«È stata una decisione sofferta, ma non più prorogabile». Così, in una nota stampa, le nove cantine che hanno deciso di uscire dal Consorzio Oltrepò. Una presa di posizione netta, che fa seguito alle dimissioni rassegnate da cinque consiglieri, nel corso del mese di luglio 2024; alcuni dei quali alla guida di cantine che hanno abbandonato l’ente di Torrazza Coste. Si tratta di Azienda agricola Luciano Brega, Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Losito e Guarini, Azienda agricola Maggi Francesco (Marco Maggi), Mondonico Azienda vitivinicola di Gilda Fugazza, Azienda agricola Orlandi Marco, Prago Vini e Spumanti (alias Azienda Agricola Prago Testori Giuseppe & Fratelli) e Società agricola Vercesi Nando e Maurizio. Insieme, le cantine rappresenterebbero il 27% dei voti dell’assemblea del Consorzio Tutela Vini Oltrepò. Quali sono le ragioni dell’abbandono?
NOVE CANTINE ESCONO DAL CONSORZIO VINI OLTREPÒ: ECCO PERCHÈ
«Siamo stati costretti a uscire dal Consorzio Oltrepò – spiegano nella nota le cantine dimissionarie – anche per non apparire corresponsabili di scelte da cui ci dissociamo radicalmente. Alcuni esempi sono le mancate attuazioni di delibere assembleari ad oggi completamente affossate, fatto di per sé già molto grave, che fanno presumere la volontà di non applicare la fascetta Ministeriale sulle Igt». Sul banco degli imputati anche la presunta «decisione del Consorzio di non procedere con il disciplinare della Docg, per il cambio del nome della nostra Denominazione». Un altro esempio? «Ormai da mesi – denunciano le nove cantine dissidenti – è stata azzerata la promozione su prodotti ritenuti “minori”, ma che in realtà sono quelli su cui oggi vive l’intero territorio».
«AZZERATA LA PROMOZIONE DI VINI CONSIDERATI MINORI»
Il tutto, sempre secondo il gruppo che rappresenta per lo più imbottigliatori, ma anche vinificatori, «senza minimamente preoccuparsi di uno dei caposaldi dei “Consorzi”, che prevede proporzionalità tra contributi versati e promozione delle singole denominazioni». Aggiungono le cantine uscite dal Consorzio Oltrepò: «Non ci sentiamo più rappresentati da un ente che sta inoltre cercando in tutti i modi di modificare lo Statuto che è stato da poco approvato da tutta la filiera, dopo un ampio confronto con Regione, con le Associazioni di Categoria e con i Tavoli delle Denominazioni, con lo scopo di accentrare i poteri decisionali al Cda a discapito dei soci (grandi e piccoli) e dell’intero territorio dell’Oltrepò Pavese».
«L’obiettivo di un Consorzio – concludono le aziende – dovrebbe essere quello di rappresentare, promuovere e tutelare tutto il territorio cercando coesione e dialogo con tutta la filiera. Condividendo un progetto concreto, ad oggi mai divulgato, e non quello di cercare dissennatamente di rimpiazzare aziende uscite con altre». Intanto, il cda guidato dalla presidente Francesca Seralvo non si nasconde e, in una nota, ha pressoché ringraziato le nove cantine per essere uscite. «Rafforzando la coesione» delle aziende rimaste e di quelle pronte a rientrare in Consorzio.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Per nove fuori, nove (o più) dentro. Per far quadrare i conti. E proseguire la promessa “conversione” dell’Oltrepò, da terra di grandi volumi, a terra di grandi vini. Si muove sottotraccia l’ennesima storia di rinascita della terra del vino più martoriata d’Italia. C’è voluta l’uscita dal Consorzio di nove cantine della categoria “imbottigliatori” e “vinificatori” per rendere pubblica la “controffensiva” delle piccole-medie cantine; le cosiddette “aziende di filiera“. Una decina sarebbero infatti intenzionate a rientrare nell’ente, portando quote utili a dare ossigeno al Cda guidato da Francesca Seralvo.
La battaglia si gioca sul terreno minato delle percentuali necessarie per esercitare l’erga omnes sulle denominazioni, senza il quale il Consorzio perderebbe una delle sue funzioni principali, pur potendo ancora “governare” legittimamente. «I calcoli ufficiali si faranno a giugno 2025», si è affrettato a precisare il consiglio di amministrazione dell’ente, nella sua (piccata) replica alle cantine uscite. L’ennesima dimostrazione che disegni, congetture, trattative e tentativi di persuasione siano già in corso, in un territorio che si appresta a vivere i primi mesi del 2025 come in una sala poker.
MATTIA GRAZIOLI A WINEMAG: ECCO PERCHÉ RIENTRO IN CONSORZIO
Secondo indiscrezioni, le aziende intenzionate a rientrare sarebbero Cantine Bertelegni, Vini Buscaglia, Corte Fabbri, Cantina Scuropasso / Roccapietra, Andrea Picchioni, Bisi, Vigne Olcru (l’azienda di Berlucchi Franciacorta in Oltrepò), Percivalle Vini Biologici e Bisio Devis. Non ancora ufficializzata, ma già dichiarata, anche l’intenzione dell’Azienda agricola Grazioli di frazione Poggiolo, a Montù Beccaria (Pavia). Raggiunto da Winemag, Mattia Grazioli spiega così la sua decisione: «Quello che succede da troppi anni in una terra baciata dal Signore per fare vino è quantomeno peculiare. Siamo figli di scelte di comodo, di scorciatoie, di occasioni. Siamo quelli che hanno una storia enorme da raccontare, ma non abbiamo la voglia di farlo. Siamo quelli dei controsensi, anche enologici. Oggi – continua il produttore – fare impresa agricola in Oltrepò non è sostenibile. Lo diventa solo se si vinifica e la competenza umana nobilita frutti prodotti con uno scopo sensato.
Non voglio giudicare il passato, anche perché vivendo di un altro lavoro (Mattia Grazioli è titolare di un’agenzia immobiliare, ndr) sono in una situazione di enorme privilegio. Quello che sta accadendo nel nostro territorio assomiglia un po’ a quello che accade nel settore automotive. È necessario un cambiamento ed una maggiore interazione tra modi di lavorare. Non ho nulla contro le aziende che hanno fatto la scelta di uscire da un Consorzio dal quale non faccio ancora ufficialmente parte. E capisco le motivazioni e le paure di colleghi che producono centinaia di migliaia di bottiglie: programmazione, investimenti, paure, calo dei consumi, marginalità, aumento dei costi, annate difficili».
«PER SALVARE L’OLTREPÒ SERVE PROGRAMMAZIONE»
Tutto questo, secondo Mattia Grazioli, «rende ancora più doloroso il cambiamento». «Ragionando sulle attività che possono portare benessere alla filiera – continua il produttore, che nel 2019 ha dato nuova linfa all’azienda famigliare – mi vengono in mente solo cose che possono essere messe in pratica da produttori medio piccoli, disposti a sacrificare tempo e lavoro nelle proprie aziende per lo sviluppo comune. Quello che serve oggi non sono le grandi vendite o i proclami di rinascita, ma pochi concetti, ben chiari ed una programmazione a medio termine che è quello di cui si sta discutendo ora in Consorzio. Ed è quello che assomiglia molto ai concetti originari di altre associazioni di cui faccio parte. Sarà dura, onerosa, piena di intoppi e potenziali errori – conclude Grazioli – ma non vedo altra strada da intraprendere».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È firmato dal Consiglio di amministrazione il comunicato con cui il Consorzio Vini Oltrepò commenta il recesso di nove cantine, avvenuto nelle scorse ore. Il passaggio più importante è sull’erga omnes: «Per quanto riguarda eventuali effetti sui requisiti di operatività erga omnes, precisiamo che ogni valutazione sarà effettuata, come sempre, in conformità alle richieste del Masaf alla fine dell’attuale incarico, previsto per giugno 2025. Eventuali riorganizzazioni saranno gestite con la massima trasparenza, in linea con il nostro impegno verso un modello virtuoso e inclusivo. Il progetto di rilancio del territorio, fondato su qualità, valore, trasparenza ed etica di filiera, non sarà in alcun modo condizionato da questi eventi».
CONSORZIO VINI OLTREPÒ: «NUMERO CANTINE ASSOCIATE È STABILE»
Il Cda precisa che l’uscita dal Consorzio «di alcuni imbottigliatori ed aziende non legate alla filiera integrata, non incide sulla solidità e la coesione del nostro progetto». «Alle 9 aziende che hanno presentato domanda di recesso – scrive il Consiglio di amministrazione – hanno corrisposto altrettante richieste di adesione, mantenendo stabile il numero di associati, che oggi raggiunge il livello più alto degli ultimi anni. Tali speculazioni risultano ancor più inopportune e fuori luogo, considerato che il territorio è finalmente unito attorno a un progetto di rinascita, condiviso da chi opera con reale interesse per il benessere collettivo». Ennesima porta chiusa, dunque, a chi chiede di cambiare. «Al contrario, le cantine uscite dal Consorzio hanno ulteriormente rafforzato la coesione tra le aziende che credono in un modello di filiera integrata e sostenibile, realmente impegnate a riportare l’Oltrepò Pavese al posto che merita.
IL CDA GUIDATO DA FRANCESCA SERVALVO: «INIZIO DI UNA NUOVA FASE PER IL TERRITORIO»
«Il Consorzio, il territorio e il Consiglio di Amministrazione – si legge infine nel comunicato dell’ente guidato da Francesca Seralvo – restano compatti nella promozione di una strategia unitaria, capace di superare le dissonanze che in passato hanno penalizzato il nostro potenziale. L’Oltrepò Pavese non può più permettersi di essere frammentato o incoerente: evolvere verso una value proposition chiara, semplice e sistemica è l’unica strada per garantire crescita e riconoscimento. Questo momento segna una discontinuità netta e rappresenta l’inizio di una nuova fase per il territorio. Il Consorzio è determinato a guidare il processo di rinascita con trasparenza e coerenza, a beneficio di una filiera forte, unita e proiettata verso un futuro di eccellenza condivisa».
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Sono veri e propri botti di fine anno quelli in corso al Consorzio Oltrepò pavese. Nove cantine hanno deciso recedere dall’ente guidato da marzo 2024 dalla presidente Francesca Seralvo e dal direttore Riccardo Binda. Le conseguenze sono gravissime. Il Consorzio Oltrepò pavese, secondo i calcoli dei dimissionari, avrebbe perso l’erga omnes su tutte le denominazioni tutelate tranne la Docg, ovvero il Metodo classico ottenuto in maggioranza da uve Pinot Nero. Addio quindi alla tutela di importanti Doc come Bonarda dell’Oltrepò pavese, Barbera, Riesling, Pinot Grigio, Croatina e Moscato, fondamentali per la stessa sussistenza della viticoltura alle porte di Pavia, già messa a grave rischio dal clima e dalla bassa reddittività per ettaro.
