L’innalzamento dello sconto sulle accise per i microbirrifici è realtà. Sono stati, infatti, approvati gli emendamenti alla Legge di Bilancio, in corso di discussione a Montecitorio, presentati dai gruppi di Lega e Fratelli d’Italia a prima firma degli onorevoli Mirco Carloni e Mauro Rotelli. La misura, che agevola soprattutto gli impianti di piccola taglia, era già attiva per il biennio 2022-2023. A richiederne l’estensione in più provvedimenti è stata Unionbirrai, l’associazione dei piccoli birrifici artigianali indipendenti.
Gli emendamenti sono stati accorpati nel corso della discussione e comportano una copertura economica complessiva inferiore ai 3 milioni di euro l’anno. I piccoli birrifici artigianali con una produzione fino a 10.000 ettolitri beneficeranno di uno sconto sulle accise pari al 50%. Per le imprese che producono fino a 30.000 ettolitri, lo sconto sarà del 30%, mentre per quelle che raggiungono i 60.000 ettolitri lo sconto scenderà al 20%.
LE DICHIARAZIONI DEGLI ADDETTI AI LAVORI
«Con un intervento economico limitato, il Governo sostiene concretamente le produzioni brassicole artigianali nazionali crescita – dichiara Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai – dando quel supporto che per il settore, fatto di piccole e piccolissime imprese, rappresenta un volano determinante per la crescita».
«L’innalzamento dello sconto sulle accise per i microbirrifici – spiega Teo Musso il presidente del Consorzio Birra Italiana – rappresenta un aiuto per la crescita delle filiere dal campo alla tavola. Filiere che sul territorio nazionale stanno già vedendo lo sviluppo di esperienze importanti. Un indotto importante per l’economia dei territori con la crescita della produzione di orzo e di luppolo italiani».
«Una misura importante sostenuta grazie all’impegno del presidente della Commissione Agricoltura della Camera Mirco Carloni e dei parlamentari che hanno lavorato sull’emendamento e del Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare», fa eco il presidente della ColdirettiEttore Prandini.
IL COMPARTO BIRRA IN ITALIA
Un comparto che vede oggi quasi 1200 birrifici in tutta Italia, di cui circa il 25% è agricolo, ovvero produce da sé le materie prime necessarie. Percentuale in costate crescita secondo l’analisi del Consorzio Birra Italiana. La birra artigianale è entrata sempre più nelle case degli italiani, con una produzione di 48 milioni di litri, di cui quasi 3 milioni di litri destinati all’export. Un valore di oltre 430 milioni di euro sul mercato del fuori casa, garantendo 92 mila posti di lavoro tra addetti diretti e indiretti. Un fenomeno sul quale pesano però l’aumento record dei costi di produzione legati alle tensioni internazionali e gli effetti dei cambiamenti climatici. Siccità e maltempo hanno causato una riduzione importante della produzione di orzo facendo drasticamente calare le rese, pur se il prodotto si presenta comunque di ottima qualità.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Da domani, mercoledì 18 dicembre, l’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau americano aggiungerà l’American Single Malt Whisky al Registro Federale. Riconoscendolo, di fatto, come una tipologia ufficiale di whisky americano. «Si tratta di una decisione storica – sottolinea l’American Single Malt Whiskey Commission – che arriva dopo quasi nove anni di petizioni per ottenere uno standard di identità da parte della Commissione».
ESULTANO I PRODUTTORI AMERICANI
«Nelle nostre prime discussioni con il TTB, nel 2016 – continua l’organismo guidato dal presidente Steve Hawley – è stato chiaro che dovevamo dimostrare due cose per poter prendere in considerazione la designazione. In primo luogo, che la nostra petizione era stata concepita per favorire il consumatore finale. In secondo luogo, che avevamo un ampio sostegno da parte dell’industria per la nuova regola. Il supporto alla causa e ai produttori di single malt in America, arrivato su entrambi i fronti nel corso degli anni, è stato inestimabile. Senza, non avremmo potuto ottenere questo risultato».
IL 18 DICEMBRE SARÀ LA GIORNATA DELL’AMERICAN SINGLE MALT WHISKY
L’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau è stato molto accurato e ponderato nella revisione e nella spiegazione della decisione finale. «Da qui in avanti – annuncia l’American Single Malt Whiskey Commission – il 18 dicembre sarà una data di celebrazione della ratifica. Non ci saranno festeggiamenti più grandi di quelli di domani e siamo lieti che tutti si uniscano ai festeggiamenti. A partire dal 19 dicembre, ci rimetteremo al lavoro perché c’è ancora molto da fare per far progredire e promuovere l’American Single Malt Whiskey nel mondo».
AMERICAN SINGLE MALT WHISKY, COSA CAMBIA
L’American Single Malt Whiskey rappresenta una categoria in forte crescita negli Stati Uniti, caratterizzata dall’uso esclusivo di 100% malto d’orzo e dalla produzione all’interno di una singola distilleria. Sino ad oggi, però, questa tipologia di whisky non era stata ancora ufficialmente riconosciuta dalla legislazione statunitense. Il TTB, ente federale che regola il settore degli alcolici, ha pubblicato nel luglio 2022 una proposta di regolamentazione per definire e standardizzare questa categoria emergente. La bozza include criteri specifici riguardanti la produzione e l’invecchiamento.
Dopo una fase di raccolta delle osservazioni pubbliche conclusa nel settembre 2022, il TTB si è messo al lavoro per valutare i commenti ricevuti. Con l’obiettivo di finalizzare la definizione ufficiale. Nel frattempo, i produttori americani hanno continuato a seguire linee guida volontarie, come quelle stabilite proprio dall’American Single Malt Whiskey Commission, al fine di garantire standard qualitativi elevati e coerenza nella produzione. L’American Single Malt Whiskey, dunque, si appresta ad entrare da domani, 18 dicembre, in una nuova era grazie al suo riconoscimento formale. Secondo molti osservatori si tratta di una delle categorie più promettenti e innovative del panorama globale dei distillati.
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Circola da alcune settimane, in Valpolicella, la voce che il colosso Bertani sia di nuovo in vendita. Sullo sfondo c’è la presunta trattativa in corso tra la proprietà, ovvero il Gruppo Angelini, e Recordati Spa, che potrebbe portare alla creazione di un grande polo italiano del farmaco. Un’operazione che, sempre secondo gli insistenti rumors, potrebbe determinare il futuro di Bertani e delle altre cantine controllate da Angelini. I nuovi partner non vedrebbero con favore il ramo vitivinicolo, suggerendo all’attuale proprietà di vendere per finalizzare l’accordo.
«La famiglia – fa sapere a Winemag il direttore generale di Angelini Wines & Estates, Alberto Lusini – ha approvato 8 milioni di investimenti in Hospitality e vigneti, nei prossimi tre anni. Nelle ultime settimane si è parlato anche di un possibile accordo con un altro gruppo farmaceutico. Sono rumors, ovviamente, trattandosi di trattative confidenziali e dall’esito non confermato». Bertani si è aggiunta nel 2011 alle realtà agricole e vitivinicole di Tenimenti Angelini, che già contavano le toscane Val di Suga, Tenuta Trerose, San Leonino, la friulana Cantina Puiatti.
L’ultimo investimento nel vino del noto gruppo farmaceutico è del 2015, con l’ingresso della marchigiana Fazi Battaglia, regina del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Molto più recente il passaggio da Bertani Domains ad Angelini Wines & Estates, che risale solo al 2022. «Un nuovo capitolo della storia – commentava il gruppo – nel segno del rinnovato impegno della famiglia, che prende forza grazie ai valori che ispirano da sempre Angelini Industries, legati al concetto di prendersi cura». In definitiva? Bertani in vendita in Valpolicella o nelle altre zone è solo un rumors della zona. https://www.angeliniwinesandestates.com/. Il territorio è un elemento fondamentale e distintivo per le tenute. I nostri vini sono l’espressione più autentica delle diverse aree produttive, coerenti sia per stile sia per vitigni coltivati alla personalità che il genius loci esprime.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Operazione della Guardia di Finanza di Salerno nei giorni scorsi, contro la produzione clandestina di alcolici. Le Fiamme Gialle della Compagnia di Nocera Inferiore hanno sequestrato quasi 1.000 litri di prodotti alcolici tra liquori già confezionati e alcol puro non ancora utilizzato. L’intervento, volto a contrastare le frodi nel settore delle accise e delle imposte indirette sulla produzione e sui consumi, ha portato alla scoperta di un vero e proprio opificio illegale nel comune di Angri. Il deposito, situato in un box di circa 20 metri quadrati, era stato adibito alla fabbricazione abusiva di bevande alcoliche, in violazione delle normative igienico-sanitarie e senza le dovute autorizzazioni.
Durante l’ispezione sono stati rinvenuti 984 litri di prodotto complessivo. Si tratta di 300 litri di alcol puro di contrabbando, ancora conservato in una cisterna di plastica. La parte restante è di 684 litri di liquori già confezionati, tra cui grappa, limoncello, meloncello, fragolino, pistacchio, bananino e cioccolato, pronti per la vendita in taniche e bottiglie di varia capacità. Il responsabile, un cittadino italiano, è stato segnalato alla Procura della Repubblica e dovrà rispondere delle accuse di “Sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sull’alcole e sulle bevande alcoliche” e di “ricettazione”.
MAXI SEQUESTRO DI ALCOL E LIQUORI AD ANGRI (SALERNO)
Le frodi nel settore delle accise, categoria in cui si inserisce l’ultimo ingente sequestro di alcol e liquori clandestini avvenuto in provincia di Salerno, causano gravi danni alle entrate dello Stato e distorcono le regole della concorrenza, penalizzando le imprese che operano nella legalità. Questo genere di interventi non solo tutela la competitività del mercato, ma favorisce lo sviluppo imprenditoriale e garantisce un contesto economico più equo. Oltre al danno economico, c’è anche un serio rischio per la salute pubblica.
I liquori di contrabbando, infatti, sfuggono a qualsiasi controllo qualitativo e di sicurezza e potrebbero contenere impurità o sostanze contaminanti dannose per i consumatori. L’operazione della Guardia di Finanza rappresenta un ulteriore passo nella lotta alla produzione e commercializzazione illegale di bevande alcoliche, a tutela sia dell’economia nazionale che della salute dei cittadini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Cantina Bolzano(Kellerei Bozen) ha presentato a Milano la seconda annata di Tal 1930 e Tal 1908. Vini che – per prezzo, ma ancor più per qualità – si posizionano all’apice della gamma della cooperativa dell’Alto Adige, accanto a un’icona come il Lagrein Riserva “Taber”. Due “Cuvée Superior”, Südtirol-Alto Adige Doc, vendemmia 2021, che restituiscono al calice la fotografia dei vigneti da cui provengono le uve. Chardonnay (80%), Sauvignon (10%) e Pinot Grigio (10%) per il bianco Tal 1930, da piante di età media superiore ai 30 anni allevate tra i 400 e i 700 metri d’altezza, in località Leitach e Renon. Lagrein (83%), Cabernet sauvignon (12%) e Merlot (5%) per Tal 1908, da viti fino a 50 anni di età selezionate nei “cru” di Gries e San Maurizio. Dopo l’ottimo esordio dei due vini nel novembre 2023, l’enologo di Cantina Bolzano, Stephan Filippi, è riuscito a superarsi, ricorrendo a una modifica delle percentuali delle due cuvée.
«Tutto dipende dalla qualità dell’annata – ha spiegato il winemaker di Kellerei Bozen, ormai un veterano della cooperativa altoatesina – ma anche dalla qualità espressa dalle singole uve che andranno a comporre il puzzle finale». Rispetto alla 2020, le condizioni della vendemmia 2021 hanno consentito a Filippi di incrementare dell’11% la percentuale di Chardonnay nella cuvée Tal 1930 (dal 69% all’80%), a discapito del Sauvignon (passato dal 21% al 10%), lasciando invariata la quota del Pinot Grigio (10% in entrambe le annate). Stesso copione per la cuvée rossa Tal 1908, resa ancora più “territoriale” con un 3% in più di Lagrein (83%; era all’80% nel 2020) e un 2% in più di Merlot (passato dal 3 al 5%), a discapito del Cabernet Sauvignon (sceso dal 17% della 2020 al 12% del 2021).
TAL 1930 (95/100 WINEMAG) E LA SCELTA (AZZECCATA) DI UN GRANDE PINOT GRIGIO
Salta all’occhio – sarebbe meglio dire “al palato” – il carattere tipicamente altoatesino della quota di Pinot Grigio presente in Tal 1930. Non sorprende, dunque, che l’unica percentuale a non variare nell’arco delle due vendemmie dei “Tal” sia proprio la sua. «Per i limiti comunicativi di questa varietà – afferma Stephan Filippi – in Alto Adige si preferisce spesso puntare sul Pinot Bianco. Ma a Cantina Bolzano abbiamo tutto Pinot Grigio di collina, tra i 650 e i 700 metri di altitudine. Dunque abbiamo basse rese. E zone selezionate, dove non dobbiamo neppure intervenire per diradamenti».
«Anzi – continua – abbiamo il problema inverso, ovvero che il Pinot Grigio produce troppo poco. Si tratta della selezione effettuata da un vivaista della zona, che è riuscito a fare un lavoro straordinario sul vitigno. L’uva per Tal 1930 arriva in cantina in cassette. Da lontano, gli acini sono di un ramato tanto intenso da poter essere scambiati per Pinot Nero. Per non parlare della gran bella acidità di queste uve. Un altro motivo che mi convince a ricorrere al Pinot Grigio, in una cuvée che deve essere il nostro optimum». Altrettanto efficace lo switch deciso da Filippi dal Sauvignon allo Chardonnay, a cavallo delle due annate. Oggi, Tal 1930 Cuvée 2020 risulta infatti molto condizionato dal primo vitigno. Mentre in Tal 1930 Cuvée 2021, l’equilibrio tra le varietà è già perfetto.
TAL 1908 (94/100 WINEMAG): PIÙ LAGREIN E MERLOT, MENO CABERNET
Ancora più pratica – nonché altrettanto azzeccata – risulta la scelta di ridurre la quantità del Cabernet Sauvignon in Tal 1908, vendemmia 2021. Il 5% complessivo in più tra Lagrein e Merlot, in un’annata (genericamente) dalle acidità più spiccate e dalle alcolicità più moderate rispetto alla 2020, regala un sorso subito più rotondo e goloso rispetto a quello della cuvée rossa d’esordio, dal tannino tuttora “caberneggiante” e giovanile. Il tenore alcolico delle due annate della cuvée rossa di Cantina Bolzano è il medesimo (14%). Ma il salto di qualità in termini di prontezza di beva è netto con l’annata 2021, garantendo al contempo una buona prospettiva di affinamento.
