coquard – largamente utilizzata in Champagne – è anche Chalk Restaurant: l’angolo gourmet che conferma l’amore dei fondatori per il gesso che rende così unica l’espressione degli spumanti.
Ridgeview Wine Estate [metaslider id=”76575″] Blanc de Noir 2015 limited release; Blanc de Blanc 2017 limited release; Rosé de Noir 2018 limited release. La cantina possiede alcuni tra i vigneti di Chardonnay e Pinot Nero più vecchi in produzione per gli English Sparkling. L’approccio è rigido, focalizzato sull’espressione del suolo, senza rinunciare a una certa bevibilità e immediatezza.
Bluebell Vineyard Estates [metaslider id=”76579″] Blanc de Blancs 2015. Parola d’ordine “frutto”. Gli spumanti inglesi targati Bluebell Vineyard Estates si riconoscono tra mille per la caratterizzazione sul frutto. Residui zuccherini tendenzialmente più alti della media completano il quadro di una cantina che ha una precisa identità, nel segno del gusto del titolare, Kevin Sutherland.
Balfour Winery [metaslider id=”76584″] Blanc de Noirs 2018. Ampia tenuta nel Kent, focalizzata su un paradigma ben chiaro: «Non lavoriamo nel settore vino, ma nel settore dell’intrattenimento». Bello spazio attrezzato per l’estate e le giornate assolate di primavera, in cui godersi calici di spumanti poco complicati, di grande immediatezza e piacevolezza.
Chapel Down [metaslider id=”76592″] Kit’s Coty 2016 “Coeur de Cuvée” – North Downs; Kit’s Coty 2017 Blanc de Blancs – North Downs; Rosé Brut 2019 – Tenterden; Three Graces 2017 – Tenterden; Brut Nv – Tenterden. Non capita spesso: la cantina che produce più volumi è quella in grado di lasciare maggiormente il segno nel calice. Merito delle decine di ettari che Chapel Down possiede nella vigna di gesso più prestigiosa di tutta l’Inghilterra: Kit’s Coty. Tutta la gamma di spumanti è centratissima e di carattere, ma la vera personalità degli English Sparkling targati Chapel Down esce con le “etichette bianche”. Spumanti inglesi da non perdere per nessuna ragione.
Gusbourne Estate [metaslider id=”76599″] “51° N” 2014; Blanc de Noir 2018; Blanc de Blancs 2018; Brut Reserve 2019. Altra cantina in cui la “mano” dell’enologo si coniuga alla perfezione con l’espressione del suolo. Il parco vigneti del Kent di Gusbourne consente di lavorare le masse garantendo risultati qualitativi costanti, ma è il mix tra suoli gessosi, argillosi e ricchi di sabbie che agevola calici di grande qualità e personalità. Vini piuttosto mascolini, pur eleganti. In particolare, Gusbourne può essere considerata un punto di riferimento assoluto in Inghilterra per la spumantizzazione del Pinot Nero.
ENSLISH SPARKLING: GUIDA AGLI SPUMANTI INGLESI IN PILLOLE
I cambiamenti climatici sono una concausa, non la ragione unica dei recenti investimenti dell’Inghilterra nella viticoltura e nella spumantizzazione Metodo classico. L’aumento delle temperature medie, che favorisce la maturazione delle uve più che in passato e che aumenta anche le chance dei vini fermi, è la ciliegina sulla torta di un progetto ad ampio raggio che affonda le sue radici, in diversi casi, addirittura negli anni Cinquanta.
Massima attenzione, da parte dei produttori, nella scelta del sito in cui impiantare i vigneti. Deve essere in grado di assicurare la massima qualità delle uve atte alla spumantizzazione. L’acidità è un parametro importante, ma non l’unico a cui rispondere nella scelta dei siti da impiantare. La parola d’ordine, da queste parti, è “equilibrio“: un must per tutte le regioni vinicole internazionali che aspirano a un ruolo da protagoniste nei calici della critica e dei consumatori mondiali.