Il comunicato ufficiale delle nove aziende è atteso per domani. Ma circolano già i nomi dei dimissionari, confermati a Winemag dal responsabile di una cantine che hanno presentato ufficialmente il recesso al Consorzio. Si tratta di Azienda agricola Luciano Brega, Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Losito e Guarini, Azienda agricola Maggi Francesco (Marco Maggi), Mondonico Azienda vitivinicola di Gilda Fugazza, Azienda agricola Orlandi Marco, Prago Vini e Spumanti (alias Azienda Agricola Prago Testori Giuseppe & Fratelli), Società agricola Vercesi Nando e Maurizio.
CONSORZIO OLTREPÒ NEL CAOS: IL FRONTE IMBOTTIGLIATORI SI ALLARGA AI VINIFICATORI
Per alcune aziende, rappresentanti del mondo degli imbottigliatori, si tratta di un ulteriore passo contro l’attuale Consorzio, dopo le dimissioni dal Cda di luglio 2024. Sembra essersi defilato dal gruppo dei cinque imbottigliatori dimissionari solo Pierpaolo Vanzini, che – forse per strategia – ha deciso di non recedere dal Consorzio con la propria azienda, l’Azienda vitivinicola Vanzini. Non sorprende, invece, l’uscita di Gilda Fugazza, ex presidente del Consorzio tutela Vini Oltrepò pavese, silurata dalla base dell’ente proprio in occasione delle elezioni di marzo 2024, insieme al direttore Carlo Veronese. Nel gruppo di aziende che hanno comunicato il recesso, a sorpresa, anche la Maggi Francesco guidata oggi dall’ex presidente del Consorzio Club del Buttafuoco Storico, Marco Maggi. Il fronte degli imbottigliatori si è dunque definitivamente allargato ad aziende che rappresentano la categoria vinificatori.
ERGA OMNES: COS’È E COSA RISCHIA CONSORZIO OLTREPÒ CON USCITA NOVE CANTINE
Se in occasione delle dimissioni degli imbottigliatori la presidente Francesco Seralvo aveva risposto a muso duro, procedendo alla surroga dei dimissionari con altrettanti nuovi consiglieri, la recente uscita delle nove aziende potrebbe avere conseguenze sull’intero corso del mandato. Per garantire l’erga omnes, funzione principale dei Consorzi del vino italiano secondo l’ordinamento, l’ente deve dimostrare di rappresentare una quota minima della produzione pari ad almeno il 40/66% – a seconda dei casi specifici – dei viticoltori, vinificatori e imbottigliatori coinvolti nelle singole denominazioni.
Nel dettaglio, l’erga omnes dei Consorzi del vino italiano è un principio giuridico introdotto per rafforzare il ruolo dei Consorzi nella tutela e promozione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini italiani Doc, Docg e Igt. Si traduce dal latino come “nei confronti di tutti” e si riferisce alla capacità di un consorzio di estendere alcune delle sue attività e decisioni non solo ai propri membri, ma anche a tutti i produttori che operano nell’ambito della denominazione protetta.
Attraverso il principio erga omnes, i consorzi riconosciuti dal Ministero, come quello dell’Oltrepò pavese, possono applicare determinate decisioni e regolamenti (previsti dalla legge) a tutti i produttori di quella denominazione, anche se non sono membri del consorzio. È una deroga al principio di libertà associativa, disciplinata dal Decreto Legislativo n. 61/2010 e successive modifiche. Il riconoscimento del principio erga omnes avviene previa verifica da parte del Ministero dell’Agricoltura (MASAF), che assicura che il consorzio rappresenti una quota significativa della filiera produttiva della denominazione.
OLTREPÒ PAVESE: QUALI CONSEGUENZE CON EVENTUALE PERDITA DELL’ERGA OMNES?
Con l’eventuale perdita dell’erga omnes, il Consorzio Vini Oltrepò pavese perderebbe non solo la propria funzione di tutela e promozione delle denominazioni, ma non potrà più proporre modifiche ai disciplinari e gestire eventuali regolamenti produttivi. Per garantire la competitività e l’unità del settore, è cruciale che il Consorzio guidato da Francesca Seralvo cerchi di recuperare il riconoscimento o trovi nuove strategie per collaborare con tutti i produttori, associati e non.Senza l’erga omnes, il consorzio rappresenterà solo i suoi associati. Questo limita la capacità di coordinare e gestire le politiche produttive e promozionali per l’intera denominazione.
Ma c’è di più. Solo gli associati sarebbero tenuti a contribuire economicamente alla sussistenza del Consorzio, versando la propria quota annuale di “iscrizione”. Questo ridurrebbe le risorse finanziarie dell’ente, limitando le attività di promozione, tutela e controllo dei vini dell’Oltrepò pavese. Ricadute gravissime graverebbero anche sul fronte dell’anti-contraffazione, con la tutela delle denominazioni che hanno perso l’erga omnes consortile affidata esclusivamente ad organi pubblici come l’Icqrf. Non è da escludere, dunque, che il recesso delle nove aziende possa portare a nuove elezioni al Consorzio Vini Oltrepò pavese nel 2025. Al tempo stesso, il Consorzio potrebbe decidere di proseguire senza erga omnes. Allargando la platea degli associati a nuove cantine.
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Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Südtirol Alto Adige Doc Gewurztraminer Passito 2021 “Cresta”, Rottensteiner (10%).
Fiore: 9 Frutto: 9.5 Spezie, erbe: 8.5 Freschezza: 8.5 Sapidità: 7 Tannino: 0 Percezione alcolica: 5.5 Armonia complessiva: 10 Facilità di beva: 8.5 A tavola: 9.5 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Recioto della Valpolicella Docg 2020, Mizzon (14%).
Fiore: 8.5 Frutto: 9 Spezie, erbe: 8 Freschezza: 8.5 Sapidità: 6 Tannino: 5.5 Percezione alcolica: 6 Armonia complessiva: 9 Facilità di beva: 8.5 A tavola: 9.5 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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Dramma, mistero, avventura e… vino. Netflix celebra il nettare di Bacco in una delle serie di maggiore successo di questo 2024. Un dettaglio che fa notizia, visto il trattamento non sempre positivo dell’argomento “alcol” da parte del colosso californiano, che lo accosta spesso a casi di abuso e malessere psicologico. La serie tv in questione è La Palma, disaster series ambientata sull’omonima isola delle Canarie. In una delle scene più struggenti, poco prima che un terribile tsunami devasti l’intero arcipelago, in seguito a un terremoto, i sismologi operanti nel centro di ricerca dell’isola si concedono un calice di gran pregio. Il vino scelto dagli sceneggiatori Harald Rosenløw Eeg e Lars Gudmestad, diretti dal regista Kasper Barfoed, è Pingus. Un 100% Tempranillo prodotto in Ribera del Duero dal vignaiolo danese Peter Sisseck (Dominio de Pingus) . Non a caso, uno dei vini spagnoli più famosi, iconici, costosi e ricercati al mondo.
PINGUS DI DOMINIO DE PINGUS
È il minuto 24.30 del terzo episodio, il penultimo della serie La Palma. Álvaro, capo dell’osservatorio sismico (interpretato da Jorge de Juan) ha deciso da qualche ora di congedare tutti i colleghi, per consentire loro di salvarsi, fuggendo dall’isola. L’unico a non aver seguito gli ordini è Haki, un altro ricercatore dall’aspetto burbero ma dal cuore gentile (ad interpretarlo è l’attore islandese Ólafur Darri Ólafsson, già noto per i suoi ruoli ne Il GGG – Il grande gigante gentile di Steven Spielberg, Zoolander 2 di Ben Stiller e Animali fantastici – I crimini di Grindelwald di David Yates). «La montagna si sta muovendo. Ho appena chiesto al governo di diffondere l’allarme per l’evacuazione. Non c’è nient’altro che io possa fare», spiega Álvaro ad Haki, seduto nel proprio ufficio, versandosi un altro calice di Pingus.
«Le persone hanno sempre bisogno di un’occasione speciale per aprire una bottiglia di vino pregiato. Ma non capiscono che la bottiglia è l’occasione», continua il manager del centro sismico. Haki, ormai convinto a condividere gli ultimi istanti di vita con Álvaro, si procura a sua volta un bicchiere: «Ho fatto i miei calcoli, non ci sono abbastanza navi per tutti per fuggire da La Palma a Tenerife. Cosa stiamo bevendo?». Arriva così il momento in cui viene presentato Pingus 2013, che Álvaro ha ricevuto in regalo per il 60esimo compleanno. «Questa è la peggior birra che abbia mai provato!», scherza Haki.
L’ULTIMO VINO DI LA PALMA, LA MINISERIE DI NETFLIX
Non è finita qui. Al minuto 9.15 della puntata finale, il vino spagnolo torna protagonista. I due sismologi, indossata una tuta ignifuga, decidono di avventurarsi sino alla bocca del cratere del vulcano in eruzione. Una scelta drammatica, compiuta per morire in servizio, “sul campo”, al posto che in ufficio. Pochi secondi prima di sprofondare nella lava, inghiottiti dall’ennesima crepa causata dal terremoto, Haki estrae dalla tuta Pingus. «Era un vino buonissimo! Io amo la birra, ma dobbiamo finire la bottiglia». Álvaro, sorpreso, non se lo lascia dire due volte. I due scompaiono godendosi l’ultimo sorso del pregiato vino della Ribera del Duero.
Il nettare di Bacco come ultimo piacere genuino, in una serie tv in cui Netflix racconta molto più di un’immaginaria catastrofe sull’isola delle Canarie. La Palma si chiude infatti con un inno alla natura e alla necessità di rispettare l’ambiente, gli ecosistemi. Il pianeta. L’ultima scena della miniserie mostra il branco di tartarughe marine che, nei giorni precedenti lo tsunami, avevano iniziato ad abbandonare La Palma: «Sono animali più vecchi dei dinosauri. Hanno un’esperienza della Terra più lunga della nostra. Se vogliamo sopravvive quanto loro, dobbiamo imparare ad ascoltare la natura».
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Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Cinque Terre Dop Sciacchetrà 2019, Azienda agricola Possa (12,5%)
Fiore: 9 Frutto: 8.5 Spezie, erbe: 9 Freschezza: 8 Sapidità: 7.5 Tannino: 0 Percezione alcolica: 5.5 Armonia complessiva: 8.5 Facilità di beva: 8 A tavola: 9 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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Più vino spagnolo sfuso in Germania e Italia nei primi 10 mesi del 2024. Mese di ottobre positivo in valore per l’export di vino spagnolo (+9,7%), ma negativo in volume (-3%), fino a 303,2 milioni di euro (+26,7 milioni di euro) e 168,9 milioni di litri (-5 milioni di litri). Le esportazioni spagnole di vino sono aumentate in valore (+2,4%) e diminuite in volume (-4,5%), a 2.464,5 milioni di euro (+58,4 milioni) e 1.617,5 milioni di litri (-76 milioni). In valore sono diminuiti solo i vini liquorosi (-10%), mentre in volume sono aumentate solo le esportazioni di vini Bag in box (+6%).