E le vendite? «Produciamo per l’esattezza 1.897 bottiglie di Tal 1930 e 2.989 di Tal 1908 – spiega a Winemag il responsabile vendite Horeca Italia di Kellerei Bozen, Daniele Galler -. A quest cifra vanno aggiunti, rispettivamente, 59 e 99 magnum. I numeri della vendemmia 2021 non si discostano di molto da quelli della 2020, che è stata distribuita solo nell’alta ristorazione e nelle enoteche. È durata sul mercato un paio di mesi». Un successo immediato, dettato anche dalla strategia commerciale della cooperativa altoatesina. «Non abbiamo scelto di procedere con una vera e propria assegnazione – precisa Galler – bensì cerchiamo di distribuire le Cuvée Tal 1930 e Tal 1908 tra i nostri clienti top, in Italia e all’estero, proporzionalmente alle quantità sviluppate anche sulle altre referenze». Selezione, insomma. Dal vigneto alla rete vendita, prescelta per due vini degni dell’Olimpo dei cosiddetti “Super Alto Adige”.
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Il bilancio 2023-2024 di Cantine di Verona si chiude con un fatturato di 62.581.306 milioni di euro, in leggero calo rispetto all’anno precedente. Il gruppo cooperativo che riunisce Cantina Valpantena, Cantina di Custoza e Cantina Colli Morenici, ha comunque garantito agli oltre 500 soci «un prezzo medio per quintale superiore a quello del 2022-2023». Compensando così, in parte, i minori conferimenti dovuti alle avversità atmosferiche dell’annata agraria.
CANTINE DI VERONA, FATTURATO 2024 IN CALO MA CRESCE IL WINE SHOP
Nonostante il calo generale dei consumi nel mercato del vino, il gruppo è riuscito a mantenere stabili i propri livelli di vendita. In particolare, i 10 wine shop di Cantine di Verona hanno registrato un aumento dei volumi rispetto all’anno precedente. Questo conferma una tendenza sempre più diffusa: i consumatori preferiscono acquistare direttamente dai produttori, riconoscendo la qualità e l’affidabilità del prodotto.
IL PRESIDENTE LUIGI TURCO: «INNOVAZIONE, QUALITÀ, RESPONSABILITÀ»
Durante l’assemblea dei soci del 14 dicembre, il presidente Luigi Turco (nella foto) ha sottolineato la volontà di affrontare con fiducia le sfide future: «Quelli che ci attendono non saranno tempi facili. Il mondo del vino sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti. Ma noi continuiamo a impegnarci per migliorare le nostre buone pratiche aziendali, puntando su innovazione, qualità e responsabilità».
Cantine di Verona ha inoltre ribadito il suo impegno per la sostenibilità, consolidato attraverso le certificazioni Equalitas, SQNPI e biologica. A conferma di questo percorso, all’inizio del 2025 sarà pubblicato il primo bilancio di sostenibilità, che documenterà le azioni intraprese per tutelare l’ambiente e valorizzare le persone. Questo strumento rappresenterà un passo cruciale per fissare obiettivi futuri e comunicare i risultati raggiunti.
IMPIANTO FOTOVOLTAICO A CANTINA DI CUSTOZA
Cantine di Verona, completerà anche l’installazione di un nuovo impianto fotovoltaico a Cantina di Custoza, che si aggiungerà a quelli già attivi nelle altre sedi del gruppo. Questa scelta rientra nell’ottica di contenere ulteriormente i costi energetici e ridurre l’impatto ambientale. Il gruppo controlla un totale di 1.800 ettari vitati in denominazioni chiave del Veneto (Amarone, Valpolicella, Custoza, Soave, Bardolino, Lugana e Garda), con un giro d’affari sul fronte dell’export di circa 32 milioni di euro.://cantinediverona.it/it
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Nominati i nuovi componenti del Comitato Nazionale Vini Dop e Igp per il prossimo triennio (2025-2027). Il nuovo presidente è Michele Zanardo, già enologo di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò pavese guidata da Michela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. Con lui Pietro Gasparri, Andrea Rossi, Piero Amorese, Sergio Marchi, Luigi Bavaresco, Vittorio Portinari, Rosanna Zari, Giancarlo Vettorello, Paolo Brogioni. E ancora: Alberto Mazzoni, Francesco Ferreri, Palma Esposito, Domenico Mastrogiovanni, Valentina Sourin, Antonello Ciambriello, Gabriele Castelli e Paolo Castelletti.
«Un onore per me ricoprire la carica di presidente del Comitato Nazionale Vini Dop e Igp – sono le prime parole del nuovo presidente Michele Zanardo – per la quale mi impegnerò al massimo nell’interesse del settore. Ringrazio il signor Ministro per la fiducia che ha voluto accordarmi». «A tutti i neoeletti e, in particolare, agli enologi e soci di Assoenologi, ovvero il presidente Michele Zanardo, il direttore Paolo Brogioni, Alberto Mazzoni, Vittorio Portinari e Giancarlo Vettorello, le congratulazioni del presidente Riccardo Cotarella e i migliori auguri di buon lavoro», commenta invece Assoenologi.
COS’È IL COMITATO NAZIONALE VINI DOP E IGP?
Il Comitato Nazionale Vini Dop e Igp è un organo consultivo del Masaf che ha il compito di tutelare e promuovere i vini a Denominazione di Origine Protetta (Dop) e a Indicazione Geografica Protetta (Igp), oltre a valutare le richieste di protezione e le modifiche ai disciplinari di produzione. A firmare il decreto con le nomine dei nuovi componenti è stato il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
«Desidero congratularmi con i nuovi componenti del Comitato e con il professor Michele Zanardo – ha dichiarato il Ministro Lollobrigida -. Rafforziamo ulteriormente il settore vitivinicolo, lavorando sui disciplinari di produzione, essenziali per garantire qualità ed eccellenza sui mercati internazionali. Continuiamo a investire sulle straordinarie potenzialità dei nostri vini, ambasciatori del patrimonio agroalimentare italiano, che si distinguono per innovazione e identità, riconosciute e apprezzate in Europa e nel mondo».
RUOLO CHIAVE PER IL FUTURO DEL VINO ITALIANO
Il Comitato Nazionale Vini Dop e Igp svolge un ruolo cruciale nel sistema di certificazione e promozione delle denominazioni italiane. L’esame delle richieste di modifica dei disciplinari di produzione permette di mantenere aggiornate e competitive le norme che regolano il settore, assicurando ai produttori italiani la possibilità di valorizzare al massimo le proprie eccellenze. Con queste nomine, il Masaf punta a rafforzare la sinergia tra istituzioni e produttori, favorendo una crescita sostenibile e duratura del comparto vitivinicolo.
Come ha spesso sottolineato il ministro Lollobrigida, i vini italiani continuano a rappresentare uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, con una reputazione che cresce anno dopo anno nei principali mercati internazionali. L’attenzione del nuovo Comitato verso l’innovazione e l’identità territoriale sarà fondamentale per sostenere la competitività del vino italiano, senza perdere di vista il legame con le tradizioni e la cultura che rendono unico il patrimonio vitivinicolo.
I COMPITI DEL COMITATO NAZIONALE VINI DOP E IGP
Il Comitato Nazionale Vini Dop e Igp svolge funzioni fondamentali per la tutela e la valorizzazione del settore vitivinicolo italiano. Tra i suoi compiti principali: la valutazione delle richieste di riconoscimento delle Dop e Igp: il Comitato esamina e approva le istanze per l’ottenimento della Denominazione di Origine Protetta (Dop) o dell’Indicazione Geografica Protetta (Igp) per i vini, prima della trasmissione alla Commissione Europea. Il Comitato procede inoltre all’analisi e alla modifica dei disciplinari di produzione, regolamenti dettagliati che definiscono le caratteristiche, i metodi di produzione e le zone di origine dei vini Dop e Igp.
Importante anche la tutela delle denominazioni, in stretta collaborazione con il Masaf e con gli altri enti, per garantire che i vini Dop e Igp siano adeguatamente protetti da contraffazioni, usurpazioni o utilizzi impropri delle denominazioni. Promozione della qualità e dell’identità territoriale sono altri compiti del Comitato Nazionale Vini Dop e Igp, che si impegna a rafforzare il valore delle denominazioni italiane, assicurandosi che rappresentino un’espressione autentica e certificata del territorio di origine. L’organismo supporta inoltre le politiche di settore, fornendo indicazioni e pareri al Ministero su questioni legate alla vitivinicoltura, come strategie di promozione, sviluppo del settore e rapporti con le normative europee e internazionali.
Non ultimo, svolge il monitoraggio del settore Dop e Igp, raccogliendo dati e informazioni sulle denominazioni esistenti, analizzando il loro impatto economico e la loro evoluzione sui mercati nazionali e internazionali. Il lavoro del Comitato è essenziale per mantenere alto il livello di qualità dei vini italiani, garantendo la coerenza con i disciplinari e la capacità di innovare. In un contesto di crescente competizione internazionale, l’attività di questo organo è fondamentale per preservare il patrimonio vitivinicolo italiano e consolidare la reputazione dei vini Dop e Igp nel mondo.
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Luca Raccaro, classe 1988, è il vicepresidente in carica del Consorzio Collio nonché titolare, assieme al fratello Paolo e al padre Dario, della cantina Raccaro società agricola di Cormons. Uno dei volti giovani del mondo dei Consorzi del vino italiano, che sta affrontando una parte finale dell’anno, nonché del mandato, a dir poco “calda”. La vicenda legata al Collio Bianco da uve autoctone è stata presa di petto dal Cda guidato dal presidente David Buzzinelli. L’assemblea dei produttori ha dato così il via libera a un tavolo tecnico utile a dare un’identità ben definita alla tipologia, al di là delle pressioni e dagli interessi individuali di alcune aziende del territorio. Non solo. Il Collio si candida ad essere tra le poche regioni vinicole al mondo a normare nel dettaglio, sin dall’etichetta, un proprio vino ottenuto con macerazione delle uve (i tanto decantati “Orange Wine”). Luca Raccaro, grande appassionato di musica lirica, affronta nell’intervista esclusiva rilasciata a Winemag le due importanti novità del Collio di fine 2024, al pari del futuro del Consorzio.
Luca Raccaro, da vicepresidente del Consorzio Collio si aspettava un finale di mandato, in scadenza a marzo 2025, così “acceso”?
Alla luce delle tematiche che abbiamo affrontato, direi proprio di sì. Essere riusciti a portare in assemblea un’istanza come l’inclusione dei vini macerati è stata una bella sfida, perché nonostante i tavoli tecnici non avevamo la piena certezza che il territorio fosse favorevole. La mia felicità a tal proposito è stata enorme perché ho lavorato e creduto molto in questa proposta. Credo fermamente che la nostra forza nasca dalle differenze. Questa è sempre stata una terra di confine e le diversità, nel corso del tempo, hanno sempre arricchito il territorio. Perciò credo che, soprattutto in un mondo che ha fatto dell’omologazione il suo modello, ogni differenza sia una ricchezza che rende unica la nostra realtà. Va da sé che é difficile mettere d’accordo tante teste, ma la cosa fondamentale è riuscire a portare sotto la protezione del consorzio il maggior numero di aziende. Solo così potremo sfruttare appieno le nostre potenzialità.
Il Consorzio ha dato il via libera al tavolo tecnico su un Collio bianco da sole uve autoctone: qual è la sua opinione su questa tipologia?
Penso sia una grande possibilità. Da tanti anni si parla di un vino che possa fare da portavoce del territorio, ma per molto tempo abbiamo temporeggiato. Adesso siamo pronti e credo che questa occasione sia da sfruttare al 100%, per presentarci uniti ad un mercato sempre più esigente. Avere un vino composto dalle varietà tradizionali arricchirà il territorio.
L’apertura del tavolo tecnico nel contesto attuale è una vittoria o un segno di debolezza del Cda del Consorzio?
Credo sia la vittoria di tutto il territorio e non solo del nostro Cda. Un Consorzio che in un’unica assemblea vota a favore dei vini macerati e di un tavolo tecnico per lo sviluppo di un vino territoriale dimostra forza, unione, maturità. E la volontà dei vignaioli di lavorare per la crescita del Collio.
Da qualche anno, un gruppo di cantine della zona ha incentrato il proprio marketing aziendale su una tipologia, quella del “Collio da uve autoctone”, attribuendole se non altro una certa “supremazia storica” sul Collio Bianco prodotto anche con i vitigni internazionali. Oggi, lo stesso gruppo, che non ha mai formalmente presentato alcuna richiesta al Consorzio per un migliore riconoscimento della tipologia, peraltro già prevista dal disciplinare del Collio Doc, si sta attribuendo tutti i meriti dell’apertura del tavolo tecnico. Cosa ne pensa?
A mio parere il Consorzio Collio è il simbolo del territorio e tutela tutti i vignaioli. Meriti o demeriti non sono la chiave di lettura. L’unica cosa che conta è il risultato. In questi giorni si è parlato molto di protagonismi, ma l’unico vero protagonista è, e deve essere, il vino. Questo tavolo tecnico consentirà a tutti i produttori di creare un disciplinare conforme e condiviso in maniera democratica. Tutto il resto è acqua.
Il Consorzio Vini Collio compie 60 anni nel 2024 e dimostra di essere al passo coi tempi nell’ascoltare tutte le voci e le richieste che arrivano dalla “base”. La specifica “Vino da Uve macerate” va in questa direzione. Quali benefici potrà portare al territorio questa novità e come si esplicherà, ufficialmente, in etichetta?
Il Collio è il primo territorio a riconoscere e formalmente normare questa tipologia di vini e di questo sono estremamente orgoglioso. Storicamente, i vini macerati sono presenti da più di 30 anni perciò riunirli sotto il cappello del Consorzio era essenziale. Dare un disciplinare anche a questa tipologia non farà altro che confermarne la qualità. È assodato che questi vini abbiano trovato ben stare in Collio. Perciò, dare la possibilità al consumatore di capire dall’etichetta cosa c’è all’interno della bottiglia che si accinge ad acquistare o, meglio, a stappare, è fondamentale. Per quanto riguarda le modalità di scrittura in etichetta, siamo già in contatto con gli organi predisposti al controllo per definire ogni elemento.
Qual è la percentuale di “vini macerati” sul totale della produzione del Collio? Crede che la novità possa incrementare la produzione della tipologia e contribuire a far riconoscere ancor più il Collio come il territorio d’elezione degli “orange wine italiani”?
Non essendo stata una tipologia ancora riconosciuta, non abbiamo percentuali certe anche se a grandi linee possiamo dire che si aggira tra il 6 e l’8 % della produzione totale. Il nostro obbiettivo è dare un regolamento condiviso ai produttori. Se la tipologia crescerà, saremo orgogliosi e certamente questi vini contribuiranno con tutti gli altri all’identità del Collio.
Da quale porzione della base del Consorzio è arrivata la richiesta di una migliore identificazione della tipologia, che alla fine sembra mettere tutti d’accordo?
Tutte le nostre scelte sono frutto di un ragionamento condiviso dall’assemblea. La proposta è arrivata direttamente da chi questa tipologia di vini la produce e vende. Ma è la collaborazione tra i diversi produttori, maceratori e non, la vera forza del progetto.