Molti spumanti inglesi sono frutto di singole parcelle, generalmente disposte su suoli contraddistinti da una larga presenza di gesso (chalk), calcare e altre rocce sedimentarie come il flint (chilt nella declinazione sassone del termine inglese). Grande spazio anche alla sabbia, nonché alla cosiddetta greensand, la “sabbia verde“, ricca di potassio e minerali, frutto del fine sgretolamento del gesso. Ovviamente è presente anche l’argilla, il tipo di suolo più comune nel Kent, una delle regioni con le temperature medie più alte del Paese e le minori precipitazioni. Il Kent è noto per l’appunto come The Garden of England, il Giardino d’Inghilterra, per la presenza di vaste piantagioni di frutta e ortaggi, oggi parzialmente soppiantate dai vigneti.
Nonostante i riscontri crescenti della critica internazionale, l’Inghilterra considera pressoché agli esordi il proprio percorso nell’Olimpo della viticoltura internazionale.
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Lo dimostra l’impianto di diversi cloni della medesima varietà, non solo nel singolo contesto aziendale, ma anche all’interno della medesima vigna. Ad ogni clone di Chardonnay, per esempio, spesso corrisponde un filare o più. I diversi cloni vengono vendemmiati a seconda dell’epoca di maturazione, che può variare anche di diversi giorni, consentendo ai produttori di sperimentare e trarre il meglio da ogni vendemmia.
L’approccio di molte cantine agli English Sparkling è rivolto alla valorizzazione dell’espressione della singola annata, oltre che della singola vigna o, addirittura, parcella. La grande variabilità tra un’annata e l’altra convince molti ad avere in gamma uno o più spumanti NV (non-vintage) frutto dell’assemblaggio di più annate.
La vendemmia 2018, generosa e qualitativamente ottima, ha per esempio consentito ai produttori inglesi di accantonare buoni quantitativi di vini base per i millesimi successivi.
Dal punto di vista organolettico, gli English Sparkling sono generalmente caratterizzati da una vibrante freschezza e verticalità, dettata dall’acidità naturale delle uve Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier coltivate a queste latitudini, ormai ben gestita in vigna e in cantina. Lo zuccheraggio (chaptalization) è pratica poco diffusa tra le cantine che puntano alla massima qualità e all’espressione del terroir (la maggior parte).
Un descrittore spesso ricorrente per i calici di spumante inglese Metodo classico è la mineralità/sapidità, specie nelle aree in cui le viti affondano le radici in suoli gessosi, calcarei e ricchi di minerali. Non mancano quasi mai gli agrumi e la frutta (che sia a polpa rossa, bianca o gialla) è generalmente croccante. Il legno è poco contemplato nella vinificazione, se non per i vini base di riserva, la cui percentuale varia da un minimo di 5 a un massimo del 20% nella cuvée.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Entro il 2032 il mercato globale dei vini senza alcol, unito a quello degli spirits e delle birre analcoliche, potrà raggiungere cifre di mercato astronomiche. Stando alle più recenti statistiche internazionali, snocciolate alla World Bulk Wine Exhibition 2022 di Amsterdam, il giro d’affari potrà toccare quota 23 miliardi di dollari, forte anche dell’accelerazione del settore verificatasi lo scorso anno (+33% in volume).
Birre e spiritsLow e Non-Alcoholic cresceranno comunque meno del nettare di Bacco dealcolato. Ed è anche per questo che l’industria del vino globale sta affinando i coltelli nei confronti dei diretti competitors (birra e spirits, per l’appunto). Come? Cercando di introdurre i vini senza alcol tra le tipologie a denominazione di origine controllata in Europa.
«Birrifici e distillerie – spiega Gerard Kenneth Higgins, responsabile di Pernod Ricard Winemakers per il Nord Europa – sono molto aggressive in questo segmento, essendo molto semplice fare birra e distillati senza alcol che siano buonissimi. Le recenti acquisizioni nel settore delle bevande dealcolate da parte di grandi gruppi dimostra quanto il segmento sia ormai di grande interesse. L’industria del vino si ritrova così a dover rincorrere e combattere. Le aspettative di crescita nei prossimi 10 anni sono del 29% e ciò significa che la produzione deve crescere di pari livello».