PIÙ VINO SFUSO SPAGNOLO IN GERMANI E ITALIA
Interessanti anche gli insight diffusi dall’Osservatorio spagnolo del mercato del vino. Nel caso del vino sfuso, la Germania – uno dei mercati top per l’Italia – supera la Francia (+15,9 milioni di litri). E diventa così la prima destinazione del vino sfuso spagnolo, sia in valore che in volume. Spicca l’aumento registrato dall’Italia (+49,5 milioni di litri) e il calo dal Portogallo (-50,5 milioni di litri). Nel caso del vino confezionato, gli Stati Uniti sono la prima destinazione in valore (+2,7%) e il Regno Unito è il primo in volume (-0,2%).
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Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Toscana Igt 2021 Franchesato, Terre del Marchesato (14%).
Fiore: 8 Frutto: 9 Spezie, erbe: 9.5 Freschezza: 8.5 Tannino: 7.5 Sapidità: 7.5 Percezione alcolica: 5.5 Armonia complessiva: 9.5 Facilità di beva: 7 A tavola: 9.5 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Brunello di Montalcino Docg 2019, Pietroso (14,5%).
Fiore: 9 Frutto: 9.5 Spezie, erbe: 9 Freschezza: 8 Tannino: 8 Sapidità: 8 Percezione alcolica: 5 Armonia complessiva: 8.5 Facilità di beva: 7.5 A tavola: 10 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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Dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2025 di Winemag: Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva 2011 Destinée, Rubinelli Vajol (16%).
Fiore: 9 Frutto: 9.5 Spezie, erbe: 9 Freschezza: 8 Tannino: 7 Sapidità: 7.5 Percezione alcolica: 6.5 Armonia complessiva: 10 Facilità di beva: 9 A tavola: 10 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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EDITORIALE – Ha fatto scalpore l’ultima “inchiesta giornalistica” di Report, andata in onda il 22 dicembre. La trasmissione di Rai Tre è tornata a parlare di vino, a distanza di quasi un anno dalla puntata del 19 dicembre 2023, a cui fece seguito il “sequel” del febbraio 2024. Buona la terza? Neppure per idea. Report ha riproposto l’ennesimo pessimo servizio pubblico, mescolando sapientemente qualunquismo e noia mortale. Nel servizio “Vino su misura“, il duo Bellano-Ranucci getta il solito sasso nello stagno. Arrivando sì a circostanziare – come mai fatto prima – le presunte accuse. Ma compiendo il consueto errore – innanzitutto giornalistico! – di generalizzare e rendere il “mezzo gaudio”, mal comune. E se fosse proprio questo il punto? Se fosse questo lo scopo di una tv nazionale che dimostra di essere sempre più allo sbaraglio e in balia delle correnti? Quello che non abbiamo ancora capito di Report, ma che risulta piuttosto evidente a bocce ferme, è che l’interesse reale non è fare informazione o inchiesta, ma portare l’acqua al mulino di una retorica che Report non ha certo inventato, in cui il programma di Rai Tre si è “ficcato” a pieni polmoni. Sin dal dicembre 2023.
REPORT E LA RETORICA DEGLI ULTRA VINNATURISTI
Fateci caso. Tutto inizia con l’attacco alle Docg. Si prosegue con la ghigliottina di imbottigliatori ed enologi, definiti “piccoli chimici”. E il sipario, per ora, si chiude su Bolgheri, Sassicaia, Chianti Classico e Ornellaia. Report non ha alcuna intenzione di informare i telespettatori o di renderli più consapevoli nelle scelte. Lo scopo di Bellano e Ranucci è bruciare in piazza le Cattedrali del vino cosiddetto convenzionale. Un po’ come fece Martin Lutero nel dicembre 1520, con la bolla papale che ne annunciava la scomunica.
La retorica a cui si è accodato Report è quella degli ultra vinnaturisti. Di quelli che, da anni, provano a fare proseliti dichiarando la superiorità dei lieviti indigeni sui lieviti selezionati; delle fermentazioni spontanee su quelle controllate; dei corni di vacche vergini sul biologico certificato. Facile immaginare Bellano e Ranucci brindare più alle polemiche generate dal servizio all’interno del settore che ai risultati dell’audience. Col calice colmo d’un vino pieno di difetti spacciati per terroir, nel nome della Madonna del Brett. Maledicendo Cotarella e compagnia bella.
MA L’ULTIMA PUNTATA DI REPORT NON È TUTTA DA BUTTARE
Detto ciò, banalizzare la terza “sparata” del programma, mettendo sotto al tappetto i documenti forniti dalla fonte anonima, equivarrebbe a trattare il caso con la medesima superficialità degli autori del programma. Nella puntata del 22 dicembre, Report attacca una zona e una denominazione (Bolgheri) che nel 2019 ha messo nero su bianco la propria decisione di crescere, nel nome del mercato. I produttori, riuniti in Consorzio, l’hanno definita poeticamente «terza era»: quella in cui diversi ettari storicamente rivendicati Toscana Igt sono stati “tramutati” in Doc, senza ricorso alle consuete graduatorie. Il motivo? Consentire di aumentare la produzione di Bolgheri – ovvero il numero di bottiglie – per sostenere il positivo trend biennale dell’aumento dei prezzi in Horeca (+10% dal 2017 al 2019) e la crescita nella grande distribuzione organizzata (il mondo dei supermercati) pari al 19% in cinque anni (2015-2019).
Il tutto, a 25 anni esatti dal riconoscimento ufficiale della denominazione di origine controllata. Rai Tre scoperchia poi l’annoso tema della “vendita della carta”, che si trasforma in vino Doc e Docg, trasportato in cisterna lungo la rete autostradale italiana, generalmente da sud a nord. Problematiche che tutti, nel settore, conoscono. E alle quali, forse, sarebbe l’ora di trovare una soluzione drastica, definitiva. Semplificando normative e rendendo più agile, per i consumatori, il concetto stesso di vino, oggi assassinato quotidianamente da troppe ed inutili denominazioni di origine, indicazioni geografiche (vere o «presunte») e cantori al soldo delle cantine e dei distributori.
Una rivoluzione necessaria ad evitare che il manipolo di incendiari che considera Report una manna diventi un esercito, capace di allontanare anche gli ultimi bevitori da un settore che avrà pure tanti scheletri nell’armadio, ma che è anche – e soprattutto – qualità da raccontare e promuovere. In sintesi? Lasciamo pure che i preti vadano a processo. Ma salviamo la Cattedrali dal rogo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
In tempi di crisi per il vino, Jack Daniel’s, marchio storico nel mondo dei distillati, e Comehome, piattaforma che offre esperienze sociali e immersive, con un focus sulla creazione di momenti personalizzati, annunciano la loro partnership per il lancio di “Apple Hour“. Un nuovo format che reinterpreta l’esperienza dell’aperitivo, mostrando per l’ennesima volta quanto il segmento dei distillati riesca ad arrivare al cuore dei consumatori senza iperboli e inutile ricorso a ridondante storytelling. Un evento esclusivo, che si concentra sulla socialità autentica e sulla scoperta di Jack Daniel’s Tennessee Apple, prodotto che unisce il carattere iconico del Jack Daniel’s con un tocco fruttato di mela verde.
La partnership nasce dalla volontà condivisa di entrambe le aziende di «offrire esperienze che combinino intrattenimento di qualità e prodotti premium». Occasioni di consumo immersive e originali per il pubblico adulto e socialmente attivo. «Con “Apple Hour”- spiega Michele Cesario, Ceo di Comehome – siamo entusiasti di offrire una nuova dimensione all’aperitivo, mettendo al centro il piacere della convivialità e la qualità dei prodotti. La nostra collaborazione con Jack Daniel’s segna un passo importante nel rafforzare il nostro posizionamento come piattaforma di esperienze esclusive. L’accordo permettere al brand di arrivare a un pubblico ampio, ma selezionato, che apprezza sia il gusto che il divertimento».
APPLE HOUR: IL NUOVO APERITIVO
L’obiettivo di “Apple Hour” è duplice. Nel breve termine, aumentare la visibilità di Jack Daniel’s Tennessee Apple, creando una connessione forte con il rituale dell’aperitivo. Comehome mette a disposizione la propria piattaforma, i Super Host e la community per creare un’esperienza coinvolgente. A lungo termine, la partnership mira a consolidare il posizionamento di Comehome come punto di riferimento per esperienze sociali di alta qualità, ampliando il proprio network di brand partner. Una collaborazione che attesta come l’esperienza di consumo non sia solo una degustazione, ma un vero e proprio momento di socializzazione e divertimento.
UN’ESPERIENZA TRA SOCIALITÀ, INNOVAZIONE E GUSTI UNICI
Il cuore pulsante della collaborazione è il format “Apple Hour,” che prevede una serie di eventi esclusivi organizzati da Comehome in cui i partecipanti potranno scoprire il nuovo Jack Daniel’s Tennessee Apple in un contesto di intrattenimento e socialità. Ogni evento offrirà un’esperienza unica, combinando la degustazione del prodotto con attività coinvolgenti e la possibilità di interagire con la community. I risultati attesi sono ambiziosi. La creazione di un evento di successo che attragga una clientela appassionata di nuove esperienze. E il consolidamento di una partnership. Collaborazione che, nel tempo, diventi sinonimo di qualità e innovazione nel panorama delle esperienze di consumo.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
E se l’export dei vini francesi fosse più dipendente dallo Champagne di quello dei vini italiani, rispetto al Prosecco? È quanto emerge da un’analisi compiuta dal responsabile Nomisma Wine Monitor,Denis Pantini, nel rispondere a una richiesta di Winemag. «Il Prosecco spumante, escluso cioè quello “frizzante”, per il quale non si riesce ad avere un dato analogo di export – spiega – è passato dal 16% al 23% del valore totale dell’export di vino imbottigliato italiano (dal 2018 al 2023). Anche nei primi 9 mesi del 2024 l’incidenza è la stessa. In “soldoni” si tratta di 1,7 miliardi di euro (2023) e 1,3 miliardi per i nove mesi del 2024».