Con il mandato triennale del Consorzio in scadenza, sarà certamente il prossimo Cda a dover “governare” i tavoli tecnici. Pensa che il consiglio di amministrazione, anche grazie alla totale apertura dimostrata nei confronti della base produttiva, possa essere riconfermato in blocco e proseguire sulla strada tracciata dal precedente mandato?
Personalmente, sono sicuro che anche il prossimo Cda, indipendentemente da chi ne farà parte, lavorerà in tal senso. In questo mandato c’è stata una grande collaborazione e sarebbe un vero piacere poter proseguire assieme anche per il prossimo mandato. Ma dipenderà dalle scelte di ognuno.
È possibile ipotizzare una sua candidatura alla presidenza, nel ruolo oggi occupato da David Buzzinelli?
Il futuro ovviamente non è certo e, in questo momento, non ci ho ancora pensato. Ma per il territorio ci sono e se avrà bisogno ci sarò.
Dov’è il Collio oggi e dove andrà – o dovrebbe andare, a suo avviso – nel prossimo triennio, in termini di mercati, obiettivi e prospettive?
Oggi siamo presenti su tutti i mercati più importanti. Nel prossimo triennio mi piacerebbe poter confermare e incrementare il sodalizio con gli Stati Uniti, che rimangono il nostro mercato extraeuropeo principale. Tuttavia, non possiamo non guardare verso est ed in particolare a Giappone e Cina. Mercati in fortissima crescita, sui quali è e sarà necessario puntare, per avere una diversificazione e soprattutto nuovi sbocchi economici.
Non crede che in Friuli Venezia Giulia ci siano troppi Consorzi del vino e che questa abbondanza, al posto di palesare evidenti diversità, limiti risorse altrimenti aggregabili, da investire per una migliore comunicazione delle eccellenze regionali?
Nonostante il Collio sia molto piccolo, esistono differenze microclimatiche tra una zona e l’altra che marcano in maniera evidente i vini. Figuriamoci se dovessimo prendere in considerazione l’intero territorio regionale. È vero che non abbiamo grandi numeri, ma la qualità non va mai di pari passo con la produzione. Anzi, di solito minore è la resa migliore è la qualità. Ed è questa caratteristica che noi abbiamo l’obbligo di preservare.
A livello regionale è un tema sempre caldo quello del Prosecco, con le recriminazioni del Carso nei confronti (soprattutto) della Doc veneta. Se avesse voce in capitolo, come gestirebbe la questione?
La mia scelta produttiva è diversa da quella del Prosecco, perciò non sono in grado di rispondere e lascio la parola a chi di questo si occupa.
Intanto, il Collio ha annunciato che il 2025 sarà l’anno del Friulano. Fino ad oggi, scusi la franchezza, si è fatto davvero pochissimo per promuovere questa varietà. È possibile aspettarsi, finalmente, una comunicazione adeguata, che metta una volta per tutte alle spalle la “questione ungherese” che si è trascinata dal 1993 al 2007?
Chi mi conosce sa che la mia azienda ha fatto del Friulano il suo cavallo di battaglia. È una grandissima varietà con delle enormi potenzialità. Per questo l’abbiamo scelto come rappresentante del territorio per il 2025, con un grande evento che lo vedrà protagonista. I discorsi sulla questione ungherese sono storia vecchia. Nonostante le prime difficoltà, credo che orami abbiamo dimostrato senza ombra di dubbio quale sia l’anima del Friulano: un grande vino costellato ogni anno da moltissimi premi a livello nazionale ed internazionale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’integrazione completa di Romania e Bulgaria nell’area Schengen, prevista a partire dal 1° gennaio 2025, avrà un impatto significativo sul settore vinicolo dei due Paesi dell’Est Europa. L’eliminazione dei controlli alle frontiere terrestri con gli altri Stati membri dell’Unione europea – che si affiancherà a quella già in vigore negli aeroporti – faciliterà il commercio dei vini romeni e bulgari. I benefici vanno dalla riduzione dei tempi di trasporto e dei costi logistici a un maggiore e più agevole accesso ai mercati europei. Indubbio l’aumento dell’attrattività per gli investimenti esteri, così come la spinta nella promozione dell’enoturismo in Romania e Bulgaria. Paesi tutt’altro che da sottovalutare, come dimostra la presenza di diversi italiani che li hanno scelti – ormai da diversi anni – per realizzare cantine di successo.
È il caso di Roberto Di Filippo – che in Umbria produce Sagrantino di Montefalco – e della sua Crama Delta Dunarii “La Sapata”, 23 ettari a Somova, sul Delta del Danubio – a pochi chilometri dalla Moldavia e dall’Ucraina – coltivati secondo i dettami della biodinamica. Sempre in Romania, ma in Transilvania, ai piedi dei Carpazi, ecco i 75 ettari di Lechburg, dei fratelli Ettore e Cristiano Guarato. In Bulgaria, per l’esattezza ad Elenovo, a circa 15 chilometri da Nova Zagora, in Tracia, c’è invece la cantina Edoardo Miroglio Winery, dell’omonima famiglia piemontese proprietaria di Tenuta Carretta a Piobesi d’Alba (Cuneo). Investimento importantissimo quello in terra bulgara: 1.500 ettari, di cui 400 ettari vitati.
ROMANIA E BULGARIA NELL’AREA SCHENGEN
Con la rimozione dei controlli alle frontiere interne, i vini romeni e bulgari potranno essere trasportati più rapidamente verso i mercati europei, riducendo i tempi di consegna e i costi associati alle procedure doganali. L’aumento dell’efficienza logistica renderà i vini della Romania e della Bulgaria più competitivi sul mercato internazionale. La semplificazione del transito attraverso le frontiere permetterà inoltre ai produttori di vino di accedere più facilmente a nuovi mercati all’interno dell’Europa, ampliando le opportunità di esportazione e la presenza dei prodotti sugli scaffali europei.
Con l’ingresso nell’area Schengen migliorerà l’immagine di Romania e Bulgaria come partner commerciali affidabili, attirando potenziali (nuovi) investitori interessati a sviluppare attività nel settore vinicolo, sia nella produzione che nella distribuzione. Ma, forse, il vero “plus” dell’ingresso dei due Paesi nell’area Schengen sarà il balzo in avanti dell’enoturismo. La libera circolazione delle persone, senza controlli alle frontiere terrestri, favorirà l’incremento del turismo enogastronomico, in aree di grande tradizione vitivinicola e dall’incredibile dinamismo. Gli appassionati di vino potranno visitare con maggiore facilità le regioni vinicole di Romania e Bulgaria, contribuendo allo sviluppo economico locale.
LE REGIONI VINICOLE DI ROMANIA E BULGARIA
Regioni vinicole della Romania come Dealu Mare, Cotnari e Târnave (quest’ultima include la nota Transilvania), sono caratterizzate da un mix di vitigni autoctoni, come Fetească Neagră e Fetească Albă, e internazionali (grandi, tra le altre, le potenzialità del Pinot Nero rumeno). Il clima continentale, con influssi dal Mar Nero, favorisce la produzione di vini di ottima aromaticità, sia bianchi che rossi. L’enoturismo qui è un concerto di tradizioni millenarie, paesaggi pittoreschi e castelli (non ultimo quello di Dracula).
In Bulgaria, regioni come la Valle della Tracia (Thracian Valley) e la Pianura del Danubio (Danubian Plain) si distinguono per la qualità dei rossi da varietà come il Mavrud, oltre ad eccellenti vini rossi e bianchi da varietà internazionali. Il clima variegato, influenzato da montagne e Mar Nero, garantisce di fatto una grande una diversità. Sempre più nuove cantine offrono esperienze immersive per esperti del settore ed enoturisti, ancora una volta nel mix tra attrazioni culturali, archeologiche, naturalistiche e i vini locali. Non ultimo, tra Romania e Bulgaria si sono tenute le recenti edizioni de The Balkan International Wine Competition and Festival (BIWC), evento itinerante di crescente importanza tra i concorsi enologici che premiano le eccellenze dei Balcani.
LA VOCE DEGLI ITALIANI CHE PRODUCONO VINO IN ROMANIA E BULGARIA
Roberto Di Filippo di Crama Delta Dunarii “La Sapata”, in Romania
L’entrata della Romania nello spazio Schengen, secondo i fratelli Ettore e Cristiano Guarato della cantina romena Lechburg di Lechința, è «soprattutto un’opportunità». «Ma non da valutare per le singole aziende – precisano – quanto per l’intero comparto vinicolo. I mercati oggi si concentrano, i consumatori sono decisamente più curiosi e pronti ad arricchire la loro esperienza gustativa ma per le singole aziende diventa difficile se non quasi impossibile trovare canali di distribuzione validi. Sarà fondamentale creare nuove associazioni di promozione – continuano i titolari di Lechburg – partecipare alle fiere, sviluppare un brand solido per il vino rumeno, associato in primis alla qualità dei vini e soprattutto alla diversità. Ci vuole tempo e tanto lavoro, lavoro di squadra per mettere a terra questi nuovi concetti e tanto dipenderà dalla capacità di fare gruppo. Altrimenti – concludono Ettore e Cristiano Guarato – cambierà ben poco, perché comunque sia i costi di esposizione verso nuovi mercati sono in grande crescita e la concorrenza di certo non manca».
«L’ingresso definitivo della Romania nell’area Schengen? Un passo assolutamente gradito, che ci avvicina ulteriormente ai vicini, facendo loro percepire che siano ancora più graditi in Romania. Oltre che via aerea, ora anche via terra». Così a Winemag Roberto Di Filippo, uno dei “produttori italiani all’estero” che ha scelto il Paese dei Balcani come seconda casa (e come seconda cantina). Di Filippo, titolare dell’omonima azienda agricola che produce tutti i vini tipici dell’area di Montefalco a Cannara (Perugia), ha deciso di riprodurre il modello umbro in Romania, già dal 2010. «Quelli di Crama Delta Dunarii “La Sapata” – spiega il vignaiolo-imprenditore – sono vini a basso intervento enologico, con lieviti indigeni e pochi solfiti, prodotti con varietà locali come Fetească Neagră, Fetească Regală e Băbească neagră (nota anche come Rară Neagră, ndr)». Ventitré gli ettari della cantina La Sapata, per un totale di 80 mila bottiglie.
Numeri ben più rilevanti quelli della Edoardo Miroglio, in Bulgaria. La cantina, oggi guidata da Franco Miroglio, produce circa 300 mila bottiglie da 0,75 e altre 700 mila (equivalenti) in Bag-in-Box, segmento che ha un peso rilevante nelle vendite complessive locali. I piemontesi Miroglio, già titolari di Tenuta Carretta nel cuneese, sono arrivati a Elenovo (Еленово), in Tracia – non lontano dal confine con Grecia e Turchia – già nel lontano 1998. «Sin da subito abbiamo investito nel Pinot Nero – spiega Franco Miroglio – sia in rosso che spumante, creando un certo movimento nella zona, con altre cantine che hanno seguito il nostro esempio. Poi abbiamo iniziato a credere sempre più nel Mavrud, varietà che per il suo potenziale enologico e, non ultimo, per la sua resistenza, ci sta dando grandi soddisfazioni. Non dimentichiamoci che in quest’area si produce di vino da almeno 5 mila anni».
MIROGLIO: «BENE SCHENGEN PER BULGARIA E ROMANIA. ORA MIGLIORARE LE AUTOSTRADE»
Franco Miroglio della cantina Edoardo Miroglio Winery, in Bulgaria
Motivo in più per esultare per l’ormai prossimo ingresso della Bulgaria nell’Area Schengen, dal 1° gennaio 2025. «Un passo da accogliere con grandissimo entusiasmo – commenta il produttore – i cui effetti benefici, per l’industria vinicola bulgara, saranno ancora più visibili al cambio della valuta, dal lev bulgaro all’euro (di recente slittato dal 2025 al 2026, ndr). Già da quest’anno sono state semplificate le procedure per chi entrasse nel Paese con l’aereo. L’allargamento all’area Schengen amplia il raggio, via terra. Il che significa meno burocrazia doganale e maggiore facilità di movimentazione delle merci.
«Il settore, però, in Bulgaria – avverte Franco Miroglio – soffre ancora di alcune limitazioni dovute alla carenza di infrastrutture stradali est-ovest, oltre che nord-sud, che obbligano movimentazioni ben più lunghe del normale, passando per la Grecia o per la Serbia. Lo sviluppo della rete autostradale da parte della Romania aiuterà certamente a semplificare le cose, consentendoci di raggiungere definitivamente meglio mercati di lingua tedesca, come Germania e Austria, centrali per l’export dei vini bulgari. Passi avanti, così, sono definitivamente prevedibili anche sul fronte dell’enoturismo in Bulgaria».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Inserimento di un “Vino da Uve Macerate” Doc Collio e creazione di una nuova categoria di vino bianco da uve autoctone, sempre Doc Collio. Sono i due importanti temi discussi ieri, 10 dicembre 2024, dall’assemblea ordinaria del Consorzio Collio, che ha visto la partecipazione di 44 soci, rappresentanti il 63% dei voti totali dell’assemblea. Favorevoli al nuovo vino macerato (tipologia nota a livello internazionale come “orange” o “orange wine”) 2.966 voti, contrari 733 voti, astenuti 413 voti. La mozione è stata quindi approvata con il 72% dei voti favorevoli. L’assemblea si è poi espressa sul nuovo vino bianco da vitigni autoctoni del Collio: favorevoli 3974 voti, astenuti 138 voti e nessuno contrario. La mozione è stata approvata con il 97% dei voti favorevoli.
VINO DA UVE MACERATE DOC COLLIO
Il comitato tecnico del Consiglio di Amministrazione, alla luce di quanto emerso dal lavoro del tavolo tecnico a cui hanno potuto partecipare tutti i produttori della denominazione, ha proposto l’introduzione della specificazione “Vino da Uve Macerate” per identificare i vini Doc Collio ottenuti attraverso tecnica di macerazione fermentativa di almeno 7 giorni. «Questa categoria – spiega il Consorzio presieduto da David Buzzinelli – accompagnata da criteri come la classificazione cromatica tramite scala Pantone e un profilo di acidità volatile adeguato, mira a ridurre l’ambiguità nelle valutazioni e garantire una standardizzazione tra le commissioni, oltre a consentire maggior chiarezza e trasparenza nei confronti del consumatore finale».
NUOVO COLLIO DOC BIANCO DA UVE AUTOCTONE
Il Cda del Consorzio Collio, viste le recenti polemiche attorno al gruppo di produttori che promuove il proprio Collio Bianco da uve autoctone, ha proposto di istituire un tavolo tecnico per sviluppare «una nuova categoria di vino bianco da inserire a disciplinare, ottenuto esclusivamente dalle varietà Tocai Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia Istriana». Il tavolo lavorerà per definire le caratteristiche, le percentuali di assemblaggio e il nome di questa nuova espressione del territorio. «I risultati delle votazioni riflettono il nostro impegno comune per una crescita che unisca tradizione e innovazione. La collaborazione tra i soci è la chiave per affrontare le sfide future e valorizzare al meglio la denominazione Collio», ha dichiarato il presidente David Buzzinelli.