I mercati dove è attesa la crescita maggiore sono quelli maturi, in cui esiste una tradizione nel consumo di alcolici, Ma non sono esclusi l’Asia meridionale e orientale, dove il consumo di vino è meno radicato a livello socio-culturale. Sempre secondo le più recenti analisi compite su scala globale, le opportunità di costruire un brand solido nel segmento dei vini low e zero alcohol non mancano. Il tutto a fronte dei corretti investimenti in qualità e posizionamento, perché produrre un vino dealcolato comporta innovazione tecnologica che va ben oltre il settore dell’enologia tradizionale.
I NUOVI MERCATI DEL VINO DEALCOLATO
Il Systembolaget, ovvero il monopolio svedese, dedica ormai da anni uno scaffale alle bevande non alcoliche all’interno dei propri 400 (e più) punti vendita. Molto fiorente il mercato nel Paese scandinavo, con diverse aziende nate negli ultimi anni proprio per presidiare il segmento degli analcolici (clamorosa, a tal proposito, l’aggressività del marketing di Sav 1785, con il suo succo di betulla spumantizzato paragonato a Franciacorta e Champagne). Lo stesso vale per diverse catene di supermercati. Non ultima l’inglese Tesco, mentre per l’Italia è Esselunga a fare da pioniera, pur con una singola etichetta.
«A contribuire al successo del segmento – sottolinea Irem Eren, direttrice vendite e sviluppo commerciale di BevZero Emea – è il proliferare di stili di vita e stili alimentari volti alla salubrità. È cambiato l’approccio al bere senza alcol: prima era riservato a credo religioso, motivi di salute o professionali (autisti, etc.) ed era vissuto come un sacrificio. Oggi è una scelta consapevole, compiuta da Millennials alla ricerca di stili di vita sani e di un’alimentazione più sana».
Cresce anche il numero di bar focalizzati sulle bevande non alcoliche, nonché il numero di distributori e retailer, così come le cantine che stanno finalmente cercando di incontrare la domanda crescente di questo tipo di prodotti da parte dei consumatori».
MIGLIORI VINI SENZA ALCOL: COME RICONOSCERLI
Produrre vini senza alcol non è comunque un gioco da ragazzi. Come ricorda Gianmaria Zanella, responsabile Ricerca e Sviluppo della veneta Enologica Vason, tutto dipende dalla qualità del vino base. «In passato – evidenzia Zanella – si faceva vino dealcolato pressoché da qualsiasi base. Oggi non funziona più così».
Se si punta alla qualità, anche in questo segmento, bisogna partire da un buon vino base, che garantisca parametri tali da agevolare il successo del processo di dealcolazione. In mancanza di questa buona base, la distillazione non fa altro che concentrare i difetti. È presumibile ipotizzare che entro una decina di anni si inizierà a pensare il vino senz’alcol dalla vigna, piantando vigneti e varietà adatte ad essere sottoposte alla dealcolazione».
Più in generale, i migliori vini senza alcol rispondono già ad alcune caratteristiche precise. Sono generalmente frutto di vigne con alte rese, ottenibili grazie alle tecniche di potatura. Le varietà più adatte, inoltre, sono quelle poco ricche di tannini (difficilissimo, per esempio, produrre un buon vino dealcolato da varietà come Sagrantino e Tannat).
Infine, la bontà e la qualità organolettica di un vino dealcolato dipende molto dalla sua “data di scadenza” (shelf-life). Più si riducono i tempi tra l’imbottigliamento, la spedizione e l’immissione in commercio, più il vino sarà in condizioni accettabili per il palato. Insomma, tante variabili, ma ancor più opportunità di mercato nel futuro dei vini senza alcol.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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