19 BOTTIGLIE DI VINO ITALIANO OGNI 100 SONO DI PROSECCO
A volume si può dire che 19 bottiglie ogni 100 di vino esportate dall’Italia nel 2024 sono di Prosecco. Interessante però il confronto con gli altri Paesi, come la Francia. «Se prendiamo lo Champagne – continua Denis Pantini – il peso è passato dal 32% al 36%, sempre sul valore dell’export francese di vino imbottigliato. Nel 2024, come risaputo, non sta andando bene e infatti l’incidenza è scesa al 33%. Tuttavia, salta agli occhi il fatto che la Francia, senza Champagne, esprime un valore dell’export totale che diventa lo stesso dell’Italia». Tradotto: «È innegabile il contributo del Prosecco all’export italiano, anche perché spesso ci fa da “ariete” per tutti i vini italiani nell’ingresso in nuovi mercati – conclude il responsabile di Nomisma Wine Monitor – ma è la Francia ad essere maggiormente “sparkling dipendente”, per il proprio export vinicolo».
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EDITORIALE – Il Syrah del Marocco che sta strabiliando mezzo mondo è Tandem di Caves Thalvin – Domaine Des Ouled Thaleb. Un vino nato dall’incontro casuale, oggi divenuto leggenda, tra Alain Graillot e Jacques Poulain. Alain Graillot, vignaiolo della Côtes du Rhône noto per i suoi eccellenti Syrah Crozes-Hermitage, racconta che stava girando in bicicletta in Marocco quando ha incontrato il proprietario di Caves Thalvin, che gli ha presentato il suo enologo (anch’egli francese) Jacques Poulain. Thalvin è la più antica cantina marocchina, fondata nel 1923 presso Domaine Ouled Thaleb a Benslimane, nella regione di Casablanca-Settat. Ne è nato un vino, Tandem, che celebra la nuova strada comune – più in vigna, che in sella ad una bici – intrapresa da Graillot e Poulain. Due professionisti uniti dal destino, lontano dalla patria natia.
IL SYRAH CHE NON TI ASPETTI: TANDEM DAL MAROCCO
Casablanca, capitale economica del Paese africano, si trova a soli 50 chilometri dal luogo in cui nasce il Syrah Tandem. Un vino marocchino che potrebbe ingannare chiunque, in una degustazione alla cieca. La retro etichetta di questo nettare prodotto nel rispetto del disciplinare dell’Aog Zenata – tra le più note regioni vinicole del Marocco – non mente: freschezza, lunghezza ed equilibrio sono le tre migliori parole per descriverlo. Sbaglia chi immagina un Syrah potente, carico, scuro. Tandem di Caves Thalvin – Domaine Des Ouled Thaleb è piuttosto un vino gioioso, succoso, goloso, di soli 12,5% d’alcol in volume. Ma per nulla banale. Ricco, anzi, di sfumature di piccoli frutti rossi e neri, giustamente maturi. Esaltati da una vinificazione sapiente: 50% in cemento, 50% in botti di legno usate.
DOVE ACQUISTARE IL SYRAH TANDEM AOG ZENATA DI THALVIN
Non un singolo accenno alla confettura, o una nota “sbrodolata”, fuori posto. Finale persin sapido, fresco come l’ingresso, capace di invitare al sorso successivo. Tutto, dal naso al centro del palato, sino al retro olfattivo, porta a immaginare uve cresciute a loro perfetto agio sui terreni scuri, argilloso-marnosi, che nel dialetto locale vengono definiti Tirss. Il vigneto da cui prende vita il Syrah Tandem di Thalvin si trova sulle colline della cittadina di Rommani (الرماني), tra Casablanca e Meknes. Nella parte più continentale della regione di Rabat. Abbastanza per iniziare a inserire il Marocco sulla mappa geografica del vino internazionale. Per farsi un’idea, provare il Syrah Tandem è d’obbligo. Dove acquistarlo? In questo momento, il sito più conveniente è l’e-commerce francese Vinatis, che lo propone a 17,84 euro ogni due bottiglie. Cheers!
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Si è conclusa la IV edizione del Xmas Beers, il concorso inserito nella galassia di Birra dell’Anno e organizzato da Unionbirrai, l’associazione di categoria dei piccoli birrifici artigianali indipendenti. In linea con una lunga tradizione europea dove, le birre dedicate al Natale esistono da tempo per allietare le feste, anche l’Italia brassicola celebra queste speciali produzioni artigianali. A trionfare è stata la Primatia del birrificio pugliese Birranova di Triggianello (BA), seguita al secondo posto dalla Guastafeste di Mukkeler, birrificio marchigiano di Porto Sant’Elpidio (FM) mentre sul gradino più basso del podio si è piazzata la Druwid di Birra Rabèl, di Ivrea (TO).
«Le birre natalizie italiane – spiega Simone Monetti, direttore generale di Unionbirrai – richiamano la ricchezza e l’abbondanza delle festività e nei sentori ricordano i dolci tipici del periodo. Non sono riconducibili ad un singolo stile ma hanno alcuni elementi in comune. Si tratta di edizioni limitate, generalmente corpose e dai sapori forti e spesso speziati, dalla colorazione che va dall’ambrato allo scuro e dalle note aromatiche complesse». La giuria delle degustazioni finali della IV edizione del concorso BdA Xmas Beers era composta da Simonmattia Riva, Stefano Moraschini, Sara Anfossi, Luca Casati, Giuseppe Lio, Simone Uras, con il supporto di Mary Carabelli e Sandro Piergiovanni.
SCHEDE TECNICHE BIRRE VINCITRICI
Primatia, Birrificio Birranova
Gradi plato 19 ABV 9 Colore Ebc 50 Ibu 20 Stile Dubbel Fermentazione Alta Spezie: cotto di fichi
Guastafeste, Birrificio Mukkeler
Gradi plato 20,5 ABV 10 Colore Ebc 41 Ibu 38 Stile Belgian Dark Fermentazione Alta Spezie: zenzero, buccia d’arancia amara, coriandolo e grani del paradiso
Druwid, Birra Rabèl
Gradi plato 16 ABV 7,1 Colore Ebc 45 Ibu 30 Stile Cat. 31 Fermentazione Alta Spezie: cannella, zenzero, pepe lungo indonesiano, fava tonka
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Asolo Prosecco da record: nel 2024 sono state certificate 30 milioni di bottiglie. Le stime sono del Consorzio Vini Asolo Montello, che tutela la denominazione. Un risultato che non è solo una pietra miliare numerica, ma rappresenta anche un significativo progresso qualitativo per una denominazione che sta acquisendo sempre più valore nel panorama enologico internazionale. «Siamo orgogliosi del traguardo raggiunto – afferma il presidente del Consorzio, Michele Noal -. La dedizione delle aziende ha permesso all’Asolo Prosecco di conquistare l’attenzione della critica nazionale e internazionale, che ha riconosciuto il valore del prodotto con ottimi punteggi. Questo successo è frutto di strategie di promozione e investimenti mirati sulla qualità e sul territorio».
STATI UNITI PRINICPALE MERCATO DELL’ASOLO PROSECCO
Uno dei pilastri del successo è il consolidamento sui mercati esteri. Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato d’esportazione, ma si registra un crescente interesse in Asia, in particolare in Giappone. «I nostri vini – continua Noal – Raccontano al mondo un luogo unico, un territorio di cui siamo fieri ambasciatori. Attraverso il calice abbiamo la possibilità di far conoscere il borgo di Asolo e il suo fascino, le meravigliose colline che lo circondano e le eccellenze enogastronomiche dei nostri luoghi. Sono le terre del Canova e del Palladio, nell’Abbazia di S. Eustachio Giovanni Della Casa scrisse il Galateo. Qui nascono anche i vini rossi del Montello e la Recantina, varietà coltivata localmente da secoli e salvata dall’estinzione grazie a un lungo lavoro di ricerca»
IL FUTURO DELL’ASOLO PROSECCO
Il 2024 sarà ricordato come l’anno del record di 30 milioni di bottiglie di Asolo Prosecco. Ma è stato anche un anno di cambiamenti interni per il Consorzio, con il rinnovo delle cariche istituzionali e la creazione di tre Commissioni dedicate a temi agronomici, tecnico-giuridici e promozionali. Con uno sguardo fiducioso al 2025, il Consorzio annuncia una partecipazione strategica ai principali eventi di settore: Vinitaly, Vinexpo, ProWein. Confermato il ritorno negli Stati Uniti. Non meno importante sarà l’intensificazione delle attività di tutela internazionale delle denominazioni. Infine, previste iniziative di formazione degli operatori enogastronomici e turistici. «Vogliamo agire con sempre maggiore incisività nella vigilanza e nella protezione – annuncia il presidente Noal – rafforzando il valore della nostra denominazione nel panorama mondiale».
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L’Italia segna un passo importante nel settore vinicolo con l’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni sul decreto dealcolati firmata dal Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Questo provvedimento, accolto con entusiasmo dalle principali organizzazioni cooperative agroalimentari, posiziona il nostro Paese in linea con i principali competitor internazionali in un segmento di mercato in forte crescita. Le organizzazioni Agci Agrital, Confcooperative FedagriPesca e Legacoop Agroalimentare, componenti dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, hanno sottolineato l’importanza del decreto: «Grazie a questa normativa, le cantine italiane potranno finalmente produrre vini dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati, cogliendo opportunità in un mercato in evoluzione».
VINI DEALCOLATI, «OPPORTUNITÀ STRATEGICA PER IL SETTORE»
L’Alleanza delle Cooperative Italiane ha giocato un ruolo chiave nella definizione del decreto, contribuendo con proposte mirate che hanno trovato spazio nel testo finale. Secondo le centrali cooperative, l’introduzione di questa nuova categoria di prodotto non rappresenta una minaccia per i vini tradizionali, ma piuttosto un’opportunità per ampliare l’offerta e attrarre nuovi consumatori. «I vini dealcolati e parzialmente dealcolati – spiegano le coop – saranno una scelta complementare, capace di intercettare un pubblico che, per vari motivi, non consuma vino tradizionale. Questo segmento potrebbe essere la porta d’ingresso per nuovi appassionati del mondo del vino».
TREND DI CREACITA PER IL VINO DEALCOLATO
Il mercato dei vini dealcolizzati sta vivendo un’espansione significativa a livello globale. Secondo i dati di settore, la crescente domanda di bevande a basso contenuto alcolico o analcoliche è trainata da nuove abitudini di consumo. Salute, benessere e moderazione sono tendenze sempre più centrali, soprattutto tra i giovani e le fasce di consumatori attenti a uno stile di vita sano. L’apertura al segmento dei vini dealcolati permette alle cantine italiane di inserirsi in questa dinamica, mantenendo alta la qualità e l’autenticità che caratterizzano il nostro Made in Italy. Paesi come Francia, Spagna e Germania hanno già sviluppato una solida presenza in questo comparto, dimostrando che l’innovazione può convivere con la tradizione.