COLLIO: 2025 ANNO DEL FRIULANO
Un momento di particolare rilievo, sempre durante la riunione di ieri, è stata la proposta di organizzare il primo evento istituzionale dedicato al Collio. Si terrà il fine settimana del 25 e 26 ottobre 2025. L’iniziativa, fortemente voluta dai soci e attesa dagli operatori del settore, celebrerà ogni anno una varietà rappresentativa. Il 2025 sarà quindi l’anno del Friulano. L’evento offrirà una panoramica delle sue potenzialità con degustazioni che includeranno annate passate, vini attuali e campioni in affinamento. «Questo evento – ha dichiarato la direttrice Lavinia Zamaro – è una grande opportunità per consolidare il prestigio del Collio, creando un appuntamento annuale che valorizzi il nostro territorio e le sue varietà simbolo». L’assemblea si è conclusa con l’impegno condiviso di lavorare per una crescita sostenibile e innovativa della denominazione, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente il Collio come sinonimo di eccellenza enologica.
QUESTIONE QUOTE
L’incontro di fine anno è stato un momento cruciale per discutere i risultati dell’anno trascorso, le attività svolte e le prospettive future, con particolare attenzione ad eventuali modifiche del Disciplinare e alla valorizzazione della Denominazione. L’assemblea ha infine deliberato all’unanimità lo sconto dell’8% sulle quote per le categorie imbottigliatori ed imbottigliatori promozione, possibile grazie al riconoscimento di alcuni contributi ed all’accurata gestione economica del Consorzio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sarà forse un’impressione solo mia. Ma ho la netta sensazione che, in Italia, si stia osservando sradicar vigneti in Francia non col dovuto spirito critico, interrogativo, introspettivo. Bensì col fare sornione dell’era mentalmente destabilizzante dei social, che porta chiunque a filmare in diretta una scena del crimine, con lo smartphone d’ultima generazione, al posto di darsi da fare per chiamare, in tempo, la Polizia. Evitando che qualcuno finisca morto ammazzato, oltre che immortalato.
Leggo a destra e a manca un sacco di titoloni e commenti contradditori. Come se la Francia fosse un mondo lontano rispetto al nostro. Un Paese di un’altra galassia. Magari così fosse. Invece no. La Francia, ancora una volta, dimostra d’essere una nazione che non nasconde sotto al tappeto i problemi (cosa che a noi riesce benissimo). Anzi, li affronta di petto. Anche in maniera (apparentemente) impopolare. Dalle nostre parti, molti sembrano godersi lo spettacolo. Senza accorgersi d’avere i piedi nel fango.
Niente e nessuno sembra voler fare davvero qualcosa per salvare un settore che bada sempre più al trucco impeccabile, al sorriso da imporre alle labbra, alla messa in piega perfetta. Alla copertina. E sempre meno alla sostenibilità delle proprie scelte, mirate esclusivamente all’effetto wow d’una storia su Instagram. Che dura 24 ore e poi finisce in archivio. Tra i più, in questo settore, non vedo visione. Ma quel che è peggio è che non vedo reazione.
Non sento nell’aria di questo Paese e di questo settore la voglia e la determinazione di svoltare. Di cambiare il corso delle cose. Di fare innamorare i giovani della semplicità del vino, persi come sono nell’immediatezza di un Gin Tonic o della ricetta di una birra artigianale. Non vedo gli effetti di quel «cambio generazionale» di cui, appunto, blaterano solo quelli coi capelli bianchi, dai loro posti di comando mai abbandonati, saldamente sotto al culo.
LA FRANCIA ESTIRPA VIGNETI E NOI NELSON
Non vedo nessuno, tra i produttori, abbandonare in maniera decisa quell’amore malato per chi è solo capace di compiacerli, contribuendo con lusinghe d’autore a riempiere d’aria stagna una stanza in cui manca da un pezzo un filo d’ossigeno nuovo, fresco. Un barlume di luce, una speranza. Non vedo nessuno, tra i produttori, lasciare al proprio destino quei magazine stampati che non legge più nessuno, buoni solo a mandare alle Maldive gli editori e le loro allegre famigliole da Mulino Bianco.
Quanto alla stampa, più nello specifico, sembra vincere solo chi lascia (del tutto). O chi si lascia plagiare dallo stato piatto delle cose: che forse, così, un altro pranzo o press tour lo scrocca, al Consorzio o alla cantina di turno (tanto “lavora” gratis: le bollette le pagano altri in famiglia, oppure la pensione; e dei giovani a casa chi se ne fotte). Vince, poi, chi fa il mio mestiere con una mano e, con l’altra, organizza – neppure troppo clandestinamente – inviti a tour ed eventi per conto di cantine che sapranno riconoscer il giusto compenso.
Vedo falsi eroi e lingue sempre più lunghe, sotto ad occhi che guardano tutto, ma sono sempre più incapaci di osservare. La Francia che estirpa vigneti, o qualsivoglia altro spettacolo. Domani, tanto, è un altro giorno. E se proprio si deve affondare, tutti assieme, meglio avere almeno la pancia piena. Un po’ come quella di Nelson. Ha ha!
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Nel cuore dei Castelli Romani, a sud-est di Roma, prende vita la Rete d’Impresa di Filiera “V.I.P.”, acronimo di Vino, Innovazione e Pane. Questo ambizioso progetto, che coinvolge 21 aziende dei comuni di Genzano di Roma, Lanuvio, Velletri, Albano Laziale, Nemi e Ariccia, mira a incrementare la competitività delle attività economiche locali. Con un occhio di riguardo allo sviluppo sostenibile e alla coesione sociale. La Rete “V.I.P.”, composta principalmente da produttori vitivinicoli, panificatori e operatori del settore agroalimentare, punta a creare un sistema di filiera integrato, capace di mettere in luce le unicità del territorio. L’obiettivo è chiaro: promuovere le specificità dei Castelli Romani.
RETE D’IMPRESA DI FILIERA V.I.P. – VINO, INNOVAZIONE E PANE: GLI OBIETTIVI
Tra le iniziative principali previste dalla Rete d’Impresa di Filiera “V.I.P.” – Vino, Innovazione e Pane c’è la promozione del turismo enogastronomico nell’area dei Castelli Romani. La creazione di itinerari tematici, la realizzazione di eventi dedicati e la valorizzazione del paesaggio rurale saranno strumenti chiave per attrarre visitatori e offrire esperienze uniche. Il gruppo di aziende mira inoltre al rafforzamento della filiera locale, migliorando la collaborazione tra produttori, distributori e ristoratori e creando sinergie che favoriscano lo sviluppo economico locale. Non ultima la valorizzazione dei prodotti tipici come ilPane Casareccio di Genzano Igp e i vini di qualità dei Castelli Romani. Prodotti che saranno protagonisti di iniziative di marketing e comunicazione, per far conoscere questi gioielli enogastronomici a un pubblico più ampio.
L’IMPATTO DI V.I.P. – VINO, INNOVAZIONE E PANE SUL TERRITORIO
L’iniziativa sarà presentata ufficialmente venerdì 13 dicembre 2024, dalle ore 18.30 presso Palazzo Sforza Cesarini di Genzano di Roma, comune capofila del progetto. Referenti della Rete V.I.P. sono Nina Francis Farrell (presidente Rete d’Impresa V.I.P.), Paolo Iacoangeli (vicepresidente Rete d’Impresa V.I.P.) e Saula Giusto (Manager Rete d’Impresa V.I.P.). I promotori dell’iniziativa sono convinti si tratti di «un’occasione unica per lo sviluppo economico e sociale del territorio». Tra i benefici attesi: aumento dell’occupazione, miglioramento del reddito per le imprese aderenti. E ancora: una qualità della vita più elevata per i cittadini. Tutto questo sarà possibile anche grazie alla collaborazione con le istituzioni locali e regionali, che hanno accolto il progetto con entusiasmo.
RETE VINO, INNOVAZIONE E PANE: SOSTEGNO DELLE ISTITUZIONI
«La realizzazione del progetto – sottolineano i referenti della Rete d’Impresa di Filiera “V.I.P.” – Vino, Innovazione e Pane – è stata resa possibile grazie al supporto del Centro di Assistenza Tecnica (C.A.T.) di Confesercenti, Area di Roma, e al forte sostegno del Presidente del Comprensorio dei Castelli Romani, Guido Ciarla. Quest’ultimo ha giocato un ruolo chiave, favorendo il dialogo tra le imprese e le amministrazioni locali, unendo le forze per un obiettivo comune: il rilancio del territorio.
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Wines of South Africa (WoSA) annuncia CapeWine 2025, la più grande (e prestigiosa) fiera del vino dell’Emisfero Australe, in programma dal 10 al 12 settembre 2025 al Cape Town International Convention Centre (CTICC). CapeWine 2025 rappresenta l’evento di punta triennale del settore vinicolo sudafricano. Una vetrina internazionale che celebra la ricchezza e la diversità della produzione vinicola del Sudafrica, attirando professionisti del settore, media e appassionati da tutto il mondo.
Il tema scelto per CapeWine 2025, “Our Warmest Welcome“, incarna lo spirito caloroso e accogliente dell’industria vinicola sudafricana. Come spiega Wines of South Africa, l’evento non si concentra solo sulla qualità del vino, ma celebra anche le persone che lo producono. L’invito è rivolto a professionisti di tutto il mondo, offrendo «l’opportunità di connettersi, essere ispirati e condividere storie».
CRESCITA ESPONENZIALE PER CAPEWINE 2025
Nata nel 2000 con appena 100 espositori, CapeWine è cresciuta in modo esponenziale, arrivando a contare oltre 400 produttori di vino sudafricani nella sua decima edizione. Oltre al ricco programma fieristico, i partecipanti potranno vivere esperienze immersive uniche. Sono infatti previsti anche tour nelle diverse regioni vinicole del Sudafrica, alla scoperta di varietà rare e di talentuosi produttori vinicoli.
«Questa decima edizione del nostro evento di punta – commenta Siobhan Thompson, Ceo di Wines of South Africa – si preannuncia come una delle migliori di sempre. Venticinque anni dopo la prima CapeWine, l’evento è cresciuto esponenzialmente. riflettendo pienamente ciò che rappresenta l’industria vinicola sudafricana. Ovvero vini fenomenali, persone calorose, paesaggi spettacolari e una cultura ricca e vibrante. Non vedo l’ora di accogliere i professionisti del settore da tutto il mondo. Sarà un’esperienza davvero indimenticabile».
CapeWine 2025 mira ad ampliare il profilo globale del vino sudafricano, attirando rappresentanti del settore e media da oltre 60 paesi. L’evento si svolgerà ogni giorno dalle 10 alle 17, offrendo numerose opportunità per creare connessioni, degustare vini straordinari ed esplorare la cultura e i paesaggi unici delle Cape Winelands. Qui la lista degli espositori. Biglietti e registrazioni sul sito www.capewine2025.com.
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Jägermeister Manifest introduce il nuovo payoff “Audacia in bottiglia”. Una dichiarazione di intenti che rispecchia la natura matura e strutturata di questa esclusiva variante dell’iconico amaro tedesco. Distribuito in Italia in esclusiva dal Gruppo Montenegro – azienda al 100% italiana – Manifest è il risultato di un’elaborata reinterpretazione dell’elisir originale, arricchito da una lavorazione che esalta la complessità del gusto e delle sensazioni evocate. Alla base della sua unicità troviamo un processo di produzione che prevede cinque distinte macerazioni, un maggiore utilizzo di erbe in infusione e un periodo di invecchiamento in botti di quercia tedesca e americana. Manifest non è semplicemente un amaro, ma una sfida al convenzionale, un invito a vivere esperienze fuori dall’ordinario, con audacia e autenticità.
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Jägermeister Manifest è pensato per adattarsi a diversi momenti di consumo. Può essere gustato liscio o on the rocks, perfetto come fine pasto o distillato da meditazione. Allo stesso tempo, si presta a essere protagonista nella mixology. Tra le creazioni più celebri spicca il Mani First, un cocktail firmato dal mixologist Marian Beke del The Gibson Bar, che unisce Jägermeister Manifest, whisky torbato scozzese, wash di burro bruciato e spezie, miele invernale della Foresta Nera e zucchero filato affumicato. Per chi preferisce una preparazione più semplice, il Manifest Ginger Ale, servito in tumbler alto con scorza di limone, è una scelta fresca e sorprendente.
DOVE COMPRARE JÄGERMEISTER MANIFEST
Jägermeister Manifest è disponibile nella Grande Distribuzione Organizzata presso Esselunga e nei migliori store online di spirits. Un’occasione imperdibile per scoprire una nuova interpretazione dell’amaro tedesco più celebre al mondo, che celebra l’autenticità, la convivialità e il piacere di vivere la vita secondo le proprie regole.
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Grandi Langhe 2025 torna alle Ogr di Torino il 27 e 28 gennaio 2025. Saranno presenti quasi 500 cantine dalle Langhe, Roero e dal resto del Piemonte, pronte a presentare in anteprima le nuove annate delle Docg e Doc. Per tutta la durata dell’evento vi sarà una sala degustazione dedicata alla stampa con le ultime annate rilasciate in commercio di tutte le Docg e Doc del Piemonte. Per partecipare a Grandi Langhe 2025 occorre registrarsi online a questo link. L’elenco delle cantine presenti alla prossima edizione di Grandi Langhe è invece disponibile al seguente link. Per scoprire le cantine da non perdere acquista la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2025.
GRANDI LANGHE 2025: INFORMAZIONI GENERALI
DOVE: OGR TORINO, Corso Castelfidardo 22, Torino, Piemonte. QUANDO: 27 e 28 Gennaio, con orario 10-17 COME: l’ingresso è consentito previa prenotazione o invito. Sarà necessario stampare ed esibire il biglietto. CHI: evento riservato a operatori professionali, buyer, enotecari, ristoratori, agenti commerciali, sommelier professionisti.
GRANDI LANGHE 2025: COME ARRIVARE
(OGR Corso Castelfidardo, 22, 10128 Torino)
In treno: la stazione più vicina è Porta Susa
Automuniti: i parcheggi nelle vicinanze delle OGR sono:
Grandi Langhe 2025 è un appuntamento da non perdere nel panorama delle anteprime del vino italiano. Ospitato dalle OGR di Torino, l’evento è dedicato ai professionisti del settore. In assaggio i vini delle Langhe e delle Doc e Docg del Piemonte, serviti dai produttori in persona o da sommelier. Per la prima volta, l’evento organizzato dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani prevede una sala stampa per gli assaggi dei giornalisti del settore, che potranno registrarsi sul sito da oggi, giorno di apertura delle iscrizioni per le giornate del 27 e 28 gennaio 2025.
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La viticoltura eroica è un «patrimonio eccezionale». Così l’Oiv – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, nella risoluzione OIV – VITI 716-2024. Una definizione che nobilita e ufficializza a livello internazionale la viticoltura di montagna e in forte pendenza, difesa e promossa in Italia da organismi come il Cervim di Aosta. Sempre per l’Oiv, per “viticoltura eroica” si intende «un sistema di impianto di vigneti in aree montuose, intesi come terreni situati ad alta quota, su pendici ripide o su zone topograficamente accidentate». La risoluzione è stata adottata dall’OIV alla 22esima assemblea generale a Digione, che ha visto il Cervim – nel suo ruolo di osservatore Oiv – rappresentato dal vicepresidente Manuel Capote e dal membro del cda Roberto Gaudio.
VITICOLTURA EROICA, LE RACCOMANDAZIONI DELL’OIV
Questi vigneti rappresentano un patrimonio eccezionale che deve essere fortemente tutelato, ribadisce OIV nel documento. E così, fra le raccomandazioni agli Stati membri in cui è presente questa viticoltura, rientrano ad esempio quella di promuovere lo studio e la conservazione della viticoltura di montagna e in forte pendenza quale importante patrimonio e fonte di reddito per il settore vitivinicolo, nonché fonte di servizi per gli ecosistemi e le comunità locali. Obiettivi messi nero su bianco nella risoluzione. «Un lavoro impegnativo durato oltre due anni – spiega Gaudio – al quale ho preso parte in modo attivo, portando l’esperienza del Cervim e le conoscenze acquisite in molti anni di studio, ricerca, tutela e promozione della viticoltura eroica».
Fra punti salienti del documento, l’Oiv raccomanda agli Stati membri di sviluppare la ricerca per supportare questa forma di viticoltura, che necessita di pratiche colturali specifiche (ad esempio terrazze, terrazze di pietra, ecc.) e attrezzature adeguate (trattori a scartamento ridotto, trazione a cingoli). Occorre inoltre favorire l’attuazione di politiche pubbliche mirate a garantire la sopravvivenza di questo tipo di viticoltura e di servizi pubblici che possono essere offerti alle comunità e all’ambiente. Quindi promuovere misure per una maggior differenziazione dei prodotti di questi vigneti, come la creazione di indicazioni geografiche. Tra le raccomandazioni, anche l’analisi di prospettive di produttori e consumatori per mantenere o raggiungere la sostenibilità economica.
Il documento stilato dall’Oiv invita poi gli Stati membri ad avere ben presente quelle che sono le criticità specifiche di sostenibilità, quali il controllo dell’erosione dei suoli, la prevenzione delle frane, tutela della biodiversità. E ancora: l’esposizione e l’orientamento del vigneto, la disponibilità di manodopera e il livello di competenza, le questioni transgenerazionali, la gestione e la trasmissione di aziende agricole e imprese a conduzione familiare. Altro punto importante è quello di identificare iniziative e soluzioni per preservare le strutture sociali delle aree montane e a svilupparle maggiormente per tutelare l’integrità socioeconomica e naturale di queste regioni.
I RIFLESSI SOCIALI, ECONOMICI ED AMBIENTALI DELLA VITICOLTURA EROICA
Fondamentale inoltre approfondire le diverse pratiche viticole che si ripercuotono sugli aspetti sociali, economici e ambientali della vitivinicoltura di montagna e in forte pendenza, e come possono contribuire alla resilienza rispetto al cambiamento climatico. Nella risoluzione OIV – VITI 716-2024, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino esorta gli Stati anche a definire per le diverse aree le linee guida viticole ed enologiche e le strategie di marketing idonee a posizionare i prodotti vitivinicoli in fasce di prezzo coerenti con i costi di produzione più elevati che comportano.
Implementare degli studi sulla ricerca di fattibilità sulla possibilità che i produttori possano essere compensati delle maggiori spese che comporta la vitivinicoltura in forte pendenza, attraverso i contributi provenienti dal turismo e da altri settori, creando sinergie e strategie commerciali congiunte. E, ricorda infine, l’Oiv, promuovere lo studio della percezione dei consumatori e delle aspettative sociali rispetto ai prodotti vitivinicoli provenienti dalle aree montane e in forte pendenza, come chiave per lo sviluppo di un’adeguata strategia di accrescimento del valore commerciale.
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«Comunicazione fuorviante sul vino». Federdoc ed Efow – Federazione Europea dei Vini ad Indicazione Geografica – ha espresso preoccupazione per la campagna di sensibilizzazione sull’alcol promossa in occasione della Settimana Europea di sensibilizzazione sull’alcol 2024, inaugurata lo scorso 3 dicembre presso il Parlamento Europeo. I cartelloni esposti nell’ambito dell’iniziativa, visibili fino alla conclusione dell’evento, raffigurano una bottiglia di vino con un’etichetta che riporta ingredienti non conformi alla disciplina europea, come l’etanolo, non utilizzato nei prodotti vitivinicoli. A destare ulteriore scalpore è l’uso, sulla stessa etichetta, dell’immagine del celebre “Bacco” di Caravaggio, già impiegata dal Ministero della Sovranità Alimentare in occasione del Vinitaly 2023 per sottolineare il legame tra vino e cultura italiana.
LE CRITICHE DI FEDERDOC
«Non è accettabile che una campagna di comunicazione, finanziata dall’Unione Europea e dall’OMS, offra ai consumatori una comunicazione così fuorviante sul prodotto vino rappresentandolo come il frutto di ingredienti non ammessi dalla disciplina europea», ha dichiarato il presidente di Federdoc, Gallarati Scotti Bonaldi. Il presidente ha inoltre sottolineato come il settore vitivinicolo sia l’unico, tra le bevande alcoliche, ad aver adottato norme rigorose a livello europeo per l’etichettatura di ingredienti, calorie e valori nutrizionali. Questo, ha evidenziato Gallarati Scotti Bonaldi, dimostra l’impegno del settore per una trasparenza totale e per una corretta informazione ai consumatori, sostenuta dalla qualità e salubrità dei prodotti vinicoli.
IL VINO SOTTO ATTACCO
Federdoc ed Efow denunciano quella che definiscono una campagna di stigmatizzazione senza precedenti. L’iniziativa, secondo le due associazioni, rischia di compromettere l’immagine del vino, un prodotto che non è solo simbolo di qualità, ma anche patrimonio culturale e identitario di molti Paesi europei. Questo nuovo episodio accende i riflettori sul tema della percezione del vino e delle politiche di comunicazione adottate dall’Unione Europea nei confronti delle bevande alcoliche. Federdoc ed Efow chiedono una maggiore attenzione per evitare messaggi fuorvianti e dannosi, non solo per i produttori, ma anche per i consumatori che meritano informazioni corrette e coerenti.
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Due giorni di assaggi, incontri e momenti di riflessione sul vino naturale. Domenica 12 e lunedì 13 gennaio 2025 il Rule of Thirds di Brooklyn di New York ospiterà VinNatur NYC, primo evento collettivo ufficiale negli Stati Uniti. L’Associazione presieduta da Angiolino Maule riunisce vignaioli da tutto il mondo con l’intento di «difendere l’integrità del proprio territorio, rispettandone la storia e la cultura e traendo ispirazione da una forte etica ecologica». Dal 2016, VinNatur si è dotata di un protocollo di produzione che delinea le attività ammesse in vigneto e in cantina. A New York è previsto un ricco calendario di degustazioni e approfondimenti su qualità, varietà e pratiche produttive dei vini naturali, che arricchirà i banchi d’assaggio di oltre 200 etichette.
«Questo appuntamento – afferma Angiolino Maule – è sicuramente una grande opportunità per i nostri soci per raggiungere un pubblico sempre più attento e appassionato. New York, con la sua energia e apertura, è il contesto ideale per raccontare la nostra filosofia e costruire legami significativi. Inoltre assistiamo a come nella Grande Mela stia crescendo il numero di enoteche e wine bar che includono vini naturali in mescita e sugli scaffali”. Un trend che si contrappone al rallentamento del consumo di bevande alcoliche negli Stati Uniti e che conferma l’interesse crescente per prodotti autentici, sostenibili e di qualità.
VINNATUR A NEW YORK CON 44 PRODUTTORI
Alla manifestazione saranno presenti 44 produttori che proporranno in assaggio i loro vini ma ci sarà posto anche per una selezione di etichette di altri 24 soci VinNatur servite da esperti sommelier. L’evento sarà aperto al pubblico e agli operatori domenica 12 gennaio dalle 14 alle 18, mentre lunedì 13 gennaio, dalle 10 alle 17, sarà riservato esclusivamente ai professionisti del settore, tra cui buyer, distributori, giornalisti e titolari di ristoranti e wine bar. I biglietti per l’evento e le masterclass, a posti limitati, sono disponibili su Eventbrite.
VinNatur NYC
Quando: domenica 12 e lunedì 13 gennaio 2025 Dove: Rule of Thirds Restaurant, Brooklyn, New York City Orario di apertura al pubblico: domenica dalle 14 alle 18, lunedì dalle 10 alle 17 Ingresso: biglietti acquistabili online dal mese di novembre
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Michele Ferrero per l’attitudine di guardare oltre alle cose, senza fermarsi all’apparenza. Franco Bernabei per la capacità di rendere liquido (d’eccellenza) un territorio, in maniera altrettanto visionaria. L’imprenditore “papà della Nutella” da una parte. L’enologo noto come “Mr Sangiovese”, dall’altra. Se è vero che ogni persona è al pari sintesi e romanzo, Tommaso Inghirami potrebbe essere preso ad esempio lampante. Dopo essersi fatto le ossa in diverse multinazionali – Moncler, Bolton e, appunto, Ferrero, come junior brand manager – il rampollo della famiglia a capo del colosso fiorentino Ingram Camicie è tornato a Pontassieve, a cavallo tra il 2017 e il 2018. Per fare vino. Dedicandosi anima e corpo a Fattoria di Grignano, Tenuta degli Inghirami attiva da oltre 50 anni nella cittadina a 12 chilometri da Firenze.
FATTORIA DI GRIGNANO: DA BERNABEI A CHIOCCIOLI, IN “STILE” FERRERO
Da allora, grazie alla collaborazione con il nuovo enologo Stefano Chioccioli, i vini di Grignano hanno preso un’altra via. Emblematica la vendemmia 2019 di Poggio Gualtieri, Chianti Rufina Docg Riserva che condensa le migliori caratteristiche del Sangiovese d’alta collina, in una veste fresca e dai tannini meno graffianti rispetto alle annate precedenti. Un cambio di passo che non significa rinnegamento del passato. Bensì evoluzione. «Franco Bernabei, l’enologo che ha accompagnato Fattoria di Grignano sin dagli anni Ottanta – spiega Tommaso Inghirami – è per me uno zio. Molto più di un “semplice” professionista: è parte della famiglia. Al mio ritorno in azienda, ho sentito di dover iniziare a produrre vini più affini al mio gusto».
VINI GRIGNANO: GRANDI (VECCHIE) ANNATE E NUOVA IDENTITÀ
«Da grande amante dei vini bianchi friulani – continua il 34enne – ho trovato un’immediata intesa con l’enologo Stefano Chioccioli, che proprio in Friuli ha fatto grandi cose». La mano di Chioccioli, consulente enologo – tra gli altri – della Livio Felluga, segna il cambio di rotta dei vini di Grignano: più immediati e rotondi, godibili sin dalla gioventù. Pur con ottime prospettive, in termini di lungo affinamento. Le terre da cui nascono sono, di fatto, le stesse che hanno dato vita al Chianti Rufina Riserva DocgPoggio Gualtieri 2000, ancora in forma straordinaria (freschezza, purezza del frutto, ulteriore capacità di evoluzione) a distanza di 24 anni dalla vendemmia. Tra le annate più recenti in commercio, inizia ora a farsi apprezzare, più delle altre, una 2013 dalla spiccata acidità. Un’annata – c’è da scommetterci – pronta a dare immense soddisfazioni nel lungo periodo.
PINOT NERO E TREBBIANO NEL FUTURO DI FATTORIA DI GRIGNANO
Tommaso Inghirami non vuole però fermarsi qui. E per comprenderne le ragioni, basta alzare gli occhi verso l’orizzonte di Pontassieve. L’Appennino Tosco-Romagnolo domina il circondario della cittadina medievale, considerata la capitale del Mugello. «Negli ultimi anni – spiega l’erede dell’impero Ingram Camicie – abbiamo acquistato diversi terreni nelle vallate che circondano Pontassieve. Credo che il potenziale ancora inespresso a quelle quote sia immenso. Mi riferisco in particolare al Casentino, una delle quattro vallate della provincia di Arezzo, in direzione Romagna, poco lontana da Pontassieve. A mio avviso una zona interessantissima, in prospettiva, per il Pinot Nero. Ma anche alla Val Tiberina, più ad est. Qui abbiamo acquistato una vigna vecchia di Trebbiano e i primi risultati di vinificazione in anfora hanno dato risultati incredibili». Il primo vino da una varietà a bacca bianca di Fattoria di Grignano sarà presentato nei primi mesi del 2025. L’ennesimo capitolo firmato Tommaso Inghirami. Un po’ sintesi. Un po’ romanzo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La cantina Tua Rita di Suvereto (Livorno) ha ottenuto complessivamente 23 mila dollari per i grandi formati di Giusto di Notri 2021 e Redigaffi 2021 all’asta di beneficienza organizzata dalla Fondazione Ataxia Charlevoix-Saguenay. Le bottiglie sono state battute il 28 novembre a Montreal, in Canada. All’asta hanno partecipato anche diverse maison di Champagne. L’Ataxia Charlevoix-Saguenay Foundation punta a sviluppare un trattamento per l’atassia spastica autosomica recessiva di Charlevoix-Saguenay (Arsacs). Si tratta di una patologia genetica neurodegenerativa rara. La Fondazione, nata nel 2006, è un ente di beneficenza registrato a livello federale. Non ha dipendenti ed è sostenuta interamente da donazioni private e volontari per finanziare la ricerca scientifica sull’Arsacs.
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Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana festeggia 10 anni di attività dedicati alla valorizzazione della Doc Maremma Toscana. «Abbiamo lavorato intensamente – spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio dal 2018 – per portare la denominazione a un livello sempre più alto di qualità e visibilità. Abbiamo fatto evidenti progressi, ma c’è ancora molto da fare. Puntiamo a chiudere il 2024 superando i 7 milioni di bottiglie, continuando a sviluppare progetti chiave come la razionalizzazione del disciplinare, la ricerca viticola, l’enoturismo e la sinergia con altri Consorzi locali».