«VINI DEALCOLATI PER LA COMPETITIVITIÀ DELLE CANTINE»
Per le cooperative agroalimentari è fondamentale che il Sistema Vino nazionale possa operare con le stesse condizioni dei principali competitor esteri. Il decreto fornisce una base normativa chiara e strumenti operativi che consentiranno alle cantine italiane di sperimentare e produrre questa nuova tipologia di vini, offrendo loro la possibilità di esplorare mercati esteri e nuove fasce di consumatori. «Non possiamo ignorare il cambiamento delle modalità di consumo», ribadiscono le organizzazioni. «Il settore produttivo deve essere in grado di rispondere alle nuove richieste dei consumatori e di mantenere la competitività a livello internazionale».
IL FUTURO DEL VINO ITALIANO È LEGATO AI DEALCOATI?
L’approvazione del decreto sui vini dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati segna un passo importante verso l’innovazione del settore vinicolo italiano. La sfida ora è coniugare due parole troppo spesso abusate, specie nel loro accostamento – “tradizione” e “innovazione” -garantendo che questa nuova categoria di prodotti rispetti gli elevati standard qualitativi che da sempre contraddistinguono il vino italiano. La capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato e di anticipare le tendenze rappresenta un elemento chiave per il futuro del settore. I vini dealcolati, lungi dall’essere una minaccia, si propongono come un alleato strategico per consolidare il ruolo dell’Italia nel panorama enologico globale. Del resto, spesso, tante cose cambiano a seconda di dove (e come) le si guarda.
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Di recente, per puro caso, ci siamo imbattuti in una bottiglia di Moscato d’Asti Docg il Viaggiator Goloso della vendemmia 2015, in stato di forma eccezionale. La bottiglia è stata aperta in questi giorni. Quindi a fine 2024, ovvero a 10 anni dalla vendemmia riportata sull’etichetta. Una conferma dell’eccezionale capacità di invecchiamento del Moscato Bianco piemontese. Al momento dell’apertura della bottiglia, era ancora presente una vivace “bollicina”, insieme alle tipiche note floreali e fruttate del vitigno (acacia, glicine, sambuco, arancio), con retrogusto di salvia e bergamotto. Le note del Moscato d’Asti Docg il Viaggiator Goloso 2015, nel 2024, si sono fatte ancora più concentrate, ricordando per certi versi un ottimo – e molto più costoso – passito. Ecco perché vi consigliamo andare all’Iper La grande i, all’Unes o nei negozi il Viaggiator Goloso – a comprare almeno un cartone di questo vino! Il suggerimento è di far “saltare” qualche tappo per le Feste di Natale 2024 e Capodanno 2025. Ma l’invito è soprattutto quello di tenere da parte per qualche anno delle bottiglie di Moscato d’Asti Docg il Viaggiator Goloso, per godere della straordinaria evoluzione che può avere questo vino, decisamente poco costoso per quello che può regalare.
il VIAGGIATOR GOLOSO
Brand Premium del Gruppo Finiper Canova, il Viaggiator Goloso è nato nel 1999 evolvendosi da Private Label a love brand fino a insegna vera e propria, confermando la propria identità di simbolo di eccellenza gastronomica. L’assortimento dei suoi prodotti, compresa l’intera gamma dei vini, come spiega a Vinialsuper l’insegna, rappresenta «la perfetta combinazione di tradizione e qualità». Quello de il Viaggiator Goloso è, infatti, «un viaggio continuo alla ricerca delle specialità provenienti da produttori accuratamente selezionati, per offrire gusti unici che conquistano il palato a un prezzo accessibile.
Il Viaggiator Goloso consente di esplorare una buona gamma di vini italiani, ognuno con le sue caratteristiche specifiche. La linea dei vini, infatti, comprende oggi 10 referenze, fra Moscati, Franciacorta (Brut e Satén) e Prosecco (Doc, Docg e Cartizze). Per fornire una gamma di prodotti che include solo «vini capaci di regalare esperienze sensoriali uniche», il Viaggiator Goloso seleziona i produttori con cui collabora tramite «un processo rigoroso che garantisce la qualità e l’autenticità dei vini proposti».
MOSCATO D’ASTI DOCG il VIAGGIATOR GOLOSO
Per il Moscato d’Asti Docg, come spiega a Vinialsuper il Gruppo Finiper Canova, l’azienda vinicola è stata «accuratamente selezionata per le sue lavorazioni e i suoi processi certificati, anche in termini di sostenibilità». Si tratta dell’azienda Sovipi della famiglia Lovisolo, che produce vino in Piemonte dagli inizi del Novecento. Per l’esattezza, la cantina si trova a Calamandrana, in provincia di Asti, patria del Moscato. Lo stesso fornitore produce per il Viaggiator Goloso anche il Moscato Spumante, nella versione da 750 e 375 ml.
LA GAMMA DI VINI il VIAGGIATOR GOLOSO
Franciacorta Satén Docg Vg 75cl
Franciacorta Brut Bio Vg 75cl
Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg Vg 75cl
Prosecco Doc Treviso Vg 75cl
Prosecco Doc Vg 20cl X2
Valdobbiadene Superiore di Cartizze Docg Vg 75cl
Prosecco Superiore di Valdobbiadene Docg Vg 37,5cl
Moscato D’asti Docg Vg
Moscato Vsq Dolce Aromatico Vg 75cl
Moscato Spumante Vg 37,5cl
QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA GRANDI VIGNE E il VIAGGIATOR GOLOSO?
I vini Viaggiator Goloso sono disponibili nei supermercati Iper La grande i ed Unes, dove tuttavia è presente anche un’altra linea di vini italiani reperibili solo sugli scaffali dei supermercati dell’insegna, chiamata Grandi Vigne. Si tratta della “marca privata” di Iper La grande i (altra insegna del Gruppo Finiper Canova) che, dal 2007, «seleziona con cura vini realizzati da piccoli produttori, con l’obiettivo di dare al consumatore un’offerta sempre più vasta fra cui scegliere». Grandi Vigne, come spiega il gruppo a Vinialsuper, si propone di «rendere etichette di pregio accessibili a tutti, senza compromessi sul valore del prodotto». La gamma include un centinaio di etichette che spaziano tra vini bianchi, rossi e rosé, sia secchi che dolci, oltre a quelli fruttati, aromatici, freschi, fermi e mossi. Una linea molto più ampia, dunque, rispetto a quella de il Viaggiator Goloso, incentrata soprattutto sul food.
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Ecco il mezcal di Bottura. La categoria del distillato messicano d’agave conosce una nuova frontiera grazie alla collaborazione tra lo chef di fama mondiale Massimo Bottura, il suo progetto no-profit Food for Soul, e Santo de Piedra, un atelier messicano che sta rivoluzionando il segmento del mezcal di alta gamma. Nasce così la Pastorale Series, una linea innovativa che reinterpreta il mezcal attraverso una visione unica e profonda, capace di unire tradizioni e innovazioni con un approccio che ridefinisce l’idea stessa di eccellenza e sostenibilità. Questo progetto, che si posiziona al confine tra artigianato e innovazione, mira a raccontare storie di inclusività, territorio e tradizione. Attraverso il linguaggio universale del gusto.
UN INCONTRO TRA MODENA E OAXACA, NEL SEGNO DEL MEZCAL
L’idea di questa collaborazione è nata dal desiderio di Bottura e Santo de Piedra di unire tradizioni e culture diverse, da Modena a Oaxaca, in una sinergia che celebra le rispettive identità culturali e artigianali. Dopo mesi di progettazione e ricerca, il risultato è un mezcal che riflette un profilo aromatico unico, unendo rare varietà di agave, tecniche tradizionali di distillazione e un approccio creativo e distintivo tipico dello chef modenese. Ogni elemento è stato attentamente curato per creare un prodotto che incarna il meglio delle due tradizioni.
Le agavi utilizzate provengono da piccole comunità locali di Oaxaca, dove i metodi di coltivazione rispettano l’ambiente e la biodiversità. Questo approccio non solo garantisce una qualità eccezionale, ma supporta anche l’economia locale e preserva le pratiche agricole tradizionali. A Modena, Bottura ha portato la sua esperienza nella creazione di sapori equilibrati e sofisticati, lavorando a stretto contatto con i maestri distillatori di Santo de Piedra per perfezionare ogni fase del processo.
David S. Giles, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Santo de Piedra, descrive la Pastorale Series come «un’opera che incarna una profonda riflessione sul futuro del lusso e della sostenibilità, rendendo questo progetto un vero esempio di innovazione e artigianalità». Il nome stesso della serie si ispira alla Sesta Sinfonia di Beethoven, un capolavoro che evoca l’armonia tra l’uomo e la natura. L’intera collezione prevede sei rilasci unici, ognuno interpretato da una mente creativa diversa, spingendo oltre i confini convenzionali del mondo del mezcal.
BOTTURA, IL MEZCAL E UN PACKAGING CHE CELEBRA LA NATURA
Il design della bottiglia, curato personalmente da Massimo Bottura, rappresenta un tributo alla terra e alla nebbia di Modena, un richiamo poetico alle radici dello chef. Realizzata in vetro riciclato, la bottiglia cattura la luce in modo unico, creando riflessi che esaltano la bellezza del liquido al suo interno. La sigillatura con cera d’api naturale non solo protegge il contenuto, ma simboleggia anche il rispetto per la natura e la forza dell’artigianato. Questo tocco distintivo sottolinea l’attenzione al dettaglio che caratterizza ogni aspetto della serie Pastorale.
In altre parole, un’opera d’arte unica nel suo genere. Ogni bottiglia è numerata individualmente, rendendola un oggetto da collezione per gli appassionati e un simbolo tangibile del connubio tra arte e sostenibilità. Inoltre, l’imballaggio è stato progettato per essere completamente riciclabile, riducendo al minimo l’impatto ambientale e allineandosi agli ideali di Santo de Piedra e Food for Soul.
SANTO DE PIEDRA E FOOD FOR SOUL BOTTURA: SOSTENIBILITÀ E IMPATTO SOCIALE
La collaborazione tra Santo de Piedra e Food for Soul va ben oltre il prodotto stesso. Una parte dei proventi della Pastorale Series sarà infatti destinata a sostenere le iniziative di Food for Soul, l’organizzazione no-profit fondata da Bottura e Lara Gilmore. Dal 2015, Food for Soul ha trasformato surplus alimentari in pasti nutrienti per le comunità più vulnerabili, attraverso progetti innovativi come i Refettori, spazi comunitari che combinano ospitalità, bellezza e qualità del cibo.