10 ANNI DOC MAREMMA: NUMERI IN CRESCITA
Dal 2014 al 2024, la crescita del Consorzio è stata impressionante: i soci iniziali, solo 9, sono oggi diventati 469, operanti in tutta la provincia di Grosseto. La produzione è passata da 3,5 milioni di bottiglie nel 2014 a oltre 7 milioni nel 2024. Un cambiamento significativo è stato registrato anche nella tipologia dei vini prodotti. Se nel 2014 il 69% dell’imbottigliato era costituito da vini rossi, oggi questa quota è scesa al 54%, mentre i bianchi hanno superato il 40%, trainati dal Vermentino, che rappresenta oltre il 30% della produzione e si conferma la tipologia più imbottigliata.
Secondo i dati Avito, la Doc Maremma Toscana si distingue nel panorama regionale registrando un +6,9% nell’imbottigliato nei primi dieci mesi del 2024, in controtendenza rispetto alla generale flessione del comparto toscano. «Il Vermentino sta dando grandi soddisfazioni – sottolinea ancora il presidente Francesco Mazzei – contribuendo a rafforzare il brand Doc Maremma Toscana. Il nostro obiettivo di medio termine rimane raggiungere i 10 milioni di bottiglie, una massa critica indispensabile per ottenere maggiore visibilità sui mercati internazionali».
DOC MAREMMA TOSCANA IN CONTROTENDENZA
Per il direttore del Consorzio, Luca Pollini, i successi ottenuti sono il frutto di un territorio unico e di una strategia mirata. «La Maremma Toscana – ricorda – è una delle aree vitivinicole più dinamiche della regione. La grande varietà ampelografica, il territorio incontaminato e l’armonia tra viticoltura e biodiversità sono i nostri punti di forza».
Con 450.000 ettari di territorio, di cui solo il 2% dedicato alla vite (circa 9.000 ettari), la Maremma è un esempio di equilibrio tra produzione e sostenibilità. Oltre il 44% delle superfici agricole è condotto secondo metodi biologici, una percentuale ben al di sopra della media regionale (37,5%). Questo impegno per la sostenibilità è riconosciuto anche a livello internazionale: Grosseto è stata premiata dalla Commissione Europea come European Green Pioneer of Smart Tourism 2024.
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Vino in-dipendente 2025 fa cifra tonda. La decima edizione della Fiera-mercato del vino artigianale organizzata dal “sommelier vinnaturista” Stefano Belli è in programma a Calvisano, in provincia di Brescia, il 12 gennaio. Ingresso dalle 10.30 alle 19.30 acquistando il ticket di 15 euro, comprensivo di calice per gli assaggi e tracolla porta calice. Vino in-dipendente sarà, in sostanza, il primo tra gli eventi del vino italiano del 2025. Il pubblico potrà degustare e acquistare direttamente dai produttori sia i vini che i prodotti alimentari nella sala sala polivalente del Comune di Calvisano.
«Vino in-dipendente – spiega il sommelier Stefano Belli – raggruppa vignaioli che difendono l’integrità del proprio territorio attraverso una forte etica ambientale, per produrre vino che prevede il minor numero possibile di interventi in vigna e in cantina, attraverso l’assenza di additivi chimici e di manipolazioni innaturali. Produrre vino naturale significa valorizzare l’unicità del vino, abbandonando l’omologazione che chimica, tecnologia e industrializzazione hanno portato nel mondo del vino. Scopo della manifestazione è promuovere il lavoro dei vignaioli che quotidianamente faticano a farsi sentire».
LISTA CANTINE VINO IN-DIPENDENTE 2025
Ricci Daniele (Piemonte) Grawu (Alto Adige) Az. Agr. Di Cato (Abruzzo) Casa Caterina (Lombardia) Villa Calicantus (Veneto) Foradori (Trentino) Daniele Piccinin (Veneto) Dolomytos (Alto Adige) Il Pendio (Lombardia) Cantine Del Castello (Piemonte) Tenuta Ca’ Sciampagne (Marche) Leonardo Pallotta (Puglia) Denis Montanar (Friuli V/G) Josef (Lombardia) La Scapigliata (Lombardia) Matrignano (Toscana) Mo-Ka (Lombardia) Sa Defenza (Sardegna) Stefano Legnani (Liguria) Eno-Trio (Sicilia) Forti Del Vento (Piemonte) Teren (Friuli V/G) Perego&Perego (Lombardia) Meggiolaro (Veneto) Cuore Impavido (Veneto) Az. Agr. Fenech (Sicilia-Lipari) San Domaine (Spagna) Angel Ouiea (Spagna) Az. Agr. Torrazzetta (Lombardia) Case Vecchie (Lombardia) L’orto Del Vicino (Toscana) Terrazzi Alti (Lombardia) Vino Riflesso (Piemonte) Insolente (Veneto) Santa Caterina (Liguria) Antonio Ligabue (Lombardia) La Signorina (Piemonte) Masseria Gigante (Puglia) Az. Agr. Grazioli (Lombardia) Az. Agr. I Cangianti (Umbria) Prima Radice (Friuli V/G) Mccalin (Abruzzo) Le Vignette (Toscana) Vna Wine (Lombardia) Tommaso Gallina (Piemonte) Colombo Sormani (Lombardia) Az. Agr. Casa Giachi (Toscana) Pietra Matta (Lombardia) Terre Della Luna (Liguria) Bragagni Andrea (Emilia R.) Terre Di Pietra (Veneto) Bressanelli Fortunato (Lombardia) Boschera Winkler (Veneto) Ros (Lombardia) Umaia (Piemonte) Az. Agr. Franzina (Lombardia) Ca De Rundaneine (Piemonte) Antica Valpolicella (Veneto) Az. Agr. Samuele Casella (Lombardia) Az. Agr. Filarole (Lombardia) Cantina La Bacheta (Veneto) La Rosi (Veneto) Colle Del Bricco (Lombardia)
LISTA ARTIGIANI DEL CIBO VINO IN-DIPENDENTE 2025
La Baita (Liguria) Il Colmetto (Lombardia) Ferdy Wild (Lombardia) L’anciua (Liguria) Passion Cocoa (Lombardia) La Bucolika (Toscana)
Vino in-dipendente 2025
Quando: 12 gennaio Dove: Sala polivalente Calvisano (Brescia), via San Michele Orario: dalle 10.30 alle 19.30 Biglietti di ingresso: 15 euro (acquisto in loco) Email:info@vinoindipendente.it www.vinoindipendente.it
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Si chiama Lunaria il primo Pinot Nero Metodo classico di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò pavese guidata da Manuela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. Uno spumante di qualità (Vsq) – non un Docg Oltrepò – dosaggio Brut, 30 mesi sui lieviti, che mostra la struttura corpulenta del Pinot Nero dei vigneti situati tra la Valle Versa e la Valle Scuropasso. Senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo primario: la beva. Quattro gli ettari a disposizione di Bosco del Sasso in frazione Roncole 8, a Canneto Pavese. La cantina, tuttora in allestimento sul fronte dell’accoglienza del pubblico, ha aperto i battenti nel 2022, con Manuela Elsa Centinaio nel ruolo di amministratore unico della società. Un ritorno alle origini pavesi nelle vesti di imprenditrice vinicola, dopo i trascorsi nel settore Food & Beverage come responsabile della qualità.
ECCO LUNARIA, IL METODO CLASSICO DI BOSCO DEL SASSO
«Con Lunaria – ha spiegato Centinaio lunedì 2 dicembre, in occasione del lancio ufficiale del nuovo spumante, all’Enoteca Regionale della Lombardia di Broni – completiamo la nostra gamma di vini che raccontano l’Oltrepò pavese, nostra casa e territorio che abbiamo scelto e in cui crediamo molto. Dopo Buttafuoco Doc, Buttafuoco Storico Doc e uno spumante Extra Dry Metodo Martinotti “19.09“, chiudiamo il cerchio con un Metodo classico ottenuto da sole uve Pinot Nero». Lunaria richiama il nome di una pianta, conosciuta in Italia anche come “Moneta del Papa” – in Olanda come “Judaspenning”, ovvero “Monete di Giuda”, allusione ai trenta denari d’argento, paga di Giuda Iscariota – ma soprattutto il colore e la luminosità della Luna.
L’etichetta nera esalta la scritta dorata del logo di Bosco del Sasso, il cui simbolo è un cipresso. «Un filare di cipressi conduce all’ingresso della nostra cantina – ha sottolineato la titolare – aprendo la porta al nostro mondo. Lo stesso fa il packaging studiato da Alberto Cei, design director della branding agency Robilant, offrendo un’esperienza tattile, oltre che visiva, grazie ai rami del Pinot Nero stilizzati sullo sfondo, in rilievo. Un modo per comunicare che si può iniziare a degustare Lunaria sin dall’etichetta, a bottiglia chiusa».
L’OLTREPÒ PAVESE DI BOSCO DEL SASSO
L’enologo di Bosco del Sasso è Michele Zanardo. «Avevamo già tre vini – ha commentato – ma uno sgabello sta in piedi con quattro gambe. Dopo i primi due vini rossi è arrivato un Martinotti. Ma l’Oltrepò pavese è terra di Metodo classico e di Pinot Nero. Così è nato Lunaria, uno spumante che vuole essere fine, elegante e di gran bevibilità, in assoluta coerenza con il percorso dei vini di Bosco del Sasso, tutti orientati sul piacere della beva e sul desiderio che un sorso chiami l’altro, senza appesantire. Del resto sono convinto che il lavoro dell’enologo può dirsi compiuto solo quando la bottiglia finisce facilmente sul tavolo».
«Con Lunaria – ha aggiunto il sommelier della cantina, Roberto Galli – abbracciamo finalmente tutte le sfumature dello spumante da uve Pinot Nero dell’Oltrepò. Un vino perfetto come aperitivo con salumi, formaggi freschi o di media stagionatura, o in abbinamento con antipasti di pesce, crostacei o cucina di mare gourmet». Soddisfazione anche per il presidente dell’Enoteca regionale della Lombardia. «Eventi come questo – ha evidenziato Roberto Allegrini, sempre in occasione del lancio del primo metodo classico di Bosco del Sasso – consentono all’Enoteca regionale della Lombardia di raggiungere uno dei suoi obiettivi. Questo spazio non è di Regione Lombardia, ma è dell’Oltrepò pavese e dei produttori. Mi auguro che in molti prendano esempio, rendendo l’Enoteca regionale un riferimento per questo territorio e non solo».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il Consorzio Italia del Vino compie 15 anni e rinnova il suo impegno per la crescita del settore vitivinicolo italiano. Nonostante le sfide poste dal contesto economico globale il Consorzio, che riunisce 25 importanti realtà con un fatturato complessivo superiore a 1,5 miliardi di euro e una quota di export pari al 15% del valore nazionale, guarda al futuro con fiducia e nuove iniziative. Nato nel 2009, Consorzio Italia del Vino è rappresentato in 19 regioni, per un totale di 15 mila ettari vitati e 230 milioni di bottiglie. Tra i progetti più ambiziosi del prossimo anno spicca l’Italia del Vino Wine Business School, una scuola di formazione che punta a coniugare le competenze scientifiche con le specificità del mercato vitivinicolo. Ad annunciarlo è stata la presidente del Consorzio, Roberta Corrà (Giv – Gruppo Italiano Vini), riconfermata nel suo ruolo fino al 2027.
ITALIA DEL VINO BUSINESS SCHOOL: PRATICANTATO IN CANTINA
«La più grande novità del 2025 sarà l’attivazione di Italia del Vino Wine Business School, un progetto formativo dedicato a viticoltura, enologia, marketing e comunicazione del vino e del territorio», ha spiegato Corrà. Il corso, che prevede anche un periodo di praticantato presso le aziende consorziate, si pone l’obiettivo di scoprire nuovi talenti e favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. I cinque migliori studenti riceveranno una proposta di assunzione di un anno, un segnale concreto di attenzione alla crescita professionale nel settore.
ITALIA DEL VINO: L’OSSERVATORIO SUI TREND DI MERCATO
Il Consorzio non si limita alla formazione. Sono previste ricerche sui mercati emergenti e sulle nuove tendenze di consumo. In linea con quelli di altri organismi del settore, i dati di Italia del Vino relativi al 2024 mostrano una sostanziale tenuta delle esportazioni di vino italiano, con alcune categorie in crescita. Gli spumanti si distinguono per performance positive (+2% in valore e +4,4% in volume nei primi nove mesi dell’anno), con incrementi significativi in mercati come Francia e Australia. Anche gli USA, nonostante una leggera flessione complessiva, registrano aumenti per i vini fermi e frizzanti imbottigliati (+4,2% in valore e +2% in volume).
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
EDITORIALE – Collio Bianco vino da uve autoctone? Il modello è «Barolo, non Sassicaia». Così Andrea Drius della cantina Terre del Faét sintetizza il progetto portato avanti con Edi Keber, Fabijan Muzic, Cantina Produttori di Cormons, Maurizio Buzzinelli, Fabijan Korsic, La Rajade e Marcuzzi Viticola. L’idea di un Collio Bianco ottenuto con i soli tre vitigni autoctoni Friulano (ex Tocai), Ribolla gialla e Malvasia Istriana si avvicina più alla tipicità territoriale espressa dalle menzioni geografiche del Nebbiolo da Barolo, che all’uvaggio bordolese dell’etichetta simbolo di Tenuta San Guido. «L’obiettivo – spiega Drius – è tornare alla tradizione e all’uvaggio storico del territorio, senza sostenere che il nostro vino sia migliore degli altri. E senza chiedere che venga preclusa la possibilità di produrre Collio Bianco anche con i vitigni internazionali».
COLLIO BIANCO VINO DA UVE AUTOCTONE: CHE CONFUSIONE
Chi decida cos’è «tipico» e cosa non lo sia, in una terra come il Collio in cui i vitigni internazionali sono presenti – e molto ben acclimatati – sin dall’Ottocento, è il vero nodo della questione. Fatto sta che, personalmente, anche dopo l’intervista rilasciatami da Andrea Drius – giovane e appassionato vignaiolo, chiaramente innamorato della propria terra – resto dell’idea che il progetto di un “Collio Bianco – vino da uve autoctone” faccia, come già detto in passato, acqua da tutte le parti. Almeno così presentato e proposto al pubblico, ormai da qualche annetto. Non è un caso che giornali generalisti con cui il gruppo di produttori si è confrontato nelle ultime settimane, abbiano combinato un pasticcio gigante nell’interpretare (malissimo) le parole del gruppo di produttori del Collio.
IL PASTICCIO DEL CORRIERE: «VERO COLLIO» SOLO CON UVE AUTOCTONE?
«I moschettieri del vero Collio», ha (colpevolmente) titolato il Corriere, nel suo inserto Extra di lunedì 2 dicembre. Instillando così nei lettori il dubbio che, sul mercato, esista anche un “finto Collio“: ovvero quello prodotto da decine di altri produttori locali che (legittimamente) scelgono di utilizzare nel blend le uve internazionali ammesse dal disciplinare in vigore dal 1991 (33, gli anni di Cristo). Un insulto, bello e buono, alla schiera di produttori che, negli ultimi decenni, hanno dato una dignità locale assoluta, “colliana” volendo coniare un eufemismo, a varietà internazionali come Sauvignon Blanc, Pinot Grigio, Riesling, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e, non ultimo, il Pinot Nero.
IL COLLIO BIANCO È GIÀ UN BRAND
Sono nate così etichette iconiche come Col Disôre di Russiz Superiore, Vintage Tunina di Jermann (pur Igt) o Studio di Bianco di Borgo del Tiglio – per citarne alcuni – che hanno reso le 6 letterine della splendida parolina “Collio” (così semplice da pronunciare, anche per gli stranieri – chiedere per credere ai siciliani che hanno dovuto cambiare nome al Cattarratto) un sinonimo internazionale di “grandi vini bianchi”, annoverabili tra i fine wines italiani di dignità galattica. Il progetto “Collio Bianco vino da uve autoctone” complica il concetto esistente, semplicissimo, di “uvaggio” del Collio Bianco.
Ed è per certi versi “arrogante”: non certo nelle intenzioni dei produttori, che continuano a sostenere di non voler alcuno scontro col resto dei colleghi o con il Consorzio, ma “nell’effetto che fa” la narrazione di un Collio Bianco intrinsecamente elitario, in quanto proposto come “storico” e “tradizionale” in un’epoca in cui lo storytelling della storicità e della tradizione, sin troppo spesso, si beve, da solo, tre quarti di bottiglia.
I NUMERI DEL COLLIO E DEL COLLIO BIANCO DA UVE AUTOCTONE
Prima di passare alle domande (e soprattutto alle risposte) rivolte ad Andrea Drius di Terre del Faét, ecco qualche cifra. Nel Collio sono presenti circa 1.240 ettari di vigneti. Nel 2023, la produzione complessiva è stata di 7,3 milioni di bottiglie. Di queste, sono 295.780 le bottiglie di Collio Bianco Doc (circa il 4% della produzione totale). Nel 2023, le aziende che aderiscono al gruppo “Collio Bianco vino da uve autoctone” hanno prodotto il 27,7% della tipologia, per una cifra che supera le 82 mila bottiglie.
Numeri che risultano oggi più sostanziosi – «oltre la metà della produzione totale», secondo le stime di Drius – grazie all’adesione di altre aziende avvenuta nel corso del 2024. A pesare sul totale in maniera decisiva è il sostengo al progetto della cooperativa Cantina Produttori di Cormons, l’azienda con più ettari vitati in tutta la zona del Collio Goriziano (120 soci e circa 330 ettari vitati fra le Doc Collio, Isonzo e Aquileia, per un totale di 2 milioni di bottiglie complessive prodotte nel 2024).
COLLIO BIANCO VINO DA UVE AUTOCTONE: INTERVISTA AD ANDREA DRIUS
Iniziamo con un inquadramento della vostra realtà. Siete un’associazione formale o un “semplice” gruppo di produttori che condivide una visione sul Collio Bianco da sole uve autoctone (Friulano, Ribolla, Malvasia istriana)?
Abbiamo pensato di costituire un’associazione, ma per il momento abbiamo deciso di non formalizzare in nessun modo la cosa. La nostra idea è quella di un gruppo aperto a chiunque apprezzi il progetto e ne condivida l’obiettivo, ovvero valorizzare il Collio. Siamo un “gruppo spontaneo” e aperto, chiunque voglia farne parte è ben accetto.
Tutte le aziende del gruppo fanno parte del Consorzio Tutela Vini Collio?
Sì, tutte le aziende sono iscritte al Consorzio.
Quando e da chi è nata, per l’esattezza, l’idea di promuovere il Collio Bianco da sole uve autoctone? Come è avvenuto il coinvolgimento degli altri produttori?
L’idea iniziale è nata da una mia chiacchierata con Kristian Keber della cantina Edi Keber. Utilizzava una scritta, sul suo Collio Bianco, che mi piaceva molto: “Vino del territorio”. Tra un bicchiere e l’altro, in maniera del tutto spontanea, gli ho chiesto di poter utilizzare la stessa scritta sulle etichette dei miei vini (Terre del Faét, ndr). La sua risposta è stata: “Sei matto? Magari tutti scrivessero una cosa del genere!”. Così, insieme, abbiamo deciso di contattare altre realtà che potevano essere d’accordo con questa idea. Ecco quindi che il gruppo si è delineato con l’adesione di Fabijan Muzic e Produttori di Cormons. Dalla piccola scritta, presente sulla retro etichetta, siamo passati a qualcosa di maggiore impatto. È nata così l’idea dell’etichetta frontale con la scritta Collio in primo piano, a livello visivo, seguita dalla formula “Vino da uve autoctone”. Un modo per consentire alla bottiglia di raccontarsi “da sola”.
I vitigni internazionali sono stati introdotti nel Collio principalmente tra la seconda metà dell’Ottocento e del Novecento. Si trattava, per lo più, di varietà a bacca rossa del taglio bordolese (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot) oltre che del Pinot Nero. Poi, all’inizio del Novecento e con rinnovato interesse nel Dopoguerra, fu la volta degli internazionali a bacca bianca, come Chardonnay, Pinot Bianco, Sauvignon e Pinot Grigio, che in molte aree italiane vengono considerati (e spesso descritti dagli stessi produttori) se non “autoctoni”, ormai come “locali”, per il perfetto acclimatamento e la tradizione consolidata nella loro vinificazione, da soli o in uvaggio. Il disciplinare del Collio Bianco include i vitigni internazionali dal 1991. Perché cambiare oggi?
Personalmente non ho una storicità così importante, ma posso raccontare i miei 10 anni di esperienza della mia cantina. La nostra intenzione non è togliere nulla a nessuno, o svilire il vino di altri. Tantomeno vogliamo dire che non si debba fare nessun altro uvaggio o tipo di blend al di fuori del “Collio Bianco vino da uve autoctone”. Un uvaggio autoctono, legato alla storia del Collio, non è in contrapposizione con l’idea di produrre un grandissimo “bianco aziendale”. Le due cose sono complementari: da una parte la massima espressione aziendale, con la massima libertà di scegliere le uve migliori a livello aziendale; dall’altra l’idea di creare qualcosa che possa essere più identitario e confrontabile e, a nostro avviso, anche più facile da comunicare.
L’unica cosa “democratica”, in grado di spiegare il territorio in maniera più uniforme, è il ricorso alla storicità della zona, andando a riproporre il vino della tradizione. Il Collio è molto frammentato a livello di numero di aziende e ognuna punta su cose diverse. Per questo, il Collio Bianco vino da uve autoctone è una piccola àncora per un racconto comune da proporre al pubblico, in modo molto facile e diretto, perché non si basa su un’idea aziendale ma sul territorio. La nostra speranza è che tra 20, 30 40 anni ci si interessi poco delle varietà con cui è prodotto il Collio Bianco. Ma si sappia cosa aspettarsi. Dall’altro lato continuerebbero ad esistere i grandi blend aziendali, con i loro nomi di fantasia.
Non credete di correre il rischio che la vostra “battaglia” rispecchi più interessi particolari – del vostro gruppo di aziende – che di territorio? Mi spiego meglio: salta all’occhio il fatto che il vostro gruppo punti tutto sui vitigni, ovvero sulla base ampelografica di una tipologia, il Collio Bianco per l’appunto. In altri territori, invece, ci sono gruppi di produttori che fanno “pressione” sui Consorzi per potare avanti tematiche come produzione biologica, sostenibilità, riduzione dell’impronta carbonica delle aziende. Oppure, sempre sul fronte produttivo, molti vignaioli e cantine avvedute chiedono il riconoscimento di sottozone, cru, parcelle. I vitigni internazionali nel Collio Bianco sono davvero un problema? Per chi?
La scritta “vino da uve autoctone” è una piccola spiegazione, ma il nostro obiettivo è creare un bianco che abbia forte identità, per parlare sempre meno delle uve. Quello che per noi è importante è slegarci dalle tante varietà utilizzate, con un “Collio vino della tradizione”. Il focus non è sul “vino da uve autoctone”. Il nostro gruppo parla sempre e solo di Collio, di territorio. Con altri tipi di vini ci si sofferma invece sulle tecniche di vinificazione o su altri aspetti che noi raramente affrontiamo, nel presentare il nostro progetto. Non vogliamo togliere né, paradossalmente, aggiungere nulla. Il Collio fatto in questo modo, volendo, è già tranquillamente all’interno del disciplinare. La nostra idea è che sarebbe bello riuscire a creare qualcosa di più confrontabile, parlando sempre meno delle uve. Non credo che questo porti confusione, anzi. Porta curiosità. Non abbiamo inventato nulla.
Per fare un esempio stupidissimo, ma di impatto, la nostra speranza è di “fare il Barolo” e non il Sassicaia. Cru, sottozone eccetera sono tutte cose affascinanti. Penso che a noi manchi lo step precedente. Giustissimo parlare di sottozone a Barolo, territorio con un’identità molto forte che consente il racconto delle piccole differenze che esistono tra una sottozona e l’altra. La gente, soprattutto del settore, ha molto ben in testa cos’è Barolo. Noi siamo al passaggio precedente. Sarebbe molto più importante creare una grande identità di territorio. Per farlo, basta un prodotto che lo racconti e che ne diventi l’immagine. In questo momento, a mio avviso, solo la Ribolla Gialla fa pensare al Collio: Friulano e Malvasia molto meno. Dobbiamo trovare qualcosa che faccia da filo conduttore, da collante, per poi, nel passaggio successivo, raccontare le differenze tra Cormons, Oslavia e San Floriano… Va costruito qualcosa che ci unisca.
Il vostro fine ultimo è modificare il disciplinare attuale, per fare in modo che il “Collio Bianco” sia solo da uve autoctone, oppure propendete per l’introduzione di una nuova tipologia con queste caratteristiche?
Da parte nostra non c’è alcuna volontà che il Collio Bianco diventi “solo da uve autoctone”. La storia dei grandi uvaggi va rispettata e quindi crediamo nel valore dei binari complementari ma separati, anche nella stessa azienda. Sul primo binario un vino da uve autoctone. E su un altro un blend che rispecchi lo stile e il meglio dell’azienda. Come gruppo non abbiamo mai proposto l’inserimento di una nuova tipologia. Ovviamente, se questa idea di vino fosse un giorno formalmente inserita nel disciplinare, si tratterebbe della chiusura del cerchio. Del coronamento. In questo momento, la cosa più importante è coinvolgere più aziende possibili, per far crescere il progetto. Se ne sta discutendo anche all’interno del Consorzio. Vedremo come andrà avanti, ma non c’è l’idea di modificare il Collio Bianco esistente.
Il dialogo con il cda del Consorzio Vini Collio è aperto?
Siamo in una situazione di fine mandato. Molti sono d’accordo con noi. Qualcuno, come sempre accade, è meno convinto. Ma siamo agli inizi. A livello consortile, sarà importante il prossimo mandato. Dalla prossima primavera capiremo se c’è la volontà di ragionare a livello formale sul progetto, insieme al prossimo cda del Consorzio. Credo sia impossibile mettere d’accordo tutti. L’importante sarà non impantanarsi cercando l’approvazione totale. Questo causerebbe immobilismo, col rischio che la questione venga accantonata. Formalmente, la dicitura “vino da uve autoctone” potrebbe rivelarsi sbagliata, perché anche un Ribolla 100% potrebbe avere quella dicitura. Ma è secondario che porti questa o quella scritta. Nel 2017, per un vino simile a quello da noi proposto era stata avanzata l’ipotesi di chiamarlo “Gran Selezione”, ma la cosa è finita nel dimenticatoio. Di fatto sarebbe questa la nostra idea: Friulano dal 50 al 70%, e un 15-30% di Ribolla-Malvasia, con uscita sul mercato a 24 mesi. Il nome verrà trovato. L’importante è che sia ben visibile la scritta “Collio”.
Estremizzando il concetto: siete pronti a scelte drastiche, come uscire dal Consorzio, qualora la vostra proposta non fosse presa seriamente in considerazione?
Siamo aziende singole con un’idea comune e ognuno, a seconda dei propri rapporti con i membri del Consorzio, deciderà cosa fare. Tutto sommato, quello che proponiamo è già previsto dall’attuale disciplinare. Bisogna cercare di essere costruttivi e non vedo per quale motivo dovremmo arrivare ad uno scontro. Qualcuno forse storce il naso perché il nostro progetto viene percepito bene. Ma dobbiamo uscire dall’ottica che se si parla bene dei vicini, questo tolga qualcosa a me. Il focus è il Collio: chiunque lo faccia emergere come eccellenza, lo fa per tutti.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Appuntamento sabato 7 dicembre con “Birrifici Aperti“. Giornata organizzata da Unionbirrai, l’associazione dei birrifici indipendenti, con l’obiettivo di promuovere la cultura della birra artigianale in Italia. Visite guidate, degustazioni e incontri con i birrai. Un’iniziativa per educare i consumatori sulle diverse varietà e qualità di birre prodotte localmente e sostenere i piccoli produttori nel panorama birrario nazionale.
«Valorizzare il mondo della birra artigianale italiana, creando un contatto diretto tra birrifici e appassionati. Questo l’obiettivo di Birrifici Aperti – dichiara Vittorio Ferraris, direttore generale di Unionbirrai –. Miriamo a replicare ciò accaduto con successo in altri comparti come il vino e l’olio. Apriamo le porte dei birrifici per far conoscere da vicino i processi produttivi, le materie prime utilizzate e, soprattutto, la passione che si cela dietro ogni bottiglia. Tutti ingredienti che rendono la birra artigianale nazionale oramai un vanto del made in Italy agroalimentare nel mondo, con sempre più riconoscimenti».
BIRRIFICI APERTI
Sarà possibile scegliere l’appuntamento preferito tra i tanti in programma in tutto lo stivale. Si potranno esplorare storie, processi e segreti dietro ogni birrificio, vivendo una giornata immersiva nel mondo della birra artigianale e promuovendo, al contempo, il territorio con le sue peculiarità creando localmente sinergie. A giovarne saranno i consumatori, sempre più consapevoli e attenti.
Amanti, o semplici curiosi, della birra pronti ad una esperienza che, attraverso la convivialità ed i momenti di relax, potranno conoscere le realtà artigianali con un contatto diretto. «Riteniamo che i piccoli birrifici artigianali possano divenire parte integrante di itinerari turistici e mete da visitare – conclude Ferraris –. Luoghi in cui trascorrere piacevoli momenti. Per questo, anche a livello normativo, siamo impegnati nel promuovere la creazione delle “Strade della Birra”, prendendo spunto da ciò che il mondo vitivinicolo ha già realizzato con successo».