Ad oggi, Food for Soul ha salvato oltre 2.393 tonnellate di cibo dallo spreco, servito più di 3,7 milioni di pasti e coinvolto oltre 170.000 volontari in tutto il mondo. Questo impegno rispecchia gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, con un impatto tangibile nella lotta contro la fame, lo spreco alimentare e il cambiamento climatico. I Refettori, presenti in 12 paesi, sono diventati un modello di riferimento globale per l’inclusione sociale e la sostenibilità. In aggiunta, Food for Soul promuove iniziative educative per sensibilizzare le nuove generazioni sul valore del cibo e l’importanza della sostenibilità, contribuendo a un cambiamento culturale profondo e duraturo.
MEZCAL PASTORALE SERIES: DISPONIBILITÀ E PREORDINI
Il primo rilascio della Pastorale Series, frutto della collaborazione con Massimo Bottura, è già disponibile per il preordine sul sito ufficiale di Santo de Piedra. Questo rilascio rappresenta solo l’inizio di una collezione che arriverà nei mercati selezionati a partire dal 2025, portando con sé una visione rivoluzionaria del mondo del mezcal di alta gamma. La Pastorale Series punta a invitare nuovi consumatori a scoprire una categoria di spiriti che unisce tradizione, innovazione e sostenibilità in un’esperienza sensoriale senza precedenti.
Ogni dettaglio di questa serie è stato pensato per offrire qualcosa di straordinario, dalla qualità del prodotto alla bellezza del packaging, fino al significato sociale e culturale che ne deriva. Una linea che non solo ridefinisce il concetto di lusso, ma crea anche un ponte tra passato e futuro, tra artigianato e innovazione. Inoltre, la Pastorale Series sarà accompagnata da eventi esclusivi organizzati in collaborazione con chef di fama internazionale, artisti e creativi, che esploreranno nuove possibilità di abbinamento gastronomico e artistico. Questi eventi offriranno un’occasione unica per vivere un’esperienza immersiva nel mondo del mezcal e delle sue infinite sfaccettature.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Piccini 1882 presenta il progetto Drops for Hope, all’interno della cornice di “Ripartiamo Aps“, un’iniziativa di solidarietà per garantire l’accesso all’acqua potabile nei paesi più svantaggiati. Il Gruppo Piccini 1882, da sempre simbolo di eccellenza nel mondo del vino, rinnova il suo impegno sociale con il progetto “Drops for Hope” in collaborazione con Ripartiamo Aps. Questa iniziativa nasce con l’obiettivo di affrontare una delle più gravi emergenze globali: la carenza di accesso all’acqua potabile. In molte regioni del Sud del mondo, l’acqua potabile è, difatti, un lusso inaccessibile.
DROPS FOR HOPES: L’IMPEGNO DI PICCINI 1882 PER UN FUTURO MIGLIORE
Attraverso Drops for Hope, Piccini 1882 intende offrire una soluzione concreta e sostenibile, donando agli orfanotrofi dei depuratori che favoriscono la rimozione di batteri, metalli pesanti e sostanze chimiche, e borracce dove conservare l’acqua da bere. Le prime missioni interesseranno paesi come Colombia (prima missione nel video, sopra), Mozambico, Bolivia e Botswana. Il progetto è stato presentato venerdì 13 dicembre, presso la Sala Collezione Oro dello stabilimento di Casole d’Elsa di Piccini 1882. Un’occasione in cui è stato possibile approfondire gli obiettivi dell’iniziativa e sensibilizzare la comunità aziendale e il pubblico presente sui valori di solidarietà e responsabilità sociale che guidano la famiglia del vino toscano.
Fivi – parte integrante della Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti (CEVI) – si dice «contraria alla possibilità di inserire l’estirpo di vigneti tra le misure della prossima programmazione Pac». Una posizione tutt’altro che nuova quella espressa lunedì 16 dicembre, durante l’ultimo incontro del Gruppo di alto livello vitivinicolo dell’Ue. La Federazione italiana vignaioli indipendenti, insieme alla Confederazione europea, ritiene invece «strategico per il settore destinare i fondi a misure positive, che sostengano la redditività e la competitività delle imprese, non la loro dismissione».
FIVI CRITICA IN EUROPA SU ESTIRPO VIGNETI ED ENOTURISMO
Un altro «aspetto critico» sono le misure a favore dell’enoturismo. Fivi chiede a gran voce che «anche le aziende dei vignaioli possano accedere alla misura, perché sono proprio le aziende verticali quelle che garantiscono al consumatore un’esperienza completa, mostrando tutte le fasi del ciclo di produzione, dalla vigna alla bottiglia, e che possono educare a un consumo consapevole». La Federazione italiana vignaioli indipendenti ritiene, in definitiva, che «ci sia ancora molto lavoro da fare, ma la strada del confronto e del coinvolgimento della filiera è sicuramente quella giusta».
«Avevamo attese molto alte – sottolinea in una nota – e per il momento possiamo esprimere soddisfazione per i contenuti del documento condiviso dalla Commissione europea. In particolare apprezziamo che la Commissione intenda lavorare a un regime specifico di promozione per i piccoli produttori, su cui stiamo già elaborando una proposta concreta. Gli aspetti ancora da limare sono legati appunto all’estirpo dei vigneti nella Pac e alle misure in favore dell’enoturismo».
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Cresce l’offerta formativa di Ais Lombardia nel 2024. Con 8.300 soci, è la sezione regionale più numerosa dell’Associazione Italiana Sommelier. Quest’anno più di 3.500 persone hanno frequentato i corsi di qualificazione professionale organizzati nelle 10 delegazioni provinciali. Questi sono alcuni dei numeri che hanno contraddistinto l’attività di Ais Lombardia nel 2024, che ha visto inoltre 558 eventi come serate di approfondimento, seminari e master, viaggi studio sia in Italia che all’estero. E ancora: banchi di assaggio gratuiti, spesso organizzati in collaborazione con i Consorzi di Tutela. E tante “palestre didattiche”, rivolte a chi sta frequentando i corsi e vuole ulteriormente approfondire la tecnica della degustazione.
«È stato un anno davvero molto intenso – sottolinea Hosam Eldin Abou Eleyoun, presidente di Ais Lombardia – ma al tempo stesso ricco di soddisfazioni, grazie al prezioso lavoro che tutte le delegazioni provinciali della nostra regione hanno messo in campo. È cresciuto anche quest’anno sia il numero degli eventi, sempre più articolato e che si compone di appuntamenti con obiettivi differenti tra loro per andare incontro alle esigenze dei nostri soci, sia quello dei corsi di qualificazione professionale, che invece rappresentano il cuore pulsante della nostra offerta formativa».
AIS COMPIE 60 ANNI NEL 2025
Dieci le delegazioni regionali di Ais Lombardia: Bergamo, Brescia, Cremona-Lodi, Lecco-Como, Mantova, Milano, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese. «Dopo la pausa dovuta al periodo pandemico, che comunque ha visto tutto il team attivo nell’organizzazione di molti webinar, – continua il presidente – gli eventi sono tornati ad essere appuntamenti imprescindibili per tutti i nostri soci, coprendo l’intera programmazione annuale». Con oltre 8.300 soci, Ais Lombardia è ora pronta a iniziare il nuovo anno con entusiasmo e fiducia.
«Il 2025 sarà un anno molto importante – sottolinea ancora Abou Eleyoun – e vedrà l’Associazione Italiana Sommelier, nata il 7 luglio del 1965, festeggiare i suoi 60 anni. Lo faremo anche noi in Lombardia, attraverso una serie di eventi, a partire da “Enozioni a Milano”, la nostra grande festa che apre come di consueto il nuovo anno. La VII edizione si terrà da venerdì 31 gennaio a domenica 2 febbraio. Sono previsti tre premi dedicati a grandi personaggi del mondo enogastronomico e tante importanti masterclass e banchi di assaggio. Il modo migliore per iniziare a festeggiare questo importante anniversario».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Masseria Li Veli, Petra, Planeta e San Salvatore 1988 sono le cantine italiane che parteciperanno al primo Mediterranean Wines Symposium, il primo Simposio dei Vini del Mediterraneo. L’appuntamento si terrà il 24 marzo 2025 presso la prestigiosa cantina Perelada, in Catalogna. L’evento si propone di celebrare l’importanza culturale, storica e gastronomica del Mediterraneo, coinvolgendo alcune delle più importanti cantine delle regioni vinicole che si affacciano sul “Mare Nostrum”. Tra i protagonisti spiccano alcuni nomi di rilievo della scena enologica italiana, che aderiranno al Manifesto del Simposio. Un documento che promuove la diffusione di conoscenze sul vino mediterraneo attraverso ricerca, formazione e condivisione.
I VINI DEL MEDITERRANEO CON GABRIELE GORELLI MW
Il Simposio vedrà la partecipazione di esperti internazionali di fama mondiale. Il comitato scientifico, presieduto da Juancho Asenjo, figura di spicco della critica enologica e Cavaliere dell’Ordine della Stella della Repubblica Italiana, include professionisti come Gabriele Gorelli MW, primo Master of Wine italiano, e Josep Roca, sommelier del celebre ristorante Celler de Can Roca. Tra le attività in programma ci saranno degustazioni tematiche, masterclass e tavole rotonde. Saranno affrontate anche tematiche attuali, come l’adattamento della viticoltura ai cambiamenti climatici, con l’intervento di Nathalie Ollat, direttrice del progetto francese Laccave (Inrae).
FOCUS SUI VINI ITALIANI DEL MEDITERRANEO
Durante il Simposio, i partecipanti potranno immergersi nella ricchezza vinicola del Mediterraneo. Gabriele Gorelli MW guiderà una masterclass dedicata alle principali regioni vinicole italiane, mentre Victoria Ordóñez presenterà le varietà più rappresentative del bacino mediterraneo. Da non perdere anche la degustazione di Malvasia lungo le coste mediterranee, condotta da Juancho Asenjo. Un ruolo centrale sarà riservato alla gastronomia, con Josep Roca che terrà una lezione sull’abbinamento tra alta cucina e vini mediterranei, e una speciale esperienza curata da Toni Gerez, sommelier del ristorante Castell Perelada, che abbinerà vini e formaggi mediterranei.
IL MEDITERRANEAN WINE SYMPOSIUM UNISCE LE CANTINE DEL MEDITERRANEO
Oltre ai grandi nomi italiani dalle regioni Puglia, Toscana, Sicilia e Campania, parteciperanno al Simposio dei Vini del Mediterraneo cantine rinomate di altri paesi del Mediterraneo. È il caso di Château Musar (Libano), Château Roslane (Marocco) e 4Kilos (Spagna). Tutte le cantine coinvolte condividono l’obiettivo di «promuovere l’identità vinicola mediterranea come un’unica regione, esaltandone l’origine, la qualità e la tradizione».
L’evento culminerà con un grande showroom presso il castello di Perelada, dove il pubblico potrà scoprire i vini di oltre venti cantine partecipanti, rappresentative delle diverse tradizioni vinicole mediterranee. Con questa prima edizione, il Mediterranean Wines Symposium punta a consolidarsi come appuntamento di riferimento per il settore enologico, celebrando il Mediterraneo come crocevia di cultura, storia e gusto.
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È ormai tra gli eventi più attesi dai professionisti del settore, a caccia di spumanti Metodo classico da inserire nella carta vini di un ristorante, o in enoteca. La Prima dell’Alta Langa 2025 si terrà il 10 marzo a Torino e promette già di essere il consueto successo. Il 2024 si chiude infatti con risultati significativi per il Consorzio che riunisce 85 maison piemontesi, per un totale di 455 ettari di vigneto tra le province di Alessandria, Asti e Cuneo (2/3 Pinot nero e 1/3 Chardonnay), per circa 3,2 milioni di bottiglie. Ben 14 le new entry del 2024, nel segno di una crescita che porterà la denominazione verso i 6 milioni di bottiglie, entro il 2030.
Una cifra che consentirà al Consorzio di iniziare a guardare all’export con maggiore efficacia. Al momento, infatti, il mercato interno interessa l’85% della produzione dell’Alta Langa Docg, con l’export al 15%. Non a caso, il 2024 sarà ricordato come il primo anno in cui l’ente presieduto da Mariacristina Castelletta (Tosti 1820) ha investito in promozione all’estero, invitando sul territorio un gruppo di giornalisti stranieri.
«I traguardi raggiunti quest’anno – sottolinea la presidente – sono il risultato di un impegno condiviso. Produttori, partner e un numero sempre maggiore di sostenitori e appassionati che ci accompagnano nel portare l’Alta Langa Docg sempre più lontano, senza mai perdere di vista i nostri valori e la nostra identità. La data scelta per l’evento annuale del Consorzio Alta Langa è lunedì 10 marzo 2025, a Torino. Sarà la settima edizione della grande degustazione di tutte le cuvée in commercio dei soci del Consorzio. A gennaio si apriranno sul sito istituzionale le registrazioni per il pubblico Horeca e per i giornalisti».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Galeotti furono una gomma bucata, «due colline a forma di tette», un parroco e un panettiere. La storia del Blangé, vino icona della famiglia Ceretto che nel 2025 compie 40 anni, è un condensato di aneddoti che mescola sacro e profano. Uno spaccato della carta d’identità delle Langhe e del Roero. Due territori diventati grandi insieme a questa etichetta, che ne ha accompagnato le tappe in quattro decenni. Giungendo intatta, rilucente ed esemplificativa, sino ai giorni nostri. Protagonista assoluto della storia del Blangé è Bruno Ceretto.
«Il discorso è molto lungo: lei registra?». Camicia biancoblu, a quadretti. Cravatta d’un giallo sgargiante. Giacca in pendant a quadri beige, blu e arancioni. Del tutto a suo agio nel quartier generale della cantina, ad Alba, il papà del Blangé, 87 anni, tiene a sincerarsi che tutto sia al suo posto, prima del ciak. Un po’ come quei padri e quelle madri che non smettono di trattare i figli adulti come bambini, sistemando le pieghe dei vestiti prima di vederli uscire di casa. La storia del vino che ha reso famoso l’Arneis nel mondo – un figlio per Bruno Ceretto, che l’ha pensato, visto nascere e crescere – dev’essere narrata in maniera impeccabile. Prendendosi il tempo necessario. O, piuttosto, lasciando perdere il discorso. Nell’aria dell’ufficio ad ampie vetrate danzano gli aromi di un buon caffè. Roberta Ceretto siede accanto a Bruno. Pronta a ripercorrere un racconto che sa di fiaba.
DA LA LUNA E I FALÓ AL BLANGÉ
«Negli anni 70 – inizia il patron, con voce ferma ma accogliente – ho conosciuto un grande produttore friulano, Manlio Collavini, che è addirittura padrino di battesimo di mia figlia Roberta. Grazie a lui cominciai a frequentare il Friuli, notando il grande sviluppo che aveva il Pinot Grigio, in quel momento, sul mercato nazionale. A noi, qui nelle Langhe, mancava un bianco così. Di ritorno in treno verso Alba, avendo forato una gomma, mi torna in mente che, ne La luna e i Falò, Cesare Pavese raccontava di due colline a forma di tette, meravigliose, nei pressi di Santo Stefano Belbo. Mi dico: mentre son qui, vado a veder ’ste tette, no?».
«Arrivato alla stazione di Santa Vittoria, leggo su un grande cartellone pubblicitario: “Francesco Cinzano, dal 1850 vini e spumanti”. Tra me e me penso: caspita, ma vedi? Spumanti? Questi qui nel 1850 facevano vini bianchi o qualcosa del genere! L’indomani decido di andare nel Roero per consultare i parroci dei paesi e capire se, per davvero, qualche contadino stesse piantando uve bianche in zona. I parroci, non i postini, sono quelli che ti danno le notizie vere! Infatti scoprii che moltissimi piantavano un vitigno chiamato Arneis. Non avendo il Moscato, avevano scelto quell’uva bianca per farsi un po’ di vino dolce, per Natale».
BRUNO CERETTO COMPRA “CHICHIVEL”, LA MIGLIOR COLLINA PER IL SUO ARNEIS
Nel suo girovagare in Roero, il futuro papà del Blangé scopre un’azienda agricola con ben 5 ettari di Arneis. A Canale. «Si chiamava Cornarea – ricorda – una cantina che esiste ancora. Andai lì per comprarla, essendo ormai deciso a produrre un vino bianco. Ma non se ne fece nulla». Bruno Ceretto sa bene che i parroci non dicono la verità solo sui contadini. Sono anche le persone più adatte ad indicare quali siano i migliori vigneti della zona: quelli in cui lo sconosciuto Arneis maturava meglio.
L’assist ecclesiale di don Nino, allora parroco di Vezza d’Alba, suo ex chierico nelle estati trascorse a studiare al posto di divertirsi con gli amici – «da giovane avevo sempre molte materie rimandate a ottobre, quindi finivo in seminario!» – si rivela vincente: «La miglior collina della zona – rammenta Bruno Ceretto – era quella che chiamavano “Chichivel”. Un appezzamento di circa 30 ettari, con addirittura 42 proprietari. Diedi subito incarico di acquistarla tutta. E da lì iniziò l’avventura». La famiglia, del resto, segue con interesse i viaggi in Roero dell’avventuriero Bruno.
L’ETICHETTA DEL BLANGÉ FIRMATA DA SILVIO COPPOLA
«Parlai con mio fratello Marcello – continua il racconto – e gli dissi che dovevamo studiare un progetto di successo e innovativo per il nostro primo vino bianco. In che senso “innovativo”? Quando vado al ristorante, mi siedo sempre in un cantuccio, in modo da osservare gli altri clienti. Avevo notato che quando arrivavano due fidanzatini, su suggerimento della donna, chiedevano spesso dei vini bianchi con delle caratteristiche molto precise. Profumati, non petillant ma che punzecchiavano leggermente, dando inizio a quelle che oggi chiameremmo “bollicine”. Vini rotondi, morbidi, di grande piacevolezza. Il vino che avevo in mente, dissi a mio fratello, introducendo di fatto quella che è un’altra grande innovazione di questa azienda nel campo dell’estetica, dovrà essere accompagnato dall’etichetta realizzata da un gradissimo designer. Che sappia creare qualcosa di innovativo, di grande bellezza ed eleganza». Quel «qualcuno» fu Silvio Coppola.
Un architetto, designer e grafico già noto, all’epoca, per aver realizzato l’etichetta del Tignanello degli Antinori. Per convincerlo a salire a bordo del progetto Blangé, Bruno Ceretto organizza un evento regale. «Era il 12 ottobre 1985 – spiega – quando lo invitai qui da noi ad Alba, insieme ad altri venti grandissimi designer ed architetti di fama internazionale. Gente che oggi chiameremmo “archistar”. L’idea era quella di un pranzo, utile a introdurre l’argomento dell’etichetta del Blangé. Ad ognuno fu consegnato un foglio bianco, ma nessuno portò a termine il “compito”. Perché? Finirono tutti sdraiati, ubriachi e a pancia piena». Tutti tranne Coppola. Che seppe resistere al fascino irripetibile dei fiumi di Barolo del 1961, serviti dallo staff di Bruno Ceretto. «In 20 si scolarono 36 bottiglie, abbinandole a bistecche di Fassona su cui feci grattare 50 grammi di tartufo per ciascuna. Ricordo ancora quando Coppola si alzò e disse: “Banda di ubriaconi, l’etichetta ce la facciamo io e Bruno Ceretto!”».
PERCHÉ L’ARNEIS DI CERETTO SI CHIAMA BLANGÉ?
Fu del noto designer l’idea di una bottiglia di vetro bianco, trasparente. «Prima di mostrarmi cosa aveva in mente per l’etichetta – prosegue il papà del Blangé – Coppola mi chiese se fossi un credente. Gli risposi con ironia: “A giorni! Oggi, per esempio, davanti al Barolo 1961, alle bistecche di Fassona e a così tanto tartufo, credo eccome!”. La domanda, però, aveva un senso. Mi disse che il suo obiettivo era quello di mostrare l’anima del vino, “perché nessuno vede la sua anima, anche se è credente”. Nacque così l’etichetta forata del Blangé, con le scritte dorate e, soprattutto, la grande “B” che lascia intravedere il colore del vino. La sua anima. Coppola mi chiese un favore: poter scrivere il suo nome, in piccolo, in un angolino. Come una sorta di firma. Lo accontentai, ovviamente. Detto ciò, l’etichetta fu costosissima: 50 milioni di lire! Fu copiatissima. Il vino ebbe un successo immediato, planetario. Lo presentammo in giro per il mondo. Purtroppo, Silvio morì prima della fine di quello stesso anno».
Ma perché l’Arneis di Ceretto si chiama Blangé? «Quando ci siamo presentati dal notaio per acquistare uno dei tanti appezzamenti di Arneis da cui ha avuto inizio la nostra avventura – risponde Bruno Ceretto – tra i venditori c’era un dirigente della Fiat, con la passione per la storia e l’etimologia. Secondo il suo racconto Napoleone, che firmò a Cherasco l’Armistizio del 1796 con Vittorio Amedeo III di Savoia, fece arrivare nella zona diverse migliaia di francesi. “Blangé” deriva dalla contrazione, in piemontese, della parola boulanger, ovvero panettiere. Una delle vigne che stavamo acquistando era di proprietà di un panettiere, nel Settecento. E così veniva identificata dalla popolazione locale, per la quale il termine era diventato una sorta di toponimo. Pane e vino, in definitiva: questo binomio ci convinse subito».