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Ottantotto campioni di Vernaccia di San Gimignano, dall’anteprima 2023 indietro fino all’annata 2018. Questi i vini protagonisti della prima edizione di Regina Ribelle – Vernaccia di San Gimignano Wine Fest 2024. Il nuovo format voluto dal Consorzio, lanciato quest’anno con la stampa italiana ed internazionale, si è posto l’obiettivo di raccontare la denominazione e il suo territorio a 360 gradi. «Regina Ribelle Wine Fest – evidenzia la presidente Irina Strozzi – vuole rappresentare l’evento di riferimento per la Vernaccia di San Gimignano. Un evento di respiro molto ampio che vuole, oltretutto, ricordare la candidatura di San Gimignano a città europea del vino 2027. Una città che parla di vino, con la sua Vernaccia di San Gimignano, fin dal 1276».
MIGLIORI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO A REGINA RIBELLE 2024
Un vino che continua a suscitare un certo fascino nei consumatori, per il territorio in cui nasce e per le importanti tappe della propria storia. Nel 1966, la Vernaccia di San Gimignano ottiene il riconoscimento di primo vino Doc italiano. Risale al 1972 la nascita del Consorzio di tutela, che porta in dote l’iter per il riconoscimento della Docg, nel 1993. In attesa di Regina Ribelle – Vernaccia di San Gimignano Wine Fest 2025 (17 e 18 maggio 2025) ecco le migliori Vernaccia di San Gimignano all’anteprima 2024.
MIGLIORI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO 2023 | REGINA RIBELLE 2024
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Madre Terra”, Collemucioli
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Acquaiole”, Fattoria La Torre
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Borgo alla Terra”, Chianti Geografico
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023, Guidi
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023, La Lastra (BEST IN SHOW)
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Le Badiole”, Macinatico
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Suavis”, Mormoraia
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023, Palagetto
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Madama Dorè”, Poderi Arcangelo
Vernaccia di San Gimignano Docg 2023 “Lunario”, Tollena
MIGLIORI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO 2022 | REGINA RIBELLE 2024
Vernaccia di San Gimignano Docg 2022 “Rialto”, Cappellasantandrea
Vernaccia di San Gimignano Docg 2022 “Campo della Pieve”, Il Colombaio di Santa Chiara
Vernaccia di San Gimignano Docg 2022 “Ostrea”, Mormoraia (BEST IN SHOW)
Vernaccia di San Gimignano Docg 2022 “Donna Lucia”, Tenuta Sovestro
Vernaccia di San Gimignano Docg 2022 “Fontabuccio”, Vagnoni
MIGLIORI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO 2021 | REGINA RIBELLE 2024
Vernaccia di San Gimignano Docg 2021 “Angelica”, Fattoria San Donato
Vernaccia di San Gimignano Docg 2021 “Ventanni”, Palagetto
MIGLIORI VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO RISERVA| REGINA RIBELLE 2024
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2022 “Fiora”, Le Fornacelle
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2022 “Aurea”, Guidi
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2022 “Ori”, Il Palagione
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2022, La Lastra
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2022, San Benedetto
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2021 “Prima Luce”, Cappellasantandrea
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2021 “Crocus”, Casa alle Vacche
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2021, Palagetto
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2021 “Assola”, Terre di Sovernaja (BEST IN SHOW)
Vernaccia di San Gimignano Docg Riserva 2021 “I Mocali”, Vagnoni
I NUMERI DELLA VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO
La superficie vitata complessiva del Comune di San Gimignano è pari a 2.146 ettari. Di questi, 768 ettari sono destinati alla produzione della Vernaccia di San Gimignano Docg. Il potenziale produttivo riferito alla superficie vitata è pari a 4.838.400 litri di vino (6.912.000 Kg di uva), ovvero 6,4 milioni di bottiglie da 0,75 cl. «Nell’ultimo decennio – sottolinea il Consorzio – abbiamo osservato una spiccata tendenza alla riduzione delle rese unitarie, in buona parte auspicata, per migliorare la qualità del vino Vernaccia di San Gimignano Docg a scapito della quantità. In parte, il calo è dovuto a fenomeni climatici estremi che il cambiamento del clima in atto genera, incidendo negativamente sulle produzioni».
In occasione della vendemmia 2023 sono stati prodotti 3.245.330 kg di uva atti a Vernaccia di San Gimignano Docg, pari a 2.271.731 litri di vino (circa 3 milioni di bottiglie da 0,75). La perdita, rispetto alla vendemmia 2022, è stata significativa. Il segno meno – che ha inciso sulla maggior parte dei vini presentati all’anteprima Vernaccia Regina Ribelle 2024 – è stato pari al 37,742% sul millesimo 2022, in cui sono stati prodotti circa 4,9 milioni di bottiglie. Il calo è dovuto all’accesso della piovosità tra i mesi di aprile e giugno 2023, oltre che alle temperature massime superiori ai 35° sul finire di luglio, rispetto alla media di 29,2°. Termometro bollente anche ad agosto, in particolare dal 17 al 23: sfiorati i 40°, contro una media di temperatura massima di 29,3°C (periodo di riferimento 1991-2021; fonte Climate-Data). Nel 2023 sono stati immessi sul mercato 3.592.700 litri. Mentre nel 2022, 3.475.300 litri di Vernaccia di San Gimignano.
MIGLIOR PERFORMANCE TRA I VINI TOSCANI NEL 2023
Anno
Numero bottiglie immesse in commercio
2019
4.672.253
2020
4.377.213
2021
4.950.553
2022
4.633.819
2023
4.790.266
Nel 2023 la Vernaccia di San Gimignano DOCG ha registrato il miglior risultato di tutte le Denominazioni di Origine Controllata e Garantita di Toscana, in termini di bottiglie immesse in commercio, rispetto al 2022. «Questo – commenta il Consorzio di Tutela – a conferma che la qualità dei vini Vernaccia di San Gimignano è in continua e costante crescita. E che i vini bianchi da vitigni autoctoni sono sempre più richiesti sia dal mercato nazionale che internazionale».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Onav celebra uno dei personaggi che più ha contribuito a scrivere l’enologia moderna: Federico Martinotti, inventore del metodo di rifermentazione in autoclave con il quale sono prodotti spumanti come il Prosecco, l’Asti, il Lambrusco e il Brachetto, oggi apprezzati in tutto il mondo. “Martinotti: cento anni di spumantistica italiana” è il convegno che si terrà sabato 21 dicembre presso la sede Onav in Piazza Santa Maria Nuova 5 ad Asti, a partire dalle ore 9.15.
«L’incontro – anticipa Vito Intini, presidente di Onav Nazionale – sarà un momento importante per l’intero comparto spumantistico italiano perché andrà alle radici della storia del Metodo Martinotti. Sarà anche una interessante occasione per capire gli scenari futuri grazie all’intervento di due delle più importanti denominazioni spumantistiche italiane, Asti e Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore». La partecipazione all’evento in presenza è gratuita fino ad esaurimento posti. L’evento sarà trasmesso in diretta tramite webinar. Per partecipare online, è necessario iscriversi anticipatamente al link: https://shorturl.at/5cvk2.
MARTINOTTI O CHARMAT?
Federico Martinotti, originario di Villanova Monferrato, è lo scienziato visionario che, nel 1895, ha rivoluzionato la produzione di spumanti con la sua innovativa scoperta del metodo di rifermentazione in autoclave. Questo processo, brevettato successivamente da Charmat nel 1907, ha consentito di ottenere spumanti preservando le note varietali dell’uva e riducendo significativamente i tempi di produzione, passando da anni a soli pochi mesi, rispetto al Metodo Classico, che è stato l’unico utilizzato fino a quel momento.
L’incontro del 21 dicembre sarà un’occasione per conoscere meglio l’uomo, lo scienziato ma anche l’evoluzione dell’enologia italiana dall’inizio del Novecento ad oggi. Tra i relatori del convegno figurano Antonella Bosso, dirigente tecnologo del Crea-ve; Diego Tomasi, direttore del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg; Stefano Ricagno, presidente del Consorzio per la Tutela dell’Asti Docg. La moderazione è affidata al professor Vincenzo Gerbi, vicepresidente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino e presidente del Consiglio Scientifico Onav.
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Il 2024 si conferma un anno di sfide e opportunità per il vino italiano. Nonostante un 2023 segnato da un leggero calo nell’export in valore e da una contrazione del mercato nazionale sotto la pressione dell’inflazione, le previsioni per l’anno in corso evidenziano un quadro a tinte miste. Secondo Nomisma Wine Monitor, l’export italiano dovrebbe chiudere il 2024 con una crescita superiore al 4%. Superando, seppur di poco, la soglia degli 8 miliardi di euro. Sul mercato interno, invece, il trend rimane negativo, con una riduzione delle vendite in quantità che ha toccato il -1,5% nei primi nove mesi dell’anno.
EXPORT VINO ITALIANO: PROSECCO PROTAGONISTA
Il principale motore dell’export italiano resta, come negli anni precedenti, il comparto degli spumanti. Il Prosecco, in particolare, rappresenta ormai 2 bottiglie su 10 di vino italiano esportato. Trend positivi si registrano nei mercati nordamericani per i vini fermi imbottigliati, mentre gli spumanti continuano a guadagnare terreno in mercati tradizionali come Australia, Francia, Stati Uniti, Canada e Regno Unito.
Un’analisi dei principali 12 mercati mondiali mostra, però, segnali di contrazione globale: nel terzo trimestre 2024, gli acquisti di vino dall’estero sono calati del -2,6% in valore. Solo Cina e Brasile emergono con incrementi significativi sia in termini di valore che di volume. Il caso cinese (+27%) è attribuibile al ritorno dei vini australiani sul mercato, reso possibile dall’eliminazione dei super dazi introdotti da Pechino nel 2021.
INCOGNITE GEOPOLITICHE E RISCHIO DAZI
Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, sottolinea come il panorama internazionale presenti numerose incognite per l’export di vino italiano. Tra queste, spiccano i possibili dazi aggiuntivi paventati dal neo-eletto presidente Trump, le accise già in vigore in Russia e quelle previste nel Regno Unito dal 1° febbraio 2025. «Il rischio di dazi negli Stati Uniti potrebbe avere ripercussioni anche su altri mercati chiave come la Germania, il cui equilibrio economico è già sotto pressione», avverte Pantini. La Germania, con un deficit commerciale di circa 80 miliardi di euro nei confronti degli Usa, potrebbe subire un’ulteriore frenata, con effetti a catena per l’export italiano.
VINO ITALIANO, LA DIVERSIFICAZIONE COME STRATEGIA
Un segnale positivo per il vino italiano nel 2024 arriva dalla diversificazione dei mercati. Mentre paesi consolidati come Germania, Svizzera e Norvegia registrano cali, emergono crescite a doppia cifra in destinazioni finora marginali come Austria, Irlanda, Brasile, Romania, Croazia e Thailandia. Questi mercati, pur rappresentando meno dell’1% dell’export complessivo, offrono nuove opportunità per i produttori italiani in un contesto sempre più complesso.
MERCATO INTERNO: VINO IN SOFFERENZA IN GDO
Sul fronte nazionale, il vino italiano continua a soffrire nel canale moderno (Gdo). Nonostante una leggera ripresa nel terzo trimestre, i primi nove mesi del 2024 si chiudono con un calo complessivo delle vendite in volume. Tutti i formati distributivi registrano contrazioni, con i vini fermi e frizzanti particolarmente penalizzati, soprattutto nell’e-commerce. Gli spumanti, al contrario, mantengono un trend positivo in tutti i canali di vendita. Tuttavia, il carovita spinge i consumatori verso prodotti più economici, favorendo gli spumanti generici a discapito delle etichette Dop, solitamente più costose.
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La Liguria è un’isola mancata. Una terra di contrasti e contraddizioni, stretta tra il mare e la montagna, capace di custodire i propri tesori gelosamente. Tra questi va annoverato il Granaccia. Un vitigno di grande tradizione, che dà vita a un vino rosso ancora poco conosciuto. Una “mosca bianca”, in una regione rinomata per vini come Vermentino e Pigato. Un’uva pirata dell’area mediterranea, la cui origine è contesa tra la Spagna (dove è nota come Garnacha) e la Francia (Grenache). Tra i due “litiganti”, la Liguria gode. E lo fa ancor più la Sardegna, dove ha assunto il famoso nome di Cannonau. La sua introduzione nella Repubblica di Genova, nel Settecento, si deve ad alcune famiglie di Quiliano, comune di 7 mila anime della provincia di Savona che, da quasi 20 anni, le rende omaggio con l’evento “Granaccia e Rossi di Liguria“.
Determinanti, all’epoca, i viaggi dei commercianti liguri nella penisola iberica, in cui divennero proprietari di terre e vigneti. Lì prelevarono il vitigno. Reimpiantandolo a Quiliano e nella Valle del Letimbro. È la rete di imprese Vite in Riviera presieduta da Enrico Massimo che ha celebrato il vitigno lo scorso 17 novembre, al Palasport di Quiliano. Un’iniziativa che ha visto, sotto lo stesso tetto, i produttori del Ponente e del Levante, uniti nella promozione dei rari esempi di vini rossi della Liguria, capitanati proprio dalla Granaccia. Ecco i migliori assaggi, suddivisi sulla base delle due interpretazioni del vitigno. La prima, più “leggera”, spensierata e beverina, capace di esaltare la componente fruttata con vinificazioni in acciaio e, in alcuni casi, parziali passaggi in legno; la seconda più “strutturata”, con ricorso al legno per favorire una maggiore complessità, rendendo il vino più corposo e adatto all’abbinamento a tavola.
MIGLIORI GRANACCIA DELLA LIGURIA: VERSIONE “LEGGERA”
Riviera Ligure di Ponente Dop Granaccia 2023 “San Giorgio”, Fontanacota di Berta Marina
Colline Savonesi Igt Granaccia 2023, Cascina Fèipu dei Massaretti
Tra i migliori vini degustati a Granaccia e Rossi di Liguria 2024 spiccano soprattutto le versioni “fresche”, non necessariamente d’annata corrente (la 2023), ma con vinificazione in solo acciaio. Il vitigno mostra così il suo volto più spensierato, che lo avvicina in maniera decisa a quelli che sono i gusti dei consumatori moderni: frutto al centro del sorso e tenori alcolici moderati. Non è un caso se alcune cantine liguri non propongano più la tipologia di Granaccia vinificata in legno. E il futuro sorride alla Granaccia, con giovani cantine che si cimentano per la prima volta con la varietà.
È il caso di Dell’Erba Azienda agricola di Albenga che, con Giulia Dell’Erba, fa parte della costellazione di vignaioli Fivi. Una cantina di cui si sentirà certamente parlare (bene) in futuro. Colpiscono poi alcune “gamme” decisamente complete, che includono entrambe le versioni di Granaccia: quella leggera e quella più complessa. Da provare, in quest’ottica, le linee di Innocenzo Turco, Poggio dei Gorleri/Cantine Sansteva e RoccaVinealis. Spazio anche per un consiglio d’assaggio fuoriprogramma: il Rossese di Campochiesa de La Vecchia Cantina, delizioso vino rosso ligure prodotto dall’omonima varietà che sta ormai scomparendo, custodita con amore e passione dalla famiglia Calleri.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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