ROBERTA CERETTO E IL BLANGÉ: I NUMERI DI UN ARNEIS ICONA
«Noi siamo “barolisti” e “barbareschisti” per nascita e per convenienza, ma abbiamo gli stessi costi nel produrre una bottiglia di Blangé o di Barolo. Vogliamo che questo nostro Arneis sia un vino consumato dalle famiglie, la domenica. Apprezzandone la bontà, la qualità, la bellezza. E soprattutto il prezzo equilibrato, che dà la convinzione d’aver fatto un affare. Quel che è certo è che, senza una storia alle spalle, un vino non potrà mai avere successo». Ne è convinto Bruno Ceretto, nel commentare la storia visionaria di un’etichetta che si lega, sinuosa, a quella della sua famiglia di Langa. Un tesoro – la prima vendemmia costava già 6 mila lire, oggi il prezzo si aggira attorno ai 20 euro – che è finito tra le mani di Roberta Ceretto.
«Nel tempo – sottolinea – questo vino ha cambiato pelle mille volte. La prima bottiglia di Blangé non era né “Arneis”, né “Langhe”. Non c’era alcuna specificazione. Nel 1985 non era nemmeno Doc. Era semplicemente un “vino bianco”. In questi quarant’anni abbiamo aggiunto “Arneis” e lo abbiamo visto passare da Doc a Docg. Non ultimo, lo abbiamo imbottigliato come Roero e poi come Langhe Doc. Nell’arco di questi quattro decenni, l’etichettatura è cambiata moltissimo. La cosa straordinaria è che un vino che si ricorda per il suo nome, al di là dell’uva che lo compone e delle altre caratteristiche tecniche».
«Sono pochissimi i vini italiani, soprattutto bianchi – evidenzia ancora Roberta Ceretto – che si ricordano col loro nome di fantasia. I vari “Sassicaia” e “Tignanello”, però, partecipano a “campionati” diversi rispetto a quello del Blangé». Un’icona prodotta oggi su una superficie complessiva di di circa 100 ettari di proprietà, per 800 mila bottiglie. Sinonimo di una famiglia delle Langhe. E motore silenzioso di un Roero passato da pochi ettari di Arneis – quelli a cui dava la caccia il giovane Bruno Ceretto, all’inizio degli anni Ottanta – agli attuali 965, su un totale di 1.300. Un pezzo di storia, insomma, il Blangé. Da bere. Ascoltare. Leggere.Ceretto
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Chiusa la vendemmia 2024, il Piemonte traccia il bilancio di un’annata complessa ma promettente. Il clima caldo-umido, che ha interrotto il trend siccitoso degli ultimi anni, ha imposto sfide significative ai viticoltori, tra cui una maggiore attenzione alla difesa antiparassitaria, messa a dura prova dalle piogge persistenti. Tuttavia, il bilancio tracciato durante la presentazione odierna dell’Annata Vitivinicola 2024 in Piemonte si conferma positivo. La produzione stimata è di 2,25 milioni di ettolitri (+5% rispetto al 2023), con vini in linea con le tendenze di mercato che prediligono un tenore alcolico ridotto.
L’ANNATA 2024 IN PIEMONTE: PRODUZIONE ED EXPORT IN CRESCITA
Il Piemonte consolida la sua posizione di seconda regione italiana per fatturato vinicolo, con un giro d’affari di 1.248 milioni di euro. Sul fronte export, i vini rossi Dop registrano una crescita dell’1% a valore e del 4,4% a volume, trainati da mercati come Canada (+49%), Svezia (+14%), Giappone e Stati Uniti (+10% ciascuno).
Durante la presentazione de L’Annata Vitivinicola in Piemonte 2024, curata da Vignaioli Piemontesi e Regione Piemonte, è emerso il ruolo cruciale dell’enologia per valorizzare un’annata non priva di criticità, ma ricca di potenzialità. Secondo Giulio Porzio di Vignaioli Piemontesi, «i cambiamenti climatici e di mercato richiedono strategie nuove e coraggio per scommettere sul futuro della viticoltura piemontese».
SVILUPPO E SOSTENIBILITÀ DEI VINI DEL PIEMONTE
Gli assessori regionali Paolo Bongioanni e Marina Chiarelli hanno sottolineato «l’importanza di un approccio integrato per rafforzare il legame tra agricoltura, turismo e promozione dei prodotti locali». Bongioanni ha evidenziato il ruolo del Complemento di Sviluppo Rurale 2023-27 e l’introduzione della «rivoluzione della Filiera corta». Un modello innovativo per valorizzare i territori e le eccellenze enogastronomiche piemontesi. Chiarelli, invece, ha ribadito l’impegno nel «promuovere l’internazionalizzazione e un’accoglienza turistica di qualità».
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«Negli ultimi anni, il termine “vino naturale” è diventato di moda, un’etichetta che attrae un certo pubblico e promette qualità superiori e conseguenze meno impattanti per la salute. Tuttavia, dietro questa definizione apparentemente accattivante, si nasconde una realtà altamente controversa. In primo luogo, il concetto di “vino naturale” non ha alcuna base legale o regolamentazione ufficiale: non esiste, infatti, un ente di controllo che certifichi cosa sia effettivamente un vino naturale e cosa no. Questo lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e, inevitabilmente, a pratiche di marketing ingannevoli.
Si tratta, in sostanza, di un termine privo di rigore che gioca sulla percezione del consumatore. Non a caso, la narrativa che accompagna i vini naturali spesso sottintende che i vini prodotti in modo convenzionale siano in qualche modo “artefatti” o “inferiori”. Questo è profondamente fuorviante, perché la viticoltura convenzionale è regolamentata da norme precise, con controlli rigorosi sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto. E non si può dimenticare come gli enologi professionisti che lavorano secondo i metodi tradizionali o moderni si affidano a decenni, se non secoli, di conoscenze scientifiche e pratiche consolidate per garantire un prodotto eccellente e sicuro, mentre le imperfezioni organolettiche tradotte come “naturali” sono spesso difetti di vinificazione.
VINI NATURALI? RISCHIO EFFETTO BOOMERANG
Un altro aspetto critico è il messaggio implicito che i vini naturali siano più salutari. Questa è una semplificazione che rasenta l’inganno, poiché la salubrità di un vino non dipende dal fatto che sia naturale o meno ma, piuttosto, da fattori come il contenuto di solfiti (che, peraltro, sono presenti naturalmente anche nei vini cosiddetti “naturali”), la qualità dell’uva e i processi di vinificazione. Dunque, affermare che un vino naturale sia automaticamente “migliore per la salute” è una manipolazione che sfrutta la poca conoscenza del consumatore medio.
Infine, c’è il rischio di un effetto boomerang: concentrarsi sul “naturale” rischia di sminuire il lavoro di migliaia di produttori che, pur non utilizzando questa etichetta, si impegnano onestamente ogni giorno per creare vini straordinari nel rispetto dell’ambiente, del territorio e, soprattutto, del consumatore. Senza contare che questo tipo di comunicazione non fa altro che dividere inutilmente il settore, invece di valorizzare la diversità e la ricchezza della viticoltura mondiale.
VINO E GIOVANI: INFORMATEVI SUL TEMA
In conclusione, il concetto di vino naturale è, nella migliore delle ipotesi, un’abile strategia di marketing; nella peggiore, è un inganno. Credo fermamente che migliorare la comunicazione nel settore vinicolo sia necessario per tutelare i consumatori, i quali meritano di sapere che un buon vino non ha bisogno di aggettivi fuorvianti per dimostrare la propria qualità.
Per questo, da giovane produttore, suggerisco ai miei coetanei di informarsi con attenzione sul tema, per essere in grado di valutare con maggior consapevolezza le proprie scelte di consumo. E lo dico nella convinzione che temi come la trasparenza, la conoscenza e il rispetto per il lavoro dei produttori dovrebbero essere al centro del dialogo, non banalizzati e trasformati in etichette che servono solo a creare inutili divisioni».
Riccardo Polegato, AD La Viarte
Riccardo Polegato, classe 1996, “figlio d’arte” cresciuto tra filari e bottiglie, titolare insieme alle sorelle Luana e Giorgia della cantina La Viarte di Prepotto (UD) sui Colli Orientali del Friuli, prende posizione sui vini “naturali”, tema sempre dibattuto all’interno del mondo enologico.
Il 2024 si chiude con rilevanti novità per il mondo del Lambrusco. I disciplinari aggiornati delle Doc del celebre vino emiliano sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, entrando ufficialmente in vigore. Le aziende associate al Consorzio e interessate dalle modifiche si trovano nelle province di Modena e Reggio Emilia, dove quasi 10 mila ettari sono dedicati alla coltivazione del Lambrusco. Ogni anno vengono prodotte circa 40 milioni di bottiglie di Lambrusco Doc e oltre 100 milioni di bottiglie di Emilia Igt Lambrusco, destinate per il 60% all’export.
MONTE BARELLO, NUOVA SOTTOZONA DEL LAMBRUSCO GRASPAROSSA
Tra le principali novità spicca l’introduzione della sottozona Monte Barello all’interno della denominazione Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Doc. Dedicata alla produzione di vini frizzanti, questa sottozona comprende un areale prevalentemente collinare che circonda il borgo di Castelvetro (Modena). Per i vini prodotti in questa zona sono previsti requisiti rigorosi: una resa per ettaro ridotta, la raccolta manuale delle uve e l’uso esclusivo del Lambrusco Grasparossa in purezza. Un passo che punta a esaltare la qualità distintiva della nuova sottozona.
LAMBRUSCO DI SORBARA BIANCO: DEBUTTA LO SPUMANTE
Un’altra novità significativa riguarda il Lambrusco di Sorbara Doc, che potrà ora essere proposto anche in versione bianca spumante. Questo aggiornamento rappresenta il culmine di un percorso intrapreso dai produttori, che da anni sperimentavano con successo questa tipologia. Le risposte positive da parte di consumatori e addetti ai lavori hanno spinto il Consorzio a formalizzare questa innovazione.
NOVITÀ ANCHE PER IL REGGIANO DOC: ECCO LA TIPOLOGIA FOGARINA
Il disciplinare del Reggiano DOC si arricchisce di una nuova tipologia: la “Fogarina”, che punta a mettere in risalto una varietà autoctona, rappresentativa del territorio. Inoltre, è stata aggiunta l’unità geografica “Gualtieri”, contribuendo a una maggiore specificità e riconoscibilità dei vini prodotti in questa area.
LAMBRUSCO, COSA CAMBIA PER ETICHETTATURA E CONFEZIONAMENTO
Un ulteriore aggiornamento riguarda tutte le Doc del Lambrusco, con revisioni nelle sezioni dedicate a etichettatura e confezionamento. L’obiettivo, spiega il Consorzio, è quello di armonizzare i disciplinari e introdurre modifiche sui formati delle bottiglie e sulle tipologie di chiusure ammesse.
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